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Come schedarla, la piccola rosa. Rosso viva improvvisa e giovane e vicina? Non eravamo venuti a cercarla. la rosa ’ Siamo venuti e c’era. ‘Nessuno laspettava prima che fosse qui. necessaria Quando ci fu la credettero appena. Viene alla meta chi non é partito... | Quasi sempre é cosi. n18 Bertout BrecHT Sa 2 997 SoMMARIO| 1 @ editoriale 2 © cronache Unannodi rosa necessaria 3 @ Iinedito Un frutto in fiore di Plinio Perilli 4 @ Uintervista «Misurare V'azzurro» intervista a Plinio Perilli di Raffaele Piazza 7 @ il saggio Unpianeta di ramee d'argento (seconda parte) di Ettore Castagna 12 Dandysmo e differenza di Marco Amendolara 17 © poeti del Novecento La poesia di Jorge Luis Borges: ilcoltelloe Voblio (terza parte) di Brunella Bruschi 19. © invito alla lettura Appunti per Primo Levi: Ad ora incerta (poesie 1943-1987) di Gianluca Paciucci 22 © intersezioni Artaud 3 (Van Gogh. Ilsuicidato della societa) diLuca Rando 25 _ Figurazioni poetiche e pittoriche in Alfonso Gatto di Adriano Napoli 28 @ versi per versi Magnani, Whitworth, Bruno, Di Maria 30 © recensioni Giuliano Minichiello, La fenditura nel cristallo Voci di scrittori italiani. Lettere, letture, conversazioni dalla rivista Lengua Raffaele Mango, G. B. Vico Bo Fiorire dal nulla di Nicota Scurra Questo mi ha scrito il nostro amico poeta Ciro Vitiello, esponente di spicco dell/avan- guarda poetica ben radicata a Napoli, promotore di svatiate iniziative poetiche e artistiche, mente della rivista «Oltranza». E io sono stato felice di questo rilievo critico perché permette di chiarire (a me stesso prima di tutto) il senso di cid che andiamo facendo da alcuni anni. 1) Alla prima questione sollevata non posso rispondere io, ma mi piacerebbe che coloro che ci seguono esprimessero un loro parere sulla qualita degli interventi criti, i quali pero, rnon hanno mai preteso di essere contributiscientifici, quanto considerazioni scaturite da una passione reale per la poesia 0 la filosofia oil cinema o la musica, nostro pane quotidiano. 2) Il progetto, la griglia preordinata da una sola mente in cui far interagite i testi (come «Oleransa») molto fontana dalla nostra sensbilta. sla rosa necesariar €nata come luogod incontro di culture diverse in una piccola provineia. In essa convivono posizioni politic ‘mente impegnate, tradizionalismo, ermeneutica. Non @ un luogo in cui fortfichiamo posizio- ni (non siamo un dipartimento di italianistica!) ma un “posto di frontiers”, dove Guienon si incontra con Fortini, Di Francesco con Marco Gui. 3) ultima questione é la pid importante. Molti degli a «rosa» appartengono alla stessa generazione dei giovani serttorsalitiallaribalta delle crona- che. bene, noo Bur voce non aapiallo" scandal" sittin ¢ medial I vero scandalo oggi nel rigore di una posizione etica intransigente (che poi pud torcersi in ditezio- ne politica o religiosa o rimanere puramente tale), e questo al di fa delle differenti culeure @ il comune denominatore di coloro che scrivono su questa rvista. In ognuno di not, credo, la election, come scriveva Erasmo da Rotterdam, «transit in mores», la cultura si trasforma in ‘modo di essere ¢ di agire. Non & provocando che la verita si rendera manifesta (e questa illusione rend obsoleta quasi ogni forma di avanguardia oggi). Noi rivendichiamo - poetica- ‘mente il rigore della «parola guadagnata al silenzio» contro le parole «sedotte e violentate da orecchie prostituite» (Celan). Siamo inattuali, ce lo dicono in molti. Lo consideriamo un grande riconoscimento. Vogliamo ogni giorno ~ questa & V'interiore necessita della 1054 ~ rinascere. che gravitano intorno alla -, ho scritto. Finché esi- ‘Steranno dei libri-gabbiani, daremo ali ai nostri pensieri e bianchi sogni ai nostri Sguardi.. E pazienza se poi Ia vita, come in un dramma di Cechov, I! gabbiano, magari, ci risveglierd con una sua ennesima, cruda ¢ impertinente battuta: «lo sono tun gabbiano, Ma no, questo non c’entra...» Plinio Perilli (Roma, 1955) ha esordito come poeta nel 1982, pubbli- cando un poemetto sulla rivista «Alfabeta». La sua prima raccolta é del 1989 (L’ Amore visto dall’alto, finalista quell’ anno al Premio Viareggio), ristampata nel 1996. Seguono i “rac- contt in versi” di Ragazze italiane (1990, due edizioni, Premio B. Joppolo). Chiude una sorta di trilogia della Giovinezza con il volume Preghie- re d’un laico (1994), che vince vari premi: il Montale, il Gozzano, il Gatto B anche critico e saggista, curatore di ‘molti classici, antichi e moderni, nonché autore d'una apprezzata anto- logia interdisciplinare, Storia dell’arte in poesia (1990). [a rosa necessaria_ 1291 Un pianeta di rame e d’argento iter "ves ai Antonino Maz sono tutti proiettati in questa di- mensione. Non & una caso che Mazza non sia solo un poeta, un colto “calabrese di lingua inglese” ma un ricercatore storico sulla realta italiana oltreoceano, Assolutamente emblematico & il suo lavoro di recupero eriedizione di The City Without Women di Mario Duliani. Que- sto libro racconta una storia scomoda. Durante la seconda guerra mondiale tuti li italiani naturalizzati canadesi o nati in Canada € dunue cittadini del Paese furono vittima di una gigantesca opera- zione di polizia. Ritenuti in blocco “fa- scisti” e comunque “enemies and alien: trovarono una sorta di ingiustificata per- secuzione. Un numero considerevole do- vette subire anche l'intemamento a Pe- tawawa, un campo di concentramento nel nord dell’Ontario. Era appunto la “citta senza donne”. Un grande campo di con- centramento dove dei cittadini canadesi rei di essere in qualche modo “italiani” dovettero trascorrere gli anni della guer- ra, Praticamente in tutti i casi si trattava di persone rigorosamente innocenti che non avevano nessun rapporto col fasci- smo e tantomeno potevano ritenersi “fif- th columnists” delle potenze dell’ Asse. Illibro, purtroppo non disponibile in It lia, raéconta episodi emblematici di pri- gionieri che chiedono con chi combatta (seconda parte) di Errore Castacna, italia se con 0 contro la Francia e che comungue ignorano tutto della guerra e di un’Europa che nel 1940 doveva sem- brare lontana e comunque