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2
Diego Molteni, Antonio Bellingreri, Luciano Sesta
L’uomo tra
scienza, fede, filosofia
Per un dialogo con le nuove generazioni
a cura di
Alessandro Di Vita
Palumbo
Quaderni ARCES
COLLANA DEL
COLLEGIO UNIVERSITARIO ARCES
1 Premessa 13
3 Fede 18
Appendice 21
3 Il problema dell’empatia 37
5 L’approche chrétien 44
6 L’idea di Bildung 47
V
2 La dualità originaria: l’uomo come anima e corpo 57
3 Materialismo ed evoluzionismo: l’uomo è solo corpo 59
4 Ritornare all’uomo come persona 62
5 Conclusioni 67
VI
Presentazione
Alessandro Di Vita*
1
se i progressi della scienza e le aperture filosofiche alla fede
rivelata possano conciliarsi. Le tre relazioni qui pubblicate so-
no il risultato di tre incontri organizzati dal Centro Monte
Grifone e rivolti soprattutto a studenti dell’ultimo biennio
dei licei e a giovani universitari. Con la loro presentazione,
si intende offrire qualche risposta qualificata all’esigenza dei
giovani d’oggi di approfondire in modo sistematico la cono-
scenza dei fondamenti del sapere scientifico. I temi oggetto
di riflessione sono stati affrontati da alcuni rappresentanti
dell’ambiente accademico palermitano, professionisti che si
dedicano con passione alla ricerca scientifica nei campi della
fisica, della pedagogia, della bioetica e della filosofia. I tre stu-
diosi hanno incontrato gli studenti nei mesi di marzo e apri-
le del 2005 presso i locali della libreria “Kalós” di Palermo,
in tre diverse occasioni in cui hanno avuto modo di esporre
i loro temi e suscitare negli adolescenti, attraverso il dialogo,
linee di ricerca personali.
La prima relazione, Scienza e fede: considerazioni per un per-
corso di ricerca personale, è presentata con uno stile colloquiale
e in modo sintetico, tale da facilitare la riflessione personale.
L’autore, Diego Molteni, un fisico di professione, sulla base
di alcuni principi che già la coscienza comune può intuire nel-
la quotidianità, affronta il tema del rapporto esistente tra
scienza e fede. La «limitatezza» dell’uomo, la sua «reale ca-
pacità» conoscitiva e il suo esser stato «voluto» da un Altro
sono il filo conduttore del suo discorso. Sulla base di queste
acquisizioni, egli cerca di far luce sull’identità (sullo statuto
epistemologico) e sui compiti conoscitivi della scienza con-
temporanea, sul suo aspetto «quantitativo» e sul rigore della
sua logica matematica. Queste considerazioni avviano già il di-
battito sulla presunta e assoluta certezza della conoscenza
scientifica, ma anche sulla provvisorietà delle sue ipotesi, an-
corché possa scoprire, e abbia scoperto, delle «verità», cono-
sciute universalmente. La scienza, infatti, nel suo processo
conoscitivo, non può non tener conto di alcune «opzioni me-
tafisiche implicite» comprendenti quegli elementi della realtà
non immediatamente evidenti o verificabili, perché di natura
Presentazione 3
za di Dio (neppure le violenti forze della natura e il male mo-
rale lo sono): è piuttosto il tramite per giungere a lui. Il li-
mite sta invece in noi, nelle nostre capacità conoscitive e nei
condizionamenti cui siamo continuamente sottoposti. È per
questo che l’umiltà – a questa il professor Molteni ha fatto
spesso riferimento durante il primo incontro con i giovani –
risulta come disposizione fondamentale del vero ricercatore.
La seconda relazione, Una dimostrazione pedagogica dell’e-
sistenza della persona, presenta un argomento più specifico:
l’autore individua il legame esistente tra fede e filosofia, at-
traverso una descrizione dell’esperienza personale di Edith
Stein, donna e filosofa (allieva di Edmund Husserl, fondato-
re del metodo fenomenologico),1 ebrea che si converte al cat-
tolicesimo, ricercatrice di verità che entra nel Carmelo e of-
fre la sua vita morendo martire ad Auschwitz e diviene san-
ta della Chiesa (canonizzata da Giovanni Paolo II nel 1998 e
successivamente proclamata copatrona d’Europa). L’itinera-
rio intellettuale della Stein – caratterizzato da una perfetta
unità tra pensiero ed esistenza vissuta – è scandito da alcune
tappe, per la precisione tre (la conversione alla psicologia
scientifica, quella alla filosofia come conoscenza vitale e for-
matrice e quella alla fede cattolica), che la indussero a matu-
rare l’idea di una Bildung cristiana (educazione cristiana) qua-
lificata in senso proprio come categoria filosofico-pedagogica.
