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Il ragù napoletano
di Raffaele Bracale
Oggi vi lascio in compagnia di un pilastro della cucina occidentale: il ragù napoletano. Raffaele Bracale, cultore di
cucina e fervido attendente della tradizione immacolata, ci consegna un trattatello con tutto quel che c’è da sapere
sull’argomento.
ziti al ragù
Non è un semplice ragù di carne
Il ragú napoletano è molto diverso da tutti gli altri ragú di carne, pure ottimi, di cui è ricca la cucina italiana. è diverso
per gli ingredienti, per la lunga preparazione, per l’estrema attenzione che richiede, per quella tipica fase di
preparazione, fase detta del peppiare ed infine per l’aroma che purtroppo sempre piú raramente si diffonde, il
sabato sera, nelle scale dei palazzi di Napoli, dove ahimé sono giunti gli anatemi di tutti i nutrizionisti mediatici che
ànno convinto anche i poveri napoletani a bandire dal loro desco domenicale questa sontuosa salsa per sostituirla
con insipide salsine bollite, senza nerbo e/o gusto, insipide e prive di grassi animali, salsine che mai e poi mai
possono convolare a felici nozze sulla tavola domenicale con i tronfi maccarune ‘e zite spezzati a mano o, meglio
ancora, con duttili pacchere magari ‘mbuttunate!
Fortunatamente ci sono ancora dei napoletani d’antan, che – come carbonari o cospiratori del tempo andato
continuano a parlare e talvolta a preparare mitici ragú come il Cielo comanda!
Peppiare
Molti grandissimi della letteratura e dell’arte lo ànno celebrato.Rammenterò per tutti don Peppino Marotta che usava
dire che il ragú non si prepara, ma si consegue quasi che lo si raggiunga e/o conquisti alla stregua di una promozione
o un successo!
Io mi limito a riportarne la ricetta, premettendo che il risultato finale dipenderà quasi esclusivamente dalla sensibilità
e dalla … mano calda (lèggi: attenzione, preparazione, solerzia ed …amore) del cuoco o della cuoca.
Prima però di dare la ricetta con ingredienti e preparazione, soffermiamoci sulla espressione
PEPPïARE / peppïà che è voce onomatopeica indicante quella fase propedeutica del momento prossimo alla
conclusione della preparazione del ragú napoletano, allorché dal fondo della pentola dove è in cottura la salsa di
carne e pomodoro, affiorano ripetutamente in superficie delle bolle d’aria che al culmine della tensione si rompono
producendo un suono simile a quello che produce chi tira una boccata di fumo dalla pipa. Il toscano traduce in
maniera piuttosto imprecisa e superficiale: sobbollire.
Un ragú napoletano che sobbollisse e non peppiasse, non sarebbe un vero ragú.
Il segreto per far peppiare la salsa sta – oltre che nel tenere la fiamma piuttosto bassa- nel non turare
completamente con il coperchio la bocca della pentola, ma nel poggiare il coperchio su di un lato della pentola
mentre in direzione opposta occorre poggiare il coperchio non sul bordo della pentola, ma sul cucchiaio di legno
posto di traverso l’imboccatura, per modo che si crei una piccola circolazione d’aria che impedisca alla salsa di
attingere forza dal fuoco e le impedisca di precipitare nel bollore cosa che rovinerebbe tutta la faccenda.
Solo dopo che la salsa abbia peppiato per piú di un’ora e si sia verificato lo strano fenomeno della separazione
dell’olio e dello strutto che affiorano in superfice lasciando il sugo di pomodoro nel fondo della pentola, si può esser
certi che il ragú si sia conseguito e dopo una veloce rimestata con il fido cucchiaio di legno, si potrà spegnere il fuoco
.
