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La Primavera di Botticelli. Una questione di metodo.

Giacomo Maria Prati

La Primavera di Botticelli sembra uno di quei dipinti su cui è stato detto tutto. E invece è l’esatto
contrario. Fino ad oggi lo sguardo di analisi non ha colto l’essenza dell’opera e non è riuscito infatti
a riportare ad unità semantica la rappresentazione. La critica dominante presenta un deficit di
ragionamento e di metodo in quanto ripete un frequente errore di impostazione. Abbiamo un
analisi caratterizzata dall’“uscire” dall’opera secondo frettolosi automatismi pre-interpretativi
invece avremmo bisogno di un analisi finalizzata dal focalizzarsi sulle specificità dell’opera. Prima
di cercare con impazienza generiche sovrapposizioni iconografiche lo sguardo deve cercare quale
sia il linguaggio in questione, cioè quale sia la specifica modulazione del soggetto narrativo tale da
fare di quel dipinto un unicum. La prima domanda non è se la donna al centro sia Venere o Iside o
Giunone ma è la seguente: di fronte a quale Primavera ci troviamo? Cioè: cosa sta accadendo?
Quale storia ci viene raccontata? Per rispondere a questa domanda va cercato il linguaggio o i
linguaggi determinanti che reggono le scelte essenziali della rappresentazione. Simultaneamente
dobbiamo partire dai pochi dati certi che disponiamo; di solito i dati che vengono spesso snobbati
come se fossero poco rilevanti, mentre qui dimostreremo che sono elementi essenziali,
irrinunciabili. Per la Primavera si tratta si tre aspetti: 1) il tema primaverile 2) l’occasione della
committenza, cioè le nozze di Lorenzo di Pierfrancesco, cugino del Magnifico 3) l’originaria
collocazione del dipinto fra una Madonna in trono e Pallade e il centauro. Ricordato questo va
pure illustrato il perché le altre letture non hanno centrato il cuore dell’opera. Il principale fattore
di sviamento è certamente la formula mitologica. E qui casca l’asino. O gli storici dell’arte non
conoscono bene la mitologia oppure non hanno capito che la mitologia greca era uno strumento di
comunicazione e non la finalità del racconto. Il linguaggio mitologico non può essere il codice di
sostegno della rappresentazione per vari motivi: l’ambiguità intrinseca del mito greco, il suo
perdersi in mille rivoli alternativi, la difficoltà di individuare riscontri letterari, e l’impossibilità di
riportare ad unità il dipinto per via mitologica. Se analizziamo i principali risultati ottenuti e
propagandati sotto questo aspetto individuiamo immediatamente degli incolmabili deficit logici e
culturali. La lettura dominante avanza per automatismi: c’è Eros con le frecce ergo la donna
centrale è Afrodite; c’è un allegoria di un vento che agguanta una donna quindi è Zefiro con Cloris;
c’è una donna con fiori ergo è Flora. Sembra tutto facile, tutto consequenziale. Ma proviamo a
rileggere tutti i dettagli. In primo luogo a Firenze il revival mitologico era grecista e non latino,
quindi non abbiamo alcuna prova che siano i Fasti di Ovidio ad aver influenzato una supposta
presenza di Venere e delle Grazie, figure altrimenti mai presenti in sinergia in letteratura. Oltre a
ciò il presunto Zefiro appare ben poco primaverile, in quanto viene reso con toni freddi e con
atteggiamento impetuoso ed aggressivo. Mi sembra francamente più simile a Borea che rapisce
Orizia. Ma sia che fosse Borea o Zefiro in ogni caso la sequenza iniziale apparirebbe del tutto aliena
al resto della rappresentazione. L’insistere poi sulla lettura naturalistica secondo la sequenza: a)
vento che feconda b) donna fecondata 3) donna allegoria della primavera, mostra un difetto logico
intrinseco: non siamo in presenza di una rappresentazione naturalistica, ma di un opera allegorica.
