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La questione tibetana.
La questione tibetana è, a livello umanitario, una delle emergenze più gravi e meno
trattare al mondo. I rapporti politici e soprattutto economici che il governo cinese ha
intessuto ed intesse con i paesi industrializzati dell’occidente consento al governo cinese
stesso di perpetrare impunemente, nei confronti delle minoranze linguistiche e razziali,
una politica di repressione e terrore.
Non sono solo, infatti, i tibetani che subiscono violenze e vessazioni considerevoli, ma
anche diversi altri popoli “liberati” dal partito comunista cinese dagli “imperialisti”.
Mongoli e Uiguri hanno subito una sorte molto simile a quella dei tibetani; tragedie
dimenticate di popoli troppo, numericamente e militarmente, inferiori alla supremazia
degli Han.
Il Tibet è l’ultima delle grandi zone limitrofe alla Cina ad essere stata “conquistata” dai
cinesi.
La Cina ha sempre avuto mire egemoniche sul Tibet fin da tempi molto antichi. Il nome
cinese per indicare il Tibet è Xizang, “paese del tesoro occidentale” e questo e questo è
molto indicativo di quanto, prima gli imperatori e poi il partito comunista cinese, tenessero
al Tibet.
La storia del Tibet e del suo popolo è complessa e tortuosa.
Si passa da periodi di piccoli regni regionali di stampo prettamente feudale a monarchie
guerriere che conquistarono tutta l’Asia centrale, alle dominazioni di vari Khan mongoli,
al potere temporale detenuto dai Dalai Lama sino all’occupazione cinese. Ci
concentreremo sull’ ultima parte della storia del Paese delle nevi che è quella che
maggiormente ci interessa.
Nell’ ottobre del 1949 i comunisti di Mao Zedong giunsero al potere in Cina; un anno
Ricerca a cura di Vincenzo Scaglione Vicepresidente della H.R.Y.O. – Human Rights Youth Organization
Fonte: www.wikipedia.org
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dopo l’esercito di liberazione popolare entra nella zona del Chamdo, invadendo di fatto il
Tibet.
Il pretesto era che il Tibet potesse essere conquistato dagli imperialisti occidentali che lo
avrebbero depredato delle sue ricchezze togliendo ai tibetani la libertà.
Dopo un primo periodo di relativa pacifica convivenza, negli anni settanta la rivoluzione
culturale voluta da Mao Zedong devastò il patrimonio culturale e religioso dell’intero
Tibet.
Migliaia di monasteri furono fatti saltare in aria con la dinamite, violenze indicibili furono
attuate su monaci e monache e sull’intera popolazione civile.
Secondo stime approssimative il numero delle vittime è di circa 1.200.000 morti
ammazzati.
E’ innegabile che da un punto di vista del progresso materiale i cinesi hanno fatto molto,
ma il prezzo pagato dai tibetani è troppo alto.
Il loro capo spirituale e temporale, Sua Santità il Dalai Lama, è stato costretto a fuggire in
India, nel 1959, per salvarsi la vita e dare una speranza al suo popolo.
Circa 130.000 tibetani lo hanno seguito, molti altri non sono sopravvissuti al viaggio, allo
sbalzo climatico, alle malattie ed ai cecchini cinesi.
Lo stesso Dalai Lama ha più volte denunciato il “tentativo di genocidio culturale” che i
cinesi hanno attuato in Tibet.
Oggi i tibetani sono stranieri nel loro paese, il governo di Pechino ha trasferito
sull’altipiano tibetano circa sette milioni di cinesi Han, un milione in più rispetto gli stessi
tibetani.
È proibito ai tibetani di avere più di un figlio a famiglia, tenere immagini di Sua Santità il
Dalai Lama, cantare canzoni popolari, contestare apertamente il regime.
Le donne tibetane subiscono, in alcuni casi, sterilizzazioni forzate; nelle scuole non si
insegna il tibetano ma solo il cinese Han; nei monasteri sono presenti agenti del governo
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