Ella volle chiaramente pensare questa categoria nell’orizzon-
te di una metafisica cristiana. I tratti fortemente autobiogra-
fici del suo sistema teoretico denotano l’impegno di voler per-
venire a una conoscenza oggettiva del suo vissuto soggettivo.
A ben vedere, l’autore sembra voler porre in rilievo la verità
1
È bene ricordare che il metodo fenomenologico, inteso come analisi della strut-
tura oggettiva dei vissuti personali (Erlebnisse), fu fondato da Edmund Husserl (1859-
1938), filosofo tedesco che funse da stella polare per un gruppo di discepoli che avreb-
bero fatto la storia della fenomenologia contemporanea. Tra questi si possono men-
zionare: M. Scheler, R. Ingarden, D. Von Hildebrand, E. Stein, M. Merleau-Ponty.
Ognuno di questi pensatori diede vita a un sistema filosofico originale. Tra le opere
di Husserl che meglio spiegano le funzioni del metodo fenomenologico si possono ri-
cordare: le Ricerche logiche, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenome-
nologica, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale.
2
Cfr. A. Bellingreri, Per una pedagogia dell’empatia, Vita e Pensiero, Milano 2005,
pp. 191-206.
Presentazione 5
come tali. Per questo, la dimostrazione della spiritualità del-
l’uomo o dell’esistenza della persona operata qui dal profes-
sor Bellingreri attraverso una lettura fenomenologico-erme-
neutica della vita e del pensiero di E. Stein, appare un buon
preambolo per una pedagogia dell’empatia che voglia istituire
questa, mediante una riflessione razionale stringente, come
categoria pedagogica – quindi non già o non solo una Bildung
che si configura nell’orizzonte di una metafisica cristiana –,
presentandola quale forma di conoscenza autentica e adegua-
ta dell’altro (comprensione empatica), e, insieme, vedere in es-
sa l’essenza educativa, cioè ciò che definisce essenzialmente l’e-
ducazione. Sotto questo aspetto, l’autore è molto più vicino
alla Stein non ancora convertita alla fede cattolica, quella che
perviene al senso di un’ontologia dello spirito attraverso una
reinterpretazione dei concetti fondamentali della psicologia
sperimentale.
Il metodo fenomenologico messo in atto da E. Stein – con
cui ella si mantenne fedele al primo Husserl3 – per pervenire
all’ontologia dello spirito si caratterizza per tre aspetti fon-
damentali: il primo consiste «in una messa tra parentesi di ciò
che noi, in modo spontaneo, sappiamo, per potere affermare
solo ciò che si mostra con un’evidenza tale da non poter es-
sere smentito. L’evidenza […] è il criterio della verità». Il se-
condo è l’aspetto che permette alla filosofia fenomenologica
di definirsi «intuizione dell’essenza» (Wesensschau), intuizio-
ne di ciò che è essenziale in una realtà (umana o no): esso per-
mette di conoscere una realtà non in superficie o negli aspet-
ti accidentali, ma in quegli elementi profondi che sono in
quella permanenti. Per ultimo, la coscienza che è come vuo-
tata di tutti i suoi giudizi con l’epoché (la messa tra parente-
3
Il maestro di E. Stein, Edmund Husserl, difatti, con la prospettiva complessiva
presentata nell’opera intitolata Idee, si era allontanato dal significato originario che
egli stesso aveva associato al metodo fenomenologico, interpretandolo idealisticamen-
te: la conoscenza conseguita col metodo fenomenologico non è una forma di allucina-
zione che nasce e rimane nella coscienza del soggetto, ma è il risultato di una “verità”
che la coscienza ha ricevuto direttamente dall’esperienza reale, una verità “incontra-
ta” di cui la coscienza si è resa edotta. Di questo E. Stien era perfettamente convin-
ta, come gli altri allievi del maestro.
Presentazione 7
zione dell’esistenza della persona contro ogni riduzionismo
scientista.
La coscienza comune accredita una fiducia maggiore alla
scienza piuttosto che alla filosofia, poiché si pensa che, nella
ricerca della verità scientifica, lo scienziato abbia a che fare
con “dati di fatto”, mentre il filosofo con idee che esistono
solo nella sua mente: per questo, il primo possiederebbe più
prestigio e credibilità del secondo. In realtà, come è spiegato
bene dal dottor Sesta anche con esempi concreti, la scienza e
la filosofia possono studiare i medesimi problemi e assumere
gli stessi oggetti, ma utilizzando metodi e linguaggi diversi:
se la scienza spiega gli oggetti che indaga secondo il paradig-
ma fisico-chimico-matematico, la filosofia li comprende se-
condo i principi propri della ragione che costituisce, a ben
vedere, il suo stesso metodo.4 Questo tipo di comprensione
filosofica del mondo e dell’uomo, a differenza delle spiegazioni
della scienza, è, nondimeno, vera conoscenza, cioè conoscen-
za adeguata della realtà che vediamo con gli occhi del nostro
corpo. «Con la nascita delle scienze sperimentali, sarà chiaro
che, mentre le spiegazioni della scienza fanno riferimento a
ciò che può essere sperimentato sensibilmente, dunque al mon-
do della materia, la filosofia attinge il mondo dell’anima, dei
principi immateriali e invisibili. Questi principi non sono me-
no reali per il fatto che non si vedono. Anche la vista non si
vede, eppure è il principio che spiega tutto ciò che si vede».
