Sei sulla pagina 1di 174

iii».

_ '-"~‘:~' r

'- ..

.__,
If-1'

|l_|

_ 5

Y T
‘.4-.-1""-1
|'. 5":-_
"E 1 I |

-_"-L 5* '
4- zlq:
. *‘ _
‘nun
.'-‘N:

‘ii-.
t '\

.' I

_-.
.'.-v _
'1"-Iiiu
' ‘F R
I-.
I §._ _
13$-."'.
-_-s

in

--‘F
'1
\"
,,=1-11!;-A,_J=#»%
;;.I' I "r __Ws_’, 3mv1;a'_;t-ug-
1 3 _-L _ _
. _-i___
-
_

., .-
i‘

_
___ -‘:1’.-" '_
H ..__,_._
_‘_‘—-—. .

4-.

:
FI'._,-'- _' |‘ _*'*————-..,
‘F-..""'.. -.--._ “-“\"-1* | '-
1 '__'r~_-_"'.' .
._Y- - _-“'0;
. ’_ v -rm
_|_ 5. I
é
.__-'
- '_I -'_
'J_‘-""£\ -|-2 -1.; -_ .
Au. 1-H’!-I. a|v¢'z§':' Rf.‘ 1;
_:- __ _ -P
41. —» _ - _Jr:" '
-1... ' _.;_ .-
A- -’ r. '
. L ’“*i~&*=@*"-
‘ w
-xiv‘.
' .'4 —
pa. _ — _i_'_
__ i _~\-
V ' '3 '-
. ..__. .7 - - ; _ .--K ”T.;' ----.--I .-L"
' '“.'_"'
Table of Contents
Il libro
L’autore
Frontespizio
Prefazione. di Jack Kornfield
NUTRI I TUOI DEMONI
Introduzione
Parte prima. LA PRATICA ANTICA
1. Incontrare il demone
2. Alla scoperta della pratica
3. Cosa sono i demoni?
I demoni sono sempre degli ostacoli?
Parte seconda. NUTRIRE I DEMONI
4. Come nutrire i demoni
Preparare la scena
I cinque stadi per sfamare i demoni
5. Mettere in pratica i cinque stadi
La storia di Kate
Tenere un diario del demone
Affrontare la resistenza
Chiedere aiuto
Sfamare i demoni con un partner
I cinque stadi con un terapeuta
Usare i cinque stadi insieme ad altre pratiche di meditazione
Il mantenimento
6. Idra: un complesso di demoni
7. Lavorare con i demoni attraverso l’arte e le mappe
I cinque stadi con il disegno e la pittura
Lavorare con la creta
Le mappe dei demoni
Le mappe del corpo
Parte terza. TIPI DI DEMONI
8. I quattro demoni di Machig, gli dèi e gli dèi-demoni
I demoni esterni
I demoni interni
I demoni dell’esaltazione
I demoni dell’egocentrismo
Gli dèi e gli dèi-demoni
9. I demoni della malattia
La storia di Fred
Sfamare i demoni della malattia
I demoni carnivori della malattia

2
10. I demoni della paura
I demoni della fobia sociale
La paura della perdita
I demoni della sindrome da stress post-traumatico
Un demone del panico
11. I demoni dell’amore
I demoni che bloccano le relazioni
Gli dèi-demoni delle relazioni
La proiezione dei demoni
12. I demoni della dipendenza
I demoni dell’abuso di sostanze
I demoni del superlavoro
13. I demoni dell’abuso
14. I demoni familiari
15. I demoni della mente
I demoni della rabbia
I demoni del perfezionismo
I demoni della depressione
I demoni della vergogna
I demoni dell’ansia
I demoni dell’inautenticità
16. I demoni dell’esaltazione
I demoni mondani dell’esaltazione
I demoni spirituali dell’esaltazione
17. Il demone dell’egocentrismo
Parte quarta. APPROFONDIRE IL LAVORO CON IL DEMONE
18. La liberazione diretta
19. I demoni nel mondo più ampio
I demoni collettivi della famiglia
I demoni delle organizzazioni
I demoni politici
Postfazione. Dalle ultime istruzioni di Machig
Appendice. Versione abbreviata dei Cinque stadi per nutrire i demoni
La preparazione
Primo stadio: trovare il demone
Secondo stadio: personificare il demone e chiedergli di cosa ha bisogno
Terzo stadio: diventare il demone
Quarto stadio: sfamare il demone e incontrare l’alleato
Quinto stadio: riposare nella consapevolezza
Approfondimenti bibliografici
Ringraziamenti
Copyright

3
Il libro
Depressione, ansia, malattia, disordini alimentari, relazioni difficili, paura, rabbia, dipendenza. Quali che siano i tuoi demoni, più
li combatti e più questi diventano forti. Per liberartene, non devi opporti a loro, devi nutrirli.
È il messaggio della famosa monaca buddhista americana Tsultrim Allione, che ci spiega come rovesciare completamente il
nostro punto di vista e la nostra strategia per raggiungere la serenità interiore e superare i nostri punti deboli. Facendosi portavoce
dell’antica tradizione di saggezza femminile dei monasteri tibetani, la Allione diffonde con questo libro un rivoluzionario metodo
in cinque step per trasformare le emozioni negative, interrompere le battaglie che ci fanno stare male e conquistare la pace
interiore.

4
L’autrice
Tsultrim Allione è stata una delle prime donne americane a essere ordinata monaca secondo la tradizione tibetana. Ha studiato
per anni nei monasteri dell’Himalaia prima di tornare in Occidente, dove si è sposata e ha avuto tre figli. Autrice del bestseller
Donne di saggezza, nel 1993 ha fondato in Colorado il centro di meditazione Tara Mandala ed è oggi una delle insegnanti
buddhiste occidentali più rispettate a livello internazionale.

5
Tsultrim Allione

6
NUTRI I TUOI DEMONI
Risolvere i conflitti interiori con la saggezza del Buddha
Traduzione di Chandra Livia Candiani
Prefazione di Jack Kornfield
MONDADOBI

7
Prefazione
La maggior parte dei templi buddhisti ha statue di demoni feroci a guardia delle sue porte. Per
entrare nello spazio sacro del tempio bisogna passare in mezzo a loro, perché tutti noi esseri
umani dobbiamo raggiungere un accordo con i demoni della paura, dell’aggressività, della
tentazione, dell’ignoranza e con le loro schiere, se vogliamo vivere una vita libera e sacra. Non
possiamo ignorarli.
In Nutri i tuoi demoni Tsultrim Allione ha compiuto una notevole impresa di traduzione culturale
e ha offerto al mondo occidentale un nuovo tesoro. Ha scelto un grande e antico lignaggio di
pratica relativamente sconosciuto e lo ha tradotto in una forma moderna e accessibile, senza
comprometterne l’essenza né dissiparne il potere. Con quest’opera ha messo a frutto la
profondità dei suoi quarant’anni di formazione buddhista, le sue capacità di lama esperto e di
visionaria, la sua raffinata comprensione della psiche occidentale, e la sua coscienza impavida,
permeata dei due mondi del Tibet classico e della vita moderna.
La trasformazione dei nostri demoni è un bisogno universale. A tutti noi succede di soffrire a
causa dei demoni personali, che si tratti di quelli della confusione, della rabbia, dell’odio di sé o
del trauma, della brama o della perdita. A livello collettivo, la forza di questi stessi demoni crea
un’enorme sofferenza sulla terra, tra cui le continue guerre, il razzismo, la devastazione
ambientale, la fame diffusa e nient’affatto necessaria, e le malattie. Per alleviare queste forme di
sofferenza, noi esseri umani dovremo affrontare alla radice i demoni dell’avidità, dell’odio e
dell’illusione. I cambiamenti politici e scientifici non saranno in grado di mettere fine a queste
sofferenze se non impariamo a lavorare con i nostri demoni, individualmente e collettivamente.
Il chiaro insegnamento di Tsultrim Allione offre un potente metodo per riuscire a farlo. Con
grande precisione e accuratezza, Allione ci mostra come si possa trasformare l’energia della
dipendenza, della vergogna, della malattia, dell’ansia, della paura e della rabbia in energia della
liberazione.
Al centro della realizzazione buddhista sta proprio questa trasformazione, la scoperta che la
liberazione può essere trovata esattamente lì dove siamo, non evitando le sofferenze della vita
ma volgendosi verso di esse con un grande cuore colmo di compassione. E smettendo di
aggrapparci alla sofferenza, impariamo a trasformare la sua energia e a trovare la libertà nel bel
mezzo di essa.
La storia buddhista racconta che dopo molti anni d’insegnamento il Buddha invitò i suoi seguaci
più risvegliati a portare nel mondo la lampada degli insegnamenti della liberazione e della
compassione. Li incaricò di tradurre questi insegnamenti nelle lingue locali di ogni paese, così da
essere di aiuto a tutti.
In Nutri i tuoi demoni Tsultrim Allione ha fatto in modo meraviglioso la stessa cosa. Che le
benedizioni e la liberazione offerte da queste pratiche di trasformazione dei demoni possano
liberare il vostro cuore, essere di beneficio a tutti gli esseri e condurre alla guarigione e al
risveglio del mondo. Così sia.
Jack Kornfield 1

1. Psicologo buddhista, fondatore del centro di meditazione Spirit Rock a Woodacre, in California.

8
Nutri i tuoi demoni
Per la mia preziosa madre, Ruth,
radioso esempio di compassione
e amore incondizionato della mia vita,
e per la Grande Madre, Prajnaparamita,
la mente simile al cielo, la nostra vera natura

9
Introduzione
Nutrire i demoni anziché combatterli può sembrare in contraddizione con l’approccio occidentale
convenzionale verso ciò che ci aggredisce, ma finisce per rivelarsi un sentiero notevolmente
efficace per la pace interiore e la liberazione. I demoni sono le nostre ossessioni e paure, le
malattie croniche o problemi diffusi come la depressione, l’ansia e le dipendenze. Non sono
fantasmi assetati di sangue che ci fanno la posta nei luoghi bui; sono dentro di noi, sono le forze
che combattiamo in noi stessi. Sono nemici interiori che minano le nostre migliori intenzioni. Il
metodo di dare forma a queste forze interiori e di sfamarle anziché combatterle è stato
originariamente elaborato da una maestra buddhista dell’XI secolo, Machig Labdrön. Le date
della sua vita sono incerte e variano a seconda delle fonti, ma molti studiosi ritengono che sia
nata nel 1055 e che visse felicemente fino a novant’anni. La sua pratica spirituale era chiamata
Chöd (da pronunciare “ciöh”), che significa “recidere”. Sviluppò questa forma di meditazione,
inusuale anche alla sua epoca, ottenendo dei risultati così strabilianti da far diventare tale pratica
molto famosa e diffusa in tutte le scuole del buddhismo tibetano e non solo.
Nel mondo attuale, noi soffriamo d’insuperabili livelli di lotta interiore ed esteriore, e ci
ritroviamo sempre più schierati politicamente e spiritualmente. Abbiamo bisogno di un nuovo
paradigma, di un nuovo approccio al conflitto. La strategia di Machig di nutrire anziché
combattere i nemici interni ed esterni ci offre, come risoluzione del conflitto, un sentiero
rivoluzionario che favorisce l’integrazione psicologica e la pace interiore.
Nel 1967, a diciannove anni, ho avuto la fortuna di fare un viaggio in India e in Nepal, e di
incontrare i tibetani che vivevano come rifugiati dopo l’esilio forzato durante l’invasione
comunista del Tibet. Mi innamorai di quel popolo e ritornai in India nel 1969 dopo aver passato
sei mesi nel primo monastero tibetano in Scozia, fondato da Chögyam Trungpa Rinpoche. Nel
1970 fui ordinata monaca buddhista nella tradizione tibetana da Sua Santità il XVI Karmapa, a
Bodh Gaya, in India e per un lungo periodo ebbi l’incommensurabile fortuna di ricevere gli
insegnamenti seduta ai piedi di molti grandi maestri buddhisti formatisi in Tibet. Come descrivo
nelle pagine seguenti, dopo alcuni anni presi la decisione di lasciare i voti monastici. È stato in
quel periodo di grande transizione e incertezza che venni introdotta per la prima volta al Chöd. In
seguito feci ritorno in America, diventai madre e cercai di integrare la saggezza tibetana nella
mia vita di laica. Venni infine guidata alla scoperta della biografia di Machig Labdrön (scritta in
tibetano) e i suoi insegnamenti diventarono per me fondamentali.
Avendo trovato estremamente importanti gli insegnamenti di Machig, ero desiderosa di trovare
un modo per rendere il suo approccio accessibile al contesto occidentale. Quando cominciai a
insegnare la pratica del Chöd in Occidente, sviluppai un esercizio per visualizzare, dialogare e
sfamare i demoni che ottenne grandi risultati. Gradualmente, da questo esercizio il percorso dei
cinque stadi qui descritto si è evoluto in un metodo che ho chiamato nutrire i demoni e che i miei
studenti hanno iniziato a usare indipendentemente dalla pratica del Chöd tibetano. Negli ultimi
venticinque anni – più di recente nel nostro centro Tara Mandala, in Colorado, durante i ritiri di
formazione in Chöd e Kapala – ho insegnato questo modo di nutrire i demoni per fare amicizia
con ciò che più di tutto vorremmo evitare.
Quelli che hanno usato il metodo riferiscono che sintomi cronici sia fisici sia emotivi, quali
l’ansia, il mangiare compulsivo, gli attacchi di panico e alcune malattie, si sono risolti o sono

10
molto migliorati grazie a questo approccio. Il percorso dei cinque stadi si è dimostrato utile
anche nell’affrontare sconvolgimenti temporanei come la rottura di una relazione, la perdita di un
impiego, la morte di una persona amata e problemi interpersonali sul lavoro o a casa. Talvolta i
risultati sono stati istantanei e addirittura miracolosi, altre volte più graduali e sottili.
Il metodo che io chiamo nutrire i demoni, basato sui principi del Chöd, è una pratica semplice in
cinque stadi che non richiede alcuna conoscenza del buddhismo né di alcuna pratica spirituale
tibetana. Nel primo stadio, scopriamo dove tratteniamo più tenacemente il nostro “demone” nel
corpo. Questo demone può essere una dipendenza, l’odio di sé, il perfezionismo, la rabbia, la
gelosia o qualsiasi cosa ci abbatta, prosciugando la nostra energia. In parole povere, i nostri
demoni sono ciò di cui abbiamo paura. Come diceva Machig, qualsiasi cosa blocchi la nostra
completa libertà interiore è un demone. Machig parlava anche di dèi-demoni. Gli dèi sono le
nostre speranze, ciò che ci ossessiona, che desideriamo intensamente, i nostri attaccamenti. Per
dèi-demoni s’intende quando una speranza e una paura sono strettamente connesse; quando
continuiamo a oscillare tra speranza e paura, questo è un dio-demone. Anche se nelle pagine
seguenti faccio per lo più riferimento ai demoni, lo stesso approccio si può applicare altrettanto
bene agli dèi e agli dèi-demoni.
Nel secondo stadio permettiamo all’energia che riconosciamo nel corpo di assumere la forma
personificata del demone di fronte a noi. Nel terzo stadio scopriamo di cosa ha bisogno,
mettendoci nei suoi panni, diventando il demone. Nel quarto stadio immaginiamo di dissolvere il
nostro corpo in un nettare di ciò di cui il demone ha bisogno e lo lasciamo riversare in lui. In
questo modo lo nutriamo, lo sfamiamo fino a completa soddisfazione. Una volta che il demone è
soddisfatto, scopriamo che l’energia che era bloccata si trasforma in un alleato. Questo alleato ci
offre protezione e sostegno, per poi scomparire in noi. Alla fine del quarto stadio ci dissolviamo
nella vacuità, e nel quinto e ultimo stadio semplicemente riposiamo nella consapevolezza aperta,
che deriva da questo dissolversi.
Paradossalmente, nutrire i nostri dèi o demoni fino a completa soddisfazione non li rafforza, ma
rende disponibile l’energia che era rimasta imprigionata in loro. In questo modo emozioni molto
intense restate intrappolate dal conflitto interno vengono liberate e si trasformano in qualcosa di
benefico. Quando cerchiamo di combattere o di reprimere le nostre parti disconosciute che io
chiamo demoni, esse riacquistano potere e sviluppano resistenza. Sfamando i nostri demoni, non
solo li rendiamo inoffensivi; rivolgendoci a essi, anziché scappare, nutriamo le nostre parti
ombra, cosicché l’energia intrappolata nella lotta si trasforma in una forza positiva protettiva.
Dare forma ai nostri demoni personificandoli porta alla luce energie embrionali, o abituali
schemi di comportamento nocivi, permettendo loro di liberarsi anziché lasciarli agire come forze
distruttive invisibili. L’alternativa allo sfamare i demoni è quella di entrare in un conflitto che
non potremo mai vincere: i nostri demoni non nutriti non fanno che diventare sempre più potenti
e mostruosi, sia che li si combatta apertamente, sia che si ignorino le loro manovre nascoste.
La tecnica terapeutica di personificare una paura o una nevrosi non è sconosciuta alla psicologia
occidentale; la pratica dei cinque stadi per sfamare i demoni approfondisce questo approccio. Il
suo valore aggiuntivo sta nel dissolvere i nostri corpi e nello sfamare anziché solamente
personificare e interagire con i nostri nemici interiori, e nell’esperienza della consapevolezza
meditativa non duale che sorge nello stadio finale del percorso. Si tratta di uno stato di

11
consapevolezza rilassata, libera dalla nostra abituale fissazione su un “sé” contrapposto a un
“altro”, che ci porta oltre il luogo in cui termina la normale psicoterapia.
Trovare modi appropriati per offrire l’antica saggezza del Tibet al mondo contemporaneo è una
sfida che chiunque sia profondamente coinvolto nella tradizione deve affrontare. Nel 1996, a una
conferenza a Dharamsala, in India, con Sua Santità il XIV Dalai Lama, mi è stato chiesto di
presentare la pratica di sfamare i demoni in una sezione dedicata ai nuovi metodi per insegnare il
buddhismo in Occidente. Ho avuto il grande onore di guidare il Dalai Lama, un gruppo di
eminenti lama (maestri buddhisti tibetani) di varie tradizioni e i miei colleghi occidentali
attraverso una versione della pratica dei cinque stadi che impareremo in questo libro. Alla fine,
Sua Santità fu molto incoraggiante e alcuni insegnanti occidentali adottarono questo metodo
usandolo nei loro ritiri.
Questa esperienza ha rafforzato la mia convinzione che tutti i maestri buddhisti, sia orientali sia
occidentali, sono alle prese con la questione di come presentare nel mondo attuale gli
insegnamenti del Buddha in modo efficace. Come tradurre e interpretare questi insegnamenti
senza perdere l’essenziale e spesso intangibile benedizione dei metodi tradizionali? Come
insegnare qualcosa che veramente aiuti le persone? Ogni insegnante deve arrivare alle sue
conclusioni, e le risposte sembrano variare dalle più conservatrici a quelle più sperimentali.
Sebbene la natura della mente trascenda il tempo e la cultura, la psiche è influenzata dalla storia
culturale e dal linguaggio, dunque dobbiamo dialogare con queste differenze per essere efficaci
in un contesto globale. Dopotutto, il buddhismo si è modificato passando dall’India in Tibet, in
Giappone, in Corea, in Birmania, in Thailandia, in Sri Lanka e in Cina, e continuerà a cambiare
diffondendosi nel resto del mondo.
Il mio intento è di regalarvi qualcosa dell’essenza degli insegnamenti di Machig, basandomi su
quanto è stato efficace nella mia personale esperienza come praticante buddhista, donna, e
insegnante. Questa esposizione può essere solo un inizio per cercare una formazione più
tradizionale nel Chöd, o può essere di per sé un metodo per aiutarvi a lavorare con le sfide della
vostra vita. In entrambi i casi, io credo che l’approccio di Machig di entrare in relazione e
sfamare il “nemico” offra un mutamento rivoluzionario di paradigma dalla dominazione alla
tolleranza e all’integrazione. I sistemi religiosi che istituiscono campi di battaglia internamente
ed esternamente hanno creato un’esperienza polarizzata sia all’interno di noi sia nel mondo
sempre più terrorizzante in cui viviamo. Non importa quanti demoni cerchiamo di distruggere, al
loro posto ne apparirà un numero ancora maggiore; non conta quanti terroristi uccidiamo, molti
altri ingrosseranno le loro file. Per poter essere efficaci, abbiamo bisogno di un nuovo modello,
basato sulla compassione, l’inclusione e il dialogo. Questo approccio ha delle implicazioni
incredibili, personali e collettive. Anche se ci concentreremo soprattutto sul piano personale,
nell’ultima parte del libro farò un breve cenno alle applicazioni collettive degli insegnamenti di
Machig Labdrön, di cui l’umanità nel nostro mondo diviso ha tanto bisogno.
Avendo trascorso tutta la vita a fare da ponte tra Oriente e Occidente, sono profondamente
impegnata ad assicurare che la tradizione del buddhismo tibetano raggiunga intatta l’Occidente,
nonché ad adattare questi insegnamenti alla vita occidentale odierna. Personalmente ho
continuato a seguire gli insegnamenti tradizionali nella mia formazione con i lama tibetani. Ma
quando insegno ho trovato utile sia trasmettere gli insegnamenti tradizionali, sia usare metodi
che hanno reso gli insegnamenti applicabili nella mia vita di occidentale. Credo che

12
ridimensionare gli aspetti culturali specifici di quest’antica saggezza la renderà più accessibile e
sarà di beneficio a quanti potrebbero venire allontanati dalla complessità della tradizione
tibetana.
Perciò in questo libro non mi cimenterò nell’insegnare il Chöd nella sua forma originaria, perché
la pratica richiede una trasmissione personale da parte di un insegnante qualificato, l’utilizzo di
una campana, una tromba ricavata da un femore, un tamburo, e viene cantata in tibetano. Mi
concentrerò sull’uso dei principi della pratica come trampolino per qualcosa di applicabile nella
vita moderna, qualcosa di utile per alleviare la sofferenza e portare la persona mediamente più
vicina alla libertà interiore.
La mia intenzione è che questo libro comunichi qualcosa della grande saggezza dei miei maestri
e offra un legame vivo con gli insegnamenti di Machig Labdrön. Che possa dimostrarsi utile
nella vostra vita, che possa effettivamente aiutarvi a liberare i vostri demoni e possa infine
contribuire alla creazione di un mondo più in pace.

13
Parte prima
LA PRATICA ANTICA

14
1
Incontrare il demone
I malvagi demoni maschili e femminili
che creano miriadi di disturbi e impedimenti
sembrano reali finché non si è raggiunta l’illuminazione.
Ma quando si comprende la loro vera natura,
essi diventano Protettori,
e grazie al loro aiuto e alla loro assistenza
si conseguono innumerevoli risultati.
MILAREPA (1052-1135)
Il Mahatma Gandhi, uno dei più grandi pacifisti del XX secolo, cambiò il corso della storia
indiana nutrendo letteralmente il suo nemico. Gandhi, dice la storia, fu avvertito della visita di un
ufficiale inglese che minacciava di metterlo in prigione se non rinunciava all’intenzione,
considerata sovversiva dagli inglesi, di organizzare una marcia per protestare contro la tassa sul
sale. Le persone venute ad avvertire Gandhi suggerivano di cospargere di chiodi la strada per
forare le gomme dell’auto dell’ufficiale.
«Non fate niente del genere» disse Gandhi. «Lo inviteremo piuttosto a un tè.»
A malincuore, i seguaci obbedirono. Al suo arrivo, l’ufficiale entrò con aria risoluta. «Dunque,
adesso, signor Gandhi, dobbiamo farla finita una volta per tutte con questa cosiddetta marcia del
sale. Altrimenti sarò costretto ad arrestarvi.»
«Be’,» rispose Gandhi «prima beviamo una tazza di tè.»
L’inglese accettò con riluttanza. Poi, sorbita la sua tazza di tè, disse bruscamente: «Adesso
facciamo sul serio. A proposito di quelle marce…».
Gandhi sorrise. «Aspetti, prenda ancora un po’ di tè e qualche biscotto; ci sono cose più
importanti di cui parlare.»
E le cose andarono così: l’interesse dell’inglese per quello che il Mahatma aveva da dire andò
aumentando, mentre beveva altre tazze di tè e mangiava altri biscotti, finché non fu
completamente distolto dal suo intento ufficiale e alla fine se ne andò convinto della bontà della
causa di Gandhi. Gandhi usò l’espediente del tè, un rituale inglese che implica civiltà e mutuo
rispetto, e nutrì letteralmente il suo nemico finché non diventò un alleato. La sua tattica di
sfamare anziché combattere contribuì a una delle più straordinarie rivoluzioni nonviolente della
storia.
Questa stessa tattica fu utilizzata circa un millennio prima, quando la grande yogini tibetana
dell’XI secolo Machig Labdrön ricevette l’iniziazione dal suo maestro, Sonam Lama, insieme ad
alcune sorelle spirituali. Nel momento chiave dell’iniziazione, Machig magicamente si sollevò
da dov’era seduta finché non restò sospesa per aria a circa mezzo metro da terra, mettendosi a
danzare e a parlare in sanscrito. In uno stato di meditazione profonda, passò senza ostacoli
attraverso i muri d’argilla del tempio e volò su un albero accanto a un piccolo stagno fuori dal
monastero.
Lo stagno era la residenza di un potente naga, o spirito acquatico. Questi capricciosi esseri
mitici, secondo la credenza, causano scompiglio e danno se disturbati, ma si rivelano detentori di
tesori o protettori se propiziati. Questo naga in particolare era così terrificante che gli abitanti del

15
luogo non osavano nemmeno guardare lo stagno, figuriamoci avvicinarcisi. Invece Machig
atterrò sull’albero proprio accanto allo stagno e lì rimase in uno stato di meditazione.
Lo spirito acquatico considerò l’arrivo della giovane Machig come l’invito a un confronto
diretto. Si avvicinò minaccioso, ma lei restò in meditazione, senza timore, il che lo fece infuriare;
riunì allora un enorme esercito di naga della zona, per cercare di sopraffarla. Quando vide
arrivare questa schiera di apparizioni magiche terrificanti, Machig trasformò istantaneamente il
suo corpo in un’offerta di cibo e come si dice nella sua biografia riportata nel mio libro Donne di
saggezza: «Essi non poterono divorarla perché era priva di ego».
Non solo l’aggressione dei naga finì nel nulla, ma essi si sottomisero a Machig, promettendo di
non nuocere né a lei né ad altri esseri, facendo voto di proteggerla, e impegnandosi a servire lei e
chiunque seguisse i suoi insegnamenti. Avvicinando i demoni e offrendo loro il suo corpo come
cibo con incrollabile compassione anziché combatterli, Machig trasformò i demoni in alleati.
Mentre studiavo gli insegnamenti di Machig, cominciai a riflettere sulla visione occidentale dei
demoni. Cercando la parola in un dizionario scoprii che il termine “demone” non ha sempre
avuto questa cattiva reputazione. Derivato dal latino daemon (greco daimon) si riferiva
originariamente allo spirito guida di una persona. Il daimon era una creatura divina, uno spirito
guida in cui avere fiducia e su cui fare affidamento. Questa prima forma di credenza nel daimon
cambiò gradualmente con l’attacco cristiano alle credenze pagane, sicché dal Medioevo i demoni
furono incolpati di ogni possibile disastro, disprezzati e temuti come malvagi. Vedremo come il
percorso di incontrare e sfamare un demone con amore e compassione, lo possa trasformare in un
daimon. In questo modo, i demoni diventano alleati, proprio come i terribili naga si mutarono in
protettori quando Machig offrì loro in pasto il suo corpo.
I racconti della mitologia occidentale sono in forte contrasto con le storie di Machig e di Gandhi.
Il mito delle dodici fatiche di Ercole è un classico della letteratura occidentale, un brillante
esempio della ricerca dell’eroe conquistatore, uno dei miti individuali e politici più importanti
della cultura occidentale. Perché possa assolversi dell’assassinio dei suoi figli, a Ercole vengono
assegnati dodici compiti, il secondo dei quali lo spinge fino al lago di Lerna nel sud dell’Italia,
dove un serpente a nove teste e con numerosi tentacoli chiamato Idra attacca gli innocenti
passanti. Ercole arriva al lago accompagnato dal nipote e pupillo Iolaus. Trovato il nascondiglio
di Idra, i due lanciano frecce fiammeggianti per stanare la bestia. Ma quando Idra emerge ed
Ercole si getta in acqua, la mostruosa creatura irata avvolge i tentacoli attorno alla caviglia
dell’eroe intrappolandolo, e il suo assistente, un granchio gigante, lo trascina al bordo di un lago
senza fondo. Con sgomento, Ercole s’accorge che ogni volta che recide una delle teste di Idra, al
suo posto ne crescono due.
Intrappolato dal mostro, Ercole invoca l’aiuto di Iolaus. Precipitandosi a soccorrere lo zio, il
giovane usa un ramo infuocato per cauterizzare il moncone di ognuna delle teste che Ercole ha
mozzato, impedendo a Idra di farne ricrescere altre. Così Ercole riesce ad avere il sopravvento,
finché resta una sola testa. Quella testa è immortale, ma Ercole capisce di poter recidere il collo
mortale che la sorregge. Mozza la testa, ma essa giace di fronte a lui, sibilando e fissandolo.
Allora, egli sotterra la testa immortale sotto un masso, considerando così vinto il mostro e
adempiuto il suo secondo compito.
Ma che tipo di vittoria ha ottenuto Ercole? Ha veramente eliminato il nemico o lo ha soltanto
occultato? La testa immortale di Idra, la forza dominante della sua energia concentrata freme

16
ancora sotto il masso e potrebbe riemergere qualora le circostanze lo permettessero. Cosa
significa tutto questo riguardo alla conquista di Ercole e, più in generale, riguardo alla mentalità
eroica dell’uccisione del mostro che tanto affascina e permea la letteratura e la società
occidentali?
Varie versioni del mito dell’eroe uccisore del drago hanno dominato la psiche occidentale per
millenni. Sebbene l’aspetto positivo del mito possa ispirare battaglie eroiche contro demoni
veramente pericolosi quali Hitler, o contro le malattie, la povertà e la fame, esso presenta anche
gravi rischi. Non ultimo quello di creare un’inflazione di coloro che s’identificano con il ruolo
dell’eroe uccisore del drago, senza tener conto delle proprie virtù. Un altro è la proiezione del
male sui nostri avversari, demonizzandoli, e giustificando la loro uccisione, pretendendo di
essere totalmente identificati con il bene. La tendenza a uccidere anziché entrare in relazione con
il drago ci impedisce di conoscere i nostri demoni e di trasformarli in alleati.
È ovunque evidente che continuiamo a vivere sulla base di questo mito, dai film popolari fino
agli attuali eventi del mondo. Nelle guerre odierne ognuna delle due parti s’identifica con il bene
divino che lotta contro il male. La polarizzazione di bene e male giustifica la violenza come un
sacrificio necessario per ottenere la vittoria. Forse oggi più che mai siamo intrappolati
dall’eccessiva identificazione con il mito dell’uccisione del drago.
La nostra situazione di polarizzazione non si situa solo nel mondo esterno; noi combattiamo al
nostro interno i demoni della dipendenza, dello stress, del trauma, della rabbia e dell’odio di sé,
solo per citarne alcuni. Tentiamo di dominare ogni cosa, dentro e fuori di noi, inclusa Madre
Natura. Ma anziché ottenere la vittoria finale, veniamo divorati dalla lotta che ci tiene
prigionieri. Mentre cerchiamo di uccidere il drago, ci esponiamo al rischio di distruggerci a
vicenda e di distruggere la natura, rendendo insostenibile la vita su questo pianeta.
Possiamo verificare l’inefficacia di questo mito a ogni piè sospinto. Per esempio:
 Gli americani spendono dieci miliardi di dollari all’anno in prodotti e programmi per
perdere peso, tuttavia la “lotta per il girovita” resta una causa persa. Le persone
cronicamente a dieta spesso aumentano dai due ai cinque chili ogni volta che si
mettono a regime, e i disturbi alimentari provocati da cicli di diete da fame seguite
da gozzoviglia uccidono migliaia di persone ogni anno.
 La nostra ricerca di ricchezza, successo e simili è così segnata dalla lotta che, anche
se alla fine raggiungiamo la meta, il radicato schema del conflitto non ci permette di
godere i frutti della nostra fatica: una volta ottenuto il successo, ci troviamo ad
affrontare una logorante battaglia senza fine per difendere ciò che abbiamo
conquistato.
 Gli esperti dicono che usare la forza di volontà per combattere una dipendenza non
porta alla moderazione, e che non si può pensare di risolvere una dipendenza
combattendola.
 Noi non ci sforziamo di comprendere le nostre malattie. Al contrario, ogni volta che
ci ammaliamo, cerchiamo immediatamente delle strategie per “combattere” il
malessere. Si legge abitualmente nei necrologi: «Il Tal dei Tali è morto dopo una
lunga battaglia contro il cancro.»

17
 Il fondamentalismo religioso, in crescita in moltissimi paesi del mondo d’oggi,
enfatizza la frattura tra bene e male. Ogni gruppo crede strenuamente di avere Dio
dalla sua parte. Identificando la nostra religione con il bene e le altre con il male,
restiamo intrappolati in una lotta senza fine e non ci decidiamo mai ad affrontare il
male in noi stessi o nei nostri sistemi politici.
 Abbiamo violentato il mondo naturale, sbarrando con dighe i fiumi e usando in modo
irresponsabile le risorse, inquinando l’atmosfera e combattendo la nostra nutrice, la
Madre Terra. Ora la natura risponde all’attacco con la furia dei disastri naturali:
uragani, tsunami, tornado, siccità, alluvioni e il riscaldamento del pianeta. In risposta
noi combattiamo il cambiamento climatico, cercando di fermarlo senza affrontare
l’atteggiamento di fondo che ha creato il problema iniziale.
 Cerchiamo di eliminare i nemici attraverso la guerra e la violenza, ma la violenza
genera ulteriore violenza: per esempio, uno studio delle agenzie di informazioni e
sicurezza statunitensi ha dimostrato che, anziché fermare la crescita del terrorismo, la
guerra in Iraq ha aumentato il radicalismo e peggiorato la minaccia del terrorismo
mondiale.
Noi viviamo sulla base del mito in cui scoviamo, combattiamo e alla fine distruggiamo il nemico
all’interno e all’esterno, e per di più insegniamo questo mito ai nostri figli. Ritroviamo questo
tema nelle fiabe, nelle storie religiose, nella retorica politica, dove eroi come san Giorgio
uccidono il drago o sconfiggono il mostro nascosto, e un’inerme fanciulla viene “salvata”
dall’eroe. Ritroviamo lo stesso tema all’infinito nei film e nei programmi televisivi. Scovare e
distruggere il “nemico” può sembrare la migliore soluzione, ma in effetti non fa che creare un
mondo sempre più pericoloso. Abbiamo chiaramente bisogno di esplorare l’alternativa
dell’entrare in relazione e comunicare con il nemico anziché distruggerlo.
In questo libro ci concentriamo principalmente sui demoni personali, passando solo alla fine a
quelli politici e collettivi, perché i demoni personali sono alla radice di quelli collettivi e
lavorando con i demoni personali avviamo una trasformazione che si propaga nel mondo:
l’approccio del nutrire anziché combattere i demoni garantisce un modo di prestare attenzione ai
demoni dentro di noi, evitando i pericoli del reprimere ciò che temiamo. Affrontare e sfamare i
demoni evita la creazione di un mostro furioso che causa la nostra distruzione e quella del
mondo.
Io propongo di seguire l’esempio di Machig: il drago non va ucciso e nemmeno combattuto, ma
scovato e nutrito senza timore. In questo modo, colmiamo la scissione tra “bene” e “male”, e il
potenziale nemico si trasforma in alleato. Così l’energia che era stata bloccata nella lotta diventa
una forza positiva e potenzialmente protettiva, un daimon anziché un demone. Ogni lotta che c’è
dentro di noi blocca delle risorse che potrebbero essere impiegate più utilmente.
Nella mitologia, il drago custodisce spesso un tesoro segreto. Nutrendo i demoni e
trasformandoli in alleati, scopriamo i nostri tesori che la preoccupazione di combatterli teneva
nascosti. Una volta portata allo scoperto, liberata, l’energia del demone bloccata nella lotta è il
tesoro. Sfamando i demoni siamo meno una minaccia per il mondo. Quando diventiamo
consapevoli dei nostri demoni e offriamo loro un elisir di conscia accettazione e compassione,
corriamo meno rischi di proiettarli sugli altri.

18
Carl G. Jung, il famoso psicologo svizzero, definì la nostra parte oscura “l’ombra”, che può
emergere nei sogni o essere proiettata sugli altri. L’ombra descritta da Jung consiste di quelle
parti di noi che la mente conscia considera inaccettabili. L’ombra è il sé represso, gli aspetti
indesiderati della personalità che disconosciamo. Può essere la vergogna, la rabbia o i pregiudizi.
È quello che non vogliamo che gli altri sappiano di noi, e spesso appare nei sogni facendo cose
che il nostro sé conscio non approverebbe. Quando una persona sposata sogna di avere una storia
con qualcun altro, questa è l’ombra. Siamo spesso inconsapevoli delle parti ombra della nostra
personalità, perché non vengono viste dalla mente conscia. L’ombra ci incoraggia a mangiare
tutto il piatto di biscotti quando non ne vorremmo mangiare nemmeno uno. L’ombra spiattella un
insulto a qualcuno su cui cercavamo di far colpo.
Il percorso di sfamare i demoni è un metodo per portare alla coscienza la nostra ombra e avere
accesso ai tesori che nasconde, anziché reprimerla. Se l’ombra non viene resa conscia e integrata,
opera di nascosto, diventando il sabotatore delle nostre migliori intenzioni e causando anche
danni agli altri. Portare alla consapevolezza l’ombra riduce il suo potere distruttivo e libera
l’energia vitale immagazzinata. Facendo amicizia con quello che temiamo maggiormente,
scopriamo la nostra saggezza. Questa risoluzione del conflitto interiore diminuisce anche il male
prodotto dall’inconscio che contribuisce ai movimenti collettivi nocivi.
Nella pratica di sfamare i demoni, offriamo la cosa più preziosa (il nostro corpo) a ciò che è più
minaccioso e spaventoso (i nostri demoni), e così facendo sconfiggiamo la causa di ogni
sofferenza, che in linguaggio buddhista è l’egocentrismo. Per darvi un’idea di cosa s’intenda per
nutrire i demoni in una situazione della vita reale, vi racconterò quello che mi è accaduto alcuni
anni fa viaggiando in Tibet.
Io e la mia amica Sara partimmo per un pellegrinaggio in autobus. In quel periodo avevo
raggiunto una comprensione personale dei demoni, insegnavo la pratica del Chöd e avevo messo
a punto il metodo di nutrire i demoni descritto in questo libro. Un giorno raggiungemmo una
notevole altitudine, dopo aver viaggiato tutta la notte. Ci eravamo rimpinzate di sgombri in
scatola e l’autobus avanzava a scossoni sul sentiero di terra battuta, aggravando il nostro mal di
testa da altitudine. La polvere era così fitta che non riuscivo a ripararmi nemmeno avvolgendomi
la testa con una sciarpa.
Sara sedeva da sola, in lacrime, sul sedile davanti a me. Mi spostai accanto a lei. Mi raccontò
della depressione che la stava attaccando, un demone con cui aveva combattuto da sempre,
essendo cresciuta in una famiglia in cui non era stata desiderata. Scoppiò in un pianto convulso,
disperato. Cercare di aiutarla a sfamare quel demone sembrava la cosa migliore che potessi fare
per lei, nonostante la difficoltà della situazione, e anche se non avrei potuto seguire tutti gli stadi
con precisione come facevo di solito. E proprio lì, traballando sulla strada di terra battuta,
iniziammo il percorso.
Le dissi: «Va bene, Sara, facciamo un esperimento. Immaginiamo quale forma attribuiresti a
questo dolore».
Lei chiuse gli occhi e portò la consapevolezza all’interno del corpo; incontrò una sensazione di
nausea e di angoscia che descrisse come scura, rossastra e densa. Le suggerii allora di farle
assumere una forma vivente. Lei vide un enorme mostro color porpora con una bocca spalancata
al posto dello stomaco. Voleva divorarla.
Le dissi: «Vediamo di scoprire il reale bisogno che sta dietro a ciò che il demone dice di volere».

19
Sara chiese al demone di cosa avesse bisogno e lui rispose che voleva che lei smettesse di
scappare, così lui avrebbe sentito amore e accettazione. Allora suggerii a Sara di visualizzare il
suo corpo che si dissolveva in un nettare d’amore e nutriva il demone, finché questo non fosse
stato totalmente soddisfatto.
Pian piano Sara smise di singhiozzare e si tranquillizzò. Dopo un po’, disse: «L’ho nutrito ed è
diventato sempre più piccolo. Non capisco come sia successo, ma se n’è andato».
Dopo essersi goduta quel momento, aggiunse: «La mia mente si è rilassata in uno spazio di pace
che non avevo mai pensato possibile per me, ma ancora non so come sia accaduto».
Alcuni mesi dopo essere ritornate a casa, Sara mi scrisse una lettera riguardo all’esperienza.
«Quel viaggio è stata la situazione fisica ed emotiva più difficile della mia vita. Sono per natura
un tipo solitario. Era difficile stare in un gruppo numeroso, soprattutto perché tu eri l’unica
persona che conoscevo prima di partire per il pellegrinaggio. Quel giorno sull’autobus, quando
sono crollata, ero in un momento della mia vita in cui se non riuscivo a convivere con me stessa,
sarei morta. Letteralmente. Quel giorno il dolore è affiorato tutto insieme: il mal di testa per
l’altitudine, i traumi dell’infanzia, la sofferenza per tutto quello che vedevo in Tibet. Era troppo.
Nutrire quel demone di dolore e tristezza è stato come aver fatto uscire l’altra parte di me, una
persona totalmente nuova. Mi sono sentita in un certo senso rinata.»
La cosa interessante dell’esperienza di Sara è che non si trattò di un cambiamento temporaneo.
Nella sua lettera scrisse che il dolore che l’aveva accompagnata tutta la vita non aveva fatto più
ritorno. Naturalmente sfamare i demoni non sempre libera da un dolore antico in una sola seduta;
di solito è necessaria una serie d’incontri, ma nel caso di Sara ne bastò uno.
Nelle storie di Gandhi, Machig e Sara, troviamo un’interessante alternativa alla soluzione di
Ercole di combattere i mostri. Ispirati dalla loro compassione e assenza di paura, possiamo ora
esaminare come incontrare i nostri demoni, sfamarli, e forse anche trasformarli in alleati, fonti
disponibili di sostegno e di protezione.

20
2
Alla scoperta della pratica
All’inizio uno yogi sente la sua mente
precipitare come una cascata;
a metà del tragitto, come il Gange,
essa scorre lenta e pacata;
alla fine, è un grande
vasto oceano, dove le luci
del bambino e della madre si fondono in una luce sola.
TILOPA (988-1069)
Non dimenticherò mai la prima volta che assistetti alla pratica del Chöd. Era il 1973, avevo
ventisei anni, ed ero tornata di recente in India per stare con i miei maestri tibetani dopo un anno
negli Stati Uniti. Dopo tre anni e mezzo come monaca buddhista, vivevo un periodo d’intensa
transizione. Anche se ero stata felice come monaca, a venticinque anni decisi che volevo
proseguire il mio cammino spirituale senza rasarmi la testa, senza tunica e senza i voti che mi
separavano dagli occidentali.
Avevo restituito i voti a un lama molto rispettato che non mi condannò, ma mi consigliò anzi di
dedicare a tutti gli esseri il merito guadagnato nel mio periodo monastico. Mi suggerì anche di
seguire alcune pratiche di purificazione per ripulire qualsiasi ostacolo nascesse dalla rottura del
mio impegno. Iniziai le pratiche consigliate mentre vivevo in una capanna sulle colline ai piedi
dell’Himalaia in una zona chiamata Kulu Valley, vicino alla città di Manali, dove il mio maestro
di meditazione, Apho Rinpoche, un lama sposato, viveva con la moglie, i quattro figli e un
gruppo di monaci, monache e yogi. Manali era l’ultima tappa prima del passo di Rohtang, la
porta al regno himalaiano di Lahaul. Un reticolo di strade di fango e di stalle di legno si
estendeva al di là della strada principale, riconoscibile per la presenza di negozi del tè,
ferramenta, ristoranti, bancarelle di cibo e venditori di stoffe. Non c’erano alberghi e un edificio
sfasciato fungeva da ufficio postale. Un paio di chilometri a monte, su un’erta collina, era situata
la casa di Apho Rinpoche (Rinpoche è un titolo di rispetto che si dà a un maestro spirituale
buddhista tibetano).
Gli abitanti di Manali sembravano personaggi usciti dalle fiabe. Le donne indossavano coperte
fatte a mano fissate da una cintura e una grandissima spilla di sicurezza sulla spalla. In testa
portavano una fascia di cotone di un brillante rosso-ciliegia, legata alla nuca sotto i capelli. Gli
uomini indossavano scarpe fatte a mano e pantaloni di cotone leggero con tuniche intonate,
lunghe fino al ginocchio, strette in vita da spessi strati di cordoni di lana grezza. La valle di Kulu
produceva riso rosso, mele, prugne, destinati alla vendita e la gente viveva di questo livello
minimo di economia agricola.
Avevo affittato una casetta vicino a dove abitava Apho Rinpoche. La mia casa, caratteristica di
Manali, era circondata di verande coperte, sicché si poteva sedere all’esterno restando al riparo
dalle intemperie. Dalla veranda sul davanti, potevo vedere in diagonale il fiume fino ai frutteti
sull’altra riva. Al di sopra, le foreste di conifere cedevano il passo ai picchi scintillanti
dell’Himalaia.

21
Un pomeriggio, mentre sedevo nella mia capanna dopo il pranzo, sentii un canto gioioso
provenire dalla collina dalla parte opposta del fiume. Si stava preparando un temporale e basse
nuvole scure scendevano a valle dal passo di Rohtang. Il vento sferzava il fianco del colle su cui
era situato il monastero, e il fiume scendeva impetuoso dietro la mia casetta. Sulla collina, scorsi
una ragazzina di circa quattordici anni con la veste tradizionale ricavata da una coperta rosa.
Ignara della mia presenza, danzava e cantava con quanto fiato aveva in corpo, roteando tra le
mucche che pascolava.
Poco dopo, percorsi il sentiero tra i frutteti di mele fino all’abitazione di Apho Rinpoche, per
fargli alcune domande sulla mia pratica di meditazione. Giunsi alla casa in pietra di Rinpoche
pochi attimi prima che scoppiasse il temporale monsonico. Rinpoche sedeva al piano di sopra,
nella stanza d’angolo che dava sul cortile davanti alla casa e sull’adiacente collina. La sua
famiglia si era trasferita di recente a Manali dopo la fuga dal Tibet. Rinpoche aveva
cinquant’anni e aveva ancora un bell’aspetto, con baffi sottili, capelli corti grigi e un grande
sorriso a incorniciare i bei denti bianchi. Indossava strati di camicie di cotone sbiadito in varie
sfumature di rosso e arancio sopra una lunga tunica marrone legata in vita da una cintura di seta
rossa. Sedeva a gambe incrociate sul suo letto, appoggiato ai cuscini contro il muro. Ad angolo
con questo letto ce n’era uno più basso, coperto da un tappeto.
Sul tavolo di fianco al suo letto c’era una delicata tazza da tè tibetana sopra un vassoio d’argento
con un coperchio anch’esso d’argento per mantenere caldo il tè durante la lunga conversazione.
Vicino alla tazza, un thermos cinese azzurro e un paio di testi tibetani, con i loro lunghi fogli
posati sopra un involto di stoffa. Su una parete, un armadio conteneva il suo altare. Mi fece
segno di sedere sul letto più basso. Dall’altra parte della stanza, c’era un tappeto su cui era
seduto un tibetano.
L’ospite di Rinpoche era uno sterratore rifugiato. Indossava pantaloni di lana stracciati e una
camicia grigia cui mancavano diversi bottoni; era pallido e magro, quasi spiritato. Parlava con
Rinpoche del suo cattivo stato di salute, chiedendogli aiuto. Mentre fuori pioveva a dirotto, noi
tre sedevamo insieme bevendo il tè zuccherato che la moglie di Rinpoche, Urgyen Chödrön, da
noi chiamata Amala, versava dal thermos cinese. Rinpoche ascoltava, facendo cenni d’assenso e
di empatia, per dimostrare il suo interessamento. Alla fine disse all’uomo di tornare quella notte
e mi suggerì di unirmi a loro.
Mi sono sempre chiesta se Rinpoche avesse avuto qualche precognizione della mia connessione
con la cerimonia che si sarebbe svolta. In ogni caso, quella sera impugnai la mia formidabile
torcia cinese e mi avviai giù per il sentiero di fango, nell’oscurità, con la pioggia che ancora
scrosciava. Appena entrata nella casa di Rinpoche immersa nel buio, avvertii il suono ritmico di
tamburi e campane. Arrampicandomi sulla scala buia alla fine del corridoio, vidi una luce dietro
la tenda della stanza con l’altare.
Dentro c’era un gruppo di monaci e monache con le tuniche bordeaux in cerchio attorno allo
sterratore tibetano, che giaceva sulla schiena a occhi chiusi, immobile. Tutti i monaci e le
monache tenevano nella mano sinistra una campana tibetana e nella destra un tamburo che
facevano ruotare da un lato all’altro. Cantavano insieme, in uno stato di profonda
concentrazione. In silenzio mi misi a sedere dietro il cerchio ascoltando la melodia che saliva e
scendeva punteggiata da una tromba ricavata da un femore, il ritmo sottolineato dalle campane e
dai tamburi a due facce. Seduta al margine del cerchio, nella luce fioca, provai un profondo

22
struggimento per qualcosa cui non sapevo dare nome. Era un ricordo del passato o il richiamo di
qualcosa di nuovo?
Terminata la pratica, lo sterratore si alzò, si stirò un po’ e sorrise dolcemente. Presentò con calma
le offerte ai monaci e alle monache e se ne andò nella notte tempestosa. Quando risalii la collina
per fare ritorno alla mia capanna, ripensai al temporale e alla ragazzina che quel pomeriggio
danzava e cantava e sentii che la sua presenza aveva indicato che qualcosa stava per entrare nella
mia vita. Sapevo che quella pratica mi chiamava a casa. La notte andai a letto nel mio vecchio
sacco a pelo di cotone a fiori con il suono della pioggia che scrosciava sul tetto sottile della
capanna e il suono del tamburo nel cuore.
Il pomeriggio seguente mentre sedevo a bere il tè con Rinpoche, tornò lo sterratore. Era
trasformato. Sembrava raggiante, sano, e nei suoi occhi c’era un bagliore che non esisteva il
giorno prima. Ringraziò Rinpoche e bevemmo il tè insieme.
Dopo che se ne fu andato, chiesi a Rinpoche: «Che pratica era quella della notte scorsa?».
«La pratica del Chöd» mi rispose.
Sapevo qualcosa di quella pratica grazie a un libro sulla meditazione e lo yoga tibetani, e gli
chiesi se potevo impararla. Assentì immediatamente, come se si fosse aspettato la mia richiesta, e
aggiunse che potevo iniziare a impararla da Gegyen Khyentse, un monaco anziano esperto
istruttore di monaci e monache al centro di Rinpoche. La moglie di Apho Rinpoche, Amala, mi
prestò gentilmente il suo tamburo per fare pratica. Cominciai l’addestramento seduta nella mia
veranda ogni pomeriggio con Gegyen e Paul, un olandese che avevo conosciuto in Europa.
Studiava già con Apho Rinpoche e altri lama quando l’avevo incontrato quattro anni prima in
Olanda, poco prima che lui partisse per l’India e io ritornassi in Nepal e venissi ordinata monaca
dal Karmapa.
Il tamburo del Chöd ha due batacchi costituiti da palline di stoffa strettamente arrotolata oppure
da grani avvolti nel tessuto. Pendono da delle stringhe ai lati del tamburo a due facce, che ha un
diametro di circa trenta centimetri. Quando il tamburo viene tenuto verticalmente e fatto ruotare
con un movimento deciso del polso, i batacchi percuotono entrambi i lati nello stesso momento.
Gegyen spiegò che questo tamburo simboleggia l’inseparabilità della vita ciclica e del nirvana,
delle speranze e delle paure, degli dèi e dei demoni.
Le stringhe dei miei batacchi continuavano ad aggrovigliarsi e disperavo di riuscire a imparare.
Gegyen si limitava a ridere e diceva: «Proviamo di nuovo». Mi faceva male il braccio e davo la
colpa al tamburo che secondo me non funzionava bene, ma perseverai. Gradualmente aggiunsi la
campana nella mano sinistra. Fare entrambe le cose insieme era come cercare di accarezzarmi la
testa e contemporaneamente sfregarmi la pancia. Gegyen ci insegnò che il suono della campana
era il suono della vacuità, e rappresentava la saggezza femminile. Inclinandosi all’indietro e
socchiudendo gli occhi quasi fino a farli scomparire, diceva: «Tutto ciò che sembra solido è solo
apparenza e non ha una natura essenziale. Ciò che pensiamo sia reale è simile ai luoghi e alle
persone visti in sogno». Poi rideva, sogghignando senza denti e ci guardava annuendo: «Forza,
riproviamo».
In questo periodo di apprendimento del Chöd tra me e Paul, l’amico olandese, sbocciò una storia
d’amore che era cominciata nei quattro anni di corrispondenza mentre ero monaca. Ben presto
iniziammo una relazione e il mio periodo di solitudine ebbe fine. Avevo un grande desiderio di
imparare questa pratica più in profondità e decisi di farlo al più presto. Ma alla fine della

