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Quando ero giovane ho avuto la grazia di poterlo leggere e, divenuto Prete, l'ho usato nelle
conferenze ai giovani e nella direzione spirituale, con frutti che solo Gesù conosce.
Finché il libro fu edito dalla S.E.I.- la Casa editrice fondata da Don Bosco - ne facevo dono ai
giovani che me lo chiedevano fino a quando, cessata la sua pubblicazione, mi arrangiavo a
batterne a macchina, sulla mia vecchia Olivetti, alcuni estratti per loro.
Ora, col permesso della prima Editrice, ho pensato di ripubblicarlo al posto di manoscritto
non commerciabile perché anche i giovani d'oggi possano trarne quel vantaggio spirituale che
avevo visto fiorire in tante anime e per tanti anni.
Il libro fu scritto dall'Hoornaert nei primi anni del secolo scorso: da allora il mondo è cam-
biato (in meglio o in peggio?) ed anche i giovani sono cambiati. Per questo ho creduto giusto
mutare il titolo in «A te quindicenne (e ai tuoi Genitori): Per una educazione cristiana
alla purezza».
Inoltre ho creduto bene aggiungere alcuni paragrafi che toccassero i nuovi problemi educativi
sorti in questi anni, come la droga, le discoteche, la televisione, internet, ecc.
Mi preme avvisare il lettore che molte citazioni di scrittori, medici ed educatori riferite dal-
l'Hoornaert, sono legate ai suoi tempi e al mondo francofono. Le ho tuttavia riprodotte intatte
perché conservano ancor oggi il loro valore didattico ed anche scientifico.
Ho voluto inoltre conservare, per quanto possibile in una traduzione, lo stile letterario -
insuperabile - dell'Autore.
Oltre che ai giovani, questo libro è indirizzato ai loro Genitori, per i quali sarà luce e guida
nella educazione cristiana dei loro figli.
Io penso che il Signore Gesù e la Sua Madre Immacolata siano contenti di questo lavoro,
(portato avanti di notte, non su una vecchia Olivetti, ma su un moderno computer Machin-
tosh! e confido che lo renderanno prezioso per tante anime giovanili che hanno iniziato da
poco il loro cammino su questa terra, dirette verso la mèta della loro e della nostra esistenza:
l'incontro beatificante ed eterno con Gesù, nostro unico Amore e nostro unico Salvatore.
Pessano, 2 Gennaio 2009
Festa liturgica del Santissimo Nome di Gesù Don Massimo Astrua
Vi sono due specie d'innocenze: le innocenze mai perdute, e sono queste le più belle; e le
innocenze riconquistate. Queste ultime, alle volte, sono più toccanti e più umili.
Vicino al giovane che viene a dire con una santa allegria: «Non sono caduto!» s'incontra, alle
volte, il giovane che si mette prima in ginocchio e poi si getta nelle braccia del confessore.
Povero caro amico! Il Salvatore misericordioso, Colui che sa di quale argilla è impastata la
nostra natura, non si stanca mai di perdonare, da venti secoli, a tutti quei figli prodighi che
vengono da paesi lontani in cui si muore di fame; a quei figlioli che volgono i passi verso la
dolce dimora in cui si trova il festino di gioia, la veste bianca, l'anello della riconciliazione, la
dolce dimora in cui uno può gettarsi sul cuore magnifico del padre che tutto dimentica.
Sperduto, fuori di strada, tu sei fatalmente triste. Ritorna! Nella casa paterna, tu sarai
necessariamente felice.
Persevera! Trionfa dei tuoi appetiti inferiori. Sarai allora ricompensato da quella fierezza che
consiste nel sentirsi il cuore battere liberamente e fieramente nel petto.
Tu vai mormorando: «Ma com'è dura questa lotta contro se stesso, senza che vi sia un testi-
mone di ciò che succede nel campo chiuso del mio cuore! ».
Errore! Tu hai una turba d'invisibili testimoni: il tuo Dio, il tuo angelo custode, i tuoi cari
morti, tutti gli eletti formano per te una galleria celeste. Tu non li vedi, ma essi ti vedono.
In paragone d'un simile pubblico che cos'è quello che contemplava, tempo fa, nella città di
Jersey, la lotta mondiale Carpentier-Dempsey? E che cos'è mai una furia di pugni in
confronto del nobilissimo duello che tu combatti, tu, contro il vizio, che vorrebbe rubarti il
cuore?
LO STATO DI GUERRA
La lotta di tutti
L'idea centrale di questo libro si riassume in queste parole: la purezza è una prodezza!
Noi pensiamo alla virtù come a un combattimento e per questo citeremo spesso sant'Ignazio
di Lojola.
Egli fu un capitano e conservò sempre del capitano l'anima guerresca. La famiglia religiosa
da lui fondata, la Compagnia di Gesù, è un ordine militare, poichè la parola Compagnia ha un
senso guerresco.
Egli scrisse «Gli Esercizi spirituali» e li presentò come una scuola di guerra.
Certi disertori, stanchi di combattere, gettano via le armi. Tu non li devi imitare.
Resta sotto il peso della corazza fino al giorno del santo congedo. Sì, fino al termine!
Sii buon cavaliere! Cavaliere tu lo sei, anche se non porti la corazza, l'elmo ed il pennacchio.
Come l'abito non fa il monaco, così la corazza non fa il cavaliere. Sotto la corazza d'acciaio si
può nascondere un cuore vigliacco, mentre sotto un morbido vestito può battere un cuore
grande. Il pennacchio! Per averlo bisogna indossare l'elmo. Tu l'hai nel cuore.
È meglio. Seta?
Prepara l'anima tua alla lotta. La purezza è uno stato di guerra. Per lo meno questa è la legge
normale.
Una volta per tutte ti dico che in materia di purezza dobbiamo stare in guardia contro le
affermazioni assolute, le quali tendono a semplificare, ma non già a precisare. Le realtà
umane, in via ordinaria, non sono tagliate nettamente, ma offrono delle sfumature.
Le formule invariabili valgono in matematica, ma valgono poco nel campo morale.
Pertanto, tenendo conto delle eccezioni che entrano quasi sempre in un'affermazione assoluta,
tanto più quando si tratta d'un argomento così delicato com'è il nostro, affermiamo che, in
generale, la vittoria della purezza si ottiene con la punta della spada.
«Non son venuto, disse il divino Maestro, a portare la pace, ma la spada».
A molti cristiani si possono applicare le parole che S. Paolo diceva sui peccatori non ancora
convertiti al Vangelo: «Io sono carnale... Non faccio ciò che voglio; faccio ciò che non
voglio... Non sono io che opero, ma il peccato che abita in me. So, infatti, che il bene non
abita in me, cioè nella mia carne; volere il bene è in mio potere, ma non è in mio potere farlo.
Infatti, io non faccio il bene che voglio, mentre faccio il male che non voglio. Ora, se io
faccio ciò che non voglio è segno che non sono io che lo faccio, ma il peccato che abita in
me... Mi piace la legge di Dio, quando porgo ascolto al mio uomo interiore, ma io vedo nelle
mie membra un'altra legge, che lotta contro la legge della mia ragione, e che mi rende schiavo
sotto la legge del peccato, che abita nelle mie membra. Sventurato che io sono! Chi mi
renderà libero da questo corpo di morte?» (nella lettera ai Romani, 7,14 e segg.).
Il P. Vermeersch scrisse: «La maggior parte degli uomini, anche di coloro che hanno integrità
di costumi, devono lottare contro la propensione naturale alla lussuria»
Anche il Guibert dice altrettanto: «Nella condizione ordinaria... la purezza è un vero trionfo.
Eccetto rare eccezioni, nell'essere umano fra la ragione e i sensi si scatenano aspri
combattimenti... Quando voi dite: «Sono tentato», dite semplicemente questo: «Sono un
essere umano! ». E tutto questo è vero, soprattutto verso i quindici anni.
La purezza, o amico, è per te la prima virtù. Non già la prima virtù in dignità, perchè le prime
virtù sono quelle teologali (la Fede, la Speranza e la Carità) appunto perchè hanno
direttamente Dio per loro oggetto, ma nel senso che la purezza è la virtù che suppone in te il
massimo di lotta e il massimo di generosità.
«O giovane - dice Luca Miriam - la frequenza e la violenza della tentazione impura non ti
deve meravigliare. Essa si spiega umanamente ma si spiega anche soprannaturalmente,
perchè questa tentazione è l'arma preferita di satana, dal momento che essa penetra più
facilmente in un'età nella quale la spinta della vita nuova e bollente rompe la corazza.
Questa tentazione, in un grado più o meno forte, sotto forma di malessere o di crisi, io credo
che si abbatta su tutte le anime dei giovani».
Ad un giovane che si lamentava d'avere tentazioni contro la purezza il Padre Lacordaire
rispondeva: « La passione di cui tu soffri è quella che tiranneggia di più gli uomini, ed è
universale. Il trionfo che il Vangelo ha riportato sopra di essa è una delle dimostrazioni che il
Cristianesimo è divino».
Le vite dei Santi (parlo delle vite scritte sinceramente, cioè veracemente) ci rivelano che
anch'essi sentivano lo stimolo delle passioni. È vero, bisogna fare eccezione per certi
privilegiati, ai quali la grazia concesse una pace assoluta, la quale però, a sua volta, fu la
ricompensa d'una vittoria particolarmente coraggiosa, come per esempio in san Tommaso
d'Aquino. Gli altri tutti (e bada bene che io parlo di Santi!), conobbero lo schiaffo di satana.
Basta citare Sant'Alfonso Rodriguez, San Giuseppe da Copertino, Santa Caterina da Siena e
San Pier Damiani che si tuffava nell'acqua gelata per spegnere le fiamme del sangue. San
Benedetto s'avvoltolava nelle spine per sottomettere la voluttà col dolore.
I Santi, dunque, anch'essi, s'accorsero che le anime, come i corpi, sembrano soggette ad una
certa qual legge di gravità, ad una certa qual attrazione verso il basso.
Ecco pertanto la prima conseguenza per te, o giovane: Non devi sentirti umiliato e tanto meno
meravigliato, quando provi certe tentazioni. Se qualche volta ti turbi, ciò dipende dal fatto che
tu conosci il tuo solo caso personale e ti credi una porzione di vita speciale. Se tu sapessi la
storia degli altri, se fossi un confidente delle anime, comprenderesti che la tentazione è lo
stato generale, la condizione normale.
Chi studia gli uomini rimane colpito da questa grande verità: essi hanno una fondamentale
somiglianza. Certo, uno è più tentato e l'altro meno; uno cede e l'altro resiste. Ma,
nell'essenza, un giovane è tanto simile ad un altro giovane! un uomo ad un altro uomo! ed un
vecchio ad un altro vecchio!
Di qui deriva l'utilità di quella certa ottica interna, di quella specie d'esplorazione del nostro
mondo interiore, che si chiama esame della propria coscienza.
«Ogni uomo, osserva giustamente Paolo Bourget, porta in se stesso l'umanità». Per cui
conoscere bene un cuore, il proprio, vuol dire conoscere bene tutti i cuori degli uomini.
Ecco ora una seconda conseguenza: appunto perchè la purezza suppone la lotta e il trionfo,
essa costituisce un titolo gloriosissimo per la Chiesa Cattolica che è stata ed è una scuola
d'amore ideale, puro e di verginità.
«Ciò che noi chiamiamo propriamente amore - dice Chateaubriant - è un sentimento di cui
l'antichità ignorò perfino il nome... Si deve al Cristianesimo questo sentimento; esso solo col
suo tendere incessantemente a purificare il cuore, potè arrivare a gettare qualche raggio di
spiritualità perfino sull'istinto che ne sembrerebbe meno suscettibile».
Un recente libro del padre Eymieu «Pagani» mette in rilievo questo specifico fenomeno del
Cristianesimo.
Roma voleva avere sei Vestali, cioè sei donzelle che accettassero di restare vergini per
custodire il fuoco sacro della dea Vesta. Per incoraggiarle a fare questa rinuncia al
matrimonio, Roma concedeva loro privilegi inauditi: i Littori dovevano piegare i fasci davanti
a loro; i Consoli dovevano cedere loro il passo; i giudici non potevano dubitare delle loro
testimonianze; i carnefici risparmiavano quei colpevoli dei quali esse domandavano la grazia.
Roma, dopo aver così prodigato i privilegi e collocato le Vestali al disopra della legge, cercò
fra i suoi 200 milioni di sudditi, 6 donzelle che fossero disposte a restare vergini per
conservare al mondo il fuoco sacro, con il compenso di tanti onori.
Strano a dirsi: Roma non trovò mai sei Vestali volontarie. Allora la grande città si vide
costretta a far uso della violenza. Reclutò per forza le Vestali, minacciò loro orribili punizioni
e impose la sorveglianza dei custodi. Cosa ridicola: la purezza con l'aiuto di soldati ... e di
soldati romani! Ma ecco che Gesù viene al mondo.
Anch'Egli chiede se vi siano vergini disposte a conservarsi tali per custodire quaggiù la sacra
fiamma dell'ideale. E Gesù ne trova.
Egli trova oggi circa 500.000 sacerdoti nel mondo, cioè 500.000 anime che s'impegnano a
restare sempre vergini; Egli trova, per tutti i suoi chiostri, per i mille e mille monasteri,
giovani e ragazze che fanno volontariamente il voto di perpetua castità.
Un imperatore romano, nell'eccesso della sua superbia, aveva gridato: « Basta che io batta il
suolo col piede per farne uscire le legioni». Vana parola! Gesù Cristo davvero battè la terra
col suo piede divino e subito sorsero legioni e legioni di vergini! Egli l'ha fatto.
Solo Egli l'ha fatto. Solo Egli poteva farlo.
Egli, `puritas virginum", la purezza dei vergini. Egli l'immacolato e il figlio dell'Immacolata;
Egli che amò di amore preferente Giovanni, l'apostolo vergine, al quale permise, nella cena,
di posarsi così vicino a Sé, da udirne sul petto i palpiti del cuore divino; Egli che tiene
conservato ai Vergini, nel suo Paradiso, un luogo privilegiato presso l'Agnello e un cantico
speciale a loro riservato; Egli, ed Egli solo, ha potuto ottenere dalla debolezza umana questo
meraviglioso trionfo dello spirito sulla carne, il cui nome proprio è uno solo: eroismo.
Sì, eroismo; a tal punto, che molti santi non esitano ad accostare il giovane puro all'angelo ed
assegnare la palma al primo!...
Sant'Ambrogio, nel trattato sulla verginità, esclama: «Gli angeli vivono senza la carne; le
vergini trionfano nella carne!».
E san Pietro Crisologo: «È più bello conquistare la gloria angelica che l'averla ricevuta da
natura. Ora, la verginità conquista con aspra lotta e molti sforzi ciò che l'Angelo possiede
naturalmente».
Il casto non cede al vizio; e voi mi risponderete che neppure l'angelo vi cede; ma io vi dico
che non è meraviglia che essi non commettano il peccato della carne, dal momento che non
hanno la carne!
Sentite san Giovanni Crisostomo: «Gli angeli non sono soggetti alle passioni: nè il canto affa-
scinante, nè la musica carezzevole, nè la bellezza delle creature sono capaci d'attrarli».
Ogni virtù è bella, eppure la castità è chiamata, per eccellenza, «la bella virtù».
Perchè? Perchè essa spiritualizza, per così dire, i nostri corpi di fango.
I vergini dànno ragione alla parola di Gesù: «Sono come gli Angeli di Dio in cielo» (Matteo
21,,30).
O giovane, tu debole fanciullo, tu pallido giovane, forse senza muscoli per sollevare i pesi da
palestra, tu che non sai neppur distinguere (oh gran vergogna!) un «rigore» da una punizione,
se tu sai dominare le tue passioni, sei il vero valoroso, al punto che un famoso campione dello
sport non è neppur degno di sciogliere i legacci delle tue scarpe. L'uomo, sei tu!
La parola purezza, come la parola virtù, è femminile soltanto nel nome! Il suo contenuto è
maschile!
La lotta di ognuno
Siamo intesi, una volta per sempre: tutti dobbiamo lottare. Ma non tutti nella stessa maniera.
La tentazione è insieme generale e relativa. Esaminiamo i principali elementi di questa rela-
tività.
Parlando in generale e tenendo conto delle eccezioni, in questa più che in altre materie, pos-
siamo dire che la passione, per lo meno sotto il suo aspetto di brutale ardore, è piuttosto
maschile che femminile. Ma, voi mi chiederete, la giovane non è forse sensibile all'amore?
Vi rispondo: è sensibile sì, ma per un'altra ragione: per le manifestazioni affettuose e lusin-
ghiere, per l'ambita vanità che essa sente nel lasciarsi adulare. Basta osservare come essa
arrossisce di piacere quando viene complimentata per la sua avvenenza.
Tutta la sua strategia, le sue furbizie, le sue azioni civettuoli non sono in generale indice di
passione propriamente detta, ma del desiderio che riassume tutta la sua vita e tutta la sua
ambizione: piacere agli altri.
Giulio Lemaitre ha finemente analizzato questa psicologia nel libro «La vecchiaia di Elena»:
«Elena, scrive, era adorata dai Greci e dai Frigi; per essa (come dice la favola di Omero)
Europa ed Asia s'erano sgozzate l'un l'altra. La sua gloria era al colmo; la sua avvenenza
aveva arricchito la lingua greca di molti motti e proverbi. In realtà aveva scatenato le più
furiose passioni, senza esserne molto commossa, eccetto che dal piacere di essere tanto
ammirata».
Ma io prevedo una vostra obiezione: «Non vi sono forse molte cadute femminili? E se questo
è vero, come è verissimo, la vostra tesi rimane smentita dai fatti».
Questi fatti, vi rispondo, il più delle volte si possono spiegare senza bisogno di ricorrere alla
passione: la giovane cade per cause diverse: per denaro, per desiderio di gioielli e di vestiti,
per gelosia contro una rivale, per curiosità, per stanchezza, per timore, per imprudenza,
perfino per ingenuità.
La passione, svegliata nella pubertà, cresce di violenza durante la giovinezza e nel primo
periodo dell'età virile, poi diminuisce lentamente fino a calmarsi o perfino ad estinguersi
completamente nella vecchiaia.
Ecco la curva normale: prima ascendente, poi discendente: è questo, per così dire, il suo dia-
gramma.
Ripeto però ciò che dissi già: bisogna tener conto delle eccezioni, delle irregolarità, perchè
tutti i casi non si possono inquadrare dentro una legge semplicistica.
Così, per esempio, può scoppiare verso la fine della virilità, come si vede nel romanzo di
Paolo Bourget Il demonio di mezzogiorno, nel quale non si parla d'un mezzogiorno solare, ma
d'un mezzogiorno della vita.
Durante la pubertà il giovane apprezza di più le realtà sensibili, diventa meno idealista e più
positivo nel senso cattivo della parola. La golosità, per esempio, va crescendo con l'età, come
sant'Agostino stesso racconta nel libro decimo delle sue confessioni.
E ora, o giovane amico, ecco una conclusione importantissima per te: Non devi rimandare
all'età virile e neppure alla vecchiaia la correzione dei tuoi difetti e dei tuoi vizi, quali che
siano. Non dire: più tardi!
L'esperienza insegna che, spessissimo, più l'uomo avanza nella vita e meno si corregge; le
probabilità di convertirsi sono in ragione inversa degli anni.
Certo, il giovane è più tentato; ma egli comprende anche bene che si tratta di una questione di
vita o di morte. Ha più slancio naturale, non si è ancora familiarizzato col peccato e general -
mente i primi periodi di cadute sono accompagnati da rimorsi.
Ma col tempo, l'uomo ottunde il proprio corpo e i propri sentimenti e si immerge, senza
grazia e senza vergogna, nei piaceri grossolani. È più difficile correggersi a trent'anni che non
a venti! È più difficile correggersi a quarant'anni che non a trenta! È più difficile correggersi
verso i cinquanta che non verso quaranta.
Un fenomeno parallelo si nota in un altro campo: la rinuncia alla vita. Si direbbe che un
giovane, avendo davanti la riserva ancora intera degli ardori e delle illusioni, dovesse aver più
dispiacere di morire che non un vecchio. Errore! Il giovane è generoso per ogni cosa,
compresa l'accettazione della morte. Si vedono ogni giorno ragazzi e giovani fare il sacrificio
della vita col sorriso sulle labbra; mentre i vecchi si aggrappano disperatamente all'esistenza
colle unghie sanguinanti. Pare strano, ma e così. E noi potremmo riprendere le cifre in questo
modo: si muore più difficilmente a trent'anni che non a venti; si muore più difficilmente a
quaranta che non a trenta, verso i cinquanta che non verso i quaranta. E così di seguito.
IN GUARDIA!
È questo il grido che si lancia al soldato!
È questo l'avvertimento dato da Nostro Signore ai suoi discepoli: «Vigilate! ».
In guardia! I più forti sono tanto deboli!
Noi non siamo più santi di Davide, e Davide è caduto nel peccato impuro.
Non siamo più sapienti di Salomone, e Salomone è caduto nel peccato impuro.
Non siamo più mortificati di san Girolamo nel deserto, e san Girolamo non è caduto nel
peccato impuro, è vero, ma sappiamo quanto il ricordo delle danze romane lo ossessionasse.
Non siamo più eloquenti di Lutero, e Lutero è caduto nel peccato impuro. Una sera
contemplava con un'altra disgraziata, la sua amante Caterina Bora, nel cielo limpido e
brillante come se fosse il sontuoso scrigno di Dio, le miriadi di stelle, e disse
melanconicamente: «Vedi, non è più per noi! noi non andremo lassù, noi due...».
In guardia dunque, o giovane! Chi ama il pericolo, in quello perirà.
Evita tutto ciò che può accendere la fiamma dell'impurità. Dice la leggenda che le salamandre
vivono nel fuoco senza bruciare; ma tu, giovane amico, sei precisamente il contrario delle
salamandre: sei fortemente infiammabile!
Sii prudente!
Scrisse Giuseppe De-Maistre: «Non la sanità ma la malattia è contagiosa».
Giorni sono visitai un istituto di batteriologia, dove mi si mostrarono i brodi di cultura, i tubi
pieni di microbi, di bacilli e di cocchi, streptococchi e staffilococchi, sarcine e spirilli.
