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strò grande sensibilità per le arti, non solo curando dal punto di vista
artistico la sua città, ma anche dedicandosi personalmente alle arti. Per
fare acquisire importanza e benessere al proprio paese tentò di incorag
giare l'industria con proficui incarichi. Alcuni giovani artisti collaborarono
al progetto e per comunicare al mondo le sue intenzioni organizzò una
grande festa.
Sembra che a Darmstadt si sia avverata una favola allorché il granduca
Ernesto Ludovico inaugurò la mostra "Ein Dokument deutscher Kun$t"(Un
documento dell'arte tedesca). Ciò accadde nel 1901 e il titolo in realtà
non corrispondeva a ciò che veniva presentato: una colonia per artisti
interamente costruita secondo il nuovo stile. La Mathildenhòhe, un dolce
pendio non molto lontano dal centro della città, servì da scenario; un
ampio edificio che fungeva da laboratorio rappresentava il fulcro archi-
tettonico a cui si aggiunsero sette abitazioni in ordine sparso. Nell'insie
me il programma fu efficace, originale e stilisticamente coerente, poiché
quasi tutti gli edifici erano stati progettati dallo stesso architetto. Meno
convincente sembra oggi la scelta dei sette artisti, sostenitori ed esempio
dell'esperimento. I due pittori e i due scultori del gruppo non dimostrarono
quel grande talento di cui avevano dato prova in passato e anche il giova
ne architetto che ne faceva parte stava all'ombra di Joseph Maria Olbrich
che, già noto a Vienna, riscuoteva adesso grandi successi a Darmstadt,
aiutato in questo oltre che dalla sua grande maestria, dalla vicinanza al
granduca cui per molti aspetti somigliava. Inoltre egli era l'unico vero
architetto del gruppo. Con lui poteva gareggiare soltanto il settimo del
gruppo il pittore, grafico e progettista Peter Behrens, chiamato apposita
mente da Monaco. Quest'ultimo fu colui che idealmente può essere consi
derato il vincitore della gara artistica, anche se il tono dominante fu dato
da Olbrich, che seppe conservare anche in seguito la sua posizione a
Darmstadt. Stilisticamente i due artisti erano agli antipodi.
Originariamente nelle case avrebbero dovuto abitare soltanto gli artisti,
ma poiché non tutti possedevano i mezzi economici necessari per poter
costruire sul pezzo di terreno messo a loro disposizione, un fabbricante di
mobili comprò due delle case già finite, che completò poi con un arreda
mento da lui fornito, quasi una forma di ostentazione delle sue possibilità
Gnomiche. Ciò fu forse determinato dal fatto che tutti gli edifici erano
aperti al pubblico.
L'intera operazione non fu fine a se stessa, il nobile promotore aveva
interesse a uno sviluppo in senso moderno dell'arte e dell'industria per
poter incentivare l'economia dell'Assia. Il punto di vista commerciale rimase
nascosto dietro quello estetico, che prevaleva in maniera evidente. Parti
colarmente interessante era la mancanza dell'effetto scenografico che aveva
spesso caratterizzato fino ad allora le esposizioni. Niente era fittizio, al
contrario erano esposte opere reali. Nonostante una certa solennità dei
dettagli e soprattutto in occasione dell'inaugurazione, l'esposizione ebbe
un carattere molto sereno, cosa insolita per una manifestazione di questo
genere nel clima imperiale.
Il tentativo del principe fu chiaramente quello di contrapporre un'immagi
ne alternativa alla pesantezza e al pathos guglielmino. Egli pensava
l'esperimento in una prospettiva nazionale e ciò è dimostrato dal titolo
della mostra; il suo atteggiamento molto lontano da quello di Berlino era
frutto di un'educazione aperta e moderna e dell'influsso della cultura in
glese, grazie ai legami di parentela della madre con la casa reale ingle
se, riscontrabile sia nel suo riservato contegno sia nella concezione che
egli aveva dei suoi compiti di principe e regnante.
Esautorato dal punto di vista politico dal dispotico imperatore si era sem
pre più concentrato sul suo paese tentando di fargli assumere una partico
lare importanza dal punto di vista culturale. Ciò andò a vantaggio so
prattutto della capitale, Darmstadt, che dalla fine del diciannovesimo se
colo in poi si era trasformata da tranquilla cittadina di presidio a città
industriale, sviluppando soprattutto i settori dell'industria meccanica, chi
mica e mobilierà.
