Sei sulla pagina 1di 7

BUDDHISMO IN EUROPA

Nella storia del buddhismo, sorto in India nel VI sec. a.C. in quel fertile periodo in cui fiorivano in
Grecia Socrate , in Cina Confucio e in Palestina i profeti, l’ arrivo in occidente nel XX secolo ha
rappresentato una nuova svolta in quanto ha messo in contatto questa tradizione millenaria con una
cultura estremamente diversa, , dando luogo a un dialogo proficuo nei due sensi. L'Occidente è
ormai caratterizzato da un’importante presenza di praticanti buddhisti. In Europa gli occidentali che
seguono l'insegnamento del Buddha sono oltre un milione mezzo a cui però si devono sommare
almeno altri due milioni di buddhisti cosiddetti etnici ovvero di origine asiatica prevalentemente
giapponese, cinese, coreana, indocinese e singalese . Le maggiori presenze in Europa si trovano in
Gran Bretagna, in Francia e in Germania; in Italia vi sono circa 50.000 praticanti buddhisti. La
conoscenza e la pratica dl buddhismo nei paesi occidentali è un fenomeno abbastanza recente se
non altro rispetto alla storia plurimillenaria in oriente. Diverse sono state le fasi in cui questa
presenza si è definita e articolata. La prima è stata fondamentalmente una fase teorica caratterizzata
dall'interesse da parte di diversi filosofi a ciò che il Buddha era andato predicando 2.500 anni fa. Un
nome per tutti è quello del filosofo tedesco Arthur Schopenauer che da alcuni è stato definito come
il precursore del buddhismo in Occidente . Le idee sul buddhismo che questi filosofi avevano molto
spesso però erano filtrate dalla loro sensibilità e dall'ambiente postidealistico in cui si muovevano e
pertanto erano state oggetto di interpretazioni non certamente corrette e talvolta fuorvianti. Nel
frattempo in diverse università Europa si erano sviluppati studi filologici molto approfonditi che
permisero la traduzione dei testi dagli originali e con essi la possibilità di conoscenza diretta. In
Francia vi fu l'opera di Eugéne Burnouf, in Inghilterra di W. Rhys Davids fondatore nel 1881 della
Pali Text Society e in Germania di Max Muller. Da questi due esperienze, una filosofica e l'altra
filologica, si è poi passati a una fase di messa in pratica dell'insegnamento del Buddha. All'inizio
questo avvenne soprattutto in ambienti esoterici con la fondazione per es. della società Teosofica
avvenuta nel 1875 in Inghilterra, della società di Amici del Buddhismo fondata a Parigi dall’inglese
Gabrielle Constant-Lounsberry o all'attività in Germania di Gerog Grimm e dei medico Paul
Dahlke. Fino agli anni venti comunque i buddhisti europei autoctoni erano molto pochi, non più di
un migliaio e generalmente non si definivano tali in quanto spesso la loro adesione al buddhismo
era prettamente intellettuale o legata a un approccio personale alle pratiche religiose. Un’ ulteriore
fase cominciò a partire dagli anni 30 per poi diventare effettivamente più evidente dopo la seconda
guerra mondiale e l'arrivo in Occidente di importanti maestri buddhisti dal Giappone per quanto
riguarda la tradizioni zen e, in seguito all'occupazione cinese del Tibet, di importanti lama tibetani
che, su invito di occidentali, vennero in Europa e fondarono diversi centri ed istituti. Una
caratteristica peculiare del presentarsi dei buddhismo in Occidente rispetto a come è avvenuto
classicamente in oriente è infatti il suo arrivo in seguito a una richiesta precisa degli occidentali che
Spesso, dopo il viaggio in oriente di sessantotesca memoria, hanno cominciato a interessarsi non
solo all'aspetto filologico o filosofico del Dharma, ma anche alla tradizioni vivente della pratica
meditativa ovvero ai maestri, ai monaci e agli insegnanti che ne rappresentano l’ aspetto vivo e che
quindi furono invitati a trasmettere la propria esperienza. La diffusione del buddhismo nel corso
della sua lunga storia non si è basata su uno spirito missionario ma fondamentalmente sulla forte
attrattiva dell’ esempio, dei suoi ideali di silenzio e di pace interiore, di capacità di gestione del
malessere e della insoddisfazione esistenziale che sono presenti, come dice il Buddha, nella nostra
comune realtà. In questo modo anche in Europa a partire dagli anni 60 si è cominciata a formare
una comunità buddhista occidentale secondo le diverse tradizioni. Si tratta di un dato molto
importante il fatto che in Europa e in Occidente in generale siano presenti fianco a fianco tradizioni
buddhiste assai diverse tra loro, che operano in continuità e in contiguità e che negli ultimi anni si
sono incontrate avendo rapporti abbastanza stretti e nel complesso proficui, cosa che a causa delle
distanze e delle diversità di cultura non era stato possibile finora nei paesi di origine in oriente.