Quante città si sarebbero potute infettare con quegli agenti attivi del colera, del tetano e della
tubercolosi... E tutta quella roba brulicava in numero di milioni e milioni in quelle ampolle
che noi tenevamo in mano. Per fortuna erano diligentemente chiuse.
Ma ahimè, per certi altri germi le ampolle non sono tappate... anzi sono aperte a piacere, con
lo scopo preciso di avvelenare!
Che cosa sono infatti certi chioschi di giornali, certe librerie, certi programmi televisivi, certe
navigazioni su Internet, se non altrettante ampolle da cui si dipartono i germi di tutte le putre-
fazioni morali, familiari e sociali?
E dire che contro questi germi si sta poco in guardia, perchè sono molto sottili. Si sarebbe
tentati di domandare: «Esistono poi? io non li vedo!».
E non si vedono davvero come non si vedono i microbi micidiali dei micrococchi,
gonococchi, staffilococchi, ecc.
Finora solo il microscopio elettronico è tanto forte da farci vedere i virus di molte malattie
mortali. Diffidiamo dagli infinitamente piccoli! Il mollusco "teredine" è quasi invisibile;
eppure ha messo a repentaglio l'intera Olanda per venti volte. Esso infatti fora quelle dighe
che sono le più massicce del mondo, di modo che per quelle fessure, dapprima minuscole,
l'acqua filtra e poi invade le terre.
Similmente le fenditure della vita morale si vanno allargando sempre più, fino a compromet-
tere ogni cosa.
Dobbiamo dire dei piccoli pericoli ciò che Stahl diceva dei piccoli difetti: «Le malattie
leggere che si ripetono e di cui non si diffida gran che, col pretesto che non sono mortali,
sono nemici più terribili che le grosse malattie contro le quali fin da principio si prendono
provvedimenti».
Quasi sempre le gravi malattie vengono portate dalle piccole malattie trascurate. Le piccole
malattie sono lì tutti i giorni, mentre le grandi sono come le stelle filanti che cadono a lunghi
intervalli.
Un punto nero sopra un dente non è nulla; ma se non lo fate vedere presto al dentista, in breve
il dente è guastato. Se non lo fate cavare si guasteranno alla loro volta i denti vicini e poi i
vicini dei vicini. Il grande danno delle piccole malattie sta appunto in questo: nell'essere
piccole nella loro aria d'innocenza. Bisogna dunque essere prudenti!
Ora il vero prudente è colui che prevede e che previene la malattia.
Noi non ci limitiamo ad evitare d'essere «un candidato all'artrite o al diabete o alla sifilide;
noi ci sforziamo di evitare completamente questi mali!
«Principiis obsta! sero medicina paratur cum mala per longas invaluere moras». Durante gli
studi tu hai trovato certo questi due versi di Ovidio, che io, per farti un complimento, credo
non abbia bisogno che ti siano tradotti... Comunque, te li traduco di seguito: "Reagisci subito!
la medicina è preparata troppo tardi quando il male agisce da troppo tempo".
Anche senza aver studiato latino, tu comprendi molto bene il principio contenuto in questi
versi, quando si tratta della tua sanità corporale: è più da furbo curare la propria sanità che
non la propria malattia. E proprio così: l'igiene è da preferirsi alle pillole.
Sai che cosa vale più d'una perfetta impiombatura? Un dente sano.
Domanda un poco ai nostri gloriosi mutilati se la più ammirabile gamba artificiale vale la
gamba naturale, e se un cranio ben trapanato o riparato con delle placche d'argento, vale come
un buon cranio intatto!
Sii intransigente!
Ho forse detto abbastanza col raccomandarti d'essere «prudente»?
No: per usare la parola adeguata ed appropriata bisogna che ti raccomandi d'essere piuttosto
«intransigente».
L'argomento di cui parliamo è «lubrico»: e questa parola di origine latina sai che cosa vuol
dire? Vuol dire «sdrucciolevole! ».
Ricordi, è vero e con quanto piacere, quando da ragazzo tu correvi pattinando cosi veloce sul
ghiaccio? Dimmi: era più facile fermarsi nella strada o non lanciarsi nello sdrucciolo? Il non
lanciarsi era in tuo potere, ma non era in tuo potere il fermarti; e lo sai tu, ricordando i
capitomboli! Ebbene: il vizio è uno «sdrucciolo»!....
Incidi profondamente nel tuo spirito, come se usassi una punta di diamante, queste verità così
evidenti tanto per colui che è vissuto poco, quanto per colui che è vissuto molto.
È più prudente non assaggiare affatto certi frutti e certi veleni, che assaggiarne un poco.
IL NEMICO
Gravità del peccato mortale
Giovane, il grande nemico dell'anima tua, colui che la renderebbe orribilmente schiava, è il
peccato mortale.
È estremamente importante che tu comprenda la gravità di questa mortale colpa d'impurità,
della quale spesso si parla con tanta leggerezza al punto di aver il coraggio di dire: «E’ cosa
da poco!».
Ma, poichè ci ripugna dover scandagliare la malizia della colpa grave in se stessa, sforziamo-
ci piuttosto di vederla in opera.
Quel grande conoscitore d'anime che fu sant'Ignazio invita a considerare tre grandi disastri,
dovuti a tre grandi colpe.
Ecco i tre quadri del trittico ignaziano:
1° quadro. Gli angeli sono in cielo, belli, felici, i primogeniti della potenza creatrice.
Commettono una colpa. Quale? Comunque sia andata la cosa, questo è certo: la colpa degli
angeli fu una colpa d'orgoglio, la sola colpa possibile alla loro natura affatto spirituale e per di
più conservata nella sua primitiva integrità. Cadono dal cielo come la folgore e sono preci-
pitati nell' inferno. Lucifero (che significa «portatore di luce») diventa Satana!
Gli angeli diventano demoni!
Che cosa è avvenuto in questi angeli luminosi per divenire demoni, cosicché Nostro Signore
dica loro - come riferisce il Vangelo -. «Ritirati... spirito immondo»?
Una sola colpa mortale! Certo la colpa era d'una gravità eccezionale, essendo stata commessa
in piena luce e contro la luce! Ma alla fin fine la colpa fu una sola.
Ora Dio non esagera mai, come fanno gli uomini, trasportati da un eccesso di collera. Quando
Dio punisce, fra il delitto e la pena corre una perfetta equazione.
2° quadro. Adamo ed Eva, i primi due bei fiori umani sbocciano nel paradiso terrestre.
La felicità è l'eredità riservata a loro e a tutta la grande famiglia umana.
Commettono una colpa mortale. Osservate il castigo! Pèrdono, per sè e per i discendenti, tutti
i doni soprannaturali (ossia la Vita divina) e preternaturali (ossia l'esenzione dalla sofferenza e
dalla morte).
Ricorda però che il Concilio di Trento (nella sessione IV al cap.I) dichiara che, dopo il pecca-
to originale, la libertà del nostro volere non è stata soppressa, benchè sia rimasta meno forte e
più inclinata al male per causa delle tentazioni. Il paradiso terrestre diventa una «valle di
lacrime».
Da questo antico paradiso nacquero, nel giorno stesso della colpa, tre fiumi che bagneranno
d'ora innanzi sempre il mondo: un pallido fiume di lacrime, un torbido fiume di fango, un
rosso fiume di sangue.
Gesù Cristo, per santificare l'uomo, istituirà i sette Sacramenti che sono come sette sorgenti di
grazia, per opporre così i sette fiumi di purezza ai tre fiumi di tristezza, di vergogna, di delitti.
Subito dopo la colpa viene pronunciata la sentenza contro Eva: «Tu darai alla luce nel
dolore». E ogni "dare alla luce" da allora diventò penoso: non solo quello della madre, ma
anche quello del lavoratore, dell'artista, dell'uomo di genio. Chiunque, quaggiù, in
qualsivoglia campo, produce qualche cosa, si tratti del dotto, dell'operaio, o del sacerdote,
deve sperimentare la legge: «Tu darai alla luce nel dolore».
Ed infine la morte, l'orribile morte entra in scena.
Lo so: spesso il peccatore sogghigna: «Il peccato mortale? Macché, esso non fa morire! » .
Non fa morire? Ma non vedete? si muore solamente per esso!
L'ha detto S. Paolo: «La morte è lo stipendio del peccato» (Ai Romani, 6,23).
Tu morrai, proprio tu, per causa di questo peccato di Adamo e di Eva.
E al mondo si muore: 140.000 volte al giorno! 97 volte al minuto! Quella colpa viene dunque
punita la bellezza di 140.000 volte al giorno! In questo momento stesso quanti agonizzano! ...
Ora ripetiamo ciò che dicevamo poco fa: una colpa mortale era stata commessa, di gravità
speciale è vero, ma alla fin fine unica. Eppure la punizione fu ed è tanto grave; eppure Colui
che san Paolo chiama il «giusto Giudice» (II a Timoteo, 4, 8) non può aver esagerato l'impor-
tanza reale del delitto.
3° quadro. Un uomo vive, per un dato tempo, bene; a un certo punto commette una colpa
grave; una colpa cioè non di sorpresa, fatta con mezza coscienza, cioè con mezza volontà, ma
una colpa commessa con piena coscienza e deliberato consenso.
Quest'uomo, se morisse senza riconciliarsi con Dio, cadrebbe nell'Inferno.
Eppure, torniamo a ripeterlo per la terza volta, non si tratterebbe di cento peccati mortali, nè
di dieci, nè di due, ma di uno. E la giustizia di Dio è perfetta.
Posta l'ipotesi di sant'Ignazio, la conclusione è rigorosamente teologica.
Ma, mi chiederete; questa ipotesi si realizza spesso, nei fatti? Questo è il segreto di Dio.
Noi non abbiamo mai la certezza che un uomo è dannato, anche se sembra morire nello stato
di peccato mortale.
S. Ignazio termina la sua meditazione con l'invitare chi ha peccato a volgere lo sguardo a
Gesù in Croce: « O peccatore, egli esclama, che poco fa parlavi cosi leggermente del peccato,
vedi ciò che ha fatto il tuo peccato! Ha ucciso l'Uomo-Dio! ».
Davanti al corpo straziato e morto in Croce di Gesù, comprendi tu finalmente cosa hai fatto
con un peccato mortale!
Ed ora che l'anima ha potuto riflettere sull'enormità della colpa mortale, è in grado di udire le
parole del Maestro: «Se il tuo occhio destro è per te un'occasione di caduta, strappalo e
buttalo. via da te! È meglio per te che perisca un solo dei tuoi membri piuttosto che tutto il
tuo corpo sia gettato sul fuoco. E se la tua mano destra è per te un'occasione di caduta,
tagliala e buttala via da te. È meglio per te che perisca un solo dei tuoi membri piuttosto che
tutto il tuo corpo sia gettato nel fuoco» (Matteo 6, 29-3i).
Può darsi che noi siamo tentati di dire: «Maestro, è duro questo modo di parlare! »; ma
osserviamo ciò che tanti uomini e tante donne fanno ogni giorno quando, per conservare la
vita, permettono che il chirurgo compia su di loro una mutilazione.
Una volta, in un ospedale militare, io stesso ho assistito a questo dialogo.
Il dottore diceva:
- Ascolta, tu sei un uomo e io ti voglio parlare francamente: la cancrena sale; se non ti lasci
tagliare la gamba, viene la morte!
- È duro ciò che voi dite, signor dottore! rispondeva il povero soldatino, fattosi all'improvviso
pallidissimo. Ma alla fin fine, se veramente è una questione di vita o di morte, ebbene, sia,
tagliate pure!
Il povero ammalato obbediva così al consiglio del buon senso elementare, secondo cui è
meglio sacrificare la parte che non sacrificare il tutto; è meglio sacrificare l'integrità che non
l'intera esistenza.
Ciò che gli uomini di mondo capiscono così bene riguardo alla vita del corpo, comprendia-
molo anche noi riguardo alla vita dell'anima e diciamo a Dio con sant'Agostino:
«Hic seca, hic ure, hic non parcas; ut in aeternum parcas!».
«Signore, buon chirurgo delle nostre anime, cauterizzate pure le mie piaghe, tagliate nel vivo,
purchè cosi voi possiate risparmiarmi per l'eternità».
Da questo che diciamo rimangono chiarite le parole del Signore: «Strappa il tuo occhio! taglia
la tua mano! » sono soltanto un'immagine. Nè Lui, nè la Chiesa hanno mai comandato a qual-
cuno di strapparsi un occhio o di tagliarsi un piede!
Queste espressioni sono un modo di parlare metaforico, equivalenti a questa espressiva frase:
«soffri ogni cosa, accetta ogni cosa, ogni rinuncia, ogni sacrificio, compresa anche una
mutilazione corporale, che i martiri hanno subito, anzichè perdere l'anima con la colpa
grave».
Dopo aver esaminato la gravità della colpa mortale, non è cosa inutile approfondirne un poco
la natura, per ricavare da questa analisi qualche corollario.
Che cosa è adunque una colpa grave?
È una colpa in cui si trovano realizzati contemporaneamente questi tre elementi:
Materia grave; Piena avvertenza; Deliberato consenso.
Poco fa l'abbiamo detto: colpa grave significa che se uno morisse in questo stato, cadrebbe
nell'Inferno!
Inferno: questa parolina di tre sillabe si pronuncia in fretta, ma rappresenta una realtà orribile:
diventare un immortale sventurato! Dio non sarebbe infinitamente buono, o meglio non
sarebbe neppure giusto, se condannasse a un simile supplizio colui che potesse rispondergli:
«Ma io non ho acconsentito o non ho avuto piena avvertenza!
No, Dio non vuol sorprendere l'uomo come farebbe un traditore e non è un tiranno che trionfi
di noi con il ghermirci in un atto, fatto con mezza coscienza, allo scopo di punirci eterna-
mente.
Dalla definizione di colpa grave, che abbiamo dato e spiegato, derivano dieci principi o
regole, tanto più importanti in quanto esse si possono applicare non soltanto al peccato
impuro, ma a tutti i peccati, senza eccezione.
Inutile dire che i dieci princìpi che stiamo per esporre non sono ne peregrine scoperte, nè
sottigliezze di teologi. Questo libro è rivolto ai giovani.
Lo stesso S. Ignazio ci lascia altre preziose direttive nelle sue Regole per discernere gli spiriti:
«Nelle persone che lavorano coraggiosamente a purificarsi dai peccati e procedono di bene in
meglio nel servizio di Dio Nostro Signore, il malvagio spirito (ossia il demonio) è solito
provocare tristezza, tormenti di coscienza, ostacoli, falsi ragionamenti che turbano, allo scopo
di arrestare il loro progresso nel cammino della virtù. Al contrario il buono spirito (ossia
l'Angelo) è solito dare loro coraggio, forze e consolazioni, per fissarli nella calma, facilitare la
via e levare tutti gli ostacoli, perchè possano camminare sempre più nel bene».
È cosa propria di Dio e dei suoi angeli, quando operano in un'anima, bandire da loro il turba-
mento e la tristezza che il nemico si sforza d'introdurvi.
È proprio di Dio e degli angeli diffondere in loro la vera allegrezza e la vera gioia spirituale.
Invece è cosa propria del nemico combattere questa gioia e questa consolazione interiore, per
mezzo di apparenti ragioni, di sottigliezze e di continue illusioni».
«Il buon angelo è solito toccare dolcemente, leggermente e soavemente l'anima di coloro che
fanno ogni giorno progressi nella virtù; è, per cosi dire, una goccia di acqua che penetra in
una spugna.
Il cattivo angelo, al contrario, la tocca duramente, con fracasso e con agitazione, come l'acqua
che cade sulla pietra».
Ecco ora alcune regole pratiche per gli scrupolosi o paurosi:
- Ubbidiscano ciecamente al confessore, perchè in questa ubbidienza c'è insieme sapienza
umana e umiltà cristiana. Considerino inoltre come un male molto sottile questo scrupolo che
rende la vita cristiana un fardello tanto insopportabile da essere tentati di buttarlo via. Si
ricordino che spesso il rigorismo finisce col diventare lassismo.
- Lo scrupoloso deve prendere l'incrollabile risoluzione di non ritornare mai più sopra i fatti
già accusati in confessione.
Se tu, giovane amico, soffri durante la notte certi fenomeni caratteristici, che cosa devi fare?
Per risponderti, distinguo due casi.
- Se tu non ti svegli durante il fenomeno, non c'è da domandarsi se vi sia del bene o del male,
perchè non c'è questione di moralità quando si tratta d'un fenomeno subìto in modo
pienamente passivo, durante il sonno. Cerca tuttavia di star attento a non mettere
volontariamente, durante la veglia, certe cause di turbamenti: letture, desideri, ecc.
- Se poi ti svegli, non ti è lecito nè acconsentire nè fare qualche cosa allo scopo di provocare i
movimenti disordinati o completare il fenomeno incominciato inconsciamente. Ma, mi do-
manderai, se non si realizza il pericolo prossimo d'acconsentire, sono obbligato a cambiare
una posizione che sarebbe per sè decente o perfino a levarmi? No! Se tu lo facessi, però,
sarebbe cosa generosa e te la raccomando molto, specialmente se non vi sono inconvenienti a
farlo e se sei ancora in tempo ad impedire il risultato del fenomeno.
Dio sa (come sappiamo anche noi) che l'azione è lo sbocco logico dell'idea. Per questo non si
limitò a tagliare solamente la pianta velenosa dell'impurità, ma volle discendere fino alla stes-
sa radice, per estirparla dal cuore umano.
Ascolta queste parole decisive di Gesù: «Voi avete imparato (parlava agli Ebrei, i quali cono-
scevano i comandamenti dati da Dio a Mosè) che fu detto agli antichi: Non commettere
adulterio. Ma io vi dico: Chiunque guarda una donna con desiderio impuro, ha già commesso
l'adulterio nel suo cuore» (Vangelo di Matteo 5, 27).
È molto utile esaminare non solo il principio dei nostri pensieri, ma tutto il loro procedimen-
to, perchè i pensieri possono nascere innocenti e, cammin facendo, deviare e degenerare in
cattivi.
«È cosa propria dell'angelo cattivo, dice sant'Ignazio, quando si vuol mascherare in angelo di
luce, entrare da principio nei sentimenti dell'anima pia e finire con l'ispirare i suoi propri
sentimenti diabolici. Così comincia col suggerire pensieri buoni e santi, conformi alle
disposizioni virtuose di quell'anima; ma a poco a poco si sforza di attirarla nei suoi segreti
tranelli e di farla acconsentire ai suoi colpevoli disegni.
Per questo noi dobbiamo esaminare con grande cura il percorso e la direzione dei nostri pen-
sieri; se il principio, il mezzo e la fine sono buoni in se stessi e tendono puramente al bene, è
questa una prova che vengono dall'angelo buono».
Quali sono i principi di responsabilità nelle tentazioni che si chiamano cattivi pensieri?
Sono possibili, di fronte ai cattivi pensieri, due maniere di comportarsi:
1 - Cercar di accontentare tali pensieri.
2 - Trattenere volontariamente tali pensieri. Esaminiamo ciascuno di questi modi di com-
portarsi:
Primo modo di comportarsi. Quando uno si sforza di respingere pensieri cattivi non soltanto
non commette colpa, ma acquista meriti, poichè riporta una vittoria sopra se stesso.
L'esperienza però dimostra che il migliore e più efficace modo di "respingere" i cattivi
pensieri è quello di "dimenticarli", pensando subito a qualche altra cosa, leggendo un libro,
facendo un atto di amore a Gesù...
La formula vincitrice è quindi duplice: è «dimenticare ed amare», ossia lasciar cadere subito
nel dimenticatoio il pensiero cattivo e fare subito un atto di amore verso Gesù.
Si applica qui alla perfezione il proverbio che dice "chiodo scaccia chiodo": il nuovo pensiero
(buono) scaccia il vecchio (cattivo) che cade nel dimenticatoio.
Secondo modo di comportarsi. Se uno s'accorge che certi pensieri o desideri sono malsani e
liberamente li trattiene e vi acconsente, in questo momento preciso, e non prima, comincia la
sua responsabilità.
Come non si ha il diritto di conservare una sporca immagine in un album segreto, così non si
può conservare uno sporco fantasma nell'album segreto della fantasia.
Vicino alle brutture esteriori, ci sono le brutture interiori: nella memoria o nella immagina-
zione.
La parte della fantasia, nelle tentazioni impure, è purtroppo grandissima. L'azione colpevole è
ordinariamente accompagnata da rappresentazioni che la provocano o l'alimentano. Perfino
nelle impressioni subìte durante i fenomeni del sonno, la fantasia interviene in larga misura,
alle volte come causa, altre volte come effetto.
Abbiamo già veduto che i piaceri sensuali sono di ordine nervoso. Il sistema nervoso è in
comunicazione con quell'ufficio centrale che si chiama il cervello. Ora, formare le immagini è
una maniera di operare che ha il cervello. È dunque naturale che i movimenti impuri e le
immagini impure vadano quasi sempre di pari passo.
Ma ora voglio dare a te la parola, o giovane amico, perchè so che hai molte difficoltà da
farmi.
- I pensieri o le immagini che mi perseguitano sono orribili.
- Sia pure, ti rispondo, e che importa? La colpa non consiste nel gioco dell'immaginazione o
dell'intelligenza, ma nel consenso della volontà. C'è a questo proposito un vecchio proverbio
latino: «Non nocet sensus, ubi non est consensus», che si potrebbe tradurre in questi due
versi, non certo degni di Dante: È nulla il tuo sentire, è tutto acconsentire.
- Ma questi pensieri girano come una ruota, fino ad ossessionarmi, e mi tormentano giorno e
notte.
- E con questo?
Vuol dire che ti sei fatto maggiori meriti; perchè è più glorioso resistere due ore che resistere
due minuti. Lotta più lunga, palma più bella!
Noi possiamo meritare in due maniere, quando dal di fuori ci viene un cattivo pensiero.
Anzitutto, se, quando si presenta il pensiero di commettere una colpa grave, io resisto
(dimentico!) subito e così riporto la vittoria. Secondariamente, se questo cattivo pensiero,
respinto in principio, ritorna una o più volte e io resisto, sempre fisso a cacciarlo
completamente, questa seconda maniera è molto più meritoria che non la prima».
- Ma io, quando mi vengono questi pensieri cattivi, provo un diletto proibito.
