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LA BATTAGLIA DI CAPO SPADA, CRETA – GRECIA

L’incrociatore Sidney, australiano, al comando di una squadriglia di cinque


navi inglesi, affonda l’incrociatore leggero italiano, Bartolomeo Colleoni.

Dopo più di 70 anni il figlio italiano e la figlia australiana di due membri di


equipaggio imbarcati su navi nemiche si incontrano e rievocano, attraverso i
diari dei genitori, le sorti della battaglia navale al largo di Creta il 19 luglio 1940.

LA BATTAGLIA

All’alba del 19 luglio, quattro cacciatorpediniere inglesi, Hyperion, Ilex, Hero e


Hasty, vennero avvistate dagli incrociatori Giovanni delle Bande Nere e
Bartolomeo Colleoni, della Classe Capitani di Ventura del 16 secolo, in
navigazione da Tripoli a Lero. Fu dato l’ordine di attacco. La velocità venne
incrementata e l’ingaggio con il tiro navale iniziò poco dopo.
Le navi inglesi invertirono la rotta seguiti a massima celerità da quelle italiane
finché, sul lato sinistro, apparve improvvisa la sagoma di un incrociatore
nemico, il Sidney, che entrò in azione. Il Colleoni venne colpito nel punto vitale
della nave, la centrale elettrica. Si bloccò. Il Bande Nere emise una cortina
fumogena e circumnavigò la nave immobilizzata in attesa che il danno fosse
riparato. Il Sidney si avvicinava sempre più e il Bande nere fu costretto ad
allontanarsi per non essere colpito a sua volta.

Il capitano Collins comandante dell’incrociatore australiano Sydney

Il Colleoni fu facile preda del nemico sebbene le sue artiglierie continuassero a


sparare asservite manualmente.
Sydney, Hero and Hasty tentarono di raggiungere il Bande Nererimentre
Havock, Ilex and Hyperion lanciarono dei siluri che colpirono la prua della
nave italiana, tagliando di netto una trentina di metri di scafo, e poi la sua
mezzeria aprendo una grossa falla da cui entrò acqua che invase la nave. Il
Colleoni si capovolse e affondò rapidamente sollevando di poco la poppa.
Dalle unità inglesi partirono le scialuppe per il recupero dei naufraghi.
L’operazione durò qualche ora e fu sospesa per l’arrivo di aereo siluranti
italiani da Rodi. Molti naufraghi furono abbandonati in mare e persero la vita.
Quelli che tentarono di raggiungere la costa si trovarono difronte solo roccia
scoscesa priva di appigli. Morirono più di 500 uomini.

RESPONSABILITA’

Le due navi italiane classe Condottieri, veloci e manovrabili, erano vulnerabili


alle granate dei 120 mm per la ridotta corazzatura dello scafo. In aggiunta al
fortunoso colpo che fermò il Colleoni, il risultato della battaglia lo si deve ad
altre ragioni di cui ne consideriamo alcune:
Mancanza della ricognizione aerea. L’arroganza del Governatore del
Dodecaneso, Triumviro De Vecchi, ritardò la partenza dei “suoi” velivoli
militari italiani. Ciò permise ai due incrociatori di cadere in una trappola ma
consentì alle navi inglesi di recuperare un gran numero di naufraghi. L’arrivo
degli aerei siluranti obbligò gli inglesi ad abbandonare l’aerea
dell’affondamento e abbandonare molti naufraghi, circa 500. De Vecchi venne
defenestrato dal suo incarico prestigioso alcuni mesi dopo quell’avvenimento.

Nave Sydney
A sinistra: - Idrovolante sulla catapulta.
A destra: il fumaiolo colpito da un proietto del Bande Nere
Archivio Museo Australian War Memorial