Avrebbe poco senso a fine quattrocento configurare complesse allegorie solo per descrivere lo
spuntare primaverile dei fiori. Non esisteva ancora il realismo pittorico. Dovremmo aspettare la
pittura ottocentesca del Romanticismo! Esiste infine un ostacolo formidabile alla lettura della
donna centrale quale Afrodite o Giunone o Iside: non esiste alcuna rappresentazione di divinità
greca in stato pregnante. Non esistono cioè dee greche incinte nell’arte di alcun secolo, tanto
meno la dea dell’eros! Probabilmente gli antichi greci avevano troppo pudore per il miracolo della
nascita per raffigurarla. Afrodite ha figli ma è la dea meno materna che esista. E pure Hera viene sì
raffigurata con forme femminili, appunto “giunoniche”, ma mai incinta, e Iside è segno di segreti
iniziatici, come pure Demetra,non di maternità. La critica d’arte ha tentato di riportare la scena
sotto il celebre modello del “trionfo”, ma ha fallito. Nei “Trionfi” ogni elemento è totalmente
dipendente dal protagonista centrale del corteo celebrativo a cui è subordinato tutto, come negli
affreschi astrologici di Palazzo Schifanoia a Ferrara. Ad esempio: Apollo al centro con i cigni che
trainano il carro e le Muse che danzano. Qui invece abbiamo un solo aspetto simile al modello dei
Trionfi: l’unidirezionalità dell’incidere, da destra a sinistra. Per il resto l’importanza della figura
femminile al centro non è configurata in modo da svalutare un senso di autonomia di tutti gli altri
personaggi. Oltre a ciò i protagonisti della scena sono due, non uno solo come nei “Trionfi”: la
donna centrale ed Hermes, che conclude la scena quale polarità di direzione del corteo. Non a
caso entrambe queste figure presentano un mantello vermiglio ed entrambe appaiono
differenziate dalle altre: una è posta più in alto, la donna, mentre Hermes è l’unico uomo della
scena, oltre ad essere le uniche due figure che indossano calzari. Non parliamo delle tre presunte
“Grazie”, alle quali sono stati attribuite così tante e diverse identità che si annullano a vicenda;
tutte attribuzioni di una genericità imbarazzante, inconcludente. Neppure nei Carmina Burana,
dove Venere domina la scena (viene citata 41 volte), troviamo affidabili connessioni fra Hermes e
la dea dell’amore o fra Flora e Venere , seppur citate insieme in un caso. E’ un mistero che l’amore
e i fiori siano di vitalità primaverile? Se quindi sono bastate poche riflessioni per destrutturare
l’abitudinaria lettura mitologica, evidenziamo invece quali sono le caratteristiche specifiche della
Primavera dal punto di vista della figurazione mitologica. Si tratta di un connotato assai
significativo. un anomalia rispetto alle ordinarie iconografie mitologiche: Hermes con la spada, e
non solo il solo caduceo. Decrittiamo la scena partendo dalla donna in posizione centrale. Che si
tratti di una versione neoplatonica e ficiniana della Madonna, e di una Madonna
dell’Annunciazione, appare evidente dai seguenti sei precisissimi dettagli: 1) la mano destra
presenta la tipica postura della modestia e dell’umiltà propria della Vergine al momento della
ricezione del saluto dell’arcangelo Gabriele. Così la vediamo in numerose raffigurazioni
dell’Annunciazione secondo un antica tradizione: nel mosaico del V secolo di santa Maria
Maggiore, nella cappella della Maddalena a Castel d’Appiano, in Taddeo di Bartolo, in Melchior
Broederlam, in Jaume Ferrer II, in Carlo da Camerino, in Leonardo,nel Braccesco, in Jan Provost, e