23
primavera scoprimmo che ero incinta, e decidemmo di tornare negli Stati Uniti passando
dall’Olanda. Ci sposammo a Delhi e poi, dopo una visita ai miei genitori nel New Hampshire,
andammo ad abitare in una casetta rudimentale per raccoglitori di bacche sull’isola di Vashon,
vicino a Seattle, in cui avviammo un piccolo centro buddhista di meditazione. Negli anni
successivi, diedi alla luce due bambine a distanza di soli diciassette mesi l’una dall’altra. Il mio
tamburo del Chöd restò per lo più appeso al muro a prendere la polvere, mentre io facevo fronte
al repentino cambiamento da una tranquilla vita monastica alle notti insonni passate a prendermi
cura di due belle bimbe vivaci, Sherab e Aloka.
Dopo quattro anni, il mio matrimonio si sciolse amichevolmente. Due anni dopo mi sposai con
un regista di documentari italiano e mi trasferii in Italia. Nel 1980 a Roma ebbi due gemelli.
Nacquero con un po’ di anticipo, ma pesavano entrambi più di due chili e mezzo e dopo tre
settimane in ospedale tornammo a casa. Chiamammo il maschio Costanzo (Cos come
diminutivo) e la bambina Chiara. A quel punto avevo quattro figli al di sotto dei sei anni. Ero
occupatissima, ma riuscimmo a trovare un ritmo nella nostra vita e le cose sembrarono mettersi
bene.
Poi, il primo giugno del 1980, di prima mattina, mi alzai, andai barcollando in bagno e poi nella
minuscola stanza adiacente per dare un’occhiata ai gemelli. Il piccolo Cos era sveglio e
farfugliava. Lo baciai, gli cambiai il pannolino e lo presi in braccio per allattarlo, lasciando
dormire la sorellina Chiara nel suo lettino blu. Ero sollevata che non fossero tutti e due svegli e
da allattare nello stesso momento.
Il mio seno era enorme e gonfio di latte, e mi faceva male la schiena mentre sedevo allattando
Cos. Guardai Chiara nel suo lettino lì accanto. Dormiva sdraiata sulla pancia, la sua posizione
preferita, ma sembrava troppo tranquilla. Rimisi giù Cos e mi avvicinai al lettino di Chiara., Mi
accorsi che non respirava. Un vento freddo mi attraversò, mentre mi chinavo per sollevarla.
Giaceva con la testa girata da un lato. Il viso era leggermente violaceo attorno agli occhi e un filo
di sangue rappreso era colato dal naso.
Il suo corpo aveva qualcosa di rigido e sembrava più leggero del solito. Chiamai urlando mio
marito. Arrivò di corsa, gli dissi che Chiara era morta. La prese dalle mie braccia, gemendo «No,
no, no», cercando inutilmente di farla respirare.
Sapevo che Chiara era morta, ma ci precipitammo tutti all’ospedale nella speranza che
riuscissero a riportarla in vita. Mentre viaggiavamo sulla strada stretta nel mattino primaverile,
pensavo: «È qualcosa d’irreversibile, di irreparabile. Sta cambiando tutto e io non posso fare
niente perché non accada». Il mio futuro si andava annebbiando, come pioggia che cade su un
acquerello non ancora completato.
Diventai stranamente calma. Mi sentivo come se fluttuassi fuori dall’auto, notando dettagli
irrilevanti: dei germogli in boccio, un gatto che sgattaiolava in una siepe. Poi una folla di
emozioni rifluì in me. Dolore, paura, senso di colpa e ricordi laceranti di Chiara: il suo minuto
corpicino bianco, il dolce profumo della sua pelle e il suo bel sorriso. Era morta per colpa mia?
Avrei potuto fare qualcosa per impedirlo? Chiara era sempre stata più pallida, più piccola del
fratello. Sembrava essere per metà in un altro mondo. Avevo sempre sentito che c’era qualcosa
che non andava in lei, anche se il pediatra mi rassicurava che era tutto a posto.
Ora stavo sul sedile anteriore dell’auto tenendola avvolta nella trapunta a scacchi che avevo fatto
per lei. Sherab e Aloka sedevano dietro con il piccolo Cos che piangeva e chiamava Chiara, che

24
in italiano è l’aggettivo femminile di “chiarezza”. Quello di cui avevo più bisogno in quel
momento era la chiarezza. Mi sentivo a pezzi.
Il giovane medico che trovammo all’ospedale di Velletri aveva i capelli scuri e stava fumando
una sigaretta. Ci condusse in un ambulatorio e dichiarò che Chiara era morta. «È morta.» Era 1

morta della sindrome di morte infantile improvvisa (Sudden Infant Death Sindrome, SIDS),
talvolta chiamata “morte in culla”. Il dottore disse che era un tipo di morte comune; negli ultimi
mesi c’erano stati vari casi. Non esistevano cause note. Succedeva e basta, ed era il terrore di
ogni madre.
Dopo la morte di Chiara caddi in una spirale di depressione. Mettevo in dubbio tutto: il
matrimonio, il cammino seguito fino allora e tutte le scelte fatte fino a quel punto della mia vita.
Tutto mi faceva male e mi sentivo perduta. Ero tormentata dai demoni della colpa, anche se mi
avevano spiegato che non ero responsabile. Cercando a tentoni un’ancora, una qualche speranza
nelle tenebre, sentii un acuto bisogno di conoscere le storie delle donne buddhiste. Tutta la
letteratura buddhista che avevo studiato riguardava uomini illuminati, la loro vita, la loro storia.
Io ero una madre con tre bambini piccoli, che affondava in un lago di tristezza e avevo bisogno
di storie di donne. Cosa avevano fatto loro, quando si erano trovate a un bivio come il mio?
Sapevo che la creatrice della pratica del Chöd, Machig Labdrön, era una donna, ma non
conoscevo granché di lei, così decisi di fare delle ricerche sulla sua vita e su quella delle maestre
del Tibet, sperando di trovare delle risposte per la mia vita.
Quell’estate, partecipammo a un ritiro con Namkhai Norbu Rinpoche, un lama tibetano che
viveva in Italia. Mi ricordo che stavo seduta all’aperto su una piattaforma e lui ci guidava nella
pratica del Chöd. Parte della pratica consisteva nel visualizzare Machig Labdrön sotto l’aspetto
di una giovane dakini bianca (la personificazione femminile della saggezza). Di solito
praticavamo il Chöd una sola volta, ma quella notte Norbu continuò a ripetere la pratica. Era
passata la mezzanotte, quando anziché visualizzare una giovane dakini ebbi la visione di una
vecchia che emergeva da un luogo di cremazione. I capelli grigi le pendevano dal capo. Era
nuda, con lunghi seni pendenti, e la sua pelle era di un marrone scuro dorato. Si fermò proprio di
fronte a me e mi guardò intensamente con sfida mista a compassione; resto lì per il resto
dell’invocazione e in seguito avvertii in me una totale trasformazione.
Quella notte feci un sogno in cui cercavo di raggiungere un colle a Katmandu chiamato
Swayambhu, che significa “autorealizzazione”. È il luogo di un tempio e di uno stupa (una
struttura bianca a volta contenente delle reliquie) molto noti nella valle di Katmandu, e vi avevo
vissuto nei miei primi tempi come monaca. Ebbi una serie di sogni ricorrenti, con leggere
variazioni, per un’intera settimana. Sognavo di dover andare a Swayambhu, ma incontravo molti
ostacoli, tra cui la guerra.
Dopo questi sogni, decisi di andare in Nepal per cercare la storia delle donne lama. Lasciando
figli e marito, mi avventurai nel lungo viaggio verso il Nepal. Al mio arrivo, depositato il
bagaglio all’hotel, salii lentamente la lunga scala che portava in cima alla collina dove è situato il
tempio di Swayambhu. Salito l’ultimo scalino, mi trovai di fronte Gyalwa, un monaco che avevo
conosciuto quando a diciannove anni ero andata per la prima volta in Nepal, il mio miglior amico
quando risiedevo lì come monaca in una minuscola stanzetta. Stava in cima alla scala come se mi
stesse aspettando, con un sorriso che accentuava le rughe agli angoli dei suoi occhi. Mi salutò e

25
mi condusse nella sua stanza nel monastero, scendendo una stretta scala cosparsa di tè al burro di
yak.
Gyalwa mi versò una tazza di tè al burro e mi offrì kapsi fritti in abbondante olio, delle gallette
stantie preparate per il Capodanno tibetano. Mentre bevevo il tè fumante da una tazza di legno e
rosicchiavo i kapsi, gli raccontai in tibetano della perdita di Chiara e della mia ricerca delle storie
delle grandi maestre tibetane. Batté un piede per terra, poi un lampo attraversò i suoi occhi e salì
in piedi sul letto. Da uno scaffale in alto prese un grande e voluminoso testo tibetano, e disse:
«Questa è la biografia di Machig Labdrön». Mi venne la pelle d’oca mentre mi metteva in mano i
fogli con la copertina di stoffa arancione e io li esaminavo. Gli chiesi se potevamo tradurre
insieme la biografia e lui rispose: «Sì, torna tra qualche giorno».
Il testo era intitolato Esposizione di come trasformare gli aggregati in un’offerta di cibo che
chiarisce il significato del Chöd, e i primi due capitoli narravano La meravigliosa vita di Machig
Labdrön trascritta da Namkha Gyaltsen, che era vissuta nel XIV secolo. Sedendo con un altro
monaco che conosceva l’inglese e il lama residente per tradurre la storia di Machig giorno per
giorno, pagina dopo pagina, sentii che stavo trovando un filo che mi avrebbe fatto uscire dalla
confusione. Appresi che Machig insegnava che noi dovremmo sfamare e non combattere i nostri
demoni; anche se non capivo ancora come questo si applicasse alla mia vita, i semi dei suoi
insegnamenti erano stati piantati.
Da quel momento, Machig diventò un faro nella mia ricerca della saggezza in un mondo
difficile, una visione del potenziale femminile. La storia della sua vita e gli insegnamenti del
Chöd furono una chiave per farmi uscire dalle tenebre in cui ero caduta. Cominciai a
comprendere la natura dei demoni e il bisogno di nutrirli. Appresi che Machig era stata una
bambina prodigio nell’XI secolo, l’epoca del grande rinascimento del buddhismo in Tibet.
Diventò monaca giovanissima, e ben presto una nota lettrice del Prajnaparamita Sutra, il sutra
(insegnamento del Buddha) della perfezione della saggezza, nella casa dei mecenati del suo
maestro. La lettura dei sutra era considerata una benedizione per le case e si pensava che portasse
fortuna alla famiglia.
Una volta cresciuta, Machig ricevette insegnamenti da saggi sia indiani sia tibetani, ed ebbe
molte esperienze profonde, come quando offrì il suo corpo in pasto all’esercito dei naga che la
attaccava. Compiuti i vent’anni, lasciò la vita monastica per vivere con un famoso yogi indiano,
Topabhadra, ed ebbero tre figli. Dopo essere stata tenuta in grandissima considerazione, venne
allora aspramente criticata per essere diventata una monaca “decaduta”, e la famiglia dovette
spostarsi in un’altra zona del Tibet. Dopo alcuni anni passati come moglie di Topabhadra e come
madre, sentì il richiamo a tornare dai suoi insegnanti per approfondire la propria pratica. Lasciò
così i figli al padre e ritornò alla vita di yogini errante. Durante un ritiro in una caverna di
montagna ricevette gli insegnamenti direttamente dal Buddha femminile, Tara, e sviluppò
gradualmente un proprio modo di insegnare l’offerta del corpo per sfamare i demoni. Il risultato
fu il suo insegnamento più noto: il Chöd.
All’età di quarant’anni, i suoi insegnamenti si erano diffusi in tutto il Tibet e la sua saggezza
aveva raggiunto l’India. Là i patriarchi buddhisti vennero a sapere che una donna affermava di
avere un insegnamento buddhista originario del Tibet e non dell’India. Era particolarmente
sorprendente perché, a quel tempo, la teologia buddhista circolava solamente dall’India al Tibet e
non viceversa. La notizia provocò un vero scompiglio tra le eminenze del buddhismo indiano.

26
Essi inviarono una delegazione di eruditi in Tibet per sfidarla, ma quando Machig risultò
vincente nei dibattiti, la sua fama si diffuse ancora di più. Dimostrò grande conoscenza ed
erudizione, una visione profonda della natura della mente e rivelò anche di essere una grande
guaritrice. I figli diventarono suoi discepoli, e alla fine insieme ad altri i detentori del suo
lignaggio. I suoi insegnamenti diventarono l’unico lignaggio buddhista in Tibet discendente da
una donna.
La storia di Machig e le cinque biografie delle mistiche tibetane che trovai in seguito costituirono
il soggetto del mio primo libro, Donne di saggezza. Nella confusione seguita alla morte di
Chiara, scoprire quelle biografie fu come ritrovare dei sentieri in un vasto paesaggio ricoperto di
neve. Seguendo quei percorsi, cominciai a trovare la mia strada.
1. In italiano nel testo. (NdT)

27
3
Cosa sono i demoni?
Con mente amorevole, abbi a cuore più di un bambino
gli dèi ostili e i demoni dell’esistenza apparente,
e teneramente circondati di essi.
MACHIG LABDRÖN (1055-1145)
Nel 1985, dodici anni dopo aver imparato per la prima volta il Chöd da Gegyen a Manali, alcune
circostanze resero questa pratica essenziale per la mia vita. Avevo vissuto in Italia per sei anni,
cinque dalla morte di Chiara, e avevo compreso che il mio matrimonio non avrebbe mai
funzionato per le ripetute infedeltà di mio marito e per altre ragioni dovute alle sue dipendenze.
Durante la separazione che sarebbe sfociata nel nostro divorzio, scoprii in modo molto profondo
il potere del Chöd. Le pratiche del divorzio erano arrivate a un’impasse riguardo alla tutela di
nostro figlio. Secondo la legge italiana, Cos, il gemello sopravvissuto, poteva restare in Italia e io
potevo vivere con lui, ma non potevo portarlo all’estero senza il permesso di suo padre,
permesso che lui si rifiutava di dare. Tutto questo creava grande tensione tra noi e
apparentemente non c’erano soluzioni. Avremmo dovuto presentarci a breve in tribunale, quando
una notte pensai: «Farò la pratica del Chöd focalizzando la mia attenzione su questa situazione.»
Mentre i bambini dormivano, presi il tamburo e la campana e cominciai a cantare l’antica
melodia. Durante la pratica, si trasforma il proprio corpo in un nettare che nutre tutti gli esseri, a
partire dai buddha e da tutti gli esseri illuminati. Il nettare viene offerto con compassione a vari
invitati, incluse le forme personificate dei propri demoni, come la paura. Considerai mio marito
come uno degli invitati e personificai la mia paura nei suoi confronti. Quando immaginai di
dissolvere il mio corpo in un nettare d’amore e accettazione, visualizzai mio marito che beveva
quanto gli era necessario di quel nettare. Nel fare queste offerte, compresi la mia rabbia e il
desiderio di allontanarmi da lui insieme a mio figlio e gli offrii questo elisir con compassione.
Contemporaneamente, lasciai andare la preda del nostro tiro alla fune.
Sfamai anche una forma personificata del demone della mia paura, che visualizzai come una
tormentata figura blu dalla terribile smorfia, con i capelli ritti e mani a ventosa come i tentacoli
di un polipo. Nutrendo sia mio marito che il demone della mia paura con grande generosità,
allentai la mia lotta contro di loro. Dopo che furono entrambi soddisfatti e io ebbi terminata la
mia pratica, mi sentii libera dalla tensione dell’“io” contro di “te” e andai a letto sentendomi in
pace e rilassata come non ero da mesi.
Il giorno successivo, mio marito mi chiamò dall’appartamento che aveva affittato all’altro capo
di Roma e chiese di potermi parlare. Non dimenticherò mai quell’incontro. Sedevamo sul divano
di cotone beige nel soggiorno che un tempo avevamo condiviso. Le finestre erano aperte e il sole
del mattino inondava la stanza.
Mio marito disse: «Stanotte qualcosa è cambiato in me. Quando mi sono svegliato, ho deciso che
devo lasciarti tornare negli Stati Uniti con Cos. Ho capito che sono stato ingiusto e che tu hai
sofferto tantissimo. Confido che non ostacolerai il mio rapporto con Cos e che mi aiuterai a
essere parte della sua vita il più possibile».
Lo guardai incredula. Era un capovolgimento totale rispetto alla sua precedente posizione.
Cos’era successo? E all’improvviso mi venne in mente la pratica del Chöd della notte

28
precedente, quando avevo lasciato cadere la lotta che avevo combattuto per mesi e lo avevo
nutrito con compassione, sfamando con amore anche il demone della mia paura. Era come se
avendo lasciato andare la presa del nostro tiro alla fune, la tensione si fosse dissolta anche per
lui, lasciandogli lo spazio per cambiare idea.
Grazie a questa esperienza concreta, scoprii per la prima volta che la pratica di sfamare i demoni
era in relazione diretta con la mia vita, con le mie lotte di donna e madre occidentale. Compresi
che i demoni che avevo nutrito nel Chöd facevano assolutamente parte della mia vita di tutti i
giorni; erano “roba” mia, i miei temi, le mie paure, la mia rabbia. Non erano tibetani; non erano
demoni esotici di un dipinto asiatico senza alcun rapporto con la mia vita quotidiana.
All’improvviso, questa pratica mi sembrò essenziale nell’affrontare le mie speranze e le mie
paure.
Dopo questa esperienza, la mia comprensione della pratica del Chöd cambiò, e io iniziai a
personificare e nutrire i miei demoni, fossero emozioni, malanni o paure. Fu qualche tempo
dopo, quando cominciai a insegnare il Chöd, che sviluppai la versione della pratica dei cinque
stadi che si trova in questo testo, ma la comprensione fondamentale dei demoni come conflitti
interiori della mia vita era già avvenuta. Qualsiasi cosa emergesse in me, la inserivo nella pratica
del Chöd. Era facile trovare i demoni. Stavano sempre con me! E qualsiasi demone invitassi al
banchetto, il risultato era sempre la libertà dalla tensione.
Nel 1989, tre anni dopo essere tornata negli Stati Uniti, incontrai il mio attuale marito, David.
Era l’insegnante di teatro e danza di mia figlia. L’incontro con lui fece apparire un grande
demone, il demone dell’abbandono, esacerbato dalle infedeltà del marito italiano. Come risultato
di questo demone, talvolta tendevo a distruggere una promettente relazione chiedendo troppo
presto un impegno oppure provocavo un tradimento come una sorta di avveramento di una
profezia.
Pensavo: «Non voglio avere niente a che fare con questa ridicola, umiliante paura
dell’abbandono. Se la ignoro, se ne andrà. Per di più, ho buoni motivi per sentire che verrò
abbandonata». Ma il demone dell’abbandono non se ne andava; diventava più forte e più
persistente. Alla fine, cominciai a sfamarlo con la pratica del Chöd, perché compresi che se non
iniziavo a prendermene cura, avrebbe reso la mia relazione con David un inferno. Avevo lottato
per anni contro questo demone, ma ciò non significava che gli avessi prestato davvero
attenzione.
Decisi di fare un esperimento mettendomi a lavorare intensamente, ogni giorno per un mese,
usando un diario per registrare quello che succedeva. Come nella pratica del Chöd, adottai un
approccio psicologico occidentale, dando forma e personificando il mio demone dell’abbandono,
comunicando con lui, cambiando ruoli, diventando lui e offrendogli quello di cui aveva bisogno.
Creai una versione semplice dei cinque stadi basata sui principi del Chöd: dissolvere il mio corpo
in un nettare e darlo in pasto al demone fino a completa soddisfazione, finché non si fosse
dissolto o tramutato in una figura positiva. Alla fine di questo percorso, riposavo nello spazio
della consapevolezza che si era aperto dopo che il demone soddisfatto si era dissolto.
Quando localizzai per la prima volta il mio demone dell’abbandono, vidi una bambina di circa
cinque anni, con mesti occhi sfuggenti. Aveva capelli castani arruffati, grandi occhi azzurri, e i
denti appuntiti di un vampiro. Mi disse: «Lui se ne andrà. Ascoltami. Lo sai che ho ragione. Lo
sai che succede sempre così, a te e a me. Sono l’unica vera amica che hai. Sarò sempre qui a dirti

29
la verità su quello che accade. Sono affidabile. Almeno puoi contare su di me». Man mano che
parlava, sembrava diventare sempre più forte.
Nei giorni successivi, la sfamai regolarmente usando il Chöd e il metodo che avevo sviluppato, e
lei iniziò a cambiare. Con il passare del tempo quando la evocavo di fronte a me per nutrirla, non
era più un vampiro. Sembrava solo triste. Alla fine del mese aveva un aspetto vulnerabile e
amorevole, grata per l’attenzione che le davo. La cosa stupefacente fu che dopo questo sforzo
concertato, lei smise effettivamente di turbare la mia vita e non mi infastidì più. Avevo accettato
che sarebbe potuta restare con me come mio “tema centrale”, ma non fu così. Le cose
cambiarono anche a livello pratico. La mia relazione con Dave migliorò e alla fine sfociò nel
meraviglioso matrimonio che abbiamo oggi.
All’incirca in quel periodo, incoraggiata dal mio maestro Namkhai Norbu Rinpoche, iniziai a
condurre ritiri di Chöd. Nel guidarli, mi accorsi che la pratica di nutrire i demoni era difficile da
comprendere per gli occidentali e tendeva a restare concettuale. Così insegnai la pratica di
visualizzazione del dare forma ai demoni per poi nutrirli, che avevo sviluppato nel mese in cui
avevo sfamato il mio demone dell’abbandono. E insegnai agli studenti a lavorare in questo modo
con i demoni come temi reali della loro vita, e non solo concetti buddhisti teorici.
I demoni di cui parlo non sono fantasmi, spiritelli maligni, o servitori di Satana. Quando chiesero
a Machig di definire i demoni, rispose: «Quelli che chiamiamo demoni non sono individui che
esistono concretamente come enormi forme nere che spaventano e terrorizzano chiunque li
scorga. Un demone è qualsiasi cosa ostacoli la liberazione».
I nostri demoni non sono antiche gargolle intagliate tibetane dell’XI secolo. Sono le nostre
preoccupazioni attuali, i temi che nella nostra vita bloccano l’esperienza della libertà. I nostri
demoni possono provenire dai conflitti che abbiamo con il partner, dall’ansia che sentiamo in
aereo o dal disagio che proviamo davanti allo specchio. Il vostro particolare demone può essere
la paura del fallimento o la dipendenza dal tabacco, dall’alcol, dalle droghe, dalla pornografia o
dal denaro. Possiamo avere un demone che ci fa temere l’abbandono o che ci spinge a ferire
quelli che amiamo. Una persona che soffre di disturbi alimentari può avere un demone che esige
enormi quantità di dolci o di grassi. Il demone dell’anoressia ci dice che abbiamo fallito se
mangiamo e che non saremo mai abbastanza magri. Un demone della paura può convincerci che
non possiamo salire ai piani alti di un edificio o passeggiare nel buio.
Anche se la maggior parte delle persone dice di non credere nei demoni, la parola è ancora di uso
comune, e quando la sentiamo sappiamo cosa significa. Per esempio, qualcuno potrebbe parlare
della sua tendenza all’invidia come del suo “demone dell’invidia”, o potremmo usare
l’espressione “è di nuovo perseguitato dai demoni” o parlando di reduci dire che “lottano contro i
demoni dello stress post-traumatico”.
I demoni sono parte della nostra mente e come tali non hanno un’esistenza propria. Nondimeno,
noi li combattiamo come se fossero reali e crediamo nella loro esistenza; chiedete a chiunque
abbia lottato contro lo stress post-traumatico o contro una dipendenza o l’ansia. I demoni
appaiono nella nostra vita, che li si provochi o no, che li si desideri o meno. La mente percepisce
i demoni come reali e così restiamo intrappolati nel combatterli. Di solito, questa abitudine a
lottare contro quelli che percepiamo come problemi rafforza i demoni anziché indebolirli. Alla
fine, tutti i demoni sono radicati nella nostra tendenza a creare polarizzazioni. Comprendendo

30
come lavorare con questa tendenza a cercare di dominare quello che percepiamo come nemico e
a vedere le cose come o… o…, ci liberiamo dai demoni eliminando la loro fonte reale.
Noi tendiamo anche a proiettare i nostri demoni sugli altri. Se osserviamo quello che più di tutto
disprezziamo negli altri, di solito ci vediamo riflesso uno dei nostri demoni. Se osserviamo quelli
che critichiamo o che cerchiamo di controllare, scopriamo i demoni che noi stessi ospitiamo.
Quando agiamo come se non avessimo ombre, siamo particolarmente vulnerabili a restare
sommersi dai nostri demoni. Può essere un problema soprattutto per i preti e per i predicatori,
perché si suppone che abbiano sconfitto i loro demoni, il che non fa che esacerbare la tendenza a
combatterli esponendoli all’ipocrisia e all’autodistruzione, come quando condannano i peccati
sessuali mentre sono segretamente coinvolti proprio nel tipo di sesso che attaccano in pubblico.
Il famoso predicatore Ted Haggard, ministro della più grande chiesa evangelica di Colorado
Springs, predicava contro l’uso della droga, l’omosessualità e i matrimoni gay, mentre era
segretamente coinvolto in una relazione con un uomo che si prostituiva a Denver. Sposato, con
cinque figli, Haggard dava di sé l’immagine di un padre di famiglia rigidamente eterosessuale.
Dopo alcuni anni di visite regolari del pastore, l’uomo che si prostituiva lo vide in TV predicare
contro il matrimonio gay. Rimase così disgustato dalla sua ipocrisia che si recò nella redazione di
un giornale e rivelò che per tre anni Ted Haggard era stato suo cliente e che da lui comprava
anche la droga. Dopo che fu costretto a rinunciare alla chiesa che aveva fondato, Haggard si
ritirò in solitudine, sempre determinato a “combattere” i demoni dei suoi desideri proibiti.
Noi spesso scherniamo o critichiamo gli altri quando incarnano qualcosa che cerchiamo di
reprimere in noi stessi. Certamente tutti noi abbiamo passioni che non vanno agite, come gli
impulsi violenti o il desiderio di rubare o di maltrattare qualcuno. Tuttavia la repressione spesso
non è il modo più efficace per affrontare gli impulsi inaccettabili. Quando li riconosciamo,
tirandoli fuori dal cassetto e occupandocene consapevolmente, diventano meno pericolosi che
non quando li combattiamo. Nascosti, non fanno che rafforzarsi. Più cerchiamo di imprigionarli e
più diventano infidi e pericolosi.
Quando sfamiamo i nostri demoni utilizzando i cinque stadi descritti in questo libro,
reintegriamo parti di noi represse e disconosciute. Durante un periodo di crisi interiore, C.G.
Jung scoprì che personificando le sue parti represse riusciva ad alleggerire la pressione interna.
Dopo avere immaginato e riunito questi aspetti personificati di sé, poneva loro delle domande,
cui essi rispondevano creando un’immagine, e alla fine il disturbo scompariva. Allo stesso modo,
quando sfamate i vostri demoni, personificate delle parti di voi stessi, interagite con esse e le
integrate dando loro quello di cui hanno bisogno; e così possono essere liberate.
I demoni sono sempre degli ostacoli?
A conti fatti, i demoni hanno molto da offrire. Innanzi tutto, possono agire da richiamo al
risveglio. Quando soffriamo per un attacco di rabbia, di ansia o di tensione, invece di vederli
come qualcosa da soffocare, da combattere o di cui vergognarsi potremmo considerarli come
demoni che chiedono attenzione.
Quando Andrea, un’insegnante di trentotto anni, arrivò come volontaria al Tara Mandala,
sembrava che niente le andasse per il verso giusto. La legna per il fuoco era umida, il camino
ostruito, la capanna stracolma dei bagagli disfatti e la sua mente così sottosopra che non riusciva
a meditare. Aveva chiuso da poco una relazione che era durata dieci anni. D’un tratto sentiva una

31
profonda mancanza del suo compagno, e cominciò a chiedersi se rompere con lui era stata una
buona idea.
Venne da me e mi disse che aveva l’impressione che il mondo cospirasse contro di lei. Non
vedeva l’ora di mettere a posto tutto, in modo da poter davvero iniziare a meditare. Andrea
pensava che la sua pratica potesse realmente cominciare solo quando fosse riuscita a sedersi
tranquilla sul cuscino di meditazione, nella sua capanna ben sistemata. La incoraggiai a vedere
che la situazione esterna non era il vero demone e che quei disagi erano un richiamo al risveglio,
un dono. Iniziò a riconoscere questi ostacoli come le sue speranze e paure, e non come forze
esterne che la minacciavano. Le suggerii di considerare il suo forte desiderio, il senso di lutto e la
frustrazione non come ostacoli demoniaci alla sua pratica spirituale, ma inviti ad applicare quello
che stava imparando a ciò che stava realmente accadendo anziché alla sua idea di ciò che sarebbe
dovuto accadere. La guidai nella pratica di sfamare i demoni e le insegnai a nutrirli da sola.
Dopo aver nutrito i suoi demoni, Andrea riuscì a cambiare il modo di vedere la situazione.
Anziché vedere gli eventi cospirare contro di lei, considerò quelle sfide come un invito. In questo
modo, i demoni si trasformarono in alleati del suo sviluppo spirituale. Riuscì anche a riconoscere
quanto fosse imprigionata nell’incolpare il mondo esterno per il suo stato interiore. Tendiamo
tutti a credere che la nostra pratica spirituale dovrebbe essere piena di pace, ma spesso i momenti
più difficili, più umilianti sono quelli che generano le esperienze di risveglio maggiore.
Quando mio figlio Cos, a venticinque anni, iniziò un periodo di stretto ritiro di un anno, il suo
maestro, Adzom Rinpoche, gli disse: «Ricorda, è facile praticare la meditazione quando le
circostanze sono favorevoli; il banco di prova di un buon praticante è quando le circostanze sono
difficili». Gli fu molto utile quando durante il ritiro emersero i suoi demoni. Si sentì determinato
a lavorare nella situazione presente, e a sfamare i demoni anziché lamentarsi o sentirsi oppresso
dai pensieri e dalle emozioni.
Quando nella nostra vita emergono le difficoltà, possiamo vederle come ostacoli oppure come
“acqua per il nostro mulino”, che ha il potenziale di portarci più vicini al risveglio. Senza queste
sfide e senza riconoscere i nostri errori, passeremmo la vita in attesa delle circostanze ideali
invece di lavorare autenticamente su di noi. In effetti, i nostri “nemici”, quelli che ci agitano di
più, sono i nostri più grandi maestri, e anziché vederli come demoni potremmo considerarli dei
doni.
Paure, ossessioni e dipendenze sono tutte parti di noi che sono diventate “demoniache” per
essere state separate, disconosciute e combattute. Quando cerchiamo di liberarci dai nostri
demoni, essi ci perseguitano. Combattendoli come forze informi, li rinforziamo e potremmo
anche soccombere. Per esempio, una persona che lotta contro l’alcolismo anziché nutrire la causa
fondamentale della propria dipendenza, può alla fine morire di cirrosi epatica. Chi combatte la
depressione senza raggiungere un accordo con la sua causa può arrivare al suicidio. Dobbiamo
riconoscere l’inutilità della lotta, e sentirci perseguitati dalle circostanze esterne non è la
soluzione. Abbiamo bisogno di dare forma ai nostri demoni e di dare voce a quelle parti di noi da
cui ci sentiamo perseguitati. Entrando in contatto con esse, possiamo arrivare alla fonte dei nostri
comportamenti e trasformare la loro energia in un alleato. Questo non significa indulgere in
azioni distruttive, ma riconoscere i nostri bisogni sotterranei. La pratica di sfamare i demoni
rende possibile tale trasformazione.

32
Anche se in questo libro uso di frequente il termine “demone” per descrivere ciò che abbiamo
bisogno di trasformare, prendete in considerazione anche gli dèi, i vostri desideri ossessivi.
Considerate che le nostre speranze e i nostri desideri possono essere problematici quanto le
nostre paure. Fortunatamente anche gli dèi, come le loro controparti demoniache, possono essere
trasformati in alleati attraverso la stessa pratica dei cinque stadi.

33
Parte seconda

34
NUTRIRE I DEMONI

35
Come nutrire i demoni
E il gusto dell’odio si allontana –
E la rabbia appena nutrita muore –
È il digiuno piuttosto – che la ingrassa.
EMILY DICKINSON (1830-1886)
Quando siamo ossessionati dal cibo, quando sogniamo il partner perfetto o bramiamo una
sigaretta, rinforziamo i nostri demoni, perché non prestiamo veramente attenzione al bisogno che
sta sotto al desiderio. Quando facciamo davvero attenzione e riconosciamo la profonda richiesta
che sta sotto alla brama, impariamo a soddisfare i veri bisogni del demone e non solo a
indulgervi o a contrastarli. Una volta soddisfatto, il demone se ne va. I nostri demoni ingrassano
se vengono combattuti o ignorati (anche ignorare è un processo attivo), perché si nutrono
dell’energia della lotta. È questa la ragione profonda del dare piena attenzione e soddisfazione ai
propri demoni, anziché combatterli o ignorarli.
Se date a vostra figlia un DVD quando in realtà ha bisogno d’amore, non sarà soddisfatta. Se la
ignorate o lottate contro di lei, diventerà sempre più sgradevole finché non le darete veramente
attenzione. Ma un’attenzione impaziente non la soddisfarà. Se invece prestiamo attenzione a una
bambina difficile e le diamo ciò di cui ha bisogno, non quello che lei vuole, allora potrà rilassarsi
e distendersi. Fermandovi e scoprendo ciò di cui ha veramente bisogno, in un certo senso la
ripagate con la vostra attenzione. Per cambiare le cose bisogna rivolgere l’attenzione al
contenuto sottinteso, nutrire i demoni con quello di cui hanno veramente bisogno anziché con
quello di cui sembrano avere bisogno. Se riusciamo a raggiungere il bisogno fondamentale che
sta sotto il desiderio superficiale, scopriamo che di solito è una richiesta di amore, compassione,
accettazione. Per esempio, possiamo desiderare un gelato, ma avere bisogno d’amore. Quando
smettiamo di cercare di scacciare i demoni lanciando loro un osso e invece prestiamo davvero
attenzione e offriamo la nostra autentica presenza, “il gusto dell’odio si allontana”.
La depressione non si allontana se bevete un altro bicchiere di vino anziché prestarle attenzione,
al contrario si rafforza. La depressione vi consuma perché vi “divora” mentre incuranti cercate di
liberarvene. È come avere una sanguisuga che vi prosciuga senza che ve ne accorgiate. Ma se
prestate consapevolmente attenzione al demone della depressione e lo sfamate seguendo i cinque
stadi descritti in questo capitolo, vedrete che si trasformerà.
Preparare la scena
Per sfamare un demone occorre circa mezz’ora. Cercate un posto silenzioso, dove vi sentite al
sicuro e a vostro agio. Scegliete un momento in cui non verrete interrotti, per esempio di primo
mattino, all’inizio della vostra giornata, ma va bene qualsiasi momento purché sia tranquillo.
Preparate due sedie o due cuscini l’uno di fronte all’altro: uno per voi e uno per il
demone/alleato. Quando siete pronti chiudete gli occhi; li terrete chiusi fino alla fine del quinto
stadio, perciò mettete i due sedili (sedie o cuscini) abbastanza vicini uno all’altro, in modo da
poter percepire quello di fronte a voi anche senza guardare. Stare con gli occhi chiusi vi aiuterà a
restare concentrati e presenti mentre immaginate l’incontro con il vostro demone. Tuttavia,
finché non conoscete a memoria gli stadi, consultate pure la loro versione abbreviata (vedi
appendice).

36
Vi consiglio di tenere un promemoria scritto del vostro lavoro. L’ideale sarebbe un apposito
diario dedicato al demone, ma qualsiasi quaderno di appunti va bene (per saperne di più, vedete
al capitolo 5 il paragrafo su come tenere un diario degli incontri con il demone). Se avete spazio,
tenete i cuscini uno di fronte all’altro in un angolo della vostra casa e lasciate il diario vicino ai
cuscini, pronto per la meditazione successiva.

37
Nove respiri rilassanti
A questo punto siete seduti su una delle sedie (o uno dei cuscini). Ora chiudete gli occhi.
Cominciate facendo nove respiri profondi con l’addome, ossia inspirate profondamente finché
non sentite l’addome espandersi. Mettete le mani sullo stomaco e osservate che si alza e si
abbassa. È la garanzia che state respirando profondamente, e questo vi aiuterà a rilassarvi.
Quando inspirate, durante i primi tre respiri, immaginate che il respiro raggiunga ogni tensione
fisica presente nel corpo e immaginate poi che l’espirazione la porti via.
Nei successivi tre respiri, immaginate che il respiro vada in qualsiasi punto del corpo in cui
sentite una qualche tensione emotiva e immaginate poi che l’espirazione porti fuori dal corpo
quella tensione.
Durante gli ultimi tre respiri, inspirate nelle parti del corpo in cui sentite una tensione mentale,
come preoccupazioni, pensieri riguardo a quello che state facendo o paura di non riuscirci.
Respirate nel punto del corpo in cui avvertite la tensione mentale e poi lasciatela andare con
l’espirazione.

38
Generare la motivazione
Dopo i nove respiri di rilassamento, una volta che vi sentite calmi e pienamente presenti,
concedetevi un momento per rilassarvi e concentratevi sul motivo per cui fate questa pratica. Vi
suggerisco di farla a beneficio di tutti gli esseri, generando un profondo, sentito desiderio di
liberare dalla sofferenza la vostra vita e quella di tutti gli altri. Questa motivazione è importante
per spostare la vostra attenzione dai bisogni dell’ego alla compassione, e il campo delle vostre
azioni da un interesse puramente egoistico a un bene più allargato.
È molto importante generare la retta motivazione prima di fare qualsiasi cosa. Il grande maestro
tibetano del XIX secolo Patrul Rinpoche disse:
Cosa rende un’azione buona o malvagia?
Non la sua apparenza, non se è grande o piccola,
ma la buona o cattiva motivazione che la precede.
Quando non siamo più imprigionati dai nostri demoni, possiamo aiutare gli altri e noi stessi più
efficacemente. Cercate di sentire una motivazione positiva nel vostro cuore prima di procedere
nella pratica, e percepite che quello che fate non è solo per voi, ma è anche a beneficio di un
mondo più vasto. È questo che nel buddhismo s’intende per creare un’intenzione altruistica, ed
essa aggiunge ulteriore forza alla pratica.
I cinque stadi per sfamare i demoni
Dopo questi preliminari siete pronti a iniziare con i cinque stadi. In questa sezione, prenderemo
in considerazione ogni stadio in profondità. Per uno sguardo veloce agli stadi nel loro insieme,
andate alla versione abbreviata in appendice.

39
Primo stadio: trovare il demone
Questo primo stadio ha tre fasi:
 Decidere su quale demone volete lavorare.
 Localizzare in quale punto del corpo ospitate il demone.
 Osservare il demone nel corpo.
DECIDERE SU QUALE DEMONE LAVORARE
Un buon modo per scegliere su cosa concentrarsi è farsi le seguenti domande:
 Cosa prosciuga la mia energia?
 Cosa mi abbatte?
 Cosa mi “divora”?
 Quale avvenimento mi ha disturbato di recente?
Può essere un vecchio tema che continua a emergere, forse una paura persistente, una
dipendenza, un dolore, una malattia. Può essere una sensazione o una reazione riguardo a
un’altra persona, qualcuno che vi ossessiona, qualcuno con cui siete in conflitto o che vi
spaventa. (Anziché concentrarvi sulla persona reale, lavorerete sulla sensazione che emerge per
voi in rapporto a quella persona.) Potete pensare ai conflitti vissuti con il vostro partner o con un
collega di lavoro. Può essere un demone della paura, dell’attaccamento o della confusione. Le
nostre relazioni sono spesso i principali inneschi dei demoni.
È una buona idea scegliere la prima cosa che vi viene in mente quando vi chiedete con quale
demone volete lavorare. Certe volte quando salta fuori qualcosa, pensate: «Oh no, non questo.
Tutto ma non questo». Vi raccomando di non demordere, e di scegliere proprio quello.
Non dovete temere che il primo demone sia troppo forte. Nella mia esperienza, i demoni repressi
(o i demoni “oh no”) sono molto più potenti e distruttivi quando li evitiamo che non quando ne
siamo consapevoli. E quando un grande demone viene sfamato, si libera moltissima energia che
può diventare alleata o protettiva.
Un’altra buona indicazione per scegliere un demone è privilegiare un’emozione che continua a
emergere. Per esempio, vi ritrovate spesso in preda a scoppi di rabbia, anche se non vi
considerate una persona irosa. In questo caso, potreste scegliere di lavorare con il demone della
rabbia. Altre buone possibilità sono i temi ricorrenti della vostra vita, come la depressione, le
relazioni fallite o il denaro.
Non sono che degli esempi per aiutarvi a iniziare. Se non vi viene in mente niente, cercate nel
corpo. Avete una malattia, o altre situazioni fisiche croniche? Avete un dolore o una tensione da
qualche parte? Se c’è, lavorate con quello; spesso scoprirete qualcos’altro al di sotto della
sensazione fisica.
Più spesso però vi ritroverete con una lista così lunga dei possibili demoni che vi sarà difficile
decidere su quale lavorare per primo. In tal caso ricordate che potete fare questa pratica quante
volte e con quanti demoni volete, dunque non preoccupatevi troppo di trovare quello giusto.
Cominciate con quello che affiora per primo.
Nel seguire la pratica dello sfamare il demone, scoprirete probabilmente dei demoni che sono
connessi o nascosti sotto i primi che si mostrano. I demoni possono essere come le bambole
russe, inserite l’una dentro l’altra. Per esempio, iniziate dalla dipendenza dal caffè e sotto
scoprite un negriero e ancora più sotto un demone della paura o del fallimento e sotto a questo un

40
demone che vi dice che siete stupidi e così via. Cominciate con quello che emerge per primo e
attraverso il percorso di sfamare i demoni lavorerete nei vari livelli; non cercate di trovare il
demone supremo o di lavorare con più di uno alla volta.
LOCALIZZARE IL DEMONE NEL CORPO
Una volta determinato con cosa lavorare, prendetevi un momento per mettervi in contatto con il
corpo. Radicarsi nelle sensazioni corporee è un buon modo per superare l’intellettualizzazione;
vi aiuta ad andare “oltre la testa”, aprendo un varco diretto alla saggezza del corpo.
Spesso passiamo così tanto tempo nella mente che abbiamo bisogno di fare uno sforzo per
entrare in contatto con il corpo. Pensate al tema o al demone con cui avete deciso di lavorare e
lasciate che la consapevolezza percorra il corpo dalla testa alle dita dei piedi, senza alcun
giudizio, semplicemente consapevoli delle sensazioni presenti. Localizzate dove trattenete
l’energia, notando dove va l’attenzione nel corpo quando pensate al tema che avete scelto. Una
volta trovata la sensazione, intensificatela, esageratela.
Potete anche trovare dov’è il demone nel vostro corpo generando consapevolmente l’emozione
con cui volete lavorare. Per esempio, se state lavorando con la rabbia, evocate il ricordo di un
momento in cui la rabbia è emersa intensamente e poi esaminate il corpo per trovare le
sensazioni connesse con questo demone. Ogni emozione si colloca in qualche parte del corpo.
Se il vostro demone è la sensazione di essere sotto pressione, l’ansia da risultato, questo demone
dello stress può essere qualcosa con cui convivete costantemente, che vi incalza da quando vi
svegliate al mattino finché andate a dormire la notte. Dov’è questa tensione nel corpo? Nelle
spalle? Nel collo? Ricordare una situazione di particolare stress può aiutare a localizzare questa
energia nel corpo.
OSSERVARE IL DEMONE NEL CORPO
Una volta localizzato il demone, iniziate a esplorarlo. È uno stadio importante, perché uno dei
modi in cui i demoni ci dominano è il loro essere amorfi e voi cominciate a rendere il demone
conscio. Tenendo gli occhi chiusi, lasciate che la vostra immaginazione indaghi la sensazione
fisica che avete messo a fuoco. Ecco alcune domande da porre a voi stessi:
 Di che colore è?
 Che forma ha?
 Ha una consistenza?
 Che temperatura ha?
 Se emette un suono, che suono è?
 Se ha un odore, che odore è?

41
Secondo stadio: personificare il demone e chiedergli di cosa ha bisogno
Nel secondo stadio, invitate il demone a passare da un insieme di sensazioni, colori e consistenze
che avete identificato nel corpo a un’entità vivente, seduta di fronte a voi. Personificare il
demone dà forma a quello che di solito è difficile da percepire e vi permette di comunicare con
lui. Incoraggiate la sensazione che avete localizzato nel corpo a manifestarsi di fronte a voi,
personalizzandosi in qualche modo. Può essere un animale, una persona, un mostro o qualsiasi
altro essere che incarni le qualità che avete identificato. Non cercate di controllare o di decidere a
cosa assomigli; lasciate che sia la mente inconscia a produrre l’immagine. La personificazione
coinvolge l’immaginazione nel trasformare in un essere qualcosa che sentite o percepite. Se
emerge qualcosa che vi sembra sciocco, come uno stereotipo o un personaggio dei fumetti, non
rifiutatelo né tentate di cambiarlo; lavorate con qualsiasi forma si presenti senza correggerla. In
ogni caso, è utile che il demone abbia una faccia, occhi e annessi, perché vi aiuterà a comunicare
con lui. Se il demone si manifestasse in forma di albero o di un oggetto inanimato come una
pietra, chiedetegli: «Che aspetto avresti se fossi un essere animato?». Osservate poi cosa appare,
magari un albero nodoso si trasforma in una vecchia donna curva con le articolazioni gonfie.
Abbiate fiducia nell’immagine che appare.
PERSONIFICARE IL DEMONE
Ecco qui di seguito alcune domande che potete farvi per avere un’immagine più chiara del vostro
demone:
 Che misura ha?
 Ha braccia e gambe? Se sì, come sono?
 Di che colore è?
 Com’è la superficie del suo corpo?
 Ha un’età?
 Ha un genere sessuale?
 Qual è il suo stato d’animo?
 Come mi sento guardandolo?
Osservatelo attentamente negli occhi e notate la sua espressione. È importante per dargli vita e
creare un contatto sincero.
Infine, guardate ancora una volta il demone e vedete se ora notate qualcosa che non avevate visto
prima.
Per esempio, un dolore alla spalla sinistra diventa un demone dello stress che prende la forma di
un maschio, rosso, magro e gracile. Ha piedi scheletrici. I suoi occhi sono intensi e penetranti, e
appaiono adirati. Sembra essere impaziente con me. Ha i capelli ritti in testa ed è molto rigido e
fragile. Pur essendo rosso è freddo, ed è leggermente più alto di me. È di mezza età ed è molto
serio. La precisione nel personificare il demone è importante, perché le immagini sono
comunicazioni della nostra mente inconscia. Se osservate con cura il demone, vi trasmetterà
molte più informazioni che non una vaga definizione del tipo “il mio demone della paura”. Il
vostro intelletto può cercare di analizzare il demone, oppure può emergere una serie di immagini
diverse, ma soffermatevi sul primo demone che appare. Non optate per una seconda scelta; di
solito è meglio mantenere l’immagine originale.

42
CHIEDERE AL DEMONE DI COSA HA BISOGNO
La parte successiva di questo secondo stadio consiste nel comunicare direttamente con il
demone, ponendogli tre domande, ciascuna delle quali aiuta a comprendere cosa soddisfi il
demone. È la vostra opportunità per entrare in diretto contatto con lui; non appena fatte le
domande, vi scambierete di posto con il demone. Le tre domande vanno fatte nell’ordine qui
riportato e a voce alta, perché vi chiariscono gradualmente con quale tipo di nettare nutrire il
demone:
 Cosa vuoi da me?
 Di cosa hai bisogno?
 Come ti sentiresti se ottenessi quello di cui hai bisogno?
Poi, come ho detto sopra, una volta fatte le domande, non aspettate la risposta; scambiatevi di
posto con il demone. Dovete diventare il demone per conoscere le risposte.

43
Terzo stadio: diventare il demone
Con gli occhi ancora chiusi, spostatevi sul sedile preparato di fronte a voi e immaginate di essere
il demone. Fate un paio di respiri profondi e sentitevi diventare il demone. Richiamate alla mente
in modo vivido l’essere che si era personificato di fronte a voi, e immaginatevi “nei panni del
demone”. Prendetevi un momento per calarvi nella vostra nuova identità prima di rispondere alle
tre domande, immaginando il vostro sé ordinario di fronte a voi.
Spesso pensiamo di sapere quello che il demone dovrebbe sentire quando lo guardiamo, ma
quando diventiamo il demone ci sentiamo molto diversi. Un demone che sembra minaccioso può
essere in realtà spaventato e agire in un certo modo solo per proteggersi. Questo stadio può
essere una delle parti più sorprendenti del percorso, dunque fate lo sforzo di cambiarvi di posto,
anche se vi sembra sciocco o imbarazzante. Poi rispondete a voce alta alle tre domande, in prima
persona, dal punto di vista del demone, in questo modo:
 Quello che voglio da te è…
 Ciò di cui ho bisogno da te è…
 Se il mio bisogno venisse soddisfatto, mi sentirei…
Il rigido, rosso demone dello stress che ho menzionato prima potrebbe rispondere così alla prima
domanda: «Voglio sollecitarti a fare sempre di più, così avrai più successo».
È molto importante che queste domande sottolineino la distinzione tra desideri e bisogni, perché
molti demoni vogliono la vostra forza vitale o tutto ciò che c’è di buono nella vostra vita, o
controllarvi, ma non è di questo che hanno bisogno. Spesso quello di cui hanno bisogno è
nascosto sotto a quello che dicono di volere ed è il motivo per cui facciamo la seconda domanda,
sondando un po’ più in profondità. Il demone dell’alcolismo può volere l’alcol, ma avere bisogno
di qualcosa di molto diverso, come la sicurezza o il rilassamento. Finché non raggiungiamo il
bisogno che sta sotto la brama, questa non avrà fine.
In risposta alla domanda «Di cosa hai bisogno?», il demone dello stress potrebbe rispondere:
«Ciò di cui ho bisogno in realtà è di sentirmi al sicuro».
Dopo avere capito che sotto al desiderio del demone dello stress di spingere a fare di più c’è un
bisogno di sentirsi al sicuro, dovete ancora scoprire come si sentirà il demone se otterrà ciò di cui
ha bisogno. Questo vi dirà con cosa nutrire il demone. Alla domanda «Come ti sentiresti se
ottenessi quello di cui hai bisogno?», il demone dello stress potrebbe rispondere: «Mi sentirei di
poter lasciar andare e finalmente rilassarmi». Ora sapete di dover nutrire questo demone con il
rilassamento.
Nel caso di una malattia come un tumore, il demone potrebbe dire: «Voglio tutta la tua forza
vitale». E alla domanda «Di cosa hai bisogno?», risponderebbe: «Ho bisogno di forza». E se alla
domanda «Come ti sentiresti se ottenessi quello di cui hai bisogno?», in questo caso la forza, il
demone rispondesse «Mi sentirei potente», allora sapreste di dover nutrire il demone con il
potere. Assicuratevi che la risposta alla terza domanda sia una sensazione. Per esempio, il
demone del cancro potrebbe dire: «Mi sentirei enorme». Ma non si tratta di una sensazione;
dovete sapere come si sentirebbe se ottenesse quello di cui ha bisogno. La sensazione che sta
sotto all’essere enorme potrebbe essere di potere, come in questo caso.
Potremmo pensare che nutrire un demone come il cancro con il potere non farebbe altro che
stimolarlo, ma il paradosso è che rivolgendoci direttamente al bisogno nascosto del demone

44
diminuiamo la sua forza. È l’opposto di alcuni approcci alternativi al cancro, in cui si visualizza
il tumore che viene attaccato e distrutto da eserciti di globuli bianchi. L’idea è che il bisogno del
demone viene visto e soddisfatto grazie al nettare, e allora il cancro diminuisce.
La dipendenza dal fumo può volere una sigaretta e avere bisogno di sicurezza, e se ottenesse la
sicurezza si sentirebbe in pace. Dunque il nettare sarà un senso di pace. Nutrendo il demone con
la sensazione emotiva che sta sotto il desiderio della sostanza, ci rivolgiamo al tema centrale
anziché ai sintomi. E se il demone dello stress che vuole il successo in definitiva ha bisogno di
sentirsi rilassato, nutrirlo con una sensazione di rilassamento metterà fine alla sua attività
compulsiva.