In chiusura rammenterò che la voce peppïà è resa nelle Puglie con il termine pippijà che, ad un dipresso, ripete
l’onomatopea partenopea peppïà, mentre in Sicilia è usato il termine carcariare voce che, risultando essere un
denominale di carcara ( calcara o grossa pentola), lascia presumere che l’azione significata dal vocabolo presupponga
un’ebollizione così violenta tale che possa indurre il sugo ad uscir di pentola; non è pertanto il napoletano peppïare
che come ò spiegato indica un bollore sí prolungato, ma calmo, direi quasi riflessivo, mai agitato o violento. In
napoletano, in effetti, il verbo carcarïare/carcarïà è usato per indicare il rumoreggiare, l’agitarsi.
Rammento infatti ancòra che quando in napoletano vogliamo indicare un’azione agitata di un individuo che aneli a
qualcosa e lo voglia subitaneamente, diciamo che, a proposito del bene desiderato, quell’individuo sta scarcarenno
ossia è cosí agitato da tracimare l’ipotetica pentola del comportamento.
E adesso la ricetta
Ingredienti e dosi per 6 persone
Preparazione
Prima fase
Lardellate la carne con il prosciutto, la pancetta, la piperna ed il pepe e legatela bene; imbottire le fette di locena con
sale fino, pepe, cubetti di formaggio pecorino, aglio e prezzemolo tritati, uvetta e pinoli e legarle accuratamente.
Tritate grossolanamente , usando un affilatissimo coltello o una lama a mezza luna, su un tagliere di legno prima il
lardo e, via via la rimanente pancetta, e le cipolle. Si può anche usare un tritacarne per questa operazione, sarà
un’operazione piú rapida, ma la sconsiglio; infatti c’e il rischio di perdere il succo e con esso l’aroma delle cipolle.
Ponete tutto il trito nella casseruola possibilmente di coccio o di rame stagnato, insieme allo strutto ed all’olio e, a
fuoco bassissimo, riscaldate fino a quando lo strutto non si sarà fuso e la cipolla comincerà appena a soffriggere.
Aggiungete la carne, le brasciole ed eventualmente le puntine (tracchiolelle) di maiale.
Coprite e lasciate rosolare, sempre a fuoco bassissimo, rivoltando frequentemente le carni: questa fase a Napoli vien
detta sturdí ‘a carne (stordire la carne) ed è fase importantissima con cui si mira a sigillare i pori della carne perché –
nella cottura – quest’ultima non ceda tutti i liquidi e gli umori, risultando alla fine poco morbida ed eccessivamente
secca.
Attenzione! Le puntine di maiale cuociono molto prima, quindi potrebbe essere necessario toglierle per qualche
tempo dalla pentola.
Quando le cipolle cominciano a prendere colore, scoprite, mescolate e rivoltate la carne piú spesso, aggiungendo
poco per volta il vino che dovrà evaporare tutto. Fatto questo, le cipolle saranno ormai ben rosolate, ogni traccia di
liquido sarà sparita e non rimarrà che il grasso che sobbolle lentamente.
Questa prima fase vi vedrà impegnati per circa 2 – 2,5 ore. Durante tutto questo tempo non è consigliabile
allontanarsi dai fornelli: le cipolle potrebbero bruciare, rovinando tutto.
Seconda fase
Aumentate, ma di poco, il fuoco, per dargli un po’ di forza, ma non molta: appena sufficiente ad accogliere gli altri
ingredienti che sono freddi.
Aggiungete non piú di due o tre cucchiai di concentrato di pomodoro e fatelo soffriggere, fino a quando non diventi
scurissimo.Fate molta attenzione: il concentrato deve sciogliersi nel grasso, prendendo sí calore, ma non bruciare!
Solo a questo punto va aggiunto tutto l’altro concentrato, sempre nelle stesse quantità, e cosí via, sempre con la
stessa procedura, finché non l’avrete terminato.
Durante questa fase sicuramente le puntine (tracchiolelle) di maiale saranno cotte e vanno tolte delicatamente, per
evitare che si spacchino aprendosi e disfacendosi.
Questa seconda fase (ancor piú delicata della prima perché dovrete controllare la cottura della carne e perché si
corre il rischio che il pomodoro si attacchi) vi impegnerà per altre 2 o 3 ore.