Molti studiosi infatti preferiscono parlare di buddhismi al plurale riferendosi non solo alle diverse
tradizioni ma al fatto che il buddhismo si è inculturato in regioni e nazioni molto diverse dando
origine a forme specifiche di trasmissione. L'insegnamento del Buddha, come forse sarebbe più
corretto dire, in quanto che il termine buddhismo è una creazione dell'ottocento europeo (è stato
utilizzato per la prima volta nel 1825), l' insegnamento del Buddha è un insegnamento a maglie
larghe vale a dire formato da una base comune, che potremmo definire il nucleo fondamentale o
rigido in cui vi è il cuore dell'esperienza del Buddha e una parte flessibile, che si è adattata e anzi si
è arricchita e ha arricchito in un processo di feed back le diverse società e culture che tale
insegnamento ha incontrato nel suo cammino. Arricchimento che sta avvenendo anche oggi in
Occidente in cui il rapporto di feed back è oltremodo evidente in alcuni campi come per es. la
scienza fisica, la psicologia, l'arte e la ricerca spirituale. Il buddhismo definito da alcuni "umanistico
asiatico" ha travalicato quindi i confini specifici della cultura in cui è nato e si è diffuso in tutta
l'Asia e oggi in Occidente, grazie al suo approccio pratico e diretto in cui all'ortodossia si è sempre
preferita l'ortoprassi. La sua capacità di accogliere al proprio interno le esperienze diverse e
specifiche dei popoli con cui è venuto in contatto e le culture in cui si è radicato deriva appunto
dalla sua adattabilità e dalla sua capacità di osmosi con gli influssi che ne hanno arricchito
l'esperienza. Non essendo una religione del libro né una religione di un paese o di un'etnia il
buddhismo si è potuto adattare alle realtà culturali più varie dando vita a veicoli diversi, che ne
hanno fatto una religione aperta e capace di risposte nelle condizioni più varie. Ecco perché è stato
possibile diffondere l'esperienza del Buddha anche in una società così lontana sia nel tempo che
nello spazio rispetto all'insegnamento originale, ma in realtà così vicina a tale insegnamento in
quanto stessa espressione della necessità di trovare una via di liberazione o di uscita dallo stato di
fondamentale insoddisfazione in cui l’uomo si trova anche oggi qui in Europa. Una via di
liberazione, una via salvifica e per tale motivo il buddhismo non può essere considerato come alcuni
hanno fatto soltanto una forma di filosofia ogni scienza dello spirito ma è una via di salvezza e in
questo senso un’esperienza religiosa . L'unione buddhista europea L'esperienza europea come
dicevamo è un'esperienza giovane e diversa a seconda che un paese abbia avuto contatti diretti con
l'Oriente o con orientali residenti come la Francia o l'Inghilterra oppure come l'Italia o la Svizzera in
cui tali contatti sono stati sporadici e tardi. Negli anni sessanta, anche sulla scia dell’analogo
processo che stava avvenendo negli Stati Uniti, si sono cominciate a formare comunità di praticanti
più definite e esplicitamente legate a scuole buddhiste e a rappresentanti presenti in Europa o
invitati regolarmente, negli anni settanta e ottanta tali comunità buddhiste europee si sono
consolidate socialmente e hanno sentito il bisogno di conoscersi e di incontrarsi. Su tale spirito si è
fondato il lavoro di alcuni pionieri come il giudice francese Paul Arnold o l'inglese Arthur Burton
Stibbon e l'italiano Vincenzo Piga, che si sono adoperati per costituire un organismo comune che
potesse essere di supporto e di stimolo alle diverse realtà nazionali. Con tale spirito è stata creata a
Londra nel 1975 la European Buddhist Union (EBU). La sua genesi è stata lunga e risale agli anni
trenta quando in Germani era stata creata una similare associazione che raggruppava diverse