La natura umana è una realtà molto complessa, costituita da
distinte dimensioni di ordine materiale e spirituale: per que-
sto, è giusto e legittimo – e potremmo dire anche “dovero-
so” – risolvere i problemi nel loro ordine proprio, guardando
la realtà in una dimensione specifica secondo il punto di vista
particolare della scienza chiamata in causa per indagarla. Se
non si segue questo criterio, si corre il serio rischio di esau-
rire la conoscenza dell’intera natura umana nei risultati conse-
guiti da un’unica scienza particolare che, avendo licenza d’in-
dagare una particolare sezione del reale o dimensione umana,
4
Cfr. E. Berti, Introduzione alla metafisica, UTET, Torino 1993, pp. 111-113.
Presentazione 9
nell’ambito di una scienza. «In altri termini, l’accordo inter-
soggettivo a proposito di una certa nozione, sia essa concre-
ta o astratta, risulta dal fatto che i soggetti interessati di-
spongono di un certo numero di operazioni, già comunemen-
te condivise, le quali permettono di verificare l’uso uniforme
che essi fanno di questa: ciò può già risultare a livello di espe-
rienza quotidiana, ma risulta ancora più evidente nel caso del-
l’intersoggettività scientifica, che è sempre legata all’uso di
procedimenti standardizzati, accettati e condivisi da una co-
munità di scienziati in una data epoca storica».5
La filosofia ci dice il perché delle cose: tale perché “ha a
che vedere” con le convinzioni e i valori morali che una per-
sona interiorizza come ideali di vita: Socrate stava in prigio-
ne negli ultimi giorni della sua vita non perché le sue gambe
lo portarono lì, ma perché le sue convinzioni morali erano ta-
li che egli preferì la prigione alla trasgressione delle leggi di
Atene, la morte ai rimorsi di coscienza. In tal senso, la filo-
sofia studia l’anima, la scienza il corpo: questa dualità uma-
na è ineludibile.
Il dottor Sesta mette in evidenza l’alta dignità dell’uomo e
la sua superiorità di natura rispetto a tutti gli altri esseri. In
tal senso, contro l’evoluzionismo darwiniano che opera una ri-
duzione ontologica dell’uomo all’animale non razionale e la
teoria freudiana che individua negli istinti sessuali l’origine di
ogni azione umana «sublimata», propugna un ritorno alla «per-
sona» superando ogni forma di equiparazione indebita del-
l’uomo con le altre forme viventi: l’anima è il principio di
unità della persona umana in cui si attestano le sue istanze
spirituali e morali. Le scienze fisico-chimico-matematiche non
ne possono dimostrare l’esistenza, ma neppure possono am-
metterne semplicisticamente l’inesistenza; la filosofia, invece,
ha gli strumenti metodologici e concettuali atti a darne ragio-
ne. Partendo dai vissuti della nostra vita quotidiana, essa può
dimostrare che noi siamo più che agglomerato di atomi, più che
5
E. Agazzi, Il bene, il male e la scienza. Le dimensioni etiche dell’impresa scientifi-
co-tecnologica, Rusconi, Milano 1992, p. 30.
Presentazione 11
1
1 Premessa
13
«La nostra esistenza è stata voluta».
2.1 Scienza
2.3 Gödel
1
Si veda l’appendice per capire come opera la prova di Gödel.
2
Si veda il Corriere della Sera, 27 febbraio 2005.
3
Giovanni Paolo II, Fides et ratio, San Paolo, Milano 1998, p. 3.
Prova: Scrivere una lista P1, P2, P3, di tutti i possibili programmi che
accettano un intero positivo come input e forniscono un intero positi-
vo come output. Come si può fare?
Scrivi tutte le possibili sequenze di simboli (“strings”, liste ovvero
– orribilmente – stringhe) e scegli quelle che sono dei programmi di
computer sintatticamente corretti. La stringa n. 1 sia “a” (che non è
un programma), la n. 2 sia “b” (che non è un programma), la n. 3 sia
“c”, la n. 21 sia “z”, la n. 22 sia “aa”, e così via. Avremo una sequenza
che recita “la vispa Teresa…” (che non è un programma). Avremo la
Divina Commedia (che non è un programma). Avremo un sacco di
“strings” inutili, ma avremo anche tutti i possibili programmi (co-
struibili con un qualunque linguaggio di programmazione) che poi an-
diamo ri-numerando progressivamente. Così alla fine avremo P1, P2,
P3, ecc. Se diamo, in input, un numero “n” al programma Pk, ne otte-
niamo il numero pk(n); così chiamiamo pk la funzione calcolata da Pk.