45
Quarto stadio: sfamare il demone e incontrare l’alleato
Questo stadio ha due fasi: sfamare il demone e incontrare l’alleato. Se sentite che il percorso è
concluso dopo aver nutrito il demone fino a completa soddisfazione, potete, se volete, passare
direttamente al quinto stadio. Non è necessario incontrare l’alleato per trarre beneficio dalla
pratica dei cinque stadi. Tuttavia, incontrare l’alleato può essere una parte molto gratificante del
percorso.
SFAMARE IL DEMONE
Siamo ora al momento cruciale dell’effettivo nutrimento del demone. Tornate alla vostra
posizione iniziale, di fronte al demone. Prendetevi un momento per rimettervi in contatto con il
vostro corpo prima di visualizzare di nuovo il demone di fronte a voi.
Per prima cosa, separate la consapevolezza dal corpo in modo da sentire come se la vostra
coscienza fosse al di fuori di esso e questa un osservatore del percorso. Immaginate poi che il
vostro corpo si sciolga in un nettare che consista di qualsiasi cosa il demone vi abbia detto che
sentirebbe se venisse soddisfatto. Mentre la vostra immaginazione dà forma al nettare, lasciate
andare l’attaccamento al corpo e immaginate la coscienza che lo abbandona. Nella pratica
tradizionale del Chöd la coscienza esce dalla cima della testa e si unisce con una forma
visualizzata della saggezza furiosa di madre Troma, una divinità danzante blu nerastra, che
sovrintende alla trasformazione del corpo in nettare. Potete immaginarla o potete semplicemente
portare la consapevolezza all’esperienza del corpo che diventa nettare. In entrambi i casi, lasciate
che il corpo si dissolva. Può succedere che iniziate a dissolvervi dai piedi per risalire
gradualmente alla testa. O invece vi dissolverete partendo da entrambi gli estremi per poi
arrivare al cuore. O forse vi dissolverete tutto d’un colpo, simultaneamente.
Di solito il nettare è liquido, ma può anche essere una sostanza gassosa o qualsiasi cosa sorga
nella vostra immaginazione. Alcuni visualizzano il nettare come vapore o fumo, altri
immaginano qualcosa di simile a una crema o perfino a del gelato! Notate il suo colore e anche la
sua confezione. Si trova in un contenitore, da cui il demone lo berrà o vi si immergerà, o è un
fiume, un flusso di liquido che scorre verso il demone? Questo nettare sarà un distillato di
qualsiasi cosa il demone descriva in risposta alla terza domanda e cioè la sensazione che avrebbe
se ottenesse ciò di cui ha bisogno. Per esempio, se il demone avesse detto che si sentirebbe
potente, o amato o accettato, allora l’essenza o la qualità del nettare sarebbe proprio quello:
potere, amore o accettazione.
Date libero corso alla vostra fantasia nel visualizzare come il nettare verrà assorbito dal demone.
Immaginate il demone bere la vostra offerta di nettare attraverso la bocca o i pori della pelle,
oppure inalarlo o sorbirlo in qualsiasi altro modo. Qualsiasi cosa immaginiate, cercate di vederla
con chiarezza e dettagliatamente. Continuate a visualizzare il nettare che scorre nel demone e
immaginate che ci sia un’infinita quantità di questo nettare e offritelo con generosità illimitata.
Quando sfamate il demone, osservatelo con attenzione, mentre inizia a cambiare. Sembra in
qualche modo diverso? Si sta tramutando in un altro essere?
Cosa accade una volta che il demone è completamente soddisfatto? Di solito, nel momento della
piena soddisfazione, il suo aspetto si modifica significativamente. Può diventare qualcosa di
totalmente nuovo, o scomparire nel fumo o nella nebbia. Non c’è niente che “debba” fare,
dunque semplicemente osservate quello che accade; lasciate che il percorso si svolga, senza

46
cercare di arrivare a un dato risultato. Qualsiasi cosa si sviluppi, nascerà spontaneamente una
volta che il demone sarà stato nutrito completamente. La vostra offerta non deve essere parziale
o condizionata. Se il demone sembra insaziabile, immaginate come apparirebbe se venisse
soddisfatto.
Una volta, percorsi i cinque stadi con una donna di Los Angeles che aveva subito abusi fisici e
verbali. Aveva interiorizzato l’esperienza come un demone dell’autodisprezzo. Quando le parlai
del quarto stadio, lei disse: «Senti, non penso che funzionerà con me. Ho una voce piena d’odio
dentro di me che non mi lascia mai in pace, nemmeno per un minuto». Piangeva dalla
disperazione.
Quando arrivò al quarto stadio con gli occhi chiusi, all’improvvisò scoppiò a ridere. Finita la
pratica, mi spiegò: «Non posso crederci. Dopo averlo nutrito, il mio demone dell’odio interiore si
è girato e ha lasciato la stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Quando ho guardato la porta,
c’era appeso un cartello con scritto: “Sono andato a pescare”». Non riusciva a smettere di ridere
e per la prima volta dopo anni si sentì libera dal demone dell’autodisprezzo.
INCONTRARE L’ALLEATO
Forse ricorderete la storia di Machig e degli spiriti dell’acqua nel primo capitolo, quando lei
aveva offerto se stessa come cibo ai naga che l’attaccavano, e questi si erano trasformati in
alleati che si impegnarono a proteggere lei e i suoi seguaci.
Lo stesso vale per noi: quando offriamo noi stessi sotto forma di nettare al demone, la sua
energia negativa si trasforma in una forza positiva. Ora, quando il demone una volta soddisfatto
si trasforma, abbiamo l’opportunità di incontrare quella forza in una forma personificata, e di
vedere esattamente come questa energia trasformata possa diventare una presenza positiva e
protettiva nella nostra vita.
Un demone soddisfatto può trasformarsi in una figura benevola, un alleato. Questo alleato può
essere un animale, un uccello, un essere umano, un dio mitologico o un bodhisattva, un bambino
o un familiare. Se si presenta una figura dopo che il demone è stato completamente saziato,
chiedetele se è l’alleato. Se non lo è, lasciatela pure restare, e invitate un alleato ad apparire. Il
demone può essersi trasformato in fumo, essersi sciolto in una pozzanghera o essersi
semplicemente disintegrato. Se il demone è scomparso e nessuna figura si è presentata, potete
comunque incontrare l’alleato invitandolo a manifestarsi di fronte a voi. Qualsiasi forma prenda,
notate i dettagli del suo aspetto. Cercate di vedere il suo sguardo, la sua taglia, il suo colore e
cosa indossa. Se è un oggetto inanimato o una pianta, invitatelo a diventare un essere
personificato.
Di nuovo a voce alta, fate all’alleato una di queste domande o tutte quante:
 Come mi aiuterai?
 Come mi proteggerai?
 Che promessa o impegno prendi con me?
 Come faccio per entrare in contatto con te?
Poi cambiate immediatamente posto e diventate l’alleato, come avete fatto nel terzo stadio,
quando siete diventati il demone. Una volta diventati l’alleato, prendetevi un momento per
abitare pienamente quel corpo. Notate come ci si sente a essere un guardiano protettivo. Poi,

47
parlando come l’alleato, rispondete alle domande precedenti. Cercate di essere il più possibile
specifici.
 Ti aiuterò così…
 Ti proteggerò così…
 Mi impegno a…
 Puoi entrare in contatto con me così…
Una volta che l’alleato ha descritto come vi servirà e proteggerà, e come potete farlo comparire,
ritornate al vostro posto iniziale. Prendetevi un momento per ritornare a voi e visualizzate
l’alleato di fronte. Poi immaginate di ricevere il suo aiuto e l’impegno promesso. Sentite questa
energia di sostegno entrare in voi e agire. Lasciatevi crogiolare nel flusso dell’energia positiva
che proviene dall’alleato.
Infine, immaginate l’alleato stesso sciogliersi in voi, e sentite la sua essenza profondamente
nutriente integrarsi con voi. Notate come vi sentite una volta che l’alleato si è dissolto in voi.
Considerate ora l’alleato come una parte inseparabile di voi, e poi lasciatevi dissolvere nella
vacuità, passando così naturalmente al quinto e ultimo stadio.
Più intenso e spaventoso è il demone, più grande è il potere dell’alleato, perché è l’intensità del
demone che costituisce la sorgente di potere dell’alleato. Per trasferire il potere dell’alleato alla
nostra vita quotidiana, abbiamo bisogno di rivolgerci all’alleato. Talvolta è sufficiente riportare
alla mente la sua immagine o le sue parole. Potete anche tenere una sua raffigurazione in un
luogo dove sia facilmente visibile.
Se la figura che è apparsa quando avete finito di nutrire il demone non era l’alleato, essa resterà
presente al suo fianco. A questo punto, dopo aver fatto le domande all’alleato e ricevuto la sua
energia, integrate in voi sia l’alleato sia l’altra figura, e passate al quinto stadio. Una volta, alla
fine del quarto stadio vidi una bambina piccola che però mi disse di non essere l’alleato. Alcuni
attimi dopo, apparve di fianco a lei un’alta figura simile a una Madonna nera: era l’alleato.
Mentre dialogavo con la figura simile a una Madonna, la bambina aspettava. Poi dissolsi
entrambe in me e passai al quinto stadio.
Frances, un medico e psicoterapeuta di cinquantatré anni, ci può offrire un buon esempio del
potere dell’alleato. Frances lavorava su una sensazione nel petto che la spaventava da molto
tempo. Sentiva come se un imbuto le prosciugasse l’energia vitale. Il demone che vide nel
secondo stadio era molto grosso e nero, una creatura simile a un lupo ritto sulle zampe posteriori.
Aveva un muso enorme, denti affilati e occhi rossi, fissi su di lei. Il pelo crepitava di elettricità,
emanava una fitta scarica di scintille bianche e aveva lunghi artigli simili a rasoi.
Quando Frances s’identificò con il demone, si sentì enorme e possente, mentre il suo normale sé
sembrava molto piccolo. Il demone voleva che il suo sé ordinario fosse al suo servizio, e facesse
solo quello che voleva lui. Se ci fosse riuscito, disse il demone, si sarebbe sentito potente, grosso
e forte.
Frances sciolse il suo corpo in un nettare di potere e forza, e lo offrì al demone lupesco. Quello
bevve e bevve, e nel frattempo il suo muso si schiariva sempre di più finché non diventò quasi
bianco. I suoi occhi virarono all’azzurro. Alla fine, aveva l’aspetto di un enorme husky, che la
guardava fedelmente. Le disse che era il suo alleato.

48
Quando lei chiese all’alleato come l’avrebbe aiutata, lui rispose che voleva darle la sua saggezza,
cui lei poteva accedere fissandolo negli occhi. Frances fu molto commossa dall’evidente
devozione nei suoi confronti quando si sdraiò mettendole il muso sulle ginocchia.
Dopo avere riposato nello spazio aperto alla fine del quinto stadio, Frances scoprì che la
sensazione simile a un imbuto nel suo petto era scomparsa. L’alleato-husky con gli occhi azzurri
da quel giorno l’accompagnò ovunque e quando ritornò al lavoro, si sentì protetta. L’enorme
husky bianco l’accompagna tuttora. Quando si sente sola o insicura, lui si mette al suo fianco. E
quando lei guarda nei suoi occhi azzurri, è come se guardasse il cielo, solo che i suoi occhi
rispecchiano la saggezza.
L’alleato può assumere un ruolo di sostegno, una volta terminata la pratica di nutrire il demone.
Imparate a usare l’alleato, magari disegnandolo e tenendo la sua immagine in un luogo dove è
spesso visibile. Assicuratevi anche di chiedergli come potete entrare in contatto con lui. A una
donna che aveva bisogno di un maggior radicamento, l’alleato consigliò per evocarlo di toccare
le perle di legno che portava sempre al polso. Alcuni comprano un animale impagliato o una
statua per ricordarsi dell’alleato. Questi promemoria delle nostre risorse interiori possono essere
molto utili.
Dopo aver incontrato l’alleato, potete scegliere di entrare in contatto con lui in una sessione
separata, appositamente dedicata a creare un dialogo. Dopo il nono respiro di rilassamento,
invitatelo ad apparire. Poi potete fargli una domanda. Cambiate posto, rispondete, ritornate al
posto iniziale e fate un’altra domanda, finché non siete soddisfatti. Questo vi permetterà di
entrare in una relazione più profonda con l’alleato.

49
Quinto stadio: riposare nella consapevolezza
Una volta che avete sfamato il demone fino a completa soddisfazione e integrato l’alleato,
dissolvetevi insieme a lui nella vacuità. Poi semplicemente riposate nella consapevolezza
presente. Quando la mente si concede una pausa anche di pochi secondi, una sorta di
consapevolezza rilassata prende il posto dell’usuale corso dei pensieri. Abbiamo bisogno di
permettere che ciò accada e di non riempire questo spazio con nient’altro; lasciatelo solo essere.
Non c’è “io”, non c’è “demone”; abbiamo trasceso il sé e le sue fissazioni. Può essere
un’esperienza di rilassamento o di pace, ma in ogni caso non cercate di forzarla o di darle un
nome. Semplicemente sentitevi a vostro agio. Potete estendere questo stato meditativo fin
quando volete, magari tornando un paio di volte alla sensazione e alla consapevolezza immediata
che per prima è sorta quando vi siete dissolti nella vacuità. Ma non diventate troppo insistenti al
riguardo; riposate in uno stato rilassato e concludete quando la mente si sposta verso
qualcos’altro. Anche se in un certo senso non sta “accadendo niente”, in effetti questo quinto
stadio è il momento più importante del percorso di sfamare i demoni.
Ci sono due benefici principali che derivano dalla pratica di nutrire i demoni. Uno è la
trasformazione dei demoni in alleati, in modo da non essere più dominati dalla lotta interiore ed
esteriore e accedere all’energia imprigionata nel conflitto. L’altro è un frutto della pratica più
sottile ma anche più importante. Si tratta dell’apertura che emerge nel quinto stadio, una breccia
in uno stato che è libero dalla chiacchiera inconscia, dalle distrazioni emotive e dalle tante
fissazioni che costituiscono la nostra vita quotidiana. Non è molto diverso da quello che accade
dopo un intenso lavoro fisico, quando vi lasciate cadere esausti, solo che è un lasciarsi cadere
mentale anziché fisico.
Alcuni lo descrivono come uno stato di pace, altri di rilassamento e altri ancora come una grande
vastità. A me piace chiamarlo “la fessura”, o lo spazio tra due pensieri. Di solito, quando
sperimentiamo la fessura, abbiamo la tendenza a volerla riempire immediatamente, un po’ come
quando torniamo a casa e trovandola vuota accendiamo la televisione, facciamo una telefonata o
ci colleghiamo a internet. Siamo a disagio con lo spazio vuoto. Nel quinto stadio, anziché
riempire questo spazio, ci si riposa in esso. Anche se questa consapevolezza aperta dura solo un
attimo, è l’inizio della conoscenza della nostra vera natura. Entrando in confidenza con questo
stato non referenziale, cominciate a distanziarvi dall’abituale tendenza ad aggrapparvi a
qualcosa. Siamo così catturati dalle difficoltà e dai pensieri che non facciamo mai esperienza di
questo stato, ma riposare in esso è come lasciarsi galleggiare nell’oceano e venirne cullati
anziché cedere alla paura di annegare e mettersi a lottare.
In questo capitolo ho descritto come praticare i cinque stadi per nutrire il demone, trovare
l’alleato e riposare nella consapevolezza. Quando seguite i cinque stadi, cercate di non tralasciare
niente. Ogni stadio è un importante contributo al percorso, dagli iniziali respiri di rilassamento
fino alla meditazione finale. Seguire con cura i cinque stadi vi darà risultati molto migliori che
sorvolare alcune parti. Per esempio, credere di sapere di che cosa il demone abbia bisogno invece
di scambiarvi effettivamente di posto e sperimentare il suo punto di vista, vi farebbe perdere
l’esperienza di diventare il demone.
Ora consideriamo un esempio della pratica dei cinque stadi, insieme ad alcuni principi e
suggerimenti.

50
Mettere in pratica i cinque stadi
Non ci si illumina immaginando figure di luce ma rendendo conscia l’oscurità.
CARL G. JUNG (1875-1961)
Nel capitolo precedente ho spiegato come eseguire i cinque stadi. Questo capitolo inizia con un
esempio della loro messa in pratica, per poi passare a illustrare alcune modalità di sviluppo della
pratica stessa per renderla ancora più efficace.
La storia di Kate
Kate aveva genitori ipercritici che indirettamente le ribadivano di continuo che non era degna
d’amore. Non c’è da sorprendersi se quindi iniziò a odiare se stessa. Diventata adulta si sposò,
ma venne lasciata dal marito. Kate non riusciva a conservare un posto di lavoro. Si sentiva
profondamente indegna d’amore e agiva in modo autodistruttivo.
La sua voce interiore le diceva costantemente che non era mai brava abbastanza, che era una
perdente e che doveva rinunciare a vivere. Era il suo demone dell’odio per se stessa che
imperversava. Anche se era inconsapevole di quanto la influenzasse, il demone mandava tutto in
frantumi. Tuttavia, in effetti, la voce le dava una sorta di sicurezza negativa, familiare, tossica.
Ecco qui di seguito in breve come Kate affrontò il suo demone.

51
Primo stadio: trovare il demone
Dopo i nove respiri di rilassamento e dopo avere formulato un’intenzione altruistica per la sua
pratica, Kate chiuse gli occhi e penetrò nella consapevolezza del corpo cercando di localizzare la
sensazione di indegnità e di autodisprezzo. Ricordò un intenso attacco di negatività che aveva
innescato il suo autodisprezzo. Dopo essere stata licenziata da un impiego promettente, aveva
chiamato la madre sperando nel suo conforto, ma invece di offrirle sostegno la madre l’aveva
rimproverata per aver perso il lavoro. Piena di rabbia e di odio per se stessa, Kate si fece per la
prima volta dei tagli alle braccia. Ricordando quell’episodio, sentì all’improvviso una sensazione
intensa nel cuore. La percepì fredda, di un blu violaceo e lacerante come una scheggia di vetro.
Era penetrante e dolorosa. Le faceva male il cuore.

52
Secondo stadio: personificare il demone e chiedergli di cosa ha bisogno
Kate immaginò poi la personificazione della sua sensazione. Assunse la forma di una figura
maschile alta e magra. Aveva gli occhi blu ghiaccio e le braccia ossute terminavano in artigli. La
guardava con disprezzo. Aveva denti aguzzi e gialli e la bocca si apriva come se stesse per
morsicarla. Gli occhi erano piccoli e feroci. Guardandolo di nuovo, Kate notò che la superficie
del suo corpo era coperta di sottili spine blu.
Kate gli chiese a voce alta:
«Cosa vuoi da me?»
«Di cosa hai bisogno?»
«Come ti sentiresti se ottenessi quello di cui hai bisogno?».

53
Terzo stadio: diventare il demone
Prima di rispondere, Kate cambiò posto e diventò il demone, occupando la sedia di fronte a lei; si
prese un momento per entrare nella sua pelle. Si fermò per sperimentare cosa il demone sentisse,
prima di rispondere alle domande. Abitando il suo corpo, comprese quanto il demone fosse
amaro e quanto si sentisse minacciato e malridotto. Alla domanda «Cosa vuoi?», lui disse:
«Voglio che tu soffra perché sei stupida e indegna».
Alla domanda «Di cosa hai bisogno?», rispose: «Ho bisogno che tu stia con me e che la smetta di
cercare di sfuggirmi. Ho bisogno che tu mi accetti e che mi ami».
Alla domanda «Come ti sentiresti se ottenessi quello di cui hai bisogno?», dichiarò: «Riuscirei a
rilassarmi e mi sentirei amato».

54
Quarto stadio: sfamare il demone e incontrare l’alleato
Ritornata al suo posto iniziale, Kate vide di fronte a lei il demone dell’odio di sé. Ora sapeva di
doverlo nutrire con l’amore. Immaginò il suo corpo sciogliersi in un oceano infinito di nettare
d’amore e che il demone lo assorbisse tutto in una volta attraverso i pori del suo corpo di
ghiaccio blu.
Mentre assorbiva il nettare, l’aspetto del demone cambiò. Il suo corpo si ammorbidì e il colore si
affievolì. Dopo un po’ si trasformò in un cavallo grigio con morbide narici e dolci occhi scuri.
Kate chiese al cavallo grigio se fosse l’alleato. Quando il suo nobile muso accennò di sì, lei gli
chiese come l’avrebbe aiutata in futuro, come l’avrebbe protetta e quale impegno si sarebbe
preso con lei. Si cambiò poi di posto con l’alleato e diventò il cavallo grigio. Si sentì rispondere:
«Ti porterò in posti in cui non sei mai stata, in cui non potresti andare da sola. Ti presterò la mia
forza per agire nel mondo. Quando sei in difficoltà, vieni a cercarmi e riposa la testa sul mio
collo. Ti proteggerò dandoti la forza interiore».
Kate ritornò alla sua sedia e guardando il cavallo di fronte a lei ricevette la sua forza e la sua
promessa. Mentre tutto questo entrava in lei, sentì la gioia affiorare nel suo cuore. Alla fine il
cavallo stesso si dissolse completamente in lei e Kate sentì un grande impeto di forza dentro di
sé. Poi insieme all’alleato si dissolse nella vacuità.

55
Quinto stadio: riposare nella consapevolezza
A questo punto, Kate si sentì in pace. Riposò, si lasciò andare in quello stato di consapevolezza
aperta. Non sentì di dover “praticare” il quinto stadio, era già lì. Non è uno stato in cui ci si deve
calare; è la naturale spaziosità che sorge con la dissoluzione del demone e l’integrazione
dell’alleato.
Tenere un diario del demone
Nel capitolo precedente ho raccomandato di tenere una testimonianza scritta dell’esperienza dei
cinque stadi il più dettagliata possibile. Mentre scrivete, intuizioni e associazioni potrebbero
traboccare, dunque assicuratevi di annotarle. Se lavorate con un particolare demone per un po’ di
tempo, annotate nel diario i progressi. Scrivete anche qualsiasi effetto sperimentiate come
risultato del nutrimento del demone. Potreste scoprire dei cambiamenti nella vostra salute, nel
comportamento o nello stato emotivo, cui dovreste prestare particolare attenzione. Scrivere
riguardo al nutrimento dei demoni aiuta a stabilizzare e rinforzare il percorso in atto.
Se volete, disegnate un’immagine del demone e dell’alleato oltre a scrivere della vostra
esperienza. Non pensate di dover essere degli artisti per farlo, è solo per voi, per il lavoro con il
vostro demone. Alcuni comprano un grande quaderno senza righe né quadretti e disegnano
demoni e alleati con pennarelli, pastelli a olio o matite colorate (per un maggiore
approfondimento sull’uso dell’arte di nutrire i demoni, vedi capitolo 7). Decidete che tipo di
resoconto vi piace tenere, se una relazione illustrata e dettagliata o semplici appunti. Ma fate del
vostro meglio per annotare i cinque stadi il più minuziosamente possibile, insieme ai pensieri,
alle associazioni, ai ricordi risvegliati dal demone.
Ecco qui di seguito alcune domande che potete farvi mentre scrivete:
 Con quale demone ho lavorato?
 Dov’era situato nel mio corpo, e che colore, che consistenza e che temperatura
aveva?
 Qual era il suo aspetto?
 Che sguardo c’era nei suoi occhi?
 Come tendeva a diventare? Era diverso da quello che mi aspettavo guardandolo?
 Cosa voleva?
 Di cosa aveva bisogno?
 Quale sensazione cercava ottenendo quello di cui aveva bisogno?
 Con cosa l’ho nutrito?
 Com’è cambiato il suo aspetto nutrendolo?
 Cosa è rimasto una volta soddisfatto?
 Che aspetto aveva il mio alleato?
 Cosa mi ha promesso?
 Come mi proteggerà?
 Come mi sono sentita quando si è dissolto in me?
 Com’è stata la fase del riposo nel quinto stadio?
 Come posso applicare questa esperienza nella vita quotidiana?
 Quali cambiamenti voglio affrontare come risultato dell’avere sfamato questo
demone?

56
 Come posso fare per entrare in contatto con l’alleato?
Già lo scrivere di per sé può innescare una reazione a catena di ulteriori comprensioni intuitive.
Per esempio, mentre annotava la sua esperienza con un demone dell’insicurezza, descrivendone
l’aspetto, Clarissa, una fisioterapista di quarant’anni, ricordò che sua madre, che da bambina era
stata povera, era sempre stata in imbarazzo per i suoi vestiti. Non c’era dunque da stupirsi se era
sempre critica riguardo all’aspetto di Clarissa! Il ricordo di una vecchia foto della madre
bambina di cinque anni vestita goffamente balenò nella mente di Clarissa mentre scriveva.
Cominciò a scoprire delle connessioni tra i demoni della madre e i suoi. Aveva sempre avuto
difficoltà ad andare d’accordo con lei, ma descrivendo il demone, la sua compassione nei
confronti della madre crebbe e si aprì per entrambe lo spazio per un avvicinamento. Se non si
fosse presa del tempo per scrivere del suo percorso, questa intuizione non avrebbe avuto modo di
manifestarsi.
Affrontare la resistenza
Nel nutrire i demoni possiamo incappare in varie forme di resistenza. Quando lavoriamo con
vecchi temi o con situazioni fisiche, può risultare difficile lasciar andare il problema e permettere
al demone di raggiungere la completa soddisfazione. I nostri problemi possono fare così parte
della nostra identità che inconsciamente, e talvolta anche consciamente, possiamo aggrapparci a
essi. A un certo livello ci chiediamo: «Chi sarei, senza il mio problema?». Anche se non
vogliamo ammetterlo, finiamo per essere attaccati alle nostre “cose”, alle nostre tematiche.
Diventa una specie di lavoro a tempo pieno. Poiché tantissima della nostra energia è intrappolata
nell’essere una vittima, una persona dipendente, arrabbiata o ipocrita, ci spaventa lo spazio che si
aprirebbe se il problema si dissolvesse. Possiamo inconsciamente aggrapparci ai demoni e non
dare loro piena soddisfazione nel quarto stadio. In casi più seri diventiamo emotivamente
dipendenti dall’energia del demone. Una persona con un demone dell’ira, per esempio, potrebbe
sentire un piacere perverso nell’esplodere con gli altri o nell’intimidirli.
Il modo più efficace per lavorare con la resistenza è immaginare come il demone apparirebbe se
fosse completamente soddisfatto dopo essere stato nutrito nel quarto stadio. Di solito
raccomando questo approccio del “come se” alla resistenza, perché aggira brillantemente la
tendenza ad aggrapparsi al demone del bisogno. Ho scoperto che immaginare dettagliatamente
come sarebbe il demone se venisse totalmente soddisfatto ci dà pieno accesso alla libertà del
quinto stadio, anche se in un certo senso abbiamo raggirato il demone.
Un altro tipo di resistenza che può emergere è il risentimento verso il demone, che rende difficile
essere generosi. Se accade, ricordatevi che combattere il demone non ha funzionato, dunque può
essere utile tentare un altro approccio. Vedete poi se potete nutrire almeno un po’ il demone.
Questo crea un’apertura per lasciare gradualmente andare il risentimento e nutrire il demone fino
a completa sazietà.
Se incontrate una resistenza, come la difficoltà a ottenere risposte dal demone riguardo a quello
che vuole o di cui ha bisogno, provate a chiedere: «Perché esiti? Cosa stai cercando?». Se non
riuscite a vedere con chiarezza la personificazione del demone, ritornate alla sensazione fisica
dello stadio iniziale e aspettate che sia veramente chiara prima di cercare di vedere il demone.

57
Se state sperimentando una resistenza, assicuratevi che state seguendo fedelmente i cinque stadi.
Altrimenti riprovateci e seguite le istruzioni con precisione. Questi stadi sono organizzati con
cura e formulati per rendere efficace il percorso.
Chiedere aiuto
Non è affatto raro che iniziando il percorso dei cinque stadi emergano molte emozioni. Potreste
ritrovarvi in lacrime o turbati. Ciononostante, vi incoraggio a proseguire nel percorso a meno che
sentiate proprio di non volerlo fare. Comunque rassicuratevi, perché è del tutto normale provare
intense emozioni quando finalmente si affrontano questioni a lungo evitate. Continuando la
pratica dei cinque stadi nonostante queste emozioni, molto probabilmente finirete per sentirvi
sollevati e liberati. Talvolta, come abbiamo visto, dobbiamo superare la rabbia nei confronti del
nostro demone per sfamarlo con la compassione, o le nostre paure per nutrirlo d’amore. Ma se ci
permettiamo di provare a sfamare il demone, qualcosa si trasforma sempre.
Se vi sentite sopraffatti quando affrontate un grande demone, chiedetevi: «Chi mi può aiutare
dandomi la forza di fare l’offerta? Di chi voglio l’assistenza?». Poi immaginate di invitare un
essere saggio, un caro amico, un insegnante spirituale ad assistere al percorso, e a darvi aiuto e
sostegno morale.
Forse avete già una guida spirituale cui rivolgervi nei momenti di bisogno, o un amico, un
terapeuta, o un insegnante di cui vi fidate. Se è così, immaginate lei o lui nello spazio sopra il
demone di fronte a voi, e che vi aiuti a lasciar andare la paura o la rabbia, in modo che possiate
nutrire il demone. Questo essere che vi sostiene svolge il ruolo di aiutante compassionevole
mentre nutrite il demone.
Sfamare i demoni con un partner
Nutrire i demoni con un partner può essere efficace quando sentite di avere bisogno di un
sostegno durante la pratica. Quando lavorate con un partner, una persona si assume il ruolo attivo
mentre l’altra fa da testimone, e poi ci si scambiano i ruoli.

58
La sistemazione
All’inizio, sistemate tre cuscini o tre sedie: una per il testimone e le altre per il partner attivo e
per il demone. Queste ultime vanno messe una di fronte all’altra. Il testimone siede
perpendicolarmente rispetto al partner attivo e al demone, abbastanza indietro da poter vedere
con facilità entrambe le postazioni, ma abbastanza vicino da potersi sentire in intimità.

59
La riservatezza
Prima di iniziare a nutrire i demoni con un partner, è essenziale accordarsi su alcuni principi di
riservatezza. Dovreste stabilire che qualsiasi cosa accada in una sessione congiunta non verrà
discussa con nessun altro, a meno che venga dato un permesso specifico. Assicuratevi poi di
tenere fede a questo impegno, senza alcun accenno furtivo, senza nemmeno una battuta. Non
sfiorate nemmeno l’argomento della sessione conversando voi due se il partner attivo non vuole
parlarne. Circondate la pratica di riservatezza e rispettate totalmente questo confine.

60
Il testimone
Il testimone dovrebbe offrire un sostegno, dunque non essere in alcun modo giudicante. Il ruolo
del testimone è quello di una presenza empatica, che faciliti il percorso. Non è lì per fare da
terapeuta, o per essere consultato o per plasmare l’esperienza del partner, ma semplicemente per
sostenere lo spazio del lavoro, e aiutare il partner a restare nel tracciato dei cinque stadi. Il
testimone dovrebbe avere una copia dei cinque stadi (in caso di necessità si può far riferimento
alla versione abbreviata riportata in appendice).
Quando la pratica è in corso, il testimone dovrebbe ascoltare con cura e prestare grande
attenzione a ogni sfumatura d’espressione e linguaggio corporeo del partner attivo, per essere
pienamente sintonizzato con quanto l’altro sta sperimentando. Per esempio, un leggero sorriso
può far capolino quando il demone è pienamente soddisfatto, segnalando il bisogno di un
momento di quiete in cui il partner attivo può stare seduto tranquillo.
Se fate da testimone e il vostro partner durante il percorso comincia a piangere, vi raccomando di
proseguire con i cinque stadi. Ho visto spesso il pianto o la paura manifestarsi all’inizio della
pratica, ma alla fine le lacrime si asciugano e qualcosa d’importante si è trasformato. Se invece il
vostro partner sembra estremamente angosciato, potete chiedergli se preferisce incontrare il
demone in un altro momento. Il testimone non dovrebbe mai dichiarare che il partner non è
andato abbastanza in profondità o non ha scelto il demone giusto, né criticare in alcun modo il
percorso.
Un’altra valida funzione del testimone è fare da scriba, annotando quanto accade nei cinque
stadi, ma se vi sembra troppo, guidate semplicemente il partner verbalmente. Un testimone meno
esperto può fare da guida dei cinque stadi tenendo a portata di mano una copia scritta della
versione abbreviata che trovate in appendice. Ma sarebbe meglio se conoscesse a memoria gli
stadi e riuscisse a guidare senza esitazioni il partner. È inoltre importante che la pratica non
degeneri in una conversazione tra il partner attivo e il testimone, anziché tra il partner attivo e il
demone.

61
La pratica
Prima di iniziare, il testimone può chiedere: «Sai con quale demone desideri lavorare?». Il
partner attivo descriverà allora il tema o il demone prescelto. Se non fosse sicuro, è bene parlare
un po’ di quale demone o dio intenda sfamare, finché non verrà presa una decisione.
Il testimone guida il partner nei nove respiri di rilassamento. Poi suggerisce di praticare la
meditazione a beneficio di tutti gli esseri, e testimone e partner formulano insieme una
motivazione altruistica. Il partner attivo tiene gli occhi chiusi, mentre il testimone li tiene aperti e
fissi sul partner. Fin dall’inizio, il partner attivo riferisce al testimone quello che vede durante la
pratica.
Se il partner attivo non conosce la pratica a memoria, il testimone lo guiderà attraverso i vari
stadi. Quando il partner arriva al quarto stadio dell’effettivo nutrimento del demone, il testimone
può di tanto in tanto chiedere: «Cosa sta accadendo? C’è stato qualche cambiamento?».
Dopo un po’ il testimone può domandare: «È completamente soddisfatto?». Se il demone resiste
e non è soddisfatto, il testimone può suggerire al partner attivo di immaginare come sarebbe il
demone (o il dio) se fosse soddisfatto. Poi il testimone chiederà al partner di annuire quando il
demone sembrerà totalmente soddisfatto.
Una volta che il demone è appagato, o sembrerà tale, il testimone chiede al partner attivo se gli
piacerebbe incontrare l’alleato. Ricordate che è il partner attivo a parlare con il demone e con
l’alleato, non il testimone. Per il resto del quarto stadio il partner attivo descrive cosa sperimenta
con l’alleato finché non si dissolvono insieme nella vacuità. A questo punto, sia il testimone che
il partner iniziano la meditazione e restano in silenzio (quinto stadio). Quando il partner attivo ha
la sensazione che il percorso sia stato completato, ci si scambia di posto e il partner attivo
diventa il testimone. È meglio evitare di parlare tra un passaggio e l’altro; se si desidera, si può
farlo alla fine quando entrambi hanno concluso il percorso.
Ricordate: durante i cinque stadi, il partner attivo parla sempre in prima persona. Se parla nei
panni del demone, per esempio, dirà: «Ho bisogno che tu la smetta di correre di qua e di là e che
cominci ad ascoltarmi». È un modo molto più efficace e immediato che non riferire al testimone:
«Il demone dice che ha bisogno che io la smetta di correre in giro e che gli dedichi attenzione».
È inoltre una buona idea darsi una scadenza regolare per incontrare il partner e sfamare gli dèi e i
demoni; dà continuità alla pratica senza il bisogno di consultare l’agenda e accordarsi ogni
settimana per un nuovo appuntamento, e rende le cose più facili per entrambi.
I cinque stadi con un terapeuta
Se siete interessati a usare questa pratica con un terapeuta, trovate uno psicoterapeuta diplomato
o un counselor che abbia esperienza di lavoro con l’immaginazione. Sia i terapeuti di Gestalt che
gli psicoanalisti junghiani hanno questo requisito, come pure i terapeuti di altre scuole che
utilizzano la personificazione di parti della psiche. Se mostrate al vostro terapeuta i cinque stadi e
gli spiegate i principi fondamentali della pratica di sfamare i demoni, forse accetterà di farvi da
testimone.
Nel caso di counselor che lavorano con le dipendenze o con i disturbi alimentari, il demone è
ovvio, e ogni sessione si concentrerà su quel demone. Comunque, a ogni sessione il terapeuta
dovrebbe partire dall’inizio e guidare il cliente nel primo e secondo stadio; nessuno dovrebbe
presumere che il demone si manifesti tutte le volte nello stesso modo. Anche quando si tratta di

62
un tema familiare, i primi due stadi andrebbero percorsi ogni volta in modo nuovo. Il terapeuta fa
da testimone nel modo descritto prima, ma dopo può discutere dell’esperienza con il cliente, nel
contesto della relazione terapeutica in corso.
Usare i cinque stadi insieme ad altre pratiche di meditazione
La pratica di sfamare i demoni è stata combinata con successo con vari tipi di pratiche
meditative. Insegnanti e guide spirituali di varie tradizioni hanno trovato utile la pratica dei
cinque stadi quando una persona è bloccata o vive un profondo sconvolgimento. Se l’insegnante
di meditazione o la guida sono disponibili, possono fare da testimone come un terapeuta.
Se meditate da soli, senza un insegnante, potete iniziare una sessione di meditazione con i cinque
stadi e prolungare il quinto nella vostra pratica meditativa. Per esempio, alcuni insegnanti di
meditazione consigliano agli studenti la pratica di sfamare i demoni all’inizio della meditazione,
per poi passare alla loro solita pratica dopo il quinto stadio. Può rivelarsi particolarmente utile
quando desiderate meditare, ma qualcosa vi impedisce di concentrarvi. Nutrire un demone può
eliminare il blocco, permettendo alla pratica meditativa di procedere. Si possono anche praticare
i cinque stadi separatamente, senza collegarli alla propria pratica meditativa.
Il mantenimento
Il mio motto è: «Un demone al giorno leva il medico di torno». Ma sta a voi decidere con che
frequenza sfamare i vostri demoni. Se lavorate con una situazione di sofferenza acuta, come un
comportamento di dipendenza o una crisi emotiva, vi suggerisco di sfamare i demoni almeno una
volta al giorno e se è possibile più spesso. Potreste anche scoprire stratificazioni di demoni che
richiedono sessioni separate. Per esempio, posso iniziare da un dolore alla spalla e poi scoprire
che ho un demone maniaco del lavoro, e sotto di questo un demone della paura di non essere
brava abbastanza. Imparare a sfamare i demoni è una pratica, e come qualunque valida pratica ha
bisogno di essere ripetuta. Se la vostra situazione non è urgente, potete sempre nutrire il demone
“al bisogno”. Tuttavia, praticare solo nei momenti di crisi non è efficace come farlo con
regolarità.
È possibile trasformare anche i demoni più radicati. Talvolta un demone si può riattivare dopo
molto tempo, se si verificano le circostanze scatenanti, ma può capitare che riusciamo a
liberarcene per sempre. Se avete un demone ben insediato, è utile fare una verifica periodica,
pensando a lui e percorrendo il corpo per esaminare le sensazioni o i “depositi del demone”. Se
trovate qualcosa, sfamate di nuovo il demone con la pratica dei cinque stadi.
Se davvero volete sviluppare la pratica, vi suggerisco di nutrire i demoni almeno un centinaio di
volte e di tenere un diario. Trovate dei compagni della pratica di nutrire i demoni con cui
incontrarvi regolarmente. Permettete al quinto stadio di allungarsi gradualmente e di diventare
una porta verso la meditazione. Non saltate nessuno stadio del percorso, pensando di conoscerlo
già. Se non avete altra soluzione, potete praticare i cinque stadi sdraiati a letto, seduti su una
panchina del parco, o dovunque vi troviate. Non è l’ideale, ma è meglio che non praticare del
tutto.
In queste sessioni atipiche, se è troppo imbarazzante cambiare fisicamente di posto, potete
diventare il demone o l’alleato senza quel passaggio. Ho guidato le persone nel percorso in
questo modo durante le conferenze, e l’ho fatto io stessa di notte sveglia a letto. Ma, appena è
possibile, vi raccomando di seguire il percorso con precisione. Non sarà mai come sedersi al
posto del demone e guardare il mondo da dentro la sua pelle.

63
6
Idra: un complesso di demoni
L’insegnamento della Venerabile Machig
istruisce a fare buon uso delle condizioni sfavorevoli.
Considerare l’avversità come amica
è l’istruzione del Chöd.
MACHIG LABDRÖN
Definisco idra un complesso di demoni, perché si tratta di un groviglio dalle molte teste di dèi e
demoni collegati tra loro. Ricordate nel primo capitolo la storia di Ercole che combatte l’idra, un
malvagio spirito acquatico? Aveva molte zampe e nove teste, una delle quali era immortale.
Quando Ercole tagliò una testa, al suo posto ne spuntarono altre due. Lavorare con un’idra ci
introduce gradualmente ai temi centrali di un certo complesso, ma finché non arriviamo alla testa
immortale e non la sfamiamo, l’idra può sempre generare nuovi arti e teste. Una caratteristica del
lavoro con un’idra è la sorpresa di scoprire demoni interconnessi che non avevate mai
considerato prima.
Melissa ebbe un’esperienza simile quando iniziò a lavorare con la sua ansia riguardo al cibo. Era
una donna d’affari di circa cinquant’anni, a capo di un’azienda di vendita per corrispondenza.
Aveva problemi di salute legati all’obesità e lottava più o meno da sempre con l’ansia e i
problemi alimentari: mangiava in eccesso nel tentativo di trovare conforto. Il cibo era il suo
modo di governare le emozioni. Quando esagerava nel mangiare, difficilmente gustava il cibo.
Prima di imparare a sfamare i demoni, per Melissa non era piacevole stare con gli altri. Si stava
gradualmente isolando. Man mano che ingrassava, provava vergogna per il suo corpo e s’isolava
sempre di più. Quando mangiava la pasta, ne ingurgitava un piatto dopo l’altro. Mangiava più di
un chilo di gelato alla volta.
Nella prima giovinezza, Melissa aveva avuto problemi di dipendenza dalla nicotina e dall’alcol,
ed era stato smettendo di fumare e bere che aveva iniziato a mangiare in eccesso. Un tempo
beveva da sola, poi invece iniziò a mangiare da sola. Aveva spesso la sensazione di sbagliare e si
scusava senza che fosse necessario. Aveva sempre agognato l’“amore materno” e non aveva mai
capito perché questo forte desiderio fosse così carico di dolore. Aveva una costellazione di
demoni intrecciati, un’idra.
La prima volta che Melissa cercò di nutrire il demone dell’ansia di cibo, quando lo personificò
nel secondo stadio, il demone scomparve prima che lei potesse fargli le tre domande e lavorare
con lui. Ritornando alla sensazione nel corpo e concentrandosi su di essa, riuscì a far ritornare il
demone. Provò delle tali ondate di emozione, che le fu difficile restare concentrata; si sentiva
completamente “persa”. Il demone era una grossa creatura grigia, simile a un polipo, con tristi
occhi da ubriaco. Quando finalmente riuscì a fargli le tre domande e poi si mise al suo posto,
Melissa restò sorpresa dalle risposte del demone.
«Quello che voglio è il sesso» dichiarò il demone. Melissa non se lo aspettava proprio; non
aveva mai pensato che la sua ansia riguardo al cibo avesse a che fare con il sesso. Fu una
realizzazione, un “aha!” per lei, come quando i pezzi di un puzzle combaciano.
Melissa comprese che c’era una connessione tra l’abuso sessuale vissuto da bambina e la sua
dipendenza dal cibo. Da piccola era stata molestata da uno zio e quando la madre di Melissa lo

64
scoprì, reagì facendo vergognare profondamente Melissa. In seguito, Melissa coinvolse il fratello
minore in giochi sessuali e sua madre lo scoprì. Di nuovo fece vergognare Melissa, e questa volta
le negò il suo affetto. Melissa stava solo ripetendo quello che avevano fatto a lei, una risposta
naturale, ma ora viveva il doppio trauma dell’abuso subito da parte dello zio e la perdita del
nutrimento affettivo della madre. Era questa la testa immortale al centro del suo complesso di
demoni, la fonte della sua ansia e le zampe dell’idra: dipendenza, vergogna, colpa, insicurezza e
disperato bisogno dell’amore della madre.
«Quello di cui ho bisogno» continuò il demone «è affetto e amore. Se ottenessi ciò di cui ho
bisogno, mi sentirei nutrito, accolto, voluto, amato, come un bambino piccolo.» Questo sembrò
importante a Melissa, perché comprese che era così che lei si sentiva prima dell’abuso sessuale.
Melissa scrisse nel suo diario che era come sentirsi «integra e appagata, senza alcuna paura».
Quando Melissa lo nutrì, il demone diventò un bimbo felice, ma rivelò di non essere l’alleato.
Dopo alcuni suggerimenti da parte del suo partner nel lavoro con il demone, Melissa riuscì a far
comparire l’alleato. Era una figura materna saggia con lunghi capelli neri: le promise di
proteggerla e di essere sempre presente quando lei ne avesse avuto bisogno. Melissa ha
continuato a sfamare le varie parti della sua idra e a lavorare con i temi centrali della vergogna e
del desiderio di affetto. Da quando ha iniziato a nutrire l’idra, ha smesso di mangiare in eccesso e
ha perso peso. Cucina ancora vivande deliziose, ma adesso dopo un piatto si sente soddisfatta.
Sta rapidamente riacquistando fiducia, e non dubita più di continuo di se stessa, coltiva delle
amicizie ed è entrata in contatto con una comunità buddhista.
Il lavoro di Melissa con il demone dell’ansia l’ha portata alla comprensione che l’abuso sessuale
subito nella prima parte della sua vita e la reazione della madre è alla radice della costellazione
dei suoi problemi, il centro della sua idra dalle molte teste.
Anche Peggy aveva un demone idra, che ha scoperto solo di recente. Più di trent’anni fa,
quand’era adolescente, Peggy aveva una relazione e scoprì di essere incinta. Durante la
gravidanza, venne a sapere che il suo ragazzo aveva una relazione con un’altra donna in una città
lontana.
Quando l’altra donna seppe di Peggy e del bambino, non lasciò l’uomo con cui erano entrambe
in relazione, lasciò invece il lavoro e piombò nella città in cui vivevano Peggy e il suo
compagno. All’arrivo dell’altra donna, il ragazzo abbandonò immediatamente Peggy e il
bambino non ancora nato. Peggy ricordava ancora intensamente il dolore che provò in quel
periodo.
I suoi genitori, molto preoccupati di quello che avrebbero pensato gli altri, la chiamarono per
dirle che non era assolutamente possibile che tenesse il bambino. Era un figlio illegittimo e
quindi bisognava fare in modo di darlo in adozione. Non tennero in alcun conto l’offerta di
un’amica di Peggy di aiutarla a tenere il bambino. Minacciata di venire ripudiata se avesse
disobbedito ai suoi genitori, Peggy rinunciò al bambino appena nato per darlo in adozione e la
maggior parte dei membri della sua famiglia non seppe nemmeno che era diventata madre.
Negli anni seguenti, Peggy soffrì di depressione e di mancanza di autostima. Manifestò anche
comportamenti distruttivi. Allo stesso tempo, continuò a cercare dei mezzi per guarire e tentò
vari sentieri spirituali. A causa della sua tendenza all’introversione, le era molto difficile
chiedere aiuto o sostegno. Faceva fatica a fidarsi, e non aveva sufficiente fiducia per iniziare un
rapporto con una guida spirituale. Peggy girovagò di qua e di là, lavorando come cuoca. Se

65
condivideva qualcosa del suo doloroso passato, di solito lo faceva solo pagando un terapeuta.
Quando disse agli amici che aveva abbandonato il suo bambino perché venisse adottato, la
risposta generale fu un totale silenzio, che contribuì ancora di più al suo senso d’isolamento e
così alla fine represse i ricordi e il dolore.
A circa sessant’anni, Peggy decise di cercare suo figlio. Trovò facilmente il suo nome in internet
e nel giro di pochi mesi riuscì a confermare la sua identità e a entrare in contatto con lui. Dopo il
primo approccio, cominciarono a scriversi, ma non si erano ancora incontrati di persona. Nello
stesso periodo, Peggy lesse tantissimo riguardo alle adozioni e ad altre donne che avevano avuto
la sua stessa esperienza. Queste storie facilitarono il suo percorso di guarigione.
Ma anche con la terapia, Peggy diceva di non provare il senso di profonda guarigione che aveva
sperato. Continuava a soffrire di un senso d’isolamento, di rifiuto, di una leggera depressione, di
vergogna e di codipendenza all’interno di una relazione insoddisfacente con un uomo. Decise di
provare con la meditazione e aveva iniziato a cercare indirizzi per partecipare a un ritiro, quando
un’amica le suggerì di seguire il Kapala Training al Tara Mandala.
Peggy iniziò a lavorare con i suoi demoni dell’isolamento e del rifiuto, e riferì che «come per
miracolo, si sentì immediatamente sollevata». Continuò nel percorso e scoprì il legame tra
l’avere dato il figlio in l’adozione e i suoi problemi emotivi. Era questa la testa immortale, la
grave ferita per la perdita del figlio, il tradimento da parte del padre del bambino, l’umiliazione
da parte dei genitori e il fatto che tutto questo fosse accaduto più o meno nello stesso momento.
Il sollievo e la guarigione che Peggy sentì sfamando questo demone idra le diede una grande
speranza di poter vivere una vita sana emotivamente e spiritualmente.
Molti di noi hanno delle idra e quando iniziamo a sfamare i nostri demoni scopriamo delle
connessioni sorprendenti. I demoni con cui lavoriamo all’inizio possono essere la testa di un’idra
dalle molte teste. Se scoprite di avere un complesso di demoni, può essere molto utile
rappresentarlo su carta. Create un disegno con quello che considerate come tema fondamentale al
centro, per esempio un abuso sessuale. Poi disegnate altre teste o zampe e date loro un nome:
“demone dell’alcolismo”, “demone della mancanza di autostima”, “demone del suicidio”,
“demone dei disturbi alimentari”, “demone del controllo” e così via. Lo scopo di questo disegno
è di legare insieme quelli che sembrano demoni staccati, in modo da poter vedere come
interagiscono. Quando lavorate con demoni appena emersi, connessi a questo complesso, potete
aggiungerli al disegno. Il capitolo successivo offre varie idee su come creare disegni, sculture e
“mappe” dei demoni.

66
Lavorare con i demoni attraverso l’arte e le mappe
Nella psiche umana il male proviene da un fallimento nel riunire, nel riconciliare i pezzi della nostra esperienza. Quando
abbracciamo tutto quello che siamo, compreso il male, il male si trasforma.
ANDREI BARD SCHMOOKLER (1946-)
Dipingendo con gli acquerelli, plasmando la creta o disegnando con la matita, la penna o i
pastelli, possiamo raffigurare i nostri demoni e utilizzare queste immagini durante il percorso del
loro nutrimento. Creare una serie d’immagini di un demone nel corso del tempo ci offre una
visione profonda della natura del demone stesso e della sua evoluzione. L’arte conferisce una
presenza tangibile a qualcosa che altrimenti vivrebbe solo nella nostra mente. Aiuta ad articolare
il contenuto inconscio che emerge attraverso l’immaginazione e a portarlo alla coscienza. È
importante non cercare di creare qualcosa per farlo vedere agli altri, ma permettersi di entrare
senza distrazioni nella creazione dell’immagine. In questa fase possono scatenarsi molti “demoni
dell’arte” – la paura di non essere degli artisti o il classico “io non so disegnare” – perciò è molto
importante sottolineare che l’arte qui è intesa solo come sostegno nel percorso.
Lavorare con l’arte per nutrire i demoni può essere gratificante, perché parti del demone si
rivelano con più chiarezza che non attraverso la sola visualizzazione. Inoltre, creare
un’immagine dell’alleato e metterla in un punto in cui sia facilmente visibile è utile come
promemoria che potete chiedere il suo sostegno.
Prima di iniziare, preparate i materiali. Possono essere semplici pennarelli e un diario, o materiali
più elaborati come acquerelli, carta da disegno o tela e colori acrilici o a olio. Se lavorate con la
creta, preparate il blocco di creta che userete e mettetevelo di fianco.
I cinque stadi con il disegno e la pittura
Una volta concluso il primo stadio (trovare il demone nel corpo) e il secondo (vederlo
personificato di fronte a voi), e visualizzati tutti i dettagli del demone o del dio che vi sta di
fronte, cominciate la vostra opera di raffigurazione. Per esempio, se avete visto mentalmente una
grande creatura verde simile a una lucertola, con occhi gialli a fessura e la pelle squamata,
prendete subito il vostro diario del demone o la carta e disegnatela ricordando più dettagli
possibile. Poi chiudete gli occhi e, se vi sembra utile, richiamate alla memoria il demone.
Quando avete finito, cambiate di posto, diventate il demone, e permettetegli di parlare (terzo
stadio), mentre voi tenete in mano il disegno rivolto verso il posto del vostro “normale” sé.
Laurel, una donna architetto di San Francisco, aveva un demone dell’ansia per il denaro.
Spendeva inevitabilmente più di quello che guadagnava, usava sempre la carta di credito al
limite massimo, ed era costantemente in stress finanziario. Quando spendeva, provava sia una
sensazione di sventatezza che di ansia. Localizzava il demone nel proprio torace. Era giallo
aranciato e informe. Lo percepiva come onde all’interno del corpo, che le provocavano una
sensazione di nausea. Quando personificò il demone, apparve una grossa figura femminile
dall’aspetto avido, con grandi mani e piedi, che la fissava ostinatamente.
Laurel aveva preparato gli acquerelli, il pennello e la carta prima d’iniziare il percorso. Una volta
visto con chiarezza il demone, notati tutti i dettagli, iniziò a disegnare. Mentre dipingeva ne
teneva a mente l’immagine, ma non si preoccupò troppo di renderla esattamente. Dipinse finché

67
non sentì di avere finito, a quel punto posò il disegno di fronte a lei e gli fece le tre domande:
Cosa vuoi da me? Di cosa hai bisogno? Come ti sentiresti se ottenessi quello di cui hai bisogno?
Cambiando di posto, tenne in grembo il dipinto, rivolto verso il suo “normale” sé, e immaginò
che la figura rispondesse. Il demone disse: «Voglio controllarti. Voglio più cose, voglio
consumare». Alla seconda domanda, la grossa figura femminile rispose: «Ho bisogno di sentirmi
piena». Alla terza domanda rispose: «Se fossi piena, mi sentirei soddisfatta e forte».
Conclusa questa fase, Laurel tornò al suo posto iniziale e dissolse il proprio corpo in un nettare di
forza. Appoggiò poi il dipinto di fronte a lei e con gli occhi chiusi immaginò che il nettare
nutrisse il demone. Una volta soddisfatto completamente il demone e dopo la comparsa
dell’alleato, Laurel dipinse quest’ultimo, e conversò con lui come descritto nel quarto stadio.
Concluso il lavoro con l’alleato e completato il quinto stadio, Laurel aveva ora una seconda
immagine, l’alleato, che appese vicino alla sua scrivania per ricordare il percorso effettuato.
Lavorare con la creta
Lo stesso processo può essere effettuato con la creta. Un vantaggio nell’uso di questo materiale è
che potete lavorare a occhi chiusi, permettendo alla forma di modellarsi mentre immaginate il
demone, e in seguito potete trasformare la sagoma del demone in quella dell’alleato. Mi piace il
simbolismo sotteso alla trasformazione della figura del demone in quella dell’alleato. Per
lavorare con la creta, comprate la normale argilla di terra o una varietà sintetica. Mettetela sul
tavolo di fronte a voi. Poi, a occhi chiusi, fate i nove respiri di rilassamento e formulate la
motivazione. Arrivati al secondo stadio, visualizzando il demone di fronte a voi, tenete gli occhi
chiusi e cominciate a lavorare la creta dandole la forma del dio o del demone. Quando avete
finito, passate al terzo stadio. Nella fase in cui diventate il demone, tenete con voi la figura di
creta e guardatela mentre rispondete alle tre domande. Dopo essere tornati al vostro posto
iniziale, lasciate la figura d’argilla sul sedile del demone. Nutrito il demone e visualizzato
l’alleato, trasformate letteralmente, modellando la creta, il demone nell’alleato. Proseguite poi
con le rimanenti fasi. Alla fine, tenete la scultura dell’alleato come ricordo.
Disegnare, dipingere e lavorare con la creta può essere molto utile per articolare e far emergere
dalla mente inconscia i demoni. È letteralmente un portarli alla luce. Ci consente inoltre di avere
dei promemoria visivi del percorso.
Le mappe dei demoni
Stendere una mappa dei demoni può essere utile per rompere i circoli viziosi dei demoni che una
famiglia ha tramandato da una generazione all’altra. Molti di noi riescono a seguire le tracce dei
propri demoni fino alle precedenti generazioni, ma possiamo essere inconsapevoli di come
influenzino le nostre attuali relazioni, l’ambiente di lavoro, i figli e anche i nipoti. È spesso più
facile vedere i demoni che abbiamo ereditato di quelli che abbiamo trasmesso.
Per fare una mappa dei demoni, usate un grande foglio di carta non rigata; va bene della carta da
stampa o qualsiasi pezzo di carta bianca. Cominciate scrivendo il vostro nome al centro del
foglio. Poi a metà della parte superiore di sinistra scrivete il nome di vostra madre. Accanto
scrivete i nomi dei suoi genitori, dei fratelli e delle sorelle, e poi tornate il più indietro possibile
nella genealogia materna.
Fate lo stesso con vostro padre nella parte destra del foglio. Sotto al vostro nome scrivete quello
dei vostri figli e dei nipoti. Accanto scrivete quello delle persone che sono o sono state
importanti per voi: insegnanti, sorelle e fratelli, partner, mariti, mogli, amici del cuore, mentori,

68
colleghi di lavoro, capi, chiunque sentiate faccia parte della vostra rete di relazioni. Annotate
solo le relazioni più importanti.
Ora iniziate a trascrivere i vostri demoni vicino al vostro nome, i demoni dei vostri genitori
accanto ai loro nomi, e così via, annotando più demoni che potete. Quando avete finito,
prendetevi un po’ di tempo per guardare la mappa. Con una matita colorata fate un cerchio
intorno al demone che è apparso per la prima volta, per esempio con uno dei nonni. Poi tracciate
delle linee colorate attraverso le generazioni fino a voi, e da voi ai vostri figli o i vostri
dipendenti o altri che avete “infettato” con i vostri demoni. Usate un colore diverso per ogni
demone. Talvolta il demone cambia forma lungo il percorso: per esempio, la violenza passando
da vostro padre a voi può diventare scarsa autostima e un problema di comportamento in vostra
figlia. Tracciate anche questa linea con lo stesso colore. Immaginate queste connessioni come
linee di energia che creano scintille elettriche nei punti di contatto. Probabilmente vedrete una
complessa rete di collegamenti esplosivi. Prendete poi il vostro diario e scrivete qualsiasi cosa vi
venga in mente mentre guardate questa rete di demoni interpersonali.