tradizioni buddhiste presenti in Europa ma che, vista la situazione politica dell’epoca, ebbe scarsa
diffusione. Dopo la seconda guerra mondiale vi fu un periodo di transizione fino al rinascere
dell'interesse a creare un'Unione Buddhista sull'esempio dell'unità politica proposta dalla Comunità
Europea e alla metà degli anni settanta si arrivò a concretizzare tale idea. L'Unione Buddista
Europea (EBU) è un'organizzazione apolitica e senza fini di lucro che raccoglie centri, gruppi,
federazioni buddhiste e unioni nazionali, che operano in Europa ed è aperta a tutte le scuole o
tradizioni buddhiste in uno spirito non settario e rispetto delle diversità , come si afferma nel
preambolo che ogni membro deve sottoscrivere entrandone a far parte. I suoi scopi principali,
secondo lo statuto sono di “promuovere l'amicizia e incoraggiare la cooperazione tra i buddhisti in
Europa”, di rendere possibile ai buddhisti di lavorare in armonia e sinergia, di incontrarsi e
cooperare, di promuovere lo sviluppo di relazioni amichevoli tra le organizzazioni e di conseguenza
di cooperare su temi di interesse comune per sostenere la naturale crescita e sviluppo del buddhismo
in Europa in uno spirito di incontro, sinergia e reciproco rispetto. Nel 1990 la costituzione
dell'Unione è stata rivista anche nello spirito dell'Unione Europea che in questi anni ha sempre più
avuto seguito e consenso nei paesi europei. All’interno dell’EBU sono oggi presenti unioni
nazionali come quelle di Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Olanda, Portogallo,
Spagna e Svizzera , i maggiori network e organizzazioni internazionali e nazionali come la Friends
of the Western Buddhist Order (FWBO), la Foundation for the Preservation of Mahayana Tradition
(FPMT), Riga-pa, la Congregazione Dachang Rime, l’AZI (Association Zen Internazionale) ecc. La
costituzione dell'Unione è però aperta all'adesione di singoli centri con un “numero ragionevole” di
aderenti, che operano con impegno duraturo nelle attività di pratica . Sono infatti membri anche
singoli centri che lavorano localmente e che spesso fanno anche parte delle unioni nazionali, ma che
nel contempo vogliono sostenere direttamente l'opera dell'UBE. Inoltre vi sono alcuni paesi, come
la Gran Bretagna, in cui non sono presenti unioni o federazioni nazionali e le istituzioni di tali paesi
aderiscono all’EBU in modo diretto Un discorso a parte va fatto per i paesi dell'Europa orientale in
cui oggi, dopo la caduta del muro di Berlino, i gruppi buddhisti sono usciti dalla clandestinità in cui
hanno operato talvolta per anni e hanno cominciato a fare attività pubbliche, invitare maestri,
suscitando notevole interesse nell'opinione pubblica. L'EBU sostiene da sempre tali centri e un buon
numero di paesi dell'est europeo sono oggi rappresentati all'interno dell'EBU. Nel 1992 è stato
organizzato un Congresso internazionale con una forte partecipazione in Germania proprio a
Berlino Est sul tema “Unità nella diversità” per sottolineare la nuova realtà buddhista, che sta
prendendo corpo anche nell'Europa orientale. Per quanto riguarda la presenza numerica di buddhisti
Europa abbiamo detto che sono circa un milione e mezzo. Tale numero si basa sulle informazioni
che vengono dalle diverse unioni nazionali e dalle associazioni internazionali ma è comunque
abbastanza vago in quanto che nelle buddhismo non vi è un atto ufficiale di conversione e pertanto
non vi è un registro di buddhisti. Quando si definisce qualcuno praticante normalmente si considera
chi da almeno due o tre anni ha preso Rifugio nel Buddha, Dharma Sangha, atto fondamentale per
essere considerati buddhisti, e segue con costanza la pratica frequentando gruppi, seminari, ritiri.