Il mancato raggiungimento del Bande Nere e il pericolo occorso dall’attacco


dei siluranti italiani venne esaminato nel paragrafo 196 del R.A.N. ( Royal
Australian Navy) Ships overseas June-December 1940: in un particolare caso,
l’azione fornisce una lezione ai britannici. Il ritardo imposto all’ Hyperion,
Ilex and Havock per il recupero dei naufraghi del Colleoni ha contribuito
alla fuga del Bande Nere, una esperienza che ha portato a casa uno
sgradevole risultato che i comandanti britannici non possono permettersi:
essi, in futuro, in simili circostanze, dovranno indurire i loro cuori. Un
ordine in tal senso viene emanato.
Piero Baroni, nel libro “Una Patria venduta” scrive: “Ciò che viene definite un
incontro improvviso fu in verità una vera imboscata nemica svolta sulla base di
precise informazioni di una fonte infedele italiana.” Tale dichiarazione è
motivata nel libro ” Gli eroi vinti ”: – perché I due incrociatori furono inviati
privi della necessaria di scorta? – perché non fu catapultato l’aereo disponibile
per la sorveglianza dell’area? Esso rappresentava un pericolo per la nave
considerando che era con il serbatoio pieno di carburante e allocato sulla
torretta da non premetterle il completo brandeggio. Fu detto perché vi era in
quella circostanza mare grosso e sarebbe stato impossibile il suo recupero. Da
parte inglese, invece, si segnalavano condizioni di mare tranquillo. – perché I
due incrociatori non proseguirono la navigazione verso Lero? – Perché
l’ammiraglio Casardi non interruppe il silenzio radio all’inizio del
combattimento ed attese un’ora e mezza prima di chiedere il supporto aereo? –
Perché il Bande Nere, al comando del capitano Maugeri, riuscì a fuggire e
salvarsi? La risposta la si trova nella motivazione della decorazione assegnatagli
dagli americani: Per la meritoria condotta eccezionale nell’esecuzione di
importanti servigi resi al governo degli Stati Uniti quale capo dello spionaggio
navale italiano.
Forse un giorno la Storia chiarirà i dubbi.

Trionfale rientro del Sydney in Australia


Foto dell’Archivio del Museo Australian War Memorial

PUNTO DI VISTA ITALIANO


ORDINE DI OPERAZIONE
«Saranno prossimamente dislocati a Portolago 1, per breve tempo, gli
Incrociatori Bande Nere e Colleoni, al comando dell’Ammiraglio di Divisione
Ferdinando Casardi. Scopo della temporanea dislocazione sarà quello di
eseguire scorrerie nelle acque dell’Egeo per recare il massimo danno al traffico
nemico in quelle acque se risultasse che gli Inglesi stessero concentrando verso
Creta piroscafi provenienti dai porti turchi o greci. […] La Divisione giungerà a
Portolago (Leros) nelle prime ore del pomeriggio di un giorno che potrò
comunicare soltanto con un brevissimo anticipo, provenendo da Sollum, dove
dovrebbe eseguire una improvvisa azione di bombardamento. Seguirà una rotta
passante per il Canale tra Rodi e Scarpanto, oppure tra Candia (Creta) e Cerigo.
Il Capo di Stato Maggiore F.to Cavagnari. »

Il giorno 17 luglio alle ore 09,30, Supermarina 2 ordina alla Seconda Divisione
di predisporsi per la partenza e trasmette all’Ammiraglio Casardi il messaggio:
“SEDICI TRASMISSIONI ERRATE”. Ciò significava che la partenza doveva
intendersi il 17 con destinazione Leros senza eseguire il previsto
bombardamento di Sollum.
Un successivo messaggio ordina:
«Ore 21,00 del 17 luglio partenza da Tripoli. Transito a 30 miglia a nord di
Derna alla velocità di 20 nodi; passaggio tra Cerigotto (Andikithira) e Creta.
Assicurazione ricognizioni aeree garantite da Egeomil 3. »
Arrivo a Portolago (Lakki) 19 luglio alle 14,30.»

Rotte alternative

IN NAVIGAZIONE

Un marinaio racconta:
«18 luglio 1940. La notte scende tranquilla. Davanti a noi la nera sagoma del
“Bande Nere” fende la linea d’orizzonte. Il profondo silenzio è rotto dalle onde