poco interes- sante a degli americani “comuni”. Il ri- sultato sociale di questi internamenti fu la vergogna. Molti reduci dal campo ‘modificarono il proprio cognome in for- ma anglosassone. Molti per decenni non fecero pid parola di questa incredibile esperienza. Una gran massa di persone metabolizzd la “colpa” di essere italiano ¢ la conseguente vergogna, Era inevita- bile che le nuove ondate migratorie del dopoguerra si trovassero ad ereditare, fra le altre “vergogne” pitt o meno imposte, anche questa. La Storia si confermava beffarda nei oro confronti. Sembrava im- pensabile che un paese democratico, vin- citore sul nazi-fascismo avesse applicato questi metodi contro i suoi stessi cittadi- ni. Certo non ci troviamo sicuramente di fronte ad una strategia di sterminio e di internamento su scala di massa come quella nazista. Ma questo attacco ai di- ritticivili dei canadesi di origine italiana dovette apparire pid che ingiustificato alla vittime. La superficialita dell’equazione italiano = fascista = nemico apparve poco comprensibile a chi dovette pagame le spese. E questo un caso emblematico drammatico, pid che altro, di assoluta incapacita di comunicazione interetnica | rosa mecessria_ityt ree Certo, gli italiani che arrivavano in Ca~ nada fra le due guerre dovevano sembra~ re un po” dei marziani alla componente “preesistente” franco-inglese. Gi anglo- foni poi non sapevano nemmeno come si scrivesse “italiano”, Tutto questo pro- prio nel senso letterale. A leggerlo oggi fa sorridere ma all’epoca molti scriveva- ‘no “eyetalian” in luogo di “italian”. B un piccolo segno di una grande incapaciti di contatto e comunicazione con una re- alta culturalmente “altra”. Il Tinguaggio re 2, non casialmente, uno specchio. Ho lavorato alcuni anni a Bergamo, una cit- 12 senz’altro civilissima ma affetta da certe intolleranze classiche dei mondi “produttivi”. A Bergamo non sono riu- scito a non notare alcune piccole cose apparentemente poco significative. Ad cesempio che il caffe macchiato al bar si cchiama “un marocchino”, ‘Oppure che “calabrese” si pronuncia sempre abbassando un po’ la voce. Evidentemente @ un aggettivo evoca- tivo di troppe risonanze in qualche modo preoccupanti, —___— Forse sbaglierd ma nessuno si sogne- rebbe da quelle parti di chiamare il latte bianco “un norvegese”. Questi sono sicuramente piccoli fatti ‘ma forse potremmo utilizzarli per capire come possono essere complesse ed a vol- te sgradevoli quelle dinamiche interetni- che che I'Italia sta sperimentando solo recentemente ¢ che invece sono state alla base dell’economia e della societa nor- damericana praticamente da sempre. ‘Comunque, ritomando alla Citta sen- za Donne, il libro che raccontava ta vita ‘a rosa necessaria _ie9t 6 isageio a Petawawa fu editato in francese da Duliani a Montreal poco dopo la guerra on il titolo La ville sans femmes. Ma ;passd quasi inosservato. Antonino Maz- za ha recuperato il testo a quasi mezzo secolo di distanza, ne ha effettuato la tra- duzione in inglese, ne ha promosso in- stancabilmente la diffusione in un Cana- da sopratutto anglofono. E cosi che in ‘questi ultimi anni il caso @ riesploso. In qualche modo si é riproposto, attraverso ‘quest’esperienza tutta italiana, il proble- ma del rapporto e della convivenza fra le i saggio ee etnie in Canada, Ma The City Without Women & sola un aspetto del lavoro di traduttore di Antonino Mazza. Notevoli sono le sue versioni in inglese di Ossi di seppia di Mortale (The Bones of Cuttle- fish, 1983), delle poesie di Pierpaolo Pa- solini (Poetry. 1991). C’e un filo rosso, in parte consapevo- le e dichiarato dallo stesso autore, che caratterizza questo accurato lavoro di ti- proposta della cultura italiana. E quello della difesa orgogliosa di un'identita per- sonale ¢ nazionale. Non dico “etnica” solo per la spontanea diffidenza con la quale certi fatti storici mi impongono di trattare un'espressione che si potrebbe sare, tutto sommato, tranguillamente, Ed infatti la poesia di Antonino Maz- za, per lo meno in The Way | Remember 1, ® tutta un percorso sull’identit le ra- dici etniche e la loro sublimazione co- smica, il senso ed il valore della memo- ria storica. Ogni testo sembra voler riaf- fermare ¢ consolidare le radici di un di- ritto naturale alla dignita. Una dignita negata in varie forme ed a vari live. Prima, storicamente, dalla componente whasp che guardava con diffidenza alla presenza italiana. Oggi che l’integrazio- ne degli italiani & sostanzialmente avve- ruta la negazione avviene, paradossal- mente, da parte italiana d’ America. L'in- digestione di beni materiali («Ditra a *Merica c’t lu bene di Diu!»), la meta- morfosi sociale da non integrati ad inte _grati, la conseguente assunzione di valo- Ti politici spesso razzisti (Vitaliano ora- mai “‘integrato” guarda preoccupato gli indiani, i portoricani, i cinesi, gli afto- american, exc.) ha portato gli italiani in Nord America in una condizione di cata- lessi opulenta dalla quale non sembrano scuotersi. Le mia impressione & che nel- la poetica di Antonino Mazza ci sia una ricerca di semplicita. Meglio ancora di tun legame cosmico con la semplicita. La a rose me 10 Calabria della memoria, ta Calabria in idea @ un mondo opposto a quello del quotidiano in Nord America. E un luogo di sandali bucati, di pipe argilla e di boschetti d’aranci ma senza vagheggii menti retorici o nostalgici di alcun gene- re. Eun vero pianeta, con un proprio eco- sistema dei valor e dei sentiment Si trat- tai un pianeta di metalli puri (il rame e argento) o trasparente di luce (il vetro). E il luogo materno dove la madre. la ter- rae T'origine coincidono. Si tratta, per eccellenza, del Luogo rassicurante della Memoria. La Calabria per Antonino Maz- za appare certe volte come la Sicilia di Salvatore Quasimodo. Sono entrambe “scritture” d’emigrazione. Riflessioni sul senso di una identita vissuta in luoghi altri mma altrettanto domestic. Toronto, Mila- no sono la nuova confortevole casa. Per essa non traspare disprezzo o rifiuto. In tun certo qual senso la nuova casa é una nova stanza (0 una serie di nuove stan- 22) della vecchia, La nostra casa @ una Calabria co- smica Our house in