Esiste un notevole numero di simpatizzanti che seguono saltuariamente le attività, ma che non
possono essere considerati all'interno della comunità. Queste adesioni superficiali, di rapido
consumo da supermarket spirituale hanno dei picchi durante momenti in cui, per vari motivi i mass
media, riprendono i temi della spiritualità orientale, vedi uscite di film, culture alternative, New
Age, visite del Dalai Lama ecc.. Le istituzioni buddhiste spesso hanno difficoltà a controllare questo
fenomeno in quanto esse si basano più sull'esempio personale o su uno spirito di accoglienza
amorevole, che non su una struttura organizzativa capace di richiamare i nuovi adepti, di seguirli da
vicino. Sono certo dei limiti organizzativi, ma rispecchiano la tradizione buddhista che è lontana dal
proselitismo istituzionalizzato. Nelle associazioni generalmente non si pone l'accento sul numero
dei propri praticanti quanto sulla qualità e sulla loro motivazione, che rende loro possibile quel
lavoro paziente da " bravo artigiano" che è il lavoro spirituale, il quale richiede attenzione,
perseveranza, cura del particolare e amore per ciò che si sta facendo. Il lavoro dell'EBU negli anni è
stato compiuto in questo spirito “artigianale” ed è stato soprattutto di raccordo e di reciproca
conoscenza fra le diverse realtà buddhiste e si svolge attraverso incontri, scambi e commissioni di
lavoro su temi di interesse generale. Annualmente alla fine di settembre si tiene un incontro
generale ospitato da un centro ogni volta di una nazione diversa per favorire lo scambio e il senso di
appartenenza a una comunità buddhista europea, che comincia ad identificarsi come tale al di là
delle scuole di origine e di appartenenza Oltre agli incontri annuali l'EBU ha sostenuto gli incontri
degli insegnanti buddhisti occidentali o orientali che operano in Europa in lingua occidentale sulla
spinta del Dalai Lama e degli incontri di tale tipo avvenuti a Dharamsala. Gli incontri degli
insegnanti sono a scadenza biennale e sono stati tenuti nel 1994 in Francia ospiti dell'Institut Karma
Ling, nel 1996 in Germania presso il Kamasila Institut entrambi di tradizione Vajrayana e nel 1998
in Francia presso La Gendronniere, di tradizione zen. Il prossimo sarà ospitato dal WBO (Western
Buddhist Order) in Inghilterra. Altre attività si ampio respiro sono stati i Congressi Internazionali
(Parigi 1979, Torino 1984, Parigi Unesco 1988, Berlino 1992, Parigi UNESCO 2000), la creazione
di una European Buddhist Directory con un repertorio di oltre mille centri buddhisti operanti in
Europa e un sito internet. Altro ambito di lavoro è stato quello relativo all'educazione che ha visto
operare una Commissione per l'educazione con lo scopo di incoraggiare lo sviluppo di un network
di corsi di studio a livello universitario come l'UBE (Université Bouddhique de Paris) ed esperienze
simili in altri paesi, di promuovere la comprensione del Buddhadharma a livello universitario
elaborando standard per i corsi. Un discorso a parte va fatto sulle motivazioni che spingono
all'adesione degli europei al buddhismo. Certamente sono varie. Normalmente si proviene una
tradizione cristiana, vissuta spesso in modo superficiale e convenzionale o da uno stato di
agnosticismo generalizzato. Da qui la domanda fondamentale: che cosa d'insegnamento del Buddha,
nato un tempo così lontano e in un luogo ancor più lontano, può dire all'uomo occidentale del
ventunesimo secolo? La risposta forse più chiara è stata data in varie occasioni dalla XIV Dalai
Lama, una delle figure più note del buddhismo soprattutto attraverso i Mass media, che così si è
espresso :" Mi viene spesso chiesto se le dottrine e le pratiche del buddhismo siano adatte a gli
occidentali. Come tutte le religioni insegnamento del Buddha tratta i problemi fondamentali
dell'uomo: dunque fino a che noi uomini in tutte le latitudini sperimenteremo le sofferenze più
elementari proprie al fatto di essere uomini come la nascita, la malattia, la vecchiaia e la morte,