- La cosa è fatale ed inevitabile, ti rispondo, ma tu non sei responsabile finchè lo risenti senza
averlo cercato e senza portarvi un volontario compiacimento.
- Io tremo, quando considero che basta un istante per commettere una colpa grave di pensiero.
- Ti rispondo che basta un sol istante anche per lacerare una tela di Raffaello, per schiaffeg-
giare un amico o per dire al proprio padre: ti odio.
Temi tu, ciò nonostante, che ti accada di commettere queste enormità d'un istante, contro il
tuo volere?
Quest'altra enormità d'un istante che si chiama la colpa grave, non può essere commessa,
contro il tuo volere, poichè la colpa grave suppone essenzialmente, oltre che la materia grave,
la perfetta avvertenza e l'intero consenso.
- Il diavolo è tanto forte!
- Il diavolo, ti risponde questa volta S. Bernardo, è un cane che abbaia terribilmente... ma è
legato alla catena. Lascia pure che questo impotente rabbioso schiamazzi. Non ti morderà
mai, a meno che tu non voglia, proprio tu e colle tue mani, slegargli dal collo la catena.
Tutti i principi che ho esposto finora sono molto ben riassunti dal più soave maestro della vita
spirituale: S. Francesco di Sales. Eccoti una pagina scritta con molta grazia e pensata con
molto buon senso.
«Siete voi bersagliati dalle tentazioni?
Non bisogna per questo nè che v'inquietiate nè che cambiate posizione. È il diavolo che va
dappertutto intorno al vostro spirito, frugando per vedere se può trovare qualche porta aperta.
Faceva così anche con Giobbe, con S. Antonio, con S. Caterina da Siena e con moltissime
altre anime buone.
Bisogna forse inquietarsi per questo?
No: lasciatelo crepar di freddo; tenete ben chiuse tutte le porte ed egli si stancherà finalmente
o, se non si stanca, Dio gli farà levare l'assedio.
È buon segno ch'egli vada facendo tanto fracasso e tanta tempesta intorno alla vostra volontà:
è segno cioè che non vi è entrato. Guardatevi bene dall'adirarvi col vostro cuore per questi
disgustosi pensieri che gli stanno tutto all'intorno; perchè il tuo povero cuore non ne ha
proprio colpa e Dio stesso non lo rimprovera affatto, anzi il contrario! la divina sapienza si
compiace nel vedere che andate tremando alla sola ombra del male come un pulcino trema
all'ombra del nibbio che gli sta roteando sopra.
Ricorriamo alla croce, baciamola di cuore; restiamo in pace all'ombra di questo santo albero.
È impossibile che qualche cosa ci manchi finchè conserviamo una vera risoluzione di essere
tutti di Dio. Non bisogna adunque agitarsi nelle tentazioni, ma restare in una gaia e dolce
rassegnazione al beneplacito di Dio.
Le tentazioni non possono togliere nulla alla purezza di un cuore che non le ama affatto. Non
teniamo lo sguardo volto verso di loro, ma guardiamo fissamente il nostro Salvatore che ci
aspetta al di là della tormenta.
Sapete perchè le tentazioni ci turbano? Perchè vi pensiamo troppo e le temiamo troppo! ».
Meditate queste ultime righe di san Francesco di Sales, voi che vi preoccupate
eccessivamente per l'assalto dei desideri importuni.
Perchè perdere la padronanza della vostra anima e così infiacchirvi?
L'affanno conserva ed intensifica queste tentazioni. Conservate la vostra volontà molto gene-
rosa, ma il vostro cuore se ne stia molto calmo.
L'agitarsi è un impiegar la forza fuori di posto! Sforzatevi invece di trascurare, di disprezzare,
di dimenticare.
8° PRINCIPIO: il 6° comandamento
Avrai udito spesse volte enunciare questo principio: «in materia d'impurità non si dà pic-
colezza di materia, cioè ogni colpa è grave». Come si deve interpretarlo?
Bisogna intenderlo come lo spiegano i teologi, se non si vuole falsarsi la coscienza.
- Cominciamo coll'osservare che anche quando la materia è grave la colpa può restare
leggera, perchè la colpa mortale suppone, oltre a questo primo elemento della materia grave,
due altre condizioni: conoscenza perfetta e consenso intero. Ciò posto, in molti casi vi sarà
soltanto «materia» per una colpa grave, ma non un'effettiva colpa grave.
- In secondo luogo: quando la teologia insegna che non esiste «materia» leggera in fatto di
castità, che cosa vuol indicare con questa parola «materia»?
Certo non vuoi indicare una semplice sensualità, perchè è evidente che ci può essere materia
leggera in una certa lettura un po' libera, in una certa allusione fuori di posto, in un certo
sorriso indulgente, ecc. Ma si deve trattare, nel principio enunciato, della lussuria
propriamente detta (che è un vizio disordinato) e che, se direttamente cercata, è peccato.
Esaminiamo una per una queste due espressioni. «La lussuria propriamente detta» consiste in
quei movimenti sregolati delle parti sessuali (spesso chiamati ribellioni della carne) accom-
pagnati da soddisfazioni d'ordine venereo e genesiaco, in modo che lo sbocco logico (che sia
raggiunto o no, non importa) sarebbe la soddisfazione completa della passione.
Conviene badare a tre cose: 1) Si può peccare contro la purezza senza che vi sia movimento,
ma allora sono peccati interni (pensieri, desideri). 2) La parola venereo viene da Venere, che
secondo le favole mitologiche era la dea del piacere. 3) La parola genesiaco, vuol dire:
relativo alla generazione. Si possono provare in quegli organi delle impressioni che non sono
d'ordine genesiaco, per es. il calore, il freddo, la pressione, anche un certo qual benessere che
non ha affatto carattere venereo.
L'argomento come vedi, è molto delicato, ma se ne può parlare con tutta purezza. Dio prevede
quanto coraggio è necessario all'uomo e alla donna per accettare i pesi della famiglia, e per
questo ha messo provvidenzialmente un'attrattiva ed un compenso di piacere nell'esercizio
delle funzioni generative.
Negli esseri umani troviamo soprattutto due tendenze: la tendenza alla conservazione
dell'individuo che spinge alla nutrizione, e la tendenza alla conservazione della specie, che
spinge alla riproduzione. L'individuo muore, ma bisogna che l'umanità viva. L'umanità, la
specie umana, deve restare ed è per questo che gli esseri umani hanno così profondo istinto
del loro prolungarsi nei posteri.
Gli organi destinati alla generazione e chiamati, per questo motivo, genitali o sessuali, hanno
diritto al piacere lecito nell'unione legittima del Matrimonio, il quale assicura la trasmissione
della vita e che da Dio stesso fu elevato alla dignità di Sacramento. Ma, fuori di questo caso,
questo piacere è deviato violentemente dal fine che lo giustifica, è privato del suo vero scopo,
e perciò diventa un disordine.
Se Dio ha associato la soddisfazione sensibile col fine per cui ci fu data, non è possibile né
lecito giustificare il loro dissociarsi, come non è possibile separare, il nutrirsi dalla
soddisfazione del gusto dal dovere di nutrirsi.
Per verificare se la tua anima si tiene in regola sarà utile che tu ti faccia, in simili casi, queste
due domande:
1°) Sono io in grado di giustificare l'azione che compio? Ha essa un motivo sufficientemente
serio e diverso da quello che ha di mira la passione?
2°) Sono io in grado di giustificare la mia intenzione? È essa diritta?
Insisto su quest'ultimo punto: può darsi che una cosa sia onesta in se stessa e permessa dalla
morale, ma sempre nella supposizione che l'intenzione direttrice rimanga buona.
Il bisogno di calmare i pruriti, o il desiderio di aver una bella pulizia o della sanità possono
essere motivi seriamente utili o qualche volta necessari, ma possono anche diventare
altrettanti pretesti della passione.
Attenzione, dunque, e dirittura! niente coscienza a doppio fondo, come le scatole di certi
ciarlatani. Niente pie gherminelle!
Alle volte si vuole giocar d'astuzia con Dio, sforzarsi di scivolargli in mano le monete false
d'ingannatrici ragioni.
Ora ciò che Iddio guarda soprattutto, dice la Scrittura, è la lealtà del cuore, la buona volontà;
al punto che, perfino in caso d'errore, la responsabilità umana è salva quando c'è realmente la
buona fede.
Citiamo due filosofi non nostri, ma che pure dissero qualche verità. Fidote scrisse: Il solo
dovere è questo: «volere agire conformemente al proprio dovere»; e Kant: «di tutte le cose
che si possono pensare nel mondo, ve n'è una sola che si può tener per buona senza
restrizione: una buona volontà».
9° PRINCIPIO: la divisione delle cause
Bisogna dividere le cause di certe azioni. Alcune cause di effetti impuri sono cattive in se
stesse; altre invece sono cattive soltanto in certe circostanze determinate.
Sono in se stesse colpevoli le cose che, per loro natura, sono inevitabilmente una provoca-
zione grave al vizio.
Altre cause invece non sono cattive in se stesse, ma diventano colpevoli in certe condizioni;
dimodochè la stessa azione sarà buona o cattiva, secondo le circostanze.
Facciamo dei casi, che, certo, anche a te vengono in mente:
- Un dato sguardo è colpa grave?
Bisogna distinguere: da vicino o da lontano? di sfuggita o con insistenza? per pura curiosità o
con intenzione malvagia?
- Una certa conversazione libera è colpa grave?
Colui che la tiene o l'ascolta è un fanciullo? un uomo sposato? un vecchio che percepisce
poche sensazioni? una persona più o meno immunizzata dall'abitudine?
- I baci sono colpa grave?
Possono essere permessi dall'usanza o dalle relazioni familiari.
Possono essere complicati da esagerazioni sentimentali, e da malizia.
Possono spesso diventare una manifestazione gravemente passionale.
Bisogna dunque sempre badare alle circostanze. La circostanza che generalmente influirà di
più e la durata.
Certe azioni fatte velocemente (e sempre nella supposizione che si abbia un'intenzione retta)
resteranno oneste, mentre le stesse azioni diventeranno gravi, quando ci si fermi lungamente
senza una vera necessità. Concluderò con le parole del Vangelo: «Chi ha orecchie per inten-
dere intenda! ».
L’ATTACCO
Colui che ama il pericolo...
Il peccato impuro è il nemico della nostra anima.
Con un nemico bisogna evitare non solo le alleanze, ma anche i compromessi.
Durante la guerra era proibito fraternizzare col nemico!
Con maggior ragione non vi dev'essere fraternità fra l'anima e la colpa.
È cosa idiota civettare con Satana!
Voi sapete che la colpa impura è tentatrice. Perchè volerne assaggiare ... un poco?
Il bambino a cui fu proibito di toccare la crema, si ostina a volere leccare, per lo meno agli
orli del vaso.
Quanti giovani, quanti uomini maturi, conoscendo la proibizione divina di gustare le malsane
dolcezze vogliono leccare almeno gli orli del piatto. A cinque anni, passi!...
Ma a quindici, a vent'anni, a quarant'anni! o anche più tardi...
Chi scherza con un rasoio si taglierà. Chi scherza col fuoco si brucerà.
«Chi ama il pericolo, vi perirà», dice la Scrittura (Eccl. 3, 2). Questa cosa è evidente!
Trent'anni or sono, in una tipografia di Liegi, un giovane apprendista era incaricato di mettere
un libro in mezzo a due rulli compressori. Non c'era alcun pericolo, perchè, tenendo il libro
da una estremità presentava l'altra alla macchina. Ma che volete? Sembrava una cosa
eccitante l'attrattiva del pericolo burlato; e per avere questa particolare sensazione il ragazzo
si divertiva a mettere la punta del dito fra i rulli e la ritirava presto, nel momento preciso in
cui stava per essere preso.
Un giorno convoca i suoi amici: «Osservate! è cosa tanto piacevole questo piccolo brivido...
No, non fu piacevole. Perchè, quella volta, non riuscì a ritirare il dito a tempo. Sotto i due
pesanti rulli compressori tutto fu stritolato: muscoli, nervi, ossa.
Il ragazzo gettò un urlo, ma la macchina cieca continuò e quando l'ingegnere accorse e riuscì
a svitare i due rulli, vide, spettacolo orribile, sopra di ciascuno, in forma di lamina
sanguinolente, la carne stritolata del ragazzo. «È cosi piacevole!... questo piccolo brivido!».
Voi direte: «Orribile fatto! ma se lo è meritato!. Che pazzia fare una simile scommessa! ».
D'accordo. Eppure, quanti giovani fanno così. Vogliono anch' essi scherzare col pericolo. « È
così piacevole... Questo piccolo brivido...!».
Oh, sono decisi a mettere soltanto la punta del dito nell'ingranaggio... Ma ecco che la mac-
china brutale li attanaglia tutti interi. Volevano scherzare. Non scherza la golosa macchina
divoratrice di anime che si chiama impurità!
La Scrittura ha ragione, sì, ha ragione: «Chi ama il pericolo, vi perirà! ».
Ma quali sono questi pericoli, queste occasioni della colpa impura?
Dobbiamo fare due classi: pericoli individuali e pericoli generali.
Pericoli individuali
Quando facciamo il bilancio del nostro stato fisiologico, cioè della nostra salute, veniamo a
constatare che ognuno di noi ha il suo «punto debole». Sarà, secondo gl'individui, il cuore, i
polmoni, i reni, le arterie, ecc.
Se voi mi promettete di non ridere, vi dirò la parola della medicina, parola nuova e strana:
Ognuno ha le sue «idiosincrasìe».
M'avete promesso di non ridere... L'idiosincrasìa è quella maniera speciale che ogni individuo
ha di reagire sotto l'azione di germi patogeni o di qualsiasi agente. In altre parole (perchè
vedo che non avete capito nulla) vi dirò col Littré: « L'idiosincrasìa è la disposizione propria
a ciascun individuo per la quale le stesse cause producono in soggetti differenti effetti
differenti».
I medici sono giunti a questa conclusione: «Non ci sono malattie, ma ci sono ammalati», cioè
i caratteri delle malattie sono tanto differenti come sono differenti gli organismi colpiti. Così,
che cosa si può dire di coloro che vanno cercando i rimedi dei loro mali negli annunci dei
giornali? Costoro dimenticano che la malattia non è una cosa assoluta ed invariabile, ma
relativa e capace di colorarsi con infinite sfumature, secondo la complessità dei diversi
temperamenti.
Ebbene; ciò che è vero della sanità corporale è vero anche della sanità morale.
Ciascuno ha il suo temperamento speciale ed il suo punto debole, che non è quello del vicino.
Tutti sono tentati, nel punto della purezza, l'abbiamo detto, ma non tutti sono tentati nella
medesima maniera.
Uno è tentato dal cuore; per un altro la difficoltà non viene dal cuore, ma dall'immaginazione
o dalla memoria; per altri infine, le occasioni delicate sono la lettura, o gli sguardi, o le
relazioni. Bisogna dire però che, in generale, una propensione non esclude interamente le
altre; si limita a dominarle.
Qualche volta le tendenze prendono una strana precisione e finiscono per concentrarsi sopra
un unico punto, in circostanze molto precise.
Come si spiega che la tentazione è così «specializzata?».
Il fenomeno può essere molto complesso e può dipendere dal temperamento, ecc. Ma una
causa ordinarissima sta nell'abitudine.
L'abitudine è una facilità a ricominciare una stessa azione.
Un'azione non si esaurisce in se stessa, ma lascia qualche cosa in noi, cioè lascia come una
piegatura, come un solco scavato per sempre e che noi portiamo nell'anima.
Il giovane che ha peccato in una data maniera ha creato una «associazione d'immagini» fra
quella occasione e quella colpa. I due fantasmi rimangono come saldati insieme.
Egli ha commessa la colpa così e non in altra maniera, o meno in altra maniera.
Si ha un bel credersi guariti: ognuno sente male nella sua cicatrice: Paolo Goy, nel suo libro
Purezza razionale arriva fino al punto di proclamare: «Le tentazioni non sono altro che le
eccitazioni precedentemente consentite».
Notiamo che il meccanismo dell' «associazione delle immagini» ha una doppia spiegazione:
fisiologica e psicologica.
I. - SPIEGAZIONE FISIOLOGICA
«Ammesso che ogni stato di coscienza lascia dietro di sè una traccia nei centri nervosi, si
comprende come il prodursi di parecchie immagini contemporaneamente o in successione
immediata, generi fra gli elementi nuovi corrispondenti come altrettanti ponti che li legano in
gruppi collegati, tendenti a vibrare insieme. Ciò posto, basta che uno di questi elementi venga
scosso da un'immagine perchè, in forza dei ponti che li mettono in comunicazione con gli
altri elementi ed alla corrente che corre per questi ponti, tutto il gruppo al quale appartiene
quell'elemento si svegli nel medesimo tempo e faccia rivivere... le immagini che lo
compongono. Da qui la legge formulata da Hoffding: Ogni fatto di coscienza che si produce
tende a riprodurre lo stato totale di cui fa parte.
II. - SPIEGAZIONE PSICOLOGICA
a) Per regola generale, un'associazione dura tanto più quanto è più viva l'impressione da cui è
stata formata. Per es. Una grave disgrazia accade sotto i miei occhi: l'emozione che produce
in me questo spettacolo basta per associare e fissare tanto solidamente le diverse circostanze
che l'hanno accompagnata che io non posso più d'ora innanzi richiamare l'una senza
richiamare le altre.
b) Seconda regola: La tenacità delle associazioni dipende anche dal grado di attenzione che si
usa.
c) Terza regola: l'associazione si fortifica tanto più quanto più il medesimo gruppo... si è
presentato più frequentemente nelle condizioni identiche.
Si vede, insomma, che l'associazione più che essere una funzione speciale è un caso particola-
re dell'abitudine, cioè di quella tendenza per la quale noi abbiamo a rifare o a ripensare
automaticamente ciò che noi abbiamo già fatto o ripensato. Tanto l'associazione come
l'abitudine sono governate dalle medesime leggi: si contraggono tanto più facilmente, quanto
è più viva l'impressione che l'idea o l'azione han fatto su di noi; quanto più frequentemente si
son prodotte o quanto maggior attenzione vi abbiamo portato. (P. Lahr, Psicologia).
Queste affermazioni non sono rigorosamente esatte, perchè anche colui che non ha mai
acconsentito, può essere tentato. Ma bisogna concedere che esiste davvero una sorprendente
«memoria dei sensi», come la chiama il Bourget, e che noi conserviamo, per causa dello
psichismo memorativo, una terribile propensione a ripetere la colpa speciale prima
commessa. Così, felice, molto felice, colui che non è mai caduto!
«Appunto perchè non ha subìto la disfatta, in lui non c'è una via aperta verso il male. Non ha
nè quelle immagini ossessionanti, nè quelle associazioni nervose che sono il frutto delle
cadute antecedenti e che inclinano tanto potentemente verso nuove cadute» (GUIBERT, La
pureté). Le cose hanno una loro giustizia immanente!
La colpa porta già con sè la sua paga. Uno è punito per quel lato per cui ha peccato!
Questa verità presenta un'applicazione sorprendente nel caso di complici. Quando una grave
debolezza è avvenuta con una persona, questa persona non è mai più uguale per noi come
un'altra.
Un legame indissolubile ha unito le due immagini: l'immagine di quella persona e l'immagine
della colpa. Da qui nasce un grande principio: verso un complice si resta sempre deboli.
E questo si avvera perfino nei complici che sono già invecchiati.
Dopo una prima colpa gli anni sono passati. Ora, addizionandoli, farebbero ottanta! Alle volte
ancor più...
Pare che essi lo dimentichino; eppure no. Trasportando e proiettando l'un sull'altro gli antichi
ricordi, essi li rivedono per una strana illusione ottica, con gli occhi d'un tempo.
La saturazione primitiva della memoria è restata cosi profonda che, nonostante l'età, non
possono trovarsi insieme, senza un vero pericolo.
Coloro che, con piena sincerità, si credono decisi a non più cadere, s'accorgono spesso, a
certe visite importune, che le risoluzioni più forti fondono come la cera al soffio d'una
fornace.
La vera tattica non consiste nel proposito di voler combattere quando ci si troverà in quella
occasione, ma nel voler evitare quell'occasione.
Questo è il solo caso, forse, in cui il valore consiste nel fuggire. «Vince chi fugge!».
I pericoli di tutti
La difesa prende la sua regola dall'attacco.
È essenziale, prima del combattimento, conoscere i piani del nemico, per sventare la sua tat-
tica.
Di qui l'importanza che avevano durante la guerra gli aeroplani che facevano le ricognizioni,
e le pattuglie che eseguivano le esplorazioni. Tutto era buono per ottenere la vittoria: cannoni
da 420, pastiglie incendiarie, terreni minati, guerra chimica coi gas asfissianti, coi gas vesci-
canti, coi gas starnutatori, coi gas lacrimogeni.
Anche il demonio mette in opera tutto per rovinarci. I 420 dei grossi attacchi, le pastiglie
incendiarie delle eleganti dichiarazioni calorose, quei principii rovinosi che sono i suoi gas
asfissianti, il terreno minato delle relazioni pericolose. La strategia di Satana è feconda nel
trovare astuzie di guerra! Giovane amico, passiamo in rassegna qualcuna di queste molteplici
imboscate.
1a IMBOSCATA: le conversazioni
Le conversazioni sono lo scoglio classico delle riunioni di giovani. Meglio: sono
un'imboscata. Sii testardo: Non tenerne. Non ascoltarne.
1) Non tenere cattive conversazioni.
Un libro che non si può accusare di essere schifiltoso, Saffo, dice: «In certe conversazioni
l'immoralità si propaga, bruciatura dei corpi e delle anime, simile a quelle fiaccole di cui parla
il poeta latino e che correvano di mani in mano, nello stadio».
Pensa che varie anime sono in gioco: la tua e quella o quelle di colui o di coloro a cui parli.
Tenendo conversazioni impure, si pecca e si fa peccare.
La colpa personale è già molto deplorevole. Ma la colpa con un altro! Chi sa? è forse per lui il
primo anello d'una catena che lo trascinerà alla fine all'Inferno?
Deve pesare sulla coscienza, sul letto di morte, il rimorso d'essere stato per un'altra anima una
causa di tentazione e qualche volta di perdizione.