a cosmic ear ® forse il testo “manifesto” di tutta la raccolta omo- nima, La dimora cosmica & al centro di uno dei cinque sensi. Non & solo quello che ci permette di udire ma & anche il simbolo dell’ascoltare per eccellenza. E ddunque una casa in una terra dove si sta sopratutto ad ascoltare. Dove prevalgo- noiilsilenzio eMattesa. Dove gli altri sen- si e tutte le azioni che ne conseguono sono subordinat alla centralita dell orec- chio. Ascoltare per fare esperienza della vita. E uno dei veri pilastri di una societ& contadina fatta di apprendimento orale La pedagogia popolare della societa tra- dizionale & fatta di ascoltare e ripetere, ‘guardare e ripetere in un cosmo dove tutto § conosciuto/eonoscibile ma non attraver- 0 la fissith della serittura. Ascoltare si: ‘mnifica dunque saper maturare le proprie consapevolezze e, nel frattempo, saper attendere. La Calabria cosmica di Antonino & un Iuogo dove si attende. Non sono solo i bambini ad attendere una maturita lonta- ra giocandoe mimetizzandosi nell’ incan- tato sogno naturale di un Aspromonte fuori dal tempo, ma sono anche le don- ne, le madri. Non si tratta di Penelopi sta- tiche che attendiono custodendo ta dome- stieita. Sono donne che hanno sperimen- tato la durezza dell’emigrazione e sono disposte a farlo ancora («Quando piove- va correvamo dentro casa al focolare / dalle donne che avevano seguito i nostri uuomini ovunque nel mondo»). Ma sono anche donne capaci di perpetuare una cultura dell’ identita nei figli. Sono loro stesse l'orecchio dell’orecchio cosmico. ‘Tornare a loro & un simbolico ritorno al centro assoluto del mondo dove ci sono {tutti i suoni e dungue quello supremo, il silenzio («Prima della fine della pioggia mi sarei ritirato / nel’orecchio di mia madre, in silenzio»). In questo Aspromonte degli anni Cin- ‘quanta, gli uomini, nei paesi non ci sono gitipid. L’emigrazione fi svuotera impla- cabilmente: Ma il dato economico, 1a morsa del bisogno sembrano considerati un sotto- fondo scontato ma incapace di infrange- re il sogno infantile («avevamo i sandali bucati / ma un pianeta di vetro sotto la nostra came acerba, bruciava»). Questa Calabria cosmica & un fanta- stico paradiso naturale. I versi spesso sono destinati a descrizioni magnetiche di luoghi dalla bellezza incancellabile perché oramai fisicamente intangibile Inghiottita e tutelata dal tempo. E stata. Nessuno potra negarlo. Ma ora non @. 1 Iuoghi hanno subito un processo di mi- itsaggio zzazione che li ha resi simboli di una primitiva flagranza mediterranea, li ha trasferiti su un terreno metastorico, un Iuogo cosmico che & tutti i luoghi perch appartiene alla dolcezza dell infanzia di tutti. Eppure é la Calabria. Un luogo in- dimenticato della memoria dove Ta vita ha conosciuto, al momento della sua fon- dazione, prima di essere inghiottita dai ‘modi diversi dei mondi metropolitani, un fluire lento, graduale. Dolce e bradicar- dico come la terra addormentata d’inver- no. L’idea & quella della momentanea sospensione del tempo del lavoro e dun- «que del ritmo stringente del bisogno. In questa Calabria cosmica & sempre «domenica mattina, senza lunedi», Tutto cid anche se il bisogno era forte. Era per Te necessita concrete che gli uomini par- tivano, Ma & la storia guardata con gli occhi di un bambino. Le pretese sono quelle del sogno non dell’ oggettivita, Ed @un sogno che si mantiene. Tentando una lettura psicoanalitica, tutto The Way I Remember It appare un lungo sogno“co- sciente”, una forma di sogno lucido nel quale I'avventura della memoria si orga- nizza su una tessitura onirica. Il poeta racconta ad occhi chiusi, “vede” e conti- nua a raccontare in una Sequenza di im- ‘magini evocate lucidamente. Come in un desiderio onirico si mantiene intatta I'uto- pia di una patria, di una casa e di un vi laggio che non si smarriscono in alcun modo, Anzi, il sogno li rafforza, prevale la certezza di provenire da un pianeta pre- cciso che consolida essere ed il sentirsi nel mondo, che sedimenta la certezza di provenire da un orecchio cosmico dove si sa ascoltare la diversit’ dell" altro po ché si mantiene la forza della propria identita, (2, Fine) u — itsaggio Dandysmo e differenza Fuori della comuniti umana proprio mentre ne segue ironicamente i riti pitt esteriori, il dandy nella «sua posizione di retroguardia nel flusso della moderna societ’>» (Giuseppe Scaraffia, Dizionario del dandy, Laterza, 1981) & vicino «pro- feticamente si residui degli antichi vrani animali,effigiat da Delacroix» (ibi- dem). Tl dandy @, giusto a ripetere una nota di Stendhal, chi si mostra indifferente a tutto; & «l’opera d’arte di se stesso» (Sea- raffia) , «resistenza assoluta alla massi- ficazione dell'individuo [...] ambasciato- re segreto dell’ utopia» (ibidem) In quanto fuori della societa, egli un animale raffinato (opposto, evidentemen- te, al solito animale razionale che & Pwo mo fout court). Scrive ancora Scaraffia: «L’eleganza perfetta del dandy mira a ri- costituire la perfetta presenza all’essere dell’animale, la distinzione suprema della sua figura aspira alla naturalezza. Tutta- via il dandy sa che ’'uomo & un animale particolare, la cui essenza & proprio l'ar~ tificio, autocostruzione». Questa realta animale del dandysmo 2 un segno ulteriore della. sua differen- za. L'animalita @ segno di arbitrio come artificio; entrambi combattono un ordi- ne generale, sovrappostosi da tempi or- b Feros eran di Marco AMENDOLARA mai non rintracciabili alla scintilla ini- ziale delle origini, Animalita, differenza, ‘connubio poetico di vita e morte, in cut non 2 possibile distinguere lo slancio vi- tale dal cupio dissolvi, dallo spleen, dal nulla che irrompe d’improvviso nella mente. L’animalita del dandy non é pura na~ turalezza, ma riproduce semmat il grido salvifico di chi ha compreso la falsita dei convenevoli della societa civile se non siano accompagnati da segni individua- Ii, La domanda di Rimbaud: «conosco la natura’? Mi conosco?» (Poesie, tr. Newton Compton, 1972) che egli formula nella Stagione all’inferno sembra, in proposi- to, quanto mai vicina, E la risposta non pud venire che dal- risolamento, l'unica dimensione che per ‘metta un autentico