questa domanda troverà da sé la risposta." Un dato fondamentale è la percezione da parte di chi si
avvicina ai centri europei del carattere non dogmatico e dottrinale dell'insegnamento buddhista. La
pluricentenaria elasticità e disponibilità a rimettere in discussione le proprie forme culturali ha
infatti rappresentato per il buddhismo un'eredità preziosa nell'affrontare l'incontro con una civiltà
complessa e in rapida trasformazione come la nostra. Senza mettere in discussione i propri assunti
fondamentali, il Buddhadharma non perde mai di vista la relatività delle formulazioni concettuali e
delle norme e la loro funzione di mezzi abili (upaya kausalya) per il raggiungimento del risveglio e
quindi resta aperto alle varie formulazioni, che vanno incontro alle nuove esigenze emergenti dalle
diverse culture con cui entra in contatto. Un altro aspetto che viene evocato è la spinta che viene
data alla coltivazione di modalità sperimentali di comprensione intuitiva e metarazionale accanto
all'uso del pensiero logico-discorsivo, per cui si privilegia la pratica interiore e personale a cui
vengono offerti sofisticati strumenti meditativi per accedere a un'esperienza diretta del sacro. Altra
motivazione molto viva in chi si è avvicinato alla pratica buddhista negli anni settanta è stata la
tendenza antiautoritaria dell'insegnamento, che argina i rischi di una centralizzazione
istituzionalizzata e coltiva il rispetto verso la pluralità degli indirizzi religiosi all'interno e all'esterno
del buddhismo. In tale visione viene accentuata la responsabilità individuale piuttosto che l'adesione
acritica a leggi o argomentazioni e quindi si propone un'etica in cui la disciplina non ha carattere
normativo ma viene indicata come medicina per superare il proprio stato di insoddisfazione
esistenziale e di malessere. Altra motivazione per alcuni è stato il rapporti vivo con le scienze
contemporanee e quindi l'acquisizione da parte del buddhismo di un linguaggio comprensibile agli
occidentali, specie in campo psicologico e epistemologico. Non ultimo poi vi è la presenza in
Occidente di maestri qualificati sia di origine orientale che occidentale, che rendono la via di
realizzazione proposta autentica e completa in quanto vivente. Scopo dell'EBU in tale ambito è di
offrire uno spazio di confronto e di rapporto diretto fra tutti coloro che hanno fiducia nella via
tracciata dal Buddha, un via universale tracciata da un grande uomo per tutti gli altri uomini.
Europei e non. Unione buddhista italiana L'esperienza buddhista italiana rispecchia in gran parte ciò
che è accaduto in altri paesi europei anche se è stata più tarda, come molto spesso è accaduto anche
per altri fenomeni culturali e sociali forse per un maggior spirito conservatore e tradizionalista. Nel
secondo dopoguerra a Torino fu organizzato da Eugenio Frola, traduttore di testi buddhisti dagli
originali in pali, un gruppo che si riuniva a meditare secondo la tradizione theravada del sud-est
asiatico. Tale tradizione aveva già avuto in Italia una presenza con Salvatore Cioffi (1897-1966) un
italo americano di origini napoletane che vestì l'abito monastico in Birmania e in India. Altra figura
di pioniere fu il professor Giuseppe Tucci (1894-1984) fondatore dell'ISMEO (Istituto Italiano per il
Medio e Estremo Oriente) oggi IsIAO (istituto Italiano per l’Africa e l?oriente) e insigne
orientalista, che ebbe regolari rapporti con il Tibet e l'Asia centrale e riportò in Italia testi preziosi e
reperti che oggi costituiscono il fondo del Museo Nazionale d'Arte Orientale di Roma, salvandoli
dalla distruzione dopo l'invasione cinese del 1959 e i seguenti periodi della rivoluzione culturale. Il
professor Tucci non solo fu un profondo studioso della tradizione buddhista soprattutto delle scuole
mahayana e vajrayana, ma fu anche animato da un profondo interesse personale e invitò in Italia
importanti figure di maestri e studiosi orientali, che hanno concorso alla conoscenza e alla
diffusione della pratica buddhista nel nostro paese e anche in Occidente. Tra questi geshe Jampel