1
Portolago, oggi Lakki, base navale a Leros
2
Supermarina, Comando Supremo Marina. Roma
3
Egeomil, Comando Militare dell’Egeo – Rodi - Dodecaneso
che si infrangono, rompendosi contro la prora, e scivolano poi sui fianchi per
essere inghiottite dal mare.
Le ore suonano lente al cambio delle guardie. Uno scambio d’ordini, un
concitato salutarsi, un accordo per la prossima franchigia a Rodi, un affrettarsi
di passi e poi un vigile silenzio, silenzio di guerra.
E’ l’alba del 19 luglio e la nave si ridesta con i soliti rumori, là in fondo, la
linea di orizzonte è coperta da una densa foschia. Un’altra giornata ci attende
ma, all’improvviso, uno squillo di tromba lacera l’aria, seguito da un secco
comando “Posto di combattimento”. In un attimo siamo ai nostri posti: vigili, tesi,
pronti ai comandi.
Due caccia corrono sul filo d’orizzonte, le nostre batterie aprono il loro
frastuono di morte, la nave corre sicura sull’onda, ma da lontano giunge un
assordante boato, mille treni sferragliano sulle nostre teste, la morte risponde
alla morte, gli ordini sono gli stessi sui due fronti “Fuoco – Fire”. I boati si
susseguono forieri di distruzione ma dalle nostre bocche esce un grido di
rabbia.
La nave si è fermata, il suo cuore dilaniato ha cessato di battere; la morte
inizia a giocare la sua macabra danza nel verde prato delle nostre giovinezze
[…]
Dalla plancia, il comandante Novaro, nonostante sia ferito gravemente, si
prodiga per la salvezza dell’equipaggio e lancia il suo rauco grido di dolore “si
salvi chi può”, mentre la nave si inabissa con la bandiera spiegata. Era deciso a
rimanere al suo posto ma alcuni ufficiali gli infilarono, a forza, un salvagente e
lo spinsero in mare. […] Intanto la nave come creatura viva, si piega su un
fianco e scivola lentamente nell’abisso. »

Il

Colleoni con la prua staccata e mortalmente ferito.


Dal Daily Life of Cairo

ALESSANDRIA D’EGITTO

Nel porto di Alessandria d’Egitto tutte le navi della Mediterranean


Fleet festeggiavano il ritorno vittorioso della squadriglia dopo la
battaglia di Capo Spada. I marinai erano in coperta a sbracciarsi per
salutare i vincitori agitando in alto il berretto stretto nella mano. Era
un tripudio di bandiere e di sirene che davano un caloroso
bentornato ai colleghi marinai.
I prigionieri italiani furono fatti scendere ed accantonati in un
piazzale in attesa di ulteriori ordini.
«Chi lo avrebbe mai pensato di arrivare qui in queste condizioni.
Nudi, sporchi, stanchi.» disse Gastone Tanzi, corrispondente di
guerra a bordo del Colleoni, rivolgendosi ad un giovane sottufficiale
che era al suo fianco. «Forse la metà di quanti eravamo alla partenza
da Tobruk. Purtroppo ci hanno battuti e lo dobbiamo accettare.
Senti come salutano l’arrivo delle navi. Il porto è in festa. Hanno
avuto una bella giornata di caccia. Se l’Ammiraglio Casardi fosse
stato più previdente avrebbe fatto partire l’aereo di ricognizione e
avrebbe visto in che imboscata ci stavamo cacciando. Pare che non
lo abbia utilizzato perché c’era molto vento e sarebbe stato difficile il
suo recupero. Fra l’altro era sicuro dell’intervento dei ricognitori da
Rodi.
Si sentì il sibilo di un fischietto, ripetuto più volte, ed i prigionieri
vennero indirizzati verso l’uscita del porto dove una ventina di
camion erano incolonnati. Si erano formate due grosse file di curiosi
che osservavano il passaggio dei prigionieri; era la prima volta che
accadeva in città. Vedere quegli uomini abbigliati come straccioni
era veramente mortificante. Qualcuno, a bordo, aveva ricevuto degli
indumenti dagli inglesi perché non rimanesse nudo.
«Guarda quelle vecchiacce sdentate!» disse un marinaio. «Si
alzano la gonna per mostrare le loro nudità. Che ribrezzo! »
«E quei pezzenti vedi come ridono. »
«Quei merdosi ci sputano.»
«Lascia andare, fai finta di niente. »
Le ambulanze fecero la spola con l’ospedale militare inglese per il
ricovero dei feriti mentre la colonna di camion trasportava i
prigionieri all’estremità opposta del porto, nel sobborgo Mostafà (el
Nahaas), dove furono fatti entrare in un caseggiato sorvegliato
all’esterno da marinai inglesi armati.
Sopravvissuti sulle reti di salvataggio. Dal Daily Life of Cairo

Sopravvissuti prigionieri su nave inglese

Prigionieri italiani per le strade di Alessandria. Dal Daily Life of Cairo


DALLA PARTE AVVERSARIA
Dal diario del Petty Officer, Hard Hat Charles Nelson
Capo Cannoniere torretta “A” HMAS Incrociatore Sidney