Il teorema afferma che esiste sempre una funzione “f” che non è
eguale ad alcun pk qualunque sia k. Facciamo attenzione al program-
ma da Pn e diamogli in pasto “n” stesso, che cosa otteniamo? Otte-
niamo il numero pn(n). Ora definiamo proprio così la nostra “f”: essa
aggiunge un “uno” al valore calcolato dalla funzione pn che agisce sul
Agli inizi del triste gennaio 1933, Edith Stein tenne una con-
ferenza sul tema «Formare la gioventù alla luce della fede
cattolica», nell’ambito delle giornate di lavoro del Congresso
dell’Istituto Germanico di Pedagogia Scientifica di Münster,
svoltosi nella Frauenbundhaus di Berlino-Charlottenburg. Da
pochi mesi aveva ricevuto presso questo Istituto l’incarico di
tenere corsi di discipline filosofiche e pedagogiche. Il testo di
questa conferenza fu pubblicato per la prima volta nel 1990
dai curatori dell’opera omnia, nel volume La vita come tota-
lità che raccoglie, come dice il sottotitolo, gli Scritti sulla edu-
cazione [Bildung] religiosa.1 Alcune pagine appaiono, a una
23
prima lettura, una sorta di commento filosofico-pedagogico
dell’enciclica di Pio XI, Divini illius magistri, diffusa, come è
noto, il 31-12-1929 e dedicata al tema dell’educazione cri-
stiana.2
Si può considerare questo testo come punto di riferimento
per un’analisi della prospettiva di E. Stein sull’educativo, a mo-
tivo del suo carattere sintetico, che lo rende una sorta di bre-
viario; ma anche a motivo della circostanza storica in cui ven-
ne scritto: quel tragico inizio del ’33, così gravido di conse-
guenze funeste per la Germania e l’Europa. Con esso sono
raccolti altri testi e tutti ruotano attorno all’idea di Bildung cri-
stiana; formano perciò una silloge che, rispetto alle altre ope-
re dell’Autrice, si deve qualificare in senso proprio pedagogica
o filosofico-pedagogica, come è preferibile esprimersi.
Certo, quando accettò l’incarico a Münster, E. Stein di-
chiarò che era sua esplicita intenzione assumere il compito di
una ricerca e «giustificazione dei fondamenti della pedago-
gia». Non si può però dire che col termine pedagogia Ella in-
tendesse una scienza distinta, quanto al suo oggetto formale,
da una filosofia dell’uomo e della sua educazione; l’esame dei
suoi scritti mostra in modo sin troppo evidente, che per lei
non c’è distinzione reale tra la pedagogia e l’antropologia fi-
losofica dell’educazione. Si deve pertanto affermare che, con
quella sua dichiarazione d’intenti, ella volesse piuttosto pen-
sare la categoria di Bildung nell’orizzonte di una metafisica cri-
stiana, tentativo che, poi, viene messo in opera, attraverso la
dialettica di una posizione di principio antitetica alla sua:
quella che pensa la formazione e i suoi problemi in primo luo-
go ed essenzialmente in un orizzonte psicologico; oppure, ri-
conducibili a una concezione empiristica dell’esperienza, al-
da una cifra romana che indica il numero del volume, mentre viene indicato tra pa-
rentesi l’anno di edizione. La vita come totalità porta, nell’originale, il significativo
(forse intraducibile) titolo, Ganzheitliches Leben; è stata pubblicata come W XII (1989).
Il testo della conferenza «Formare la gioventù alla luce della fede cattolica» è, nella
traduzione italiana, alle pp. 209-231 (W XII, pp. 209-230).
2
L’enciclica, precisamente, reca la data del 31.12.1929. Sul suo significato e sul
contesto storico in cui va inserita, cfr. N. Galli (a cura di), L’educazione cristiana ne-
gli insegnamenti degli ultimi pontefici. Da Pio XI a Giovanni Paolo II, Vita e Pensiero,
Milano 1992.
3
Cfr. E. Stein, «I tipi della psicologia e il loro significato per la pedagogia» (1929),
in Id., La vita come totalità: Scritti sull’educazione religiosa, pp. 44-49 (W XII, 47-51).
4
E. Stein, Il problema dell’empatia (trad. dal tedesco), Studium, Roma 1998 (è l’e-
dizione che qui citerò; esiste infatti un’altra traduzione italiana, a cura di M. Nicoletti,
col titolo L’empatia, Franco Angeli, Milano, 1986. L’opera è del 1917; non è stata pub-
blicata nelle Werke, ma a Halle, Bruckdruckerei des Waisenhauses); Id., Psicologia e
scienze dello spirito. Contributi per una fondazione filosofica (trad. dal tedesco), Città Nuo-
va, Roma 1996 (non è stata pubblicata nelle Werke, ma a Tubinga, Niemeyer, 1970).