percorso di differen za. «Un dandy @ pid insulare di un ingle- se» nota Barbey d’' Aurevilly nel suo st dio su Brummele il dandysmo (t. it. Sel- lerio, 1981), Ma nel dandy noné propriamente sno- bismo, o non semplicemente: la sua idea di utopia, i suoi sogni, la sua diversita, Pelegante ritrarsi dalla vita proprio mes tre sembra apprezzamme la festa (viene in mente l'atmosfera narrativa di Francis Scott Fitzgerald) non sono segni sicuri d’alterigia: meglio di alterita, di incon- fondibilita, 2. Linguaggio come differenza Per il dandysmo sembra giusto parla- re di linguaggio come tensione all’uto- piae come differenza; intendiamo qui in- guaggio non come semplice struttura di parola, ma in accezione pid lata, e cio’ come tutto quel sistema di segni ¢ di espressivita che ogni persona porta in sé, vuoi nella vita privata, vuoi in quella so- ciale. Si pud dire che il linguaggio dan- dystico sia espressione di sfumature (come osserva Barbey d’ Aurevilly) ¢ in- sieme di rigidi ritual, di “leggi”. Scrive Baudelaire: «il dandysmo, che & una isti- tuzione al di fuori delle leggi, ha leggi rigorose alle quali sono strettamente sog- getti tutti i suoi membri, quale che sia, comungue, la passione, Pindipendenza del loro carattere» (II pittore della vita moderna, tr it. Einaudi, 1981), Lordine, si direbbe, sta proprio nel- Vopporsi all’ ordine. Nel principio del caos, giacché la stessa vita & caos, Si pud avvicinare agevolmente, in un percorso di ricerca sul linguaggio del dandy, cid che Alex R. Falzon, nello scri vere sul teatro e sul romanzo di Wild ha messo in evidenza a proposito del “wit” (cio® spirito). Libero nel linguaggio e nell’animo, i wit si contrappone al filisteismo borghe- se, alla pochezza di idee rivestita di di- nite di falsi pudori. Procedendo per paradossi e per luoghi non battuti, il lin- ‘guaggio del wit testimonia una diversit sociale e esistenziale incolmabile, anti- tetica alla societa che lo ha visto nascere © che in qualche modo lo circonda. Da una parte, quindi, il linguaggio del wit- dandy (piacere, frivolezza, imutilita) in cui la profondita & sempre nascosta, ma spesso il pensiero s’intravede sotto i veli della battuta di spirito, Dall’altra parte il linguaggio “vittoriano” 0 della societa conformista in genere (utilitarismo, af- itsaggio farismo, impersonalita...). Insomma, peril wit «il pensiero deve ‘essere sovversivo e condurre al caos piut- tosto che ana falsa armonia» (A. R. Fal- zon, intr. aO,Wilde, Aforismi, tr. it. Mon- dadori, 1990). Il dandy «sa o intuisce che nella so- cieta di massa la naturalezza non esiste in quanto l'immediatezza della natura ‘umana é stata sostituita da una naturalita posticcia [..]. Liartificiosita della toe- lotta e dell’atteggiamento del dandy te- stimonia quindi della difficolta della sua ricerca ¢ della tensione alla liberazione che lo anima. [...] Solo l'artificio permet- tera, in una societa artificiosa, di essere naturali» (Scaraffia, op. cit.) In tal senso I'attificio dandy @ prote- staall'ipocrisia dei costumi borghesi, alla loro ricerca del!’identificazione, del prin- cipio di non contraddizione. Il dandy vede anche nelle maniere sociali (com- preso il linguaggio) un percorso d’arte: ¢ sa essere superficiale proprio mentre, in realta, & profondo: «ogni arte éa un tem- po epidermide ¢ simbolo», scrive Oscar Wilde nella premessa al Dorian Gray. E Nietzsche ha sottolineato che «tutto cid che & profondo ama la maschera» (Al di Ia del bene e del male, tr. it. Newton Compton, 1988). Cosi, «chi ha guardato profondamente nel mondo indovina bene quale saggezza vi sia, nella superficiali- degli uomini> (ibidem) TI Tinguaggio dandy & unito, insom- ma, alla superficialita, al pensiero irra- Zionalistico, vitale, lontano dall’ottimi smo idealistico hegeliano, anzi a esso ‘opposto, sebbene non si possa parlare di una filosofia dandy, ma forse di una sua estetica, in senso lato, tale da abbraccia~ re idiversi aspetti dell’ umanita. Dunque un’estetica utopica. Si tenga presente anche Kierkegaard (pur con tutta la di- stanza della sua ironia sulla vita esteti- ca). Ha seritto Remo Cantoni che nel- 3 i saggio restetica kierkegaardiana «non incontria- ‘mo teorie sul bello e sull’arte, bensi fi gure di gaudenti e di esteti che vogliono gustare il massimo piacere, creando tun‘opera d’arte della loro stessa esisten- za» (intr. a S. Kierkegaard, Diario del seduttore, tit. Rizzoli, 1990). Eancora: ‘aun pensatore che ha sempre attinto dal- la propria interiorita i temi della propria meditazione, non avrebbe tanto aspra- mente polemizzato con il fascino della vitaestetica oerotica se non I'avesse sco- perto, oltre che nel mondo, nel recinto della propria interiorita» (ibidem). Questi esteti, questi demoni irreligio- sie gaudenti, sono figure assai prossime ai dandies cui pud tornare proprio, anche il concetto di perdizione estetica. II dan- dy @ in certo senso womo di piaceri, ma il sto edonismo (come quello del don Gio- vanni kierkegaardiano) & acutamente, sottilmente intellettuale. Se il messaggio dandy si risolve pres soché per intero nell’estetica, trascuran- do Metica in quanto monotono casellario di regole fisse e impersonal, pud essere ancora Kierkegaard il riferimento privi- legiato circaun’ironica osservazione sul- la pesantezza della morale: «I'etica & al- trettanto noiosa nella scienza che nella vita. Quale differenza! Sotto il cielo del- Vrestetica tutto & facile, bello, alato; ma quando entra in campo Metica, tutto di- viene allora severo, squallido, infinita- mente noioso» (Kierkegaard, op. cit.). E non & un dandy colui che dice: «tutto & immagine, « io stesso sono il mio stesso mito» (Kierscvaard)? ‘Componente principe del linguaggio dandy & Pironia, che «infirma i reale € lo destabilizza» (Scaraffia). «Silenzioso, ozioso, agitato, sognatore» come il Don Juan di Byron (tr. it. Dall’ Oglio, 1980) il dandy ha un suo linguaggio fuori di ogni Babele e di ogni ripetizione. In una so- cieta ipocriza, che ostenta i buoni sen yg br ros nessa ‘menti come fossero confetture da tavola, il dandy si mostra insensibile e fa di que- sta insensibilita un elemento di espres- sione. Che nella vita estetica del dandy- ‘smo vi sia pitt che un'implicazione etica & concesso sospettarlo, anche perché in Baudelaire, per esempio (ma anche in Barbey d’ Aurevilly: e nella critica di Camus) il dandysmo & visto come un impegno nobilitante. 