A questo punto aggiungete tutto il passato di pomodoro,un po’ di sale le foglie di basilico spezzettate a mano e non
piú di un mestolo d’acqua,e a pentola scoperta lasciate prima cuocere per circa un’ora e poi, incoperchiando come
suggerito, lasciate peppiare (cuocere a fuoco bassissimo) per almeno un’ora e mezzo.
Se non l’avete già fatto, togliete tutta la carne e disponetela in un piatto: la rimetterete nel sugo a fine cottura.
La salsa sarà cotta quando vi apparirà densa, lucida, scurissima ed untuosa.
Verificate il sale, non dovrebbe essere necessario aggiungerne, rimettete la carne in casseruola e lasciate riprendere
il bollore per pochi minuti.
Rifiniture e consigli
Dato il tempo di preparazione (almeno 7 ore) vi suggerisco di preparare il ragú il sabato, trasferendolo alla fine della
cottura dalla pentola in una zuppiera di coccio o porcellana. Inoltre, lasciandolo riposare, il ragú matura e risulterà
ancora piú gustoso.
Questa salsa va usata per condire 6 o 7 etti di maccheroni di zite spezzettati a mano in pezzi da 4 o 5 cm. cadauno.
Spolverare le porzioni impiattate con abbondante grana o (meglio ancora!) pecorino grattugiati e profumato pepe
nero.
Servire come pietanza la carne affettata e le brasciole coperte con qualche cucchiaiata di salsa.
Il ragú si serve, quasi esclusivamente con la pasta grossa: maccheroni di zite spezzati a mano, ma si possono usare
anche rigatoni, maltagliati rigati. Ottimi poi i paccheri, magari imbottiti con ricotta di pecora ma difficilmente si
posson trovare.
Dopo un congruo piatto di ziti a ragú si può anche non mangiare altro, fatta eccezione, come detto, per la carne del
ragú, con un contorno di verdura cotta; a Napoli si usano i friarielli (sorta di tenerissime cime di rapa, da soffriggere a
crudo in padella con aglio, olio e peperoncino) che altrove non esistono, per cui si possono sostituire con bietole,
spinaci o patate stufate.
Mangia Napoli! Facitene salute!
37 commenti
monica
meno male….a dispetto della foto (di repertorio) Bracale precisa che la pentola deve essere de coccio ;)
26 gennaio 2013 - 15:24Rispondi
milady
…ànno celebrato…?!
26 gennaio 2013 - 20:04Rispondi
raffaele bracale
@milady La vostra meraviglia (?!) si riferisce forse a quel mio ànno usato al posto di hanno? Se così fosse, non meravigliatevi; se
aveste frequentato le scuole elementari, come fece il sottoscritto, nel 1950 forse una sua maestra vi avrebbe insegnato che
alcune voci verbali di avere si possono coniugare servendosi dell’acca diacritica anteposta alla a o alla o, oppure (più
elegantemente!) servendosi delle vocali accentate (à – ò) per cui correttamente si può scrivere: ho/ò – hai/ài – ha/à – hanno/
ànno. A me fu insegnato e non l’ò dimenticato! Salute!
1 febbraio 2014 - 15:59Rispondi
venanzio pignatelli
lasciate perdere certi commmenti signor Bracale. non meritano risposta alcuna. buona domenica .