«Guai, diceva il Maestro, a chi dà scandalo!». C'è chi è rimasto inconsolabile per avere ucciso
involontariamente un amico durante la caccia. Chi con la conversazione contribuisce a rovi-
nare un compagno non uccide per sbaglio, ma sapendo e volendo. Non è più un omicidio
d'imprudenza, il suo; è omicidio di malizia. «Dalle vostre labbra siano bandite le parole
disoneste», diceva san Paolo (Colossesi 3, 8).
«Che non si senta neppur dire, continua lo stesso apostolo, che fra di voi ci sia fornicazione o
impurità di qualche sorta o cattivo desiderio... Niente parole disoneste, buffonerie, scherzi
grossolani: cose tutte che sono indecenti... Poichè, sappiatelo bene: nessun impuro... avrà ere-
dità nel regno di Cristo e di Dio! Vi auguro che nessuno v'inganni con vani discorsi, perchè la
collera di Dio piomba sui figli dell'incredulità per causa di questi vizi. Non abbiate dunque
alcuna parte con essi! (Efesini 5, 3).
2) Non ascoltare cattive conversazioni.
Ma qui la cosa non è così liscia, e permetto che tu dia sfogo alle tue difficoltà:
- Io ho già formato la mia coscienza per questo genere di conversazioni e non ne soffro!
Risposta telegrafica:
- Hai formato o deformato la tua coscienza? - Non posso mica mettermi la bambagia nelle
orecchie per non sentire!
- Oh, è abbastanza evidente che non lo devi fare! Hai mai udito per caso i predicatori dare un
simile consiglio? Ma, almeno puoi non provocare certe conversazioni «sdrucciolevoli» e non
alimentarle con le tue domande.
- Mi chiameranno bigotto. Risposta telegrafica:
- Dio ti chiamerà coraggioso. Il suo giudizio vale molto di più!
- Mi daranno il soprannome di molto noioso, o di gesuita, che è ancora più grave.
Tu risponderai:
- Va' via, adulatore che non sei altro! gradirei molto di trovarmi con quei signori, lassù in
Paradiso!
- Ma come mi giudicheranno?
Risposta telegrafica: - Ti ammireranno!
E al termine del telegramma: m'appello a te stesso.
Fra giovani voi vi conoscete bene.
Ebbene, quali sono i compagni veramente stimati? Quali sono quelli ai quali tu andrai in
un'ora grigia della vita, se avrai bisogno d'un consiglio serio? Quali sono coloro che tutti
rispettano? I vigliacchi forse? che mettono la loro bandiera in tasca (e quando la bandiera è in
tasca non è più una bandiera ma diventa un moccichino!) oppure invece coloro che si affer-
mano cattolici, integralmente, anzi «sfrontatamente! », direbbe Luigi Veuillot?
Tu cerca di (e bada che questo punto è molto importante), di rendere la religione simpatica,
mediante l'apostolato della tua gioia. Una sola è la nostalgia melanconica permessa ad un
cristiano: il Paradiso!
Io non conosco nella Bibbia nessun passo che raccomandi d'essere tetro ed orso in società; ne
conosco molti invece che raccomandano d'essere gentili ed allegri.
Ascolta san Paolo: «Rallegratevi sempre nel Signore, sempre; ve lo dico di nuovo: rallegrate-
vi» (Lettera agli Efesini 4, 4).
2a IMBOSCATA: la curiosità
Il giovane è reso inquieto da sensazioni misteriose, agitato, da certi problemi della vita e del-
l'origine della vita, da certe allusioni che ascolta un po' dappertutto.
Conoscere! Cogliere il frutto dell'albero della scienza! Ed allora incominciano le ricerche
nascoste nei vocabolari, nei libri speciali, nei trattati di medicina. Allora incominciano i
biglietti nascosti e le domande ai compagni. Queste informazioni date da cattivi compagni
portano in se stesse un grave male, perchè le realtà dell'esistenza vengono conosciute con un
contorno di sghignazzamenti, sotto un aspetto malsano di vizio che le macchia per sempre.
Ora io dico a te, giovane curioso di sapere certe cose: rivolgiti con semplicità e con lealtà ai
tuoi genitori, e se essi non desiderano entrare in questi argomenti, interroga il tuo confessore
o una persona meritevole di piena confidenza. Tuo padre e tua madre ti vogliono bene; hanno
dovuto, per dovere di coscienza, tenersi al corrente di ciò che fu scritto, in questi ultimi tempi,
sul delicato problema dell'iniziazione. Domandando delle spiegazioni non recherai loro
meraviglia. Anzi, finchè un ragazzo ha la confidenza d'esprimere con candore i suoi dubbi a
chi si deve, i genitori possono avere in questo un eccellente indizio; mentre la rottura morale
coi propri genitori ed il fatto di «chiudersi in se stessi», così contrastante con l'espansione
naturale dell'età, deve suonare come un sospetto inquietante. Il Vangelo dice che c'è anche il
«demonio muto».
Non vado più oltre su questo argomento, che riguarda strettamente i genitori. Questo libro
non si rivolge direttamente ad essi, ma ai giovani.
Ed ora alcuni consigli pratici: Fa' come un soldato quando suona la tromba (o per lo meno
come dovrebbe fare!): alzati all'ora fissa.
Prega così: «O Dio, io ti cerco fin dall'aurora: Deus, Des meus, ad te de luce vigilo» (Salmo
63). Bevi con moderazione alla sera; non leggere stando a letto, nè al mattino nè alla sera.
Evita, per quanto è possibile, di far la digestione a letto. Se la posizione dorsale, supina
provoca in te dei turbamenti, non esitare a cambiar posizione.
Non voler la camera troppo tiepida o troppo calda. Non vegliare troppo a lungo e troppo tardi.
Temi il letto troppo molle. Da questo punto di vista è preferibile la paglia alle piume di
tortorella.
Abbiamo voluto insistere sopra queste occasioni di tentazioni perchè sono eminentemente
pratiche e ritornano immancabilmente due volte al giorno. Con esse infatti incominciamo e
finiamo la nostra giornata.
4a IMBOSCATA: l'ozio
Comincio con un detto di Beniamino Franklin: «Chi non fa nulla è vicino a far male». E
continuo con un proverbio dei vecchi Romani: «Otium malorum omnium pater» cioè «L'ozio
è il padre di tutti i vizi».
Lo star senza far nulla è cattivo consigliere. Per questo, fissati un «ordine del giorno». Tienti
occupato a qualunque costo; a fare una collezione, a fare fotografie, nel giocare a scherma...
Importa poco quello che fai... Ma almeno non ammuffire!
Senti quel mattacchione di Montaigne: «Per distrarmi da un'immaginazione importuna il
mezzo più spiccio è ricorrere ai libri: essi me la trasportano lontano. È il migliore viatico che
ho trovato per questo viaggio umano».
Prendi interesse per le cose e per gli uomini. A quindici anni un giovane dovrebbe essere
curioso di tutto e, come dice Leon Daudet, scrittore di feconda fantasia, «un giovane
dovrebbe spingere le proprie antenne in tutte le direzioni! ».
Studia. Entra nei «circoli o associazioni di cultura». Ma di questo parleremo più oltre.
Va' a passeggio. Intraprendi escursioni. Gioca. Abbandonati agli sport, a quegli esercizi un po'
violenti che offrono un doppio vantaggio: sono una «distrazione» dal punto di vista mora-
le, ed un incanalare in diversi rigagnoli il fiume dell'energia, dal punto di vista fisico.
Se puoi va' a caccia, perchè Diana, dea della caccia, è la nemica di Venere, dea del piacere.
Tutti questi consigli si riassumono nella legge detta del derivativo che è stata bene analizzata
dall'Eymieu: «Poichè tutti gli elementi dell'essere sono fra loro in comunicazione nella nostra
unità complessiva, è possibile attirare in un punto una parte della corrente che circola negli
altri. La vita pare che s'indebolisca in un punto, nella proporzione in cui si accumula negli
altri, precisamente come la massa di acqua sollevata dalla marea invade una riva, a
condizione di allontanarsi dalla riva opposta ... Quando lo sforzo vitale si porta sul pensiero,
tutte le forze fisiologiche pagano a lui il loro tributo».
6a IMBOSCATA: le lettere
Comincio con una frase di Paolo Bourget: i princìpi che spargono i libri cattivi sono una spe-
cie di «veleno morale».
Non temete: non ho il cattivo gusto di mettere il vostro coraggio a dura prova, ritornando a
lungo sul vecchio argomento delle letture. Ma, da molti luoghi sento gridare:
«Noi conosciamo già i princìpi! Se è possibile. vorremmo citazioni ed esempi. E possibile?
Possibilissimo! vi rispondo. Ed eccomi.
Una giovane aveva letto La nuova Eloisa. Andò nella piazza maggiore di Ginevra, si fece
saltare le cervella ed il sangue della sventurata schizzò sulla statua dell'autore: Gian Giacomo
Rousseau. Il fatto fece colpo, perchè il sangue rosso era stato sparso.
Negl'intimi drammi che la lettura scatena in un'anima il sangue rosso non scorre, ma la fede e
l'innocenza se ne vanno per l'apertura d'irrimediabili ferite.
Voi direte da scettici: «Ma no, non si tratta di ferite! sono semplici punture di spillo».
Le punture di spillo vi rispondo, quando si fanno nel cuore, sono colpi di spada.
Dopo la guerra del `70, un deputato di sinistra, Balisaux di Charleroi, faceva questa umiliante
osservazione in pieno parlamento belga: «Quando, dopo Sédan, si apersero gli zaini tedeschi,
dentro si trovarono delle bibbie; mentre negli zaini francesi si scopersero romanzi e che
romanzi! ».
Per conto mio sono abbastanza scettico riguardo alla prima parte di questa osservazione: noi
tutti abbiam veduto che la virtuosa Germania, durante la guerra, non metteva solamente delle
bibbie negli zaini, perchè la Sacra Scrittura sarebbe stata in ben strana compagnia vicino alle
pastiglie incendiarie.
Ma riguardo alla seconda parte assicurano che fu veramente e frequentemente constatata e
che fra le mani di quei poveri giovani vicini alla morte nelle trincee, si vedevano romanzi, e
che romanzi! Molti di quei volumi avrebbero ben meritato l'epitaffio «per un libro condan-
nato» scritto da Baudelaire nel suo libro Fleurs du mal.
Per Baudelaire questo epitaffio, come la sua Preghiera a Satana e le sue Litanie di Satana,
erano soltanto, forse, una scommessa o una sfida. Ma in molti lettori queste sfide si sono rea-
lizzate. Osservatene le conseguenze!
In Francia, la Gazzetta dei Tribunali (luglio 1921) riporta il dialogo che si svolse tra il presi-
dente delle Assise e due manigoldi che assassinarono un mercante di Clichy:
- Come v'è venuta la prima idea del delitto? - Leggendo insieme un romanzo in cui si trovava
raccontata la storia ed il piano d'un assassinio seguito da furto.
- Quanto tempo prima del delitto avete fatto questa lettura?
- Circa otto giorni.
Ed era vero: quel romanzo usciva in appendice nel Giornale di Famiglia, e cominciò il 22
luglio e terminò il 6 dicembre. L'assassinio ebbe luogo il 15 dicembre.
« Preferirei che voi non foste capaci di leggere, anzichè vedervi fare una lettura che nuoccia
all'integrità dei costumi! ». Chi ha detto questo?
Prevedo: voi avete voglia di gridar subito: un prete fanatico! un parroco dalla testa piccola!
Avete sbagliato! Fu un pagano: Quintilliano. Scegliete dunque bene i vostri libri!
Paolo Deschanel, nel banchetto dell'associazione dei giornalisti parigini, il 28 marzo 1920,
esclamava: «Miei cari colleghi! voi avete in mano l'arma più potente, più temuta: la penna.
Ricordatevi le parole di Enrico Heine: «Una gocciolina d'inchiostro che cade come una
rugiada sopra un pensiero, lo feconda e lo fa germinare in modo ch'esso diventa il pensiero di
migliaia e forse di milioni di uomini».
8a IMBOSCATA: Internet
Nessuno vuole negare l'utilità di «internet», certamente il più rivoluzionario e potente mezzo
di comunicazione del secolo ventesimo che, se usato bene, dà la possibilità di fare ricerche
serie in quasi tutti i campi del sapere umano.
A differenza della televisione - che è programmata dalle società emittenti - internet permette
la scelta dello «spettacolo». E questo è un vantaggio.
Ma è anche un sottile ed insidioso pericolo per chi non sa resistere alla tentazione di ricercare
trasmissioni equivoche ed anche oscene.
Spesso, anche mentre si sta «navigando» alla ricerca di un notiziario serio, poniamo di
scienza o di storia, sullo schermo del computer appare improvvisamente una figura oscena,
con l'invito a cliccarla per vederne altre.
Non illudiamoci! Quanti giovani sono caduti nelle trappole di internet trovandovi la fine di
una vita innocente e l'inizio di una vita viziosa! Un pericolo sempre in agguato è la possibilità
di «Chattare», ossia di chiacchierare con persone sconosciute che si presentano come amiche.
Ecco uno dei tanti messaggi che appaiono in internet: CHATTARE gratis e senza
registrazione!! Conoscerai tanti amici, belle ragazze e bei ragazzi. Fatti tanti amici gratis!
Se l'incauto giovane (o anche meno giovane) abbocca all'amo, viene messo in contatto con
una persona (spesso si tratta di prostitute) della quale vede solo il volto e con la quale inizia a
parlare (chattare) raccontando tutto di sé e cercando di sapere qualcosa di lei.
Alla chiacchierata segue l'invito ad incontrarsi per conoscersi meglio.
Errore fatale! il povero giovane si ritrova legato dalla propria passione (e spesso anche da
duri ricatti!) a chi lo saprà sfruttare a dovere, senza la possibilità di liberarsene.
Le cronache ci raccontano come assai spesso la chat si concluda in un matrimonio, in un ma-
trimonio infelice il cui epìlogo tocca spesso la tragedia.
Ho detto queste cose a te, caro giovane, affinché tu "navighi" in internet solo per istruirti e
fare del bene, evitando decisamente e generosamente di farti accalappiare dalle reti del male
che satana nasconde sotto il pelo dell'acqua.
Ma dico queste cose anche ai tuoi genitori, affinché vigilino sui tuoi fratelli più piccoli, non
abbandonandoli soli davanti al computer.
Parole del Maestro: «Non temete soltanto coloro che possono uccidere il corpo».
Quel giovane signore che, alla corte regale di Francia, era stato invitato dai paggi a fare il
male, aveva ben compreso questo divino avvertimento.
Per tutta risposta, infatti, disse: - «Portatemi una candela». Meravigliati, i compagni la
portarono. - «Accendetela! ». Ancora più sorpresi, l'accesero.
Quegli mise il dito sulla fiamma e, dopo mezzo minuto vinto dal dolore ritirò la mano
gravemente bruciata.
Allora si rivolse ai tentatori e disse: «Vedete? non ho potuto tenere il mio piccolo dito,
durante un piccolo minuto sulla piccola fiamma d'una piccola candela. Come potrei stare tutto
intero nelle fiamme eterne dell'inferno?».
Chi parlava così entrò poi nell'Ordine dei Trappisti e diventò il celebre abate Rancé. Giovane
amico, se i cattivi compagni t'invitano al male, ricordati di questa storia e serviti di questa
risposta.
Tutte le droghe producono tolleranza, in quanto per ottenere lo stesso effetto provato la prima
volta occorre assumere dosi sempre più abbondanti, fino a raggiungere e superare una soglia
oltre la quale i soggetti non sono più in grado di vivere senza ricorrere alla sostanza
(dipendenza).
Mio caro amico, pensa alla tua salute, ma specialmente alla salvezza eterna della tua anima!
Non lasciarti adescare dalle droghe anche quando ti sono offerte gratuitamente da falsi amici
che poi ti sfrutteranno (anche economicamente) per soddisfare le tue mortifere richieste!
L'amore proibito
Molti sono sedotti ...
Per molte donne la furbizia serpentina supera terribilmente la semplicità colombina.
Se è cosi, devi fuggirle come si fugge il serpente. In molti casi la vera responsabile è la
giovane che si presta empiamente alla passione del giovane (egli potrebbe poco, se essa non
volesse affatto), o perfino è essa che positivamente provoca.
Non Giuseppe l'Ebreo tentò la moglie di Putifarre, ma la moglie di Putifarre tentò Giuseppe.
Non c'è bisogno di risalire ai Faraoni per trovare simili donne...
Non certamente tutte, ma molte di loro sono leziose e feline. Denti bianchi; anima nera.
Il loro cuore nasconde più trucchi che non il macchinario d'un teatro.
Ben disse una di esse: «Quanto diffiderei delle donne se fossi un uomo!» e soggiunse: «e
quanto m'infischierei di loro! ».
Un uomo che s'arrischia nel gioco dell'amore, non vincerà mai la donna in fatto di astuzia:
essa si trova sul terreno proprio.
Del resto, le donne, benchè onestissime, conservano spesso una spiccata tendenza ad essere
impressionabili e mutevoli. Mentono forse? Non oserei dirlo. Dirò piuttosto che hanno delle
convinzioni successive; in modo speciale esse sono finissime diplomatiche, abili nel
raggiungere il loro scopo.
Santa Teresa metteva sull'avviso il suo Provinciale, il padre Graziano, in una lettera del primo
settembre 1582: «Ascoltate, Padre mio! Permettete che vi dia un consiglio: non fidatevi mai
delle donne quando le vedrete piene di vivacità nei loro desideri; perchè il desiderio che
hanno di riuscire le indurrà ad inventare cento cattive ragioni che esse crederanno eccellenti».
Una donna esclamava: «Come sono gonzi gli uomini! Battono un grosso pugno sulla tavola e
dicono: «lo voglio». Noi rispondiamo dolcemente: «oh certo, certo...». Poi noi li conduciamo
dolcemente, con delle giravolte e moine, a fare ciò che vogliamo noi. Il fatto più grazioso è
che non s'accorgono che son essi a ubbidire e noi a comandare! ».
Osservate anche quanta differenza passa fra le lettere d'un uomo e quelle d'una donna!
Un uomo, quando scrive, afferma subito francamente ed imperiosamente i suoi comandi o i
suoi rimproveri, la sua volontà o la sua collera.
Volete invece conoscere il vero motivo per cui una donna scrive una lettera?
In generale, bisogna cercarlo nel P. S. o nel N. B. e proprio alla fine. Quello che precede è
soltanto la sapiente preparazione dei lavori d'approccio.
Diffida, giovane amico, di quelle che, simili alla maga Circe, possiedono il formidabile potere
di cambiare gli uomini in bestie e di farne altrettanti «uomini-maiali!».
S'incontrano un po' dappertutto: al pattinaggio, sul marciapiede, al teatro, nei saloni di lettura,
nel retrobottega dei barbieri, dei tabacchini, negli alberghi vicini alle stazioni, all'università,
alle caserme, negli alloggi ammobigliati o con camere per studenti e soprattutto nei bar dove
gli universitari, già un po' brilli, vogliono bagnare il successo d'un esame.
Diffida di chi può stregarti coi suoi sorrisi, ed anche con le sue lacrime.
È questo un loro stratagemma. Costa tanto poco a loro piangere!
Quando piange un uomo, piange la sua anima. Quando piange una donna, spesso, si bagnano
soltanto gli occhi...
Essa piange (non troppo però per non perdere il belletto) e dopo queste facili lacrime senza
conseguenza, ritorna più fresca di prima, come un praticello dopo una pioggerella.
Senti il parere del dottor Bourget, un profondo psicologo cristiano: « Le relazioni che passano
fra un uomo e una donna, quando questa è graziosa e quello è audace, non sono mai ben
definite. La volontà femminile resta sempre in balìa d'una possibile sorpresa, come la volontà
maschile è sempre alla vigilia d'una brutalità. I sensi mantengono nel loro fondo un oscuro
dominio, in cui le più ferme risoluzioni si piegano e si sciolgono. La familiarità fisica arriva
molto presto».
Non cercare i lunghi colloqui, l'ombra propizia alle confidenze pericolose; l'oscurità purtrop-
po sopprime la soggezione che fortunatamente trattiene molti giovani. Certo questo motivo di
soggezione non è una virtù soprannaturale; ma è preferibile una considerazione d'ordine
naturale piuttosto che niente, ed è conveniente aiutarsi con ogni mezzo, sempre che questo sia
onesto.
Diffida di ciò che gli inglesi chiamano flirt. Il flirt è uno stato di equilibrio instabile, sempre
alla vigilia d'un capitombolo. Ordinariamente finisce in nulla, ma qualche volta la bestia si
sveglia e la collera dell'orgoglio e del senso scoppiano in un tuono.
Flirt, gioco di scherma pericoloso in cui spesso la spada mal protetta... fa piaga.
La giovane voleva soltanto assumere un fare lezioso, tenero e sorridente; ma spesso il compa-
gno prende il gioco sul serio. Allora quali disinganni! Chi ci dà il diritto di scherzare con la
felicità di un'altra anima? Una giovane onesta che avrebbe vergogna di rubare cento lire, non
dovrebbe vergognarsi di rubare il cuore d'un giovane ingenuo?
Diffida non solo della donna, ma anche della fanciulla. Quando l'età cresce, l'affezione
cambia natura.
La giovane che ha ancora i capelli lunghi sulle spalle può essere già esperta nelle smancerie.
Forse conosce già gli artifici della toilette. Ora devi sapere che la moda femminile ha un solo
obiettivo: fare impressione sugli uomini.
Diffida! Se tu avessi la confidenza di molte anime, resteresti sbalordito nel vedere come le
cadute dei giovani presentano lo stesso romanzo che non varia mai.
L'eterna storia d'Adamo e d'Eva!
Essa lo tenta. Gli mostra il frutto proibito, che era «dolce al gusto, gradito alla vista e
desiderabile... ne prese, ne mangiò, ne diede anche ad Adamo che ne mangiò! » (Genesi. 3,6).
Adamo: sei tu. Eva (o figlia di Eva): tu la conosci.
Tu conosci anche «il frutto gradito a vedersi e desiderabile». Lo so.
Tu giovane vai sospirando con una certa posa: «la mia storia è complicata, è un dramma
misterioso, è lungo da raccontare! ».