3. Gli abi Joquenti Un secondo elemento del linguaggio dandystico @ il suo vestiario. ‘Come appare il dandy? «ll dandy deve aspirare a essere sublime senza interru- Zione; deve vivere e dormire di fronte a uno specchio» assevera Baudelaire (I! mio cuore messo a nudo, tf it. Adelphi, 1983). Certo il vestiario® molto, ma non tut- to. Non si tratta qui, di quel personaggio di cui scrive Brancati: « (tr. it. Bompiani, 1962). Gia questo dimostra, nel dandysmo, un elemento di dipendenza sociale. E tut- tavia se il dandysmo, come & stato osser- vvato, & un fenomeno tipicamente metro- politano, lo paradossalmente: ess0 vuo- Je solitudine. Per Camus l’opposizione ha caratteri total: «il dandysmo, qualunque sso sia, @ sempre un dandysmo rispetto Dio. In quanto creatura l’individuo pud ‘opporsi soltanto al creatore» (L'uomo in rivolta). Lo stesso Camus parla di «estetica della singolarita e della negazione». Ne- gazione anche salutare, poiché il dan- dy si oppone alla reificazione dell’ uma- no divenendo lui stesso, provocatoria- ‘mente, una cosa, un oggetto d’arte. Il limite vero nel dandy @, forse, il suo ritrarsi dal realismo sociale: c'8 qui un peccare di astrattezza, un poco interesse a quei problemi insolubili ¢ inevitabili legati alla condizione esistenziale e umi- le dell’ umanita. Ha scritto Barbey d°Au- revilly: «quando si muore di fame, si esce dalle affettazioni di qualunque societa, si rientra nella vita umana: si finisce di es- sere dandy> (op. cit.). poeti del Novecento La poesia di Jorge Luis Borges: il coltello e l'oblio (terza parte) di Brunetti Bruscat Iuniverso tangibile, ordine di_elementi, Borges non crede, dubitando di ogni fenomeno fisico, La realta & sogno, forse il sogno di qualeuno che ci sta sognando ¢ il cui risveglio annullerebbe o annullera lesistente, e d’altra parte, o pro- prio per questo paradossalmente il sogno & anche una forma deta realta, un aspetto della veglia. In questa condizione I’uomo non pud acquisire alcuna conoscenza defi nitiva, rintracciare una finalita del mondo, né tanto meno allinterno della propria storia ‘personale pud individuare il senso della sua esistenza, sapere con certezza il proprio itinerario ¢ il valore delle sue scelte reali o possibili, Gli uomini sono fanta~ smi soli e persi in questo enigma che non sanno ridurre in schemi umani, Nessuno &, ‘dunque, padrone del proprio destino se non nel sogno, in quella particolare dimensio- ne della veglia che potenzia I'aspirazione alla completezza, all’ardimento ¢ rende 'uomo protagonista di una meravigliosa avventura. Ela stessa avventura del poeta € del lettore che compiono un rituale di coraggio nella onirica sfida del mistero. Ana logaé l’avventura del gaucho e quella dell'orillero, il primo solitario mandriano del- le sterminate pianure, sempre pronto ad affidare al coltello la sta vita, altro abitante povero delle periferie, che consuma I’esistenza nelle taverne fra itrucchi delle carte e le sfide al duello; e per questo la poesia di Borges & continuamente attraversata dal- V'umanita e dal coraggio invincibile di questi personaggi. Solo apparentemente il ca- rattere appartato e pastorale della vita gauchesca differenzia questa figura da quella dell orillero: Borges ne evidenzia la sovrapposizione di quello stile di vita ad un’ espe- rienza urbana che crea il singolare e irripetibile aspetto del gaucho, diverso, ad esem- pio, dal cow-boy nord-americano. Enon meno importante & I'ardimento di costoro di quello che anima i grandi generali o i semplici soldati di un esercito, perché non ha alcun senso che muoia per seguire una qualsiasi idea, 0 senza fede in un’ idea soltanto magari per scommessa, soltanto per un altro uomo. Un destino vale I'altro, Pimpor- tante @ realizzare quello che si porta in sé. Nel momento in cui fra le mani esperte del ‘gaucho 0 del!’orillero brilla la lama affilata di un coltello, esso diviene uno strumento magico, l'oggetto sacro di un rituale in cui vita e morte si potenziano e si armoni no € in cui si celebrano tutte le emozioni e le finzioni, tutte le realta ed i sogni del- Puniverso. E I'uomo, come nell’assurdo gioco che & la vita, sfida la morte ese stesso, diviene autore della propria avventura, inventore della propria storia o delle proprie storie, fino al momento supremo in cui, forse, in un'immagine unica e fuggevole, tutti i suoi gesti ed i suoi pensieri del passato si compongono in un'armonia che svela enigma. Cosi il coltello diviene strumento di lealta, d'abilita e perfezione, di morte che sopravvive alla morte e, come un segreto libro mai scritto, racchiude e protegge dall'oblio la vicenda di uomini che sono impronta dell’ umanita sola e perduta, ma la rsa necesaria_iet_ — yy ‘poeti del Novecento determinata ¢ sfidare fino alla fine, in un gioco di ironici e fantasiosi tentativi, il proprio destino per costringersi a rivelarsi. Nel coltello I'uomo irride la sua stessa ‘morte, il suo stesso limite, e l'oggetto in qualche modo si trasforma per sempre nel- individuo che lo ha posseduto, diviene eterna incarnazione della sua abilita, di quel~ oblio della fragilita che fatalmente gli é stato concesso di vivere e rappresentare per sempre. In ur. racconto de El Enforme de Brodie, Florentina, la moglie di Juan Mu- rafia, celebre accoltellatore bonarense, impazzisce per la morte di lui e alla fine si uuccide col suo stesso coltello che ha conservato e continua ad adorare come Murafia. La celebrezione del coraggio, anche se si pud in parte far risalire ad una sorta di rimorso che Borges provd nella rflessione sulla genealogia familiare, composta come si sa da celebri generali (il nono paterno Francisco, il bisnonno matemo Isidoro Suarez, l'eroe di Junin) assume valenze simboliche che nulla hanno a che vedere con esaltazione della guerra e della violenza. Al tema del coltello Borges dedica anche tuna raccolta ¢i poesie scritte perla musica, Para las seis cuerdas (1965), che sono tanghi e soprattutto ‘milongas, in ricalco