4 ottobre 2014 - 15:24Rispondi
pierantonio micciarelli
… Grande…
5 gennaio 2018 - 07:02Rispondi
Francesco Mondelli
Tema.Pranzo della domenica.È da qualche giorno che all’apertura del blog di Luciano si sente ,se non propio l’odore del ragù,un
forte odore di cipolla che sfrigola in padella .Era dunque quasi d’obbligo che anch’io mi adoperassi in tal senso.Ora,sicuro di
essere scomunicato dai puristi ,presuntuosamente voglio raccontarvi il mio .Come sempre anche stamattina mi sono svegliato di
buon ora e,dopo un ottimo moka,ho messo ad appassire1/2kg di comuni cipolle ramate stagionate in strutto ed olio extra di
varietà Salella.Ho aggiunto poi un pezzo di costata di vitello ,una braciola ricavata da un arrosto disossato e del guanciale fresco
di un maiale allevato prevalentemente a castagne .Dopo una delicata rosolatura ho sfumato con Maiatico di Moio ed in seguito
aggiunto un kg di passata di pomodoro artigianale e mezzo kg di pelati sempre fatti in casa.Ai primi bollori ho abbassato al
minimo e fatto andare per due ore.Siccome uso una padella di acciaio ,anche se a diffusione omogenea di calore,dopo questo
tempo ho spento e riacceso svariate volte in modo da simulare una cottura il più lenta possibile ed evitare nel contempo che si
attaccasse al fondo.Complessivamente più di 4 ore.Con questo ho condito i fusilli Cilentani acqua e farina bucati da un ferretto.Il
formaggio usato è stato un cacio ricotta di capra sempre Cilentano con cui ho mantecato i fusilli conditi a fuoco spento con il
ragù .Naturalmente ho bevuto il falerno riserva di cui sopra e come contorno degli ottimi sottoli e sottaceti di Franco Maida.Al
dolce ho aperto fuori tempo massimo un panettone al cioccolato di Pietro Macellaro su cui è andato alla grande il Don Luigi
sempre di Moio.Questo e,complice anche una fresca ma soleggiata giornata di fine gennaio,ha contribuito a farne una bella e
tradizionale domenica che rimanda inevitabilmente al passato ma invoglia anche a ben sperare per il futuro.Buona domenica a
tutti da Francesco Mondelli.
27 gennaio 2013 - 15:50Rispondi
Renata de Luca
Ho letto da pom yao la sua ricetta del ragu’ napoletano poemetto gastronomico letterario, con cui concordo. Mi permetta, pero’
di dissentire sul concentrato di pomodoro prodotto industriale che nulla a che vedere con la conserva. Per anni ho trascorso il
mese di agosto ad esporre al sole e a ritirare dall’umido le mie “caccavelle” ampie ma basse piene di polpa di San Marzano
insaporita di sale e ricca di basilico. Che buon ragu’! Con umilta’.
1 febbraio 2013 - 13:25Rispondi
raffaele/lello
@milady
ànno= hanno, come anche ò=ho, ài=hai ed à= à. Così mi insegnò una vita fa la mia maestra delle elementari ed io ne feci tesoro
e continuo ad usarlo!
3 febbraio 2013 - 07:05Rispondi
raffaele/lello
@renata de luca
Avete ragione,signora, ma la mitica conserva di pomodoro fatta in casa nun ‘a fa cchiù nnisciuno…. pirciò accuntentammoce d’ ‘o
bbuattone!
3 febbraio 2013 - 07:10Rispondi
vincenzo
il vero problema è la pentola di alluminio, vi siete mai chiesti come mai diventa praticamente “nuova” dopo averci cotto la salsa
di pomodoro ? è l’acido del pomodoro stesso che la rende pulita e, secondo voi, dov’è finito l’alluminio che si è staccato ? tutto
nel nostro fegato e li resta….
Ci dovrebbe essere maggiore rigore nelle cucine dei nostri ristoranti, per anni abbiamo ingoiato teflon staccatosi dalle varie
padelle usate per far “saltare” gli alimenti. So di essere “pesante” con questi argomenti ma la salvaguardia della salute credo sia
importante o no ?
16 marzo 2013 - 00:21Rispondi
gaspare
e l’alluminio no, e il teflon no, ma allora? mica il coccio ce lo possiamo permettere tutti?
e poi, l’acciaio non conduce in nessun modo. non resta che il rame, che innocuo non è..