Senghe, che lavorò per anni all'Ismeo nella classificazione e traduzione dei testi tibetani salvati da
Tucci e fondò l'Istituto Samanthabadra di Roma e Chogyal Namkhai Norbu, che insegnò per anni
tibetano e lingue mongole all'Università di Napoli e che oggi è l'ispiratore e la guida spirituale di
uno dei gruppi di tradizione buddista più consistenti nel nostro paese, la Comunità Dzog Chen di
Merigar (Arcidosso), presente anche in Australia, America del Nord e del Sud e in vari paesi
europei. Sempre negli anni sessanta l'ing. Luigi Marinelli fondò a Firenze l'Associazione Buddhista
Italiana, collegata con la Buddhist Society di Londra, e nel 1967 iniziò la pubblicazione della prima
rivista buddhista italiana: Buddhismo Scientifico. Ma è negli anni settanta, sulla tarda scia degli
stimoli provenienti dagli altri paesi europei e dagli USA e sul flusso del "viaggio in India " di alcuni
reduci del movimento sessantottesco, che si è assistito a una progressiva espansione dell' interesse
per il buddhismo e a una sua presenza con praticanti e gruppi che cominciarono ad invitare in Italia
i maestri asiatici, con cui erano venuti in contatto in oriente. Le prime riunioni avvennero in case
private o in luoghi affittati, generalmente a Milano e Torino, città con una maggiore presenza di
interessati e di benefattori. Si trattava di un fenomeno marginale e spesso assimilato nell'opinione
pubblica a tutte le scuole e i movimenti di provenienza orientale, senza una sua fisionomia precisa.
Tale fisionomia è stata lentamente acquisita nel corso degli anni ottanta, che hanno visto il sorgere
di centri stabili e di comunità, grazie anche a numerosi benefattori, soprattutto nel centro nord, alla
presenza di numerose pubblicazioni sull’argomento e al diffondersi di una migliore conoscenza del
buddhismo da parte dell'opinione pubblica dovuta in gran parte al Premio Nobel per la Pace
assegnato nel 1989 al XIV Dalai Lama e ai vari film su temi buddhisti dal Piccolo Buddha di
Bertolucci ai più recenti Sette anni in Tibet di Annaud e Kundun di Scorsese. I mass media hanno
cominciato ad essere più precisi nella definizione del movimento buddhista nel suo insieme, il che
ha permesso di cominciare a distinguere il buddhismo dagli altri movimenti orientali e dalla New
Age, anche se c'è tuttora a livello di opinione pubblica molta confusione come ad esempio si tende
ancora ad assimilare il Dalai Lama, capo specifico di una scuola buddhista, al Papa, e considerarlo
quindi il capo di tutti i buddhisti o pensare che il massaggio shiatzu giapponese e zen siano la stessa
cosa.. Le linee di trasmissione essenziali del buddhismo in Italia sono state quelle della tradizione
theravada o del sud est asiatico, del Mahayana zen e chan cinese, del Vajrayana con le scuole
ghelugpa, kagyupa, nigmapa e sakyapa: Queste ultime rappresentano quantitativamente la
maggioranza dei centri, dato dovuto anche alla presenza in Europa di numerosi insegnanti e maestri,
profughi dal Tibet. Accanto a queste tradizioni classiche , si è assistito al diffondersi di una
particolare accezione del buddhismo mahayana, che si richiama al pensiero di Nichiren Daishonin,
vissuto in Giappone nel XIII secolo, presente in modo molto consistente nel panorama buddhista
italiano: il movimento della Soka Gakkai, attivo nel nostro paese dalla fine degli anni settanta . A
partire dall'inizio degli anni ottanta i vari gruppi hanno cominciato ad uscire dal proprio isolamento
ed è nata l'idea di una associazione sovratradizioni che potesse fungere da interlocutore con le
autorità e da tramite per i vari centri. Dopo alcuni tentativi nel 1984 sulla spinta di Vincenzo Piga,
(1921-1998), uno dei fondamentali autori di tanta storia del buddhismo in Italia, iniziarono le prime
riunioni preparatorie per la compilazione dello statuto di quella che sarà l'Unione Buddhista Italiana
(UBI), che vedrà la luce il 17 aprile del 1985 a Milano con la partecipazione di 9 centri di diverse
tradizioni. In una successiva riunione a Pomaia all'Istituto Lama Tsong Khapa il 25 gennaio 1986