«Il 18 luglio 1940, alle 4 del mattino. Ero a bordo del Sydney al comando del
Capitano J.A. Collins e salpammo insieme al cacciatorpediniere Havock da
Alessandria d’Egitto. Avevamo l’ordine di dare supporto alla flottiglia di
cacciatorpediniere Hyperion, Ilex, Hero ed Hasty impegnati nella caccia di
sottomarini nemici nelle acque di Creta e distruggere il naviglio nemico diretto
o proveniente dal Dodecaneso. Si sapeva che una nave avversaria era in
navigazione in quell’area. La flottiglia prese il mare poco prima di noi.
Avevamo trascorso un giornata priva di preoccupazioni. Sembrava che
stessimo in crociera nel Mediterraneo con i nostri cannoni. Alle 21,30
costeggiavamo il Dodecaneso. Era il punto più pericoloso per gli attacchi degli
aerei presenti negli aeroporti di quelle isole. Non accadde nulla. Le navi
procedevano zig-zagando per proteggersi dagli attacchi dei sottomarini. La
notte trascorse tranquilla.
Al mattino, ero appena andato a far colazione, giunse dall’Hiperion il
messaggio che annunciava l’avvistamento di due navi nemiche. Erano le 08,00
del 19 luglio. La scoperta reciproca delle navi sarebbe potuta avvenire ancor
prima se gli incrociatori si fossero serviti degli idrovolanti in dotazione per la
ricognizione. Il Sydney si trovò nell’impossibilità di farlo perché il suo aereo,
colpito nell’azione a Bardia, non era stato sostituito; da parte italiana un
prigioniero riferì che verso le 6 di quel mattino ci fu un tentativo di catapultare
un idrovolante ma l’operazione non riuscì a causa del suo malfunzionamento.
Alle 08,27 i due incrociatori nemici passarono dalla formazione in linea a
quella affiancata per poter utilizzare tutte le armi di bordo; aprirono il fuoco con
i cannoni da 6“alla distanza di 17.400 metri su due dei nostri cacciatorpediniere
più vicini a loro. Le nostre navi, anziché accettare il duello, invertirono la rotta
dirigendosi nel golfo di Atene per avvicinarsi a noi.
In questa prima fase del combattimento gli incrociatori italiani ebbero la
possibilità di sparare mantenendosi fuori portata dei cannoni delle nostre navi.
Queste, infatti, risposero al fuoco ma il tiro era corto; lanciarono anche dei siluri
che non raggiunsero l’obiettivo perché erano a distanza superiore della loro
gittata, intorno a 18.000 metri. Anche da parte italiana il tiro aveva scarsa
efficacia; con il sole abbagliante di fronte, le operazioni di punteria risultavano
difficoltose. Intanto le distanze si accorciavano perché i nostri
cacciatorpediniere erano più veloci, 35 nodi circa; le navi italiane navigavano a
32 nodi, quasi al massimo delle loro possibilità.

Tracce delle rotte delle navi impegnate nella battaglia di Capo Spada.
Archivio del Museum of the Australian War Memorial