:-)
16 marzo 2013 - 02:58Rispondi
ferdinando
Il coccio non costa molto. Un casseruola alta e capiente potrà costare 10 al massimo 15 euro. Non è tanto rispetto alla salute da
tutelare. Ne va di mezzo anche e soprattutto il gusto. Vuoi mettere la domenica a tavola un piatto come comanda Napoli a
tavola? E sporcarti anche un pò la camicia? Fa trendy napoletano e casareccio
7 aprile 2013 - 11:57Rispondi
Roberta
Gabriella
nele cucine moderne ci sono le piastre elettriche o a induzione sulle quali non è possibile utilizzare il coccio. Con tutta la buona
volontà di questo mondo, non credo che, a parte qualche ristorante specializzato in cucina napoletana all’antica, nessuno di noi
potrà mai rifare il raù delle nostre nonne a casa sua. Perchè non utlizzare le pentole a fondo spesso della LAGOSTINA? Sono
igieniche, perchè si lavano perfettamente e, anche se sono in inox, permettono una lunga cottura
7 maggio 2013 - 06:06Rispondi
Giuseppe Aulicino
Gentilissimo Raffaele, visto che è così appassionato di etimologia, ci direbbe qualcosa sul termine “maccheroni” o “maccarune” ?
Mi sembra che spesso il termine venga utilizzato per indicare genericamente la pasta “corta”; è corretto ?
La ringrazio anticipatamente per l’eventuale risposta.
Giuseppe
P.s. mi permetto di indicare per i non napoletani che la parola “doppio” (utilizzata negli ingredienti per “sale doppio”) in generale
sta per “spesso”, in questo caso sale grosso.
p.p.s a corollario al commento sul concentrato di pomodoro industriale, ricordo che anche la passata di pomodoro industriale è
un prodotto che sarebbe da evitare assolutamente così come l’olio non extravergine, in quanto privi di garanzie di legge
sull’effettivo contenuto e metodo di preparazione.
1 settembre 2013 - 12:00Rispondi
Alberto Capece
Trovo del tutto assurda questa fedeltà a ricette tradizionali che funzionavano con gli ingredienti di un tempo, i metodi di cottura
e anche con le abitudini alimentari di un tempo: sfido chiunque oggi, in tempi di iper nutrizione, a digerire lo strutto. Ma a parte
questo le carni, le cipolle, i pomodori e la loro lavorazione sono del tutto differenti da quelli usati un tempo. Le passate e i
concentrati sono inevitabilmente più aciduli perché nel frattempo tutti i pomodori coltivati in qualsiasi parte del mondo sono
frutto di innesti con la pianta originaria e per giunta non esiste praticamente più l’ingrediente originario che era la conserva di
pomodoro. In queste condizioni è abbastanza ovvio che si possa passare dalla sola cipolla al trito misto o alla carne di maiale
che conferiscono maggiore dolcezza, tanto più che i metodi di allevamento attuali dei bovini tutti tesi alla crescita rapida,
rischiano di conferire un sapore metallico a causa dell’ abbondanza di globuli rossi nel sangue degli animali. Del resto mi sembra
che tra strutto, pancetta e prosciutto di maiale ce n’è in abbondanza, anche se dubito che questi siano davvero ingredienti
tradizionali e non un uso via via affermatosi nel dopoguerra.
L’abilità in cucina sta proprio nel riprodurre i sapori tradizionali tenendo conto delle variazioni radicali che hanno subito gli
ingredienti, cosa che ovviamente per tutti i ragù italiani e per grandissima parte dei piatti. Le ricette tradizionali sono più che
altro un documento storico.
14 dicembre 2013 - 12:58Rispondi
Massimo de Crescenzi
Tutti questi commenti, presi prelevando pezzetti delle relative ricette potrebbero ( forse ) portare ad un “raù abbastanza vicino
all’originale ma alcune affermazioni non mi sembrano condivisibili:.
-pentola assolutamente di coccio, meglio se ” vecchia”, ossia usata per evitare tragedie nella cottura, con spargifiamma;
-carne: .tagli di manzo, di spalla o di collo ( perché non di pannicolo?) tutt’un pezzo;
carne di maiale: un bel pezzo di collo tagliato con un poco di smagritura di spalla; senza cotenna..
un pezzo di carne di coscio di castrato ( non di pecora! )
-cipolle: perché dorate e non ovali di Tropea, (dolci, succose e resistenti alla cottura prolungata;? )
-condimenti: ma quali pancette affumicate ( il cui sentore fumoso ammazza tutti i sapori), ,lardi vari di provenienza ignota
ed olio di oliva ( magari ottenuto da lavorazioni a caldo con rulli d’acciaio che spremono anche la
mandorla dell’osso che rende l’olio piccante ed amarognolo oppure ricavato da olive bastarde magari
algerine ) strutto di maiale comprato in campagna ( e non nei negozi di città ) ,magari fatto in casa con
ciccioli spremuti a caldo . Va utilizzato un bel pezzo di ” guanciale stagionato ” al vento sempre di campagna
e non affumicato. ottenuto da fette di circa 1 cm: di larghezza e di spessore.