nello stesso Botticelli nella sua Annunciazione del 1489. 2) altrettanto tipica dell’Annunciazione è
la postura della mano sinistra la quale tiene il manto mostrando in evidenza le tre dita centrali. Si
tratta di un chiaro riferimento alla Trinità presente in altrettanto numerose raffigurazioni della
Vergine o con Gabriele o nel modello della “Madonna con il libro”, segno della Vergine quale sede
della sapienza e custode vivente delle Sacre Scritture che in Lei si incarnano, basti considerare:
Filippo Lippi e Filippino Lippi, ancora Leonardo, Andrea Solario, Bellini, il Maestro di Flemale,
Konrad Witz, Antonello da Messina, Francesco Cossa. 3) la testa reclinata verso sinistra è tipica del
modello della Vergine malinconica, di origine bizantina, che troviamo in una fenomenologia
vastissima fra cui ricordiamo a mo’ di esempio fra i moltissimi solo Simone Martini, Giusto
d’Alemagna, Bellini, Cosme Tura, e Leonardo. 4) la decorazione della veste disegna sul petto della
donna il tipico glifo della Vergine con l’incrocio di due ansature simmetriche 5) tutto il mantello è
intessuto da finissime croci greche auree 6) il semplice gioiello pendente sul petto mostra un disco
aureo con al centro una pietra rossa, segno chiaro di nozze e di fecondazione, anche secondo i
Geroglifici di Horapollo, testo ermetico assai ammirato dai tempi di Cosimo de Medici 7) i capelli
della Donna sono rossicci, purpurei, come quelli dell’Amata nel Cantico dei cantici, che Pico della
Mirandola fece ritradurre dall’ebraico, oltre a condividere con quella figura, il velo che adorna il
capo, altro seno nuziale. Incidentalmente notiamo come il triangolo circoscritto dai piedi sia il
tipico triangolo del teorema di Euclide. Se la Donna è la Madre di Dio fecondata dallo Spirito Santo,
allegorizzato dall’angioletto con la freccia infuocata, Hermes non può che essere il Cristo. Andiamo
a rilevare gli indici cristici del nostro Hermes: 1) un calzare è alato e uno non è alato, anomalia
totale dal punto di vista mitologico, ma dettaglio decisivo per una lettura cristica in quanto
allusione alla doppia natura divina e umana di Gesù; 2) il mantello vermiglio e la 3) spada
appoggiata sul femore sinistro sono segni del Cristo apocalittico che indossa il mantello intriso di
sangue e reca la spada proprio sul femore, anche in allusione al ferimento subito al nervo sciatico
da Giacobbe nel suo combattimento con l’angelo. Il tema della spada sull’omero è anche presente
nel Cantico dei cantici, quando si descrivono i 60 forti di Israele (re, giudici e profeti, oppure la
Thorà, la Legge, e il sei è il numero dell’uomo e di Israele, quindi Cristo quale nuovo Israele). Il
mantello poi è intessuto da fiammelle, e la connessione fra sangue di Cristo e fuoco è tipico tema
mistico. Le fiammelle sono stranamente rivolte verso il basso, in relazione con il dardo infuocato
incoccato verso il basso, ad indicare l’Incarnazione quale fatto straordinario, antinaturale. 4) lo
sguardo è tipicamente mistico in quanto le orbite sono roteate molto in alto, nella tipica postura
del moribondo o del rapimento divino 5) il bastone del caduceo, serpentino, innalzato verso il
cielo è allusione alla croce quale mediazione e scambio fra cielo e terra rinviando al celebre
episodio di Mosè che innalza il bastone con il serpente nel deserto. Esiste tutta una tradizione
figurativa che cristianizza la figura di Hermes vedendola quale prefigurazione di Cristo e/o di Mosè.