Le navi italiane cessarono il tiro, poi modificarono la rotta mentre i nostri


caccia emettevano una cortina di nebbia artificiale che, sommata alla foschia del
mattino, li rese totalmente invisibili. La fuga delle nostre navi avrebbe dovuto
generare qualche sospetto; il loro rapido allontanamento doveva far capire che
cercavano di condurre l’avversario sotto il tiro di altre unità non in vista al
momento.
Il comandante Nicholson dell’Hyperion continuava a trasmettere messaggi
sulla presenza delle due navi italiane segnalandone posizione, rotta e velocità
per cui Collins sapeva dove dirigersi. Manteneva il silenzio radio assoluto per
garantirsi la sorpresa con il suo intervento anche se, così facendo, non
tranquillizzava Nicholson, né l’ammiraglio Cunningham in Alessandria il quale
sollecitava Collins ad intervenire. Il nostro comandante non volle dare notizia
di sé. Tra l’altro, contravvenendo agli ordini ricevuti alla partenza, pensò di non
addentrarsi nel golfo di Atene perché temeva che in caso di attacco gli sarebbe
stato difficile manovrare. Fu un scelta oculata perché raggiunse rapidamente la
flottiglia. L’ordine: Posto di Combattimento - Action Station fu diramato quando la
prora venne diretta per intercettare gli incrociatori italiani.
Alle 08,20 avvistammo a dritta i due incrociatori ad una distanza di circa
23.000 yard con rotta Est Nord Est. Procedevano ignari verso di noi. Erano
armati con cannoni da 6 pollici e non da 8 come supponevamo. Noi aprimmo il
fuoco con i cannoni sul Giovanni delle Bande Nere che precedeva il Colleoni.
Poco dopo, superata la sorpresa, gli italiani risposero al fuoco. L’improvvisa
apparizione del Sydney e dell’Havock fu una sorpresa anche per gli amici e da
quel momento si mantennero in contatto radio. I due gruppi si congiunsero a
nord di Capo Spada. Il tiro diretto sul Bande Nere fu subito ben centrato ed
immediatamente un proietto lo colpì. Il Bande Nere ed il Colleoni erano in
difficoltà per la scarsa precisione del tiro dovuta a inefficace sistema di
telemetria; il tiro sembrava essere regolato sulle vampe che apparivano nella
foschia. Accostarono per 90° sulla dritta, continuando il tiro con le torri di
poppa. Un colpo cadde sul nostro fumaiolo di prora; i danni non furono seri e
solo un marinaio fu ferito leggermente. Anche il nostro tiro divenne impreciso
perché gli avversari si occultarono con una cortina nebbiogena ma, dopo pochi
minuti le unità, cessarono di far nebbia ed accostarono ancora a dritta
dirigendosi a sud.
Il Sidney, l’Havock e i quattro Cacciatorpediniere della Flottiglia erano tutti
all’inseguimento delle navi italiane. Gli incrociatori italiani erano più veloci del
Sydney e si stavano gradatamente allontanando alla velocità di 30 nodi.
Alle 09,02 il Sydney aprì il fuoco nuovamente contro il Bande Nere alla
distanza di 21.000 yard e continuò a sparare fino alle 09,08. La situazione
sembrava favorevole agli avversari perché potevano contare su 16 pezzi da 152
contro gli 8 del Sidney ed i 20 pezzi da 120 dei cinque caccia che non avevano
rappresentato un serio pericolo fino ad allora per la loro limitata gittata. Gli
italiani cercavano di portarsi in acque libere e di mantenersi in posizione da
poter lanciare più convenientemente i siluri, ma non lo fecero.
Alle ore 09,24 continuando a sparare con tutte le torri ed eseguendo
frequenti accostate per disorientarci, gli avversari si trovavano quasi al traverso
di Capo Kimaros, 5 miglia oltre Capo Spada. Il Colleoni, inquadrato dal nostro
tiro preciso, fu investito dai primi colpi. La nave andò in avaria, non era più
governabile tuttavia continuò a procedere fino a fermarsi del tutto. Nei minuti
successivi il Colleoni fu colpito in tutte le altre zone dello scafo, particolarmente
al centro e sul torrione, con gravi perdite tra il personale, danni alle strutture e
accensione di focolai di incendio. Il Bande Nere emise del fumo per rendere
meno visibile il Colleoni mentre gli girava intorno. Non fu sufficiente. Ai colpi
del Sidney si erano aggiunti quelli dei caccia nel frattempo avvicinatisi. I
proietti, forse, colpirono il locale caldaie perché si vide una densa nuvola di
vapore. Poco dopo su quella nave venne a mancare anche l’energia elettrica
perché tutto si immobilizzò. Dal Colleoni si continuò a sparare manualmente
con i pezzi da 100 contro i nostri caccia giunti a distanza utile. I nostri caccia
sparavano sul facile bersaglio e sotto la grandine di colpi il torrione e la plancia
furono distrutti e incendiati. Il Colleoni era ormai un relitto fumante. In quel
momento, da breve distanza, l’Ilex e l’Havock lanciarono dei siluri che lo
colpirono prima a prora, causando il distacco e l’affondamento immediato di
una trentina di metri di scafo e poi al centro aprendo una grossa via d’acqua che
invase la nave: si capovolse e affondò rapidamente sollevando di poco la