altri nove centri aderirono all'Unione, che elesse il suo primo presidente: il monaco Giuseppe
Molinari. Attualmente i centri che aderiscono all'UBI sono trentasei e rappresentano le tradizioni
theravada, zen e vajrayana. Sono prevalentemente dislocati nel centro nord e ad essi fanno capo la
grande maggioranza dei circa 50.000 praticanti italiani, una cifra che non comprende i buddhisti
etnici oggi immigrati nel nostro paese e che hanno cominciato a creare dei centri propri con rapporti
diretti con l'UBI. L'UBI sin dalle sue origini si è sempre posta come un' Unione di centri e non
rappresenta un'unica scuola buddhista particolare ma si propone di sostenere l'insieme del
movimento buddhista italiano nel "rispetto di tutte le tradizioni della Dottrina in tutte le sue
articolazioni" (Art. 2 dello Statuto). Le finalità dell'UBI, così come sono delineate dall'art 4, sono
molteplici: “riunire ed assistere i diversi gruppi buddhisti italiani, contribuire alla diffusione degli
insegnamenti e delle pratiche della Dottrina buddhista nelle sue diverse scuole e tradizioni, in
particolare con azioni di sostegno, incoraggiamento e coordinamento delle iniziative dei diversi
gruppi buddhisti, sviluppare la collaborazione fra i gruppi delle diverse scuole, favorire il dialogo
con le altre comunità religiose e in generale con i centri di impegno spirituale, come pure con
istituzioni culturali su argomenti di interesse comune, coltivare i rapporti con l'Unione Buddhista
Europea, la Federazione mondiale dei buddhisti ed altre organizzazioni buddhiste estere ed
internazionali, gestire o promuovere attività didattiche sul buddhismo nel contesto della storia delle
religioni”. Dall'insieme delle finalità è chiaro il carattere associativo dell'Unione, che rappresenta
solo ed esclusivamente i centri associati e non ha mai rivendicato la rappresentanza generale del
movimento buddhista italiano, che dovrebbe essere conferita da una "volontà generale", che in
questo caso probabilmente non esiste e non può esistere. Lo spirito associativo è quindi la base del
lavoro comune, in quanto viene sempre sottolineata l'autonomia dei centri sia a livello di gestione
che di insegnamento. Per favorire la comunicazione si è cercato di creare in una serie di reti di
centri buddhisti delle diverse tradizioni che operano nello stesso territorio. Sono state così attivate la
rete buddhista piemontese, che opera da alcuni anni e recentemente una rete in Lombardia, regioni
in cui la presenza buddhista è al momento più ricca. I diversi gruppi di praticanti, appartenenti
all'UBI e non, si riuniscono alcune volte l'anno e hanno momenti di meditazione e di scambio che
stimolano il dialogo a la creazione di attività comuni. In Italia e ugualmente all'interno dell'UBI la
presenza più numerosa è quella dei centri di tradizione mahayana vajrayana più comunemente
conosciuta come tibetana. Tale fatto è anche dovuto alla fuoriuscita del tibetani dal loro paese un
seguito all'invasione cinese del 1959 e alla la fuga del Dalai Lama dal suo paese con numerosi
monaci, che successivamente su invito e sostegno di discepoli occidentali hanno lasciato l'India e
hanno creato centri e monasteri in Occidente. Nel nostro paese troviamo diverse tradizioni tibetane:
la scuola Ghelugpa o scuola riformata di lama Tsong Khapa che riconosce il Dalai Lama come
proprio capo e guida spirituale, la scuola Kagyupa o della tradizione orale, la scuola Sakya e la
scuola Nygmapa o antica.. Altra tradizione presente in Italia sempre legata al Mahayana è lo zen
soto e in misura minore zen rinzai di origine sino giapponese e ben conosciuti anche per i rapporti
con le diverse forme di pensiero e di arte occidentale. La tradizione degli anziani o Theravada è
presente con comunità laiche legate ad esperienze esistenti negli Stati Uniti e in oriente, che curano
molto l'approccio psicologico alla pratica e con alcune realtà monastica che operano in stretto
contatto con gli asiatici immigrati nel nostro paese (Sri Lanka, Thailandia, Birmania), i quali si