16
E. Stein, Psicologia e scienze dello spirito. Contributi per una fondazione filosofica,
pp. 65-71.
17
Ibi, p. 42.
18
Ibi, pp. 56 ss.
19
Ibi, p. 72.
20
Oppure Lo statuto antropologico dell’essere spirituale, come si esprime, nel sotto-
titolo, A. Kaiser, Gnoseologia dell’educazione, La Scuola, Brescia 1998.
21
Cfr. Renata De Spiritu Sancto, Edith Stein (trad. dal tedesco), Morcelliana, Bre-
scia 1952, p. 113.
22
Gv 1, 12-13: «Quotquot autem acceperunt eum, dedit eis potestatem filios Dei fie-
ri, his, qui credunt in nomine eius, qui non ex sanguinibus neque ex voluntate carnis
neque ex voluntate viri, sed ex Deo nati sunt» (Nova Vulgata Bibliorum Sacrorum Edi-
tio, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, p. 1586; sottolineature mie).
23
L. Boella-A. Buttarelli, Per amore di altro. L’empatia a partire da Edith Stein, Raf-
faello Cortina, Milano 2000, p. 13.
25
E. Stein, Lettera 31.10.1938, «A una superiora», in Id., La scelta di Dio. Let-
tere dal 1917 al 1942, p. 107. Cfr., inoltre, H. U. Von Balthasar, Una estetica teologi-
ca. 1: La percezione della forma (trad. dal tedesco), Jaca Book, Milano 1975, pp. 115
ss. e 403 ss.
26
A. Sicari, «Edth Stein», in Id., Ritratti di santi, Jaca Book, Milano 1988 p. 150.
27
Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 2, art. 8 (Editio Leonina, Ma-
rietti, Roma-Torino 1962, vol. I, p. 15). Frutto dell’intenso lavoro di conversione del-
la mente è la traduzione tedesca del De Veritate: E. Stein, Des hl. Thomas von Aqui-
no Untersuchungen über die Wahrheit; opera degli anni 1929-1931, pubblicata come W
III (1952) e IV (1955).
3 Il problema dell’empatia
31
Cfr. S. Vanni Rovighi, La fenomenologia di Husserl, Celuc, Milano 1973, pp. 40-
42 e 90.
32
E. Stein, «La fenomenologia di Husserl e la filosofia di San Tommaso d’Aqui-
no. Tentativo di un confronto», in Id., La ricerca della verità. Dalla fenomenologia al-
la filosofia cristiana (trad. dal tedesco), Città Nuova, Roma 1993, pp. 61-90; testo del
1929 non pubblicato nelle Werke. Cfr. su questo punto, A. Ales Bello, Edith Stein. La
passione per la verità, Messaggero, Padova 1998, pp. 20-1.
33
E. Stein, Il problema dell’empatia, p. 202; Id., Psicologia e scienze dello spirito. Con-
tributi per una fondazione filosofica, p. 72.
34
Id., Il problema dell’empatia, pp. 204-217 e 217-218. Cfr. su questo, P. Ricoeur,
A l’ecole de la phénoménologie, Vrin, Paris 1986, pp. 227-249.
35
E. Stein, Il problema dell’empatia, pp. 148-163.
36
Ibi, pp. 227-228. Su questo punto, cfr. V. Melchiorre, Corpo e persona, Mariet-
ti, Genova 1987, pp. 53-91.
37
E. Stein, Il problema dell’empatia, p. 228. Cfr. V. Melchiorre, Metacritica dell’e-
ros, Vita e Pensiero, Milano 1977, pp. 54-60.
38
Cfr. G. Corallo, Pedagogia: I. L’educazione. Problemi di pedagogia generale, SEI,
Torino 1960, pp. 247 e 346.
39
Cfr. A. Bellingreri, «Parentele elettive. Una definizione pedagogica dell’inse-
gnamento», Studium Educationis, 1999, 1, pp. 71-80.
40
Id., «Idee per una nuova paideia filosofica», Studium Educationis, 1999, 3, pp.
482-490.
41
J. P. Sartre, L’essere e il nulla (trad. dal francese), Il Saggiatore, Milano 1962,
pp. 447 ss. e 464 ss.
42
Cfr. le opere di P. Ricoeur, prima citate alle note 5 e 34.
43
Cfr. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenolo-
gia (trad. dal tedesco), Einaudi, Torino 1965, pp. 59-64. Cfr. E. Stein, «Che cos’è la
fenomenologia», in Id., La ricerca della verità. Dalla fenomenologia alla filosofia cristia-
na pp. 58-59; testo del 1924, non ancora pubblicato nelle Werke.
44
E. Husserl, Ricerche logiche, p. 108 (si tratta della II Ricerca, cap. 1). E. Stein,
«Significato della fenomenologia come visione del mondo», in Id., La ricerca della ve-
rità. Dalla fenomenologia alla filosofia cristiana, p. 99; scritto presumibilmente nel 1932,
pubblicato in W VI (1962).