Dal punto di vista architettonico la città era già stata arricchita dal costruttore
Georg Moller e in questa direzione andavano anche le intenzioni di Ernesto
Ludovico. Una delle sue prime decisioni da giovane regnante, aveva solo
ventitré anni quando giunse al governo, fu quella di scegliere per la co
struzione del Landesmuseum di Darmstadt l'alloro sconosciuto Alfred Mes-
sei, dando piena fiducia all'artista, che, appassionato di Wagner, si era
occasionalmente cimentato come regista di opere liriche.
Ispirata all'Inghilterra fu sicuramente anche l'idea di fare della propria
villa privata un manifesto artistico. L'opera del mecenate era chiaramente
diretta a una sfera privata, e anche se l'esposizione contribuì alla fortuna
e all'importanza del principe, ciò accadde in maniera indiretta e non
senza pericoli. E comprensibile, anche se rappresenta soltanto una visio
ne parziale, che l'atteggiamento dei critici si sia limitato a una valutazio
ne artistica, dato che questo era l'aspetto prevalente della manifestazione,
mentre non ne fu colto il tono provocatorio dal punto di vista politico.
Forse vi era anche una certa confusione generale, generata dal fatto che
ciò che solitamente veniva promosso dall'alto rispondeva alle tendenze
ufficiali. Fu ignorato invece il carattere specifico della mostra che al con
trario si opponeva a quelle tendenze, nonostante il critico ufficiale, Georg
Fuchs, avesse posto l'accento sul contrasto tra Darmstadt e le influenti e
determinanti metropoli come Monaco e Berlino e tra il granduca e l'impe
ratore Guglielmo: "E stato un atto coraggioso da parte del fondatore della
colonia di artisti assegnare alla propria città una posizione autonoma
rispetto alla soffocante forza dei centri più influenti, cogliendo l'occasione
per strappare la sua creazione all'arbitrarietà e all'insieme di tendenze
che spingono a sminuire ciò che è grande, a glorificare cose di poco
conto e a nutrire la mediocrità".*
Cièche era stato fatto nel 1901 a Darmstadt in un ambito provinciale era
vera e propria architettura, che non aveva nulla di provinciale. Questa
sedie (ili. p. 154). Non si differenziava molto da van de Velde e dal Ge-
samtkunstwerk, anche perché uno spazio così configurato fungeva da sce
nario.
Naturalmente un artista di tale livello era destinato a fare velocemente
carriera in Germania; Darmstadt era soltanto una fase di passaggio. Gli
altri luoghi in cui operò furono Dusseldorf, Hagen e Berlino, ma anche le
zone industriali del Reno e del bacino della Ruhr. Era allora uno dei pochi
che si spostava dalla periferia al centro, non si fece gli stessi scrupoli degli
altri ed ebbe grandi risultati. A Berlino divenne nel 1909 l'architetto uffi
ciale della potente AEG, per cui era anche disegnatore. Fu un passo deci
sivo con cui si realizzò la tanto desiderata fusione tra arte e industria. Un
rappresentante dello Jugendstil era infine arrivato ai vertici.
Diventato un artista importante Behrens vantava una vastissima produzio
ne. La gran quantità di incarichi - ville, fabbriche, mostre, ma anche l'am
basciata tedesca a S. Pietroburgo, allora capitale della Russia - determinò
tuttavia uno scadere dal punto di vista qualitativo delle realizzazioni che
portavano la sua firma; gli oggetti erano sempre più schematici, forse
perché ormai non eseguiva più personalmente i progetti, ma li faceva
eseguire dai suoi fidati collaboratori, controllandoli solo sommariamente.
Due dei migliori rappresentanti della nuova generazione di architetti,
Ludwig Mies van der Rohe e Walter Gropius, lavorarono di tanto in tanto
per lui.