ritrovano nei monasteri per le feste religiose, momenti di aggregazione assai importanti. Ogni
centro fa capo a una guida spirituale o a un insegnante qualificato e delegato da essa. Generalmente
nei centri tibetani vi è la presenza di un lama, che garantisce la trasmissione ma negli ultimi anni
sono stati anche incaricati dell'insegnamento diversi occidentali, che hanno seguito il tradizionale
iter di studio e di pratica richiesto dalla tradizione e che sono stati riconosciuti capaci di poterla
trasmettere. È un dato molto importante in quanto che è la presenza di insegnanti e europei è indice
di una reale radicamento dell'esperienza buddhista in Occidente, che sta sviluppandosi in modo
autonomo e quindi vitale. Inoltre il fatto che questi insegnanti siano stati educati nella cultura
occidentale e quindi ne riconoscono i valori fondamentali e la sua ricchezza permette loro di poter
più profondamente produrre quel legame tra tradizione orientale e cultura Occidente, creando
quindi dei modi di trasmissione più vicini e più comprensibili agli Occidente. È un punto chiave
nella possibilità che il buddhismo diventi non tanto una realtà esotica in Occidente ma una realtà
integrata nell'occidente. Dal 1987 l'UBI fa parte dell'Unione Buddhista Europea e dal 1991 è stata
riconosciuta come ente religioso. La sede in origine è stato l'Istituto Lama Tsong Khapa di Pomaia,
uno dei più antichi centri vajrayana operanti in Italia e successivamente nel 1991 è stata trasferita a
Roma per facilitare i rapporti con le istituzioni. L'UBI infatti fin dal 1986 ha richiesto allo stato
italiano l'Intesa che, dopo un difficile cammino è stata firmata il 20 marzo 2000 con il presidente
D'Alema e che oggi è all'esame della camera dei deputati per essere convertita in legge come
prevede l'articolo 8 della costituzione. Quando questo accordo diventerà legge dello Stato sostituirà
nei confronti dell'UBI e dei centri che essa rappresenta la normativa dei culti ammessi a cui ancora
si deve sottostare. Tale intesa costituisce una novità infatti per la prima voltalo Stato italiano ha
avuto come interlocutore una religione che non proviene dalla tradizione ebraico cristiana con cui
finora si era trattato ma che nasce in un contesto totalmente diverso con presupposti religiosi anche
essi lontani dalla concezione religiosa del libro. Un accordo come è stato evidenziato che giunge in
un momento in cui l'Italia deve tener conto della presenza di realtà diverse sia religiose che etniche
o culturali. Intesa si sviluppa su linee guida comuni ha le altre già stipulate ma rappresenta alcune
novità. Per i praticanti italiani sarà possibile avere l'assistenza spirituale in ospedale, in carcere e
nelle caserme, si prevede l'istituzione di una festa buddhista, la festa del Vesak che verrà celebrata
l'ultimo sabato e domenica di maggio e sarà possibile il trattamento dei defunti secondo le regole
previste da alcune tradizioni buddhiste. Inoltre è prevista la partecipazione alla ripartizione della
quota del 8 per mille del gettito Irpef, la possibilità di dedurre dalla reddito imponibile delle persone
fisiche fino a due milioni di lire l'anno per erogazioni liberali a favore dell'UBI. Altri articoli
dell'intesa interessano specificamente l'identità buddhista come la tutela delle regole tradizionali per
il trattamento delle salme, il rispetto di luoghi di culto e le figure dei ministri di culto e degli
assistenti spirituali. Con la firma di questa intesa il governo italiano ha fatto un passo avanti
nell'attuazione di quanto prevede l'articolo 8 della costituzione per il pieno riconoscimento della
libertà religiosa in una visione di rispetto delle differenze e di incontro di culture e religioni diversi.
È questo un tema che in epoca di integralisti di vario genere non deve essere sottovalutato ma che
deve essere spunto anche di interventi educativi e di informazione per contribuire a una cultura di
pace in cui finalmente la diversità si è vissuta come ricchezza e non come elemento di ostacolo e di
separazione.

Potrebbero piacerti anche