5 L’approche chrétien
48
Ma anche cfr. E. Stein, Vie della conoscenza di Dio (trad. dal tedesco, in omo-
nima antologia curata da C. Bettinelli), Messaggero, Padova 1983, pp. 125-186 (testo
presumibilmente scritto nel 1941).
49
Cfr., tra le tante opere, Aa.Vv., La pedagogia cristiana: Atti del I Convegno di
Scholé, La Scuola, Brescia 1955; e Aa.Vv., Il senso della filosofia cristiana oggi, Mor-
celliana, Brescia 1978. L’espressione di Tommaso d’Aquino «perfectum opus ratio-
nis», citata da E. Stein, è inesatta; infatti, in Summa Theologiae, II-II, q. 45, art. 2,
Respondeo, si trova la dizione «perfectum usus rationis».
50
E. Stein, Essere finito ed essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere, p. 62.
51
Ibi, p. 67.
Tra gli scritti raccolti ne La vita come totalità, sono più si-
gnificativi per l’antropologia pedagogica della Bildung quelli
che, nella silloge, gli editori hanno posto come il primo, Sul-
l’idea di formazione (che è del 1930) e l’ultimo, Formare la
gioventù alla luce della fede cattolica (prima già citato).52 Ciò
che colpisce innanzitutto in questi testi è la coscienza lucida
espressa dall’autrice, di «vivere in tempi difficili di non bre-
ve durata». È questa situazione a esigere un’«intensa vita spi-
rituale» e un pensare integrale, rivolto alla realtà tutta inte-
ra e a ciò che è decisivo per il destino di ogni uomo. Ed è
questa convinzione che porta E. Stein ad affermare la neces-
sità di un nuovo paradigma pedagogico, che vada oltre l’o-
rizzonte «naturalistico» e che si mantenga aperto al contributo
di un’«antropologia soprannaturale». La psicologia sperimen-
tale, dice Ella riprendendo pensieri già presenti nelle opere
precedenti, non è in grado di raggiungere l’essenziale di una
persona perché le questioni esistenziali non sono di natura
tecnica; né le statistiche sono in grado di «misurare i beni e
i mali morali e spirituali di una persona».53
Una visione realistica della natura umana, ci dice E. Stein
nel suo testo del gennaio 1933, implica il ragionevole rico-
noscimento dello status naturae lapsae, di una ferita che segna
la condizione umana. Non è possibile svolgere in modo ade-
guato alcun lavoro educativo, se si prescinde da questa di-
mensione, che è insieme antropologica e cosmologica. Ciò por-
ta a dialettizzare due posizioni contrarie, tra loro antinomi-
che: quella della bontà originaria (Rousseau) e quella della
corruzione radicale dell’uomo (Lutero). Ora, è ragionevole ri-
conoscere, in primo luogo, che una natura ferita esige di es-
sere salvata: l’intelligenza ha bisogno d’essere illuminata e la
libertà d’essere essa stessa liberata. Così come è ragionevole
pensare, in secondo luogo, che la guarigione e la salute non
52
E. Stein, La vita come totalità. Per una elevazione al senso dell’essere, pp. 21-36 e
209-231 (W XII, pp. 25-38 e 209-230).
53
Ibi, pp. 76 (W XII, p. 77).
54
Ibi, p. 211 (W XII, p. 212).
55
Ibi, p. 209 (W XII, p. 209).
56
Ibi, p. 21 (W XII, p. 25). Nel testo tedesco si legge: «Sagen wir Gebilde so mei-
nen wir damit eben, dass es Geformtes, Gestaltes ist. Sagen wir Bild, so meinen wir,
dass es Abbild eines Urbildes ist. Es gehört also zum Bildungsprozess, dass eine Ma-
terie eine Form annimmt, die zum Abbild eines Urbildes macht» (corsivi nel testo).
57
Cfr. E. Stein, Einführung in die Philosophie, W XIII (1991), pp. 135 ss. e 170 ss.
58
Id., La vita come totalità: Scritti sull’educazione religiosa, p. 223 (W XII, p. 223).
59
È quanto sostiene R. Cerri Musso, La pedagogia dell’Einfühlung: Saggio su Edith
Stein, cit.
60
Ibi, pp. 43-48.
61
E. Stein, La vita come totalità: Scritti sull’educazione religiosa, p. 224 (W XII, p. 225).
62
Id., Essere finito ed essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere, p. 78. Cfr.
C. Fabro, «Stein Husserl e Heidegger», Humanitas, 1978, 33, pp. 485-517.
63
Il riferimento è alle Ideen III di Husserl. Un esempio può essere quello disegna-
to, In dialogo con P. Ricoeur (come recita il sottotitolo) da P. Malavasi, L’impegno on-
tologico della pedagogia, La Scuola, Brescia 1998.