consapevole della tradizione ‘gauchesca. Di questi ritmi tipici argentini, la milon- ga selvaggia ed ingenua, @ maggiormente autentica per origini del piti conosciuto tango, ma entrambi ‘sono I’antica testimonianza di una forza primigenia del loro popolo. Borges mostra infatti di preferire trai due la milonga che definisce «allegra e vistosa bravata di origine creola», mentre considera il tan- 0, cosi come il lunfardo, che & lo slang dei bassi- fondi bonarensi, non del tutto argentino e non cosi autentico e semplice, ma pid artificiosamente euro- peizzante. La limpidezza é carattere di queste stro- fe, organizzate in quartine di ottonari a rime alter- nate, dense di pura emozione che sitrasfigura in pura poesia, La danza & come il rito dei coltelli che si celebra in rapidi e precisi gesti armoniosi e poi si ‘spegne velocemente nell’oblio, perché & di tempo, ‘come I'uomo® di polvere ¢ tempo. Afferma, infatti, Borges, in Evaristo Carriego, in conclusione del «tango litigioso»: ‘cin un dilogo di Oscar Wilde si legge che la musica ci rivela un passato personale che fino a quel ‘momento ignoravamo, ¢ ci muove a piangere su sventure che non ci hanno mai colpiti, e colpe che non abbiamo mai commesso; di me confesserd che non posso sentire La Marna o Don Juan senza ri- ccordare con precisione un passato apocrifo, stoicoe ‘orgiastico a un tempo, nel quale ho sfidato e lottato pper cadere, ala fine, silenzioso, in un oscuro duello al coltello. Forse la missione del tango & proprio ‘questa: dare agli argentini la certezza di essere stati valorosi, di avere gid adempiuto ai loro obblighi di coraggio e di onore». (3. Continua) Hy rosa necesaria 97 18 Appunti per Primo Levi: invito alla lettura Ad ora incerta (poesie 1943-1987) crive Braldo Affinati in Campo del sangue (Mondadori, 1997) ri- evocando il primo viaggio di Levi a New York: «Quella che sventolava tra le vette di Manhattan era la bandiera del Nove- cento: Eros ¢ Thanatos, penicillina ¢ Zyklon Bo. Ecco: tutta la riflessione di Levi riguarda quello che 2 stato definito i “secolo breve” (E. Hobsbawn) stretto trala guerra del’14 ~'18 e il biennio delle speranze nate morte (1989-"91): certez~ ze che avrebbero dovuto sventolare per millenni vennero tristemente ammaina- te, invincibili potenti vennero sgomina- ti, nuove spietate e laiche oppressioni rnacquero al posto di quelle vecchie e ‘ide ologiche’ E enigma Europa, 2 il misterioso Occidente, & Puniverso occidentalizza- to, il campo del dramma di questo seco- lo: ai suoi margini, & vero, altri popoli, altri individui soffrono per nostra insi- pienza e nostra volonta di potenza, e per la follia di molti satrapi tocali usciti fuo- ri dall’unto casco del cotonialismo ed la decolonizzazione. Ma tutto & chiaro, altrove: mentre tutto & buio, qui da noi, & bianco buio che avvolge e che trama di gelo i nostri pensieri. “Sapere aude! abbi il coraggio di servirti della tua intel ligenza, @ il motto dellilluminismo se- condo Kant, ma dai Lumi trionfanti non ® nata che una ragione oggettivante dal- di Grantuca Pactucct Vinevitabile effetto di dominio dell’ uo- mo occidentale sulla natura e sui suoi mili, Levi, Pebreo italiano, il poeta e il romanziere, il chimico che crede nei con- tributi forti che ta scienza pud dare al- Vumanita, & anche colui che ne ha visti i ferocirisultati a Monowitz, 0 guardando il fungo atomico a Hiroshima, 0 i razio- nalismo realizzato e incamnato nelle co- struzioni babeliche (sia pure orizzontali, come i capannoni dei lager) del XX se- colo, capaci di mettere in forse lo stesso statuto dell’essere umano, rendendolo itviconoscibit: Considerate se questo ® un uomo, Che lavora nel fango ‘Che non conosce pace Che lotta per mezzo pane Che muore per un si o per un no. Considerate se questa & una donna Senza capelli ¢ senza nome. (Shema) a perdita del nome, ambiguamente auspicata dai decadenti di inizio secolo (D’Annunzio, il Pirandello di Uno, nes- suno e centomila) diviene il dramma cen- trale dopo Auschwitz e Hiroshima e il Gulag e il Laogai (i campi di concentra- ‘mento e di lavoro cinesi), e riconquistar- lo & I’unico sforzo che valga la pena. I Loa meen ist ip «dovere della memorian, di cui ® perd bene non abusare (cft. di T: Todorov, Les abus de la mémoire, 1995), consiste 50- prattutto nel rinominare tutti ‘sommer- si’, nell’elencarli in dolci litanie, nel rie- vocarli uno per uno, nel cantar Spesso diviene grido, il canto (lo sap- piamo da Brecht: «anche odio per la bassezza / stravolge il viso / Anche I’ira per lingiustizia / fa roca la voce»). Levi risponde indirettamente a quan- to Quasimodo serive in Alle fronde dei salici, riprendendo il salmo 137. Ecco il famosissimo incipit: «E come potevamo noi cantare / con il piede stra- niero sopra il cuore». In Babilonia gli ebrei oppressi «ai pioppi di quella terra» tenevano le cetre appese. Ed & vero: non si pud cantare per loppressore, non si deve allietare ’ingiustizia seravandola di pesi infami con arte che si é appresa. Si ud € forse si deve, cantare per ‘noi’. Serive allora Levi: Ma quande poi cominciammo cantare Le nostre Euone canzoni insensate, Alllora avvenne che tutte le cose Furono ancora com erano state (Camare, 3 gennaio *46). Assenza di nostalgia e invece conqui- sta del presente, approdo alla mitezza nella coscienza di un qualcosa che dura e che spezzera i reticolati alzati dal car- nefice, Mitezza che non si svilisce in pas- siva acquiescenza ma che piuttosto diven- ta urlata maledizione: 1a dove Quasimo- do si ferma non seguendo fino in fondo iltesto biblico, Levi, in Shema, non esita a seguire il salmista: Figlia di Babilonia, votata alla distruzione: beato cai ti ricambier& Ja rosa necessar quanto hai fatto a noi Beato chi prendera i tuoi pargoli e li sbattera contro la roecia, Questii versetti conclusivi del salmo: ‘ogni volta che li leggo ne ho paura, il cuore mi trema, un misto di sgomento di vergogna mi prende: sono versi che ‘mi guardano negli occhi e che me li fan- no abbassare E scrive Levi negli ultimi versi di Shemé: Meditate che questo 8 stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi Ripetetele ai vostri fig. visi sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, vostri