Inoltre Behrens era un artista tipicamente tedesco. Esteriormente lo dimo
stra il pathos wagneriano dei primi anni e i toni inneggianti dei suoi
adulatori. Georg Fuchs, che abbiamo già citato parlando di Darmstadt,
scrisse a proposito dell'ingresso alla Haus der Macht und der Schònheit
(Casa della Potenza e della Bellezza), imponente allestimento per l'Espo
sizione di Torino (ili. p. 158): "'Entra, o straniero, qui domina l'impero
tedesco; ammira con animo pio la sua potenza!' Un motto del genere
dovrebbe essere scolpito sull'arco dell'entrata, poiché ciò che silenziosa
mente si annuncia in questa sala, è il potere, il potere dell'impero di
Guglielmo II, maturo e deciso, provvisto degli stessi diritti, delle stesse
A
so e ameno. L'originario progetto di una casa bifamiliare ricorda del resto
modelli inglesi, mentre l'esempio del 1908 non ha perso quel tono un po'
falso di una forzata atmosfera domestica ideale (ill. p. 1 64). Le case era
no state concepite per destinatari che corrispondevano al concetto gene
rale di operaio modello.
L'ancora incerta evoluzione del 1901 fu potenziata nel 1907 quando si
cominciò a costruire sulla cima della collina sul cui pendio meridionale
sorgeva la comunità degli artisti. Il bacino d'acqua preesistente fece da
base per un grande edificio destinato alle esposizioni, cui fu aggiunta
una torre in una posizione che non rispettava una rigida simmetria (ili. pp.
162, 163). L'edificio era il regalo ufficiale della città in occasione delle
nuove nozze del principe, e grazie a esso la Mathildenhòhe acquisì gran-
una torre in una posizione che non rispettava una rigida simmetria (ili. pp.
162, 163). L'edificio era il regalo ufficiale della città in occasione delle
nuove nozze del principe, e grazie a esso la Mathildenhòhe acquisì gran
dissima importanza. La Hochzeitsturm (torre nuziale), che ricorda una
mano nell'atto del giuramento, divenne un punto di orientamento incon
fondibile e un punto di collegamento con il centro della città. A ciò contri
buì anche l'ampliamento di un asse viario che conduceva direttamente al
palazzo delle esposizioni passando per la piccola cappella russo-orto
dossa, che era stata costruita nel 1 899 per i familiari imparentati con lo
zar (ili. p. 143).
L'edificio era insignificante dal punto di vista architettonico, ma efficace
nel suo vivace cromatismo. Con il nuovo orientamento la colonia degli
artisti rimase un po' in ombra, mentre il punto fondamentale divenne l'edi
ficio che ospitava l'Atelier. Il palazzo delle esposizioni si basa su una
costruzione simmetrica a tre ali, con un cortile interno. La struttura viene
quasi nascosta dai diversi ampliamenti della sua facciata occidentale,
scale, terrazze, un padiglione e infine l'alta torre, che danno l'impressio
ne di una composizione multiforme.
Olbrich mostrò qui quella maestria che fino ad allora aveva avuto modo
di esprimersi solo in parte. La costruzione ha un carattere libero e disinvolto;
equilibrata in tutte le sue parti non è mai eccessiva e a ben guardare è
simile all'edificio dell'Atelier, ma qui a sostegno della multiforme costruzione
vi è una torre e non più un gruppo di figure. Anche se si trattava in questo
caso dell'intervento di un altro elemento architettonico, sono evidenti ie
differenze tra la torre e I edificio: la simmetria dell'intero complesso, per
esempio, e disturbata dalle finestre a angolo della torre, o dal contrasto
tra la suo superficie grezza di mattoni e quella levigata del resto dell'edificio
Si potrebbe anche affermare che qui s'incontrano due diverse epoche, il
Medioevo e il Classicismo, ma sarebbe troppo capzioso rispetto olla
dominante maestria e alla liberto dell'opera. Tuttavia l'edificio dimostra
una sovrapposizione di canoni e quell'ambivalenza che i
migliori lavori di Olbrich.
Con le costruzioni sulla Mathildenhòhe l'architetto, ormai divenuto molto
famoso, si congeda da Darmstadt, per dedicarsi a nuovi incarichi che gli
erano stati affidati nella zona del Reno, con i quali raggiunse l'apice della
sua corriera, prima della prematura scomparsa, come spesso avviene nel-