64
Secondo la celebre espressione platonica: Platone, Simposio, 201d-206a (tr. it. P.
Pucci, in Id., Opere, 2 voll., Laterza, Bari 1974, vol. I, pp. 696-701.
65
E. Stein, La scelta di Dio. Lettere dal 1917 al 1942, p. 129. Ma cfr. anche C. Bet-
tinelli, «Introduzione» a E. Stein, Vie della conoscenza di Dio, pp. 48-50.
66
Id., Scientia crucis. Studio su San Giovanni della Croce (trad. dal tedesco), Ed.
OCD, Roma 1996; ultimo volume scritto dall’A., nel 1942, pubblicato come W I
(1950). Opera profondissima di teologia (e di pedagogia) spirituale, che può essere let-
ta nell’ottica di una «filosofia del Sabato Santo», come ne parla X. Tilliette, La setti-
mana santa dei filosofi, Morcelliana, Brescia 1992, pp. 109-142. La Croce è l’estrema
realissima epoché, come abbandono totale di sé; la rivelazione compiuta che l’essere è
piuttosto ricevere l’essere come dono che chiede di essere riofferto. È l’estrema vicinanza
a Dio e a ciò che è di Dio, l’essere e il proprio sé.
67
Cfr. Th. W. Adorno, Dialettica negativa (trad. dal tedesco), Einaudi, Torino
1970, p. 326; H. U. Von Balthasar, Homo creatus est. Saggi teologici V (trad. dal te-
desco), Morcelliana Brescia, 1991. Ma anche, M. Gennari, «Modernità e mistero. Teo-
logia pneumatologia e filosofia dell’educazione», Studi europei (Olschki, Firenze), 1995,
3, pp. 241-245.
55
sì si dice, è oggettiva e si basa su fatti osservabili e tangibi-
li,1 mentre il filosofo costruisce delle teorie che non hanno ri-
scontro nella realtà oggettiva. Così, le teorie filosofiche sa-
rebbero solo interpretazioni soggettive, a immagine e somi-
glianza del filosofo che le formula, laddove lo scienziato, al
contrario, si limiterebbe a constatare la realtà oggettiva con
l’ausilio dei suoi potenti strumenti di osservazione. Da qui il
prestigio della figura dello scienziato e l’assoluta fiducia nel-
la sua testimonianza da parte dell’opinione pubblica e la cor-
rispondente diffidenza nei confronti del filosofo, paragonato,
nella migliore delle ipotesi, a uno stravagante artista del pen-
siero, rinchiuso nelle sue teorie e lontano dalla realtà.2
Nell’affrontare il problema dell’uomo, consideriamo qui la
scienza e non la tecnica. La scienza può essere definita un in-
sieme di conoscenze teoriche basate sull’osservazione, sulla
descrizione e sulla spiegazione di alcuni fatti/fenomeni visibili
e tangibili. Lo scopo della scienza è quello di stabilire “come
stanno le cose”, in questo caso “come è fatto” l’uomo. Un li-
bro di anatomia, per esempio, è un libro scientifico che, de-
scrivendo come è fatto il corpo umano, ci dice anche, a suo
modo, che cos’è l’uomo. La tecnica, o la tecnologia, può es-
sere invece definita come la parte applicata della scienza. Lo
scopo della tecnica non è descrivere e spiegare la natura di una
cosa ma la realizzazione di qualche azione, l’ottenimento di
un risultato pratico.3 L’attuale successo della scienza è lega-
to, spesso, al successo della tecnologia, che producendo be-
nessere e comodità, spinge a vedere nella scienza una sorta di
panacea universale. Ora, qui non ci occupiamo della tecnica
ma solo della scienza. Non trattiamo, dunque, del modo in cui
la scienza, attraverso la tecnologia, risolve i problemi pratici
dell’uomo e soddisfa i suoi bisogni, ma del modo in cui la
1
“Dato di fatto” si dice in latino anche “positum”. Di qui il nome scienza “posi-
tiva”. Cfr. A. Livi, La filosofia e la sua storia. La filosofia contemporanea - Il Novecen-
to, Società Editrice Dante Alighieri, Roma 1997, p. 1094.
2
Cfr. G. Savagnone, Theoria. Alla ricerca della filosofia, La Scuola, Brescia 1991,
p. 220.
3
E. Agazzi, Il bene, il male e la scienza. Le dimensioni etiche dell’impresa scientifi-
co-tecnologica, Rusconi, Milano 1992, pp. 69-73.
2 La dualità originaria:
l’uomo come anima e corpo
4
Aristolele, Metafisica, I, 981a, pp. 25-30.
3 Materialismo ed evoluzionismo:
l’uomo è solo corpo
5
G. Galilei, Opere, Ediz. Naz., Barbera, Firenze 1929-1939, 20 voll., vol. V, pp.
187-188.