– conserva: concordo entusiasticamente per quella fatta in casa con i san Marzano , concentrata al sole sino ad ottenere
un bel pane rosso cupo preziosamente avvolto con foglie di fico e conservata poi nello strutto in una vescica .. di maiale , ed
usata con saggezza perché colorisce molto e va tostata nello strutto.
-pasta : assolutamente pasta di Gragnano in formato calamarata o zitoni spezzati.Rigorosamente solo di acqua e
farina, mai all’uovo.
Questi miei ricordi potranno incontrare idee discordanti, ma tanto fa.!
15 dicembre 2013 - 01:43Rispondi
cmq sia, nel il coccio nella caccavella con la tracchiolella,o senza,con la cotica o senza cotica, ca braciola o senza ca cervellatina o
senza cervellatina, o raù con sugna o con olio è una delle cose che geneticamente appartengono alla napoletanità!bell’analisi del
tutto, ottima la ricetta,alberto capece se ci togli la lussuria la domenica mattina di affondarci dentro la felluccia di pane cafone di
qualche giorno prima ci vuoi morti!lasciaci in pace con il nostro colesterolo buono, quello che ci ammazza quaggiù non è
certamente il ragù!!!!
15 dicembre 2013 - 20:06Rispondi
Massimo
Come è vero che ci sono persone che la poesia ce l’hanno nel sangue ed altre si divertono solo a trovare il modo di criticare
sempre e comunque le vecchie tradizioni (ora sul tipo di pentola, ora sugli ingredienti, ora sulla salute, … ma pesante a
campare!). Non c’è cosa più bella di leggere, di tanto in tanto, una poesia come questa scritta da Bracale (mi emozionavo a
leggerla) dove si scorge tutto l’amore per le vecchie tradizioni e per i tempi andati, che anno dopo anno sono sempre più belli di
quelli che verranno, senza valori e senza amore per le tradizioni. Qualcuno di voi l’ha letta come una semplice ricetta, io invece
mi sono consolato perché l’ho letto come si legge un romanzo, una vecchia storia, … una poesia. Certo oggi sono cambiate tante
cose, ma una volta l’anno mi diverto anche io a preparare ‘o raù (come lo chiamava il buon Eduardo) e, a dire la verità, il rito
inizia di venerdì sera, per approdare alla domenica, che è dedicata solo alle ultime rifiniture. Non preoccupatevi, pentola di
rame, di coccio o di acciaio, l’importante è solo l’amore e la passione che ci mettere ed allora che il risultato è garantito! Ho
notato che qualcuno ha criticato la pancetta o il prosciutto, ma evidentemente confonde quello che si affetta dal salumiere … il
prosciutto cui si riferisce Bracale è quello che si compra dal macellaio, crudo, fresco e non stagionato, .. e vi posso garantire che
il risultato è ottimo poiché dona al ragù un aroma sopraffino. Ricordate che il ragù viene bene solo a chi in cucina si mette per
passione e divertimento e non a chi in cucina si mette per cucinare. Ed allora, agli appassionati come me dico …. pippiate, gente,
pippiate, che poi domenica vi consolate!
25 gennaio 2014 - 23:32Rispondi
barbiemagicacuoca
Ma il ragout e la zuppa forte sono completamente diversi o sbaglio? Su internet spesso si mischiano le cose.
14 aprile 2014 - 13:35Rispondi
Mariarosaria Marino
Claudio
Ore 11:20 di sabato sera; stó preparando il ragú da circa tre ore, sperando di ritrovare lo stesso sapore del ragú di mia nonna
conservato in un cantuccio della memoria. Vi faró sapere. Ho usato la ricetta di Luciano.