nati torcano il viso da voi Parole forse meno estreme di quelle bibliche ma ugualmente agghiaccianti, anche perché & diverso il ‘voi’ dei due testi: gli oppressori_babilonesi nel Sal- mo, gli *ignavi’ che permettono - igno- randolo, rimuovendolo o attenuandone la portata- il crimine, i complici indifferenti del male che vivono in «tiepide case» e che tornando a casa la sera trovano «cibo caldo e visi a In un altro testo di Ad ora incerta V’op- posizione ‘noi-voi’ tomna prepotente: & il Canto dei morti invano (14 gennaio 1985). ‘Voi’, i potenti detla terra, sovie- tici © americani, discutete e trattate su come riequilibrare equilibrio del terro- fuori al freddo vi aspetteremo noi, Lesercito dei morti invano, invito alla lettura Noi della Marna e di Montecassino, Di Treblinka, di Dresda di Hiroshima: E saranno con noi Llebbrosi e i tracomatosi, Gli scomparsi di Buenos Aires, Tmorti di Cambogia i morituri d’Etiopia. I ci aspettano inesorabil- ‘mente all’uscita di ogni tunnel, come in un bellissimo episodio di Sogni di Akira Kurosawa. 2 Ora torno a quanto detto all inizio. E all'Illuminismo che dobbiamo la moder- nit e la conquista dell’attitudine critica, «Che cos’é la critica? E arte di non es sere eccessivamente governati», scrisse Michel Foucault. Ela critica al governo, inteso in senso Lato, ovvero all’Illumini- ‘smo realizzato, che la Scuola di Franco- forte, Foucault e, per quel che ci riguar- da, Primo Levi, chimico ebreo italiano € poeta, ci insegnano a fare: criticare chi ci ha insegnato la critica, insomma criti- care la verita, che & oggi essenzialmente Ja misteriosa verita occidentale, per de- stabilizzarla ripetutamente perché ripe- tutamente s‘apra alla Liberazione, al- V'Esodo: Di noi ciascuno é stato schiavo in Egitto, Ha intriso di sudore paglia ed argilla Ed ha varcato il mare a piede asciutto: Anche tu, straniero. ‘Quest’anno in paura e vergogna, Lanno venturo in virt git Con questi versi di Levi tratti da Pa- ‘squa (9 aprile 1982) potrebbe concludersi questo scritto. a rosa necessaria 1897 intersezioni Artaud 3 (Van Gogh. Il suicidato della societa) (CE i tolet esecicntseme cessa simbolizza un’inquietudine, un elemento oscuro, cupo disordine, caos, ferme ¢ morte di ogni cosa che si oppo- ne a cid che @ luminoso. La follia e il folle, legati nell’antichi- tal dio Dioniso, con la loro ambiguita, minacciano l'ordine stabilito dellecose, lo deridono, mettono in crisi le certezze del sapere. Perché il folle nella sua innocente stupidita, possiede un sapere inaccessibile quindi temibile, un sapere di cui l'uomo savio possiede solo frammenti ¢ che il folle invece rossiede tutto intero, un sape~ re proibito € per que~ sto decretato malvagio, satanico. «Perché un alienato? anche un womo che la societi non ha voluto ascoltare e al quale ha voluto impedire di proferire insopportabili verit’» (Van Gogh. Il sui- cidato della societa, Adelphi, 1988, p. 17). Cosi Artaud su van Gogh. Ma la follia di Nietzsche e di van Gogh, di Gerard de Nerval e Holderlin, a lero neeara et di Luca Raxpo Ja follia di Artaud ha continuato a pro- clamare che la nostra cultura era marcia perché aveva perso il suo contatto col mondo, aveva smarrito quel rapporto con la parte pit profonda e vera di noi. Ave- vva smarrito il rapporto fisico con gli og- getti,col corpo che & la mazzata che abbatte il muro di rimpetto: «Ora, & con Ia mazzata, davvero con la mazzata di questa forza che van Gogh non smette di colpire tutte le forme della natura € gli oggetti» (p, 25). La Follia ha continuato a gri darci dal suo spa- Zio tistretto, luogo separato e oscuro, che forse il cammino intrapreso non era quello giusto, che c’era un’altra veri. La condanna della follia & stata forse tun’autocondanna rispetto alle folgorazio- ni delle opere come quelle di quegli au- tori (Nerval, Hélderlin, van Gogh) «irri ducibili all’imprigionamento morale che si ha 'abitudine di chiamare, certo per antifrasi, la liberazione degli alienati» eee (Miche! Foucault, Storia della follia nel- Veta classica, Rizzoli, 1992, p. 437) da parte degli psicanalisti. La psicanalisi ri- mane fuori dall’essenza della Follia, da quella follia di un uomo che preferisce diventar pazzo «piuttosto che venir meno ‘aunacerta idea superiore dell onore uma- no» (p. 17), da quella follia che continua aa gridare ad un mondo sordo le sue veri- ry Ma come definire allora opera di quegli autori? Essendo essa una rottura, uno squar- cio sul velo del quotidiano, uno strappo di tutto cid che 8 codificato, Artaud indi- ca van Gogh come tn suicidato della so- cieta: «Van Gogh non & morto per uno stato di delirio proprio, ma per essere stato corporalmente il campo di un problema attomo al quale, fin dalle origini, si d batte lo spirito iniquo di questa umanita, Quello del predominio della carne sullo spirito, o del corpo sulla carne, 0 dello spirito sull’uno e sullaltra. E dov’é in questo delirio il posto dell'io umano? ‘Van Gogh cere® il suo per tutta la vita ‘con un’energiae una determinazione stra- ne, e non si é suicidato in un impeto di pazzia, nel panico di non farcela, ma in- vece ce I’aveva appena fattae aveva se perto cos’erae chi era, quando lacoscien- za generale della societa, per punirlo di essersi strappato ad essa, lo suicidd.