6
Cfr. M. Heidegger, Vorträge und Aufsätze, Neske, Pfullingen 1954; tr. it. Saggi e
discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, pp. 5-44.
7
E. Agazzi, La tecnoscienza e l’identità dell’uomo contemporaneo, “Seconda Navi-
gazione”, Annuario di filosofia, 1998, pp. 74-90, 79. Si pensi al celebre test ideato dal
matematico inglese Alan Turing nel 1936.
8
Come, per esempio, quello espresso da Aristotele nella Politica: “le piante esistono
in funzione degli animali ma tutti gli altri animali esistono in funzione dell’uomo”.
9
M. Faggioni, La vita e le forme di vita. Rapporto fra biologia e antropologa, in J.
D. Vial Correa - E. Sgreccia, La cultura della vita: fondamenti e dimensioni, Libreria
Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, pp. 65-100, 75.
10
Ibidem.
11
A livello bio-chimico questo è senz’altro vero. Ma nel momento stesso in cui ciò
che è vero a livello bio-chimico venisse fatto valere anche a livello ontologico, allora
si tratterebbe di un’estrapolazione indebita. Non sembra si possano trasferire di peso
nell’ontologia criteri che valgono nella bio-chimica. Mentre infatti la continuità biolo-
gica tra uomini e animali può essere verificata sperimentalmente, ovvero sul piano del-
la scienza, la continuità ontologica non può essere né verificata né falsificata speri-
mentalmente ma solo argomentata filosoficamente.
12
La biologia genetica studia le basi e il funzionamento dell’ereditarietà. John Gre-
gor Mendel (1822-1884) mostrò che l’informazione ereditaria consiste in unità sepa-
rate, chiamate geni, e che si trasmette inalterata da una generazione all’altra. Diffe-
renti geni sono ugualmente distribuiti tra le cellule germinali maschili e femminili. I
geni possono ricombinarsi nella prole che, così, incrementa la variabilità biologica.
Questo vale per uomini, piante e animali. Il DNA (acido desossiribonucleico) è una
complessa macromolecola che costituisce l’informazione ereditaria in tutti gli organi-
smi viventi (il cui meccanismo di trasmissione è governato dall’acido ribonucleico o
RNA). Il DNA è una sorta di ricetta/programma per la costruzione delle proteine e
delle cellule di un organismo. Il genoma umano (insieme dei cromosomi di una cellu-
la, germinale o somatica) possiede circa 100.000 geni.
13
J. Testart - C. Godin, Au bazar du vivant. Biologie, médecine et bioéthique sous
la coupe libérale, Seuil, Paris 2001; tr. it. La vita in vendita. Biologia, medicina, bioeti-
ca e il potere del mercato, Lindau, Torino 2004, p. 38.
14
Come ha mostrato Thomas Nagel, i fenomeni mentali interni non si lasciano af-
ferrare pienamente da una descrizione scientifica e oggettiva della mente. Così, per
quanto possiamo scrutare la fisiologia della percezione di un pipistrello, non sapremo
mai che cosa si prova a essere un pipistrello. Cfr. T. Nagel, What is it like to be a bat?
(1974); tr. it. Che effetto fa essere un pipistrello?, in Questioni mortali, Il Saggiatore,
Milano 1986, pp. 162-176.
15
Se spesso è utile considerare fenomeni superiori come soggetti alle leggi meglio
stabilite e più precise di fenomeni più elementari, occorre chiedersi se tale riduzione
sia sempre possibile e rispettosa della complessità dei vari livelli di realtà e non ne rap-
presenti, almeno in alcuni casi, un oggettivo impoverimento oltre che un ostacolo al-
la loro autentica comprensione. Le scienze naturali, quando conducono a un riduzio-
nismo a oltranza, diventano supremamente artificiali. Da un lato esse sono naturali per-
ché si occupano delle cose di natura, d’altro lato sono artificiali perché per coltivarle
l’uomo deve sospendere un modo di guardare le cose certamente più naturale di quel-
lo a cui lo costringono le scienze “naturali”. (G. Angelini, La vita tra natura, cultura e
fede, in E. Sgreccia - M. Lombardi Ricci, La vita e l’uomo nell’età delle tecnologie ri-
produttive, p. 99).
17
A. Cavadi, L’uomo a più dimensioni, in A. Cavadi - N. Galantino - E. Guarne-
ri, Alla ricerca dell’uomo. Lineamenti di antropologia filosofica, Augustinus, Palermo
1988, p. 64.
5 Conclusioni
18
H. Jonas, Das Prinzip Verantwortung, Insel Verlag, Frankfurt a. M. 1979; tr. it.
Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, a cura di P. P. Portinaio,
Einaudi, Torino p. 128.
19
L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Basil Blackwell, Oxford 1961;
tr. it. a cura di A. G. Conte, Einaudi, Torino 1995, 6. 52, p. 81.