69
Le mappe dell’idra
Quando lavorate in modo intensivo con un particolare demone idra, può essere utile disegnare
una mappa dei demoni solo per quella particolare idra. Di nuovo, partite da voi, il vostro
lignaggio materno e paterno, e così via. Poi segnate i demoni che sembrano collegati alla vostra
idra, vicino ai nomi delle varie persone. Quando avete finito di osservare la mappa, disegnate
delle linee tra i demoni e annotate qualsiasi cosa vi venga in mente.
Poniamo che abbiate creato una mappa dei demoni di un’idra dell’abuso. Cominciate mettendo
voi stessi al centro della pagina e poi mettete sopra il nome o i nomi di chi ha commesso l’abuso;
sotto, scrivete i nomi di chiunque abbiate ferito come risultato dell’abuso. Poi disegnate delle
righe che partono dal vostro nome, e alla fine di queste linee o gambe scrivete i nomi dei demoni
che sono nati dall’abuso. Per esempio, sopra al vostro nome potrebbe esserci quello del parente,
dell’insegnante, del sacerdote o del terapeuta che ha commesso l’abuso, e sotto i nomi dei
bambini, degli amici o delle persone care che sono rimaste coinvolte. Accanto al vostro nome,
potete mettere la dipendenza dall’alcol, la depressione, i disturbi alimentari, i propositi suicidi, la
mancanza di autostima, eccetera. Segnate tutto quello che vi viene in mente, anche se i
collegamenti non sono diretti.
Dopo aver concluso la mappa dell’idra, passate del tempo con ognuno dei vostri demoni,
nutrendoli separatamente con la pratica dei cinque stadi. Nel farlo, potrebbero apparire altri
demoni, che dovrete aggiungere alla mappa. Può essere utile tenere un diario separato per questa
idra contenente i disegni dei demoni e degli alleati.

70
Le mappe delle relazioni
Stendere una mappa può essere d’aiuto anche nel caso di relazioni conflittuali. Mettete il vostro
nome e quello dell’altra persona uno vicino all’altro. Tracciate poi il diagramma della sua
famiglia e della vostra, e osservate come i demoni si colleghino. Una persona con un demone
dell’odio di sé, per esempio, entra sovente in relazione con un partner ipercritico; e chi ha avuto
un padre alcolista, con qualcuno che soffre di qualche dipendenza. Chi ha demoni
dell’abbandono sceglierà un partner infedele. Creare una mappa dei demoni della relazione può
aiutarci a vedere con chiarezza i comportamenti in cui l’inconscio ci tiene intrappolati. Solo una
volta identificati e resi consci questi comportamenti, smetteremo di “agganciare demoni” nelle
nostre relazioni. Di nuovo, una volta stesa la mappa, fermatevi e contemplatela, e poi disegnate
delle linee tra i demoni simili. Alla fine, scrivete qualsiasi cosa vi venga in mente.
Può essere utile creare una mappa dei demoni con l’aiuto del vostro terapeuta. Le mappe non
sono una parte essenziale del percorso di sfamare i demoni, ma vi danno un contesto più ampio
per comprenderne la natura e come si connettano con le relazioni passate e presenti. Potreste
anche scoprire demoni collettivi di discriminazione razziale o sessuale, che stanno alla base dei
demoni della mappa. Noi tutti esistiamo in una rete interdipendente e multigenerazionale, e
vederlo riflesso in forma grafica può essere utile per diventare consapevoli dei nostri
comportamenti.
Creare una mappa è un’aggiunta importante alla pratica di sfamare i demoni: li mette in un
contesto più ampio e chiarisce le loro origini, altrimenti i demoni sembrano essere apparsi solo
per noi. I nostri lignaggi ereditari ci offrono grandi doni insieme alle loro ombre; stendere una
mappa dei demoni può aiutare a liberarci da aspetti nascosti della nostra storia. Ci aiuta anche a
evitare di trasmettere questi demoni alla generazione successiva. Le mappe dei demoni non
hanno certo lo scopo d’incolpare qualcun altro per i nostri problemi, ma piuttosto quello di
chiarificare gli schemi di comportamento, in modo da creare maggiore compassione e una
comunicazione più aperta tra le generazioni.
Le mappe del corpo
Un’altra idea utile per fare chiarezza sui propri demoni è quella di disegnare la mappa del corpo
di un demone. Lavorerete con gli appunti presi nel vostro diario del demone, mentre lo nutrivate.
Cominciate disegnando su un pezzo di carta la sagoma del vostro corpo. Poi guardate le
annotazioni sui vostri demoni e dove sono localizzati a livello fisico, e scrivete i nomi dei
demoni nei punti in cui li avete riscontrati all’inizio. Potete anche aggiungere il colore e tentare
di disegnare la struttura di ogni demone come l’avete vista nel primo stadio. Per esempio, Nancy
aveva un demone dell’eccesso di lavoro e la sua schiena era spesso “fuori uso”, costringendola a
frequenti trattamenti chiropratici. Nancy disegnò una serie di aguzze forme blu, e vicino scrisse
“stacanovista”. Aggiungete più colori e nomi possibile, includendo i demoni delle emozioni,
insieme a quelli della malattia e del dolore fisico. Una volta terminato, osservate la vostra mappa
del corpo e vedete quali comprensioni intuitive emergono in voi. Annotatele nel diario. Potete
anche disegnare la mappa di una parte specifica del vostro corpo. Nancy tracciò un disegno
separato dell’osso sacro e della zona lombare e sistemò alcuni demoni nell’ingrandimento di
quella porzione del suo corpo.

71
La parte successiva di questo libro tratterà del modo in cui Machig Labdrön ha classificato i
demoni, per poi prendere in considerazione i vari demoni specifici e come essi si manifestino
nella nostra vita; quindi narrerà le esperienze di molte persone che hanno usato il metodo dei
cinque stadi per nutrire i demoni e incontrare gli alleati, illustrando come la pratica li abbia
trasformati.

72
Parte terza

73
TIPI DI DEMONI

74
8
I quattro demoni di Machig, gli dèi e gli dèi-demoni
Fintanto che esiste un ego, ci sono i demoni.
Quando non c’è più ego,
non ci sono nemmeno più demoni!
MACHIG LABDRÖN
La notte in cui il futuro Buddha, il principe Siddhartha, abbandonò furtivamente il palazzo per
cercare una risposta ai propri interrogativi spirituali, lasciando la moglie, il figlio appena nato e
una futura vita da re, il suo primo incontro fu con Mara, la raffigurazione esterna delle forze
interiori che ostacolavano il suo cammino. Siddhartha aveva raggiunto la cima di una collina e
guardando giù poteva ancora scorgere il suo palazzo nella luce della luna, con le lampade a olio
che brillavano alle finestre. Aveva deciso di lasciarsi alle spalle la vita precedente e di andare in
cerca dell’illuminazione, ma in quel momento apparve Mara.
Mara librandosi nello spazio davanti a lui gli disse: «Fermati. Torna a palazzo e in sette giorni
diventerai un monarca universale, il re del mondo intero».
Il principe Siddhartha rispose: «Ti conosco, Mara. Quello che cerco non è diventare re di questo
mondo. Io cerco l’illuminazione e un sentiero per mettere fine alla sofferenza universale».
Fu “riconoscendo” Mara che il principe riuscì a sconfiggerlo e Mara se la svignò nel buio,
mentre Siddhartha proseguì per la sua strada. Ma Mara ricomparve nella vita del Buddha, e in
modo particolarmente intenso, la notte della sua illuminazione.
Trovo che la frase del Buddha «Ti conosco, Mara» sia una chiave particolarmente utile per
comprendere l’importanza di riconoscere i nostri demoni. Nella storia del Buddha, Mara apparve
in una forma personificata, come una chimerica figura maschile. Ma più tardi, con lo sviluppo
del buddhismo, i mara furono considerati ostacoli interiori come il turbamento emotivo e
l’orgoglio che impediscono il pieno risveglio. Essere capaci di identificare i propri mara
(demoni) quando si mostrano è il primo passo per lavorare su di loro. Se non li riconosciamo,
essi senza farsi notare assumono il comando. Machig Labdrön, che visse millecinquecento anni
dopo il Buddha, classificò quattro tipi di mara, basandosi su quelli del buddhismo Mahayana.
Queste quattro categorie raffigurano i modi in cui possono apparire le forze che bloccano il
nostro risveglio.
Mi sembra utile esaminare la classificazione fatta da Machig dei demoni, come pure di quelli che
chiama dèi e dèi-demoni, così da poter dire anche noi «Ti conosco, Mara», all’apparire dei nostri
demoni. Machig individuò quattro categorie principali di demoni: demoni esterni, demoni
interni, demoni dell’esaltazione e demoni dell’egocentrismo. In genere, queste quattro categorie
ci danno modo di vedere i demoni, e il nostro lavoro con loro, come una progressione in cui ogni
categoria ci porta più in profondità nella nostra mente. Anche se le classificazioni dei quattro
demoni di Machig passano dai demoni esterni a quelli sempre più sottili, quando lavoriamo con i
nostri demoni non necessariamente le cose seguono questa progressione. Potete iniziare da un
demone interno come la vergogna o la depressione per poi scoprire demoni esterni, come la
dipendenza, connessi a quelli interiori.
Queste quattro categorie non sono intese per farci da guida nell’osservazione dei nostri demoni
seguendo un ordine particolare, ma piuttosto per darci una visione complessiva di come vedere i

75
demoni, dalle manifestazioni più esterne dell’incolpare gli altri o reagire alle situazioni, a livelli
interiori più sottili, culminanti nel demone dell’egocentrismo, che è il nucleo segreto di tutti i
demoni.
Ogni categoria è più sottile della precedente, dunque i demoni esterni sono i più ovvi. I demoni
esterni sembrano provenire dal mondo, e includono le malattie, le varie paure, le dipendenze, le
relazioni, e i demoni familiari. Scendiamo più in profondità quando passiamo dai demoni esterni
a quelli interni, perché ci mettiamo a lavorare a livello della mente. I demoni della rabbia,
dell’ansia, della vergogna o della depressione possono funzionare senza alcuno stimolo esterno.
Una volta visti i demoni esterni e identificati quelli interni, corriamo il rischio di diventare tronfi
del nostro successo spirituale. I demoni della terza categoria, quelli dell’esaltazione, sono una
sorta di ammonimento dei possibili trabocchetti che aspettano tutti noi quando cerchiamo il
successo, sia spirituale sia mondano. Demoni dell’esaltazione sono l’orgoglio dei nostri
raggiungimenti e l’inflazione dell’io che ne consegue.
E infine raggiungiamo la categoria dei demoni che è la fonte di tutti, il fondamento della nostra
esperienza del mondo. È l’idea profondamente radicata che siamo in qualche modo separati da
quello che sperimentiamo come “l’altro”. È il luogo di nascita di ogni isolamento, alienazione e
conflitto, perché senza il demone dell’egocentrismo non ci sarebbe nessun altro demone. Se non
esistessero nemici, contro chi combatteremmo? Quando affrontiamo questo demone,
cominciamo a intravedere attraverso le nuvole della sofferenza quotidiana gli sprazzi del cielo
blu infinito.
I demoni esterni
L’11 settembre del 2001, il nostro paese ha assistito, con orrore e sotto shock, agli attacchi al
World Trade Center. Anche se ognuno di noi ha reagito in un modo diverso, la paura ha invaso
tutti nelle settimane, nei mesi e anche negli anni successivi. In un certo senso, tutto il nostro
paese ha un demone dello stress post-traumatico causato da quell’evento, anche se per alcuni è
più intenso che per altri.
Quando la speranza, la paura o altri sentimenti si connettono a un fenomeno esterno, che sia una
persona o un evento, ci troviamo di fronte a un demone esterno. Il termine tibetano per demone
esterno tradotto letteralmente è “demone tangibile”. Chiamati talvolta demoni che bloccano, i
demoni esterni sorgono quando proviamo attrazione o repulsione per qualcosa che percepiamo
attraverso i sensi, e ci fissiamo su quella attrazione o avversione. I demoni esterni si creano in
rapporto alla vista, all’udito, all’olfatto, al tatto, alle persone, agli animali, agli oggetti e agli
eventi, ma sono anche connessi a sostanze come le droghe o l’alcol oppure alle malattie. Il modo
più preciso per descrivere un demone esterno è definirlo un demone che si manifesta attraverso i
sensi. I demoni esterni possono essere reazioni a minacce vere e proprie come il terrorismo, la
possibilità di un agguato, di uno stupro o di un abuso domestico da parte di un partner. Possono
emergere da eventi naturali, come tornado, uragani o tsunami. Le malattie o il dolore, sia di
origine interna che trasmessi per infezione, sono demoni esterni. I demoni esterni sono anche
collegati ai demoni collettivi, come il pregiudizio, il razzismo o l’omofobia.
Quando si lavora con un demone esterno collegato a una relazione, può essere utile immaginare
di sfamare l’altra persona oltre che il demone creato dalla nostra reazione a quella persona.
Quando sfamai il demone della paura di perdere mio figlio come conseguenza del divorzio, nutrii

76
anche una forma immaginaria di mio marito. Se visualizzate la persona con cui avete un
problema e la nutrite, sviluppate empatia per ciò che quella persona prova.
I demoni interni
I demoni esterni sono il livello più ovvio dei demoni; quando diventiamo più introspettivi,
notiamo che esistono anche demoni che sorgono all’interno della mente senza uno stimolo
esterno. Questi demoni intangibili, i nostri demoni interni, sono demoni che sorgono dalla mente.
Talvolta sono definiti demoni che continuano a correre, come il flusso senza fine dei pensieri
della mente. A differenza dei demoni esterni, i demoni interni non si basano su stimoli sensoriali,
ma includono emozioni, fantasie, ricordi e pensieri, sia quelli consci che il continuo
chiacchiericcio interiore su cui ogni tanto ci sintonizziamo, ma che per lo più si svolge senza
catturare la nostra consapevolezza. I demoni interni possono essere creati dall’immaginazione o
prendere la forma di una nevrosi come la paranoia. La depressione è un demone interno, come
pure l’ansia serpeggiante (che sorge senza ragioni apparenti). Anche la rabbia può essere un
demone interno, se nasce senza una causa scatenante.
Jen, per esempio, aveva un demone della depressione, un demone interno che la seguiva
ovunque. Durante una vacanza in una meravigliosa isola caraibica, fu tormentata tutto il tempo
dalla depressione. Il demone era presente a prescindere dalle circostanze esterne. Un demone
esterno tende a essere più specifico, come per esempio la paura di volare. Un demone interno di
inadeguatezza può diventare un demone della paura dell’abbandono, della gelosia o
dell’insicurezza in relazione a eventi esterni. Come la testa immortale dell’idra restava al suo
posto anche dopo che tutte le altre erano state mozzate, un demone interno rimane anche quando
tutti i demoni esterni connessi se ne sono andati.
I demoni dell’esaltazione
La terza categoria di Machig è quella dei demoni dell’esaltazione. Questi demoni sorgono
dall’importanza, dal conseguimento o dal successo che portano all’inflazione dell’io. Le cause
esterne includono la fama e la reputazione, e il potere e l’attenzione che ne conseguono. Quando
queste esperienze si mischiano con l’ego dell’attaccamento a se stessi, producono un demone
dell’esaltazione. Questo demone emerge in contesti sia mondani sia spirituali. Per esempio, i
demoni dell’esaltazione spirituale sono attaccamenti alle esperienze che si sviluppano in
meditazione.
Quando un demone dell’esaltazione si collega a esperienze spirituali, il nostro progresso
spirituale si blocca. Il demone dell’esaltazione non è causato dai segni positivi di per sé, ma
dall’inflazione dell’io che può sorgere dal nostro attaccarci a queste esperienze. Anche in ambito
mondano, se avete successo e siete circondati da gente che vi fa salamelecchi, siete esposti a
questo tipo di demone.
I demoni dell’egocentrismo
Il quarto demone, che sta alla base dei precedenti, è il demone dell’egocentrismo. Quando
lottiamo con oggetti, stati mentali o con l’inflazione dell’io, alla radice del nostro turbamento c’è
il fatto di credere nella nostra presunta importanza. Nella formulazione di Machig dei quattro
demoni, il demone dell’ego è la fonte degli altri tre, perché l’ego crea l’attaccamento che genera
quei demoni.
Gli dèi e gli dèi-demoni

77
Come ho accennato nel terzo capitolo, Machig non parlò solo dei demoni, ma anche di quelli che
lei chiamava dèi e dèi-demoni. Gli dèi sono le nostre speranze. Creano lotte simili alle battaglie
che ingaggiamo con i demoni, solo che sono tentativi di raggiungere qualcosa, anziché scappare
da qualcosa. Gli dèi hanno a che fare con le lotte del desiderio e della brama, più che
dell’avversione. È importante distinguere tra un’ispirazione, che innesca energia positiva e
ottimismo senza coinvolgere grande attaccamento o tensione, e un dio che è connesso alla brama
di qualcosa o all’essere ossessionati da un certo risultato.
Per esempio, volete intensamente un lavoro che vi farebbe avere un forte aumento di stipendio.
Già immaginate i nuovi mobili che comprerete o la prossima vacanza. Avete fatto domanda per
quel posto e ora aspettate di essere chiamati. Nutrite grandi speranze in quell’impiego e intorno a
quelle speranze si crea molta tensione. Ogni volta che suona il telefono avete un sobbalzo,
seguito da ondate di delusione quando scoprite che non è il dipartimento per le risorse umane che
chiama per dirvi che avete ottenuto l’incarico. Questo tipo di speranza emozionale è un dio, in
quanto è l’opposto di un demone.
Spesso è difficile riconoscere che gli dèi sono problematici quanto i demoni. Nella nostra cultura,
ci insegnano a vedere positivamente le speranze. Ma in realtà si basano spesso sulle nostre paure.
Prendetevi un momento per pensare alle vostre principali speranze. Quali sono i vostri desideri
più intensi? Pensate poi alla vostra più grande paura. Non sono forse le due facce della medaglia
e non generano entrambe tensione? Spero nell’amore e temo la solitudine. Spero nel successo e
ho paura della povertà. Spero nell’approvazione e temo la critica.
Nel descrivere gli dèi e i demoni, Machig li univa in una sola parola, dèi-demoni, per sottolineare
che sono due facce della stessa medaglia, che speranze e paure sono legate in modo
indissolubile. Un dio in questo contesto è qualcosa che sembra accrescere il sé; il demone è
qualcosa che sembra minacciarlo. Il motivo per cui Machig li unisce è che separando le
esperienze in buone e cattive, le tensioni del desiderio e della paura si congiungono in un ciclo di
sofferenza.
Quando vivevo in Italia e stavo scrivendo il mio primo libro, dovetti ritornare in Nepal per
condurre ulteriori ricerche. Avevo poco tempo e il pensiero di riuscire a fare tutto mi creava
grande tensione. Per di più dovevo lasciare i bambini in un momento non proprio ottimale.
Durante il viaggio, tutto andò storto dall’inizio alla fine. A Roma, mentre andavo in aeroporto,
mi accorsi di avere dimenticato il passaporto. Dovetti precipitarmi a casa, prenderlo e tornare in
aeroporto, terrorizzando perfino gli automobilisti italiani. In Nepal, mancai di poche ore le
persone che dovevo incontrare. Per di più, arrivai senza il materiale di cui avevo bisogno. Man
mano che le cose non andavano per il verso giusto, la pressione cresceva. Come avrei fatto a
portare a termine il lavoro? Lo stress aumentava sempre di più e alla fine riuscii a fare ben poco.
Quando tornai a casa, andai a trovare il mio maestro.
«Com’è andato il viaggio?» mi chiese.
«Malissimo!» risposi. «È andato tutto storto dall’inizio alla fine. Uno stillicidio e non sono
neanche riuscita a fare quello per cui ero partita. Secondo te perché?»
Lui mi guardò e disse in tono tranquillo: «Forse troppe speranze e paure».
Talvolta restiamo catturati da un dio-demone anche riguardo a cose semplici come una vacanza.
Se abbiamo troppe speranze e paure al riguardo, anche una situazione che potrebbe essere
rilassante può trasformarsi in un incubo. Cerchiamo di controllare tutto e prenotiamo l’hotel

78
perfetto, il ristorante più rinomato, ma niente va per il verso giusto. Altre volte, quando abbiamo
un atteggiamento più sciolto, più spontaneo, la magia può affacciarsi nelle cose più semplici, e
tutto scorre liscio, una cosa dopo l’altra, senza alcuno sforzo.
Gli dèi possono facilmente diventare demoni e viceversa. Per esempio, il nostro partner può
trasformarsi da dio in demone e poi di nuovo in dio. Quando lei, o lui, fa quello che vogliamo, la
o lo percepiamo come un dio. Quando lei, o lui, fa emergere le nostre paure, vediamo un
demone. In una relazione che funziona male, ci aggrappiamo bramosamente al dio, anche se
quello che per lo più ci troviamo di fronte è il demone.
Anche lo stacanovista passa nello stesso modo dagli dèi ai demoni, aggrappandosi per un
momento all’elogio e all’energia che ottiene dal lavoro e il momento dopo crollando esausto. O
la paura di una malattia si nasconde nel desiderio di salute e ci fa continuamente oscillare tra
paura e speranza.
Le dipendenze sono un buon esempio di un dio che diventa demone. Quando usiamo per la
prima volta una sostanza come la cocaina, sembra che ogni cosa si esalti: le nostre capacità
lavorative, le esperienze sessuali, le relazioni. La droga rende tutto migliore. Investiamo in essa
grandi speranze, perciò è un dio. «Questa sostanza è la risposta! Se solo riesco ad averne a
sufficienza, tutto andrà benissimo!»
Ma ben presto il dio si fa esigente e sembra che la droga non basti mai. La sostanza comincia ad
avere un effetto negativo sul corpo. Abbiamo i nervi sballati, e la droga ci comanda a bacchetta,
spingendoci a rubare per comprarla. La medaglia si è rovesciata: ora il dio è diventato un
demone. Unendoli, Machig ci dimostra che combattere un demone o inseguire un dio sono due
aspetti di una stessa dinamica.
Gran parte della nostra vita è motivata da dèi-demoni: il desiderio sessuale (speranza del
soddisfacimento/paura del fallimento nella “prestazione”); lo stacanovismo (desiderio
compulsivo di raggiungimento/paura del fallimento); l’ossessione per la bellezza (brama di
bellezza/paura di invecchiare). Si può facilmente riconoscere quando è presente un dio-demone,
perché è sempre accompagnato da stress e tensione. Pensate alla vostra vita. Dove riscontrate
speranza e paura nello stesso tempo? Quello è un dio-demone.
Se uscissimo dalla dinamica di paura e lotta, finiremmo per starcene seduti a far niente? Al
contrario: sciogliere la tensione causata dai nostri dèi-demoni libera energia, perché non siamo
più avviluppati nelle nostre speranze e paure. Per esempio, dopo aver fatto pace con un dio-
demone stacanovista, possiamo continuare a lavorare in azienda, ma senza tensione.
Un’espressione che trovo utile per liberare un dio-demone è “essere leggeri”. Non importa
quanta responsabilità abbiamo o quali situazioni terribili o importanti stiamo vivendo, se
riusciamo interiormente a “essere leggeri”, creiamo uno spazio nella situazione, e non restiamo
intrappolati negli dèi-demoni. Pensate alle occasioni in cui siete riusciti a fare qualcosa senza un
forte attaccamento al risultato e notate come è andata meglio e quanto è stato più piacevole.
Ora consideriamo più attentamente le categorie dei demoni con alcuni esempi di come le persone
li hanno affrontati usando la pratica dei cinque stadi.

79
I demoni della malattia
Era a tutti noto che Madre Labdrön
conosceva uno speciale insegnamento chiamato
“Mahamudra Chöd” che poteva prevenire
quattrocentodue tipi di malattie e ottomila impedimenti,
un insegnamento dei più straordinari
che rendeva saldi nella Buddhità.
SARAH HARDING1
Una delle applicazioni tradizionali del Chöd in Tibet consisteva nell’affrontare i demoni esterni
di malattie ed epidemie. I praticanti del Chöd davano forma ai demoni praticando il rituale in
posti che incutessero paura, dove ci fossero cadaveri, come nei cimiteri o nei luoghi di
cremazione. Quando sentivano che i demoni terrificanti erano arrivati, anziché combatterli,
immaginavano di trasformare i loro stessi corpi in un nettare che sfamava i demoni fino a
completa soddisfazione.
In Tibet esistevano scuole spirituali che si dedicavano principalmente alla pratica del Chöd. Gli
allievi studiavano in profondità la tradizione di Machig Labdrön per anni e poi si recavano da
soli in luoghi terrificanti. Machig iniziò anche la tradizione di un pellegrinaggio Chöd a 108 di
quei luoghi per addestrarsi nella pratica. Alla fine, gli studenti diventavano abbastanza esperti da
misurarsi con le malattie e le epidemie, come riscontrai nel monastero di Apho Rinpoche quando
le monache e i monaci praticarono il Chöd per lo sterratore tibetano malato. Non tutti gli esperti
del Chöd hanno frequentato quelle scuole, ma in certe tradizioni era possibile.
Un risultato notevole per i praticanti esperti di Chöd è l’immunità alle malattie infettive, ed
esistono molti resoconti dell’efficacia del Chöd in Tibet. Quando scoppiavano epidemie di vaiolo
o di colera, i praticanti del Chöd venivano chiamati per aiutare a fermarle. Non solo i grandi
praticanti del Chöd erano capaci di aiutare i malati e prendersi cura dei cadaveri senza infettarsi,
ma si racconta che fossero anche in grado di por fine alle epidemie sfamando i demoni esterni
della malattia che le avevano causate.
Dal punto di vista medico e scientifico, le malattie sono classificate come “diverse entità di
malattia”. Le entità di malattie contagiose cercano un modo di sopravvivere, dunque hanno
bisogno di “mangiare”. Di solito, prosperano sopra o dentro un corpo. Ogni volta che infettano
qualcuno, si rafforzano. La medicina si dedica per lo più a debellare le malattie. Il principio che
sta alla base della guarigione con il Chöd è che se le malattie vengono nutrite dal praticante, non
hanno più bisogno di consumare la persona o l’animale colpiti. Viene loro offerto un altro luogo
per il pranzo e la cena! Ecco perché in Tibet le epidemie di vaiolo e di colera potevano essere
fermate dalla pratica del Chöd. L’entità della malattia veniva nutrita trasformando il corpo in
nettare, e perciò non aveva più necessità di consumare la persona o l’animale.
Anche se può sembrare impossibile o miracoloso, c’è una logica nella guarigione operata dai
praticanti del Chöd. Se riusciamo a modificare la nostra comprensione convenzionale della
malattia per vederla come una forma di energia, riusciamo a comprendere questa forma di
guarigione. La mia esperienza con Fred mi ha fatto intuire come tutto questo possa funzionare in
Occidente.

80
La storia di Fred
Incontrai Fred quando vivevo sull’isola di Vashon, vicino a Seattle, dopo il mio ritorno dall’India
alla metà degli anni Settanta. Ero incinta di Sherab, la mia prima figlia, e mi stavo ancora
adattando alla vita di donna laica, avendo da poco rinunciato ai voti dopo gli anni trascorsi come
monaca nel buddhismo tibetano. Io e mio marito attraversavamo spesso i campi di ribes, e
scendevamo lungo un vecchio sentiero per boscaioli nella gocciolante foresta pluviale di sequoie
e antichi cedri fino alla spiaggia dove Fred viveva con il suo compagno in una fattoria.
Coltivavano verdure, facevano ceramiche e allevavano una mucca da latte. Compravamo il latte
fresco e poi risalivamo di nuovo la collina fino alla nostra casetta, dove tenevamo gruppi di
meditazione la domenica mattina. A poco a poco, grazie a questo contatto, Fred s’interessò al
buddhismo e si unì al nostro gruppo. Nel corso degli anni, diventammo grandi amici. Ci
perdemmo di vista quando io mi trasferii a Boulder e poi in Italia, ma molti anni dopo, all’inizio
degli anni Novanta, Fred riuscì a rintracciarmi e mi telefonò.
Dopo aver parlato per un po’ dei vecchi amici e di quello che facevamo ora, arrivò al punto: «Ho
l’AIDS. Nel 1987 ho fatto il test e sono risultato sieropositivo. Allora, il numero delle mie cellule
immunitarie era ancora molto alto».
«Qual è la norma?» chiesi.
«Da ottocento a millecento, e io ne avevo millecento. Ma da allora hanno continuato a scendere.
Ho appena fatto gli esami, e sono a quattrocentosettantasette. Questo significa che ho l’ AIDS
conclamata. Sono spesso in preda alla paura. Ho smesso di meditare e la mia mente è sottosopra.
Gestisco un bar ed è molto difficile. È un ambiente stressante. Mi sono offerto volontario per uno
studio sperimentale all’ospedale della Veterans Administration di San Francisco. È uno studio
con AZT e un placebo. Ogni tre mesi mi prelevano il sangue, controllano il numero delle cellule
immunitarie e mi visitano per qualsiasi problema connesso all’ AIDS. Spero mi somministrino
l’AZT, ma non lo so. La cosa peggiore è la paura. Ho visto morire così tanti amici ed è orribile.
Ogni volta che mi prendo un raffreddore, mi chiedo come finirà. Mi preoccupo di non dormire
abbastanza e faccio poco perché ho paura di stancarmi. Devo lavorare e anche questo mi
preoccupa.»
La paura nella voce di Fred era palpabile. Per caso, dovevo andare a insegnare il Chöd in
California qualche settimana dopo. Gli consigliai di partecipare al ritiro. Non pensavo che la
pratica potesse far fare marcia indietro a una malattia mortale come l’ AIDS, ma ero sicura che lo
avrebbe aiutato riguardo alla paura.
Fred decise di venire, e ci incontrammo la prima sera del ritiro: vidi che i suoi lunghi capelli
biondi erano stati tagliati e avevano delle striature grigie, ma lo scintillio degli occhi e il suo
senso dell’umorismo erano gli stessi. Dopo l’inizio del ritiro e l’insegnamento del percorso per
sfamare i demoni, mi chiese se poteva lavorare con me come partner nella pratica. Accettai e pur
essendo impegnata nel ritiro, trovai del tempo per restare soli.
Quando ci sedemmo l’uno di fronte all’altra, gli chiesi se aveva già lavorato con il demone
dell’HIV. Rise e rispose: «No, è troppo grande. Non ce la faccio. Sembra che sia ovunque. Ho
paura di restarne sommerso».
«Fred, le cose grandi diventano ancora più grandi non affrontandole» dissi. «C’è più rischio di
restare sommersi se non lo incontri, che se lo fai.»

81
Lo incoraggiai a lavorare su quello, e alla fine accettò. Ecco la sua storia, raccontata da lui
stesso.
«Quando l’ho scoperto nel mio corpo, era ovunque, una specie di melma verde che mi succhiava.
Quando me lo figurai di fronte e gli diedi una forma, il demone dell’ HIV era enorme. Aveva
l’aspetto di un’ameba, verdastra, più gialla verso il centro, dove si apriva una grossa bocca. Era
vicino, riempiva tutta la mia visuale. Sentii un profondo disagio nel far emergere quel demone, e
anche molta rabbia e risentimento per la sua presenza nella mia vita.
«Quando gli chiesi che cosa volesse, disse: “Tutto, compresa la tua vita. Voglio tutto di te, ma
voglio la tua vita piano piano. Voglio vederti diventare magro, debole e malato, finché non sarai
completamente debilitato e diventerai brutto e alla fine voglio che tu muoia”.
«All’improvviso capii che il demone voleva che lo temessi. Voleva distruggermi con la paura.
Compresi che aveva bisogno di sentire il potere che gli procurava la mia paura. Risposi offrendo
al demone il potere sotto forma del mio corpo, una cosa alla volta: la mia forza, la mia capacità
di prendermi cura di me stesso e di lavorare, il mio sangue, la pelle, i capelli, la vista, la mente e
così via. Con ogni offerta mi avvicinavo sempre di più a capire che se per esempio rinunciavo
alla vista, io non ero la vista. Che cosa mi definisce? Cos’è Fred? Cos’è questo me? Nel dare al
demone il potere, compresi la vacuità del corpo cui ero stato tanto attaccato. Nel lasciar andare,
ebbi dei bagliori di luminosa consapevolezza. Consapevolezza della vacuità. Più o meno in quel
periodo, il demone si fece più sbiadito e alla fine scomparve, facendomi capire che anche lui era
vuoto. Riposai in quello spazio di “non-io, non-demone”. Continuai a nutrirlo, all’inizio ogni
giorno e adesso di tanto in tanto. Noto che se lo nutro con regolarità, quando lo evoco è
minuscolo e se invece aspetto troppo, diventa di nuovo grande.
«Dopo averlo nutrito per due anni e mezzo, questo demone dell’ HIV è diventato piccolo e debole.
Se penso all’HIV non provo paura. Non ci penso nemmeno ogni giorno, tranne quando faccio
emergere il demone per nutrirlo. Non ho più tanta paura. Ora ho altri demoni che chiedono
attenzione. L’HIV non è l’unico demone in gioco, come speravo all’inizio!»
Un anno e mezzo dopo aver iniziato lo studio sperimentale al Veteran Administration, Fred
scoprì che prendeva il placebo e non l’ AZT. Non stava assumendo antivirali e non seguiva una
dieta particolare. Ma dopo avere iniziato a nutrire il demone dell’ HIV, le infermiere e i dottori che
monitoravano l’esperimento clinico notarono un rapido incremento delle cellule immunitarie. In
molti casi può succedere che una volta scese si stabilizzino, ma raramente risalgono. Ma nel caso
di Fred successe, e sono rimaste per tutti questi anni a un livello basso ma nella norma. Quando i
dottori e le infermiere chiesero a Fred che cosa stesse facendo, lui rispose: «Oh, solo un po’ di
meditazione». «Qualsiasi cosa sia, continui a farla» gli dissero. Ha continuato e ora vive in un
centro di ritiri in California.
Ho visto la pratica dei cinque stadi aiutare molte persone con gravi malattie, come il cancro, i
disturbi alimentari, le allergie, i dolori cronici, la fibromialgia, l’ulcera, l’ipertensione, tanto per
fare alcuni nomi di demoni che ho incontrato in me stessa o in altri. Dopo che Fred ebbe nutrito
il demone dell’AIDS, tutta l’energia rimasta bloccata nella sua paura della malattia tornò
disponibile. Non fu più ossessionato dalla paura, che era per lui la parte più debilitante della
malattia. L’energia prigioniera della paura dell’AIDS può ora essere utilizzata nella pratica
spirituale e nella compassione per tutti gli esseri.
Sfamare i demoni della malattia

82
Come abbiamo visto nella storia di Fred, sfamare i demoni della malattia può portare a notevoli
risultati concreti. A livello convenzionale, può sembrare del tutto inutile visualizzare l’entità
dell’AIDS e nutrirla fino a completa soddisfazione. Ma la storia di Fred ha dimostrato che può
essere molto efficace. Normalmente, noi combattiamo i demoni della malattia. Appena
prendiamo l’influenza, pensiamo alle difese immunitarie: vitamina C, medicine che aumentino le
difese o rimedi per il raffreddore. Nessuno di questi approcci è di per sé sbagliato, ma
comprendere il messaggio della malattia, nutrirlo e trovare l’alleato può essere un’aggiunta
importante alle terapie mediche tradizionali e complementari. Possiamo avvicinare la malattia
come un messaggio del corpo e poi nei cinque stadi permetterle di parlarci.
Se trattiamo sempre i sintomi cercando di sopprimerli e non comprendiamo mai quello che la
malattia vuole dirci, perdiamo importanti informazioni che il corpo tenta di comunicare. Il
cervello e il sistema immunitario dialogano costantemente, spesso tramite gli stessi canali, il che
spiega perché la visualizzazione influenzi la salute. Se ci pensate, anche la malattia che invade il
corpo ha una sorta di personalità. Batteri e virus hanno delle qualità peculiari e forme visibili al
microscopio. Un certo tipo di cancro è “aggressivo” e un altro “lento”.
In tibetano, un demone che causa una malattia è chiamato gonpo. Quando ci ammaliamo,
possiamo sentire l’invasione di questo gonpo. Ricordo di recente quando mi sono presa
l’influenza e sdraiata a letto sentivo letteralmente il virus invadere il mio corpo. Per “prendere”
una malattia, bisogna che questa trovi un ambiente ricettivo, come una chiave s’inserisce nella
toppa di una serratura. I medici chiamano questa serratura “sistema immunitario debilitato” o
“predisposizione genetica”. Anche la paura della malattia, lo stress, l’affaticamento, una cattiva
alimentazione, la ereditarietà genetica e la mancanza di esercizio fisico possono creare un
ambiente favorevole all’invasione di un demone della malattia.
Candace Pert, docente ricercatrice al dipartimento di fisiologia e biofisica alla Georgetown
University School of Medicine e specialista in immunologia, ha condotto ampie ricerche sulle
connessioni tra la mente e il corpo. Ha scoperto che formulare consapevolmente un’intenzione o
creare una visualizzazione ha un effetto sul PAG (la sostanza grigia che circonda l’acquedotto
cerebrale), localizzato tra il terzo e il quarto ventricolo nel cervello, colmo di recettori sedativi,
che è anche un’area di controllo del dolore. «Mentre molta dell’attività corporea, secondo il
nuovo modello d’informazione, ha luogo a livello automatico, inconscio,» scrive «ciò che rende
questo modello tanto diverso è che può spiegare come sia possibile per la nostra mente conscia
entrare nella rete e ricoprire un ruolo intenzionale». La sua teoria non dice che la mente abbia
potere sul corpo, ma che il corpo e la mente sono una cosa sola; il modello appropriato non è
quello di un re che governa i sudditi, ma piuttosto di un’intelligenza distribuita
democraticamente in tutto il corpo. Sia il sistema nervoso centrale sia quello immunitario
possiedono elementi “sensori”, entrambi sono in grado di ricevere informazioni dall’ambiente e
da altre parti del corpo, e possiedono anche elementi “motori” che mettono in atto una risposta
appropriata.
Un valido esempio può essere il sistema digestivo, che è rivestito di cellule nervose e altre
cellule che contengono neuropeptidi e recettori. (Questa potrebbe essere la ragione per cui
abbiamo “sensazioni di pancia”, istintive, e anche perché la digestione influenza il nostro
umore). I virus usano i medesimi recettori dei neuropeptidi per entrare nelle cellule. Dunque, se i
recettori fossero occupati, mettiamo dalla norepinefrina, un neurotrasmettitore che circola

83
quando una persona è felice, ci sarebbero meno recettori a disposizione del virus per entrare nelle
cellule.
Se applichiamo questa dinamica alla pratica dei cinque stadi, potremmo dire che offrendo il
nettare al demone o al virus, gli diamo un modo alternativo di nutrirsi; quando il virus viene
nutrito attraverso la pratica dei cinque stadi non deve più connettersi al recettore cellulare ed
entrare nel corpo. Ancora una volta, se pensiamo alle malattie come a “esseri” con delle
personalità e dei bisogni, diamo loro un modo alternativo per soddisfare questi bisogni. L’entità
della malattia viene reindirizzata verso un’altra fonte di cibo e soddisfatta, e perciò distolta dal
nutrirsi del corpo. Questo processo ha luogo grazie all’intelligenza del complesso corpo-mente.
Negli anni Ottanta, Lydia Temoshok, una psicologa della University of California di San
Francisco, dimostrò che i pazienti affetti da tumore che reprimevano emozioni come la rabbia
avevano un recupero più lento rispetto a quelli che esprimevano più spontaneamente le loro
emozioni. La Temoshok scoprì anche che nella seconda categoria di persone i sistemi immunitari
erano più forti e i tumori più piccoli.
Tutti noi in certi momenti abbiamo delle cellule cancerogene che crescono nel corpo, e quando
siamo in buona salute, abbiamo delle cellule killer naturali che tengono quelle cellule sotto
controllo. Queste cellule killer sono controllate da peptidi nel corpo e nel cervello, il cui flusso è
collegato con l’espressione delle emozioni. Se però l’emozione non viene espressa, i peptidi
necessari per coordinare le cellule killer che controllano la crescita cancerogena non riescono a
circolare abbastanza facilmente per poter svolgere il loro lavoro. David Spiegel della Stanford
University ha dimostrato che essere capaci di esprimere le emozioni come l’angoscia e la rabbia
può avere un effetto importante sulla capacità di sopravvivenza dei pazienti affetti da tumore.
Nutrendo i nostri demoni, muoviamo l’energia in modo più conscio di quanto non facciamo con
la semplice espressione delle emozioni. Sacche di emozioni bloccate o negate vengono invitate a
parlare, il che le smuove in modo più finalizzato. Se diamo consapevolmente forma ai segnali
trasmessi dal corpo come risultato del dolore, della malattia o delle emozioni, allora le cellule
predisposte alla protezione naturale fluiranno più agevolmente. Questo coincide con l’attivazione
dell’alleato nel processo di guarigione.
Prendere in considerazione tutti questi elementi aiuta a spiegare come il percorso di nutrimento
dei demoni possa essere efficace nelle malattie. Quando i demoni vengono lasciati inconsci o
repressi, il corpo è incapace di mettersi in contatto con i loro messaggi e i disturbi risultano
ancora più gravi. Lo stress costante porta a un dissesto del sistema immunitario. All’inizio, i
messaggi del corpo possono essere semplici, come raffreddori più frequenti, ma se non vengono
affrontati, il disagio può portare a disturbi cardiaci o ad altre malattie serie collegate allo stress.
Nutrire i demoni ci dà uno strumento per ascoltare e soddisfare i bisogni del nostro corpo
intelligente prima di ritrovarci con una malattia irreversibile.
Sfamare i demoni è una pratica che si può applicare anche a sofferenze croniche. Linda, una chef
di trentasette anni, era in terapia da due anni perché si infuriava per qualsiasi cosa. Linda litigava
facilmente con le persone e perciò cambiava spesso lavoro. Le venne mal di schiena, ma lo
ignorò. Poi, mentre era in vacanza con la madre e la figlia, il mal di schiena peggiorò moltissimo.
Dopo quella vacanza, la sua terapeuta, che aveva seguito il training nel percorso dei cinque stadi,
suggerì a Linda di sfamare i demoni del suo malessere e lei fu d’accordo. Il dolore di Linda era
nero, melmoso e freddo. Il demone era un polipo con molti tentacoli che voleva succhiarle la

84
testa. Aveva occhi rossi e non voleva guardarla. Identificandosi con lui, Linda imparò che quello
che voleva era rilassamento e libertà. Sentì di non essere capace di darglieli, perché voleva tenere
per sé quel po’ di libertà che aveva. Ma riuscì a dargli compassione e amore. Il demone diventò
più amichevole e smise di succhiare. Il dolore si trasformò in una sensazione di formicolio.
Alcuni giorni dopo, il dolore ritornò e Linda immaginò di nuovo il demone e gli offrì il suo
amore; questa volta fu più generosa e dopo alcuni giorni il dolore svanì. Linda decise anche di
affrontare la mancanza di rilassamento e di divertimento nella sua vita: iniziò un corso di yoga e
programmò di passare un po’ di tempo nella natura. Fece della propria salute una priorità,
anziché spronarsi con tanta durezza. Quando il suo mal di schiena si faceva sentire, lo ascoltava e
nutriva il suo demone. La sua rabbia diminuì e lei fu in grado di coglierla non appena sorgeva
anziché cederle.
I demoni carnivori della malattia
Potremmo considerare la categoria che Machig definisce dei demoni carnivori come una
superstizione primitiva, ma pensate all’anoressia, alla tubercolosi, alla lebbra, e al cancro: non
sono forse malattie carnivore? Ovviamente non sono demoni carnivori nel senso mostruoso del
termine, ma le malattie che letteralmente consumano la carne possono certamente essere vissute
come demoni invasivi. Sfamare i demoni di queste malattie può illuminare elementi e bisogni
sotterranei che una cura ordinaria mancherebbe completamente. Consideriamo due di questi
“demoni carnivori”.

85
I demoni dell’anoressia
Questo disturbo alimentare è diventato un’epidemia tra le ragazze delle superiori e
dell’università, e sono sempre più anche i ragazzi che ne soffrono. L’anoressia inizia spesso con
cicli di diete e abbuffate alternati e poi precipita fino a un vero e proprio affamarsi, l’esercizio
fisico eccessivo e l’uso di lassativi. In casi estremi, tristemente non rari, il corpo letteralmente
mangia se stesso, prima il grasso, poi i muscoli e alla fine gli organi. Nell’anoressia, la causa più
comune di morte è l’infarto congestivo, quando il cuore è consumato al punto da non poter più
funzionare.
Non ci sono statistiche affidabili per i disturbi alimentari, perché molte persone si vergognano a
parlarne e i medici trattano spesso malattie collegate a queste patologie senza riconoscerne la
causa. Sappiamo che i disturbi alimentari sono in ascesa, che si parla di bambine di cinque anni
che ne sono affette. Statisticamente il 20 per cento delle persone cui si diagnosticano disturbi
alimentari ne muore. Il demone dell’anoressia ha spesso a che fare con il controllo e il
perfezionismo, come pure con le pressioni culturali sulle donne perché siano magrissime.
L’anoressia colpisce anche ragazze all’inizio della pubertà, come tentativo di controllare gli
scomodi cambiamenti del loro corpo in via di sviluppo.
Jamie era la più grande di tre figli ed era sempre stata quella su cui la madre poteva contare
quando le cose si mettevano male, come spesso succedeva con il patrigno. La madre aveva così
tanta fiducia in lei, che certe volte Jamie si sentiva quasi il genitore anziché la figlia. Attorno agli
undici anni cominciò a mettersi a dieta, dopo che il patrigno aveva fatto commenti sul seno che
le stava spuntando. Umiliata dagli sguardi che lui le lanciava all’inizio della pubertà, aveva paura
di diventare una donna dal corpo formoso. Aveva una forte volontà e la sua dieta ottenne i
risultati voluti. Questo le fece sentire di avere il controllo su qualcosa in un ambiente instabile
che le incuteva paura.
Jamie iniziò a non mangiare. Perse gradualmente sempre più peso finché, scesa a quaranta chili,
venne fatta ricoverare in ospedale dalla madre. Tentò vari metodi per guarire, ma nessuno
funzionava a lungo. Tornava sempre ad affamarsi da sola. A vent’anni, andata a vivere per conto
suo durante l’università, sentì parlare della pratica di nutrire i demoni da un’amica che le segnalò
una conferenza che avrei tenuto in California. Lei ci venne e decise di seguire un ritiro.
Jamie, poco più di quaranta chili e sul punto di lasciare gli studi, aveva tutti i segni della fame e
dell’anoressia. Le sue membra erano solo ossa ricoperte di pelle su cui era spuntata una leggera
peluria, un segno dell’anoressia. Gli occhi erano lucenti e vitrei. Ciononostante fece appello a
tutta la sua forza per affrontare il demone dell’anoressia.
Il demone di Jamie aveva l’aspetto della strega di Hansel e Gretel: magra, incollerita e crudele.
La strega guardava Jamie con uno sguardo severo, imperioso. Quando Jamie diventò il suo
demone, la strega le disse che non doveva mangiare, che la voleva controllare. Invece di sentirsi
potente, come si era aspettata, Jamie si sentì insicura. La strega aveva detto che quello che
voleva era il controllo, ma incalzata dalle domande ammise che quello di cui aveva bisogno era
una sensazione di rassicurazione e di sicurezza.
Quando Jamie la nutrì, la strega iniziò a ingrassare, la sua faccia rugosa si fece liscia e il corpo
diventò formoso con lunghi capelli fluenti, come una dea greca. Quella dea era l’alleato. Disse a
Jamie che l’avrebbe aiutata ad accettare il suo corpo e a lasciare andare il controllo, e questo le

86
permise di rilassarsi. Avrebbe aiutato Jamie a smettere di cercare di essere perfetta. Jamie
comprese che quando la madre aveva iniziato la relazione con il patrigno e il loro mondo si era
messo a girare vorticosamente, il cibo era l’unica cosa su cui riusciva a esercitare un controllo.
Non mangiare aveva inoltre protetto il suo corpo dal diventare un oggetto di desiderio per il
patrigno.
Jamie disegnò un’immagine della dea e cominciò consapevolmente a fare quello che l’alleato
voleva, anziché essere sempre iper-responsabile e controllata. Comprese che alcune cose erano al
di là del suo controllo e di altre non era responsabile.
Iniziò a ballare per divertimento e passò più tempo nei boschi e in riva all’oceano, vicino a dove
abitava nel sud della California. Questo la riportò dentro il suo corpo e la rese felice. Jamie
continuò a lavorare con il demone dell’anoressia insieme a un terapeuta, lasciando gradualmente
andare la sua dipendenza dalla perfezione e iniziando ad avere fiducia e a godere del suo corpo
femminile. Aumentò di peso e, anche se la strega certe volte fa ritorno, adesso Jamie sa come
lavorare con lei: non obbedisce ai suoi comandi, ma la nutre e chiede aiuto all’alleato.

87
I demoni del cancro
Il cancro è un demone che colpisce migliaia di persone. Ci sono molti tipi di cancro e sfamare
questo demone può essere un contributo utilissimo al processo di guarigione. Rose, una
professionista della salute che dava consigli agli altri riguardo al loro benessere, restò scioccata
quando le venne diagnosticato un cancro al seno. Scelse di sottoporsi alla chemioterapia e alla
radioterapia, e cominciò una serie intensiva di trattamenti. Ma non funzionò: il cancro si
diffondeva. Aveva già utilizzato in precedenza la pratica di nutrire i demoni, ma non pensava di
riprovarci finché non capì che la chemio non funzionava.
Quando Rose portò l’attenzione al corpo e al seno che era stato colpito dal cancro, scoprì una
viscosità calda e rossa. Quando la evocò di fronte a lei, si manifestò una ragazzina. Fece le tre
domande e cambiò di posto. La bambina era furiosa e alla prima domanda rispose: «Voglio che ti
fermi e mi ascolti. Perché mi hai trascurato? Stupida idiota, continui a nascondermi. Ti prenderò.
Non sai che sono più forte di te?».
Rispondendo alla seconda domanda, riguardo al suo vero bisogno, la ragazzina rossa disse:
«Smettila di far finta che l’abuso non ci sia stato! Detesto il modo in cui mi ignori. Ti odio!».
Rose fu sommersa da un’ondata di vergogna. Ricordò che da piccola era stata molestata dallo
zio, ma pensava di esserci “passata sopra” e non voleva dirlo in famiglia perché si vergognava e
pensava che fosse colpa sua. Lo zio l’aveva anche minacciata di dire che era stata lei a sedurlo se
avesse “parlato”. Aveva deciso di dimenticare, di non dirlo a nessuno, e aveva represso
qualunque ricordo emergesse. Quando si manifestò la ragazzina rossa, ogni cosa trovò un suo
ordine.
La bambina continuò: «Ho bisogno di una voce; ho bisogno di comunicare. Non voglio più
essere azzittita. Non ho intenzione di ammutolire. Ti farò soffrire se mi azzittisci ancora».
In risposta alla terza domanda, riguardo a cosa avrebbe sentito se fosse stata ascoltata, rispose:
«Mi sentirei amata».
A Rose venne la nausea, non solo come effetto della chemioterapia, ma anche perché sapeva che
quello che diceva era tutto vero. Quella sera, ripetendo i cinque stadi, nutrì la ragazzina rossa con
il suo amore e la sua attenzione. Prese anche acquerelli e pennelli, e dipinse il proprio demone.
Faceva paura, ma dopo si sentì meglio. Vedere l’immagine di fronte a lei la aiutò a collegarsi e a
interagire con lui, ancorandosi alla sua voce e al suo volto. Dipinse anche l’alleato, la figura della
dea greca Afrodite.
Rose decise di praticare il percorso dei cinque stadi e creò ogni giorno dei dipinti, che appese al
muro. Lasciò i quadri in vista per facilitare il processo e scoprì che erano rilassanti e
chiarificatori. Nelle settimane successive, la ragazzina rossa era meno arrabbiata e triste. Alla
fine diventò una bimba dolce e sensibile, con un vestito rosso e un coniglietto di pezza come
quello che aveva Rose da piccola. Rose dipinse anche i suoi alleati che le apparvero sotto varie
forme.
Dopo alcuni mesi, Rose si sottopose a una TAC e le fu detto che il cancro era in remissione.
Lasciò alcuni dipinti del demone e dell’alleato sul muro come promemoria e continuò a nutrire il
demone ogni volta che emergeva la paura riguardo alla remissione. Continuò con la
chemioterapia e la radioterapia, e iniziò una psicoterapia per lavorare sull’abuso.