(..] Si introdusse dunque nel suo corpo, que- sta societd assolta, consacrata, santifica- tae invasata, cancelld in fui la coscienza soprannaturale che egli aveva appena assunto, €, come un’inondazione di cor vvineri nelle fibre del suo albero interno, Jo sommerse con un ultimo sobbalzo, e, prendendo il suo posto, lo uccise» (pp. 20-21). ‘Van Gogh, che stava liberandosi dal- ‘a rosa neeesaria 1897 intersezioni le maglie della societa (cosi come Artaud stesso), 2 stato dunque affatturato, ripre- soe suicidato, vittima sacrificale sull’al- tare della societ’. Troppo grande Marte del pittore, troppo superiore ai piccoli maneggi della societa che lo circondava e che non ha sopportato oltre la forza di quella pittura No, i quadri di van Gogh erano uno scandalo contro il quale la societa dove- va reagire, contro il quale ci si doveva difendere in qualunque modo. Come i quadro Campo di grano con corvi, che apre «la porta occulta di un aldila possi- bile, diuna permanente realtd possibile», con i suoi colofi, il vinaccia della terra (cfr. in G. Spagnoletti, nostri, op. cit. ,p. 118). la rosa mecessaria 18 7 Sebastiano Magnani NON HO PAROLE Non ho parole peril popolo dei certi. Imio cuore ele mie parole peril popolo dei dubbiosi Rinnegati da Dio portiamo in fronte il segno dei privilegiati dal dolore e dal dubbio. Spaventosi nel rancore enel delirio ci tengono nei recinti sorvegliati del cuore: talvolta chiedendoci disorridere con malinconia. Uceidete pure i grassi vite senza attenderci. Festeggiate le vostre certezze: inostri pentimenti non sollecitando. e Non abbiamo case in cui tornare. ? Siamo iredentori. Forse. da Come un Giobbe, Edizioni del Leone, 1996 ts Jaro neesra_iet John Whitworth MA COMECIRIESCONO? Diari vecchi, lettere, fotografie, ciarpame diamici e acconciature fuori moda, di ragazze perdute, dolcemente sfocate, ditutta questa roba, intere casse - io avaro son del mio passato, che conto nel chiuso di una stanza. Pensavo che queste macchinette di parole fossero intonate alla cercad’amore e al venir sempre meno dell'llusione che noi poeti soffriamo. Ma non é affatto vero, La gente cambia ¢ va, sposandosi,figliando, comprando case. Si sminuiscono perdendo le fattezze lungo gli anni. A volte muoiono, 1a fuori (almeno cosi suppongo). Ma nel mio cervello liho ancora com’erano, distintie sfrontati. Come fogli di francobolli mai leccati, come soldi maispesi. dda Giowane poesia ingles, a. Dowling e Alessandro Scarsel del Leone, 1996. Pietro Bruno averti accanto ))_assieme al tuo Gest, TRAGRANDICOSE assolto dal rimorso del peccato. Tornare, sostanze separate, £ ) amiscelarsiindivisibilmente Tra grandi cose nel latte comune piccole del ricordo che emigrando offrendo alla preghiera hai lasciato quella cobs sulla iva che ci ha sacrificati c@ anche la tua faccia e dentro la tua faccia tuoi pensieri Un po’ come succede nella Messa dla Futuro anterior, Cosi su quella nave Edicion del Leone, 1996. di tuo ’era rimasto solo il nome e sono stato io il mare di futuro che hai passato, Fermo : Ciro Di Maria dalfalera parte dell'oceano viftcpadliato INVERNO Immune da ricordi. : Ho memoria dite E faro nel latte tra rami bruniti ieee ne ee Martirio del gelo su passi Eepere se Vel dinoiae difoglie heeds eloci, pesanti di noia e di fog ilPadreterno Lasciate a marcire, scagliate col quale intimidivi Dal vento negli angoli patere gloria ciechi, omertose finché chiudevi gli occhi. Ha prefeits Clochardes di un anno che muore. ile too Doverie paure, rinunzie e rimpianti al mio, Il vano rincorrere mete Che stronca d’affanno la vita. (Anche il padre terrestre ue eibal soil aed Sisco am Corse dal tempo che geme una question Enon placa la storia del vico ragionata sul filo A dare - antico - sollievo vita e morte). Allansia che morde Ora nella vecchinia iz da L'occhio ceseo, Fermenti, 1996. mifarebbe piacere 5 Lara neers st » ma prepara- zione acca- ‘demica,testi- moniata da svariati volu- imi (tra cui r- cordiamo Lo specchio di fa di Giorgio Col 1), Giuliano Minichiello sé avventurato col ‘suo ultimo libro nel terreno minato del ‘pen siero meridiano”, espressione coniata, ‘come é noto ¢a Camus ne L'uome in rivol- ta, @ recentemente riattualizzata da Fran- ‘co Cassano. Gia segnalammo allepoca la profonda novia di questo pensiero, non solo rispetto ala tradizione legata alla “que- stione meridionale” (una cul ricapitolazio- ne eccellente ha curato lo stesso Minichiel- lo per i tipi della Editrice Bibliografica), in quanto pensiero del Sud a partire dal Sud. La fenditura nel cristallo, muovendo da premesse pit squisitamente filosofiche di quelle di Cassano e riconoscendo la ne- Cessita di un lavoro collettivo sulla questio- ne, aggiunge alcuni elementiimportantial- Telaborazione di questo pensiero. Lo sco- po che si prefigge non 2, owiamente, quel- lo di buttare amare tutta la tradizione occi- dentale fondeta sulla scienza e sulla tec- nica ma, invece, di evgenziar fen re di questo (apparentemente) compatto ‘Gistalo™, perch sia possible ost rater. mare la necessita delle “culture” (neces- Satiamente purl). La premessa cto discorso di Minichiello 8 Tesplosione della oria fondamentale della modernita, quella di “progresso", che aveva fatto si cche il Sud yenisse letto (e si leggesse) in chiave di rifardo”, ‘arretratezza’,‘sottosvi- luppo*. Ltepistemologia aftermatasi con opera rivoluzionaria di Thomas Khun ci ha detto che «tutte le visioni del mondo sono valide, che esse sono parimenti di- stanti dalla verita e che tra di loro non c’8 5 Larosa meen Giuliano Minichiello, La fenditura nel cristallo Frammenti di Mezzogiorno nel racconto del mondo Sellino & Barra, 1997, £. 35.000 continuita» (p. 18). Attuando una “genea- logia’ del pensiero meridiano, Minichiello individua in Parmenide, filosofo della Ma- gna Grecia, Tantesignano di un pensiero che pone alia base del pensiero il thymds, Finteriorita: «in Parmenide il thymés sta ad ingicare una espansione nella interiorita del politico, cosi come il politico é, a sua volta, tuna espansione nel esteririta del flosofi- sp» (p96), Ma @ con Topera dl nolano Giordano Bruno che i ttt di un pensiero meridiano si esplicitano (i paragrafi dedi- cati_al grande pensatore arso a Campo dde'Fiori sono anche, a mio parere, quell piu densi e pieni di intuizion! proficue per Ln ulteriore sviluppo di questa ricerca). In Bruno troviamo idea che ogni cosa é le- ata alle altre da vincoli la cui essenza é Famore; troviamo Videa che uomo e divini- ta si identificano, come simboleggiato nel mito di Atteone, che, per aver visto Diana ‘nuda, viene trasformato in cervo @ sbra- rato dai suoi stessi cani. Allegoricamente: «(esperienza traumatica da lui sperimen- tata [ha trasformato nell oggetto della pro- pria ricerca, vale a dire nella stessa divini- {> (p. 47). In Bruno troviamo un aocen- ‘uato cosmopolitismo che coesiste con la rivendicazione orgogliosa della propria ap- fenenza al Sud; soprattutto, troviamo Fardito tentative din linguiaggio nuiovo par il pensiero, che utiizza i procedimentitipi-

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