Ognuna di queste parole è inesatta. Anzitutto non è «tua» la storia che sarebbe lungo
raccontare; ma è la storia di tutti i poveri giovani sciupati: storia identica!
Poi, la storia non è «misteriosa», ma chiara e semplice. Infine, la storia non è «lunga da rac-
contare»; ma e perfino tanto corta che io te la posso dire in due parole.
Tu hai voluto ricominciare l'avventura di Sansone e Dàlila. Sì, una Dàlila di sventura è entrata
nella tua vita e come quella là ti ha «rubato la forza».
Sventurato giovane! Come è lontano da te ora l'entusiasmo, il sacrificio, la lotta per la virtù, i
fieri slanci. Tutto s'è oscurato, per colpa di una disgraziata.
E’ forse amore?
«Oh, libertà! quanti delitti si commettono in tuo nome! ». Vicino a questo celebre detto ben si
potrebbe mettere quest'altro: «Oh, amore, quanti delitti si commettono in tuo nome! ».
Le relazioni colpevoli usurpano ingiustamente il nome di amore, poichè esse sono la caricatu-
ra, la grottesca parodia dell'amore.
Non sono amore - che è una cosa sacra - ma sono un sentimento profano o, piuttosto, profa-
nato. Questa miseria somiglia tanto poco al vero amore quanto somigliano poco alla merce
genuina certi surrogati...
Bisogna, o giovane amico, che t'inchiodi bene in testa questa verità: i rapporti degradanti,
lungi dall'essere vero affetto, sono in realtà basati sul reciproco disprezzo.
Una confessione tanto più preziosa in quanto l'autore non intende far prediche o scrivere per
edificare, la troviamo in un libro del corrotto e corruttore Emil Zola: «I due complici erano
uniti come due cadaveri in preda al puzzo della loro perversione».
Il conte Meuffat, ciambellano di Napoleone III, conduceva una vita disordinata, eppure
«aveva coscienza della propria miseria».
Senti ora Francesco Coppée: «Questi miserabili non potevano farsi illusione sulla loro
ignominia, benchè si dicessero a mezza voce bugiarde parole d'amore. Non si amavano!
Avevano solo ceduto ai sensi e continuavano nella vergogna di riconoscersi tanto vili».
Il De Musset confessa la stessa vergogna: «Non era amore quello che io provavo... Il mio
cuore non c'entrava per nulla» .
E un altro, Alfons Daudet scrive: «Vedendoli si sarebbe detto che si amavano. No! non s'ama-
vano! si conoscevano troppo bene per amarsi! » .
E continua: «Giovanni Gaussin amava davvero? No! Egli sentiva anzi la tentazione di infieri-
re sull'altra, perchè negli amori in cui non c'è nè stima nè rispetto, la brutalità fa sempre
capolino! Fra la passione e l'odio non v'è, spesso, che una sottilissima parete, una foglia di
mica che presto si spezza».
Il grande Pascal l'aveva già notato: «La concupiscenza non è, in fondo, che un odio
zuccherato». E il Bourget, pure profondo e cristiano: «La voluttà quando è soltanto fisica, è
molto vicina ad essere feroce»:
Questa specie di amore-odio viene analizzato da Pierre Loti nel Romanzo d'uno Spahi:
«Tra Giovanni e una negra scoppiavano frequenti scene. Egli aveva cominciato a picchiare
colpi di frusta, non molto forti in principio, più duri in seguito. Sul dorso della poverina i
colpi lasciavano dei segni tratteggiati: nero su nero. L'amava egli? Neppur lui lo sapeva.
La considerava come un essere inferiore, uguale presso a poco al suo cane».
In che modo può somigliare all'amore questo vedere nella donna un cane o peggio?
Ohime! Pierre Loti qui non racconta un romanzo ma la propria vergognosa storia... Dopo di
che, o giovane amico, tu comprendi il titolo di questo capitolo: «È forse amore?
Chi conserva relazioni proibite non ha il diritto di dire: «Io amo». Non si ama, quando «solo i
sensi hanno la febbre». Non si ama veramente una persona quando si nuoce alla sua dignità,
alla sua anima, quando la si spinge alla dannazione.
I giornali riportano spesso il dramma di due sventurati che si annegano legati l'un l'altro, dopo
di essersi detto: «Così noi resteremo sempre insieme, legati indissolubilmente».
Poverini! dicono cosa più vera di quello che non pensino. Si trovano infatti nell'Inferno per
l'eternità «sempre insieme, legati indissolubilmente... ».
Come deve essere terribile per due complici riconoscersi laggiù, nell'altra vita! Quali mutui
rimproveri, che rabbia sputarsi l'un l'altro in faccia la rabbia immortale!
È forse amore una cosa che finisce così nell'odio? Rileggiamo insieme la pagina in cui
Goethe descrive Faust mentre va a cercare Margherita nell'Inferno, la Margherita da lui
rovinata: «Vide la sua complice dentro un carcere di dolori.
Si rivolse allora al diavolo che gli appariva sotto la figura di Mefistofele, il giovane signore
dal farsetto scarlatto, colle frange d'oro, la piuma di gallo sul cappello e la spada al fianco.
Succede un dialogo tra Faust e il diavolo. Faust esprime la sua commozione nel vedere
Margherita all'Inferno: «Conducimi nella sua prigione! Conducimi ti dico!».
Mefistofele: «Ebbene, sì, ti condurrò!». Faust entra: e allora il dialogo inizia fra lui e lei.
Egli vorrebbe condurla via e l'assicura che desidera di starle sempre vicino tanta è la sete che
ha di rivederla. Essa: «Noi ci rivedremo! Ma non al ballo! »
In questa risposta di Margherita, c'è tutto l'orrore dell'Inferno. I molti che sulla terra ballano,
pazzi di gioia e nell'ubriachezza delle sale splendenti, fra qualche anno si rivedranno... «ma
non al ballo! ».
Fidanzamenti
Abbiam parlato della donna perversa.
Ma, ringraziamo Dio; c'è anche la giovane buona. Abbiamo dovuto descrivere l'orribile amore
profanato, il pseudo-amore. Grazie a Dio, c'è anche l'amore vero.
Esso è primaverile e puro. Giovane amico, nel fiorire della tua primavera, mentre s'aprono i
bottoni gonfi di linfa e sbocciano i primi fiori, tu hai sentito che la rosa dell'amore ti profuma
l'anima.
Il tuo cuore ha pulsato più fortemente al passare d'una giovane. Hai detto: « È graziosa. È
buona. Sotto l'occhio di Dio unirò la mia vita alla sua vita».
Il tuo cuore cantò la canzone dell'amore! D'ora innanzi tu ti vuoi conservare per essa. Questo
affetto diventa una custodia. L'amore conserva dagli amori.
Leggiamo insieme il sacro libro dei proverbi: «Metti la tua gioia nella donna della tua giovi-
nezza: Che le sue grazie t'incantino sempre! Sii sempre acceso del suo amore. Perchè andresti
tu da una straniera?» (5,18).
Luigi di Baviera era fidanzato ad Elisabetta, la dolce santa che fece il gentile miracolo delle
rose.
Un tanghero di barone tedesco ebbe il pessimo gusto di offrire al giovane duca non solo
tavola e alloggio, ma anche facili piaceri in cui si sarebbe oscurata la fedeltà della fede
promessa. Luigi esclamò: «Barone! anche se Dio me lo permettesse, il mio amore per
Elisabetta non me lo permetterebbe mai! ».
Così anche tu: pensa alla gentile e pura giovane che domani sarà tua sposa. Come sarai fiero e
ricompensato delle tue lotte se tu un giorno potrai giurarle, gli occhi negli occhi, che essa ha
le primizie del tuo cuore.
Mozart all'età di venticinque anni scriveva ad un amico: « La natura parla in me con voce alta
e forse con maggiore forza che non in qualche villanzone grande e grosso. Tuttavia non posso
regolare la mia condotta su quella di molti giovani della mia età. Da un lato, ho lo spirito
troppo sinceramente religioso; ho troppa onestà, troppo amore per il prossimo, per risolvermi
ad ingannare qualche innocente creatura. Da un altro lato, la salute mi è troppo preziosa
perchè io mi esponga al rischio di rapporti equivoci. Così io posso giurare davanti a Dio che
fino a oggi, non ho da rimproverarmi alcuna debolezza».
Lacordaire, nelle sue celebri Conferenze di Notre-Dame per eccitare i giovani alla generosità,
ricorda loro questa commovente trinità femminile: la madre, la sorella, la fidanzata. «Fra tua
madre e tua sorella, fra i tuoi antenati e i tuoi posteri, esiste al mondo una debole e dolce
creatura che Iddio t'ha destinata... Ah! conservale il tuo cuore, come essa ti conserva il suo:
deh, non vivere in modo da doverle portare un mucchio di rovine in cambio della sua fiorente
giovinezza!
Sii casto, sii puro, o amico! conserva, in una carne fragile, l'onore dell'anima tua... Sii puro,
per amare a lungo ed essere amato sempre! ».
Finisco con le parole che il Padre Fonssagrives, uno che se ne intende per studio e per espe-
rienza, scrive nel suo libro Education de la pureté: «Durante il mio ministero sacerdotale,
ormai molto lungo, non ho conosciuto un solo giovane il quale avendo impegnata la propria
fede, (fidanzamento vien appunto da fede) non abbia trovato nel ricordo della fidanzata la
forza per conservare la sua purezza».
Scegli bene
Studia il carattere di colei che vuoi fare tua sposa. Il matrimonio è un affare che si tratta fra
due e per tutta la vita. È, questa, una verità che La Palisse avrebbe trovato da solo! Eppure è
sempre opportuno ricordarla.
Gli sposi, dice spiritosamente Daudet ne L'immortel, sono spessissimo un servizio «spaiato».
La tua «dolce» non è forse una «furia»? Certi mariti s'accorgono con meraviglia d'aver
sposato una tempesta, ed il signor Pailleron ha ragione quando così caratterizza certi
matrimoni: «Parolone prima, paroline durante, parolacce dopo! ».
E sempre valida l'osservazione di Taine in Graindorge: «Certi sposi si studiano tre settimane;
s'amano tre mesi; litigano per tre anni; si tollerano per trent'anni... e i figli, a for volta, inco-
minciano da capo! ».
Leggiamo invece il piissimo san Francesco di Sales: «Quando la promessa matrimoniale è
fatta non c'è più tempo di pentirsi. Il matrimonio è una specie di ordine o congregazione in
cui bisogna fare i voti prima del noviziato. Se ci fosse un anno di prova, come è richiesto per
la professione religiosa, pochi farebbero i voti».
Non scegliere la tua futura sposa fra le giovani poco serie. Purtroppo il loro giudizio è ancor
più corto della loro veste e in testa hanno meno idee che stoffa sulle braccia.
I loro sentimenti sono d'un tessuto poco solido, come la seta trasparente delle loro calze a tela
di ragno.
Queste piccoline diventano grandi soltanto per i tacchi e preziose soltanto per gli anelli.
Il loro cervello non è una campana capace di dare il suono bello e grave della riflessione; ma
un campanellino in cui tintinna solo il folle battaglio della vanità e del piacere.
Ninnoli: 100. Pensieri: 0.
Questi esseri leggeri sono tutto ciò che si vuole: farfalle, uccelli, mosche... ma donne, no,
questo poi no! Non sposare una giovane senza religione.
Il peggior matrimonio è questo: avere una sposa con un'anima senza religione.
Se vuoi che il tuo amore duri, mettici dentro un poco di elemento divino.
Imita gli sposi di Cana: invita Gesù alle tue nozze.
Altri purtroppo invitano Bacco. Poi pagheranno.
Nelle famiglie senza religione, due vite paiono unite, invece sono due parallele. Parallele:
ricordi la geometria? Due linee che, anche condotte all'infinito, non s'incontrano mai...
Fra questi due sposi che in pubblico continuano a tenersi sotto braccio, il divorzio delle anime
è una cosa avvenuta già da molto tempo. Un crepaccio cupo e profondo divide queste due esi-
stenze come, nelle Alpi, un crepaccio di 100 metri separa due ghiacciai i cui bordi, apparente-
mente, sembrano toccarsi. Il signore e la signora sono questi due ghiacciai. Sono tanto vicini
e tanto lontani l'uno dall'altra!
Cielo! quanta tristezza dietro le belle facciate! A tavola, davanti agli invitati si sorridono. In
camera, si graffiano. E quando tutta la vita è un graffiarsi?
La psicologia maschile e femminile non s'incontrano sul medesimo terreno riguardo alla
questione della scelta. Il concetto è doppio e la tendenza divergente. Certe attrattive che
ispirano all'uomo grande passione non sono comprese dalla donna e viceversa.
In realtà, ogni sesso domanda all'altro ciò che gli manca; domanda cioè il suo angolo comple-
mentare. La giovane cerca soprattutto nel marito ciò che non ha: la forza.
L'uomo cerca soprattutto nella sposa ciò di cui è in generale sprovvisto: la grazia.
In generale l'uomo è soprattutto sensibile alla bellezza, in generale, ma non esclusivamente.
Ciò è legittimo. È cioè normale che egli cerchi quell'avvenenza in colei che deve sposare, ma
non consideri unicamente quella!
Verso i quarant'anni, o più presto ancora, questo «filo delicato» della grazia si perde ed allora
restano solo le qualità serie.
Una primavera eterna! La cantiamo sempre, ma non la troviamo mai!
Un giorno il suo specchio l'avvertirà che invecchia. Sa ella che cosa è uno specchio?
Fino a trent'anni, «un consigliere delle grazie»; dai trenta ai cinquanta, «un giudice severo»;
dai cinquanta in su: «un testimone desolato!».
Che per lo meno allora essa possa, vedendo la sua anima rispecchiata, comprendere: fui una
bambola o una donna? Ho saputo esser madre? Ho voluto esser madre?
Quando un giovane pensa ad ammogliarsi, chi deve scegliere per sua sposa? Una donna.
Non ridete; lo ripeto: una donna. E non è inutile ripeterlo e richiamarlo alla memoria, perchè
oggi in genere non si vuole sposare una donna, ma bensì dei blasoni nobiliari o delle
casseforti. Il matrimonio non dev'essere un'addizione di doti, ma un'unione di cuori.
Era molto moderna la giovane, che a chi le dichiarava: «io ho per voi molto interesse» rispose
con un giochetto di parole: «spero che non soltanto abbiate per me dell'interesse, ma anche
del capitale! ». Ohimè! il denaro non è sinonimo di felicità! Se la gente potesse parlare...
D'altra parte, però, la prudenza comanda di prevedere l'avvenire ragionevolmente e d'esami-
nare se il patrimonio della tua fidanzata, unito al tuo, permetta di vivere e di mantenere i
figlioli. A vent'anni, i giovani vanno gorgheggiando il motto inglese: «Il tuo cuore è una
capanna! ». Bella canzone, mio grazioso ricciutello; ma soltanto una canzone!
Nella cruda realtà delle cose, tutto ciò è sopportabile (per qualche tempo) solo se l'inverno
non è molto freddo e se non piove dentro la capanna. Perchè l'amore intirizzito o l'amore
bagnato fa pietà e un mandolino consola poco quando son gelate le dita e l'acqua gocciola dal
tetto. L'amore, checchè si dica, non si trova bene in una capanna, quando gli uscieri battono
alla porta, e i creditori vengono a far scenate...
Dopo la scelta
Il tuo cuore ha dunque scelto. Dillo ai tuoi genitori. Perchè dovresti loro nasconderlo?
Anch'essi passarono per la strada per cui tu stai per passare e ascolteranno con tenerezza le
tue confidenze e ti consiglieranno. Non prolungare troppo il fidanzamento. Durante questo
periodo, ama la tua «promessa sposa» con sincerità, con correttezza.
Con sincerità: se Dio ha fatto del matrimonio uno dei sette Sacramenti, ha anche voluto quel
preludio al matrimonio che si chiama fidanzamento e durante il fidanzamento ha voluto
l'amore. Queste cose sono concatenate logicamente.
Ama dunque la tua fidanzata con tutta la tua anima.
Con correttezza: i promessi sposi possono darsi le prove normali d'affetto.
Si deve fissare questa regola: devono agire come agirebbero se fossero veduti?
No, perchè i sentimenti delicati sono talmente intimi che non potrebbero manifestarsi davanti
alle persone.
La regola invece potrebbe essere quella stessa che abbiamo indicato a suo tempo per il ballo:
farò soltanto ciò che io permetterei più tardi a mio figlio, in simili circostanze. Oppure: farò
ciò di cui, quando la mia fidanzata sarà divenuta mia moglie, non dovrò arrossire davanti a
lei. Anche prescindendo, per ora, da ogni considerazione religiosa, mettendosi dal solo punto
di vista della stima reciproca, i promessi sposi guadagnano sempre ad usare un contegno
corretto. Guai a coloro che si conobbero da principio nella colpa. Resta fra di loro, per tutta la
vita, come uno schermo oscuro: il rispetto resta oscurato.
È finita. Uno ha conosciuto l'altro vile e spregevole. Solo con l'anima è possibile amare.
Chi manca così non manca soltanto contro la religione, ma contro l'amore!
Si, contro l'amore, che resta sconciamente sabotato.
Tu vorresti protestare: «c'è ancora amore! ». No: è piuttosto concupiscenza.
In ogni caso è amore sforzato, avvilito.
Un frutto mezzo rosicchiato, è sempre un frutto, ma un frutto bacato.
Certe fidanzate credono di affezionarsi di più il fidanzato, concedendo ciò che è vietato.
Imprudenti! Spesso restano punite dall'abbandono del giovane, cui il matrimonio non serba
più alcuna novità, ma si prospetta solo più come il peso di una catena indissolubile.
I giovani anche leggeri non hanno stima delle giovani leggere. Essi dicono: Le giovani,
spaventate dalla paura di restare nubili, s'immaginano che noi domanderemo loro la mano
perchè hanno per noi compiacenze esagerate. Quale errore! Noi distinguiamo molto bene fra
la danzatrice e la giovane che vogliamo fare nostra moglie e la madre dei nostri futuri figli!
Le giovani a for volta, credono, e con ragione, che un giovanotto libertino offra poche
garanzie serie per l'avvenire.
Almeno cosi pensano le giovani in generale ... Certe altre seguono il pregiudizio che bisogna
scegliere per marito un giovane che ha già scosso il giogo dei parenti.
Signorina, con il dare questa preferenza alla cattiva condotta, non operate da cristiana.
Non operate neppure da prudente, come il preferire un giovane dal cuore e, forse, dal corpo
contaminato.
Mostrate d'aver dei gusti molto facili e di possedere poca fierezza, se vi accontentate dei resti.
Siete anche abbastanza stupidina, se pensate che bisogna essere stati cattivi per esser buoni!
Come se la miglior garanzia della virtù fosse il vizio. Diffidate, invece: chi ha gustato il frutto
proibito prima del matrimonio, sarà tentato di farlo anche dopo.
LA SCONFITTA
La sconfitta! Parola amara! Come brucia le labbra!
Nella grande guerra del 1915-18, per non conoscerla, noi alleati contro i Tedeschi invasori,
abbiamo combattuto quattro anni!
Durante quattro anni, abbiamo dato il sangue delle nostre vene, e i nostri più bei giovani.
Lo abbiamo fatto per conservare la nostra indipendenza.
Ora il giovane dominato dal vizio impuro ha perduto la sua indipendenza. È la sconfitta!
Parola amara! Che brucia le labbra!
Al principio della guerra, vidi dei giovani belgi condotti fra le baionette tedesche. Se vivessi
cent'anni (il che sarebbe deplorevole ... ) mi ricorderei ancora l'espressione dei loro volti.
Straziante umiliazione!
Eppure quei giovani non avevano niente per cui arrossire; anzi avevano il diritto di tener alta
la fronte! Invece il vinto dalla passione deve arrossire e camminare con la fronte bassa.
Ha ceduto le armi per viltà, e al più sprezzabile dei vincitori, a quel demonio che Nostro
Signore, nel Vangelo, chiama «omicida fin da principio».
Un soldato delle vicinanze di Namur mi raccontava come era stato preso il suo «forte». I ne-
mici avevano fatto uscire i Belgi e lì, davanti ai loro occhi, avevano spezzati i loro fucili sulle
rotaie del tram che passava vicino.
Il soldato, con un lampo di vendetta negli occhi, gridava: «Che rabbia, quando si vede il
nemico che spezza così i nostri fucili! Voi non siete soldati e non potete capire queste cose! ».
Di nuovo: l'umiliazione per questo soldato era stata puramente materiale, ma non realmente
infamante, perchè non era stata meritata.
Il vinto dal vizio, invece, ha una sconfitta infamante e meritata.
È cosa dura esser schiavo in mano al nemico. Anche il vizio è una schiavitù.
Spesso gli schiavi del vizio impuro, con lacrime d'impotenza e di vergogna, vengono a dirci:
«È terribile questa tirannia dell'abitudine! Come ci tiene legati dispoticamente! ».
Nessun carceriere custodisce il prigioniero tanto strettamente e severamente come il vizio
custodisce le sue vittime!
Il greco Pericle, parlando dei giovani caduti in battaglia, diceva: «l'anno ha perduto la sua pri-
mavera! ». Quanto è più vera questa esclamazione applicata al significato morale!
Quando l'impurità è venuta a rovinare una razza, davvero «l'anno ha perduto la sua prima-
vera!». Nel libro del Bureau L'indisciplin des moeurs leggo: «ogni giorno si fa una grande
carneficina di giovani».
Queste parole furono forse scritte durante la guerra, col pensiero volto ai giovani caduti in
battaglia? No; alludeva alla carneficina morale dei giovani, nei quali l'impurità ha tutto
distrutto. Ripetiamo accoratamente:
«Una grande carneficina... l'anno ha perduto la sua primavera! ».
Vedo il giovane corrotto che sperpera i suoi begli anni, come un pazzo che volontariamente
getta in mare, ad una ad una, le sue monete d'oro. Quale scadimento!
Lacordaire di questi giovani disse con frase audace: «L'anima si materializza» e Vinet, con
frase ancor più audace: «L'anima degli impuri va tutta in carne».
«Alle volte, dice il Janvière, l'anima, passata giù nei sensi, finisce per cadere in una specie di
paralisi che somiglia all'imbecillità».