10 maggio 2014 - 23:24Rispondi
Luciano Pignataro
carmine
Mi era scappata questa perla,questa chicca del Sig. Bracale, che ritengo e reputo la ricetta migliore per un rraù degno di queste
nome.Leggo anche con attenzione i vari commenti,che sono certamente il segno di una attenzione generalizzata e verso un
sapere gastronomico cosciente e verso una ricerca verso le proprie origini:chi non ha memoria non ha futuro.Ravvedo anche
una serie di dubbi su tecniche salubrita’ e materiali usati.Intanto l’alluminio,quando è puro al 99% mette al riparo da qualsiasi
danno a patto di non far soggiornare la pietanza in esso, in special modo quando possono’ contenere acidi o sali, oltre un certo
tempo.Potrebbero innescarsi reazioni chimiche che possono alterare irrimediabilmente il sapore della preparazione,ma questo
non significa assolutamente che mangeremo particelle di alluminio.Le pentole rivestite in teflon nascono per altre
esigenze,perlopiù per cotture velocissime e non certo per conseguire un rraù.Quindi rame e coccio sicuramente ma l’alluminio
ben si adatta alla preparazione.L’acciaio non lo reputo adatto perchè non è un buon conduttore di calore;l’effetto potrebbe
essere una leggera bruciatura alla base per una concentrazione del calore solo sul fondo della pentola.Sui grassi e sulla
digestione:lo strutto ,che ha lo stesso potere calorico di altri grassi,sia animali che vegetali, è facilmente digeribile al pari degli
altri grassi ed in assenza di disturbi digestivi del singolo.I grassi,in generale,possono provocare quel senso di pesantezza post
prantium quando ,raggiunto il punto di fumo,producono acroleina.composto chimico che impegna oltre le sue possibilità il
fegato.Nel nostro caso lo strutto,la nzogna, rimane ben dentro i limiti pertanto non si dentaura.Solo su un aspetto non sono
d’accordo col sig.Bracale:la carne quando “marcata”(stordita)non chiude i suoi pori ma ,sempre per effetto del calore(ad almeno
140 gradi) fa migrare i suoi liquidi i suoi umori verso l’interno evitando un dilavamento di questi nel sugo,liquidi che a fine
cottura ritorneranno verso i margini del pezzo reidratandolo quanto possibile(la tenerezza di questa dipenderà sempre e
comunque dalle fibre grasse della carne dal collagene dei nervi e dalla opportuna lardellatura).Rinnovo i miei complimenti al
sig.Bracale per questa preziosa ricetta e testimonianza.
11 maggio 2014 - 12:51Rispondi
Antonio
Complimenti, stiamo preparando Sabato, domenica e lunedì e attingeremo dai vostri suggerimenti. Grande don Rafè. Antonio
21 settembre 2014 - 15:00Rispondi
Tonino
Dopo averne lette tante sul ragù napoletano ho maturato una convinzione: la ricetta originale non esiste.
Il ragù è quello che, forse involontariamente, descrive EDUARDO nella famosa, strepitosa, poesia ” ‘o rraù ” cioè, carne c’ ‘a
pummarola.
Si badi, con questo non voglio svilire una tradizione ma, tentare di capire il perché di tante ricette tanto diverse quanto uguali.
L’epoca cui si fa generalmente risalire la nascita del ragù, era caratterizzata da diffusa povertà quindi, ognuno nella salsa di
pomodoro ci metteva quello che poteva, da qui le tante ricette ” di mammà “.
Lodevoli, e poetici, tentativi di codificare la ricetta, ne sono stati fatti ma, sono tutti “inquinati” dall’esperienza personale.
La cucina è un’arte quindi non è codificabile ne replicabile.
Io ogni tanto mi diletto in cucina e vado sempre a braccio tanto che a volte vengono fuori delle piccole opere d’arte, altre volte,
invece, delle vere schifezze.
8 novembre 2014 - 09:45Rispondi
Mario
Salve, mi chiamo Mario, sono nato p crescito per i primi 40 della mia vita a Napoli.