88
Esaminando i demoni della malattia, scopriamo quanto sia efficace nutrire anziché combattere la
malattia. Anche in situazioni meno drammatiche, quando, per esempio, sentite che state per
prendere il raffreddore o l’influenza, cercate di sfamare i vostri demoni. Certe volte, dare la
possibilità di parlare alle emozioni che circondano la malattia aiuta a fermarla. In casi simili,
potreste trovarvi a lavorare con demoni multipli.
Anche se decidete di combattere la malattia con dei medicamenti, con soluzioni tradizionali o
con la medicina convenzionale, scoprire i bisogni nascosti del demone della malattia può
stimolare nuove comprensioni intuitive. E l’alleato del quarto stadio può essere utile nel
sostenervi durante il trattamento.
1. Traduttrice dal tibetano e curatrice del volume: Machig’s Complete Explanation: Clarifying the Meaning of Chöd, Snow Lion
Publications, Ithaca (NY) 2003.

89
10

90
I demoni della paura
Confessa tutti i tuoi errori nascosti!
Affronta quello che trovi ripugnante!
Chiunque pensi di non poter aiutare, aiutalo!
Tutto quello cui sei attaccata, lascialo andare!
Vai nei luoghi che t’intimoriscono, come i cimiteri!
Gli esseri senzienti sono illimitati come il cielo,
sii consapevole!
DAMPA SANGYE (1045-1117) a MACHIG LABDRÖN
La paura è comune alla maggior parte di noi. Si tratti di una fobia paralizzante, una sindrome da
stress post-traumatico o di qualcosa di meno drammatico, quasi tutti noi abbiamo dei demoni
della paura. Statisticamente, un americano su dieci soffre di specifiche paure irrazionali. Ci sono
molti demoni della paura, che portano a evitare certe situazioni: la paura di parlare in pubblico, la
paura del buio, la paura dei cani (o dei gatti o delle vespe), la paura dell’altezza, dell’acqua, di
volare, di guidare in autostrada, la paura del contagio, dell’abbandono, della morte, della povertà,
dello stupro, del cancro, del sangue o delle iniezioni, la paura del fallimento, tanto per fare
qualche esempio. L’agorafobia, la paura degli spazi aperti o dei luoghi dove può essere difficile
scappare o ricevere aiuto, è un’altra paura comune che colpisce più di tre milioni di americani.
Tutte queste paure si basano sulla percezione che un certo evento esterno “ci possa accadere”,
che un agente esterno ci faccia del male o ci uccida, sono dunque demoni esterni. Ma anche lo
stimolo esterno dipende dall’individuo; quando un gruppo è esposto alla stessa esperienza, una
persona può reagire con paura e un’altra assolutamente no. La paura può essere causata da un
trauma, essere stata “ereditata” da un genitore o nascere da una mancanza, ma spesso le persone
non riescono a risalire alla fonte di una specifica paura. Pur comprendendo che la paura è
irragionevole ed eccessiva, potreste non essere in grado di gestirla.
Evitare situazioni che provocano paura può interferire con il vostro lavoro e con la vostra vita
sociale. Le paure possono anche venire dal nulla e “attaccarvi” all’improvviso. Fortunatamente
sfamare i demoni della paura può essere molto efficace. Le paure creano la tendenza a evitare le
situazioni, e spesso vivono nel buio, in luoghi inaccessibili di noi stessi. Dando loro una forma,
scoprendo il bisogno che sta sotto la paura, e sfamando tale bisogno, possiamo sciogliere fobie
persistenti e paure specifiche.
Di seguito, propongo alcuni esempi di vari tipi di paura e di come le persone hanno lavorato con
questi demoni.
I demoni della fobia sociale
Una comune e paralizzante forma di paura è la fobia sociale, che colpisce più di cinque milioni
di americani adulti. La fobia sociale di solito inizia durante l’infanzia e l’adolescenza, e include
la paura di essere accusati ingiustamente o giudicati male e criticati. Queste paure possono
degenerare nell’aver paura di mangiare o di bere quando si è osservati, nella paura dei gabinetti
pubblici e nella riluttanza a partecipare a situazioni collettive.
Douglas, un commerciante all’ingrosso di trentotto anni, soffriva di un demone
intergenerazionale di scarsa autostima e fobia sociale. I suoi genitori, che avevano entrambi
subito abusi fisici ed emotivi, avevano trasmesso al figlio le loro sensazioni di scarsa autostima.

91
Douglas sovracompensò la sua sensazione d’inferiorità e di debolezza con un atteggiamento di
superiorità e di arroganza che lo faceva sentire più sicuro. La madre soffriva di depressione e
siccome Douglas da bambino si sentiva responsabile della sua felicità, non voleva mai
condividere le proprie esperienze negative con lei per paura di renderla infelice. Di conseguenza
non imparò mai a elaborare le emozioni negative.
La paura di Douglas si scatenava incontrando nuove persone, parlando in pubblico o stando in
spazi chiusi con tanta gente dove mancassero vie di fuga. Cercò di nascondere la sua paura e la
sua ansia in modo che gli altri non sapessero quello che provava, dunque nel suo caso era
coinvolta anche la vergogna. Quando il demone lo assaliva, soffriva di attacchi di panico, non
riusciva a respirare in modo rilassato, sudava moltissimo, perdeva la voce e aveva intense
sensazioni di morte incombente. La fobia sociale aveva influito sulla sua vita facendogli evitare
situazioni che innescassero i sintomi. Cercava di controllare tutte le situazioni sociali che gli
potessero provocare un attacco, e abusava di droghe e alcol per rilassarsi in quelle situazioni.
Come risultato della sua fobia, Douglas soffrì per molti anni di forte rabbia e frustrazione.
Sapeva che un modo sicuro per superare la fobia sociale era di forzarsi a situazioni difficili e
imparare che, una volta passato il panico, tutto ritornava a posto. Questo lo aiutò prima di tutto a
vedere che non c’era niente di cui avere realmente paura. Per lavorare approfonditamente con la
sua fobia sociale, decise di lasciare l’impiego e di venire come volontario al Tara Mandala, dove
s’insegna il percorso per sfamare i demoni. Poiché al Tara Mandala ci sono molti ritiri di gruppo,
le persone vanno e vengono. Anche se doveva incontrare persone nuove a ogni ritiro e questo
l’avrebbe costretto ad affrontare le sue fobie sociali, Douglas sapeva che l’ambiente lo avrebbe
sostenuto.
Appena arrivato al Tara Mandala, il suo demone emerse con prepotenza, visto che non
conosceva nessuno, e Douglas fu preda di un’estrema ansia. Ma invece di ricorrere all’alcol,
cercò immediatamente un partner che lo guidasse nella pratica di sfamare i demoni. Nutrire i
propri demoni lo ha aiutato a “incontrare” la paura in un ambiente protetto, e gli ha anche dato
ulteriore coraggio per affrontare situazioni sociali più difficili. Dopo aver sfamato un demone
collegato a una persona in particolare, poteva parlare delle sue paure alla persona che le aveva
innescate, appena queste emergevano. Inoltre, il suo alleato lo ha sostenuto in questi confronti
diretti e immaginarlo dalla sua parte lo ha aiutato a sentirsi meno solo. Douglas sa bene che ci
vorrà un po’ di tempo per trasformare del tutto le sue ansie così radicate, ma è molto felice di
poter affrontare regolarmente certe paure senza l’uso di droghe o alcol, e che la sua situazione
stia man mano migliorando. Alcuni anni fa, affrontare quelle paure gli sarebbe stato
assolutamente impossibile, ma utilizzando la pratica dei cinque stadi si è addestrato a incontrarle
direttamente.
La paura della perdita
Miriam soffriva di paura della perdita e della morte. Madre di tre figli, è una rabbina praticante
che lavora come cappellana in vari ospedali. Suo padre era un alcolista in lotta con la
depressione. Aveva cercato di dimostrare ai figli che li amava, ma era spesso arrabbiato e cupo.
Anche il nonno era stato un alcolista e picchiava i figli. La madre era, a quanto si diceva, distante
e anaffettiva con i figli.
Miriam era ovviamente consapevole delle tragedie che per secoli avevano colpito gli ebrei.
Quando suo fratello morì all’improvviso a tredici anni, lei ereditò dai genitori una paura quasi

92
patologica di perdere un figlio, collegata alle paure collettive degli ebrei di perdita e morte. La
sua fondamentale paura era la morte dei figli.
All’inizio del percorso di nutrimento dei demoni, Miriam localizzò la sua paura al centro del
cuore. Era una sensazione che includeva una tremenda tensione ed era infuocata, arancione,
tagliente e senza tregua. Nel secondo stadio, visualizzò la sensazione come un enorme nazista
irsuto, con il cappello da ufficiale delle SS. Era ispido e con il corpo di un arancione brillante.
Aveva molte braccia, e tutte impugnavano delle pistole o altre armi. La faccia era furiosa, con
occhi scuri e penetranti che lanciavano occhiate in giro. Sembrava psicotico e completamente
irrazionale. Voleva divorare e distruggere i suoi figli. Ma quando lei gli chiese cosa c’era sotto il
suo desiderio, scoprì con sorpresa che aveva bisogno di sicurezza, di una casa, di genitori.
Allora, si sarebbe sentito sicuro e soddisfatto.
Ricevuta questa informazione, Miriam trasformò il suo corpo in un denso, dolce nettare
lattiginoso di protezione e sicurezza. Lo riversò sul demone, inondandolo più volte. Lentamente,
il demone si fece sempre più piccolo. Alla fine, si trasformò in un bambino, poi in un neonato
nudo, indifeso, morbido, roseo e paffuto. Pian piano, diventò ancora più piccino e alla fine, si
dissolse in una luce dorata.
Quando Miriam invitò l’alleato ad apparire, arrivò sotto forma di un’angelica figura alata. In
qualche modo lei sapeva che si trattava di Shekina, l’aspetto femminile di Dio nell’ebraismo, il
“respiro di Dio”. Era più o meno della taglia di Miriam, con lunghi, fluenti capelli scuri. Aveva
profondi occhi amorevoli, una bella pelle, grandi ali bianche luminescenti come quelle di una
farfalla e candide vesti. Promise a Miriam di stare sempre con lei, di non lasciarla mai sola e di
proteggerla dandole forza, saggezza e intraprendenza. Promise di essere sempre presente anche
per i figli di Miriam, offrendo protezione e coraggio.
Talvolta, le nostre paure della perdita riguardano il futuro anziché qualcosa da affrontare nel
presente; ci proiettiamo in una scena immaginaria che magari non accadrà mai e ci spaventiamo
molti anni prima di un potenziale evento. La madre di Dana, Georgia, come sua madre prima di
lei era una donna molto intelligente, energica, di successo. Dana stessa era una docente
universitaria con un dottorato in storia, madre di due figli e molto attiva all’interno della sua
comunità. Ma aveva una tremenda paura d’invecchiare. Georgia aveva iniziato a poco più di
settant’anni a perdere la memoria. E anni dopo le era stato diagnosticato l’Alzheimer. Seguiva a
fatica le conversazioni, non riusciva a ricordare quello che leggeva, e soffriva di vari mutamenti
della personalità. Sua figlia Dana, che viveva a tremila chilometri di distanza, le faceva visita un
paio di volte all’anno. Non solo aveva paura dei cambiamenti che notava nella madre, ma temeva
anche quello che presagiva per se stessa.
Dana decise di lavorare con la paura dell’invecchiamento e dell’Alzheimer, che localizzò alla
bocca dello stomaco. Sembrava una pesante palla da bowling di ghiaccio. Irradiava una luce
fredda, ma era morta. Le dava quasi nausea. Quando Dana personificò il demone, vide un
gigante alto quasi due metri e mezzo. Di colore azzurro chiaro, era freddo e molto stupido.
Aveva occhi ottusi e un corpo grosso e pesante. Era un po’ come lo scemo del paese, solo e
triste. Si muoveva pesantemente, in modo irresoluto.
Diventando il demone, Dana guardò con smarrimento se stessa. Il demone voleva sentirsi
normale. Aveva bisogno di amicizia e di amore e, se li avesse avuti, avrebbe provato a sua volta
calore e affetto per gli altri.

93
Quando Dana cercò di nutrirlo, ebbe delle difficoltà, ma perseverò. Il demone voleva essere
avvolto in un caldo scialle bianco d’amore, lei lo fece e poi lo nutrì con un denso nettare di
affetto e calore. Lui alzò il capo e lentamente bevve. Pian piano, il demone si fece più piccolo,
ancora avvolto nel caldo scialle bianco. Alla fine, si trasformò in una giovane donna, poi in un
campo di margheritine. Apparve una bambina, che saltellava gioiosa mentre raccoglieva un
mazzo di fiori. Dana le chiese se era l’alleato, e lei rispose di no. Poi apparve un grande uccello
bianco. Era lui il suo alleato. L’uccello promise di aiutare Dana con la madre, rassicurandola e
ricordandole che tutti moriremo e che era giusto così. Per Dana fu molto utile nutrire il suo
demone e non ebbe più paura d’invecchiare.
I demoni della sindrome da stress post-traumatico
Alla fine del 1999 avevo partecipato a un ritiro di un mese in Bhutan, e a causa di un precedente
impegno dovetti ripartire subito dopo, mentre il resto del gruppo avrebbe proseguito il viaggio
per qualche giorno. Il regno himalaiano del Bhutan ha un’unica strada principale che collega
l’est con l’ovest ed è tutta curve, con dirupi da un lato e una ripida scarpata montuosa dall’altro.
Partii dal Bhutan orientale in direzione dell’aeroporto alle quattro e mezzo del mattino con una
guida e un autista. Era già pressoché impossibile percorrere il tragitto in un giorno solo, per di
più, appena saliti in macchina, la guida mi disse che l’autista non aveva dormito perché era
rimasto tutta la notte con la gente del posto a festeggiare la fine del nostro ritiro. Dopo circa
un’ora, l’autista si fermò per lavarsi la faccia a una cascatella di montagna. Mi accorsi che era
sfinito.
Poco dopo, all’ennesima curva stretta, d’un tratto mi accorsi che non seguivamo la traiettoria
della strada. Stavamo puntando verso il dirupo. Lanciai un’occhiata all’autista e vidi che si era
addormentato. Urlai, ma era troppo tardi. Eravamo già per aria. La jeep rotolò giù lungo un
ripido terrapieno alberato, continuando a rimbalzare e colpendo le piante lungo la caduta.
L’impatto fu terribile, con tremendi tonfi e fracasso di vetri infranti.
Quando finalmente la jeep si fermò, tutto era buio e non riuscivo a immaginare dove fossimo.
Poi capii che ci eravamo capovolti. Provai a muovermi, non ero seriamente ferita. Trovai la
portiera, uscii, e aiutai l’autista e la guida. Avevano tagli in vari punti del corpo, e la guida aveva
una spalla slogata, ma riuscimmo a risalire il terrapieno fino alla strada. Lì alla fine ci raccolse il
nostro gruppo e in quattro ore ci portarono all’ospedale, dove fummo visitati e poi dimessi. Dopo
quell’esperienza traumatica, tutte le volte che mi trovavo su una strada tortuosa con profondi
dirupi, sentivo nausea, mi attaccavo alla maniglia della portiera, guardavo solo per terra e certe
volte dovevo scendere dall’auto e proseguire a piedi.
Ho iniziato a sfamare questo demone della paura e sono gradualmente guarita. Quando ci lavoro,
il demone assume varie forme, per cui sto con quello che emerge. Una volta, prese la forma di
una figura maschile alta, nera, coperta di chiodi di ferro con i denti affilati. Aveva bisogno di
essere ascoltato e di controllarmi. Se fosse stato ascoltato, si sarebbe sentito potente, dunque lo
nutrii con il potere. Quando fu completamente soddisfatto, si dissolse in una pozza di nera acqua
riflettente e io riposai nello spazio restante.
Un demone della sindrome da stress post-traumatico è un tipo particolare di demone della paura
che si produce a seguito di un’esperienza traumatica o di una serie di traumi. La sindrome da
stress post-traumatico (Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD) colpisce 5,2 milioni di americani
adulti e circa un terzo di reduci di guerra. Il numero di persone affette da PTSD è in aumento con

94
il recente incremento del terrorismo e della guerra e con gli inusuali fenomeni climatici che
inducono eventi terrificanti, come uragani e maremoti.
I sintomi dello stress post-traumatico variano da individuo a individuo. Di solito includono
incubi, il continuo rivivere l’incidente traumatico, flashback dell’evento o degli eventi
traumatici, intorpidimento emotivo, tendenza a trasalire facilmente, irritabilità, aggressività,
apatia, forti sensi di colpa, mal di testa, disturbi gastrointestinali, debolezza del sistema
immunitario, vertigini, insonnia. Il PTSD è una condizione debilitante che può colpire la capacità
di relazionarsi con le altre persone, un tempo care.
Rebecca, un’insegnante austriaca di yoga di quarantacinque anni, era in vacanza in Sri Lanka nel
dicembre del 2004, quando ci fu lo tsunami. Quella mattina lei e il marito sedevano sulla
spiaggia, quando l’acqua iniziò a portare via tutto dalla riva. Un pescatore lì vicino gridò loro di
scappare. Si diressero al loro hotel sulla spiaggia, ma l’acqua li rincorreva e un motorino
bloccava la porta della loro stanza. Rebecca entrò in una camera attigua che però cominciò a
riempirsi di acqua vorticosa. Il marito, che era entrato nella loro stanza, riuscì a fuggire da una
finestra sul retro che dava su una vicina collina. All’ultimo minuto, con l’acqua alla vita, anche
Rebecca riuscì a uscire da una finestra e a raggiungere il marito sulla collina. Corsero verso l’alto
e videro con orrore come le persone, le case, le auto e le moto venivano spazzate via dall’acqua.
L’intera zona fu devastata. Le persone che avevano conosciuto erano morte o avevano perso i
loro cari. Dopo essere rimasti un po’ di tempo per dare una mano, fecero ritorno in Austria, ma la
sindrome da stress post-traumatico non li abbandonò. Rebecca aveva già studiato con me prima
dello tsunami e venne al ritiro del Kapala Training in Svizzera, circa un anno dopo, ancora
sconvolta dal trauma.
Quando decise di lavorare con quel demone, Rebecca percepì una forte tensione in tutto il corpo.
Si sentiva intrappolata. Localizzò nel cuore il centro della sensazione, che s’intensificava in un
dolore nella parte bassa della schiena. Era nera, fredda e scivolosa.
Il demone che le si parò davanti era un gigante, grigio nerastro e squamoso. Aveva mani enormi,
braccia lunghissime e piedi deformi. Era molto aggressivo, pesante e malfatto. Gli occhi
arrabbiati e insieme tristi. Il demone aveva bisogno di tenerezza, di essere toccato e accarezzato.
Il suo cuore chiedeva un respiro caldo per sbocciare e farlo sentire al sicuro. Rebecca gli offrì un
nettare di sicurezza colmo di tenerezza. Dopo essersi nutrito, si trasformò in un orso
addormentato con una morbida pelliccia dorata. Quando Rebecca gli chiese se era il suo alleato,
l’orso continuò a dormire e così lei si riposò serenamente nel quinto stadio.
Poiché la sua paura era particolarmente forte, Rebecca ripeté il percorso. La volta successiva, il
demone del PTSD apparve come un cavaliere con l’armatura, gli occhi neri e le unghie appuntite.
Dopo essere stato nutrito, la sua armatura cadde al suolo e apparve una piccola ballerina. Offrì a
Rebecca vitalità e agilità di mente e di corpo. Anche se il demone dello tsunami continua a
emergere, adesso Rebecca ha un metodo per lavorarci. Lo fa con regolarità e alla fine si ritrova
sempre in uno stato di pace. Gradualmente le ondate di paura arrivano sempre meno spesso.
Maura non solo soffriva personalmente di PTSD, ma come assistente sociale incontrava spesso
questo disturbo nei suoi clienti. Viveva da sola in una casa nella “parte alta” di New Orleans.
Dopo essere sopravvissuta all’uragano Katrina, aveva un’incontrollabile paura degli uragani.
Anche se partecipava a programmi e prove nell’eventualità di disastri naturali, c’era in lei una

95
forte convinzione che tutto quello che amava sarebbe stato distrutto. Poteva accadere l’estate
successiva o quella dopo ancora, ma sarebbe sicuramente successo.
Moltissimi abitanti di New Orleans convivono oggi con il PTSD e condividono il terrore di dover
affrontare un altro uragano. Nel suo lavoro, Maura ascoltava le storie dei sopravvissuti, le loro
ansie e le perdite dovute a Katrina, e la preoccupazione per altri possibili uragani, dunque era di
continuo ri-traumatizzata.
Quando Maura lavorò con il suo PTSD, il demone della paura era localizzato nelle spalle, nella
parte alta del torace e nelle braccia. Pervadeva la parte alta del petto, la zona che usava per
lavorare e nuotare (lontano dal pericolo!). Lo sentiva umido e di colore blu nerastro. Il demone
che apparve in risposta all’esplorazione di Maura era un gigante, in piedi di fronte a lei, grosso,
bagnato, blu e nero. Tutt’intorno al suo corpo c’erano delle onde bianche. Era più alto e più
grosso di Maura. Era selvaggio, con braccia e gambe robuste che sbattevano in tutte le direzioni,
sollevando ondate e spruzzi d’acqua ovunque, mentre si dimenava. Si muoveva di continuo ed
era così enorme e pesante che la sua rozza danza avrebbe potuto travolgere lei e tutto quello che
la circondava.
Il demone era arrabbiato e spaventato. Voleva uccidere lei e tutto ciò che amava. Voleva ridurre
in macerie New Orleans. Voleva attaccare con ferocia la costa del Golfo e cancellarvi ogni
traccia di umanità. Aveva bisogno di rispetto. Se avesse ottenuto ciò di cui aveva bisogno, si
sarebbe sentito calmo.
Nutrire quel demone fu difficile, perché Maura ne aveva molta paura. Ciononostante, decise di
fidarsi del percorso, perché nessun altro metodo aveva funzionato. Cercò diversi modi di
incarnare il rispetto e la calma. Alla fine, diventò un denso nettare bianco che si riversava sul
demone. Lo nutrì attraverso la bocca. Il demone era vorace e solo lentamente si fece più piccolo
e meno potente, ma alla fine si dissolse.
Quando Maura invitò l’alleato ad apparire, un uccellino marrone si levò dal punto in cui il
demone si era dissolto. Era un animale forte e saggio. Disse che avrebbe aiutato Maura dandole
la saggezza e l’avrebbe protetta aiutandola a capire cosa fare. Diede la sua parola che Maura e la
sua famiglia sarebbero sopravvissuti a qualsiasi cambiamento. Ora, quando Maura parla ai suoi
clienti sotto stress, ripensa all’uccellino e alla calma sentita dopo avere nutrito il demone. Non si
ritrova più intrappolata nella paura ed essendo più in pace con se stessa è una risorsa molto più
valida per la sua comunità.
Uno dei demoni più comuni della sindrome post-traumatica colpisce i reduci di guerra. Leo è un
reduce del Vietnam, cui la Veterans Administration ha attribuito il 100 per cento di invalidità
psicologica. Era entrato nella marina degli Stati Uniti a vent’anni e aveva prestato servizio come
soldato combattente di fanteria dal 1968 al 1969.
Tornato a casa, fu congedato in tre giorni e dopo due mesi riprese l’università. Iniziò diciassette
anni di travaglio con il PTSD, aggravato da un incidente d’auto nel 1977, che gli causò uno stato
d’incoscienza di otto giorni. Nel 1985 iniziò a partecipare regolarmente agli incontri per i reduci
del Vietnam, in un centro di Boston per la cura della sindrome post-traumatica. Vi partecipò con
costanza per otto anni. Poi si sottopose a una psicoterapia privata per tre anni. Questi trattamenti
sembravano aiutarlo, ma i sintomi del PTSD persistevano, e assunse alcuni farmaci per tenerli
sotto controllo. Leo decise di partecipare al ritiro di primo livello del Kapala Training al Tara
Mandala. Era riluttante, ma decise di provare perché glielo aveva raccomandato il suo counselor.

96
Il demone che emerse era un demone della rabbia, con l’aspetto di un cobra verde. Era pronto
all’attacco e fissava Leo con freddi occhi astuti. Il cobra voleva protezione e aveva bisogno di
sentirsi al sicuro. Dopo avere nutrito il demone con il nettare della sicurezza, apparve l’alleato,
una donna con un cobra verde in grembo. Poi il cobra svanì. L’alleato offrì il suo aiuto
rassicurando Leo e dandogli fiducia, e gli promise di essere sempre al suo fianco.
Alla fine del quinto stadio, Leo si sentì riposato e calmo. Comprese di avere sempre diffidato
della sua parte femminile, sentendo di dover essere un macho. Suo padre era un marine e nella
sua infanzia si era dato molto rilievo ai valori militari. Riconoscere il proprio lato femminile
come alleato nella guarigione della sindrome post-traumatica fu molto importante per Leo, e lo
aiutò a essere una persona più integrata e meno spaventata. Con l’aiuto del suo medico, ora Leo
non prende più farmaci, e da quando ha iniziato a sfamare i suoi demoni ha avuto pochi sintomi
di PTSD; se emergono, usa i cinque stadi per liberarli.
Un demone del panico
Anche situazioni di vita meno drammatiche possono far insorgere la paura. Inga, una donna
norvegese, venne a un ritiro nel periodo in cui stava per presentare la richiesta del permesso di
soggiorno negli Stati Uniti. Aveva appena saputo che i requisiti necessari per ottenere la
residenza legale stavano aumentando. Le piaceva vivere in California ed era preoccupata di
doversene andare, ma la paura mentre riempiva il modulo era tale che non riusciva a
completarlo. Il panico bloccava la sua capacità di rispondere alle domande. Mentre seguiva i
cinque stadi della pratica, Inga localizzò questo demone della paura nella parte anteriore del
torace e percepì che si estendeva nella gola e negli occhi, e scoppiò a piangere.
Il demone le apparve come un vuoto inafferrabile con occhi bianchi. Era la concretizzazione
dell’ufficio immigrazione: un fantasma maschile bianco, freddo e privo di emozioni. Quando fu
interrogato, il demone disse a Inga che voleva vedere riconosciuto il suo potere su di lei. Ma
quello di cui aveva bisogno era che richiedesse il permesso di soggiorno senza drammi. Se
l’avesse fatto, lui avrebbe provato un senso di calma e chiarezza.
Dopo essere stato nutrito, il demone diventò alla fine un pezzo di carta coperto di scritte. Le
scritte gradualmente scolorirono, finché il pezzo di carta restò bianco. L’alleato di Inga, un
Buddha allegro, apparve e scoppiò a ridere di fronte al pezzo di carta. Assicurò che avrebbe
aiutato Inga a rilassarsi riguardo al permesso di soggiorno e le avrebbe dato la pazienza per
riempire il modulo. Dopo una sola sessione dei cinque stadi, Inga riuscì a compilare tutto il
modulo con facilità.
Il caso di Inga è un buon esempio di come si può lavorare con il nutrimento di un demone sorto
da una situazione specifica di stress, da una paura isolata. È una distinzione importante, perché la
paura emerge spesso come reazione a un evento specifico, mentre una fobia è un demone interno
che s’innesca facilmente e può attaccarsi a una serie di paure.
Nutrire i demoni della paura può avere un impatto immediato, come è successo a Inga, oppure
può rendersi necessaria una serie di pratiche dei cinque stadi, ma in ogni caso è uno strumento
molto utile per lavorare con le paure.
La pratica tradizionale del Chöd si svolge in modo da snidare le paure nascoste e accoglierle con
accettazione, affrontando in modo diretto esperienze spiacevoli o paurose per comprendere che
la sorgente di tutti gli dèi e i demoni è la nostra mente. Sollecitata dal saggio indiano Dampa
Sangye a recarsi “in luoghi che intimoriscono”, Machig partì per un pellegrinaggio a 108 di quei

97
luoghi, e in ognuno incontrò e sfamò i diversi demoni evocati. Nutrendo con il nostro
attaccamento all’io gli dèi e i demoni, le nostre speranze e le nostre paure, sacrifichiamo la parte
di noi che genera le paure, permettendoci così di sperimentare la libertà in modo totalmente
nuovo.

98
11

99
I demoni dell’amore
Nell’attimo in cui udii la mia prima storia d’amore
cominciai a cercarti, non sapendo
quanto fosse insensato.
Gli amanti non s’incontrano infine in qualche luogo.
Sono sin dal principio l’uno nell’altra.
RUMI (1207-1273)
Spesso nell’ambito delle relazioni i demoni addormentati si risvegliano e si mettono al lavoro.
Magari pensate di avere chiuso con un certo demone, cominciate una storia d’amore e il demone
fa ritorno e inizia il caos. Quando ci innamoriamo, parte della nostra armatura cade, il cuore si
apre e siamo più vulnerabili, così i demoni si sentono incoraggiati a salire alla superficie.
L’amore ha bisogno di vulnerabilità, ma la vulnerabilità minaccia l’ego e dunque i demoni
emergono per proteggerlo; appaiono gelosia, insicurezza, bisogno di controllo, paura e
codipendenza.
Una relazione d’amore o la convivenza con altri possono essere di grande aiuto per vedere
aspetti di noi stessi che altrimenti non vedremmo. Come disse l’analista junghiana Marie-Louise
von Franz: «Se si vivesse da soli, sarebbe praticamente impossibile vedere la propria ombra,
perché non ci sarebbe nessuno a dirci come sembriamo dall’esterno. È necessario uno
spettatore».
Abbiamo già detto di come i demoni della malattia cerchino dei recettori disponibili nel nostro
corpo. In modo simile anche i demoni delle relazioni sono attratti da specifici recettori
emozionali. Inconsciamente troviamo un anello di congiunzione nella persona che scegliamo di
amare, e abbiamo una misteriosa capacità di trovare partner con demoni complementari ai nostri,
proprio come si trova la chiave giusta di un lucchetto. Potremmo benissimo dire «Abbiamo
messo i nostri demoni in contatto», anziché «Ci siamo innamorati». Potete scoprire molte cose
riguardo ai vostri demoni esterni osservando chi avete scelto come coniuge e quali temi
emergono con quella persona. In nessun’altra situazione vediamo più chiaramente le proiezioni
dei nostri dèi e demoni. Di solito, quando ci innamoriamo vediamo prima il dio, e nascono
ardenti desideri, pensieri ossessivi o fantasie romantiche. Più tardi, compaiono i demoni.
I demoni che affiorano in una storia d’amore possono essere le paure della dipendenza o del
soffocamento. Possono essere il riflesso di antiche ferite. Se ci hanno calunniato o maltrattato,
possiamo ritrovarci innamorati di qualcuno che ci manca di rispetto. Se siamo stati abbandonati,
sceglieremo una persona che flirta con tutti. Finché non li portiamo alla luce, questi dèi e demoni
continueranno a comparire nei nostri partner.
Carl e Kit sembravano la coppia perfetta; poi i loro demoni cominciarono a prendersi a cornate.
Si erano incontrati al matrimonio di un amico. Carl era un avvocato di trentacinque anni, Kit ne
aveva venticinque e frequentava la facoltà di economia e commercio. Kit veniva da una famiglia
in cui la vita era spesso caotica e dunque desiderava ardentemente la stabilità. La madre di Carl
lo aveva abbandonato quando lui aveva dodici anni, lasciando che lo crescesse il padre e la sua
nuova moglie. All’inizio, Carl sembrava forte e protettivo e così Kit si sentì al sicuro e accudita,
proprio come aveva sempre voluto.

100
Dopo sei mesi, la tendenza di Carl a essere protettivo scivolò sempre di più verso il controllo.
Non voleva che lei vedesse i suoi amici o andasse alle riunioni del circolo di lettura. Kit si sentì
soffocare e sognava la libertà, e Carl si ritrovò faccia a faccia con gli dèi-demoni della sua storia
familiare. Al pensiero di perdere Kit, veniva assalito da paure irrazionali. Quando Kit voleva più
indipendenza, il suo demone dell’abbandono affiorava e voleva controllarla ancora di più, il che
non faceva che aumentare il desiderio di lei di scappare.
Quando una coppia affronta insieme il lavoro sugli dèi-demoni, si possono staccare le proiezioni
dal partner e vederle per quello che sono. Kit e Carl iniziarono una terapia di coppia con un
terapeuta della famiglia che conosceva il lavoro con il demone. Discussero dei loro problemi in
una sessione di coppia, e poi il terapeuta li vide separatamente, guidandoli nei cinque stadi con i
loro demoni e dèi. A casa, Carl e Kit condividevano quello che avevano imparato e gradualmente
compresero come i loro demoni si fossero concatenati. Affrontandoli, riuscirono a togliere
pressione dalla relazione; Carl ricominciò a rilassarsi e Kit a sentirsi più libera. Impararono a
usare i loro alleati e a riconoscere i demoni appena emergevano e a nutrirli. A poco a poco, nella
loro relazione si instaurò un’intimità autentica e serena.
I demoni che bloccano le relazioni
Se abbiamo difficoltà a iniziare o a mantenere le relazioni, è un segno sicuro che dobbiamo
scoprire quali demoni sono al lavoro. Per esempio, una donna dice che vorrebbe sposarsi e avere
figli, ma potrebbe avere un demone che teme la mancanza d’indipendenza e la spinge a scegliere
solo uomini con demoni che contrastano l’impegno.
Connie aveva una carriera di successo nell’organizzazione di programmi di outdoor training. A
trent’anni, iniziò a desiderare così profondamente un partner e dei figli, che sulla base di questo
desiderio creò un dio-demone. Voleva appassionatamente sposarsi, ma era convinta che non
avrebbe mai incontrato nessuno. La madre di Connie aveva rinunciato alla carriera per i figli e
aveva sempre avuto risentimento nei loro confronti per averla bloccata in casa. Inconsciamente,
Connie aveva paura di finire come la madre, così continuò a trovarsi partner che si dileguavano
alla prospettiva di una relazione a lungo termine.
Alla fine, Connie capì che avrebbe potuto fare qualcosa per la sua incapacità di trovare una
relazione stabile. Decise di provare a sfamare i suoi demoni. Dopo avere nutrito il dio-demone
del desiderio e della paura usando la pratica dei cinque stadi, esso si trasformò in un piccolo
cerbiatto che le offrì di ricordarle il suo lato tenero e vulnerabile. Lei comprese che il cerbiatto
rappresentava la possibilità di mantenere la forza e nello stesso tempo di permettersi la
vulnerabilità e l’intimità che tutte le relazioni comportano. Dopo l’incontro con l’alleato, trovò la
statuina di un cerbiatto e la tenne sulla scrivania come promemoria di quello che aveva imparato.
Ora Connie è più aperta con gli uomini emotivamente disponibili, e si è lasciata alle spalle la
tendenza a innamorarsi di quelli non disponibili o sposati. Di recente ha incontrato un uomo che
cerca consapevolmente una relazione duratura e condivide con lei l’amore per la natura
selvaggia. Stanno creando una relazione promettente e la paura di Connie di finire come la madre
non è più emersa.
Una variazione di questo tema è il demone del dare troppo “amore” a partner inaffidabili.
Sharon, procuratore legale di quarantasei anni, era cresciuta senza un padre. Quand’era bambina,
la madre lavorava tutto il giorno, e la nonna, una persona dolce e premurosa, si prendeva cura di
Sharon. Poiché la madre non aveva un partner, Sharon diventò il suo sostegno emotivo e la sua

101
più importante compagna. Avendo subordinato i suoi bisogni a quelli della madre, Sharon crebbe
sentendosi dominata e posseduta da lei, anziché amata e apprezzata per quello che era. Diventata
adulta, se ne andò di casa per avere una vita propria, ma era esitante nell’iniziare una relazione
con chiunque, per paura di perdere l’autonomia appena raggiunta. Anni dopo, iniziò a chiedersi
perché le sue relazioni non funzionavano mai, anche se l’aveva desiderato tanto. Era
omosessuale e tendeva a creare relazioni con donne eterosessuali, e quindi in definitiva non
disponibili. Nella relazione dava troppo e finiva per sentirsi tradita.
Quando Sharon diventò consapevole della propria tendenza a entrare in relazioni in cui lei dava
molto ma non riceveva niente in cambio, decise di lavorare con il suo demone. Aveva l’aspetto
di una grossa, paffuta bambola gonfiabile. Quello che il demone voleva era l’attenzione di
Sharon e quello di cui aveva bisogno era di sentirsi amato. Sharon riuscì a nutrire il demone con
l’amore che lei stessa tanto desiderava ma sembrava non ricevere mai dagli altri. Dopo avere
praticato in questo modo per un po’, iniziò una nuova e soddisfacente relazione con una donna
omosessuale libera.
Gli dèi-demoni delle relazioni
Le abitudini compulsive sono spesso manifestazioni dei demoni delle relazioni. Quando Derek,
un ingegnere ecologico di trentotto anni, entrò in relazione con Josie, una donna di quarant’anni
che aveva messo in piedi un’impresa di catering, si sentì pronto a lasciar andare la sua
precedente tendenza ad abbandonare una donna appena diventava dipendente da lui. Josie era
indipendente e sicura di sé, e lui era molto attratto da lei. La madre di Derek era stata dipendente
da lui, che era diventato il surrogato di un partner, quindi lui aveva spesso un atteggiamento
ribelle e agiva in modo da affermare la sua indipendenza quando una relazione diventava seria.
Derek e Josie andarono a vivere insieme, ma dopo sei mesi Derek iniziò a guardare immagini
pornografiche in internet e a masturbarsi ogni volta che ne aveva l’occasione. Quando Josie
scoprì questo comportamento e quanto fosse radicato, si sentì tradita e minacciò di lasciarlo, e lui
promise di smettere.
Derek si trovava di fronte a un dio del desiderio e a un demone della compulsione. Desiderava la
libertà erotica e aveva paura dell’impegno. Il mese successivo, mantenne la promessa riguardo
alla pornografia, ma iniziò una serie di telefonate erotiche compulsive come nuovo sbocco delle
sue fantasie. Di nuovo, Josie lo scoprì, si arrabbiò e diventò gelosa. Questa volta, quando smise,
Derek non riuscì più a essere eccitato da Josie. L’incapacità di avere un rapporto sessuale senza
una stimolazione esterna gli creò confusione riguardo alla relazione, e Josie perse la fiducia in
lui.
Spaventato di perdere la relazione, Derek decise di andare in terapia. Il suo terapeuta si era
formato nel lavoro con il demone, così chiese a Derek se voleva provare. Il suo dio-demone del
desiderio e della paura apparve come un mostro verde, viscido, con grandi occhi e labbra lascive.
Aveva bisogno di rassicurazione per sentirsi protetto, ma aveva paura di restare soffocato,
com’era successo a Derek con la madre emotivamente dipendente. Il dio-demone aveva bisogno
di sentire sicurezza e insieme spaziosità.
Dopo che Derek lo ebbe nutrito, questo dio-demone diventò un folletto dei boschi suo alleato che
gli promise di accompagnarlo nelle avventure nella natura che aveva trascurato da quando aveva
iniziato la relazione con Josie, perché a lei non piacevano. Derek iniziò a nutrire il demone tutte
le volte che emergevano le sue compulsioni sessuali e cominciò anche a fare delle escursioni da

102
solo. Ne derivò un necessario senso d’indipendenza e una salutare separazione da Josie, senza
per questo tradire la relazione. Dopo un po’, non sentì più il bisogno di sfoghi sessuali
compulsivi e fu di nuovo attratto da Josie. Con il tempo, lei ritrovò la fiducia in lui e riuscirono
ad approfondire la loro relazione e a trovare una vera intimità.
Un altro dio-demone che ritroviamo nelle relazioni è il puer aeternus (o la puella aeterna in una
donna), l’eterna giovinezza che vuole restare aperta a ogni possibilità, senza impegnarsi mai, e si
rifiuta di crescere. Le persone con questo complesso sono spesso coinvolte in attività giovanili
pericolose ed evitano il lavoro concreto della vita adulta e le relazioni impegnate. Gli aspetti
divini del puer bramano le ebbrezze spirituali, viaggiano senza programmi, sognano di volare e
fanno spesso uso di alcol e droghe in cerca di eccitazioni. L’aspetto demoniaco del puer può
portare alla dipendenza dalle droghe e dall’alcol, alla ricerca di un’estasi senza fine, e può ferire
gli altri non prendendosi la responsabilità delle proprie azioni. Il puer ha spesso lavori stagionali
o a breve termine, sta con persone più giovani e cerca il sesso senza responsabilità.
Aaron veniva da una famiglia numerosa e il padre si sentiva caricato del pesante ruolo di
capofamiglia. La madre, che aveva sofferto a lungo di depressione, si rivolse ad Aaron perché si
prendesse cura di lei quando il marito morì d’infarto a cinquant’anni. Quando Aaron cominciò a
uscire con le ragazze, non s’impegnò mai in una relazione, ed ebbe molti incontri di una notte. A
circa trent’anni, mise incinta una donna e con riluttanza accettò una paternità part-time.
Invecchiando, Aaron continuò a indossare abiti giovanili e gli piaceva comportarsi come uno
della banda con gli amici del figlio. La maggior parte del tempo aveva uno stile di vita sano,
digiunava, faceva yoga, ma a un certo punto si ubriacava, andava nel pallone, cercava di sedurre
le ragazzine e guidava in modo spericolato. A cinquant’anni compiuti Aaron partecipò alla festa
di compleanno per i ventun anni del figlio, si ubriacò e iniziò a flirtare con la ragazza del figlio in
modo così scandaloso, che questi il giorno dopo gli disse che non lo voleva più vedere.
A quel punto, Aaron ammise finalmente di avere un problema. Venne a un ritiro del Kapala
Training per affrontare il suo problema e quando parlai del dio-demone del puer, comprese che
era il suo caso. Quando iniziò la pratica dei cinque stadi per nutrire il suo dio-demone, si trovò
faccia a faccia con la paura di invecchiare e di restare incastrato. Il puer era una figura simile a
un centauro, che continuava a evitare il suo sguardo e saltava di qua e di là. Dopo aver nutrito il
puer, apparve l’alleato. Era un cavallo selvaggio che disse ad Aaron che lo avrebbe protetto
semplicemente “essendoci” per lui. Dopo aver lavorato sia con il dio del desiderio di libertà che
con il demone della paura di restare incastrato, decise che doveva mettere la testa a posto.
Comprese anche che stava diventando vecchio e che voleva una vera compagna, e non solo una
serie di brevi incontri che non portavano a nulla. Iniziò una terapia e quando cominciò a
comprendere se stesso capì di poter avere una relazione senza necessariamente ricreare
l’infelicità che aveva visto in suo padre. Cominciò a cambiare e smise di bere smodatamente.
Trovò anche utile lavorare dialogando con l’alleato. Alla fine, incontrò una donna cui piacevano
i viaggi e lo sport, e riuscì a impostare con lei una relazione seria.
La proiezione dei demoni
Il lavoro con i demoni può essere molto efficace nel campo delle relazioni perché in amore
emergono tante cose e connettersi con i demoni può dare grandi risultati. Se avete una relazione,
fate attenzione sia ai vostri demoni che ai vostri dèi. Questo può aiutare a far nascere una
comprensione intuitiva profonda che permette di lavorare in modo nuovo nella relazione. Potete

103
lavorare al nutrimento dei demoni anche con la persona che amate, usando le stesse indicazioni
suggerite precedentemente per il lavoro con un partner. Questo lavoro può avvicinarvi
moltissimo e creare maggiore apertura, ma può anche risultare difficile. Nel lavoro con il
demone esponete le vostre parti più vulnerabili, e se la relazione non è solida, sarebbe meglio
lavorare con un amico fidato o con un terapeuta.
Vedere i nostri demoni e nutrirli può togliere moltissima pressione da una relazione. Poiché tanti
demoni emergono nel rapporto di coppia e vengono proiettati sul partner, quando lavoriamo con
il nostro demone ci diamo la possibilità di iniziare una relazione più sana o di guarire quella che
già abbiamo. Nelle relazioni, siamo spesso attratti dai nostri opposti, ma finiamo poi per criticare
proprio le qualità che ci avevano attratto. L’uomo forte, silenzioso, diventa il marito distante che
non è in contatto con le proprie emozioni. La fidanzata gioiosa, libera, diventa la moglie
irresponsabile, frivola. Le qualità che all’inizio ci hanno attratto nascondono spesso demoni che
non si mostrano, finché la relazione non si approfondisce. Possono anche essere parti di noi
disconosciute. Nel lavoro con il demone, possiamo ritrovare i nostri tratti rifiutati in quelli che
consideriamo i demoni del nostro partner.
I demoni della relazione possono anche collegarsi ai demoni della famiglia. Può non piacermi la
tendenza alla critica di mio padre, dunque mi sposo con qualcuno che ritengo un tipo d’uomo
completamente diverso, per poi scoprire che è fortemente critico. Allora lo critico perché è
critico, ignorando il fatto che così facendo sono a mia volta molto critica! Un demone personale
viene coinvolto in un conflitto interpersonale quando uno dei due partner di una relazione intima
proietta una parte negata o disconosciuta di sé sull’altro. Vediamo queste nostre parti come
proprie della compagna o del compagno, e non facciamo che darle o dargli tutto il tempo lo
spunto perché agisca secondo la nostra proiezione. Poi restiamo turbati e attacchiamo il partner.
È dunque una buona idea chiederci, quando attacchiamo il partner: «Si tratta della proiezione del
mio demone?».
Per esempio, Len e Linda si erano sposati giovani e a circa quarant’anni Len voleva avere altre
esperienze sessuali. Anziché essere diretto riguardo al suo desiderio, non faceva che accusare
Linda di flirtare e di essere infedele. Sembrava anche incoraggiarla, chiedendole se era attratta da
questo o da quell’altro uomo. Talvolta, la cosa diventava così intensa, che lui la metteva con le
spalle al muro dicendole: «Ammettilo, dai, va bene». Lei cominciò a chiedersi se aveva
veramente quei desideri. Ma quando un giorno lui se ne andò, dicendo che voleva fare altre
esperienze, lei comprese che erano state sue proiezioni.
La stessa cosa può capitare con qualcuno che dice di non arrabbiarsi mai, ma è un esperto nello
scatenare la rabbia del partner o nel farlo infuriare con qualcun altro. Queste proiezioni fanno
spesso parte di un patto inconscio che facciamo con i nostri partner riguardo ai demoni. Tu
prendi la rabbia e io mi prendo la tristezza. Tu l’ottimismo e io il pessimismo. Nella relazione
amorosa, accorgersi delle proiezioni può essere molto utile, perché ci dà l’opportunità di essere
responsabili dei nostri demoni. Nessuno conosce i vostri demoni meglio del vostro partner e
questo fa della relazione sia un dono inestimabile che una sfida speciale.

104
12

105
I demoni della dipendenza
Forse tutto quello che di terribile c’è in noi è,
nel più profondo del suo essere,
qualcosa d’indifeso che chiede il nostro aiuto.
RAINER MARIA RILKE (1875-1926)
Uno dei demoni più diffusi al mondo è la dipendenza. Essere dipendenti significa consegnarsi
ossessivamente a qualcosa, perciò tutte le dipendenze sono tentativi incontrollati (e dunque mal
diretti) di nutrire i nostri demoni. Dietro ogni dipendenza c’è uno spirito affamato che cerca cibo
per nutrire l’anima.
Quando esaminiamo i demoni della dipendenza, è importante riconoscere che le sostanze che la
creano non sono in se stesse dei demoni; il demone è il nostro attaccamento a esse. Questi
demoni provengono dalla nostra stessa mente e si attaccano a un oggetto esterno. Per esempio, il
demone non è l’alcol, ma il bisogno interno che ci porta alla dipendenza. Allontanarci dalla
sostanza (o dal comportamento) che crea dipendenza non cambierà la situazione, se non siamo
pronti a lavorare con i demoni.
Vi siete mai messi a dieta per poi ritrovarvi a frugare nella spazzatura in cerca di quel biscotto o
quel pezzo di cioccolato che avevate buttato nel tentativo di negarvelo? Lucia voleva smettere di
fumare e decise che doveva tenersi lontana dalle sigarette. Viveva in campagna, così buttò via
tutte le scorte e diede l’auto a un’amica in modo da impedirsi di scappare. Rimase a casa per una
settimana, bramando le sigarette ma senza fumare. Ma nell’attimo in cui tornò in possesso della
sua auto, andò alla stazione di servizio più vicina e ne comprò un pacchetto. Per riuscire a
smettere, doveva liberarsi dal demone che stava dietro la dipendenza dal tabacco, non solo
allontanarsi dalle sigarette.
Alcuni tipi di dipendenza sono molto evidenti, altri sono più sottili e dunque più difficili da
identificare. Per determinare se avete una dipendenza, osservate se orientate la vostra vita in base
a una certa sostanza e se l’accumulate o ne fate scorta. Chiedetevi anche se il rapporto con quella
sostanza stia danneggiando le vostre relazioni e la vostra vita lavorativa. Tra le dipendenze più
evidenti vanno incluse quella dal cibo, dalle droghe, dai farmaci, dall’alcol, dal tabacco o
dall’autolesionismo. Le forme di dipendenza più sottili includono il perfezionismo, la
dipendenza dal sesso, la pornografia, fare shopping/spendere, giocare d’azzardo, internet, il
lavoro, l’esercizio fisico. Alcune dipendenze hanno una componente fisiologica, mentre altre si
basano solo su un fattore psicologico.
La dipendenza è spesso complessa, dunque di solito chiudere con una in particolare non elimina
la tendenza alla dipendenza nella vostra vita. Per esempio, potete smettere di bere ma diventare
dipendenti dalla prescrizione di farmaci, perché le cause sottostanti al comportamento originario
non sono state affrontate. Rinunciare all’alcol è l’inizio della guarigione, ma ci lascia con un
demone famelico che emergerà per essere nutrito in qualche altro modo. Una volta tolto di
mezzo il demone esterno, il demone interno viene alla luce, ma tende ad attaccarsi a un’altra
sostanza per gestire la problematica non risolta. Dobbiamo trovare la causa prima della
dipendenza e sfamare quel demone, altrimenti non facciamo che sostituire una dipendenza con
un’altra.

106
Come qualsiasi altro demone, quello della dipendenza acquista potere quando si cerca di
reprimerlo. Si smette per un po’, aumentando la pressione, con la dipendenza frustrata che cresce
finché non esplode in un eccesso di solito peggiore del comportamento precedente. In questo
scenario, il gioco è quello del tutto o niente; non c’è equilibrio. L’eccesso inizia con una voce
tranquilla che protesta contro la repressione, insistendo che vi meritereste almeno un bicchierino,
una sigaretta, mezzo chilo di gelato, o qualsiasi sostanza o comportamento si tratti. Poi vi fate il
bicchierino o la sigaretta, e gli argini del desiderio si rompono. Ne volete sempre di più e se non
riuscite a ottenerlo, il demone della dipendenza s’infuria. La vera guarigione inizia quando
veramente riconoscete il demone della dipendenza dicendogli: «Va bene, ti ascolto, dimmi di
cosa hai veramente bisogno».
I demoni dell’abuso di sostanze
Zoe ha trentadue anni, ed è vicedirettore di una grande struttura di soggiorno per le vacanze.
Grazie ai programmi in dodici passi e alla pratica dei cinque stadi per nutrire i demoni, ha rotto
1

il ciclo della dipendenza, ma non è sempre stato così. Quando aveva tredici anni, Zoe iniziò a
rispondere ai problemi che aveva in casa procurandosi delle ferite. All’inizio si era tagliata
perché voleva morire, ma poi diventò un modo di fronteggiare le situazioni difficili. Il dolore
fisico alleviava la sofferenza emotiva, ma solo temporaneamente. A quattordici anni, aveva
scoperto l’alcol che attutiva l’autodisprezzo e la disperazione. Beveva di tutto, senza alcun
interesse per il piacere o la socializzazione; voleva solo l’effetto. Scoprì anche le droghe e
imparò che fumare l’erba diminuiva ancora di più la sua sofferenza interiore.
Alcuni anni dopo, Zoe iniziò una relazione con uno spacciatore di droga. Con il passare del
tempo, usò droghe sempre più pesanti. Era sicura che non sarebbe mai diventata dipendente
dall’eroina, invece nel giro di un anno lo diventò. Andava ancora a scuola, aveva amici e una
famiglia, ma sentiva anche bisogno della droga. Pur non pensando di essere nei guai, la sua
salute era così compromessa che i suoi genitori decisero che andava aiutata. Zoe andò in un
centro di recupero, anche se continuava a negare di avere un problema. Quando lasciò il centro,
decise che che avrebbe fatto tranquillamente a meno di eroina, erba e alcol. Nel giro di un mese
era una senzatetto, drogata e infelice.
Zoe era sempre in cerca di qualcosa che riempisse il suo vuoto emotivo. All’inizio, sembrò che le
droghe e l’alcol ci riuscissero. Le diedero un po’ di tregua. Ma ogni volta aveva un nuovo crollo
e la situazione non faceva che peggiorare. Non riusciva a sballare abbastanza da scappare da se
stessa, ma non riusciva nemmeno a fermarsi. Quando lasciò per la seconda volta il centro di
recupero, Zoe iniziò un programma in dodici passi e cominciò a praticare la meditazione. Non si
faceva più, ma affondò in altre dipendenze, per lo più dal lavoro e dall’amore, che diventarono
altrettanto incontrollabili. Continuava a usare oggetti esterni per tenere a bada il dolore.
In quel periodo, la madre di Zoe sentì parlare della figlia di un’amica che viveva e lavorava al
Tara Mandala. Tramite quella conoscente, Zoe venne in Colorado per lavorare come volontaria
durante l’estate e imparò a sfamare i demoni. Il suo demone della dipendenza era un mostro
grigio con un gran numero di tentacoli. Ogni tentacolo aveva in cima un bulbo oculare e
brancolava in modo convulso. Zoe comprese che quei tentacoli erano i tanti aspetti della sua
dipendenza. Il demone le disse che voleva essere intero, in modo da poter smettere di afferrare le
cose e sentirsi in pace. Questo le suggerì che avrebbe dovuto nutrirlo con la pace.