Questo fenomeno viene da tutti notato. Ascoltate quel grande conoscitore di giovani che fu il
Sertillages: «Con l'impurità diminuisce l'attitudine al lavoro e sottentra l'impotenza senile
perfino nella giovinezza. La vita è discesa dalla testa ai sensi ... Il vizio smussa la punta
dell'intelligenza, spegne il gusto delle cose dello spirito, rende l'uomo inadatto a quello sforzo
di raccoglimento e di attenzione che è richiesto da chi vuol occuparsi di cose serie. Non è
possibile condurre a pari passo la vita dei sensi e la vita dello spirito».
Avete mai veduto un'aquila in gabbia? La grande regina dell'azzurro diventa tanto melan-
conica dietro quelle sbarre! Più triste ancora è la condizione dell'anima, schiava nella sua
gabbia carnale. La volontà è colpita gravemente nel giovane impuro, il quale per ciò stesso
diventa un debole: cede sempre.
Osservate il circolo vizioso: perchè ha ceduto, la volontà s'è indebolita, e perchè la volontà s'è
indebolita, cede!
La memoria sensibile ha un suo organo: il cervello. Ma l'eccesso del vizio scuote il sistema
nervoso e quindi porta sul cervello e sulla memoria un rovinoso contraccolpo.
E il cuore? Lo sventurato impuro non ne ha più. « L'impurità, dice il profeta Osea, porta via il
cuore», perché il vizio ne ha erose le fibre vive.
Nessuno più di Lacordaire, l'apostolo dei giovani, l'ha detto con maggiore competenza: «Du-
rante la vita ho veduto molti giovani e per questo vi dichiaro altamente: non ho mai incontrato
anime amanti all'infuori delle anime che ignorano il male, o che lottano contro il male! ».
Molte madri vengono a piangere con noi educatori: «Mio figlio era tanto affettuoso, tanto
buono verso i fratelli e le sorelle. Il nostro sguardo materno si tuffava nei suoi occhi ed
arrivava sino al fondo, sino all'anima, ma ora si direbbe che ha un suo dominio riservato in
cui neppur la madre, anzi soprattutto essa, non può penetrare. È duro! Ma che cosa ha
dunque?». Povera madre, che cosa ha? Ha il grande male che colpisce molti giovani!
L'impurità è la grande ladra dei cuori. Non lo commuove più il pensiero di far incanutire i
capelli del padre e di riempire di lacrime gli occhi della madre, perchè non li ama più. Il
giglio dei santi affetti non cresce nel terreno in cui una malsana vegetazione assorbe il succo e
voracemente l'asciuga.
Questo egoista può arrivare al punto di non desiderare il matrimonio. I vergognosi piaceri
della colpa solitaria gli bastano. Se resta celibe non c'è da sbagliarsi: non è per motivo d'un
ideale superiore, no, ma perchè è completamente sazio e frustrato.
Non soltanto il giovane vizioso cessa d'essere affettuoso, ma può qualche volta diventare
positivamente crudele. Impurità e crudeltà, segrete parentele!
Ci vogliono emozioni bestiali via via più forti, finchè arrivano al sangue.
A Roma, il circo in cui si uccideva e le case in cui si straviziava erano vicinissime.
Quando l'orgia è regina, il delitto è re.
Dice Luigi Veuillot: «Il vizio conduce all'ospedale... ma attraverso quali strade! ».
Il vizio è triste
Lo è per la sua stessa natura. Eccone il motivo: «Il vizioso domanda al piacere di rispondere,
non ai bisogni limitati degli organi, come le bestie, ma alla sete infinita del suo cuore».
Se il vizioso dà tutto, è perchè vuol ricevere tutto; cioè, a misura che egli si abbandona di più
alla passione, pretende una porzione sempre più grande di piacere, fino all'infinito...
Ma, fatalmente, la passione offre una porzione via via più piccola, man mano che viene spre-
muta.
Poichè, mentre l'idea scava sempre più a fondo l'abisso inscrutabile del nostro cuore, gli
organi corporei, al contrario, poichè sono materiali, vanno soggetti, come ogni materia, a
ritrovarsi limitati e consumati. Essi diventano presto sazi; la loro attività si degrada,
specialmente quando il vizio li sottopone ad un sovraccarico e a uno squilibrio. Così il piacere
poco a poco si spegne. Ed ecco pertanto come il vizioso rimane preso nel suo stesso tranello.
Sente in sè crescere la fame, man mano che la sua preda diminuisce; fatalmente fra la realtà e
il suo sogno la distanza, invece di diminuire, aumenta sempre più.
Orbene, nell'uomo la misura della propria tristezza viene appunto da questo: dal sentire
l'enorme distanza fra sogno e realtà.
Le debolezze della carne non sono la felicità, ma la brevissima illusione della felicità.
L'ubriacatura è tanto rapida, che il piacere consiste più nei momenti che precedono che non
nel lampo della stessa soddisfazione, che si può chiamare «una breve epilessia».
Dopo, ed immediatamente dopo, tien dietro la noia giallastra, perchè la colpa è essenzialmen-
te fastidiosa e monotona. È il disprezzo di se stessi!
Infine vengono i rimorsi. «Dunque è tutto qui? Ho di nuovo ceduto!... E fatto!... Che stupida
felicità... e che cosa mi resta adesso? Una depressione fisica e morale».
In me c'è il mercato dell'inganno, che ricomincia cento volte.
Sono scontento degli altri, perchè non sono contento di me. Tutto finisce nel rammarico!
La colpa deve produrre per forza la tristezza, perchè, dice san Tommaso d'Aquino, «un essere
collocato fuori del proprio ordine soffre sempre».
Il vizioso è un irregolare che si è messo volontariamente fuori dell'ordine. È un fuori del suo
asse, un senza bussola!
Giovane amico, faccio a te questa domanda, alla quale vorrei che rispondessi con la lealtà
della tua anima: il peccato impuro rende felici?
L'indomani del peccato è melanconico, e io ti posso citare varie testimonianze non sospette:
Gabriele d'Annunzio: «La tristezza si trova al fondo del piacere, come, alla foce di tutti i
fiumi, si trova l'acqua amara».
Scrive il Baumann: « Daniele Rovère, dopo la debolezza, si sarebbe vomitato da se stesso, per
il disgusto».
La peccatrice Taide lo riconosce! «Non ho trovato la felicità, ed ecco che sono stanca d'una
stanchezza infinita».
Quando si è convinti di questo, bisogna prendere una risoluzione per l'avvenire, perchè allora
si giudica rettamente e non già come quando si è travagliati dallo sregolato appetito.
Ed un'altra eroina del medesimo genere, nei Racconti in prosa di Francois Coppée, confessa:
«Ho appena ventisette anni, ma se sapeste come è vecchio il mio cuore! ».
Pietro Loti, dopo aver raccontato la vita sregolata che conduce a Costantinopoli, conclude:
«Ho gustato un poco di tutti i piaceri e, non ostante la mia giovinezza fisica, mi sento molto
vecchio!».
Quanti giovani sono «immusoniti piccoli vecchioni! ». E noi indoviniamo il perchè!
Ma osserviamo la cosa un po' più da vicino: quaggiù tutti cercano la medesima cosa; il santo
ed il peccatore, benchè per vie differenti, mirano ad uno scopo identico: la felicità.
Chi dei due la trova? La virtù è ricompensata, non solo nell'altra vita, ciò che è evidente, ma
persino quaggiù essa procura quella pace che il mondo non può né dare né togliere. La santa
allegrezza è sorella della santa innocenza.
La colpa invece è punita non solo nell'altra vita, il che è evidente, ma persino quaggiù. Il
peccato lascia nella bocca il sapore cattivo ed amaro del rimorso.
Coloro che fanno violenza a se stessi, per evitare il male, sono i più furbi e i più sicuri
d'incontrare la gioia sui loro passi.
Gesù l'ha predetto: «Colui che, per una falsa furbizia, vuol salvare il suo interesse, lo perde;
colui che lo perde, in realtà lo guadagna».
Abbiamo qui la divina sentenza che pare un bisticcio: «Chi perde guadagna!».
Al tirar dei conti, Monsignor Baumard ha ragione: «Noi conserviamo soltanto quello che
doniamo, cioè quello che doniamo a Dio per generosità».
Dopo una vittoria riportata su di noi stessi, l'anima diventa leggera, e la fanfara della gioia
suona nel cuore allargato!
Dopo un'orgia si ha la bocca impastata e nel cuore un cupo odio verso quei violenti piaceri da
cui si esce come indolenziti. Mettiti una mano sul cuore e, se puoi, osa dire che questo non è
vero. La virtù costa fatica soltanto in principio. Faticoso l'entrare, bello l'uscire.
Per l'impurità, invece, è tutto il contrario: bello l'entrare, brutto l'uscire!
La colpa entra nell'anima per la porta della felicità ed esce per la porta della tristezza.
Le rose del vizio nascondono male la morte. Come si usava a Roma nel «supplizio dei fiori:
coloro che, senza saperlo, dovevano morire, venivano invitati ad una festa.
Il banchetto era splendido. All'improvviso, dal soffitto, il grande velo di porpora s'apriva nel
mezzo e lasciava cadere una pioggia, fine fine, profumata e poetica, di rose e di verbene.
Sul principio, i convitati si sentivano rapiti e cantavano magnificando la sontuosità della
festa.
Ma, poichè la pioggia continuava a cadere implacabile, un'ombra d'inquietudine cominciava
ad oscurare i loro volti.
Decisamente - esclamavano - sono troppi i fiori, troppi i profumi... E alla fine spiravano,
ubriacati da tanti odori, e sopra di loro si stendeva come un lenzuolo composto dalla fiorita di
verbene e la valanga di quelle rose che erano diventate le rose della morte.
Così, esattamente cosi, accade nel vizio impuro. Anch'esso ci invita ad un brillante banchetto
dove potremo bere nella coppa del piacere un vino che dà alla testa; mordere ingordamente i
frutti proibiti e per questo stesso tentatori. Anch'esso ci offre profumi e fiori.
E sul principio, come per gli sventurati convitati romani, sembra un incanto. Ma presto tien
dietro l'impressionante inquietudine di subire uno spaventoso languore in quelle passioni che
parevano nascondere tanta soavità! E, infine, si muore.
Non resta altro che l'inguaribile tristezza che lasciano le cose finite e colpevoli.
Quel «supplizio di fiori» ebbe luogo soltanto a Roma?
No, si ripete ogni giorno, ogni volta che un giovane cede al falso profumo dell'impurità.
Non dire: è proprio vero che la gioia finisce con la malinconia? E se io rischiassi di farne
l'esperienza?
Ti rispondo telegraficamente: questa esperienza è stata fatta da più di duemila anni. L'autore
del libro sacro chiamato Ecclesiaste, appunto duemila anni or sono, l'aveva tentata per conto
suo. Ascolta ora in che modo egli, deluso, parla nel suo poema: «Ho detto al mio cuore:
andiamo! Gusta il piacere! Mi procurai cantori e cantatrici, Numerose donne,
Tutto quello che i miei occhi desideravano non l'ho negato loro. Non ho rifiutato al mio cuore
nessuna gioia ... E mi sono accorto che tutto è vanità e soffio di vento». (Eccl, 2,2).
Sant'Agostino, un poco più tardi, cioè millecinquecento anni or sono, fece anche lui l'esperi-
mento, e non per qualche giorno, ma per diciassette anni.
Eccoti ora i suoi risultati, come egli stesso li racconta nelle Confessioni: «Voi, Signore, sapete
che cosa io soffrivo allora! Sciebas quid patiebar. Ero rosicchiato: rodebar!
Quanto ero infelice: quam miser eram! L'abitudine di voler saziare l'insaziabile con-
cupiscenza mi faceva soffrire crudelmente: me excruciabat. Che tormenti e che gemiti erano i
miei: quae tormenta! Una simile vita, era ancora una vita?: talis vita, numquid vita erat?
Un'immensa tristezza riempiva il mio cuore: maestitudo ingens. Signore, avete fatto il nostro
cuore per Voi, ed esso è inquieto, fino a che non si riposi in Voi!: et inquietum est cor
nostrum, donec requiescat in Te!».
È vero. Osservate la lancetta della bussola: è inquieta e quasi folle, finchè non ha trovato il
polo. Così è del nostro povero cuore: si trova sperduto fino a che non sia stabilmente orienta-
to verso il polo divino. Sant'Agostino aveva udito la voce che gli diceva: prendi! leggi!
Egli prese il libro che gli stava vicino e lesse questo passo di san Paolo: «Camminiamo nella
purezza come in pieno giorno; non abbandoniamoci alle orge, all'ubriachezza, alla lussuria ed
all'impurità... ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non abbandoniamoci alla carne in
modo da eccitarne i malvagi desideri» (Rom. 1,3,1,3).
Se poi si tratta non del male commesso da solo, ma di relazioni colpevoli, la cosa è ancora
peggiore, perchè la vergogna resta duplicata. Amori proibiti! Amori di fango!
Non ti lasciar ingannare: i romanzieri e i poeti fanno tutti gli sforzi per filtrare questa
porcheria, ma è inutile: restano sempre amori fangosi!
Basta mescolare un pochino il fondo, perchè il deposito risalga alla superficie.
I giovani, molto giovani, candidi e molto candidi, non riescono a rendersi conto di queste vol-
garità. Hanno letto scene idealizzate dalla poesia e sapete che cosa s'immaginano?
Un sogno azzurro! L'emozione di confidenze dette fra il rossore; un amplesso al chiaro di
luna; una passeggiata sentimentale «tenendosi per il dito mignolo alla moda di Cirano sotto il
balcone di Rossana....».
L'amore colpevole (e noi parliamo ora soltanto di questo) non è questa gentil letteratura!
Spesso accade anche che si pecchi... per denaro! Perchè molte disgraziate cedono? Per i tuoi
begli occhi? Sei ancora ingenuo, biondino mio!
Il vero scopo è il danaro! Sì, molto prosasticamente: il denaro! Amore e denaro!
Il cuore contro il rimborso! L'amore barattato!
Nel caso in cui fossi tu che miri a tradire una giovane perchè è povera, promettendole denaro,
come si può qualificare questa vigliaccheria d'un uomo che abusa dell'altrui miseria, compera
l'amore d'una persona e poi le getta venti euro in compenso della sua virtù?
La vita libertina resterà sempre una vita molto volgare. È seducente da lontano.
È orribile da vicino ... Da vicino!...
Ma facciamo praticamente il bilancio di ciò che portano questi proibiti amori: debiti, prima di
tutto, perchè, disse Beniamino Franklin, «un vizio costa più che mantenere due figliuoli»;
scenate di famiglia; feroci gelosie; terrore di scandali; ricatti; ostinazione vessatoria delle
disgraziate che non vogliono lasciarvi e diventano tanti «uncini»; vendette di chi tutto dice e
porta le prove. Imprudente giocatore! ecco quello che tu rischi su questa carta dell'amore!
Se i giovani sapessero!... E poi i drammi: vetriolo sulla faccia, colpi di rivoltella al petto,
cuori trafitti da pugnali. Perchè? «Chercez la femme!». Cercate la donna! Ebbene? si tratta di
un bianco idillio o di un rosso dramma?
Lasciamo la parola ad un magistrato: «Mentre i romanzieri e i poeti cantano la virtù e la
bellezza dell'amore, i magistrati, ogni giorno, toccano con mano le vergogne, le disperazioni e
i delitti a cui dà luogo. Non c'è nessun'altra passione che faccia tanti disperati, tanti pazzi e
tanti assassini. Non ce n'è alcun'altra che conduca tanti sventurati e tanti colpevoli al cimitero,
al manicomio e al tribunale». (Dott. Louis Proal in Crimes et suicides passionnels).
Inoltre la solidarietà umana è tanto intima, che la cattiva condotta dell'individuo ha sempre un
contraccolpo sulla collettività di cui fa parte. Il vizio è antisociale.
Senti il grande san Metodio, l'evangelizzatore delle Russie: « Le nazioni sono forti nella
proporzione in cui sono caste! ». La decadenza o il progresso delle nazioni dipendono dalla
decadenza o dal progresso della purezza.
Enumerate, se potete, quante volte, nella storia delle relazioni leggere, la giovane è abbando-
nata. Presa per capriccio. Abbandonata per capriccio.
Da ultimo ricordati, o giovane, che la cattiva condotta non è soltanto un dramma a due, ma un
dramma a tre. Il terzo, il figlio, che sarà di lui?
O lo si sopprime con l'aborto, e allora l'affetto, cominciato con un bacio, finisce con un assas-
sinio. O lo si lascerà vivere, ma allora, il povero innocente, sarà sempre screditato, perchè
porterà incollato al suo nome l'appellativo d'illegittimo.
Alle volte i miserabili se ne liberano abbandonando il figlio a qualche Istituto di suore. Ma
deve pesare molto sulla coscienza pensare che in qualche parte del vasto mondo va errando
un fig!io senza padre, un ragazzo abbandonato che vi cerca e che forse vi maledice!
Certi giovani, pieni di vergogna e di disperazione, giungono al punto di desiderare, come vile
soluzione, la morte.
Masticano e rimasticano il rancore di tutte le loro successive cadute.
Gli anni passano e fanno mucchio, e il nodo scorsoio si stringe sempre più.
Eccoli qua, eccoli lì, eccoli là, i vecchioni! Tristemente coperti di sudore freddo, si sforzano
ancora di «divertirsi!».
«Stiamo per morire, vanno balbettando. Viva l'allegria! Approfittiamo della vita! »
Fu detto: il vizio è il più despota dei despoti. Come ci sono i «lavori forzati a vita», così ci
sono «i piaceri forzati a vita»!
Compiangiamo il forzato, il galeotto del piacere! Davvero che si è venduto a un cattivo
padrone! Satana regna ora su quest'anima di voluttuoso.
Dicono che la Russia bolscevica ha eretto una statua a Satana.L'impuro la erige nel suo cuore!
LA VITTORIA
Per riparare la sconfitta
Un vincitore può aver conosciuto momentanei insuccessi. Ma non ha mai consegnate le armi!
Nella lotta per la purezza è molto importante conservare intera la fiducia.
Qual è il più grande pericolo per colui che ha conosciuto le numerose debolezze della carne?
È il pericolo di esclamare: «è troppo tardi!».
Costui fa un ragionamento che è facile indovinare: sono diventato un «consuetudinario» o un
«abitudinario», come dicono i teologi. Ho tentato di rialzarmi e sono ricaduto. Dopo quel
ritiro spirituale, quella confessione, ho resistito per tre settimane, per un mese. Poi il vizio
m'ha riafferrato. Oh! il vizio è forte e quando attanaglia, attanaglia stretto. Ora non ho più
alcun «rimbalzo». Il confessore mi fa coraggio: è il suo mestiere, ma io sento bene che
l'emendazione per me è impossibile.
Amico mio, questo è il «più non posso» che Dante mette in bocca a certe anime scoraggiate
(Purgatorio. 10,3,44-47).
Poco fa tu andavi dicendo: «È impossibile restar puro».
Ora tu vai dicendo: «È impossibile ridiventare puro».
No, no, e no! tante volte no, quante sono le lettere di questo libro!
Noi l'abbiamo già confutata la tua vigliacca obiezione.
Hanno detto che la parola impossibile non è francese.
Diciamo meglio: la parola impossibile non è cristiana.
Dio non ha fatto del rialzarsi dopo il peccato una cosa impossibile!
C'è un proverbio filosofico che puoi comprendere anche tu: se una cosa c'è, questa è la prova
migliore che è possibile! Orbene: questa prova che è possibile rialzarsi moralmente c'è; e se
non credi leggi le Confessioni di Sant'Agostino!
Quanti si sono liberati dalle loro miserie, alle volte dalle loro orribili miserie e si son rifatti
un'anima bella! In questa terra stanno insieme due categorie di persone: i puri ed i purificati.
Credi forse d'essere il primo giovane al mondo a cui capitò una disgrazia? Centinaia e
centinaia di puri vivono ora e non sono sempre stati puri!
Nella Chiesa noi onoriamo i preservati, ma anche i riscattati; i non feriti, ma anche i cicatriz -
zati. Chi vuole, può! Noi possediamo, con la volontà, una forza di rifacimento, di rifusione, di
cui non sospettiamo neppure l'importanza.
La prima virtù dell'ammalato o del vinto è la speranza.
Il dottor Dubois di Berna, ha pubblicato un libro dal titolo Le psiconevrosi, nel quale dimo-
stra che si è fatto troppo abuso delle cure medicinali e si è troppo trascurata la cura psichica,
la quale consiste nell'ispirare la confidenza; la confidenza esercita una funzione
dinamofanica. Non stralunare gli occhi davanti a questa parola nuova; considerane invece il
significato: "dinamogenico" vuol dire: creatore della forza; "dinamofanico" invece: rivelatore
della forza. Ora la fiducia è un rivelatore della forza che c'è in noi, anche se allo stato latente,
cioè nascosto. Tutto il problema consiste nello stuzzicare e svegliare questa forza che è reale,
ma nascosta. Adunque, coraggio!
Senti che cosa osa scrivere Paolo Bourget: «In fatto d'energia noi valiamo quasi quanto
crediamo di valere! ».
Rovesciando la frase possiamo dire: «noi diventiamo realmente impotenti nella misura in cui
ci crediamo impotenti». L'incapacità ci viene addosso per autosuggestione.
Napoleone I che s'intendeva di vittorie, diceva: «La fiducia è metà del trionfo!».
Se questo è vero quando si tratta di vittorie materiali, quando cioè sui campi di battaglia
bisogna fare i conti col numero delle baionette e dei cannoni, quanto più è vero quando si
tratta di vittorie della virtù, poichè queste dipendono unicamente dalla nostra volontà!
L'assioma di Napoleone è stato adottato dal generale Foch (che i francesi chiamavano il Na-
poleone moderno) e colato dentro lo stampo di acciaio d'una equazione: «Vittoria = Volontà».
Stàmpati bene in mente, o amico, questi due principi: Ogni sconfitta rende più facile la
sconfitta seguente. Ogni vittoria rende più facile la vittoria successiva.
Scrive il dottor Hystel di Vienna: «La purezza è difficile; ma cessa d'essere difficile man
mano che viene praticata».
Perchè? Perchè nel mondo morale, come nel mondo fisico domina sempre il principio di
Lavoisier: «Niente si crea, niente si distrugge».