Premettendo che io sono sempre aperto a nuove idee e a rivisitazioni delle ricezze, ma nel Ragù classico napoletano no c’è la
pancetta, il proscitto crudo e la piperna. Non dubito che questi elementi diano maggior sapore, anzi mi viene voglia di provare.
Va bene la cotture, deve “pippiare”, ma all’interno ragù ci vanno le cotenne di maiale fatte ad invotino (ripene di agliom
prezzemolo, formaggio, uva passa e pinoli) avvolti con il grasso all’esterno, e polpette fritte.
La consiglio di fare una piccola ricerca su internet e andare a vedere tutte le opere del grande “de Filippo” o del maestro
“Luciano de Crescenzo”, e altri ancora, in cui nellel loro opere teatrali, e vari scritti, ripropongono la ricetta del Ragù napoletano.
10 novembre 2014 - 12:53Rispondi
Rob
Salve
Chi ha studiato un pó di chimica sa che “sigillare tutti i pori per non far perdere gli umori” non é vero.
la carne si cuoce a fuoco alto per avviare la reazione di Maillard che da quel sapore tipico alla carne alla brace ad esempio.
ma la “crosta” che si forma per via di tale reazione non la sigilla minimamente.
18 novembre 2015 - 02:14Rispondi
carlo organai
La poesia della nostalgia è nella ricetta presentata. Difficlissimo poterla eseguire. Sono intimidito, non mi ci provo nemmeno.
Però leggere il rau’ di Raffaele Bracale mi ha dato un piacere immenso. Grazie.
7 dicembre 2015 - 18:44Rispondi
Carlo Zetta
Salve, mi chiamo Carlo, sono nato e vivo in Brasile (San Paolo, città strapiena di immigranti italiani maggiormente del Sud Italia,
napoletani per di più) mia famiglia di origini padovane ma ho vissuto (ho fatto l’università) a Bologna, dove ho vissuto per 8 anni.
Ho perso il conto di quante volte ho fatto il ragù alla bolognese (con la ricetta depositata dall’Accademia Italiana di Cucina alla
Camera di Commercio di Bologna negli anni 80, per tutelare la “vera” ricetta del ragù bolognese, che ho piu volte mangiato fatto
da preclare e provate nonne Emiliane). Tutto questo per dire che ho provato a fare la vostra ricetta di Ragù Napoletano, che da
tempo cercavo su Internet una ricetta “buona”, “verace” e devo dire la vostra mi ha “convinto”. Ho pure fatto le braciole, coi
pinoli e con l’uvetta, come comanda il padreterno! Ma, nel momento di cucinare, vi informo, mi son trovato meglio con le
pentole di ferro, che qui in Brasile si trovano (grazie a Dio) ancora e non costano tanto come le francesi. Possono essere
benissimo usate sulle piastre a induzione (il mio ragù l’ho fatto metà sulla cucina a gas, le altre 3 ore sulla piastra perché solo li si
riesce la temperatura “a lume di candela”. Se avete le pentole (ferro guisa, nere) di una volta usatele pure, il risultato è
eccezionale!!
26 dicembre 2015 - 21:10Rispondi
Sanfedista
Af
“bestie podaliche”…
Sicuramente potrebbero essere podOliche. Se poi siano state pure podaliche bisognerebbe chiedere a chi le ha fatte nascere…
15 maggio 2016 - 10:24Rispondi
elena mastrosimone
Per “piperna”s’intende la maggiorana,che molti napoletani confondono con il timo,che non ci appartiene come tradizione.
16 maggio 2016 - 21:47Rispondi
Francesco Mondelli
https://www.youtube.com/watch?v=1Ac9UYmq6eY (https://www.youtube.com/watch?v=1Ac9UYmq6eY)
28 novembre 2017 - 03:47Rispondi
luisa
ricetta non corrispondente alla tradizione napoletana le carni devono essere miste, maiale e manzo,non esiste il prosciutto e la
pancetta e certamente non le braciole
26 febbraio 2018 - 14:43Rispondi
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