poppa. Le dozzine di buchi di proietti sullo scafo, nella sovrastruttura e nel
fumaiolo indicavano grande devastazione nell’interno della nave. Dalla cavità
ove era il fumaiolo fuoriuscivano nuvole di vapore e di fumo nero a causa
dell’incendio divampato nel reparto motori e nelle caldaie. La parte metallica
sopra il ponte era tutta accartocciata, pezzi di legname dappertutto.
Mentre noi, con il Sidney, l’Hero e l’Hasty, inseguivamo il Bande Nere in
allontanamento, gli altri tre caccia, l’Havock, l’Ilex e l’Hyperion, calarono le
scialuppe e le reti a larghe maglie fuori bordo per il recupero dei naufraghi. Ne
salvammo 525; 12 dovettero essere trasportati in barella, 4 non sopravvissero e
furono sepolti in mare al largo di Alessandria e con gli onori militari, 4
morirono appena giunti a terra. Non tutti i naufraghi cercarono la salvezza a
bordo delle nostre navi alcuni, una cinquantina, vollero raggiungere a nuoto la
costa non lontana; non so se ci riuscirono. Mentre era in corso il recupero dei
naufraghi, dopo alcune ore, giunsero dei bombardieri italiani provenienti dal
Dodecaneso, forse da Rodi, che lanciarono bombe senza colpire gli obiettivi.
Alcune caddero nelle vicinanze della Havock causando solo trascurabili danni
alle fiancate e ad una caldaia. Sono convinto che si sarebbero potuti salvare altri
naufraghi.
Il Sidney, l’Hero e l’Hasty continuarono il loro duello a cannonate con il
Bande Nere. Alle 10,37, con sole 10 granate da 150 mm. disponibili nella torretta
di prua, il Sydney fu costretto ad abbandonare l’inseguimento e rientrare ad
Alessandria per rifornirsi di carburante e munizioni. Durante il combattimento i
cannoni del Sydney avevano sparato 956 proietti da 152 mm., con una media di
120 proietti per pezzo. Le bocche da fuoco erano tanto roventi che gli artiglieri
furono costretti a raffreddarle con acqua. So che il mattino del 20 luglio gli
inglesi bombardarono Tobruk utilizzando gli Swordfish imbarcati sulla Eagle
con la speranza di trovarvi il Bande Nere danneggiato. La loro incursione,
comunque, causò l’affondamento dei cacciatorpedinieri Nembo e Ostro che
erano alla fonda in rada e quella del piroscafo Sereno.
Durante la notte la navigazione fu tranquilla.
Alle 09,00 ci venne incontro la nave Liverpool con le insegne
dell’Ammiraglio. Si era messo in mare proprio per scortarci in porto come
segno di stima per il nostro lavoro. Entrammo in porto alle 11,30. Gli equipaggi
delle unità che tornavano dalla missione erano in coperta per ricevere il
“welcome”. Le navi in porto, comprese quelle francesi e un cargo giapponese,
suonarono le loro sirene. Anche gli egiziani con le loro piccole barche ci erano
venuti incontro. Il Comandante in Capo attese nel suo motoscafo circa 30 minuti
prima che potesse salire a bordo. Volle essere il primo a congratularsi con noi.
Non era un bello spettacolo vedere il grosso buco sul fumaiolo e i fori delle
schegge su tutto il ponte. La torretta del cannone da 100 mm. aveva un foro
sulla pedana d’acciaio; il sistema di sicurezza di uno dei nostri cannoni era fuori
uso; un marinaio era stato leggermente ferito alla spalla da una scheggia ma si
riprese dopo una settimana di ricovero in infermeria. Ci giunsero messaggi di
congratulazioni da tutte le navi per la vittoria riportata. E poi, quando
scendemmo a terra, dovunque eravamo festeggiati.
Il tutto durò due ore e mezza; il Colleoni affondò in un’ora e mezza.
Il nostro comandante, è stato insignito con l’onorificenza “Compagno del
Bagno”. Il comandante del Colleoni è morto il 25 luglio su una nave ospedale.
Ai suoi funerali, secondo la volontà dell’ammiraglio Cunningham, presero
parte, con il lutto al braccio, ufficiali e marinai inglesi delle navi che avevano
partecipato al combattimento; i comandanti delle sei navi reggevano i cordoni
del feretro, posto su un affusto di cannone. Fu poi sepolto nel Sacrario Militare
Italiano di El Alamain.»
I miei sinceri ringraziamenti a Mary Bell Benson che ha concesso parte
del diario di guerra di suo padre perché lo inserissi nel mio libro “Granita al
Gran Caffè”
Con orgoglio ho trovato nel diario di Pietro Turi questa nota: “Il capo
carpentiere di 2^ classe Michele Liuzzi di Taranto, ferito in più parti del
corpo, dopo essere stato salvato dalla nave nemica, pretese che fossero
curati prima i suoi compagni”
Più tardi trovai la motivazione della sua Medaglia di Bronzo al Valor
Militare. Recitava:”… Ferito in più parti del corpop rimaneva al suo posto
di combattimento e disponeva che l’ufficiale dal quale dipendeva venisse
trasportato perché mortalmente ferito. Salvato da unità avversaria in
seguito all’affondamento della navew si preoccupava che gli altri feriti
fossero curati prima di lui e sopportava stoicamente le sofferenze. Esempio
di elevata virtù militare…..”

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