107
Una volta nutrito il demone, Zoe si sentì più calma, meno nevrotica e più sicura di sé. Non
appena i tentacoli rimpicciolirono fino a dissolversi, il demone diventò una piccola marmotta che
corse via, lasciando Zoe a riposare in uno stato di unità. Ora, ogni volta che Zoe prova un forte
desiderio di bere, lavorare o essere amata, sente a livello fisico come un’ansia corrosiva di “non
essere abbastanza”, “di non valere abbastanza”, che lei avverte come la sensazione fondamentale
alla base del suo bisogno di consumare. Quando esplora quella sensazione nel suo corpo e pratica
i cinque stadi, il demone appare sempre diverso e vuole cose leggermente diverse, ma lei lo nutre
di volta in volta con quello di cui ha bisogno. Con il procedere del percorso, il demone torna
sempre meno di frequente.
Estremamente comune è anche la dipendenza dal cibo. Anna ha cinquantanove anni e mangia il
cioccolato in modo compulsivo. Le dà conforto e, come un vecchio amico, la consola quando si
sente vulnerabile. Nata in Germania, subito dopo la Seconda guerra mondiale, Anna è cresciuta
senza padre e la madre le dava il cioccolato se faceva la brava o se doveva lasciarla per un po’ di
tempo da sola. In questo modo, il cioccolato aveva assunto per lei un significato simbolico molto
profondo come surrogato dell’amore materno. Nelle situazioni di stress o di paura, prendeva
rifugio nel cioccolato. Ne comprava grandi quantità e lo mangiava tutto, così finì per essere
sovrappeso e soffrire di depressione e bulimia. Per Anna, c’era sempre un attimo di speranza
all’inizio di ogni eccesso, come se avesse potuto scoprire qualcosa nei dolciumi che avrebbe
soddisfatto la sua brama, ma all’ultimo pezzo di cioccolato, si odiava.
Quando iniziò a lavorare con il suo demone, scoprì una ragazzina pelle e ossa con gli occhioni
che sembrava soffrire di denutrizione. I suoi occhi sporgenti, rassegnati, dicevano di avere
tentato spesso di esprimere i suoi bisogni, senza successo; era disperata. Aveva bisogno di
dolcezza, di calore e di sicurezza, in breve voleva l’amore materno. Anna la nutrì con il nettare
dell’amore materno e il corpo del demone assorbì voracemente l’energia, diventando una
normale, allegra ragazzina che voleva correre e giocare. Anna imparò a nutrire il demone quando
affiorava, e alla fine le crisi scomparvero. Ora che ha capito cosa veramente voleva il suo
demone, può aggirare il cioccolato e dare al demone l’amore che lei stessa tanto agognava.
I demoni del superlavoro
Gli stacanovisti sono sempre impegnati e lasciano pochissimo spazio per qualsiasi altra cosa che
non sia il lavoro. Sempre più americani stanno diventando dipendenti dal lavoro, e lavorano più
di sessanta ore a settimana. Come in ogni dipendenza, c’è in questo comportamento un aspetto
compulsivo che diventa il punto centrale della vita dello stacanovista. I fanatici del lavoro
trascurano la salute, la famiglia, gli amici, la vita spirituale, tutto per il lavoro.
Questo atteggiamento non si riscontra solo nei lavori ben pagati, ma in ogni professione,
dall’edilizia agli affari, all’università. Gli stacanovisti accettano spesso scadenze non realistiche
e non conoscono limiti. Hanno un travolgente bisogno di fare il più possibile, nel più breve
tempo possibile. Cercano di controllare tutti quanti, hanno difficoltà a delegare e tengono sotto
pressione dipendenti e colleghi. Quando perdono la salute a causa dello stress e dell’esaurimento,
si ritrovano soli, con poco se non nessun aiuto da parte del sistema sociale.
Sono animati da una convinzione sotterranea, che il lavoro a un certo punto li ripagherà di tutto,
permettendo loro di uscire dal gioco. Ma quel momento non arriva mai. C’è sempre qualcos’altro
da fare. A differenza delle persone che semplicemente lavorano tanto, agli stacanovisti non piace
prendersi una pausa e spesso mangiano continuando a lavorare. Si sentono sempre come se

108
dovessero timbrare il cartellino. Sono spesso perfezionisti che non sentono mai di aver fatto
abbastanza.
Chi ha un demone del superlavoro finisce nel circolo chiuso di uno sforzo senza fine. I fanatici
del lavoro lasciano spesso ai figli un’eredità di depressione e ansia, avendoli investiti di
grandissime aspettative, spesso valutandoli più per quello che fanno che per quello che sono e
non prendendosi veramente cura della loro educazione.
Spesso, inventiamo delle scuse per le nostre tendenze allo stacanovismo. Sylvia iniziò un’attività
di vendita di indumenti naturali per bambini per far quadrare il bilancio familiare. Era una
ragazza madre con due figlie da crescere, Abigail e Lisa, e dunque il bisogno finanziario era un
fatto assolutamente reale. Quando gli affari decollarono, Sylvia si convinse che stava ancora
lavorando per le bambine, affaticandosi molte ore per dare loro una vita migliore. Ma le bambine
erano infelici, perché la madre era troppo indaffarata per passare del tempo con loro. Spinta dai
demoni del superlavoro, lasciava le bambine alla baby-sitter, non partecipava mai alle feste
scolastiche, né si prendeva mai del tempo per andare in vacanza con la famiglia. Quando ebbe un
grande successo, Sylvia creò un franchising basato sulla sua idea di abbigliamento naturale per
bambini, il che significava che era sempre sul punto di prendere un aereo per andare a qualche
riunione.
Solo quando una delle figlie, a quindici anni, tentò il suicidio, Sylvia iniziò a esaminare la sua
vita. Dopo aver comprato un’audiocassetta alla libreria dietro casa, imparò a nutrire i suoi
demoni e decise di partecipare a un ritiro per vedere in profondità la sua relazione ossessiva con
il lavoro.
Quando Sylvia visualizzò il demone del superlavoro, quello le disse che voleva il successo e il
potere, ma il suo bisogno sotterraneo era di sentirsi in pace e armonia. In tutti i suoi sforzi, Sylvia
si era sempre tenuta stretta l’idea che, una volta guadagnato abbastanza denaro, si sarebbe sentita
in pace. Dopo aver nutrito il demone con un nettare di pace, apparve l’alleato, una meravigliosa
libellula turchese, e disse a Sylvia che la sua lotta non avrebbe avuto fine e che aveva dunque
bisogno di essere in pace ora, invece di attendere. Come risultato di questa pratica di nutrimento
del demone, Sylvia vendette tutti i suoi negozi, tranne quello più vicino a casa. Con il denaro
ricavato, partì in vacanza con la famiglia e riuscì anche a lavorare di meno. Fece tutto questo per
poter cominciare a godersi di nuovo le figlie. Smise di occuparsi degli affari durante il fine
settimana e cominciò a fare yoga, nutrendo così il suo demone con quello di cui aveva veramente
bisogno, anziché con quello che credeva di volere. Continuando a nutrire il demone, la relazione
con le figlie migliorò. Loro crebbero e le rimasero vicine.
Tom aveva un demone del superlavoro combinato con un demone del potere. Era un avvocato
aziendale di New York trentaquattrenne, e aveva sempre bisogno di avere l’ultima parola in ogni
discussione. Nelle occasioni sociali, gli piaceva mettersi in mostra escludendo alcune persone e
concentrandosi su chi pensava avesse potere. Fece molti soldi e comprò una casa di vacanze
negli Hamptons, a Long Island, in modo da poter socializzare con persone influenti. Sposò una
modella di New York per il suo fascino e i suoi amici chic. Continuò a lavorare fino a tardi e
pensava al lavoro anche mentre cercava di prendere sonno. A casa e nei fine settimana, all’ora
dei pasti si eclissava e mangiava davanti al computer. Passava pochissimo tempo con la moglie e
quando era con lei, l’unico argomento di conversazione era il lavoro, senza mai creare una
relazione profonda e intima.

109
Poi Tom iniziò a non riuscire a dormire la notte e ad avere attacchi di panico di giorno. In quel
periodo, la moglie capì che Tom non l’amava veramente per quello che era, e decise di lasciarlo.
A questo punto, Tom sentì che tutto gli crollava addosso e chiamò un’amica conosciuta ai tempi
dell’università, diventata psicoterapeuta. L’amica conosceva il metodo dello sfamare i demoni e
dopo aver sentito degli attacchi di panico di Tom, gli raccomandò la pratica dei cinque stadi.
All’inizio, Tom espresse delle resistenze, ma decise di provare per disperazione.
Iniziò a lavorare con il demone dell’ansia, ma presto scoprì, sotto a questo, un demone del
superlavoro. Quando incarnò quel demone, vide che dietro all’apparenza di spacconeria ed
efficienza era in realtà debole e vulnerabile. Tom sfamò i vari demoni della paura,
dell’insicurezza, della solitudine e del potere. Scoprì che i suoi attacchi di panico erano in realtà
messaggi per avvertirlo che la sua vita non era autentica. In quel periodo, Tom riuscì a creare una
relazione sincera con una donna incontrata a un ritiro, a riportare il lavoro a un orario normale, e
a smettere di esserne ossessionato. Nei fine settimana non s’incolla più al computer, e cerca di
aprirsi di più al senso di vulnerabilità che sta dietro al suo demone del superlavoro. Non ha più
attacchi di panico, e anche se ha ancora successo, non cerca più di rimpiazzare l’intimità
autentica con il lavoro.
Quando osservate i demoni delle vostre dipendenze, scoprite il bisogno che sta sotto al desiderio
della sostanza o della situazione esterna. È allora che comincerete ad affrontare la causa della
dipendenza, anziché i sintomi. Gli dèi-demoni della dipendenza assumono molte forme, ma alla
base di tutto c’è la sensazione che esista qualcosa di esterno che può funzionare come una dose
veloce o qualcosa che intontisca, per affrontare le difficili emozioni interne. Per ironia, più
cerchiamo una risposta all’esterno, più grande diventa il nostro bisogno. Fare attenzione a ciò
che sta sotto al demone della dipendenza lo libera, e con lui tutti i demoni collegati, dal cercare
con tanta intensità di avere la nostra attenzione.
La dipendenza è un chiaro esempio di come il problema non sia costituito dal mondo esterno.
Ecco perché diete, proibizioni e strategie repressive non hanno mai funzionato con le
dipendenze; tutti questi approcci presumono che la questione stia nella sostanza, anziché nella
relazione che la persona ha con essa. Sfamando quei demoni e giungendo con il quinto stadio a
uno stato di quiete e di integrazione, possiamo trattare i disturbi della dipendenza a livello della
loro causa. Quando abbiamo a che fare con una dipendenza grave, consiglio un approccio
olistico e integrato che utilizzi sia la psicoterapia che programmi in dodici passi, insieme al
nutrimento dei demoni.
1. Metodologia molto diffusa negli Stati Uniti per il recupero delle dipendenze. (NdT)

110
13

111
I demoni dell’abuso
L’ombra è l’altra faccia. È l’espressione
della nostra imperfezione e del nostro essere terreni,
il negativo che è incompatibile con i valori assoluti.
ERICH NEUMANN (1905-1960)
I demoni dell’abuso provengono da emozioni interiorizzate provocate da abusi fisici o emotivi, e
per questa ragione così spesso si ereditano in famiglia e passano di generazioni in generazione. È
impossibile stimare il numero di persone che hanno subito abusi di vario genere, perché per lo
più non vengono denunciati. Ma non dobbiamo permettere che la mancanza di evidenza statistica
minimizzi l’importanza di questi demoni, perché sono tra i più distruttivi.
Ci sono molti tipi di abuso, tra cui, ma non solo, l’abuso infantile, l’abuso emotivo, fisico,
l’abuso sessuale infantile, l’appuntamento che si conclude in uno stupro, la violenza domestica,
la molestia, l’intimidazione, l’abuso sessuale da adulti e l’abuso psicologico. L’abuso sessuale è
uno dei più comuni e distruttivi, specialmente quando si tratta di bambini. Spesso ha per risultato
una sofferenza che dura tutta la vita, che può includere la dipendenza, il comportamento
autodistruttivo e il suicidio. La molestia non è solo fisica; può consistere in un trauma verbale.
Lo stesso vale per l’abuso coniugale, una forma di violenza domestica che include spesso lo
stupro. L’abuso è spesso commesso da chi ha una posizione di potere: genitori o persone che si
prendono cura degli altri, insegnanti, professori, pastori o preti, e terapeuti. Dovunque vi sia una
significativa differenza di potere in una relazione, c’è un potenziale per l’abuso.
Solo di recente, e solo in certi paesi, l’abuso infantile è stato riconosciuto come un problema
serio che provoca un danno che dura tutta la vita. Nell’abuso sessuale, la pressione esercitata
sulla vittima dalla segretezza, l’intenso senso di vergogna e la paura delle ripercussioni possono
impedire ai bambini, e anche agli adulti che ne sono al corrente, di chiedere aiuto. L’abuso
sessuale coinvolge la doppia dinamica del sesso e del potere. A preti, terapeuti, insegnanti
ricorrono molte persone bisognose, vulnerabili, fiduciose e quindi le istituzioni che essi
rappresentano conferiscono loro potere. Questo può costituire un invito all’abuso se la persona al
potere ha dei bisogni o dei desideri insoddisfatti e lavora con gli altri senza una supervisione. Un
demone dell’abuso può inizialmente presentarsi sotto forma di depressione, di dipendenza o altri
comportamenti autodistruttivi, ma una volta nutriti questi demoni più evidenti il demone
dell’abuso emerge.
Quando si scopre un demone dell’abuso, suggerisco di creare una mappa dei demoni per questo
particolare problema (vedi capitolo 7). I demoni dell’abuso sono di solito un’idra con molti
tentacoli e tante teste. Consiglio anche di lavorare con un terapeuta riconosciuto, che si sia
formato nell’affrontare i demoni dell’abuso, perché le emozioni che emergono possono essere
molto intense. Per seguire questo percorso potreste avere bisogno del sostegno di un
professionista. È importante anche il lavoro con gli alleati che si presentano; ottenere risposte
specifiche riguardo a come l’alleato vi proteggerà può essere particolarmente curativo, perché
uno dei traumi dell’abuso è proprio la mancanza di protezione da parte di chi avrebbe dovuto
offrirla.
Chi è stato abusato sessualmente o molestato ha spesso la tendenza a dissociarsi dal corpo. Per
questa ragione, nel quarto stadio, invece di dissolvere il corpo in un nettare, consiglio di

112
immaginare di possedere la capacità magica di produrre una quantità infinita di nettare per
sfamare i demoni. Questo vi tiene “nel corpo”, senza dissociarvi da esso come avete forse fatto al
momento dell’abuso. Questo metodo può essere usato ogni volta che si prova disagio a
immaginare il proprio corpo dissolversi in un nettare. Tuttavia, l’offerta del corpo andrebbe fatta,
quando possibile, perché è un punto chiave di quello che Machig ha insegnato come il metodo
per andare al di là dell’attaccamento a se stessi.
Talvolta, i demoni di un abuso nella prima infanzia possono portarci a successivi abusi, come nel
caso di Donna, una signora di cinquantotto anni, di bell’aspetto, dai capelli d’argento, direttrice
di una panetteria. Da bambina, veniva regolarmente picchiata dal patrigno e a vent’anni aveva
sposato un uomo che aveva ricreato la sua situazione infantile. La traumatizzava, e l’aveva tenuta
per anni in uno stato di costante paura. Quando lei alla fine ruppe il legame, la sua autostima e
fiducia in se stessa erano a brandelli. La sua fiducia negli uomini era distrutta. Per i successivi
vent’anni riuscì di rado a godere della compagnia maschile.
Donna decise di lavorare con il demone del suo trauma legato agli uomini. Quando il demone
apparve, non fu sorpresa di vedere che aveva preso la forma del simbolo maschile internazionale
che si vede sulle porte dei gabinetti. Non aveva né mani né piedi, ed era senza faccia. Il tronco
era racchiuso in un cristallo trasparente pieno di sporgenze, simili a schegge di vetro. Il suo nome
era Aculei.
Quando si scambiò di posto con il demone e diventò lui, il demone le disse: «Sono ricoperto di
schegge di quarzo taglienti e sono freddo. Mi comporto male. Mi assicuro che tu allontani gli
uomini. Sono stato con te per molto, molto tempo e tu ti sei nascosta dietro di me perché hai
tanta paura. Io sono grande e forte, e ho potere su di te. Quello che ho bisogno da te è che tu mi
permetta di ritirarmi. Sono stanchissimo della tua negatività e non hai più bisogno di me. Voglio
la pace».
Donna immaginò di poter produrre una quantità infinita di nettare di pace e quando lo diede al
demone, questi lo mise in un secchio e lo versò in una grande vasca da bagno. Quando vi si
immerse, il cristallo si ruppe e il suo corpo iniziò a flettersi e ad ammorbidirsi. Diventò un uomo
sano e particolarmente dolce, sensibile, che non intimorì affatto Donna. Quell’uomo era il suo
alleato. Donna riposò in uno stato di rilassamento e di fiducia. Dopo aver nutrito il demone,
Donna sentì che qualcosa d’importante dentro di lei era cambiato. Aveva la precisa sensazione
che una presenza sgradevole dentro di lei se ne fosse andata. Cominciò a sperare di poter
accogliere un uomo nella sua vita.
Le persone che sono state sessualmente abusate provano spesso vergogna, come se fosse stata
colpa loro.
Chloe, un’architetto d’interni di quarantaquattro anni, sposata, con figli. Da bambina era stata
abusata dal padre. Le aveva fatto delle foto pornografiche e l’aveva stuprata. Iniziò il suo lavoro
con il demone dopo aver vissuto una spiacevole esperienza con un uomo cui voleva molto bene e
che avrebbe desiderato come amico. Ma lui voleva una relazione sessuale e la loro amicizia
cessò di colpo quando fu chiaro che lei non era interessata ad avere una storia con lui. Chloe era
stata molto male per questo, ma non aveva compreso il collegamento con l’abuso. Localizzò il
rifiuto dell’amico nella sua parte sinistra. Era una sorte di intorpidimento, qualcosa di molto
rigido nel corpo, come del budello secco.

113
Quando portò di fronte a lei la sensazione, all’inizio aveva l’aspetto di Gollum nel Signore degli
anelli. Poi, il demone si trasformò in una “lucertola gibbosa” che voleva solo fare sesso, con o
senza il consenso del partner. Quando chiese alla lucertola di cosa avesse bisogno, quella rispose:
«Di essere un uomo». Quando le chiese come si sarebbe sentita se avesse avuto quello che
desiderava, rispose: «Forte».
Chloe nutrì il demone con un nettare della forza e sicurezza di “essere un uomo”. Dopo averlo
sfamato, le balenò l’immagine del padre che se ne andava a testa bassa, attraverso un campo. Lei
comprese allora che era un’altra manifestazione del demone dell’incesto. Il padre assomigliava
spesso a Gollum, viscido, untuoso, un codardo. Lei vide un dolore enorme sotto la superficie
della lucertola stupratrice.
Una delle particolarità della pratica di nutrire i demoni è che può svelare dei collegamenti mai
considerati prima. Chloe collegò il rifiuto dell’amico, che voleva qualcosa che lei non voleva
dargli, al padre, che voleva da lei qualcosa di sessuale invece di volerle semplicemente bene.
Prima d’incontrare questo demone, non riusciva a capire perché la lite con l’amico fosse stata
tanto traumatica per lei. Sentì anche, per la prima volta, compassione per la debolezza del padre,
anche se in terapia ci aveva lavorato per anni. Nutrendo quel demone, Chloe imparò due lezioni
fondamentali: primo, che poteva amare il padre pur detestando il suo comportamento; secondo,
che la sua intensa reazione al bisogno di segnare dei confini con l’amico era collegata al bisogno
di un amore puro, senza richieste sessuali, che non aveva mai avuto dal padre.
Anche le esperienze d’abuso non apertamente sessuali, come quella di Chloe, possono essere
estremamente dannose. La molestia può essere energetica, verbale o nascondersi in modi
particolari di toccare o anche di guardare. Può creare confusione, perché potreste pensare che “in
realtà non è accaduto niente”, ma questo non è un motivo per minimizzare il potere distruttivo di
tali esperienze. I problemi causati da questo tipo di abuso a sfondo sessuale possono essere molto
profondi.
Sophia aveva vissuto questo tipo di molestia invasiva. Era una guaritrice professionista e viveva
nel Nord-est degli Stati Uniti. Era stata toccata in modo sconveniente e invasa emotivamente dal
padre. Questi morì l’anno precedente alla partecipazione di Sophia al Kapala Training, dunque
lei durante il ritiro stava ancora elaborando il lutto. Soffriva di un dolore cronico al collo, che
talvolta si faceva debilitante. Quel dolore andava e veniva da molti anni, e quando il collo era
“fuori uso”, lei aveva terribili mal di testa che si irradiavano fino alle spalle. Per questo motivo,
erano anni che doveva andare due volte a settimana da un chiropratico.
Nella sua professione, Sophia aveva spesso a che fare con il campo energetico degli altri. Più
spesso di quanto lei volesse ammettere, si sentiva invasa dall’energia dei suoi clienti. Quando
decise di lavorare con il suo demone, scrisse nel diario del demone: «Ho sentito il demone
dell’invasione. Un demone esterno, era situato nel mio stomaco». Il demone si personificò in un
maschio alto più di due metri, con un atteggiamento compiaciuto e occhi neri come l’onice. Era
di bell’aspetto e sicuro di sé, e comunicò a Sophia che alla fine avrebbe vinto lui. L’impressione
più forte che fece a Sophia fu il senso di diritto acquisito su di lei.
«Io ti posseggo» le disse «e da molto tempo. Ho sempre vinto su di te e non cambierà mai.
Smettila di cercare di resistermi, se non vuoi farmi arrabbiare.» Gli occhi del demone
diventarono rossi e penetranti mentre metteva in guardia Sophia, e lei si spaventò tantissimo.
Iniziò a cedere alla sensazione, fin troppo familiare, di affondare e che la sua vita non le

114
appartenesse. Sentì di non essere al sicuro, e che la sua vigilanza non era sufficiente a
proteggerla. A questo punto del percorso di nutrimento del demone, Sophia si sentiva disperata e
smarrita. La cosa interessante era che il demone incarnava tantissime qualità di suo padre, anche
se lei non aveva mai collegato il dolore al collo con lui.
Quando Sophia fece le tre domande, «Cosa vuoi da me? Di cosa hai bisogno? Come ti sentiresti
se ottenessi quello di cui hai bisogno?», ricevette, una volta seduta al posto del demone, queste
risposte: «Voglio la forza vitale di Sophia. Ho bisogno di divorarla. Se ottenessi quello di cui ho
bisogno, mi sentirei completo, rilassato e soddisfatto».
Sophia tornò poi al suo posto e iniziò a offrire al demone un nettare di rilassamento e
appagamento. Il nettare era blu cobalto, con sfumature bianco perlacee. Sophia nutrì a lungo il
demone, finché esso non diventò dello stesso blu del nettare. Il demone allora si spaccò in due e
dal suo carapace rotto presero il volo migliaia di farfalle multicolori. Erano le alleate di Sophia.
Il ritiro in cui Sophia stava nutrendo il demone aveva luogo in una grande tenda all’aperto senza
pareti. Alla fine del percorso, lei abbassò lo sguardo e vide una meravigliosa farfalla gialla che si
stava posando sul suo braccio! Fu per lei una stupefacente conferma del percorso appena
concluso.
Dopo avere nutrito il demone, il collo di Sophia si è rilassato e lei non ha più bisogno di andare
dal chiropratico: non ricorda nemmeno quando c’è andata l’ultima volta. Nel suo lavoro ha molto
meno paura di “assorbire” le energie degli altri. E si collega regolarmente con la sua alleata
farfalla, visualizzandola e chiedendole aiuto o consiglio.

115
14

116
I demoni familiari
Chi lotta contro i mostri dovrebbe fare attenzione a non diventare lui stesso un mostro. E se tu guarderai a lungo in un abisso,
anche l’abisso vorrà guardare dentro di te.
FRIEDRICH NIETZSCHE (1844-1900)
I demoni non spuntano dal nulla; spesso vengono ereditati. I demoni familiari vengono trasmessi
da una generazione a quella successiva. Alcuni demoni intergenerazionali, come la tendenza
all’alcolismo e la depressione biochimica, pare abbiano una componente genetica, ma possono
anche essere acquisiti attraverso il comportamento di genitori o nonni (recenti ricerche
dimostrano inoltre come la genetica possa essere influenzata anche da fattori emotivi e mentali).
Sappiamo che la tendenza all’abuso fisico e sessuale è spesso trasmessa dai genitori ai figli,
come pure le paure, i disturbi alimentari, la rabbia, l’ansia, l’ossessione ad avere successo
finanziario, la depressione e il perfezionismo. Se non rendiamo consci questi demoni, potremmo
trasmetterli ai nostri figli. Magari vietiamo loro determinate cose, come l’abuso di alcol, ma se
poi noi trasgrediamo, probabilmente lo faranno anche i nostri figli.
I tibetani, all’epoca di Machig, parlavano di demoni di discendenza materna e paterna. Penso sia
un modo interessante di considerare i demoni familiari. Quali demoni penso provengano dalla
famiglia di mia madre, quali da quella di mio padre? Quali demoni penso di avere “passato” ai
miei figli? Magari siamo consapevoli che nostra madre aveva un certo demone, ma non siamo
mai andati oltre, o non abbiamo mai riflettuto onestamente su cosa abbiamo trasmesso alla
generazione successiva o quali demoni manifestino i nostri nipoti (a seconda di quanti anni
abbiamo, possiamo osservare nei posteri come negli antenati i demoni di discendenza familiare).
Scoprirlo può essere utile per coltivare la compassione verso noi stessi e i nostri parenti. Per
esempio, cominciamo a superare il fatto che nostra madre non sia stata presente con noi, quando
scopriamo che sua madre era del tutto inaffidabile. E allora forse riconosciamo che anche noi
non abbiamo dato molta stabilità ai nostri figli. Se riusciamo a riconoscere questi demoni
ereditari, ci sentiamo meno colpevoli personalmente e li inseriamo in un contesto più ampio.
Mentre affrontiamo alcuni demoni ereditari dell’albero genealogico sia da parte materna che
paterna, riflettete sui vostri. Talvolta, lavorando con i demoni abbiamo un’improvvisa
comprensione intuitiva della nostra storia familiare, come è accaduto a Lily.
La madre di Lily era stata abusata sessualmente dallo zio. Il prozio di Lily aveva aggredito la
madre con violenza, minacciandola con un coltello e l’aveva stuprata più volte. L’abuso era
grave e prolungato nel tempo. In giovanissima età, sia Lily che sua sorella, Alice, erano state
costrette dalla madre ad ascoltare minuziose descrizioni della molestia e questo aveva reso Lily
ipervigile e spaventata. Lily sviluppò una forma di depressione grave (anche oltre il livello
quattro). I demoni dell’ansia s’intensificarono e dalla scuola superiore in poi iniziarono a
interferire con la sua vita. Riusciva a malapena a uscire di casa e a un certo punto smise di
mangiare per paura di venire avvelenata. Soffriva anche di incubi ricorrenti e fantasie che le
sparassero o la pugnalassero alla testa o al collo, forse perché la madre le aveva raccontato di
essere stata minacciata dallo zio con un coltello e poi stuprata.
Quando lavorò con i cinque stadi, Lily evocò un demone sotto forma di una bambina rossa e
coperta di squame, con lucidi capelli biondi e orecchie a punta. Era così arrabbiata da non
riuscire a parlare. Alle tre domande di Lily rispose: «Ti voglio. Devo ucciderti per avere la tua

117
attenzione. Ho bisogno della tua attenzione e del tuo interesse. Se li ricevessi, mi sentirei amata e
la mia rabbia si dissolverebbe».
Lily nutrì la bambina con un nettare fatto di attenzione, amore e sollecitudine. Lentamente,
l’aspetto della ragazzina si fece più umano, finché si trasformò in una versione di Lily all’età di
quattro anni. Ma non era l’alleato. Come alleato, apparve vicino alla bambina la sorella maggiore
di Lily, Alice. Alice aveva aiutato e protetto Lily quando i demoni dell’ansia e della depressione
l’avevano sommersa durante e dopo l’università. L’alleato promise di aiutare Lily a governare i
tremendi sensi di colpa, l’ambivalenza, la paura e la tristezza che la distruggevano, per essere
l’unica della famiglia scampata all’abuso sessuale e alla violenza.
Una recente ricerca ha dimostrato che lo stress post-traumatico può essere trasmesso dai genitori
ai figli con una sindrome chiamata “stress post-traumatico secondario”. In questo caso, il
demone dell’ansia di Lily nascondeva i demoni della tristezza, del senso di colpa e della paura.
Alla fine, Lily assorbì in se stessa sia la bambina rimasta dopo il nutrimento, sia l’alleato. Provò
nei confronti della sorella una nuova gratitudine e un sincero senso di apertura. Dopo la pratica,
chiamò Alice ed ebbero una profonda, terapeutica conversazione sulla loro infanzia. Lily si
sentiva ancora molto vulnerabile, ma in modo morbido, aperto. Continuò a lavorare con questo
demone familiare per molto tempo, e con notevole efficacia.
Talvolta, la malattia fisica può derivare da problemi emotivi collegati ai demoni familiari. Il
lavoro con il demone può aiutare a scoprire che rapporti ci sono tra la malattia e i demoni
familiari o altre componenti emotive, e rivelare gli strati di demoni coinvolti. Spesso, in quelle
circostanze, abbiamo bisogno di nutrire ognuno dei vari demoni per provare sollievo. Essere
consapevoli di tutto questo può essere un passo importante verso la guarigione.
Cindy, un’insegnante di quarantatré anni, madre di due figli, aveva avuto un padre alcolista e lei
stessa aveva avuto problemi con l’alcol. Voleva creare la famiglia perfetta dove tutto fosse in
ordine, e dimenticare il caos e l’imprevedibilità della sua infanzia. Venne a un ritiro dopo una
diagnosi di cancro al seno, seguita da chemioterapia.
Quando Cindy scoprì di avere il cancro al seno, sapeva già di avere un problema con il controllo.
Per molti anni era riuscita a mantenere l’illusione di poter controllare la sua vita, ma ora sapeva
che non era così. Il cancro le insegnò che molte cose importanti erano veramente al di là della
sua portata, e che lo sforzo disperato di controllare ogni cosa le creava solo una tensione
negativa. Lavorando con il cancro e i demoni del controllo, Cindy scoprì che si trattava di un
demone di discendenza paterna; il padre doveva avere sempre tutto sotto controllo. Lei voleva
essere perfetta e costringere gli altri allo stesso standard. Era insoddisfatta del marito e cercava
sempre di costringerlo a prendersi più cura di se stesso. Così facendo creava molta tensione a lei
e a tutti quelli che le stavano intorno.
Cindy decise di lavorare prima di tutto con il demone del controllo, anziché con la propria
malattia, perché sentiva che era una concausa del cancro. Nel primo stadio, cercando la presenza
del demone nel corpo, lo percepì intorno alla mascella, che tendeva a serrare. Quando immaginò
il dolore alla mandibola, lo vide giallo-rosso e acuminato. Ma quando prese forma di fronte a lei,
ebbe all’improvviso la visione di una faccia gialla bidimensionale e sorridente. «Non può essere
lui» pensò. «È troppo pacchiano.» Poi la faccia si trasformò in quella del padre, che
all’improvviso lei teneva tra le mani; in quell’istante comprese che il padre era il demone e la
trasformazione nello stesso tempo.

118
Cindy aveva sempre litigato con il padre e tra di loro erano rimaste molte questioni irrisolte.
Comprese che il demone del controllo aveva le sue radici in un dio-demone: il padre. Era un dio
perché lei lo aveva sempre desiderato, e un demone perché lo odiava per i problemi che le aveva
creato.
Quando chiese al demone che assomigliava a suo padre di cosa avesse bisogno, quello rispose
che aveva bisogno del perdono e che una volta perdonato, si sarebbe sentito amato. Cindy
trasformò il suo corpo in un nettare di compassione e amore. Offrendolo, sentì fluire il perdono e
la sua mascella si rilassò. Quando ebbe terminato, il padre si dissolse e la mascella non le fece
più male. Sentì una profonda pace e riposò in quello stato. Cindy comprese anche che l’eccedere
nel bere era una risposta allo stress della malattia, e decise di cercare aiuto per la sua tendenza
all’alcolismo. Si impegnò a smettere di bere, a non litigare più con il padre e a utilizzare la
terapia per lavorare con l’eventuale rabbia ancora seminata in giro. Cindy comprese, con questo
lavoro, che il suo demone del controllo e la sua rabbia nei confronti del padre l’avevano
letteralmente fatta ammalare, e che era importante per lei smettere di combattere quella battaglia
e riconoscere che erano entrambi intrappolati nella rete del demone.
Quando Joanna iniziò la pratica di nutrire i suoi demoni, comprese di avere ereditato da entrambi
i genitori dei demoni multigenerazionali. Joanna era una scrittrice di successo cinquantenne di
New York che soffriva di esaurimento psicofisico e di una sensazione di vuoto spirituale.
La madre di Joanna, Helen, era una donna di bell’aspetto, molto perbene e in un certo senso
puritana. Da bambina, Joanna aveva avuto, dal punto di vista materiale, tutto quello che
desiderava: lezioni di danza e di musica, buone scuole, viaggi, e vestiti firmati. La sua famiglia
era socialmente in vista, e i genitori erano molto interessati alla loro immagine pubblica, un
messaggio che Joanna tacitamente interiorizzò. Così Joanna crebbe attenta a quello che faceva e
a quello che indossava. All’interno della famiglia, il suo ruolo era di essere carina e di esibirsi
per tutti.
Le veniva continuamente detto che doveva essere grata, che era molto fortunata. Quando crebbe,
e iniziò a esprimere se stessa, cominciò a vestirsi in modo anticonvenzionale, e a un certo punto
abbandonò gli studi. La madre le disse molto chiaramente di essere delusa e imbarazzata dal suo
comportamento. I genitori l’accusarono di essere un’ingrata. Joanna era confusa perché, anche se
era d’accordo che le era stato dato tutto, si sentiva vuota e inautentica. Aveva abbandonato
l’università per cercare qualcosa di autentico in cui impegnarsi, anziché recitare per l’immagine
della famiglia.
Joanna si trasferì a New York e iniziò lentamente la sua carriera di scrittrice; ma le era difficile
entrare in relazione con qualcuno. Sentiva una profonda solitudine e un forte senso di colpa che
non riusciva a spiegarsi. Alla fine si sposò, ma non fu capace di creare un’autentica intimità con
il marito. Come da copione, mise al mondo due figli, creando così parte di quella che sembrava
una vita perfetta, finché non scoprì che il marito aveva una relazione extraconiugale.
Dopo il divorzio, Joanna visse di nuovo da sola, condividendo con l’ex marito la custodia dei
figli. Si buttò nel lavoro, ignorando i bisogni emotivi dei ragazzi. Quando i figli diventarono
grandi, ebbe difficoltà a entrare in contatto con loro, che crebbero distanti. Si sentiva sempre più
depressa, anche se a quel punto aveva ereditato molto denaro, il che non fece che sottolineare la
sua sensazione di non avere niente di cui lamentarsi.

119
Joanna iniziò il suo lavoro con il demone dopo averne sentito parlare da un’amica, e venne a un
ritiro del Kapala Training. Nel percorso, comprese di avere ereditato un demone del “non essere
mai brava abbastanza” dal padre che, a sua volta, l’aveva ereditato dal proprio padre. Il nonno
voleva che il padre di Joanna diventasse avvocato e non aveva mai sostenuto la sua scelta di fare
il giornalista. Il padre di Joanna era diventato un indefesso stacanovista, sperando di avere tanto
successo da costringere il padre a elogiarlo. Ma non andò così, e il padre stava ancora cercando
disperatamente di dimostrare il proprio valore quando a sessant’anni morì d’infarto.
Il padre di Joanna era stato molto critico riguardo alla sua scelta di carriera. E come il padre, lei
rispondeva agli ostacoli della vita con il superlavoro e aveva trasferito il demone del
raggiungimento esterno sui figli che avevano, verso i risultati scolastici, una tendenza allo stress.
Dalla madre aveva ereditato il demone dell’“aspetto impeccabile”, mentre era emotivamente
distante.
Nutrendo i demoni della depressione, della colpa e della tendenza al superlavoro Joanna mise
allo scoperto i demoni intergenerazionali. Lavorò con i cinque stadi per affrontare i bisogni dei
demoni della “distanza” e del “non essere mai brava abbastanza” che aveva trasmesso ai figli.
Dopo avere nutrito questi demoni, riuscì a dialogare in modo autentico con i figli, comunicando
loro che “essere” è già abbastanza e che non avevano bisogno di avere successo e di buttarsi nel
superlavoro per essere accettati da lei. Gradualmente diventarono una famiglia più vicina e unita.
E Joanna creò delle amicizie con donne che sentiva autentiche e oneste. La depressione
scomparve quando iniziò a usare il suo denaro creativamente per aiutare gli altri invece che
sentirsi in colpa.
Da questo esempio, possiamo capire come i demoni attraversino le generazioni e come
l’atteggiamento critico o il controllo da parte di un genitore venga interiorizzato e trasmesso alla
generazione successiva. Anche se Joanna non poteva fare il lavoro con il demone al posto dei
figli o dei genitori, facendo il suo in profondità, e nutrendo sia i demoni esterni che quelli interni,
riuscì a districare il groviglio dei problemi interconnessi, e la sua trasformazione influenzò
positivamente la matrice dell’intera famiglia.
Come abbiamo visto, i demoni familiari si trasmettono di generazione in generazione e possono
includere sia demoni di discendenza femminile che maschile. La rete dei demoni familiari è
come l’idra incontrata da Ercole. I demoni di una generazione possono apparire sotto molteplici
forme nella generazione successiva, o possono saltare una generazione e far capolino in un
nipote. Vedere la natura multigenerazionale e creare una mappa dei demoni (vedi capitolo 7) può
darci una visione più ampia della nostra storia e aiutarci a chiudere con i demoni distruttivi che ci
hanno seguiti per generazioni.
Talvolta pensiamo di essere consapevoli dei demoni intergenerazionali e giuriamo di non
perpetuarli. Ma se non li abbiamo sfamati, rispunteranno nelle situazioni più impensate. Da
bambino, Joe vedeva il padre picchiare la madre. Quando aveva cercato di soccorrerla, era stato
percosso anche lui. Arrabbiato e impotente, una volta cresciuto, sposò una donna dolce e
remissiva, Martha, ed ebbe due figli, un maschio e una femmina. Joe era determinato a non agire
come il padre. Si diede da fare e cercò di essere un padre responsabile, ma non aveva mai fatto
alcun lavoro emotivo per risolvere i problemi dell’infanzia, poi cadde in depressione e iniziò a
bere troppo.

120
Consapevole del comportamento violento ereditato dalla famiglia del padre, Joe cercò di non
trasmetterlo. Anche se non diventò fisicamente violento, lo era verbalmente e faceva commenti
sminuenti alla moglie davanti ai figli. I figli s’identificarono con Joe come il genitore più forte, e
impararono dunque entrambi a disprezzare la madre. Martha reagì alla situazione sviluppando
una segreta dipendenza dall’alcol. Beveva quando il marito era al lavoro per combattere la
tristezza. Si sentiva impotente e diventò irraggiungibile per i figli. Ebbe sempre meno fiducia
nelle proprie capacità di funzionare nel mondo, e diventò più dipendente da Joe e nello stesso
tempo piena di risentimento nei suoi confronti.
La figlia crebbe con la tendenza a minare se stessa e iniziò una relazione con un noto spacciatore
di droga. Restò invischiata nella droga e diventò una prostituta. Il figlio di Joe soffriva di
depressione, abbandonò la scuola e sembrava incapace di tenere insieme la sua vita. Entrambi i
figli avevano un fortissimo senso di vergogna, la sensazione di essere fondamentalmente
inferiori. Desideravano ardentemente l’approvazione, che non avevano mai avuto, e soffrivano
dei demoni della depressione e della dipendenza.
Finché Joe non iniziò a sfamare i propri demoni, quelli dei genitori continuarono a balzar fuori
nella sua vita e in quella della moglie e dei figli. Joe e Martha vennero insieme a un ritiro. Lei
aveva iniziato a meditare e aveva sentito parlare del ritiro del Kapala Training durante un
ricovero per abuso di alcol. All’inizio Joe disse che era venuto al ritiro solo per sostenere Martha,
ma quando iniziò a fare la pratica dei cinque stadi si entusiasmò nello scoprire tutte le
connessioni tra i membri della sua famiglia e molti aspetti della propria vita.
Sia lui che Martha s’impegnarono a proseguire la pratica dei cinque stadi. La loro relazione è ora
diventata più rispettosa e, grazie a questo cambiamento e alle conversazioni con i figli, la
famiglia sta diventando più consapevole di certi schemi comportamentali. Martha e Joe coltivano
ancora regolarmente la pratica del nutrimento dei demoni, e anche se i demoni hanno profonde
radici, Martha e Joe stanno scoprendo una via d’uscita dalla sofferenza. Il miglioramento della
loro situazione ha avuto un effetto positivo anche sul resto della famiglia. La figlia ha chiuso la
relazione abusiva e ha iniziato un percorso di rieducazione. Il figlio è tornato a scuola e ha
iniziato una soddisfacente carriera come istruttore sportivo nelle scuole superiori.
Quando Michael iniziò il suo lavoro con i demoni, non aveva idea di essere in contatto con dei
demoni familiari. Sin dall’adolescenza, soffriva di fobia sociale e sapeva che si trattava di un
demone idra con molte braccia e gambe. Dopo aver lavorato per più di dieci anni nel marketing,
Michael stava vivendo un importante cambio di vita: aveva lasciato il lavoro per avere il tempo
di affrontare la sua fobia sociale. Da bambino, Michael si comportava male per poter essere al
centro dell’attenzione. Era un modo per ottenere l’amore che altrimenti gli sarebbe mancato. Di
recente, aveva scoperto che molte sue paure erano condivise dal padre, portandolo a credere che
gli erano state trasmesse nei primi anni di vita da lui, che a sua volta le aveva ereditate dai propri
genitori e da coloro che lo aveva educato. Michael lavorò con la sua fobia sociale come un
demone di discendenza paterna.
Sebbene Michael volesse essere al centro dell’attenzione, aveva difficoltà a socializzare nei
gruppi. Nutriva sempre la segreta paura di non essere degno, o di essere imperfetto o di venire
umiliato. Incominciò a credere di avere le orecchie a sventola, l’alito cattivo o un cognome
inaccettabile che andava cambiato. Michael scrisse nel suo diario del demone: «Appena una
paura si dissolve, viene rimpiazzata da un’altra. Il tema è sempre che devo cambiare qualcosa per

121
essere perfetto». Questa paura aveva per risultato continue infedeltà, l’alcolismo, l’impossibilità
di mangiare in pubblico e un frequente impulso a nascondersi.
Quando Michael trovò il demone nel proprio corpo, era una sensazione fredda e blu nelle
viscere. Quando lo visualizzò di fronte a sé, era una figura blu, sottile e brutta, coperta di
verruche. Quando pose al demone le tre domande e si scambiò di posto con lui, il demone
rispose che non voleva niente di particolare; quello di cui aveva bisogno erano invece acqua e
vegetazione. Se l’avesse nutrito con queste cose, non si sarebbe sentito tanto esposto e goffo.
Avrebbe avuto una sensazione di benessere e di equilibrio, e si sarebbe sentito a casa e al sicuro.
Quello che Michael trovò più sorprendente, quando si scambiò di posto con il demone, fu che
all’improvviso capì come si sentiva suo padre a essere suo padre. Scrisse nel diario di
comprendere appieno «l’amore totale che provi per tuo figlio (me stesso), mescolato con
l’assoluta paura di venire rifiutato da chi ami, che fa parte della sensazione di non essere degni di
quel livello d’amore. Io [Michael] posso vedere come combattere questo conflitto che porta quasi
a odiare ciò che ami maggiormente. Tutto questo mi diede una sensazione di enorme
compassione per mio padre, mentre finora mi ero concentrato solo sul suo frequente rifiuto nei
miei confronti».
Pensare ai nostri demoni nel contesto più ampio della discendenza materna e paterna può aiutarci
a rintracciare schemi più vasti di comportamento di demoni presenti nelle nostre vite. Per
esempio, vostra madre ha una paura d’ingrassare che ha ereditato da sua madre, la quale da
adolescente era sovrappeso e più tardi ha criticato la figlia per ogni grammo in più. Come forma
di ribellione contro la restrizione materna, voi reagite eccedendo nel cibo. Poi, infelici di essere
sovrappeso, mettete a dieta vostra figlia di undici anni appena diventa un po’ grassottella e così
lei a quindici anni viene ricoverata per anoressia. Oggi vostra figlia è tormentata da problemi che
riguardano l’immagine corporea e il cibo.
Seguendo le tracce dei vostri schemi di comportamento, potete riuscire a liberare i vostri demoni
e a parlare con i vostri figli di quello che avete visto, chiedendo perdono per aver trasmesso loro
quei demoni. I demoni intergenerazionali ne racchiudono molti altri e sono spesso collegati ai
nostri demoni idra.

122
15

123
I demoni della mente
Perché gli spettri ti possiedano –
non c’è bisogno di essere in una stanza –
Non c’è bisogno di essere una casa –
La mente ha corridoi – che vanno oltre
lo spazio materiale –
Assai più sicuro, un incontro a Mezzanotte
con un fantasma – esterno –
piuttosto che con il suo riscontro interiore –
quell’ospite più freddo.
EMILY DICKINSON
Una volta, alcuni Berretti verdi furono inviati, come parte della loro formazione, a un ritiro
buddhista di meditazione di dieci giorni per imparare a lavorare con la mente. Era un ritiro
silenzioso e venne chiesto loro di sedere e concentrarsi sul respiro dal mattino presto fino a tarda
sera. Li istruirono a riportare con gentilezza l’attenzione al respiro ogni volta che divagava. Se
sorgeva un’emozione, dovevano semplicemente osservarla e tornare al respiro. Diedero loro tre
deliziosi pasti al giorno e un posto comodo per dormire. Il centro dove si svolgeva il ritiro era in
un posto idilliaco. Alla fine dei dieci giorni, quando questa élite di soldati ruppe il silenzio, uno
di loro disse: «Dio mio, è stata la prova più dura che abbia mai affrontato. La mia mente non
stava zitta un attimo. Che incubo!».
Pensate, degli uomini coraggiosi, capaci di fronteggiare ogni sorta di nemico esterno, messi in
ginocchio per essersi dovuti sedere in silenzio con se stessi. I Berretti verdi non erano in guerra,
ma dovevano combattere un altro tipo di battaglia, con i loro demoni interni. Questi demoni sono
talvolta chiamati “demoni che non possono essere controllati” o “demoni che continuano a
correre”, o più comunemente “demoni intangibili”. I demoni interni come la rabbia, l’ansia o la
depressione sorgono dalla mente senza stimolazione da parte di un input sensoriale o di fonti
esterne.
Chiunque abbia mai provato a far tacere la mente sa cosa siano i demoni che continuano a
correre. Al contrario di quanto ci piaccia credere, noi non controlliamo la nostra mente.
All’opposto: siamo controllati dai nostri pensieri e dalle nostre emozioni. Anche i Berretti verdi
meglio addestrati e disciplinati non sapevano da che parte iniziare per affrontare la loro mente.
Come la striscia continua di notizie nella parte bassa dello schermo televisivo durante il
telegiornale, la mente non si ferma mai.
Questi pensieri e queste emozioni non sorgono in reazione a uno stimolo esterno diretto, ma
possono spingerci a fare di tutto. Sono connessi con quelle che chiamiamo nevrosi, o complessi,
e includono demoni come la rabbia, l’ansia, il perfezionismo, la paranoia, la vergogna, la
depressione e l’inautenticità, anche se questi pochi esempi danno solo una vaga idea del vasto
regno dei possibili demoni che albergano nella mente umana.
Se avete un demone interno della depressione, per esempio, comunque cambino le circostanze
esterne, resterete depressi. Sarete depressi anche in assenza di un evento triste o di una perdita,
come la morte di qualcuno. Uno stato di smarrimento in cui tiriamo avanti inconsapevoli, un
giorno dopo l’altro, è un demone mentale della confusione. Quando avete questo demone e non

124
riuscite a decidere cosa fare e dubitate di voi stessi, è un demone dell’irresolutezza. Un altro
demone interno è l’ossessione, quando pensieri e fantasie vi girano in testa senza controllo. C’è
anche un demone della timidezza, che rende difficile entrare in relazione con gli altri.
I demoni della mente funzionano giorno e notte, senza requie. Notando e identificando questi
messaggi interiori e i dialoghi che si svolgono dentro di noi, diventiamo consci dei demoni
interni e li liberiamo. Ora consideriamo alcuni di questi demoni interni e come possiamo lavorare
con essi.
I demoni della rabbia
La rabbia può emergere dallo scambio con qualcuno, o dalla frustrazione a causa di eventi o di
oggetti. Per esempio, aspettate qualcuno che magari si è dimenticato dell’appuntamento, o una
persona cara vi dice qualcosa che vi ferisce. O la rabbia può saltar fuori da chissà dove e in quel
caso è un demone interno della rabbia. Senza apparente motivo, ci svegliamo arrabbiati, diamo
un calcio al cane, e trattiamo male i bambini. La rabbia è una delle emozioni più distruttive.
Poche parole rabbiose possono distruggere una lunga amicizia o rompere un legame familiare.
La rabbia può anche essere diretta verso se stessi e diventare un critico interiore tirannico o un
sabotatore. In questi casi, l’energia distruttiva può esprimersi in pensieri o tentati suicidi, o
comportamenti autodistruttivi. Può anche essere più sottile e portarci a sabotare il nostro
successo, facendoci arrivare tardi a un colloquio importante, procrastinando, o distruggendo una
relazione affettiva promettente.
Un punto importante è che possiamo “manifestare” la rabbia per uno scopo senza restare
intrappolati nell’odio. In questo caso agiamo con grinta, ma senza essere presi dal demone della
rabbia; non siamo alla sua mercé, lo usiamo per creare il cambiamento. Per esempio, un attivista
politico potrebbe esprimere la rabbia riguardo a una determinata situazione senza odio per i
responsabili. La rabbia può essere fredda o calda. La rabbia fredda sbatte la porta e chiude il
cuore; attecchisce, certe volte per anni, e rifiuta di ammorbidirsi. La rabbia calda esplode,
sprizza, e brucia in profondità. Va e viene velocemente oppure è una corrente sotterranea
costante che occasionalmente erutta come un vulcano. Comprendere e sfamare i nostri demoni
della rabbia può essere curativo non solo per noi, ma anche per le persone intorno a noi che ne
patiscono le conseguenze.
Barbara, una commercialista di cinquant’anni, venne a una conferenza sulla pratica di sfamare i
demoni e prese parte agli esercizi che proposi durante l’incontro. Mentre ascoltava, comprese di
avere un demone della rabbia che aveva complicato tutte le sue relazioni. Condussi il gruppo in
una pratica dei cinque stadi, e quando lei osservò dove tratteneva la rabbia nel corpo, scoprì che
era sopra al cuore, nel lato sinistro, per poi estendersi nel collo. Aveva un colore scuro, tra il
bruno e il nero, e generava calore. Quando lo personificò, diventò una bambina con un becco e
tante braccia, che digrignava i denti. Una lacrima le scese sulla guancia. C’era una profonda
tristezza negli occhi di quella bimba.
Quando Barbara chiese al demone cosa volesse, rispose che voleva che smettesse di ignorarlo.
Quando chiese di cosa avesse bisogno, le disse del riconoscimento della sua esistenza e della
consapevolezza della sua essenza; questo l’avrebbe fatto sentire amato. Quando Barbara dissolse
se stessa in un bianco e luminoso liquido d’amore, il piccolo demone lo bevve e tutt’intorno si
irradiarono i colori dell’arcobaleno.