Per questo, anche nel campo della purezza il trionfo non è creato all'improvviso; resta sempre
qualche cosa della precedente debolezza.
Ma, per la stessa legge, ogni vittoria rende più facili le successive.
Fra la tentazione impura e la relativa caduta c'era prima un'associazione d'immagini. Ebbene!
questa saldatura resta spezzata e la dissociazione resta infine ottenuta.
Alla scuola di aviazione quando un pilota ha subìto un incidente nel prendere il volo o nell'at-
terrare, viene costretto a ricominciare immediatamente la stessa manovra. Lo scopo a cui si
mira, consiste nello spezzare fin da principio l'associazione d'immagini che si formerebbe fra
quel dato esercizio e quel dato incidente.
Devi quindi prender nota di questo risultato, così: «oggi ho resistito; domani resisterò».
Tu conservi in questo modo la prova scritta della tua generosità e in te entra, per così dire,
mediante le dita che scrivono la formula precisa, la convinzione d'aver vinto e di poter
vincere.
Così il viaggiatore Stanley, in cerca di Livingstone nell'Africa, quando alla sera si sentiva
moralmente depresso, scriveva: «Lo troverò: lo voglio». Scriveva questo per incoraggiarsi,
per aiutarsi, mediante il processo che lega le parole all'occhio nel leggere e le parole ai
movimenti nello scrivere. (I dotti li chiamano processi verbo-visuali e verbo-motori).
Scrivi anche tu: «Uscirò dalle mie miserie. Lo voglio! ».
Avevi la convinzione della sconfitta; devi sostituirla con la convinzione contraria, quella della
vittoria: devi metterti nella testa questa seconda idea fissa che farà sloggiare la prima.
1a ARMA: la Comunione
O salutaris Hostia! Bella premunt hostilia, da robur!
O Ostia di salvezza! I nemici ci premono, dacci la forza! (Ufficio del Santissimo
Sacramento).
In tempo di guerra bisogna scegliere le armi più forti e non bisogna incaponirsi a voler con-
servare i fucili ad avancarica, o la vecchia artiglieria che tira corto.
E tu, giovane amico, sai bene che nella lotta per la purezza l'arma delle armi è una sola: la
Santa Comunione. Il demonio ti assale? La devozione Eucaristica sarà come un fuoco di
sbarramento che gl'impedirà di venirti vicino.
Vuoi rimanere coraggioso? Ricordati che comunicarsi equivale a incorporare in te il coraggio
nella più alta dose possibile: è un mangiare la forza!
I primi cristiani lo sapevano molto bene!
I persecutori sguinzagliavano contro di loro i leoni del circo romano, ma essi, come altrettanti
«leoni vomitanti fiamme», li affrontavano coraggiosamente.
In grazia di che? in grazia della Comunione fatta al mattino.
Disse il Padre Van Tricht, in una conferenza sull'Eucaristia: «Non siete mai stati colpiti da
quell'incomprensibile spettacolo che offrivano i primi secoli e le prime persecuzioni della
Chiesa? Tutti quei cristiani che andavano alla morte come si va a un gioco?
I tiranni li squarciavano, li attanagliavano, colavano nella loro bocca il piombo liquefatto, li
davano in pasto agli orsi, alle tigri, ai leoni. E quegli uomini, quelle donne, quelle giovinette
non indietreggiavano d'un passo! Come si spiega ciò? In un modo solo: con la santa
Comunione».
Voi pure, giovani amici, dovete combattere non più nell'arena d'un circo, ma nell'arena del
vostro cuore. Anche voi dovete cercare il coraggio nella Comunione.
«Che cosa ha fatto Gesù, continua lo stesso Padre, per rivestire di forza il povero cuore
umano? L'ha attaccato a Sè con la Comunione, in una unione intima, inter-penetrazione di
Dio e dell'uomo».
San Giovanni Grisostomo ci dice: «Nella santa Comunione noi siamo mescolati con Dio!».
Sono molti i mezzi che servono a purificarci e risanarci l'anima, ma uno solo viene prima di
tutti: la Santa Comunione! Perchè? Perchè comunicarsi è come un bere la santità non a un
ruscello derivato, ma alla stessa Sorgente.
Nessuna cosa ha un'efficacia cristianizzatrice più forte di Gesù Cristo in persona!
Comunicarsi è come innestare se stesso sopra Gesù Cristo, è come gettare le radici della pro-
pria piccola vita umana nella grande Vita divina. Guardiamoci bene dal sostituire le devozioni
alla Devozione! Nessun processo chimico può sostituire la vita; non ci sono surrogati del
vivere. Comunicarsi è ricevere la Vita.
Tutte le altre pratiche di pietà, tutti gli altri mezzi per conservare l'innocenza, stanno alla
devozione Eucaristica, come alcuni raggi stanno al sole.
Sarà la gloria di san Pio X l'aver ricondotto la vita cristiana al suo vero principio e l'averne
raddrizzato l'asse che si tentava di deviare. Il grande Pontefice ha fatto questa grande cosa: ha
«centrato» la pietà! Prendete una bilancia: su d'un piatto mettete tutte le buone opere, tutte le
mortificazioni degli eremiti, tutte le preghiere e tutte le opere di apostolato; e sull'altro una
Santa Comunione, una sola fatta santamente. In questo secondo piatto avete messo un peso
infinitamente più grande, perchè avete messo lo stesso Dio!
Apriamo La Filotea, il bel libro di san Francesco di Sales e leggiamo ciò che quest'amabile
scrittore dice: «Comunicatevi spesso e credete a me: le lepri dei nostri monti della Savoia, in
inverno, diventano bianche, perchè vedono e mangiano soltanto neve. A forza di adorare e di
mangiare la bellezza, la bontà e la stessa purezza in questo divino Sacramento, voi diventerete
tutto bello e tutto puro».
Lo so vi viene voglia di ridere su queste lepri «che diventano bianche d'inverno, perchè vedo-
no e mangiano soltanto neve». Sarebbe un assurdo.
Il paragone, alquanto ingenuo, ha però qui un'importanza assolutamente secondaria.
Ciò che importa è l'insegnamento morale.
Il santo continua infatti: «Se i frutti più teneri e più facili a gustarsi, come le ciliegie, le albi-
cocche e le fragole, si conservano facilmente per tutto l'anno quando sono messe dentro lo
zucchero o dentro il miele, non bisogna meravigliarsi se i nostri cuori, benchè deboli e facili a
corrompersi, sono preservati dalla corruzione del peccato quando sono inzuccherati e uniti
con la carne e col sangue incorruttibili del Figlio di Dio!».
La nostra carne nutrita dalla Carne di Gesù sarà purificata e impregnata di verginità.
La Comunione è, per eccellenza, il contravveleno del peccato impuro.
Il vizio animalizza. La Comunione divinizza.
2a ARMA: la Confessione
I soldati mutilati nella guerra erano trasportati all'ambulanza. Collocati alla rinfusa, forma-
vano un mosaico di dolori. Certi petti erano attraversati da una parte all'altra con un bendag-
gio rosso, che faceva pensare a un tragico «gran cordone» della legion d'onore.
Supponete che un medico avesse trovato il magico balsamo capace, in un minuto, di rifare
quelle carni, chiudere quelle orribili ferite, ridare l'integrità delle forze...
Voi m'interrompete gridando: «Che strana supposizione! ».
Non è una supposizione, vi rispondo: è la realtà.
I cuori di mille e mille giovani sono stati feriti gravemente dal peccato. Per guarirli, Dio ha
inventato un rimedio meraviglioso, infallibile: la Confessione.
Il confessionale è l'ambulanza in cui si bendano le nostre ferite, la buona «Croce Rossa» delle
anime... «Ohimè, vi sento sussurrare, non avete niente di più nuovo da proporci? Sempre la
Confessione? Come è vecchio questo rimedio! ».
E vero, ma che importa se il rimedio è buono? Voi dite: « E una cosa che diventa monotona
questo continuare a fermare la febbre col chinino! ». Se non si è trovato di meglio, vi
rispondo, conserviamo il rimedio classico che finora è il migliore.
Per combattere la morte noi mangiamo; per riparare la fatica, noi dormiamo. È molto antico e
molto tradizionale questo doppio rimedio. Ma avrete il coraggio d'abbandonarlo col pretesto
che è una cosa troppo vecchia?
Ugualmente, la Confessione è un rimedio vecchio, perchè risale a 2000 anni fa. Ma è stato
scoperto da un Medico Divino. Questa vecchia cura resta la migliore anche oggi!
Ma, tu dici, io ho peccato gravemente. Bisogna dunque, ti rispondo, che ti disinfetti l'anima!
Bisogna fare così. Finchè tu non hai fatto così, sei lontano da Dio. Se, durante la notte,
morissi all'improvviso, ti sveglieresti nell'Inferno. Nessuna delle tue opere resta meritoria e
quindi sei come colpito da sterilità: hai perduto più d'un milione, più d'un miliardo: hai
perduto l'Infinito, perchè hai perduto Dio e, come figlio diseredato, non hai più nessun diritto
al Cielo: Quanto saresti povero! Mio caro fratello, tu hai solamente «un'anima in brandelli! ».
E se non fosse neppure in brandelli ma fosse morta? Peccato «mortale» vuol proprio dire
questo: una colpa che toglie la Vita divina.
Tu hai un bell'esclamare, magari con fare spavaldo e motteggiatore: «Io morto? ma io canto e
rido! cammino sui marciapiedi e ballo nei salotti! Io sono vivo! ».
In realtà, tu sembri vivo; sei un falso-vivo: «Hai l'aria d'esser vivo, ma sei morto», perchè non
hai più quella Vita della grazia che è la vera Vita!
Non tentare di sfuggire il problema. Orsù, giovane amico, fa' il grande passo! Abbi cinque
minuti di coraggio per gettarti ai piedi d'un Sacerdote.
Arrenditi! confessa di essere un vinto di Dio: da tanto tempo stai combattendo contro la
grazia e stai provando ciò che provava san Paolo: «che è cosa dura ricalcitrare contro lo
sprone» (Atti 9, 5)
Cinque minuti di coraggio e ti sentirai l'anima inondata da una tale pace che non ti conoscerai
più. Ricomincerai la vita di nuovo, con la deliziosa impressione di essere un altro uomo.
Cinque minuti di coraggio e poi (è questa l'esperienza di tutti i penitenti) quale sollievo!
Tolto dal cuore tutto quel peso di peccati, tutte quelle macchie cancellate improvvisamente
dall'anima resa bianca come un ermellino e leggera come un'ala!
Ascolta la parola d'un convertito: «Alla sola idea d'accostarmi al più vicino confessore, mi
sentivo preso da un vero panico ... Dopo fatta la confessione, per la strada io camminavo
leggero leggero e dicevo tra me: Sono perdonato, sì sono perdonato! che felicità! e mi
sembrava d'esser ringiovanito di dieci anni» (Adolf Retté, Dal diavolo a Dio).
Scegli come Direttore chi preferisci. La confidenza non s'impone e nessuno ha il diritto di
importi questo o, quel confessore. Tu sei libero. E cosa sacra questa. Però tu preferirai
certamente il sacerdote che comprende i giovani e che è un suscitatore d'entusiasmo.
Apprezza pure il Direttore molto misericordioso, ma sappi anche apprezzare il Direttore
molto fermo e che è capace d'una direzione attiva.
Non si va a trovare il Direttore per farsi lusingare, come non si va a trovare il medico per farsi
fare una ricetta di caramelle, ma si va a trovarlo perché egli apra il tumore e guarisca le
piaghe. Solo che, perché egli possa guarirle, bisogna mostrargliele.
Al dottore si dice tutto. Al Direttore di' tutto. Non essere muto, non essere monosillabico;
esponi il tuo caso. Il solo fatto di svelare una tentazione è già una mezza guarigione morale. Il
demonio e un serpente il quale non desidera che sia tolta la pietra sotto cui si nasconde, nè
che si faccia la luce.
Non aver paura di domandare consiglio. Va' a trovare il tuo Direttore e a confessarti in
camera, se questo ti è più comodo e se egli accetta, come glielo permette il diritto Canonico
(Can.91 o). Dio unisce luce e grazia a questo atto d'umiltà. Dio ama questa semplicità!
Ma il diavolo ne ha terrore.
Sant'Ignazio ci dà il perchè di questo: «la condotta del demonio è quella d'un seduttore:
domanda il segreto e niente teme tanto quanto l'essere scoperto».
Ma se quest'anima dice tutto a un Confessore illuminato che conosca le truffe e le furbizie del
diavolo, questi ne ha un gran dispiacere; poichè sa che tutta la sua malizia resta impotente, dal
momento che le tentazioni sono scoperte e messe in luce».
I poeti antichi parlavano molto di una fontana chiamata Fontana della Giovinezza.
Cantavano: «I vecchi, quando vi entrano, vi lasciano le rughe e le malattie; ne escono brillanti
di giovinezza, ornati col diadema dei loro vent'anni».
Inutile dire con quanto ardore i vecchi (e specialmente le vecchie) sospirerebbero d'avere la
fontana della giovinezza. Il medico che scoprisse l'elisir capace di ringiovanire o
semplicemente capace d'impedire l'ulteriore vecchiaia, guadagnerebbe milioni e milioni! Ne
avrebbe dei clienti e specialmente delle clienti!
Ma questo medico non si trova. La sorgente della giovinezza non è esistita se non nell'imma-
ginazione dei poeti. O piuttosto no! questa fontana esiste. Ma soltanto nella religione.
Dio ha inventato il bagno salutare della confessione, il bagno del suo proprio sangue. San
Giovanni nella sua prima lettera fa appunto questa precisa affermazione: «Il Sangue di Gesù
Cristo ci lava da ogni peccato» (1,7); e lo stesso dice nell'Apocalisse: «Ci ha lavati dai nostri
peccati nel suo Sangue».
Cosi l'anima che s'era macchiata nella colpa, può ritrovare la freschezza e il primitivo splen-
dore! Ed ecco realizzato il vecchio sogno dell' umanità: ringiovanire!
Il Vangelo ci parla di quella fontana di Bethesda, poco fuori le mura di Gerusalemme, in cui,
a certe ore, lo Spirito discendeva sulle acque. Coloro che allora vi si tuffavano restavano
guariti.
Non bisogna più aspettare certe ore, quando si tratta del Sacramento della Penitenza, chiun-
que si lava, non importa in quale momento, resta salvato.
In pieno secolo XXI c'è un luogo del mondo in cui il miracolo è, secondo l'espressione del
dottor Vergez «stabilito allo stato di permanenza», tanto d'esser diventato un'istituzione:
Lourdes, la Bethesda contemporanea.
E tuttavia l'acqua della piscina non opera sempre e, quando guarisce, (direttamente almeno)
guarisce soltanto i corpi.
La piscina della grazia che si chiama Confessione è doppiamente più meravigliosa: primo,
perchè guarisce le anime; secondo perchè, se l'ammalato è ben disposto, agisce di per sè infal-
libilmente, ex opere operato, come dicono i teologi.
4a ARMA: la preghiera
Credi tu al Vangelo?
Allora medita queste parole: «Questo genere di demoni non si può cacciare se non con la pre-
ghiera e col digiuno». O anche queste altre: «Vegliate e pregate! affinché non cediate alla
tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole! » (Marco 24, 36).
Anche se hai cacciato satana dal tuo cuore con una generosa confessione, non credere che egli
si consideri vinto così presto. Anche qui abbiamo le parole del Maestro: «Quando lo spirito
impuro è uscito da un uomo, va per luoghi aridi in cerca di riposo, e non ne trova. Allora dice:
Ritornerò nella casa da dove sono uscito. E, ritornando, la trova vuota, netta e ornata. Allora
va a prendere altri sette spiriti più cattivi di lui ...».
Non rimanere abbandonato alla tua propria forza, cioè alla tua propria debolezza!
A lato della tua fragilità metti il coefficiente del soccorso che viene dall'alto.
Fa' in modo che i tuoi deficit umani siano riparati dalla supplenza divina!
L'uomo non è altro che una canna. Ma provati un po' a introdurre nel buco di questa canna
una verga d'acciaio e vedrai come la canna partecipa subito alla resistenza dell'acciaio. Così
devi mettere la tua debole natura sotto la custodia della potenza divina.
Inzuppa l'anima tua nella preghiera.
Gli antichi immaginavano che un uomo tuffato nel fiume Stige diventasse invulnerabile.
Omero canta del giovane Achille reso appunto così invulnerabile in tutto il corpo, eccetto che
nel tallone per il quale la madre l'aveva tenuto per tuffarlo.
Favola del paganesimo! Realtà del cristianesimo!
L'uomo tuffato nel fiume della preghiera, resisterà ai colpi del nemico.
Al contrario, chi resta ferito nella lotta per la virtù? l'imprudente che non s'è fortificato col
soccorso dell'alto, che ha trascurato a poco a poco la preghiera, simile al soldato che si
disarmasse lentamente, gettando via le sue armi, una a una.
E perchè il poverino non ha più pregato? Perché non ha compreso che l'uomo è veramente
grande solo quando si mette in ginocchio!
Spesso le colpe d'impurità sono dovute a colpe d'orgoglio.
I filosofi orgogliosi, dice S. Paolo, si sono perduti nei loro pensieri e si sono macchiati con
ogni genere di brutture. Presunzione dello spirito, punita dalla deviazione della carne.
Uno si crede un superuomo! e poi diventa un sotto-uomo, col mettersi al livello delle
soddisfazioni animali.
Pregare durante la tentazione è come un mantenersi in contatto con Dio; è come, durante la
battaglia, restare in comunicazione con il comando centrale per ricevere i rinforzi necessari.
Questi rinforzi, nella lingua dei teologi, si chiamano grazie attuali. Senti l'originale paragone
che fa Luca Miriam: «Mediante le grazie attuali Dio ci manda continuamente rinforzi di
truppe». Pregare è come un agire sulla Causa prima (Dio!) dalla quale tutte le cause seconde
ricevono la loro forza.
Pregare equivale a non restare isolati e mettere al proprio fianco la più alta forza che esista.
Durante la grande guerra, qual era la maggiore preoccupazione delle Nazioni belligeranti?
Non restare sole; farsi degli alleati. Opera nello stesso modo nella lotta per la purezza!
Non restare solo! «Vae soli!», «Guai a chi è solo!»
Fatti, con la preghiera, un incomparabile alleato: Dio!
Però, nota bene, la preghiera non ti dispenserà affatto dalla lotta e dall'azione.
«Bisogna pregare, dice sant'Ignazio, come se tutto dipendesse da Dio, ma bisogna lavorare
come se tutto dipendesse da noi! » Prega e lavora: «Ora et lavora».
Osserva il fenomeno fisico del vapore: il calore si converte in movimento. Così il tuo cuore
riscaldato dall'orazione e provvisto di calorìe divine, passerà generosamente all'opera.
La nostra preghiera dev'essere seria. Non un semplice sbattere delle labbra, un gesto
meccanico che fa passare il rosario, ma uno slancio dell'anima.
Le preghiere sacre che si trovano nei libri, convengono a tutti, solo perchè non convengono
esattamente a nessuno; esse rassomigliano al vero sentimento del cuore, come un fiore di pla-
stica rassomiglia a un fiore naturale.
Si può forse surrogare lo splendore e il profumo d'un fiore?
Se un amico, al primo di gennaio, o al giorno della mia festa, venisse a leggermi un
complimento pescato in un «Manuale dei complimenti» io gli direi: «Amico, chiudi in fretta
quel cattivo libro! dimmi invece qualche cosa che ti viene dal cuore!
Così Iddio preferisce qualche cosa di noi, anche un sentimento del cuore anzichè la recita
delle più belle parole... composte dagli altri.
Però, se tu non riesci a pregare senza l'aiuto d'un testo preciso o d'una orazione vocale, biso-
gna certamente ricorrere a questi mezzi. E una cosa meno perfetta in se stessa, ma è meglio
questo che niente.
Scegli bene questo libro, questa formula. Non dimenticare che la preghiera più eccellente per
il cristiano è la preghiera-tipo, cioè il Pater, poichè fu composta da Dio stesso. Quando gli fu
chiesto: «Maestro, come bisogna pregare?» rispose: «Voi pregherete così...».
Quando lo reciti, o giovane, sottolinea con il cuore la finale: «e non lasciarci soccombere alla
tentazione, ma liberaci dal male! ».
Psichari, il glorioso convertito nipote di Renan, aveva adottato questa preghiera molto corta:
«Signore, che io sia logico, cioè coerente!». È tutto qui.
Quando uno è cattolico, quando uno ha compreso ciò che è l'amore di Gesù Cristo, ciò che è
il peccato mortale, quando uno crede all'Inferno e al Paradiso, il resto non è altro che un
affare di pura logica, cioè di coerenza.
Non basta conoscere la verità, bisogna viverla intensamente!
Al giudizio finale, il Signore non ci domanderà solo se abbiamo creduto, ma anche se siamo
stati coerenti con la nostra fede. Egli ha detto: «Colui che ha creduto e ha fatto, quegli, e non
altri, sarà salvo», e il suo apostolo san Giacomo ripete lo stesso insegnamento: «Sbarazzatevi
d'ogni immondezza, e da ogni resto di malizia e ricevete con dolcezza la parola che può
salvare le anime vostre» (1,21).
Ma mettetela in pratica questa parola; e non vi limitate ad ascoltarla!
Continua san Giacomo: «Che serve, fratelli miei, se uno dice d'aver la fede ma non ha le
opere? Questa fede può salvarlo? La fede senza le opere è morta ... Tu credi che c'è un Dio
solo? Fai bene, ma anche i demoni lo credono e tremano ... O uomo vano, la fede senza le
opere non vale nulla ... L'uomo è giustificato in virtù delle opere, e non soltanto in virtù della
fede... Come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta»
(2,14-26). Concedetemi dunque, o Signore, d'essere non solo un credente, ma anche un
praticante!
Sursum corda, in alto i cuori! Facciamo in modo che la preghiera c'innalzi sopra le volgarità
umane. Noi abbiamo per innalzarci, due ali: la preghiera e la purezza del cuore.
Sì, questo è l'ardito biplano, che con le due ali ci trasporta più in su delle stelle, tanto alto da
toccare Dio!