Abbiamo due esempi celebri di Hermes cristiano li troviamo nel Duomo di Siena e nel Tempio
Malatestiano di Rimini. Bellissima e densissima di significati teologici è la relazione dialettica fra la
freccia che mira in basso e il caduceo che penetra le nuvole, segno di fecondazione divina ma pure
di innalzamento dell’umanità e di apertura dei cieli 6) l’elmo non è un elmo normale ma appare
fortemente geometrizzato al fine di indicare un triangolo equilatero con un cerchio interno. E’ un
“elmo aureola” . 7) nel fodero della spada ricurva abbiamo la decorazione di un uccello con il
becco lungo e il capo inclinato verso il basso: allusione al pellicano, segno del sacrificio di Cristo. Se
l’uomo e la donna sono Maria e Gesù (e non possono essere Adamo ed Eva perché essi sono
sempre raffigurati in perfetta solitudine) in base a ben sette elementi, e il sette è altro segno
amato in quel periodo culturale (Heptaplus di Pico della Mirandola), allora la “Primavera” si
comprende in tutta la sua profondità e specificità quale Inizio della storia della salvezza, quale
Primavera mistica e cosmica. Non a caso l’anno a Firenze iniziava con la festa dell’Annunciazione,
festa nuziale e gloriosa, e non a caso l’emblema di Firenze è l’iris dell’annunzio portato
dall’arcangelo Gabriele. Chi sono allora gli altri personaggi? E’ facile dirlo. Se il soggetto narrativo è
l’Armonia dell’universo inaugurata dalla fecondazione mistica di Maria che dà inizio ad un
percorso di sviluppo e di maturazione che porta al Gesù guerriero dell’Apocalisse, allora gli altri
personaggi sono tappe di un cammino virtuoso che gravita attorno a Maria incinta, cioè a Maria e
a Gesù. La prima allegoria ci spiega tutto. Quel vento deciso e impetuoso cosa può indicare a livello
di virtù se non la fortezza, prima virtù cardinale? Dalla fortezza segue la successione quaternaria:
la prudenza, nella ninfa accorta e vigilante, che non cede di fronte all’impeto della forza, poi la
temperanza, segno primaverile, foriera di benessere perché l’equilibrio è il coronamento e la
garanzia ogni virtù umana, nella quale spira un vento antinaturale opposto a quello della fortezza,
per cui la temperanza è la risultante di fortezze e di prudenza unite insieme, e infine abbiamo la
giustizia, indicata nella spada di Hermes/Cristo, in quanto secondo la natura umana Gesù è per
antonomasia “il Giusto”. La spada di Hermes non serve certo per difendere il giardino da possibili
invasori, come ingenuamente e buffamente sostiene Barbara Diemling,ma è la chiara allusione
all’unico e precisissimo episodio del mito greco in cui Hermes usa una spada: quando uccide il
mostro Argo, per liberare Io. L’episodio, ricco di spunti ermetici, mostra la ricchezza semantica
della figura: sì Cristo ma un Cristo in veste ermetica, come poteva apprezzarlo l’elites culturale di
Firenze. Oltre a ciò l’episodio può essere anche facilmente ri-cristianizzato: Cristo che sconfigge il
diavolo liberando la Chiesa. Risolto il 3 nel 4, ecco le famose tre “Grazie”. Qui la lettura è ancora
più agevole in quanto le tre danzatrici sono assai simili nel sembiante e nei capelli. Il colore della
chiome assume un tono di intensità crescente in senso antiorario: Fede , Speranza, Carità. L’inizio
e la fine del cerchio guarda a Gesù/Hermes, perché la Fede e la Carità sono da lui direttamente
dipendenti e a Lui volte. La Speranza si rispecchia nella Fede perché, come già insegnava
S.Tommaso d’Aquino, la Speranza è una “fede fortificata”. Lettere di Giacomo e san Paolo: la
speranza è uno sviluppo della Fede. La struttura dei corpi e la postura delle mani disegnano una
figura che, se visualizzata in piano, corrisponde ad una stella di David o sigillo di Salomone, cioè a
due triangoli opposti e incrociati, segno dell’incarnazione quale nozze fra divino e umano, oltre
che probabile allusione ermetica. La stessa struttura a sei angoli la troviamo nel gioiello posto sul
petto dell’allegoria della Fede, mentre il gioiello dell’allegoria della Speranza indica il numero otto.
Le chiome dell’allegoria della Carità appaiono particolarmente fluenti, come ruscelli, rinviando al
Cantico dei cantici. Il 3 e il 4: virtù teologali e virtù cardinali. Il sette amato dalle tradizioni mistiche
e alchemiche. Gli elementi alchemici: la spada di Hermes nell’allusione alla decapitazione di Argo,
il tema della fecondazione, il tema del fisso e del volatile nelle prime due figure e i movimenti dei
venti, la foresta dantesca (e c’era revival dantesco),gli elementi geometrici: cerchio, triangolo e
croce greca.

Giacomo Maria Prati

Tortona 26 febbraio 2013

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