125
Barbara chiese alla bimba arcobaleno come l’avrebbe aiutata e lei le rispose: «Io sono il tuo
cuore tenero, la tua capacità di risvegliarti ed essere pienamente presente. Ti ricorderò che
quando ti arrabbi mi nascondi totalmente». Barbara continuò a lavorare con quel demone e dopo
qualche mese mi scrisse di aver notato che non veniva più presa accidentalmente dalla rabbia.
Lottava ancora con una sensazione di vulnerabilità, che affrontava usando la pratica dei cinque
stadi.
I demoni del perfezionismo
Il demone del perfezionismo è un critico implacabile che ci fa sentire come se niente di quello
che facciamo andasse mai bene. In presenza di questo demone tendiamo a fustigarci e a trovare
difetti in ogni cosa facciamo o qualunque aspetto abbiamo. Anche quando riceviamo un elogio,
ci sentiamo così inadeguati da non riuscire a gioirne. Un demone del perfezionismo non ci
permette alcuna giocosità o divertimento; è un negriero senza senso dell’umorismo. Diventa
facilmente un demone esterno della critica, che sottolinea gli errori degli altri e fraintende i loro
commenti in chiave critica. Ma la sua critica è mirata più intensamente a se stesso. Un demone
del perfezionismo fa una lista delle cose “da fare” lunga e dettagliata, e anche quando tutto è
stato fatto non è comunque soddisfatto.
Fiona aveva un demone del perfezionismo, e nutrendolo fece una scoperta sorprendente. La
madre di Fiona era una perfezionista, faceva incessantemente liste e pianificava tutto, e Fiona
aveva attribuito questo comportamento all’epilessia al lobo temporale di cui la madre soffriva.
Aveva attacchi incontrollabili del “grande male” dall’età di sei anni. Da adulta, Fiona scoprì che
le persone con quella malattia sono spesso molto rigide, ma da bambina, Fiona considerava la
madre fredda, esigente e imprevedibile. Pensava di non poter essere amata se non fosse stata una
bambina veramente brava, e questo l’aveva spinta a diventare una perfezionista con un forte odio
verso se stessa.
Fiona decise di lavorare con questo demone di discendenza materna usando i cinque stadi. Sentì
il suo perfezionismo nel torace come una sorta di coltellata fredda. Quando personificò il
demone, apparve una vecchia scheletrica, con capelli e abiti grigi. Spremeva il cuore di Fiona e i
suoi occhi erano scuri e minacciosi. Fiona sapeva che era sua madre. Poi vide che il demone
tremava, e capì che la vecchia aveva paura. Il demone le disse che voleva il suo amore, ma
sapeva che Fiona amava solo la nonna; il demone aveva bisogno di sentirsi più amabile.
A quel punto del percorso, Fiona ebbe un’intuizione. Vide un triangolo di bisogno insoddisfatto
tra lei, la madre e la nonna. La madre si era sempre sentita menomata e inabile a causa della sua
imbarazzante malattia nota a tutti, e per compensare quelle sensazioni aveva cercato di essere
perfetta. Aveva bisogno dell’amore di Fiona, sua figlia, per riempire quel vuoto e farla sentire
amabile, ma il suo perfezionismo aveva tenuto Fiona a distanza. La nonna di Fiona era
intervenuta dandole l’amore nutriente di cui aveva bisogno da bambina e questo aveva escluso la
madre.
Fiona sentì un’intensa tristezza per sua madre, e per il fatto che non erano mai riuscite a darsi il
tenero amore di cui entrambe avevano bisogno. E ora la relazione non poteva progredire, perché
la madre era morta. Fiona nutrì il demone con un cucchiaio di uno scintillante nettare dorato
dell’essere amabile. Il demone si trasformò gradualmente nella madre quando era bambina e
diventò l’alleato. L’alleato disse a Fiona che se riusciva a vedersi amabile senza essere perfetta,

126
si sarebbe liberata del perfezionismo, e tutto sarebbe andato meglio anziché peggio. Promise di
proteggere Fiona e di ricordarle che era di per sé amabile senza dover fare nulla in particolare.
Anche Sonia aveva un demone del perfezionismo, che incideva sulla sua carriera. Violinista
professionista di trentacinque anni, Sonia sentiva che le sue esecuzioni in orchestra non erano
mai abbastanza buone. Continuava a ripensare ai minimi errori commessi e ne era ossessionata.
Si esercitava molte più ore al giorno di quanto non facessero i suoi colleghi. Anche se era
un’eccellente musicista, ne ricavava ben poco piacere a causa del suo demone.
Il suo perfezionismo proveniva dalla madre critica e incline al controllo, che aveva allevato
Sonia senza una risata, senza generosità d’animo, né affetto fisico. La madre non l’aveva mai
considerata né elogiata. Anche se Sonia eccelleva nella maggior parte delle cose che faceva, a
casa riceveva sempre il messaggio che qualcosa non andava nel suo aspetto fisico o nelle sue
prestazioni.
Sonia decise di nutrire il suo demone del perfezionismo, che abitava in lei fin da quando aveva
memoria. Quando osservò dove si trovava nel corpo, sentì che era ovunque, come denti aguzzi
che la rodevano da tutte le parti. Ma il comando centrale sembrava essere nella gola, dove il
demone appariva grigio, grosso e brutto come un tumore carnoso. Era viscoso e le impediva di
parlare.
Il demone prese di fronte a lei la forma di un orribile roditore, un enorme ratto femmina, seduta
sulle zampe posteriori, che fissava Sonia. Era grande quasi quanto lei e alle sue spalle c’era un
gruppo di piccoli ratti, ma la scena non pareva affatto materna. Sembrava piuttosto un padrone
con gli schiavi. Quando Sonia guardò il ratto negli occhi, restò colpita dalla crudeltà che vi lesse,
anche se lei non provava né paura né malanimo. Il ratto aveva denti sporgenti e appuntiti,
scintillanti occhi neri e lunghi artigli affilati a tutte e quattro le zampe. Quando Sonia diventò il
demone, fu colpita da come si sentiva diversa; da ratto era insicura e bisognosa, in modo chiaro e
vivido.
«Devo essere migliore e più brava di te» disse il ratto. «Non puoi mai avere più di quello che ho
io.» «Se avessi quello di cui ho bisogno» aggiunse «mi sentirei potente e bella.» Allora Sonia le
offrì un nettare dorato di potere e bellezza, con l’augurio che il ratto fosse completamente
soddisfatto. Il ratto si rimpinzò e i piccoli le si strinsero intorno smaniosi di essere nutriti.
Diventarono più grassi e rosei, poi rotolarono sulla schiena come maialini e gradualmente
scomparirono. Il grosso ratto femmina diventò molto pigra e letargica. Il suo colore scuro si
attenuò un po’ e il pelo si trasformò in una cute coriacea. Denti e unghie caddero e scomparvero,
e si sdraiò sulla schiena come per dormire. Era ancora un animale brutto e grosso, ma meno
minaccioso di prima.
Poiché il ratto non era completamente scomparso, Sonia comprese di aver bisogno di passare più
tempo con il suo demone. Come passo successivo, continuò il percorso finché il ratto non si
trasformò in un allegro neonato dalle guance rosee che alla fine svanì, e Sonia si riposò in quello
stato.
Quando Sonia invitò l’alleato a comparire, vide una donna feroce che le disse che le avrebbe
fatto la guardia, in modo che Sonia potesse essere creativa senza entrare nello stress della
perfezione. Nei mesi seguenti in cui lavorò con questo demone, Sonia notò che il suo
perfezionismo diminuiva, e che gioiva delle proprie esecuzioni, anziché sottolinearne solo i
difetti. Prese la decisione consapevole di smettere di esercitarsi ossessivamente, e di conseguenza

127
il suo modo di suonare migliorò. La sua musica era più piena di vita, e lei stessa iniziò a sentirsi
così.
I demoni della depressione
Questi demoni possono essere tanto pervasivi da rendere difficile localizzarli nel corpo. È arduo
perfino trovare la motivazione per sfamare un tale demone, perché la depressione può essere
paralizzante. Tali demoni contengono spesso varie emozioni confuse insieme: dolore, rabbia,
irreparabilità, disperazione, e paura possono essere presenti contemporaneamente. La
depressione può essere temporanea o una malattia cronica tanto radicata da rendere difficile la
vita normale. La depressione getta un’ombra fosca su tutto quanto. Possiamo passare giorni,
settimane, o anche anni sotto il controllo di questo demone.
Talvolta la depressione è un demone esterno che proviene dall’oppressione, nel senso che è
specificamente connesso a circostanze esterne, e se queste cambiano la depressione si allevia.
Durante il regime talebano in Afghanistan, quando le donne erano orribilmente oppresse e non
era permesso loro di studiare o di esercitare una professione, un’onda di depressione avvolgeva
la nazione e molte donne afghane si suicidarono. Ma quando il problema della depressione non
muta con il cambiamento della situazione, significa che si tratta di un demone interno. Un
demone interno è un demone che portiamo con noi qualsiasi siano le circostanze esterne.
Possiamo essere in un bel posto con persone meravigliose e tuttavia sentirci depressi. Negli Stati
Uniti, dove gli antidepressivi sono sempre più diffusi, circa 18,1 milioni di americani (il 6 per
cento della popolazione) soffre di depressione.
La depressione risponde bene alla pratica di nutrimento del demone perché i primi due stadi
aiutano a dare una forma precisa al problema, che altrimenti può restare nello stato di nebulosità
e di letargia che spesso accompagna questo demone. Quando chiariamo la sede del demone, il
suo colore, la struttura e ne definiamo le caratteristiche, lo portiamo su un piano dove i suoi
bisogni possono essere affrontati.
Jason era il direttore esecutivo di un’organizzazione per giovani disoccupati. La sua depressione
cronica lo aveva portato ad allontanarsi completamente dalla moglie e dai due figli. Diventò
molto silenzioso e si sentiva distante da tutti, al punto da avere difficoltà a lavorare. Descrivendo
la propria esperienza al terapeuta, parlò della sensazione di non avere pensieri, come se il
cervello fosse vuoto. Nelle situazioni sociali, restava totalmente muto. Il terapeuta gli suggerì di
provare a sfamare i suoi demoni.
Jason praticò per la prima volta il nutrimento del demone della depressione il giorno dopo aver
organizzato una cena insieme alla moglie. Era stato incapace di partecipare alla conversazione, e
alla fine della serata si era sentito così solo e isolato che non riusciva più nemmeno ad ascoltare.
Ripensando agli eventi del giorno prima, gli venne un nodo alla gola, i muscoli del collo si
contrassero, e non riuscì più a parlare. Si sentiva indegno e pieno di vergogna. Il colore associato
a questa sensazione era il blu.
Il demone che vide di fronte a lui era grande quanto tutta la stanza. Aveva una pelle squamosa,
verde blu, iridescente, e dal suo corpo partivano trenta o quaranta arti, come i raggi di una stella.
Usava quelle estremità come braccia e gambe, però invece di avere mani e piedi terminavano in
punte aguzze. La testa era posta in cima a uno di quegli arti e i suoi piccoli occhi calcolatori
guardavano Jason con grande freddezza. Quando Jason esaminò il demone più da vicino, scoprì
che pulsava, e le sue estremità ondeggiavano a un ritmo costante. Quando gli chiese cosa

128
volesse, il demone rispose che voleva la sua compagnia ed essere in intimità con lui. Quando gli
domandò di cosa avesse bisogno, disse di amicizia per sentirsi vivo e contento.
Quando Jason ritornò al suo posto, il terapeuta gli suggerì di nutrire il demone, ma Jason disse di
provarne ripulsa e di non volerci avere a che fare. Per motivarlo, il terapeuta gli spiegò che il
malanimo tra lui e il demone esisteva da tanto tempo, e che se non dava qualcosa al demone, non
sarebbe mai cambiato nulla. Allora Jason si convinse a provare a offrire al demone una certa
vicinanza, ma lo fece tiepidamente e si rifiutò di offrirgli vitalità e appagamento.
Sfortunatamente la seduta era alla fine, e decisero di continuare la volta successiva. L’esempio di
Jason dimostra che se non comprendete che nutrire i vostri demoni non li rende peggiori ma li
libera, proverete paura o resistenza. Dovete capire abbastanza bene la teoria per fidarvi del
percorso o almeno avere l’intenzione di provarci.
Nella seduta successiva, Jason era più aperto al processo, e quando visualizzò il demone, questi
aveva lo stesso aspetto ma non era più pulsante. I suoi occhi freddi fissarono ancora Jason. Come
la volta prima, Jason non voleva avere a che fare con lui. Il terapeuta lo incoraggiò a provarci,
visto che niente di quello che aveva fatto fino a quel momento aveva alleviato la sua depressione.
Jason fu d’accordo a tentare. Quella volta, quando s’identificò con il demone, risultò che aveva
bisogno della felicità di Jason per accettarsi così com’era e per avere fiducia in se stesso. Se
avesse ottenuto ciò di cui aveva bisogno, avrebbe provato gioia.
Quando cambiò posto, Jason si rifiutò di dare qualsiasi cosa al demone, perché ancora non aveva
fiducia nel percorso. Ma dopo un po’ d’incoraggiamento da parte del terapeuta, accettò di
nutrirlo con un po’ di gioia. Jason visualizzò la felicità come una luce blu scuro, fluorescente,
che gradualmente fece scorrere verso il demone. Più la lasciava fluire e più si sentiva commosso,
e alla fine le lacrime tanto a lungo trattenute cominciarono a scorrere. A poco a poco, vide il
demone completamente soddisfatto.
Alla fine della pratica, Jason si sentì in pace, integro e connesso al mondo. Prese il cuscino blu su
cui aveva visualizzato il demone, lo abbracciò, e scoppiò di nuovo a piangere. Poi invitò l’alleato
a comparire. Era un elfo verde blu che gli promise di insegnargli la gioia e la vicinanza alla
natura. Alla fine della seduta, Jason era molto aperto e i suoi occhi erano raggianti. Si sentiva
anche un po’ disorientato, perché questa esperienza aveva scosso la sua filosofia di vita negativa.
Ma nelle settimane successive non evitò più i contatti con gli altri, e fu più vicino alla moglie e
alla famiglia. Dopo altre sessioni, la depressione diminuì.
Jason comprese che la sua filosofia di vita era stata creata dalla depressione, e fu disposto a
lasciarla andare. Cominciò a condividere di più le sue emozioni con la moglie e tra loro nacque
un’intimità mai vissuta prima. Quando si sentiva felice, non si bloccava sentendosi indegno.
Certe volte, la depressione lo affligge ancora, ma in queste occasioni ha imparato a praticare da
solo il nutrimento dei demoni. È stupefatto che la depressione, che pensava lo avrebbe tenuto in
scacco per sempre, è ora gestibile.
L’esperienza di Jason con la depressione è tipica. Come dicevo precedentemente, quando
abbiamo a che fare con un demone potente che ci ha fatto molto male, possiamo nutrire un forte
risentimento nei suoi confronti, come è chiaro dai rifiuti iniziali di Jason a nutrire il demone.
Offrire solo una parte di quello di cui ha bisogno il demone può essere un modo utile per
superare la resistenza.

129
Talvolta la depressione si trasmette di generazione in generazione. Angela, una ventenne che
lavorava come commessa in un negozio d’abbigliamento, aveva una storia familiare di
depressione. La sorella era affetta da sindrome bipolare, e la madre e la nonna erano entrambe
gravemente depresse. Quando Angela affrontò il primo stadio del nutrimento del demone della
depressione, lo sentì come una pesante cosa nera che le premeva la testa e le spalle,
schiacciandola. Prese la forma di uno scorpione nero che camminava sul ghiaccio crepato, freddo
e instabile. Voleva far male alle persone, lacerarne la carne. Quando Angela cambiò di posto e
diventò il demone, si sentì piena di odio e di violenza e comprese quanta rabbia stava dietro alla
sua depressione. Il demone disse che aveva bisogno di qualcuno che provasse compassione per
lui ed era furioso perché non l’aveva mai trovato. Se avesse ricevuto compassione, si sarebbe
sentito sollevato.
Quando Angela iniziò a nutrirlo con un nettare di sollievo, lo scorpione si trasformò, il suo
guscio duro si spaccò per rivelare un morbido corpo roseo. Alla fine diventò un anemone di mare
che fluttuava libero in un meraviglioso oceano color acquamarina, completamente rilassato.
Questo alleato disse ad Angela che avrebbe aiutato lei e la sua famiglia offrendo amore, un
oceano d’amore, a chiunque soffrisse di depressione.
Dopo aver lavorato per un po’ con questo demone, Angela mi disse che aveva aiutato a guarire
sia lei che la sua famiglia. La sorella, che aveva sempre negato il suo problema, all’improvviso si
rivolse a un gruppo di sostegno per persone bipolari nella sua zona e iniziò una terapia. Non c’è
modo di sapere se il lavoro di Angela fosse direttamente collegato con i progressi della sorella,
ma spesso le matrici familiari si trasformano quando un membro della famiglia cambia, e Angela
sentì che il suo lavoro l’aveva aiutata.
I demoni della vergogna
Se provate vergogna e la ascoltate, troverete molti altri demoni, inclusi quelli della dipendenza,
del potere, dell’abuso e dell’ansia. Quando abbiamo un demone della vergogna, desideriamo
ardentemente essere invisibili, ma in segreto vogliamo l’approvazione degli altri. Le persone che
hanno come tratto fondamentale del carattere la vergogna si sentono come se avessero un segreto
sporco che devono nascondere, anche se non sanno qual è. Hanno paura che venga scoperto e
rivelato, dunque hanno anche paura dell’intimità.
La vergogna familiare è spesso inespressa, ma prontamente assorbita dalla mente sensibile dei
bambini. Per esempio Celeste, una giovane donna cresciuta in una famiglia povera, aveva
vergogna del posto in cui viveva. Quand’era bambina, chiedeva all’autista dell’autobus
scolastico di lasciarla davanti a una bella casa, e appena l’autobus si era dileguato, lei girava
l’angolo e correva verso la roulotte in cui viveva con i genitori e la sorella. Sfortunatamente,
questo significava non poter mai invitare gli altri bambini a giocare a casa, e vivere nel timore
che il suo segreto venisse scoperto.
Talvolta, la vergogna è difficile da individuare. Celeste non sapeva come identificare il suo
demone, ma conosceva bene la nauseante sensazione che emanava. Quando entrò nel suo corpo,
scoprì il demone nelle viscere, e percepì fisicamente una sottile nausea. Iniziò a seguire quella
sensazione di disagio e vide che la spingeva a ingraziarsi gli altri. Alla fine, identificò il
problema nodale nel senso di vergogna, la sensazione di non essere mai pienamente e con agio
presente nel proprio corpo.

130
Tutto questo si manifestava nella vita di Celeste come un bisogno di approvazione e di affetto da
parte degli altri che la faceva scendere a patti con la sua integrità personale. Aveva paura di
affrontare situazioni in cui potesse sentirsi rifiutata, incompetente o goffa. Sentiva spesso il
bisogno di nascondersi. Il suo problema non era evidente agli altri, che la vedevano come una
persona sicura ed estroversa.
Il demone della vergogna di Celeste era rosa e viscido, ed era situato nella gola. Lo visualizzò di
fronte a sé sotto forma di una salamandra. Non aveva spina dorsale ed era subdolo, con astuti
occhi dardeggianti. Voleva confonderla e renderla insicura. Quando gli chiese di cosa avesse
bisogno, rispose dell’accettazione della sua vulnerabilità; allora si sarebbe sentito amato. Tornata
al suo posto, Celeste dissolse il suo corpo in un nettare di amorevole accettazione. Una volta
nutrita, quella creatura simile a un lombrico si sciolse in una pozzanghera. Poi Celeste riposò in
uno stato di apertura.
Da quando Celeste ha scoperto questo demone centrale, le cose sono molto cambiate per lei.
Quando arriva la sensazione di nausea, la riconosce e non ne resta intrappolata. Piuttosto pensa:
«Oh, va bene, sto di nuovo sentendo quella vergogna. Non ho bisogno di resisterle e lei non mi
sommergerà. L’ho già incontrata; so sa fare». Nutre il demone e la vergogna scompare. Con il
tempo, si è resa conto che quelle sensazioni non le tendono più agguati come in passato.
Anche Bethany, una maestra elementare di trentotto anni, aveva un demone simile. Soffriva di
una tale vergogna di se stessa che tutta la sua esistenza le pareva disdicevole. Da bambina le
avevano regalato un libro su una piccola oca chiamata Borka, che veniva presa in giro e
ridicolizzata in famiglia perché era senza penne. La diversità di Borka era così evidente che non
poteva nasconderla. Un giorno la madre le confezionò un ruvido maglione grigio perché non
avesse troppo freddo, ma lei non riusciva a volare. In autunno, quando la famiglia migrò verso
sud, Borka fu lasciata lì con il suo maglione, a piangere nascosta nell’erba.
In famiglia, Bethany si sentiva come Borka, un alieno spaesato. La madre le diceva: «Stai
cercando di imbruttirti apposta?». Da ragazza, temeva sempre di essere brutta, aveva vergogna
del suo corpo e voleva nasconderlo. Crescendo, non riusciva mai a sentirsi parte di un gruppo.
Quando Bethany lavorò con il suo demone della vergogna, provò una sensazione ruvida, grigia,
aspra al cuore. La sensazione diventò un demone simile a un sacco chiuso in alto, che voleva
coprirla e farla scomparire. Era del tutto insoddisfatto di lei e turbato. Quando Bethany gli chiese
di cosa avesse bisogno, rispose di essere sciolto da un incantesimo per tornare a essere libero.
Ricevendo il nettare della libertà, si dissolse come un pupazzo di neve investito da
un’improvvisa folata di calore e si trasformò in un cerbiatto bianco. L’alleato, il cerbiatto,
incoraggiò Bethany a continuare a dare compassione a se stessa per liberarsi dall’incantesimo
della vergogna.
I demoni dell’ansia
L’ansia è la paura che qualcosa di brutto ci possa accadere in futuro, qualcosa di violento, un
incidente o una perdita improvvisa. Ci sono molte forme d’ansia, compresi gli attacchi di panico,
i comportamenti ossessivo-compulsivi, l’ansia generalizzata e varie forme di fobia. L’ansia
colpisce ancora più persone di quanto non faccia la depressione; circa 40 milioni di americani
(grosso modo il 13 per cento della popolazione) presenta disturbi legati all’ansia. La maggior
parte delle persone che soffre di ansia ha anche altri problemi e spesso questi sintomi sorgono in
aggiunta alla depressione e all’abuso di medicinali. Gli attacchi di panico sono spesso collegati

131
all’agorafobia o alla claustrofobia. Alcuni tipi di ansia vengono scatenati da circostanze esterne,
ma spesso sono indipendenti; in questo caso si tratta di demoni interni.
L’ansia, come la depressione, sta diventando sempre più comune e i farmaci che la trattano sono
diffusissimi. Proviamo uno stato di ansia quando le nostre difese cominciano a cedere e la nostra
vulnerabilità emerge; quando perdiamo il lavoro o una relazione finisce, o quando un qualsiasi
evento fa vacillare il nostro mondo. La paura del terrorismo, il riscaldamento del pianeta e la
disgregazione della famiglia, delle comunità e delle relazioni sono tutti fattori che contribuiscono
all’ansia.
Monica, una donna di quarantadue anni, direttrice di una biblioteca, sposata e senza figli, era
cresciuta in Europa, tra arte, musica, letteratura, in una famiglia che amava viaggiare. Ma quando
Monica aveva quindici anni, al padre fu diagnosticata una schizofrenia paranoide. Quando la
madre lasciò tutto per stare alcune settimane con lui in un ospedale psichiatrico, Monica e la
sorella rimasero sole.
La paranoia del padre si concentrava sull’immaginaria infedeltà della moglie. La moglie iniziò
ad avere paura di lui e tre anni dopo divorziarono. Monica restò con la madre e a diciannove anni
ebbe il primo attacco epilettico. A vent’anni se ne andò di casa, e si laureò in scienze
bibliotecarie. Il padre si tolse la vita quando lei aveva ventidue anni. Pur continuando a lavorare,
Monica iniziò a bere e ad avere casuali storie di sesso nei fine settimana. Cominciò anche a
bruciarsi con le sigarette. A trentacinque anni iniziò a praticare yoga e meditazione, e cessò i suoi
comportamenti autodistruttivi, ma continuava a provare tantissima ansia e sfiducia. In quel
periodo partecipò a un ritiro di due giorni sulla pratica di nutrire i demoni.
Monica sentiva il demone dell’ansia nel torace, con una sensazione d’intensa chiusura, come un
muro di mattoni. L’energia era dura, fredda, grigia, come pezzi di ghiaccio. Quando la
personificò, vide di fronte a sé un piccolo essere umano scuro, asessuato. Aveva i capelli neri,
era freddo e squamoso e i suoi occhi erano inermi e imploranti.
Il demone voleva distruggere Monica, ma disse che quello di cui aveva realmente bisogno era
calore; se l’avesse ricevuto, si sarebbe sentito amato. Dopo che Monica dissolse il suo corpo in
un nettare d’amore, il demone diventò più luminoso, un essere amichevole, solare e amabile. Poi
svanì in una vaga luce perlacea. Quando Monica invitò l’alleato, apparve una donna di medicina
con lunghi capelli d’argento, seduta in una foresta. La donna promise di proteggere Monica e di
comparire ogni volta che lei si fosse sentita in pericolo.
L’ansia può essere travolgente, quando gli eventi sembrano accumulare una difficoltà dopo
l’altra. Paul già soffriva di ansia e problemi di controllo, quando perse il lavoro. Divorziato da
poco, doveva trovare del tempo da passare con i figli, ma anche cercare un nuovo impiego.
Aveva tantissime spese e cominciò a pensare di mettere in vendita la casa. La vita sembrava
sfuggire al suo controllo. Aveva imparato la pratica di nutrire i demoni durante un ritiro di Chöd
e decise di applicarla all’ansia.
Quando nel primo stadio entrò nel proprio corpo, Paul trovò l’ansia posizionata alla base del
collo, tra le spalle. La sentì saltellante ed elettrica, come un filo d’alta tensione. Era fredda, di
ghiaccio e lo fece tremare. Provò una sconcertante leggerezza che gli diede la sensazione di
essere scisso proprio nel punto in cui la testa si collega al torso. Quando visualizzò il demone
fuori dal corpo e lo personificò, era una massa contorta di spade, rasoi, coltelli e lame
meccaniche, tutte saldate a un perno centrale che ruotava disordinatamente. Non aveva volto.

132
Quando Paul chiese al demone di cosa avesse bisogno, quello rispose: «Libertà dalla reclusione e
più aria da respirare». Se avesse ottenuto più aria, si sarebbe potuto rilassare.
Quando Paul lo nutrì con il rilassamento, le lame del demone si fusero, e lui lentamente si
ridusse a una piccola sfera d’acciaio formata da tanti strati sovrapposti. Era ancora lucido, ma un
meraviglioso splendore prese il posto della dura superficie riflettente. Rimbalzava giocosamente
di fronte a Paul, che sentì sollievo in tutto il corpo. Tra le spalle percepì un nuovo senso di calore
e di solidità. Il demone non voleva tornare nel suo corpo e continuò a giocare di fronte a lui.
Diventò un alleato che lo incoraggiò a rilassarsi.
I demoni dell’inautenticità
Quando Carla, una scrittrice di cinquantanove anni, era bambina, sua madre voleva che tutti
andassero d’accordo e fossero felici, sia per mantenere le apparenze che per la propria pace
mentale. Ma, sfortunatamente, i genitori non sapevano gestire la rivalità tra i figli, e Carla, il
fratello e la sorella litigavano di continuo. Da adulti, alle riunioni familiari, i tre fratelli
simulavano armonia per il benessere della madre. Quando Carla partecipava a quegli incontri,
aveva spesso la sensazione di barare, intrappolata dal messaggio inespresso di agire come se
tutto andasse a meraviglia. Ne parlò al fratello, ma lui non capiva perché provasse un tale disagio
a “fingere” per così poco tempo. Carla finì per stare peggio, sentendo che il suo malessere era
ingiustificato e che non avrebbe dovuto avere una simile reazione. Anche se continuò a
partecipare alle riunioni familiari, ogni volta era per lei come tradire se stessa. Agli incontri, si
sentiva profondamente sola e la notte si addormentava piangendo. Comprese che si trattava di
un’inautenticità che le era sempre stata richiesta.
Era un demone difficile, proprio perché non era qualcosa di grave come una dipendenza o una
depressione, ma pesava su Carla così tanto che lei arrivò a temere le riunioni familiari. Decise di
nutrire quel demone. La fredda, bluastra sensazione che sentiva nel torace emerse sotto forma di
strega, con la pelle blu coperta di verruche. Il demone agitava il dito contro Carla, guardandola
con aria accusatoria.
La strega disse che aveva bisogno di essere autentica e allora si sarebbe sentita libera. Dopo
essere stata nutrita con la libertà, la strega prese l’aspetto di una ragazza forte e selvaggia. Era
l’alleato, che promise a Carla di proteggerla dal tradire se stessa e di aiutarla a dire di no. Quando
assorbì in se stessa l’alleato, Carla si sentì rafforzata e parlando con la sorella le disse che non
avrebbe partecipato alla successiva riunione familiare. Provò paura, ma anche un senso di
liberazione. Da allora, Carla sceglie con cura a quali riunioni familiari partecipare e non sente di
doverci andare solo perché gli altri se lo aspettano.
Karen, una psicoterapeuta di trentotto anni, aveva un demone simile, che lei chiamava il
“demone radioso”. I suoi genitori avevano divorziato quando lei aveva quattro anni, perché la
madre non voleva più essere picchiata dal marito. Dopo il divorzio, Karen diventò la “figlia
radiosa” di sua madre: era l’unica fonte di gioia che aveva nella vita. Dovendo fare le veci del
padre, Karen imparò a riparare le cose in casa e sembrava non avere paura di nulla. Solo quando
diventò grande e andò a vivere da sola, si permise di esplorare il suo lato ombra.
Da bambina, Karen era stata una brava allieva, di solito la prima della classe, ed eccelleva in tutti
gli sport. La madre e la famiglia nel suo insieme erano molto orgogliosi di lei. Poi le venne una
tonsillite e fu ricoverata per alcune settimane in ospedale. Durante il ricovero, ricevette un sacco
di amore, cure e regali da parte dei parenti. Da allora, sviluppò la tendenza ad ammalarsi per

133
avere attenzione e prendersi una pausa dal dover sempre raggiungere qualcosa. Da adulta, Karen
continuava a eccellere in tutto quello che faceva, ed era una professionista di alto livello, ma ogni
volta che era sotto pressione si ammalava.
La pratica dei cinque stadi con questo demone iniziò quando Karen un mattino si svegliò con la
gola infiammata. Stava frequentando un nuovo corso di formazione ed era sotto pressione per
portare a termine un progetto. Sapeva che il suo demone arrivava sempre nello stesso modo: un
formicolio in gola, seguito da mal di testa e gola infiammata. Arrivava quando sentiva di dover
raggiungere dei risultati, ma in realtà aveva bisogno d’amore.
Non appena si concentrò sulla gola, la tensione di Karen scomparve e fu rimpiazzata da una
sensazione di calore e apertura al cuore. Proseguì, dando forma alla sensazione nel secondo
stadio, e scoprì un buffo personaggio, la cui faccia era un sole che ride, come nel disegno di un
bambino. Rideva così tanto che non riusciva a vedere i suoi occhi e lui evitava di incontrare lo
sguardo di Karen, danzando e mettendosi in mostra. La faceva ridere, era così allegro.
Quando cambiò di posto e incarnò l’allegro demone, Karen fu sorpresa di scoprire che dietro la
maschera del sole c’era un’incredibile tristezza. Il demone radioso aveva bisogno di essere visto
e amato per quello che era, non per la sua facciata. Quando Karen si sedette al posto del demone,
scoppiò a piangere. Continuò a piangere anche dopo essere tornata al suo posto, perché
riconobbe l’abitudine profondamente radicata di fingere che tutto andasse bene.
Nutrì il demone radioso con amore e accettazione, e lui diventò una bambina di quattro anni,
molto dolce, con i capelli biondi e i nastri intrecciati nei capelli; ma non era l’alleato. L’alleato
apparve come una feroce yogini, circondata dalle fiamme. Poi Karen notò che la sensazione di
calore al cuore si era propagata in tutto il corpo. Il bruciore alla gola e il mal di testa se ne erano
andati. Grazie a questa esperienza riconobbe il fardello che aveva portato per la famiglia, e capì
come la malattia fosse il suo tentativo di trovare una via d’uscita. Ora quando sente il bruciore
alla gola, nutre il demone anziché ammalarsi. Quando è possibile, lo fa con un amico, altrimenti
da sola.
Nutrendo i nostri demoni interni, possiamo scoprire che problemi che pensavamo
irrimediabilmente cronici si riducono e si dissolvono. Certe volte scompaiono di colpo, altre
volte ci vuole una serie di pratiche di nutrire i demoni. Da parte mia, ho dovuto lavorare per un
mese su un demone dell’abbandono, prima di notare che non emergeva più. Talvolta ho ancora
delle regressioni, ma per lo più se n’è andato. Se ritorna, ora so cosa fare.
I demoni interni prosperano nei pensieri e nei ricordi, e quando impariamo a liberarli si
dissolvono come onde che ricadono nell’oceano. La vera natura della mente è chiara e lucida e
dunque, gradualmente, dopo avere nutrito i demoni nel quinto stadio, possiamo lasciare che essa
riposi nella sua vera natura, che è vasta come l’oceano. I demoni della mente possono indurci ad
azioni dannose, come ferire noi stessi o gli altri, è quindi importante esserne consapevoli. Come i
Berretti verdi che soffrivano di più per i loro demoni interni che non per i nemici esterni, la
maggior parte di noi soffre di più per quello che emerge interiormente che non per quello che ci
opprime dall’esterno.

134
16

135
I demoni dell’esaltazione
Pensavo che l’ombra dell’uomo fosse la sua vanità.
FRIEDRICH NIETZSCHE
I demoni dell’esaltazione, la terza categoria di demoni di Machig, hanno due aspetti:
l’attaccamento alla reputazione mondana e l’inflazione per i frutti del cammino spirituale. È
importante comprendere che i demoni dell’esaltazione sono distruttivi quanto i demoni esterni e
interni, più evidentemente negativi. Sono anche più difficili da riconoscere, perché sono collegati
a esperienze piacevoli. Come abbiamo già visto, ognuno dei quattro tipi di demoni di Machig ci
conduce a una maggiore profondità della nostra mente. Ogni categoria è più sottile della
precedente, e questo terzo gruppo di demoni è davvero molto sottile.
Noi siamo sempre a caccia di esperienze che ci diano il massimo brivido, si tratti di droghe, alcol
o altri tipi di piaceri, quali il cibo, il sesso, i viaggi. Ironicamente, la brama di momenti
illuminanti è di per sé un ostacolo spirituale. Ricordo di aver visto in un piccolo teatro di New
York un monologo del defunto Spalding Gray, cofondatore della compagnia teatrale newyorkese
Wooster Group. Descriveva un suo viaggio in Asia in cui aveva speso tutto il tempo alla ricerca
di un singolo momento di epifania, che gli era costantemente sfuggito. Nell’ascoltarlo, compresi
quanto questa brama per quell’unico momento perfetto ci incalzi, creando dèi e demoni.
I demoni mondani dell’esaltazione
I demoni mondani dell’esaltazione sono collegati a un esagerato senso di compiacimento
riguardo al successo, al lavoro, alla famiglia o ai beni. Pensate ai momenti in cui vi siete sentiti
gonfi d’orgoglio per i vostri vestiti, la casa, il vostro aspetto, l’automobile, o per la vostra
ricchezza. Questo demone è collegato anche con ogni professione ritenuta onorevole e in cui si
ha potere sugli altri. Quando penso a questo demone, ho l’immagine di una persona letteralmente
gonfia come un pallone. Il capo che ha potere sulla vita degli impiegati può sviluppare un
demone dell’esaltazione, gonfiato dalle lodi o dallo status che ottiene grazie al suo lavoro.
L’inflazione si verifica anche quando si diventa ricchi, famosi, o entrambi, perché ne deriva un
senso di superiorità o la convinzione di meritarsi un trattamento speciale. Oppure questi demoni
possono manifestarsi in forme più sottili d’orgoglio, come riguardo ai figli o per le proprie
capacità professionali.
Parlavo di questo demone con la mia amica Christine, che è medico. «Eh sì, c’è un periodo
durante il tirocinio in cui questo demone appare» disse lei. «I medici tutor lo chiamano “la fase
critica”, perché il tirocinante diventa troppo sicuro di sé e arrogante riguardo alle proprie
diagnosi.»
Mi raccontò di Jody, una brillante praticante di radiologia, laureata all’Harvard Medical School.
Era orgogliosa della sua abilità nel leggere i raggi X, così quando in una seduta vide due lastre
anomale, saltò immediatamente a una conclusione. Ma quando poi le riesaminò con il suo
supervisore, lui le dimostrò che aveva trascurato alcuni importanti indizi e così aveva sbagliato
completamente la diagnosi. In retrospettiva, Jody comprese che la sua eccessiva sicurezza era un
segnale di pericolo che lei aveva ignorato.
I demoni spirituali dell’esaltazione
Nella descrizione dei demoni dell’esaltazione, Machig mise l’accento su quelli spirituali, che
emergono quando ci attacchiamo al prestigio e ai segni propizi del nostro percorso spirituale.

136
Come i demoni mondani dell’esaltazione, anche questi sono considerati ingannevoli, essendo
collegati a esperienze positive. I demoni spirituali dell’esaltazione possono portare all’uso
scorretto dell’autorità spirituale, alla manipolazione degli altri a nostro vantaggio.
Nell’epoca attuale di instabilità e di ricerca dell’anima, i predicatori e i guru hanno una grande
opportunità di usare la loro posizione per creare culti o controllare la mente degli altri. Se siete
un insegnante o una guida spirituale, sarete sommersi dalle lodi dei discepoli o dei devoti colpiti
dalle vostre qualità spirituali. Magari vi vengono offerte grandi somme di denaro o un’alta
posizione. Tutto questo può distruggere la vostra umiltà e portarvi all’inflazione dell’io.
Un esempio estremo dei demoni dell’esaltazione spirituale è quello dell’americano Jim Jones,
fondatore di un culto che si spostò dagli Stati Uniti alla Guyana. Jones si considerava una
reincarnazione di Cristo e Lenin. Nel 1978, quando ricevette la visita di un membro della camera
dei deputati statunitense che investigava sui potenziali abusi dei diritti umani, Jones ordinò
l’assassinio del deputato e della sua scorta, e poi spinse i suoi seguaci a un suicidio di massa in
cui morirono più di novecento persone.
Questi demoni spirituali dell’inflazione dell’io sono potenti nei capi religiosi, abili nel
manipolare le persone attraverso la speranza e la paura. È facile riconoscere insegnanti o ministri
del culto catturati da questo demone, perché descrivono se stessi e la loro missione come il bene
e il resto del mondo come malvagio o corrotto. Queste guide sono spesso settarie e paranoiche.
Cercano di impedire ai seguaci di avere relazioni con il mondo “esterno” e sostengono di poter
giudicare solo loro il valore dei devoti. Credono anche che il ricorso alla violenza possa essere
giustificato per realizzare la loro missione.
Nella nostra vita tutto questo può manifestarsi meno drammaticamente sotto forma di orgoglio
spirituale, o di desiderio che gli altri pensino che siamo pienamente realizzati spiritualmente.
Talvolta, se facciamo un lungo ritiro, vogliamo che alla fine tutti pensino che ci siamo illuminati.
Se si fanno questa idea, rischiamo la collusione e di portarli fuori strada. È importante vegliare su
questa tendenza in noi stessi, mantenere autentiche le relazioni con i nostri insegnanti e
continuare a praticare con diligenza.
Anche se è importante riconoscere i pericoli cui ci espongono le guide spirituali che fanno un
cattivo uso del potere, è utile ricordare che molti autentici insegnanti non sono in balia del
demone dell’esaltazione. Spesso i più grandi maestri sono quelli più umili e senza pretese. Per
esempio, Sua Santità il Dalai Lama è considerato dai tibetani un Buddha vivente e potrebbe
senz’altro correre il rischio di essere catturato da questo demone, ma è invece umile e
compassionevole con tutti.
Se scopriamo di aver assunto un’aria di superiorità o cominciamo a credere che chi la pensa
diversamente da noi sia in errore, è al lavoro il demone dell’esaltazione. Quando siamo in balia
di questo demone, smettiamo di esaminare le nostre motivazioni e azioni. Il nostro
comportamento diventa trasandato e disattento. Se demoni di questo tipo appaiono senza che li
riconosciamo, verremo travolti.
Uno dei modi per evitare di essere catturati dal demone dell’esaltazione è di essere avvertiti in
anticipo. Ayu Khandro, una grande yogini del XX secolo, la cui biografia è riportata nel mio
libro Donne di saggezza, era in ritiro quando un gruppo di nomadi chiese il suo aiuto. Racconta
nella sua biografia: «Verso la fine dell’autunno, scoppiò un’epidemia tra gli animali dei nomadi.
Mi chiesero di intervenire e lo feci attraverso la pratica del Chöd. L’epidemia si fermò e tutti

137
cominciarono a dire che ero una grande praticante. Quando iniziarono a onorarmi, ero
preoccupata, ricordando che Trulzhi Rinpoche diceva che era un ostacolo demoniaco. Allora
iniziai un ritiro più rigoroso». Era stata avvertita riguardo al demone dell’esaltazione, così ne
riconobbe il potenziale e riuscì a proteggersi.
In situazioni più contemporanee, il demone può emergere negli insegnanti o nei ministri
religiosi. Chris era un noto professore di religioni orientali in un college della Costa orientale
degli Stati Uniti, famoso per i suoi corsi all’avanguardia. A una delle mie conferenze, la
descrizione del demone dell’esaltazione gli suonò familiare. Di conseguenza, decise di venire a
un ritiro e confessò che sentiva di avere questo demone. Non aveva ancora abusato del suo status
di noto professore, ma si riconobbe una tendenza a godere dell’ammirazione dei suoi studenti.
Vide in se stesso il potenziale per l’abuso di potere. Durante il ritiro praticò i cinque stadi e più
tardi mi scrisse che, anche se era stata dura ammettere la presenza di quel demone, riconoscerlo
lo aveva aiutato a evitare di approfittare della stima dei suoi studenti.
Ayu Khandro, riconoscendo i rischi creati da quel demone, applicò uno degli antidoti
tradizionali: entrare in ritiro, perché in un rigoroso ritiro non c’è nessuno che ci applauda! Ma
non tutti ci possiamo permettere questo lusso, dunque è saggio essere consapevoli dei potenziali
trabocchetti del demone dell’esaltazione. Tuttavia, venire elogiati non è di per sé un segno della
presenza di questo demone. Se venite onorati, ma riconoscete che la lode non è che un’eco senza
valore, allora non siete in balia del demone dell’esaltazione. Ma se venite elogiati dai vostri
studenti o dai vostri colleghi o avete un ampio seguito, siete in pericolo di cadere in suo potere.
Preti, insegnanti, ministri del culto, insegnanti yoga, guru, sceicchi, rabbini o capi religiosi
corrono il rischio di essere associati con il divino o con l’illuminato, il che dà loro un potere
speciale e un’autorità sugli altri. La posizione di rappresentante terreno o d’intermediario del
divino si presta al demone dell’esaltazione. Quando i pensatori buddhisti tradizionali parlano del
demone dell’esaltazione, sottolineano sempre la sua pericolosità per i ricercatori spirituali.
Un altro aspetto interessante di questo demone è come si manifesta interiormente. A livello
interiore, si rivela come l’orgoglio spirituale che nasce da sogni, visioni, esperienze meditative o
poteri spirituali. Magari fate un sogno speciale e poi ve ne andate in giro vantandovene con tutti
quelli che incontrate, o avete una seduta di meditazione particolarmente buona e pensate: «Wow,
devo raccontarlo ai miei amici. Devo essere un bel po’ avanti, se mi succedono cose del genere».
Se vi attaccate a queste esperienze, il progresso della vostra meditazione si blocca e le sue
benedizioni si corrompono. Nella tradizione tibetana, una delle protezioni da questo tipo di
demone è condividere le esperienze spirituali solo con il proprio maestro. Possono essere
esperienze entusiasmanti, ma è importante non divulgarle troppo.
Per esempio, Tamara aveva avuto un sogno stupefacente in cui si trovava in una caverna
circondata da esseri luminosi per ricevere un’iniziazione. Da allora raccontò il sogno a chiunque
incontrasse e mentre parlava provava esaltazione e orgoglio, pensando che il sogno dimostrasse
che persona spiritualmente elevata fosse. Anziché impegnarsi ancora più intensamente sul suo
cammino spirituale, decise che il sogno era un segno che aveva raggiunto la meta, e così allentò
la pratica. A poco a poco venne catturata dalle distrazioni, e perse l’opportunità di procedere
veramente sul sentiero spirituale.
Si può restare catturati dal demone dell’esaltazione anche quando si fa uso di droghe alla ricerca
di illuminazioni spirituali. Whitney sentì parlare delle droghe psichedeliche al college e iniziò a

138
usarle nella speranza che le procurassero l’esperienza ultima. Visse alcuni momenti di apertura
mentale sorprendenti, ma alla fine ripiombava sulla terra e aveva bisogno di un altro “trip” per
far ritorno a quell’esperienza. Non ebbe mai delle comprensioni intuitive che le cambiassero la
vita in modo significativo: non faceva che cercare di tornare dov’era stata, per ritrovare la porta
del paradiso. A poco a poco comprese di aver bisogno di un sentiero reale e di dover smettere di
cercare il momento illuminante con la chimica. Iniziò una pratica yoga, ripulendo lentamente il
suo sistema, e cominciò ad andare a ritiri di meditazione. Venne a un insegnamento sulla pratica
di nutrire i demoni, e quando sentì parlare del demone dell’esaltazione riconobbe il ruolo che
aveva avuto nelle sue esperienze con la droga.
Il demone dell’esaltazione può attaccarsi sia a situazioni spirituali che mondane e ci avverte della
sua presenza attraverso la grandiosità, l’eccesso di sicurezza, l’abuso di potere, l’attaccamento e
l’inflazione dell’io. Chiunque segua una ricerca spirituale dovrebbe sapere che arriveranno questi
momenti e che sono un’opportunità per approfondire il sentiero. Restare catturati dai demoni
dell’esaltazione è come vedere un cartello stradale per Parigi e pensare di esserci arrivati. Le
esperienze e i sogni spirituali sono un’indicazione che state andando nella direzione giusta, ma
non sono assolutamente la meta. Per chi segue un cammino spirituale, i demoni dell’esaltazione,
qualsiasi forma assumano, sono qualcosa di cui essere consapevoli e da cui stare in guardia,
come si legge nella vita del Buddha quando Mara cercò di sedurlo.
Allo stesso tempo, dobbiamo guardarci dall’orgoglio personale e per il successo mondano
raggiunto, che può portarci a trattare male gli altri e a perdere di vista i nostri veri valori.

139
17

140
Il demone dell’egocentrismo
L’esercito dei quattro demoni non può farti alcun male,
se non nutri il pensiero basato su soggetto-oggetto,
nessun demone può mai nuocerti.
MILAREPA
Quando il grande yogi tibetano Milarepa stava in una caverna per un lungo ritiro, si racconta che
una demone decise di mettere alla prova la sua realizzazione. Si procurò l’aiuto di altri demoni, e
una notte a mezzanotte attaccarono Milarepa con tutta la loro energia. All’inizio, lui ne fu
spaventato e invocò il suo guru, le divinità e i suoi protettori per aiutarlo. Il che fece la felicità
della demone, perché pensò di aver provato che non era realizzato, e i demoni intensificarono il
loro attacco.
All’improvviso, Milarepa ricordò gli insegnamenti sulla natura della mente che aveva ricevuto
dal suo maestro Marpa, le istruzioni sulla vacuità innata del sé e dei fenomeni. Si rammentò che
il potere dei demoni dipendeva esclusivamente dall’attaccamento all’ego. Non appena lo ricordò,
cambiò completamente atteggiamento e offrì il suo corpo ai demoni come aveva fatto Machig in
occasione dell’attacco dei naga. Immediatamente, anche la demone e la sua cerchia cambiarono
atteggiamento, e gli promisero di proteggere lui e i suoi seguaci. Gli consigliarono inoltre,
quando la sua mente diventava selvaggia, di meditare sull’essenza della mente stessa, e di non
restare intrappolato nell’attaccamento all’ego. Era stato l’attaccamento al sé a spaventarlo e così
la demone gli aveva dimostrato che comprendere il demone dell’attaccamento all’ego è
essenziale per capire veramente la natura dei demoni.
Incontrando il demone dell’egocentrismo, arriviamo infine al più profondo e più centrale di tutti i
demoni. Quando sentii parlare per la prima volta del modo in cui Machig catalogava i quattro
demoni, mi sembrò che l’ordine fosse sbagliato e che il demone dell’egocentrismo dovesse
venire per primo e non per ultimo. Ma poi compresi che è proprio il percorso di comprensione
degli altri tre che ci permette di vedere il quarto demone.
Noterete che in questo capitolo non ho incluso esempi del demone dell’egocentrismo, perché in
realtà non è un demone separato; essendo l’origine degli altri tre tipi di demoni, tutti i demoni
esterni, interni e dell’esaltazione sono effettivamente esempi del demone dell’egocentrismo in
azione.
La traduzione letterale del demone dell’egocentrismo è “demone dell’arroganza”. È un buon
modo per descrivere l’egocentrismo, che significa essere autocentrati, credersi il centro
dell’universo e pensare che tutto si orienti in base a noi. Ciò che vuole l’ego è nitidamente
espresso in quelli che sono noti come gli otto dharma mondani.
Ottenere quello che si vuole e non ottenere quello che non si vuole.
Volere l’immediata felicità e non volere l’infelicità.
Volere la fama e non volere l’anonimato.
Volere l’elogio e non volere il biasimo.
Attaccandosi al nostro ego, la mente è afflitta da ogni genere di alti e bassi emotivi, si formano i
pensieri e dalle azioni che ne risultano si crea il karma. Il vero problema è l’attaccamento al
concetto di un sé contrapposto a un altro, non comprendendo quanto di quello che consideriamo
la realtà esterna è una nostra proiezione. In parole semplici: dove c’è egocentrismo, ci sono

141
demoni e dèi; dove non c’è egocentrismo, non ci sono né demoni né dèi. Possiamo vedere il
demone dell’ego nella reattività, nell’essere irritati dalle critiche e inorgogliti dagli elogi, nel
voler accumulare beni materiali e nello sconvolgimento quando perdiamo la ricchezza, i
possedimenti o lo status.
Si può notare con maggiore chiarezza questo fenomeno nei bambini di due anni, quando
afferrano un giocattolo e urlano «mio!» a squarciagola, colpendosi a vicenda spietatamente sulla
testa. Anche se impariamo a modulare la nostra fissazione a noi stessi e a quello che vogliamo o
non vogliamo, in noi c’è lo stesso “io, io, io”, talvolta ben mascherato e talvolta no. Il sentiero
spirituale è il viaggio verso il lasciar andare la fissazione all’“io” e “mio”, aprendoci a una vasta
compassione, e offrendola a tutti gli esseri. Così facendo, andiamo al di là della fissazione
dell’ego a se stesso.
Qual è la causa del demone dell’egocentrismo? Perché non siamo gli esseri compassionevoli che
sappiamo di poter essere? In una delle sue canzoni, Bob Dylan dice: «Sta succedendo qualcosa
qui e tu non sai cos’è, vero, Mr Jones?». È questa sensazione che stia succedendo qualcosa che
non riusciamo a riconoscere che sta alla base del demone dell’egocentrismo. Ma da dove viene
questa sensazione di non sapere? Nel buddhismo, è chiamata la separazione fondamentale. La
separazione è tra se stessi e il resto del mondo, tra l’“io” e l’“altro”. Accade quando la spaziosità
della nostra vera natura è così ampia, così generosa, che abbiamo il desiderio di esplorarla e di
festeggiare in essa. Un modo di descrivere la formazione dell’ego è dicendo che la nostra
coscienza comincia a danzare nella vastità, e ben presto danziamo con tanta intensità che
perdiamo di vista la relazione con quello spazio e restiamo intrappolati nell’esperienza dell’“io”.
Quando questo “io” comincia a sperimentare se stesso come separato e solido, anche l’arazzo
infinito della consapevolezza inizia a sembrare solido. È così che formiamo l’ego e lo stato di
fissazione alla dualità. La mancanza di riconoscimento della nostra vasta e incommensurabile
vera natura è chiamata non-riconoscimento o ignoranza.
In questa condizione di separazione si crea una perdita di coscienza, una sorta di spazio bianco, e
in seguito a questo sorge l’apprensione, la sensazione che «sta succedendo qualcosa qui e tu non
sai cos’è». Questa, a sua volta, dà origine alle modalità dell’ego di occuparsi dell’ansia. Noi
stessi abbiamo creato la solidità, e una volta intrappolati nell’apprensione diventiamo incapaci di
sperimentare lo stato originale, fondamentale, di apertura. Non ci rendiamo conto che siamo noi
a creare questa esperienza, attimo per attimo; pensiamo che provenga dall’esterno.
Come si manifesta tutto questo nell’esperienza di ogni giorno? Quando percepiamo un oggetto,
per esempio un cane che ci corre incontro, lo vediamo in modo aperto, non concettuale. Poi entra
in gioco l’ego, e immediatamente cominciamo ad aggiungere qualcosa alla nostra percezione.
Magari ci terrorizziamo, pensando che il cane stia per attaccarci; forse, cerchiamo di evitarlo,
pensando che ci salterà addosso e ci sporcherà; o forse, invece, lo chiamiamo e cerchiamo di
ingraziarcelo. L’ego reagisce, e la spaziosità se n’è andata. Questa è la funzione del demone
dell’egocentrismo. Ci sentiamo separati dagli altri e da tutto il resto. Sentiamo che c’è qualcosa
che non va e cerchiamo di occuparci di quella sensazione, ma in un modo che crea solo maggiore
ansia. Giudichiamo e incaselliamo tutte le persone e tutte le esperienze, non permettendoci di
essere semplicemente presenti.
Prendiamo l’oceano, come metafora della nostra relazione con la spaziosità originaria. Si
possono avere diverse relazioni con il mare: possiamo lottarci contro in preda al panico,

142
possiamo utilizzarlo a fini commerciali o possiamo rilassarci e giocare in esso. Il mare è vasto e
spazioso, dunque possiamo sentirci diffidenti. Ma se allentiamo la sensazione di separazione e ci
riposiamo nel mare, scopriamo la vastità che è sempre stata presente. Allora possiamo
galleggiare agevolmente e comodamente in esso, e tutta l’ansia scompare. Questa è la liberazione
dall’ego. Ci sono molte pratiche di meditazione per arrivare a questo punto, e nutrire i demoni è
una di esse.
Sfortunatamente le nostre strategie per far fronte all’ansia di solito ci allontanano ancora di più
dal riconoscere la nostra unione essenziale con la vastità. Noi lottiamo e non ci fidiamo. L’ego
sviluppa brama, aggressività e confusione. Questi approcci errati si manifestano sotto forma dei
nostri demoni personali, ma il loro comandante è il demone dell’egocentrismo. Lui è lo
“stratega”. Gli altri demoni sono le “strategie”.
Poiché l’ego stabilisce e agisce secondo il principio di se stesso contro l’altro, vede ogni cosa in
modo dualistico e ci mette così in una costante lotta per mantenerci autosufficienti; anche il
piacere è infuso di tensione. L’ego richiede una vigilanza costante e, poiché il suo impegno al
completo controllo è impossibile, abbiamo sempre la sensazione che le cose ci sfuggano di
mano. Meditando, impariamo a lasciare andare la presa dell’ego.
Quando Machig venne attaccata dall’esercito dei naga, stava sull’albero riposando nella
consapevolezza, in un profondo stato meditativo. Invece di usare la solita strategia dell’ego, che
sarebbe stata quella di rispondere alla lotta combattendo spaventata, scardinò l’ego continuando
a riposare nella meditazione, offrendo il suo corpo come cibo. In questo modo i naga non
trovarono appigli cui aggrapparsi; in un certo senso, non c’era nessuno da attaccare.
Accorgendosi di ciò, i naga si arresero e diventarono suoi alleati, promettendole di proteggerla.
Se consideriamo questa storia simbolicamente, i naga sono le forze all’interno della mente di
Machig che emergono dall’inconscio. Ma lei scelse di non farsi coinvolgere dai demoni e si offrì
invece di nutrirli. Così facendo, liberò se stessa e diventò ancora più pienamente realizzata.
Fondamentalmente, tutti i demoni che abbiamo preso in considerazione sono processi di pensiero
che bloccano lo stato di chiara consapevolezza, e nascono dal demone della fissazione all’ego.
La pratica di sfamare i demoni cerca di liberare tutti i demoni e di trasformare l’energia
intrappolata in essi in energia positiva, che abbiamo chiamato l’“alleato”. Tutte queste energie – i
demoni e gli alleati – sorgono da dentro di noi. Nel quinto stadio, quando ci riposiamo e ci
rilassiamo nella fase finale del nutrimento del demone e della scoperta dell’alleato, lasciamo
andare il demone fondamentale, l’egocentrismo.
La maggior parte di noi non riconosce la vastità della coscienza, benché essa sia presente anche
in questo momento, dietro ai pensieri che avete mentre leggete queste parole, perché è oscurata
dal dramma creato dall’ego. Il sentiero spirituale svela gradualmente questo spazio, dandocene
bagliori, ma l’esperienza non è stabilizzata finché non siamo pienamente risvegliati.
Un maestro tibetano me lo spiegò con un utile esempio. Era mattina presto, e noi sedevamo a
bere un tè all’ultimo piano del suo monastero in Nepal; il sole brillava dietro alle tende dorate.
«Cosa significa che la fondamentale vastità della mente e il frutto dell’illuminazione sono la
stessa cosa?» chiesi.
Lui prese la sua tazza di tè e disse: «Mettiamo che questa sia la fondamentale vastità della mente,
altrimenti nota come il fondamento dell’essere».

143
Poi prese un pezzo di carta e coprì la tazza. «Questo pezzo di carta rappresenta la mancanza di
consapevolezza del fondamento dell’essere, e la confusione dell’ego che nasce da tale
mancanza.» Tamburellò sulla carta e proseguì: «Il dramma delle nostre vite si svolge sopra
questo pezzo di carta, mentre il fondamento dell’essere sta nascosto sotto. Il fondamento
dell’essere è lì, ma noi non lo vediamo, e così proviamo ansia e brancoliamo, cercando di
risolvere l’ansia con la brama, l’avversione, la confusione. Ma ovviamente non funziona, perché
tutto questo ci porta sempre più lontano dal fondamento dell’essere, e restiamo sempre più
intrappolati nel corso di innumerevoli vite».
Poi, levò la carta, rivelando lentamente la tazza. «Questo è il sentiero spirituale. Gradualmente,
sperimentiamo il fondamento dell’essere; all’inizio solo un po’, poi sempre di più.» Tirò via del
tutto il pezzo di carta. «Questo è il completo risveglio, o illuminazione, la meta ultima.» Poi mi
offrì la tazza scoperta. «Vedi, la vastità della nostra vera natura e il frutto del completo risveglio
sono la stessa cosa. Il fondamento dell’essere è sempre stato presente, ma non veniva visto.»
Tutte le cose viventi sono smarrite nella confusione e vivono la propria allucinazione, dal più
piccolo moscerino al più complesso essere umano. Dopo che si è stabilita la separazione
dualistica, l’ego forma una sorta di quartier generale che invia degli esploratori nell’ambiente che
esaminano ogni situazione, per vedere se è minacciosa, eccitante o neutra. L’ego vuole espandere
il suo territorio e si esalta con il potere, gli oggetti, la lode e la fama. È spaventato dalla critica,
dall’aggressività e dalla perplessità, e cerca di proteggersi. I primitivi livelli del desiderio,
dell’avversione e della confusione si sviluppano in una complessa rete di reazioni, dove una cosa
conduce a un’altra, tutte nell’inutile tentativo di risolvere il nostro fondamentale stato d’ansia.
Le azioni dell’ego creano una reazione a catena. Trame e sottotrame si sviluppano dalle
fondamentali strategie dell’ego e il tutto diventa complicato come una matassa aggrovigliata. Se
pensate alla vostra vita, a tutte le vostre relazioni con la famiglia, con il partner attuale, con gli ex
compagni, con i datori di lavoro e i colleghi, i figli, gli animali domestici e via dicendo, e a come
l’ego operi in queste relazioni, vi fate un’idea di questo demone e di come generi i demoni
esterni, i demoni della mente e quelli dell’esaltazione.
L’ego crede di aver bisogno di controllare il suo territorio e si protegge dalle minacce, ma questo
non risolve mai la nostra ansia fondamentale. Talvolta la complessità del dramma si fa
travolgente. Altre volte è noiosa, oppure eccitante, deprimente o incute paura; è una montagna
russa di emozioni dovute alla nostra angoscia primaria e alle strategie dell’ego.
La convinzione che l’ego debba proteggersi può essere minata dalla pratica di nutrire, anziché
combattere, i demoni. Machig e Milarepa non fecero il gioco dell’ego difendendo il loro
territorio, quando i naga li attaccarono; offrendo il loro corpo, risolsero la separazione dualistica
e si liberarono dai drammi dell’ego, trasformando i demoni in alleati. L’esperienza di non-dualità
sorge quando il demone dell’attaccamento dell’egocentrismo si dissolve. Di solito è un percorso
lungo e difficile. L’ego teme la propria fine ed è infido nell’evitare lo smascheramento; i demoni
sono le api operaie dell’ego.
Con il procedere del nostro cammino spirituale, il demone dell’ego attacca con maggiore
intensità. Gli ostacoli e le prove aumentano, quando l’ego è minacciato di dissolversi. La notte
dell’illuminazione del Buddha, Mara – che rappresenta il suo ego – lo attacca con violenza,
cercando di distrarlo e di agganciarlo con la seduzione, l’aggressività e la pigrizia, che nella
storia del Buddha vengono descritte come esseri esterni. Le donne seduttive, le figlie di Mara,

144
rappresentano il suo desiderio. Gli eserciti all’attacco che cercano di accendere la sua rabbia
rappresentano l’aggressività dell’ego, ma sono demoni che sorgono nella mente del Buddha. Il
Buddha riuscì a restare saldo in meditazione e a non reagire. Non si distrasse; restò stabile e
imperturbato. Alla fine, Mara rinunciò e si ritirò. Poi arrivò l’alba della comprensione intuitiva
del Buddha riguardo all’ego e agli attaccamenti come causa della sofferenza, che è il centro della
sua esperienza d’illuminazione.
Da questa storia possiamo capire che è “l’attaccamento” alla percezione dualistica del mondo, e
non le esperienze esterne o interne in sé, a generare i demoni. Quando rompiamo la fissazione
all’“io” e “mio”, superiamo il demone radice dell’egocentrismo.
Dare forma ai demoni e sfamarli con il percorso dei cinque stadi ci conduce a uno stato di
apertura e di consapevolezza che offre molto più di un momentaneo sollievo dai nostri problemi
psicologici. Di certo già un relativo beneficio può portare alla guarigione, alla libertà dalle
dipendenze e via dicendo, ma il beneficio ultimo è dato dal percorso della consapevolezza che
scardina il demone dell’egocentrismo.

145
Parte quarta

146
APPROFONDIRE IL LAVORO CON IL DEMONE

147
18

148
La liberazione diretta
Davanti alla tremenda trasformazione dell’esercito di Mara,
l’Essere Puro la riconosce come un prodotto dell’illusione.
Non c’è nessun demone, né eserciti, né esseri;
non c’è nemmeno un sé.
Come l’immagine della luna sull’acqua,
il ciclo dei tre mondi è ingannevole.
BUDDHA
Nel capitolo precedente, abbiamo parlato del demone fondamentale dell’egocentrismo e della
vastità della coscienza, nozioni che creano la base per comprendere il concetto chiave di questo
capitolo: la liberazione diretta. Quando abbiamo praticato per un certo periodo di tempo il
nutrimento dei demoni, diventiamo consapevoli di essi non appena si formano. Impariamo a
vederli sorgere e li riconosciamo quando ci afferrano. Con la pratica è possibile liberare i demoni
appena emergono, senza passare dai cinque stadi, usando la cosiddetta “liberazione diretta”.
Questa strada più immediata e semplice per liberare i demoni, vi porta direttamente al quinto
stadio.
La liberazione diretta è ingannevolmente semplice. Si tratta di accorgersi di un demone e poi
rivolgere la consapevolezza direttamente su di esso. È l’equivalente energetico di girare una
barca direttamente dentro il vento quando si naviga; la barca si ferma, perché la sua fonte di
energia è stata neutralizzata. Allo stesso modo, se rivolgete la consapevolezza dentro
un’emozione, l’emozione smette di svilupparsi. Questo non significa che la analizzate o che ci
pensate, ma vi rivolgete a essa con chiara consapevolezza. A questo punto, se lo fate
correttamente, il demone sarà liberato all’istante e svanirà immediatamente. La tecnica della
liberazione diretta è paragonabile all’aver paura di un mostro nel buio e poi accendere al luce.
Quando la luce si accende, vediamo che non c’è alcun mostro. Se accendiamo la luce della
consapevolezza su un demone, esso scompare.
Facciamo l’esempio di un demone della gelosia. Se noto: «Ecco, sto provando gelosia. Il ritmo
del mio cuore sta aumentando. Il mio corpo è teso». E in quel momento mi rivolgo all’energia
della gelosia e vi porto piena consapevolezza, la gelosia scoppierà come un pallone. Quando
nutrite un demone usando i cinque stadi, nel momento in cui raggiungete il quinto stadio, sia voi
che il demone vi siete dissolti nella vacuità e riposate in quello spazio. In questo modo causiamo
un cortocircuito al demone appena sorge, incontrando la sua energia con consapevolezza appena
si affaccia, e passiamo direttamente al quinto stadio.
Addestrando la mente, diventeremo sempre più capaci di farlo non appena i demoni emergono.
Mettiamo che stiate guidando verso la città, pensando a qualcosa da fare con i vostri bambini,
quando cominciate a preoccuparvi e ad agitarvi. In quel momento, riuscite a fermarvi e
riconoscete: «Ecco, sto per restare catturato in questa emozione». Allora potete osservare
direttamente l’energia della preoccupazione, rivolgendovi dentro a essa, invece di permetterle di
trascinarvi via. In quell’attimo, essa si dissolverà, lasciandovi riposare nella consapevolezza
spaziosa che naturalmente si apre al suo posto.
Un’altra situazione in cui potete praticare la liberazione diretta è durante un’interazione con gli
altri. Magari durante una riunione scoprite che un lavoro che pensavate fosse stato concluso non

149
è stato nemmeno iniziato. Sentite montare l’irritazione. Ma quando rivolgete la consapevolezza
all’interno di quella sensazione d’irritazione, osservandola in modo diretto, essa scompare come
neve che si scioglie in un lago di montagna.
Poiché la liberazione diretta dei demoni è così ingannevolmente semplice, è molto importante
non illudersi di aver liberato un demone quando non è vero. Se si tratta di un’emozione forte,
dovrete forse liberarla direttamente più volte, o forse fareste meglio a lavorarci usando i cinque
stadi.
Nei ritiri spiego la liberazione diretta con un esperimento. Chiedo alle persone di creare
volutamente una forte emozione, un momento di rabbia, di tristezza, di gelosia o di desiderio.
Una volta che hanno questa sensazione, chiedo loro di intensificarla, e poi di rivolgere la
consapevolezza direttamente dentro l’emozione e di riposare nell’esperienza che segue. È un
modo per sperimentare come funziona la liberazione diretta. Può essere così semplice e
istantaneo da non fidarvi del risultato, ma verificate, e se avete fatto correttamente il lavoro,
l’emozione si sarà dissolta.
Potete anche praticare questo metodo con qualcosa che non evoca un’emozione molto forte, ma
lo stesso cattura la mente. Oppure potete creare una fissazione concettuale per poi liberarla. Per
farlo, osservate qualsiasi cosa sia di fronte a voi in questo momento. Cercate di generare molto
giudizio ed emozione riguardo a quell’oggetto. Per esempio, se guardate un tappeto, potete
pensare: «Questo tappeto è orribile, come si fa a scegliere un colore così brutto?». O potete
creare una fissazione positiva: «Questo tappeto mi piace tantissimo». Oppure un timore: «Adoro
questo tappeto. È splendido, me l’ha regalato mia nonna, e spero che nessuno ci versi sopra del
vino». Non importa cosa scegliate, cercate di lasciarvi catturare da pensieri che comportino un
certo attaccamento.
Una volta suscitati questi pensieri, notate quanta della vostra energia se ne va con loro; esaminate
il vostro corpo e notate quanto siete stressati. Poi fate ritorno dentro quell’energia in uscita,
invertendone il flusso, e osservate direttamente la sensazione generata dai vostri pensieri.
Rivolgete indietro l’energia a osservare la sua fonte. Questo la neutralizza, e così rimane solo la
consapevolezza. Riposate in quello stato.
Quando iniziamo a lavorare con i demoni, siamo ancora talmente intrappolati nei nostri drammi
e nelle nostre storie che non riusciamo a scorgerne la causa. Ma proseguendo, il fango della
confusione comincia a depositarsi e noi possiamo osservare direttamente le emozioni e gli
attaccamenti quando sorgono, sbarazzandoci dei demoni attraverso la liberazione diretta. Con
un’intensa pratica diventa possibile lo stadio successivo: qui la consapevolezza immediata,
chiara e imperturbata, è stabile, e non solo qualcosa che brilla periodicamente.
A questo punto, non c’è niente che “dobbiate” fare. La consapevolezza semplicemente incontra
le emozioni appena sorgono e così sono naturalmente liberate; non dovete nemmeno pensarci.
Vacuità, chiarezza e consapevolezza vengono sperimentate come spontaneamente presenti. Ora,
fin dal loro inizio, le emozioni non hanno presa su di voi: scorrono senza alcun effetto. Questa è
chiamata “liberazione istantanea”. Un’emozione trabocca, ma non trova appiglio e si dissolve. A
questo punto non abbiamo bisogno di nutrire i demoni, perché siamo governati dalla
consapevolezza anziché dalle emozioni. Ahimè, la maggior parte di noi deve ancora raggiungere
questo livello!

150
Quando ci fissiamo sulla dualità di speranze e paure, attribuiamo un’esistenza reale a qualcosa di
illusorio, come il mostro che immaginavamo nella stanza buia. Dovremmo ricordare che la vera
natura della mente non ha solidità; è senza radici, consapevolezza chiara e raggiante. Sapendolo,
non cercate di bloccare le emozioni e le sensazioni che sorgono nella mente. Non cercate di
analizzarle. Quando emergono pensieri o ricordi, non aggrappatevi a essi ruminandoci sopra. La
mente è di per sé chiara e luminosa, come uno spazio incommensurabile, e ogni sensazione,
pensiero o ricordo che la attraversi è come una nuvola in un cielo sereno. Le nuvole hanno molte
forme e qualità, e così i nostri pensieri e le nostre emozioni. Ma le nuvole non modificano il
cielo, e se lasciate che la mente abbia questi pensieri transitori senza interferire, sovrasterete i
demoni senza sforzo.
La liberazione diretta avviene anche quando praticate vedendo voi stessi e il mondo come se
steste vivendo un sogno lucido, il che significa sognare e sapere di sognare nello stesso tempo.
Quando riconoscete la natura illusoria, simile a un sogno, della vostra esperienza del mondo, i
demoni saranno liberati nell’attimo stesso. Questo non vuol dire che dovreste essere in trance o
vaghi, ma solo prendere le cose in modo più leggero, vedendole in un contesto di spaziosità.
Quando comprendete che grandissima parte della vostra esperienza è una fabbricazione della
mente, non c’è più nessun demone da nutrire. Se n’è già andato. L’analogia tradizionale per
questo stato è “un ladro che entra in una casa vuota”. Tuttavia, la maggior parte di noi non è in
questo stato; siamo più che altro come ladri che entrano in una casa piena e cercano di infilare
tutto in una borsa per portarselo via. Dunque, anche se la liberazione diretta o istantanea è
qualcosa cui possiamo lavorare e aspirare, ricordate sempre che i cinque stadi offrono un metodo
per lavorare con le cose infilate nella borsa.
Normalmente, noi rafforziamo i nostri demoni credendo che siano reali e forti, e che abbiano il
potere di distruggerci. Se li combattiamo, essi diventano ancora più forti. Ma se li riconosciamo,
cercando di capire ciò di cui hanno veramente bisogno, e li nutriamo, i demoni lasciano la presa,
e allora scopriamo che non hanno alcun potere su di noi. Nutrendo gli elementi ombra del nostro
essere con infinita generosità, possiamo accedere allo stato di luminosa consapevolezza e
sabotare l’ego. Sfamando i demoni, risolviamo il conflitto e la dualità, trovando la strada verso
l’unità.
Forse gradualmente imparerete la pratica della liberazione diretta, ma è importante non lasciar
perdere troppo presto quella dei cinque stadi. Lavorare con essa è importante per articolare e
liberare i demoni. La liberazione diretta richiede una consapevolezza sofisticata e una pratica
meditativa profonda.

151
19

152
I demoni nel mondo più ampio
Tratta un demone come demone e ti farà del male;
conoscilo nella tua mente e ne sarai libero.
MILAREPA
Di recente, quando una delle mie figlie mi ha chiesto «Cosa ti aspetti in realtà dalla
pubblicazione di questo libro?», mi si è affacciata alla mente l’immagine della notte estiva buia e
piovosa, in cui per la prima volta ascoltai il canto del Chöd nel monastero di Apho Rinpoche a
Manali. Poi ho pensato a tutto quello che era seguito: l’apprendimento della pratica, la rinuncia
ai voti monastici, il matrimonio, i figli, la morte di Chiara, il divorzio e la graduale comprensione
di come gli insegnamenti di Machig sul nutrimento dei demoni si applicassero alla mia vita.
E in un lampo si è affacciata anche la situazione del mondo attuale, in cui nazioni e religioni si
demonizzano a vicenda. La natura stessa sembra diventata demoniaca per il crescente numero di
uragani, alluvioni, terremoti, siccità e maremoti. Ho pensato a come siamo tormentati dalla
polarizzazione all’interno e all’esterno di noi, e mi sono ritrovata a rispondere: «Sento che
abbiamo un disperato bisogno di un nuovo paradigma che ci ispiri a smettere di combatterci l’un
l’altro. Mi piacerebbe vedere un mondo in cui le persone non pensino più che l’alternativa
migliore è distruggere qualsiasi cosa si oppone loro. Penso che gli insegnamenti di Machig
abbiano qualcosa di profondo da offrire, e voglio rendere i suoi insegnamenti accessibili sia a
livello personale che collettivo».
Spero che questo libro contribuisca in qualche modo, anche piccolo, a riconoscere come noi
creiamo i nostri nemici, e che questo ci dia la capacità di non demonizzare gli altri. Se
continuiamo a pensare alle altre persone, gruppi, nazioni, o razze come al male, saremo
intrappolati in una lotta senza fine. Se riusciamo a fare il passaggio rivoluzionario dalla lotta al
nutrimento proprio delle forze che sembrano più minacciose, avremo un impatto molto maggiore
sul nostro mondo.
In questo libro, mi sono concentrata principalmente sui demoni personali, partendo dall’idea che
l’influenza che abbiamo sul mondo cominci da noi stessi. Abbiamo visto che quello che
percepiamo come un demone esterno è spesso dentro di noi. Abbiamo anche imparato a
focalizzarci sulla nostra reazione agli eventi esterni, anziché vedere una situazione o una persona
come un demone. Comprendere i nostri demoni interni può aiutarci ad affrontare il torrente di
pensieri ed emozioni che scorrono nella nostra mente, al di là degli eventi esterni.
A questo punto siamo pronti a estendere l’analogia del nutrimento dei demoni oltre noi stessi, e a
considerare i demoni nelle famiglie, nelle comunità, nei luoghi di lavoro, nelle organizzazioni e
nelle nazioni. In questo capitolo, osserveremo come i demoni lavorino nel mondo che ha inizio
da noi stessi e poi si estende come i cerchi creati da un sasso lanciato in uno stagno.
Il percorso di riconoscimento dei nostri demoni collettivi comincia con i demoni personali, le
paure, le paranoie, i pregiudizi, l’arroganza e altre debolezze. Le famiglie, i gruppi, le nazioni e
anche la società nel suo insieme possono creare demoni che sono la somma dei demoni
individuali irrisolti. Se non riconosciamo i demoni personali, le nostre debolezze e paure possono
sommarsi a quelle degli altri e diventare qualcosa di mostruoso.
I gruppi inoltre possono proiettare i loro demoni sugli individui o su certe minoranze. Se
qualcuno in un gruppo si espone, il resto del gruppo può scaricare la colpa su di lui, anche se

153
quella persona ha espresso qualcosa di non detto che è presente in tutto il gruppo. Quando un
gruppo cerca di dipingersi come assolutamente buono, ha bisogno di qualcuno su cui proiettare
la propria ombra.
Fin dall’antichità i capri espiatori sono serviti per proiettare i demoni di gruppo su un individuo.
Veniva scelto qualcuno che si caricasse del lato non vissuto, buio e represso del gruppo e un
tempo il capro espiatorio veniva ritualmente sacrificato dal gruppo. Più tardi assunse una forma
più simbolica e ne fu distrutta l’effigie. Sono rimaste tracce di questo rituale nelle celebrazioni
del carnevale e nelle sue versioni moderne. Il Burning Man Festival in Nevada ne è un esempio:
più di quarantasettemila persone si riuniscono annualmente per creare un’espressione artistica, e
alla fine l’immagine viene bruciata. Sono modi simbolici, collettivi, per creare un capro
espiatorio.
Certe volte i demoni collettivi vengono rappresentati in riti culturali, che rendono consapevole il
gruppo del demone collettivo tirandolo “fuori dal cassetto”. In molte culture tradizionali, i
giullari agiscono in modo contrario alle norme sociali, rompendo i tabù culturali, esprimendo il
proibito. In Bhutan, durante le feste religiose chiamate Tsechu, un clown con un pene enorme
prende in giro la gente, esprimendo l’aspetto sessuale represso di quella cultura. In certe
cerimonie degli Indiani d’America, maschere e buffoni fanno cose scioccanti e proibite. In
questo modo, i demoni collettivi vengono liberati in una forma culturalmente accettabile,
alleggerendo la pressione dal gruppo.
Quando inconsciamente proiettiamo i nostri demoni su un capro espiatorio collettivo o
individuale, la cosa può avere conseguenze tragiche. Per evitare ciò, dobbiamo essere
sintonizzati con il momento in cui viene creato un capro espiatorio. Per esempio, se una famiglia
ha un membro che la turba e tutti sono d’accordo che quella persona è il problema, ecco che si
comincia a creare un capro espiatorio familiare.
Nel corso della storia, gli esseri umani hanno avuto la tendenza a demonizzare i gruppi che in
qualche modo sono diversi da loro. Demonizzare ampi gruppi, per esempio, è essenziale per il
meccanismo della guerra. Se consideriamo i nemici come demoniaci, anziché come individui con
madri, mogli e bambini, possiamo più facilmente ucciderli senza esitazione o rimorso.
Quando un demone collettivo riesce a possederci, significa che abbiamo in noi alcuni aspetti di
ciò contro cui reagiamo. Gli eterosessuali che attaccano gli omosessuali hanno paura delle
proprie tendenze omosessuali. Senza quella paura, non avrebbero una reazione tanto carica
emotivamente. L’antidoto è la consapevolezza; quando i demoni personali sono inconsci, quelli
collettivi hanno più possibilità di prendere il comando.
I demoni collettivi della famiglia
In una famiglia, il capro espiatorio può essere un adolescente che si espone e rifiuta i valori
familiari. Quell’adolescente può venir mandato via o represso, ma finché i membri della famiglia
non capiscono che devono affrontare i propri demoni, la matrice familiare non può guarire.
Bill, Karen e i loro figli, Jesse e Ariana, “avevano tutto”, ma nel loro paradiso c’erano dei guai.
Jesse aveva una personalità problematica fin da bambino. Era stato portato dallo psichiatra,
messo sotto farmaci e iscritto a una scuola speciale. Anche da adolescente era intrattabile.
Mandato in un collegio militare, era scappato, e dall’età di diciotto anni non aveva fatto che
peggiorare. Sua sorella, Ariana, viveva con il fidanzato e lavorava in una città vicina, e non

154
voleva aver niente a che fare con la famiglia d’origine, dunque Jesse aveva ben pochi posti in cui
cercare aiuto.
Karen cercava disperatamente una soluzione, sentiva che Jesse stava distruggendo la loro
famiglia. Quando Bill e Karen iniziarono una terapia di coppia con un terapeuta formato nella
pratica del nutrimento dei demoni, lavorarono con lui per portare alla luce i loro demoni radice.
In terapia emerse che per Karen, Jesse era il figlio che aveva tanto desiderato e che adorava. Per
Bill rappresentava una minaccia per il legame con Karen; Bill era geloso del modo in cui Karen
amava smisuratamente Jesse e si sentiva rifiutato da lei. Ariana sentiva di aver perso la madre
per colpa del fratello e quindi lo odiava. Karen era presa in mezzo, si sentiva confusa riguardo
alla situazione e permetteva al marito e alla figlia di esprimere la loro negatività verso Jesse.
Jesse reagì diventando una persona difficile, e così diventò il capro espiatorio di tutte le
dinamiche emotive irrisolte della famiglia. Jesse era “il problema”, e questo permetteva a tutti gli
altri di essere a posto. Più lui diventava difficile, più sembrava giustificata la rabbia di Ariana e
Bill. Era veramente un circolo vizioso.
La stigmate di essere una “mela guasta” venne levata da Jesse quando i suoi genitori iniziarono
la pratica di nutrire i demoni. Karen lavorò con il suo demone della colpa e Bill con quelli della
rabbia e della paura dell’abbandono. Attraverso la pratica cominciarono a capire che avevano
trasformato Jesse in un capro espiatorio, e affrontarono finalmente i loro problemi e le dinamiche
di coppia con l’aiuto del terapeuta. Il comportamento di Jesse migliorò quando non dovette più
farsi carico da solo di tutti i demoni familiari; gradualmente la famiglia iniziò a comunicare
meglio e a ritrovare l’unità.
Come capro espiatorio, Jesse era stato caricato dei demoni di tutta la famiglia. Per risolvere la
situazione, i genitori e la sorella dovettero lavorare con i propri demoni che l’adolescente aveva
fatto emergere e cercare di comprendere Jesse. Questo permise il cambiamento. Lo stesso vale
per tutte le famiglie in cui viene identificato un “demone”.
I demoni delle organizzazioni
Le aziende e le organizzazioni sviluppano spesso dei particolari demoni quando vengono fondate
e dopo quindici anni continuano ad avere lo stesso problema. Per esempio, un’azienda con un
demone della paura crea un sistema chiuso, in cui le persone temono di prendere delle decisioni.
Gli impiegati hanno paura nel presentare i loro resoconti ai manager e di venire segnalati per
piccole infrazioni. Riflettere insieme sui demoni dell’organizzazione può essere un mezzo utile a
impiegati e manager, per cambiare l’atmosfera.
Spesso i demoni di un dirigente o del fondatore di un’impresa vengono trasmessi
all’organizzazione stessa e ai suoi impiegati. È molto difficile sradicare tali demoni, e per questo
è così importante per i proprietari, i manager e i dirigenti lavorare sui propri demoni e
partecipare a dei percorsi di gruppo.
Sherry lavorava in un centro termale che offriva ai clienti terapie di alta qualità per lo stress.
Ironicamente, il centro era un posto molto stressante in cui lavorare, perché i proprietari erano
costantemente in crisi. Durante una riunione dello staff, Sherry consigliò di esaminare i demoni
della compagnia e i proprietari furono d’accordo d’invitare un consulente formato nel lavoro con
i demoni delle organizzazioni, per un ritiro di un giorno di tutto il personale. I proprietari erano
consapevoli che lo stress era presente nell’azienda fin dall’inizio ed erano motivati al
cambiamento. Al ritiro, gli impiegati e i proprietari lavorarono separatamente con i loro demoni

155
esterni collegati con l’azienda, guidati da un facilitatore che li condusse attraverso i cinque stadi
della pratica di nutrire i demoni. Quando si ritrovarono di nuovo insieme, paragonarono i demoni
e gli alleati.
Ci furono un sacco di risate, e tutti riuscirono a usare i demoni per parlare delle loro difficoltà. Il
gruppo ascoltò ognuno parlare delle necessità del proprio demone e di quello che gli alleati
avevano suggerito. Poi tutti scrissero insieme su un grande foglio dei consigli per migliorare
l’organizzazione. Alla fine del ritiro, il facilitatore usò quelle note per aiutare i proprietari a
creare un piano d’azione per nutrire i demoni dell’organizzazione della loro azienda.
Tre mesi dopo, si riunirono tutti per discutere se e come i demoni fossero cambiati, e se i consigli
degli alleati fossero stati seguiti. Per la prima volta in quindici anni di storia dell’azienda, i
proprietari poterono dire di non sentirsi stressati, e anche gli impiegati avvertivano un’evidente
differenza.
Osservare i demoni collettivi delle organizzazioni di cui facciamo parte ed essere consapevoli dei
capri espiatori sono modi per comprendere in profondità le dinamiche che creano conflitti nei
gruppi.
I demoni politici
Analizzando il tema dei demoni collettivi su larga scala, notiamo che il potere del mito dell’eroe
occidentale nella politica attuale è molto evidente. A livello mondiale, la scelta di dichiarare
guerra ai terroristi e di ucciderli si è dimostrata inefficace. Uccidendo un terrorista, ne creiamo
altri dieci. Oggi in America il pericolo di attacchi terroristici è assai più grande rispetto a prima
della guerra in Iraq, che avrebbe dovuto renderci più sicuri. Siamo come Ercole, che tagliò una
delle teste di Idra solo per scoprire che al suo posto ne nascevano molte di più.
Solo quando troviamo un sentiero efficace nell’affrontare i conflitti, raggiungiamo quello che
come nazione diciamo di volere: aiutare gli altri a diventare liberi, e rendere il mondo un posto
più sicuro. Sia a livello personale che collettivo, sappiamo di volere la pace, ma non sappiamo
come raggiungerla. Gli insegnamenti di Machig Labdrön ci offrono un modo per attuare un
cambiamento fondamentale nella strategia.
Un demone collettivo può diventare una forza furibonda, in cui gli individui agiscono come
cellule nel corpo di un demone. Il mostro vive di vita propria e gli individui ne vengono travolti.
Le persone non sanno nemmeno come abbiano collaborato a creare il mostro. Come sottolineano
tanto tragicamente sia la storia che la vita contemporanea, i demoni collettivi possono portare al
genocidio e ad altri orrori normalmente inimmaginabili. Se ognuno si assumesse la responsabilità
dei suoi demoni, le fonti dei demoni di massa e abomini come l’Olocausto e i genocidi in
Ruanda, Serbia e Darfur verrebbero eliminati alla radice. Quando vengono nutriti i demoni in
situazioni politiche, gli effetti sociali sono di vasta portata.
Un esempio interessante è la storia di Amilcar Cabral, un leader africano del movimento
d’indipendenza della Guinea-Bissau negli anni Settanta. I prigionieri portoghesi catturati dal suo
movimento non venivano torturati; venivano invece ben nutriti, trattati con umanità e
ampiamente istruiti riguardo al bisogno d’indipendenza della Guinea dal Portogallo. Cabral non
demonizzava l’opposizione, ma si metteva in contatto con i colonizzatori portoghesi e, via radio,
con i portoghesi in patria. Si comportò come Gandhi, quando l’ufficiale britannico minacciò di
arrestarlo.

156
Una volta liberati, i prigionieri portoghesi di Cabral diventarono alleati della sua causa e lo
aiutarono nella rivoluzione. Anche se la rivoluzione non fu pacifica, la tattica di Cabral ispirò un
approccio umano verso i prigionieri durante il conflitto, che ha da insegnarci per il nostro mondo
attuale. E in effetti, alcuni dei soldati portoghesi che ricevettero questo trattamento da Cabral
ritornarono poi in Portogallo e usarono lo stesso approccio nella rivoluzione pacifica portoghese,
chiamata Rivoluzione dei Garofani, nel 1974.
Dopo la fine dell’apartheid in Sudafrica, anche la Commissione Verità e Riconciliazione usò
alcuni elementi della pratica di nutrire i demoni. I persecutori di entrambe le parti vennero
incoraggiati a chiedere l’amnistia a un consiglio di avvocati che li interrogarono sui loro crimini.
Il requisito essenziale era che chi chiedeva l’amnistia doveva condividere ogni dettaglio delle sue
azioni criminali e gran parte delle testimonianze furono trasmesse dalla televisione. Se fosse
stato deciso che aveva fatto una piena confessione ed era sinceramente pentito, gli sarebbe stata
garantita l’amnistia.
Alcuni persecutori, su loro richiesta, incontrarono le vittime o le famiglie delle vittime, per fare
ammenda e riconoscere la sofferenza che avevano causato. Questo approccio fu un modo
rivoluzionario di evitare il solito bagno di sangue che segue al cambiamento politico dopo
generazioni di oppressione violenta. Invece di demonizzare i persecutori e di continuare il ciclo
della violenza, la Commissione Verità e Riconciliazione offrì la testimonianza compassionevole
come alternativa rivoluzionaria alla vendetta.
Quando prendiamo in considerazione la sfida di comprendere i demoni collettivi e come
funzionano, è importante per noi ricordare che l’unico modo per fermare i demoni collettivi è
diventare consapevoli dei nostri. Facendo il nostro personale lavoro, siamo prima di tutto meno
esposti a venire spazzati via da un demone collettivo. Il personale diventa generale.
La maggior parte delle tradizioni culturali e spirituali amministra le forze demoniache o i nemici,
riconoscendo il bisogno di protezione. In queste pagine ho suggerito che dirigendo l’attenzione
all’interno, verso il vero colpevole, l’egocentrismo, abbiamo meno bisogno di proteggerci dal
male. Invece di pregare per essere protetti, offrite compassione, e anche il più feroce dei demoni
può diventare il più grande degli alleati. Questa è la svolta fondamentale che può portare alla
pace mondiale.
Non lasciatevi ingannare dall’idea che i demoni sono esterni a noi. Noi vediamo la nostra mente
proiettata a tinte vivaci tutt’intorno a noi. Addestratevi a vedere le cose in questo modo. Generate
amore e compassione per qualsiasi demone appaia: esterno o interno. Quando finalmente
comprendete per esperienza diretta che non c’è bisogno di assecondare le preoccupazioni
dell’ego, non vi aggrapperete più alle speranze e alle paure, o agli dèi e ai demoni. Vedrete che la
fonte del vostro dolore è l’attaccamento all’ego. Riposerete nell’illimitata espansione della
consapevolezza, la vostra vera casa. E sarete liberi.
Trasformando la nostra visione del mondo dall’attaccare i nemici e difendere il territorio come
Ercole, al nutrire i demoni, possiamo imparare a continuare a dialogare con il nemico e trovare
soluzioni pacifiche. Questo era il sentiero di Machig, Gandhi e Cabral. In questo modo
cominciamo una rivoluzione tranquilla. Ispirandoci agli insegnamenti di una yogini dell’XI
secolo, possiamo cambiare il nostro mondo. Conservare e sviluppare gli insegnamenti di Machig
Labdrön in Occidente è un grande privilegio e una gioia. Prego affinché un po’ della sua

157
saggezza traspaia da queste pagine e vi ispiri a trasformare i vostri demoni in alleati grazie al
supremo atto di generosità.
Che tutti gli esseri ne ricevano beneficio.

158
Postfazione

159
Dalle ultime istruzioni di Machig 1

… La mente di per sé [naturale e coemergente]


non ha sostegno, non ha oggetto:
lascia che riposi nella sua naturale espansione senza costruzione alcuna.
Quando i vincoli [dei pensieri negativi] sono sciolti,
sarai libero, non c’è dubbio.
Come quando fissando lo spazio,
tutti gli altri oggetti visivi scompaiono,
così è per la mente.
Quando la mente osserva la mente,
tutti i pensieri discorsivi hanno fine
e l’illuminazione è raggiunta.
Come in cielo tutte le nuvole
scompaiono nel cielo stesso:
ovunque vadano, non vanno da nessuna parte,
ovunque siano, non sono da nessuna parte.
Lo stesso accade ai pensieri nella mente:
quando la mente osserva la mente,
le onde del pensiero concettuale scompaiono.
Come lo spazio vuoto
è privo di forma, colore o immagine,
così la mente
è libera da forma, colore o immagine.
Come il centro del sole
non può essere velato da tenebre eterne,
così la realizzazione della natura ultima della mente
non può essere velata da un eterno samsara.
Anche se lo spazio vuoto
può essere nominato o definito convenzionalmente,
è impossibile designarlo altrimenti che come “questo”.
Lo stesso vale per la chiarezza della mente:
anche se le sue caratteristiche possono essere esposte,
non può essere identificata altrimenti che come “questa”.
La caratteristica distintiva delle mente
è di essere originariamente vuota come lo spazio;
la realizzazione della natura della mente
include tutti i fenomeni senza eccezione.

Abbandonando tutte le attività corporee,
stai come un fascio di paglia slegato.
Abbandonando ogni espressione verbale,
stai come un liuto con le corde tagliate.

160
Abbandonare tutte le attività mentali,
questo è Mahamudra.
Nella tradizione di Dharma di questa vecchia signora
non c’è altro da fare che questo.
Ah, fortunati eredi e discepoli qui riuniti,
questo nostro corpo è impermanente come una piuma su un sentiero d’alta montagna,
questa nostra mente è vuota e chiara come le profondità dello spazio.
Rilassatevi in questo stato naturale, privo di costruzioni.
Quando la mente è priva di sostegno, questo è Mahamudra.
Familiarizzarsi con questo, fondere con esso la mente:
questa è la buddhità.

In questo preciso istante tu hai un’opportunità.
Cerca l’essenza della mente: questo è l’essenziale.
Quando osservi la mente, non c’è niente da vedere.
Proprio in questo non vedere, vedi il significato ultimo.

Questa vecchia signora non ha istruzioni più profonde di queste da darti.
1. Tratto da Jérôme Edou, Machig Labdrön and the Foundations of Chöd, Snow Lion Publications, Ithaca, NY 1995.

161
Appendice

162
Versione abbreviata dei Cinque stadi per nutrire i demoni
La preparazione

163
Nove respiri di rilassamento
Chiudete gli occhi e teneteli chiusi fino alla fine del quinto stadio. Fate nove respiri di
rilassamento con lunghe espirazioni. Con i primi tre respiri, inspirate e immaginate che il respiro
raggiunga ogni tensione presente nel corpo, e poi rilasciate la tensione con l’espirazione. Con i
secondi tre respiri, inspirate dentro la tensione emotiva, sentite quello che trattenete nel corpo, e
rilasciatelo con l’espirazione. Infine, inspirate dentro qualsiasi tensione mentale, sentendo dove
trattenete nervosismo, preoccupazioni o blocchi mentali nel corpo, e rilasciateli con
l’espirazione.

164
La motivazione
Generate una sentita motivazione a praticare per il beneficio vostro e di tutti gli esseri.
Primo stadio: trovare il demone
Decidete con quale demone, dio o dio-demone volete lavorare.
Localizzate dove lo trattenete più intensamente nel corpo e intensificate la sensazione.
Siate consapevoli delle qualità delle sensazioni nel corpo, includendo: colore, struttura, e
temperatura.
Secondo stadio: personificare il demone e chiedergli di cosa ha bisogno
Personificate questa sensazione in una figura con braccia, gambe e occhi, di fronte a voi. Se
compare un oggetto inanimato, immaginate come sarebbe se si personificasse in un essere
animato. Notatene il colore, il tipo di pelle, il genere, la misura, il carattere, lo stato emotivo, lo
sguardo dei suoi occhi, e qualsiasi cosa del demone non abbiate visto prima.
Chiedete al demone:
Cosa vuoi da me?
Di cosa hai bisogno?
Come ti sentiresti se ottenessi quello di cui hai bisogno?
Dopo aver posto le domande, scambiatevi immediatamente di posto con il demone.
Terzo stadio: diventare il demone
Spostatevi sulla sedia o sul cuscino di fronte a dove sedevate prima, e diventate il demone,
lasciandovi un po’ di tempo per “mettervi nei suoi panni”.
Notate come appare il vostro normale sé dal punto di vista del demone.
Ora rispondete alle tre domande:
Quello che voglio da te è…
Quello di cui ho bisogno è…
Se il mio bisogno fosse soddisfatto, mi sentirei…
Quarto stadio: sfamare il demone e incontrare l’alleato

165
Nutrire il demone
Tornate al vostro posto iniziale. Prendetevi un momento per stabilizzarvi e visualizzate il
demone di fronte a voi.
Dissolvete il vostro corpo in un nettare che ha la qualità della sensazione che il demone
proverebbe se il suo bisogno venisse soddisfatto (è la risposta alla terza domanda nel terzo
stadio).
Nutrite il demone fino a completa soddisfazione, immaginando che il nettare entri nel demone in
qualsiasi modo vogliate. Continuate a nutrirlo finché è completamente soddisfatto (se il demone
sembra insaziabile, allora immaginate come sarebbe se fosse soddisfatto). A questo punto potete
passare direttamente al quinto stadio, oppure incontrare l’alleato.

166
Incontrare l’alleato
Se c’è un essere presente al posto del demone alla fine del quarto stadio, chiedetegli se è
l’alleato. Se non lo è, invitate un alleato ad apparire. Se il demone si è dissolto completamente,
invitate semplicemente un alleato a comparire.
Notate tutti i dettagli dell’alleato: il colore, la misura e lo sguardo dei suoi occhi.
Fategli una di queste domande oppure tutte:
Come mi aiuterai?
Come mi proteggerai?
Che promessa o impegno prendi con me?
Come faccio a entrare in contatto con te?
Cambiate di posto, diventate l’alleato e rispondete alla domanda, o alle domande, come foste
l’alleato.
Ti aiuterò…
Ti proteggerò…
Ti prometto che…
Puoi entrare in contatto con me…
Ritornate al vostro posto iniziale, prendetevi un momento per sentire l’aiuto e la protezione
dell’alleato che vi raggiungono, e immaginate poi l’alleato dissolversi in voi. Dissolvetevi
insieme a lui nella vacuità, e questo vi porterà in modo naturale nel quinto stadio.
Quinto stadio: riposare nella consapevolezza
Riposate nello stato presente quando l’alleato si dissolve in voi e voi vi dissolvete nella vacuità.
Lasciate che la mente si rilassi senza suscitare alcuna esperienza particolare. Riposate finché
volete senza riempire lo spazio, non spingendo perché qualcosa accada o finisca.

167
Approfondimenti bibliografici
Coloro che desiderano approfondire la conoscenza della vita e degli insegnamenti di Machig
Labdrön possono trovare del materiale interessante nel mio libro Donne di saggezza (Ubaldini,
Roma 1985), che include la biografia di Machig ed è stata la prima traduzione della storia della
sua vita. Contiene una lunga prefazione personale, un’introduzione sulle donne nel buddhismo,
materiale introduttivo sul Chöd e i quattro demoni, e le biografie di altre cinque maestre tibetane.
Machig Labdrön and the Foundations of Chöd di Jérôme Edou (Snow Lion Publications, Ithaca,
NY, 1995) presenta un’altra traduzione della biografia di Machig, e materiale fondamentale sul
Chöd e le sue origini.
Machig’s Complete Explanation: Clarifying the Meaning of Chöd, una traduzione di un testo
tibetano con questo nome, insieme a un’eccellente, dotta introduzione e ai commenti della
traduttrice e curatrice, Sarah Harding, è stata pubblicata nel 2003 (Snow Lion Publications,
Ithaca, NY). Questo libro narra la vita di Machig, molti dei suoi insegnamenti e specifiche
sessioni di domande e risposte con i suoi principali allievi.
I primi resoconti occidentali del Chöd si devono a un’avventurosa donna francese, Alexandra
David-Neel, che li ha raccolti nel suo libro sui viaggi in Tibet intitolato Mistici e maghi del Tibet
(Ubaldini, Roma 1965). Questo resoconto offre una forte impressione della pratica.
W.Y. Evans-Wentz ha pubblicato la prima traduzione di una liturgia del Chöd nel suo libro del
1935 Tibetan Yoga and Secret Doctrines (Oxford University Press, 1967). Il libro offre un
interessante scorcio di come l’Occidente vedeva il buddhismo tibetano all’inizio del XX secolo.
Evans-Wentz è stato il responsabile di alcune delle prime notevoli traduzioni in inglese dei testi
tibetani.
Giacomella Orofino ha tradotto Ma gcig, Canti spirituali (Adelphi, Milano 2005) e pubblicato
vari articoli su Machig Labdrön in italiano.
Per ulteriori informazioni sulla pratica di sfamare i demoni e sui ritiri in cui si insegna questo
approccio, visitate il sito www.kapalatraining.com o scrivete un’e-mail a
info@kapalatrainig.com. Il sito offre una varietà di proposte riguardo al Kapala Training, alla
pratica di nutrire i demoni e agli insegnamenti di Tsultrim Allione e Machig Labdrön. Presenta
anche altri articoli, materiali gratuiti, liste di gruppi di pratica locali, un calendario degli eventi,
risposte a FAQ e altro. Troverete informazioni sugli incontri e i ritiri nazionali e internazionali con
Tsultrim Allione nell’ambito della formazione permanente per insegnanti, assistenti sociali e
professionisti della salute. La libreria del Tara Mandala offre programmi audio e DVD sul sulla
pratica di nutrire i demoni.
Nel 1993 Tsultrim Allione ha fondato il Tara Mandala, un centro di ritiri di 280 ettari nel sud-est
del Colorado, per diffondere la trasmissione delle pratiche buddhiste nel mondo occidentale. Il
centro organizza ritiri buddhisti brevi e lunghi, oltre ad altri programmi di varie tradizioni e
discipline. Per il calendario e altre informazioni:
Tara Mandala
P.O. Box 3040
Pagosa Springs, CO 81147
tel. +1 970-731-3711
fax + 1 970-731-4441

168
info@taramandala.org
www.taramandala.org

169
Ringraziamenti
La mia gratitudine va soprattutto a Machig Labdrön, i cui insegnamenti sono alla base delle idee
espresse in questo libro, e la cui vita è in esso tessuta. In un mondo in cui sono rari i modelli di
donne illuminate, Machig si distingue come un esempio di donna pienamente realizzata e il suo
impatto, circa un migliaio d’anni dopo che è vissuta, è ancora percepito. Machig è la sola donna
accreditata che ha fondato un proprio lignaggio spirituale in Tibet, un lignaggio passato da
maestro a discepolo per generazioni fino ai giorni nostri.
Quando ho deciso di dedicarmi al compito di presentare gli insegnamenti del buddhismo tibetano
in un modo che fosse autentico ma anche comprensibile per la mente contemporanea nel contesto
di una realtà mondiale moderna, sono stata costantemente ispirata da Sua Santità il XIV Dalai
Lama. Egli è un prezioso regalo per tutta l’umanità; possano i suoi piedi di loto calpestare
sempre la terra. Un profondo inchino di gratitudine anche ai miei maestri radice del Chöd, Apho
Rinpoche e Gegyen Khyentse, e sentiti ringraziamenti alla moglie di Rinpoche e mia cara amica,
Amala Urgyen Chödrön, per essere un esempio di madre e insieme di seria praticante e per
avermi dato il mio primo tamburo del Chöd.
Ringrazio Chögyal Namkhai Norbu Rinpoche per avermi insegnato il vero significato del Chöd e
dei quattro demoni, e per la sua visione nel trasmettere i profondi insegnamenti dello Dzogchen
in Occidente. Mi ha aiutato a comprendere il Chöd come pratica applicabile direttamente ai temi
della mia vita. Ringraziamenti anche a Lodrö Rinpoche per le conversazioni a Zurigo
sull’applicazione dei quattro demoni nella vita occidentale e ulteriori potenziamenti del Chöd.
Adzom Rinpoche mi ha dato incredibili insegnamenti sul Chöd, mi ha aperto la porta a Troma, la
Madre Feroce, e mi ha fatto comprendere il dulzhug, la via per affrontare i demoni che ci spinge
a maggiori profondità. È stato una luminosa presenza nella mia vita e una benedizione per il Tara
Mandala. Gratitudine anche a Karma Dorje Rinpoche di Zangri Kangmar in Tibet per i suoi
profondi doni, e al lama Wangdu Rinpoche, l’incarnazione della generosità e della gioia, e
detentore del lignaggio di Machig.
La mia agente, Anne Edelstein, ha avuto immediata fiducia nel libro e ha mostrato un costante
impegno verso il mio lavoro. Tracy Behar, mia editrice alla Little, Brown and Company, ha
immediatamente compreso l’importanza delle idee qui espresse. Grazie anche a Jennifer Lauck,
che mi ha presentato a entrambe. Peter Guzzardi ha contribuito con la sua abilità di editor e la
sua fiducia nel cambiamento rivoluzionario di paradigma proposto nel libro. Sono grata a Peggy
Leith Anderson, per aver curato con tanta maestria il libro e per la sua sincera connessione al
testo. Kimberley Snow ha passato settimane un inverno lavorando con me al libro e nello stesso
tempo cucinando pranzi da gourmet. Grazie a coloro che hanno trascritto, curato l’editing, letto,
o in altro modo aiutato a vari stadi del libro. Per nominarne alcuni: Julia Jean, Brian Hodel,
Karen Meador, Claudia Webinger, Barbara Staemmler, Leslie Barnett, Diane Hyde, Peter
Weinstein, Mary O’Beirne, Blinda Griswold, Rachel Nave, Ravenna Michalsen, e Yamuna
Becker. A mio genero, direttore di sceneggiatura Trevor Sands per aver letto attentamente il
manoscritto e avermi dato il suo parere in un momento critico. Grazie all’equipaggio della
Camino Militar, Andrew Ungerleider, Gay Dillingham e Donna Boner, per i dolci tramonti, il
rifugio, l’amore e il riposo a Santa Fe. Grazie a Jim Gollin e a Van Jones per la storia di Amilcar
Cabral.

170
Voglio anche ringraziare le professoresse Anne Klein e Harvey Aronson, per le conversazioni
nei momenti chiave riguardo all’intreccio della saggezza orientale con quella occidentale. Molti
ringraziamenti a tutti gli amici che hanno contribuito con le loro storie di demoni (ho cambiato
nomi e dettagli per proteggere la loro privacy); senza il vostro aiuto e la vostra generosità, gli
esempi viventi dell’esperienza delle persone con la pratica non sarebbero in queste pagine. I miei
ringraziamenti allo staff residente del Tara Mandala per aver contribuito con le loro storie di
demoni e per avermi sostenuto in tutti i modi con il loro amore, la loro capacità ed efficienza
dandomi la libertà di scrivere.
I miei figli, Sherab, Aloka, e Cos, mi hanno offerto il punto di vista della loro generazione e
hanno sostenuto sempre che questo è un libro necessario al nostro mondo. I ringraziamenti più
profondi e sentiti a mio marito, David Petit, per il suo infinito amore, per i saggi consigli e il
costante sostegno durante la stesura del libro.

171
Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in
alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto
dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce
una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.
Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto
dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere
imposte anche al fruitore successivo.
www.librimondadori.it
Nutri i tuoi demoni
di Tsultrim Allione
© 2008 by Tsultrim Allione
Titolo originale dell’opera: Feeding your Demons
© 2015 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Ebook ISBN 9788852062001
COPERTINA || ART DIRECTOR: GIACOMO CALLO | PROGETTO GRAFICO: ELENA GIAVALDI/GIANNI CAMUSSO | GRAPHIC DESIGNER: GIUSEPPE SARTORIO | ELABORAZIONE DA FOTO © GETTY IMAGES

172
Indice
Il libro
L’autore
Frontespizio
Prefazione. di Jack Kornfield
NUTRI I TUOI DEMONI
Introduzione
Parte prima. LA PRATICA ANTICA
1. Incontrare il demone
2. Alla scoperta della pratica
3. Cosa sono i demoni?
I demoni sono sempre degli ostacoli?
Parte seconda. NUTRIRE I DEMONI
4. Come nutrire i demoni
Preparare la scena
I cinque stadi per sfamare i demoni
5. Mettere in pratica i cinque stadi
La storia di Kate
Tenere un diario del demone
Affrontare la resistenza
Chiedere aiuto
Sfamare i demoni con un partner
I cinque stadi con un terapeuta
Usare i cinque stadi insieme ad altre pratiche di meditazione
Il mantenimento
6. Idra: un complesso di demoni
7. Lavorare con i demoni attraverso l’arte e le mappe
I cinque stadi con il disegno e la pittura
Lavorare con la creta
Le mappe dei demoni
Le mappe del corpo
Parte terza. TIPI DI DEMONI
8. I quattro demoni di Machig, gli de7 i e gli de7 i-demoni
I demoni esterni
I demoni interni
I demoni dell’esaltazione
I demoni dell’egocentrismo
Gli de7 i e gli de7 i-demoni
9. I demoni della malattia
La storia di Fred
Sfamare i demoni della malattia
I demoni carnivori della malattia
10. I demoni della paura
I demoni della fobia sociale
La paura della perdita
I demoni della sindrome da stress post-traumatico
Un demone del panico
11. I demoni dell’amore
I demoni che bloccano le relazioni
Gli de7 i-demoni delle relazioni
La proiezione dei demoni
12. I demoni della dipendenza
I demoni dell’abuso di sostanze
I demoni del superlavoro
13. I demoni dell’abuso

173
14. I demoni familiari
15. I demoni della mente
I demoni della rabbia
I demoni del perfezionismo
I demoni della depressione
I demoni della vergogna
I demoni dell’ansia
I demoni dell’inautenticita7
16. I demoni dell’esaltazione
I demoni mondani dell’esaltazione
I demoni spirituali dell’esaltazione
17. Il demone dell’egocentrismo
Parte quarta. APPROFONDIRE IL LAVORO CON IL DEMONE
18. La liberazione diretta
19. I demoni nel mondo piu7 ampio
I demoni collettivi della famiglia
I demoni delle organizzazioni
I demoni politici
Postfazione. Dalle ultime istruzioni di Machig
Appendice. Versione abbreviata dei Cinque stadi per nutrire i demoni
La preparazione
Primo stadio: trovare il demone
Secondo stadio: personificare il demone e chiedergli di cosa ha bisogno
Terzo stadio: diventare il demone
Quarto stadio: sfamare il demone e incontrare l’alleato
Quinto stadio: riposare nella consapevolezza
Approfondimenti bibliografici
Ringraziamenti
Copyright

174

Potrebbero piacerti anche