Guglielmo Marconi inventò la telegrafia senza fili e la stessa radio. Con la preghiera, noi
comunichiamo ancor più rapidamente e ancor più lontano: non solo da un punto all'altro del
mondo, ma da questo mondo al Paradiso!
Le onde hertziane sono meno meravigliose del mirabile fluido che si chiama preghiera, la
quale resta l'incomparabile filo che lega la terra al Cielo.
6a ARMA: l'idea-forza
«Un'idea, in un uomo somiglia a quella sbarra di ferro che gli scultori mettono nell'interno
delle statue: essa l'impala e la sostiene.
L'idea è come un'armatura interna. Ci vogliono molti principi? No, non e necessario.
Col crescere nell'età, la nostra vita intellettuale, subisce un fenomeno di semplificazione, non
per un impoverirsi, ma per un coordinarsi. Noi riconduciamo tutto ad alcuni principi direttivi.
I genii ebbero in genere pochi principi, ma li ebbero tanto ricchi che tutto il sistema vi restava
energicamente legato e tutti i corollari derivavano logicamente da quei pochi teoremi.
Dio è l'atto unico d'un pensiero, d'un solo pensiero. Egli è quindi al vertice della semplicità,
ma appunto per questo è infinitamente fecondo.
Nel vero scienziato le ricerche che in principio erano soltanto come un mucchio di ghiaia,
vengono alla fine legate e unificate dal forte cemento in un unico blocco.
Allo stesso modo, nel campo morale, bisogna operare la propria sintesi.
I Santi furono spesso gli uomini d'una sola idea, d'una sola massima.
Anche tu, non sovraccaricare la tua vita spirituale! Non sparpagliarti!
I Farisei avevano complicato la vita religiosa, Gesù la semplificò.
I Farisei schiacciavano la buona volontà sotto un mucchio di innumerevoli e minuziose prati-
che. Gesù ricondusse tutto a due grandi principi che sono spirito e vita: «Tutta la Legge,
diceva, e tutti i profeti si riassumono in questi due comandamenti: amate Dio con tutto il
vostro cuore e il prossimo come voi stessi».
Quanta ricchezza di applicazioni pratiche in queste due regole semplicissime e facilissime a
comprendersi!
Sant'Ignazio entra molto bene nello spirito del Vangelo, quando nell'avvertenza, posta prima
degli Esercizi, dichiara: «Il nutrimento spirituale di un'anima deve consistere in alcune verità
sostanziali, ma poco numerose: Non è affatto l'abbondanza del sapere che nutre l'anima e la
rende soddisfatta; bensì il sentimento e il gusto interiore della verità che medita! ».
Non è la varietà di cibi che nutre; tu passi pieno di fame davanti a un magazzino di vivande...
Ma questo passar davanti nutre poco! Il profitto viene dal scegliere un alimento, anche uno
solo, se vuoi, e dall'assimilarlo.
Così cerca di assimilare una sola verità e rinunzia al dilettantismo di voler gustare tutto.
Prendere un po' di tutto si riduce a prendere nulla di tutto.
Questo consiglio è soprattutto utile nei momenti delle forti tentazioni.
Quando la crisi sta infuriando, quando non è più una scaramuccia, ma un grande assalto che il
nemico conduce con colonne serrate, non c'è nè tempo nè modo per moltiplicare le lunghe
considerazioni. No: un solo principio, rapido, decisivo. Quale?
Non lo so! Dipende dagli individui.
Ognuno ha un'idea preferita, un principio che colpisce di più lui, e lui in quel momento lì.
Le idee-forza più salutari saranno in generale quelle contenute nelle verità terribili della reli-
gione.
Sant'Ignazio s'augurava che il puro amore di Dio bastasse a far operare le anime generose.
Eppure, il medesimo santo, conoscendo la debolezza umana si credette in dovere di suggerire
all'uomo tentato il timore.
Ecco le sue parole: « Benchè noi dobbiamo soprattutto desiderare che gli uomini servano
Nostro Signore per motivo di puro amore, dobbiamo tuttavia lodare molto il timore della divi-
na Maestà. Poichè, non solo il timore filiale è cosa pia e santissima, ma perfino il timore
servile, quando l'uomo non sa alzarsi a qualche cosa di meglio e più utile, aiuta molto a uscire
dal peccato mortale e, quando ne è uscito, arriva facilmente al timore filiale che è gradito e
caro a Dio».
Lo stesso santo ci richiama, nel libro degli Esercizi, alcune di queste austere verità:
Nella meditazione sull'Inferno, ecco come si esprime: «Domanderò di provare il sentimento
interiore delle pene che soffrono i dannati, affinché, se le colpe mi facessero dimenticare
l'amore di Dio, almeno il timore delle pene m'aiuti a non cadere in peccato».
Altra grande verità: il Giudizio. «Considererò con attenzione quali saranno i miei pensieri nel
giorno del giudizio... La regola che allora vorrei aver seguita, è quella che seguirò adesso».
L'impurità, questa colpa che ama le tenebre, sarà svelata nel giudizio finale, secondo la profe-
zia di Nostro Signore: «Tutto ciò che è nascosto sarà svelato, tutto ciò che è segreto sarà
conosciuto».
Vuoi tu risparmiarti sia la vergogna del Giudizio che la pena dell'Inferno? Evita il peccato.
Bisogna sempre ritornare a ciò che è il «principio e fondamento» della nostra esistenza:
«L'uomo è nato per lodare, onorare e servire Nostro Signore e, in questo modo, salvarsi l'ani-
ma». Vogliamo agire bene? Domandiamoci quale consiglio noi daremmo a un altro. «Mi
rappresenterò un uomo che non ho mai visto nè conosciuto, e desiderandogli tutta la
perfezione di cui è capace, esaminerò ciò che gli suggerirei di scegliere... poi, dando a me
stesso i medesimi consigli, farò ciò che gli direi di fare».
Adotta il metodo di sant'Ignazio, quando devi scegliere tra la purezza e l'impurità: metti in
due colonne il pro e il contro. Nella colonna del pro puoi mettere il nulla, a meno che tu non
voglia contare per qualche cosa il povero piacere delle passioni, questa corta gioia che
bisognerà deplorare in ogni supposizione, in questo mondo o nell'altro.
Nella colonna del contro nota tutto ciò che perdi: l'amicizia di Dio, la stima degli uomini, la
gioia e forse la fede.
Se tanti giovani si allontanano dalla Chiesa, non dipende dal Credo, ma dai dieci Comanda-
menti di Dio e, più esattamente, dal 6°. E ora gli elementi sono pronti per fare il bilancio:
paragona le due colonne: quella dei vantaggi e quella delle perdite!
Ma, fra tutte le idee-forze, la più impressionante certamente sarà quella della morte.
«Considererò, come se fossi in punto di morte, in che modo e con quale cura vorrei essere
vissuto... e regolandomi su ciò che vorrei aver fatto allora, lo farò fedelmente ora».
Non correre, ti supplico, il formidabile rischio d'una morte impreparata!
Quanti uomini trovati morti nel loro letto, al mattino!
Gesù ci ha preavvisati: «Verrò come un ladro».
Un ladro non è solito, ch'io sappia, mandare un biglietto per avvisare in qual giorno e in quale
ora farà la sua onorata visita. Il Maestro ci avverte con tutta lealtà: «Verrò, anch'io,
all'improvviso come colui che, di notte, rompe il muro per entrare».
Ora terribile, in cui Dio sorprenderà l'impuro e verrà a prendergli, attraverso il muro del cor-
po, l'anima imputridita!
Sia che moriamo all'improvviso o no, in ogni caso, noi moriamo: tu, io, tutti! Quando? Può
essere fra un anno, può essere fra cinquant'anni.
Cinquant'anni, che cosa sono? Domani!... Orbene, quando saremo sul letto di morte, come
vorremmo esser vissuti? Collocàti fra il tempo che finisce e l'eternità che comincia, com-
prenderemo che bisogna pesare l'uno a riguardo dell'altra!
È il grande principio di san Luigi Gonzaga, l'angelico patrono della gioventù: «Quid hoc ad
aetemitatem? Che cosa mi vale questo per l'eternità?».
Era anche questo l'alto punto di vista da cui si mise Tommaso Moro, cancelliere d'Inghilterra,
quando fu minacciato di morte da Enrico VIII, se rifiutava di riconoscerlo come capo della
Chiesa Anglicana. Disse a se stesso così: «Quanti anni posso vivere ancora? Al massimo
vent'anni. E vorrò rischiare l'eternità per questi vent'anni? Se si trattasse di 20.000 anni la
pazzia avrebbe almeno un'apparenza e un pretesto, e tuttavia, anche in questo caso, sarei
sempre un insensato a sacrificare l'eternità per 20.000 anni.
Egli fu ucciso nella Torre di Londra e perdette la vita, per non perdere l'eternità.
Giovane, allettato dalle attrattive della colpa impura, vorrai tu rischiare l'eternità, non per
20.000 anni, ne per 20 anni, ma per 20 minuti (o 20 secondi) di cattiva gioia?
Enrico Bordeaux nel libro Gli occhi che s'aprono, ha scritto questo dialogo impressionante:
«- Voi non avete ancora gli occhi aperti! - Io? protestò Filippo.
- Sì la maggior parte degli uomini aprono gli occhi una volta sola.
- Una volta sola?
- Sì, al momento della morte! ».
Come vedremo chiaro in quel momento! Dacchè mondo è mondo, ci fu un uomo solo che
abbia deplorato nel momento della morte d'essere stato generoso?
Milioni e milioni di uomini invece hanno deplorato di non essere stati generosi.
Ormai tutti arrivano alla stessa conclusione: l'unica cosa veramente soda è la religione! Bi-
sogna far cose che hanno un valore eterno. Tu stesso arriverai a questa conclusione. Tu lo sai.
Perchè vivere ora in una maniera che tu sai già di deplorare alla fine?
La morte rapirà i gingilli umani, tutti i gingilli umani, dalla collana fatta di pezzi di vetro
della donna selvaggia, fino al diadema dell'imperatrice.
Il profeta Isaia enumerava in una sprezzante confusione tutte le frivole cose, che Dio sarebbe
venuto a togliere dalle figlie d'Israele: «L'opulenta capigliatura delle figlie di Sion, i pendagli
delle orecchie, i braccialetti e le sete, i diademi, le catenelle e le cinture, le scatole di profumi,
gli anelli delle dita e del naso, le vesti strascicanti e le ampie tuniche, i ricchi mantelli e i veli
leggieri, e gli specchi, i turbanti, le mantellette... Dio loro porterà via tutti questi tesori, tutti
questi gingilli! » (Isaia 3,16-24).
Ciò che il sacro testo dice per le vanità di genere femminile, accadrà anche, o giovani, per le
vanità di genere maschile. Nel grande momento della morte, tu, o giovane, che conto farai di
certe feste, di certi salotti, di certe discoteche?
E tu, o fanciulla, come giudicherai certe serate e certi abbigliamenti?
8a ARMA: la mortificazione
Tu sei tentato dal corpo; punisciti nel corpo. Lusingare il corpo è lusingare uno schiavo. Si
rivolta. Queste ribellioni devono essere prevenute con l'energica cura della penitenza.
Anzitutto bisogna osservare che il togliere il superfluo non è penitenza, ma temperanza. Non
c'è penitenza se non quando si toglie qualche cosa di ciò che si potrebbe prendere convenien-
temente; in questo senso, più noi arriviamo a togliere, più la penitenza è grande e lodevole,
purchè non arrivi a rovinare le forze e non alteri notevolmente la sanità.
L'Imitazione di Cristo, col suo costante buon senso, ci previene: non è col cedere alla
passione, ma col resistere che si finisce per trionfare.
La malattia di cui siamo preoccupati per ora, cioè l'impurità, non si guarisce coll'omeopatìa,
ma coll'allopatìa, ossia con un rimedio contrario al male. Il vero rimedio è la mortificazione.
Essa è, secondo la geniale espressione di Luca Miriam, amara come il chinino, ma come lui
fortificante.
La mortificazione è la garanzia della purezza, mentre la sensualità ne è il peggior nemico. Nel
giovane immortificato, di fronte allo sforzo che suppone la purezza, si verifica una «inet-
titudine», una incapacità di sacrificarsi. Colui che è reso insipido dai godimenti, soprasaturato
di leccornie e dolciumi, ha un corpo «cattivo conduttore» della rinuncia.
Invece, il giovane severo con se stesso ha un corpo «buon conduttore» del sacrificio.
Questo principio è molto ben compreso da quei giovani che, nei momenti in cui la carne si
ribella, le infliggono qualche dolore, per esempio un pizzicotto, una posizione scomoda.
Altri (e non sono rari) m'hanno confidato che s'erano interdetto il fumare durante tutta la qua-
resima.
Un giovane generoso trova facilmente occasioni per riportar vittoria su se stesso. Per esem-
pio: non difendersi quando lo si potrebbe; sopportare con pazienza le molestie di un fratello,
di una sorella, di un amico, o un rimprovero del padre che lo umilia davanti agli altri; studiare
con speciale diligenza una materia antipatica; astenersi da una lettura preferita; non cedere
alla curiosità; aspettare a bere quando si ha sete; imporsi una privazione a tavola. Questa
privazione, in generale, non deve consistere nella quantità (cosa che sarebbe dannosa nel
periodo della crescita) ma piuttosto nella qualità. Non morrai certo per aver preso una
vivanda poco condita, caffè poco zuccherato, un dolce di meno, l'arancio meno bello, un po'
meno di frutta, ecc.. Ci vuole spesso più padronanza di sè per prendere solamente un poco,
che non per prendere niente del tutto.
Luca Miriam, che conosce a fondo i giovani, suggerisce altre mortificazioni:
«Non lamentarti per le intemperie della stagione; resisti per qualche tempo senza appoggiarti
alla sedia o al banco; tienti ben dritto, studia senza appoggiare i gomiti e reggere la testa,
gioca con molta energia; non perdere la pazienza. Se vuoi andare un poco più in là, recita alla
sera una o due decine del rosario stando in ginocchio con le braccia in croce; bacia la terra
secondo il pio costume dei santi». Prevengo le tue esclamazioni:
- «Oh! là, là! perchè non mi suggerite addirittura il cilicio? Fra poco mi proporrete d'imitare
la vita di san Giovanni della Croce! Andiamo, via, non sono un monaco! Il vostro libro è
rivolto ai giovani e non ai certosini».
- Mio caro giovane, calma il tuo bello sdegno. Dimmi: credi forse che soltanto il monaco e il
certosino siano tenuti a osservare la purezza? Non t'ha colpito, nel leggere la vita dei santi,
che tutti, assolutamente tutti, sono stati severi con se stessi?
San Paolo lo confessa apertamente: «Tratto duramente il mio corpo per tenerlo in servitù». E
altrove: «Porto nelle mie membra le stigmate di Gesù Cristo; compio in me, ciò che manca
alla sua passione e sono crocifisso con Lui! ».
Dopo l'insegnamento dei santi, e d'un santo come Paolo Apostolo, ricorda quello dello stesso
Maestro divino: «Il regno dei cieli soffre violenza, e solo gli energici lo conquistano...
Bisogna portar la propria croce... La strada è stretta... Chi non rinunzia a quanto possiede non
può essere mio discepolo... Se qualcuno vuol venire dietro a me rinunzi a se stesso».
Osserva quella parola: «se stesso». La vera mortificazione deve essere in noi, non deve con-
sistere nel sacrificare la frutta, un dolciume, un po' di denaro; tutto questo è fuori di noi.
Dobbiamo saper immolare noi stessi.
San Gregorio il Grande l'ha detto in modo insuperabile: «Gesù prima disse che dobbiamo
rinunziare alle nostre cose, poi disse che dobbiamo rinunziare a noi stessi. Non è molto
difficile abbadonare i propri beni; è difficilissimo invece abbandonare se stessi. Non è gran
che, lasciare ciò che si ha; è molto invece lasciare ciò che si è».
Ma ora bisogna che ti faccia comprendere una grande verità: Dio non consiglia mai il
negativo per il negativo. Ciò che chiamiamo «mortificazione», in realtà vivifica, cioè porta ad
accrescere la vita. Non cerchiamo il dolore per il dolore, ma lo cerchiamo come mezzo per
ottenere un fine positivo e superiore.
La mortificazione purifica, tonifica l'animo, è un esercizio virile della volontà, costituisce un
atto pratico di fede, d'amor di Dio, una volontaria imitazione di Gesù Cristo. È non soltanto la
contraddizione, ma il contrario, cioè l'opposto di ciò che suggerisce la passione. Dice il Padre
Wuillermet: «La mortificazione non uccide in noi i principi di vita, ma i germi di morte».
Il vile considera la mortificazione come una cosa da fuggire.
Il generoso invece sa quanto la mortificazione allarga e nobilita l'anima.
Egli arriva ad acquistare una tal piega di generosità, che fra due possibilità, sceglie sempre
coraggiosamente la più difficile!
9a ARMA: la modestia
La modestia non è precisamente la purezza, ma ne è la custode e un elemento di difesa.
Il Padre Ledochowscki scrive: « La modestia è la corteccia che protegge il midollo nascosto,
è la custode e la protettrice della purezza».
S. Gregorio Nazianzeno usa un'immagine molto simile: «La modestia protegge la purezza,
come la buccia protegge il frutto».
Non è un caso raro che una cosa accidentale salvi la cosa essenziale!
Non soltanto datti alle opere buone ma, se sei studente, attendi allo studio.
Lo studio è un potente aiuto per osservare la virtù. Mentre i giovani, colpiti dal vizio, perdono
l'affetto allo studio.
Andate un po' a parlare di logaritmi o di greco a chi è stato preso coll'esca impura!
D'altronde è un fatto sicuro: il vizio produce un contraccolpo sulla memoria e sull'intelligen-
za. È fatale!
Michelangelo raccomandava la continenza agli artisti, e diceva: «La pittura è tanto gelosa che
non vuole affatto rivali». Suvvia, amico! ama le caste delizie dello spirito!
Vicino allo studio obbligatorio nelle scuole o nell'Università, metti lo studio personale.
I giovani agitano più idee in dieci minuti, che non ne agitino in tutta una sera quei signori che
io conosco come frequentatori dei ritrovi in cui abita la noia. Beata giovinezza!
Ah! quei cuori di quindici anni! Come traboccano di desideri immensi!
Cuori ingenui e puerili, sotto certi aspetti. Ma cuori tanto profondi e tanto gravi sotto altri
aspetti! Non hanno più l'egoismo del fanciullo, e non hanno ancora i calcoli e le complessità
dell'uomo. In essi zampilla una sorgente che vuole espandersi per il mondo, il più lontano che
sia possibile.
Le sventure che ci affliggono: povertà, ostacoli, rovine, pericoli... a loro servono soltanto per
esaltare il coraggio. Hanno tutta la vita davanti e invece di temere la morte, sono pronti a
sfidarla con un sorriso, purchè sia una morte bella! Adolescenti!
Chi non comprende la vostra anima e segno che non ha mai avuto quindici anni!
La gente non vi conosce: perchè vede che voi qualche volta giocate come piccoli bambini e
non sa che, un minuto dopo, sareste capaci di dare ciò che avete di più caro al mondo, per
amore di Dio e del vostro prossimo!
L'impurità guasta la salute anche in un modo indiretto, con l'agire fortemente sul morale. Essa
porta con sè numerosi inconvenienti psichici. Quali?
Il grande moralista padre Vermeersch ne indica alcuni: «Effetti psicologici frequentissimi
accompagnano o seguono questo vizio: melanconie, ricerca della solitudine e, soprattutto,
nevrastenia».
Padre Gemelli descrive molto bene questa diminuzione morale che l'adolescente prova
davanti ai propri occhi, dopo la colpa. Egli crede che tutti la conoscano; s'immagina che il
padre e la madre quando l'abbracciano stiano per scoprire in lui qualche cosa di nuovo e
leggano, per dir così la verità scritta in fronte».
Consideriamo per un istante il tema delle letture, dal punto di vista tutto speciale che ora ci
preme: la volontà.
Leggi la vita degli uomini energici, dei santi! Tùffati nel loro magnetismo o, come si direbbe
in fisica, nel loro campo d'induzione!
I nostri sforzi personali non bastano sempre per fortificarci il carattere; allora dobbiamo sup-
plire con l'esempio degli altri. Oltre all'auto-suggestione, pratichiamo l'etero-suggestione!
Giovani, ricordatevi due parole profonde: la prima, che il grande Bossuet disse quando termi-
nò l'educazione del principe di Borgogna: «Tutto quello che io ho voluto ottenere è questo:
rendermi inutile! "La seconda, che scrisse il Dupanloup alla fine d'un libro educativo: «Ciò
che il maestro fa è nulla; ciò che fa fare è tutto!".
Ecco la nostra parte di educatori: noi ci sforziamo d'insegnarvi a combattere da voi stessi. Da
voi stessi, capite? poichè presto non vi saremo più vicini per aiutarvi.
Da voi stessi, perchè, al tirar dei conti, ciascuno si salva da sè!
Non sono i vostri educatori che vi salvano. Essi vi indicano la strada, e sono, per così dire,
altrettanti pali indicatori sulla strada che conduce al Cielo. Ma a che serve il miglior palo
indicatore se poi il viaggiatore non ha il coraggio di camminare per quella strada? Il palo
indica, ma non cammina al posto del viaggiatore.
Non vi salvano nè la Vergine Maria, nè i Santi. Essi vi invitano al bene, ma non vi sforzano.
Sono magnifici trascinatori, ma se voi non li volete seguire a che servono?
Non vi salva neppure Dio, perchè «Quel Dio che ti ha creato senza di te, non ti salverà senza
di te» dice Sant'Agostino.
I superiori e i maestri possono raccomandarvi ed anche indicarvi la virtù ma, in fin dei conti,
siete voi che dovete praticarla. Praticate il bene voi stessi!
La virtù non è fuori di noi, ma dentro di noi; non è estrinseca, ma intrinseca. Che cosa vuol
dire?
Vuol dire che per proteggere la purezza non basta limitarsi a prendere delle precauzioni
esterne e sopprimere così le occasioni pericolose. Fare così è seguire un'elementare sapienza.
Ma osservate che noi portiamo dentro di noi la radice della nostra generosità e della nostra
viltà: «Omnia munda mundis» dice san Paolo: «Tutto è puro per coloro che son puri, ma per
coloro che non sono puri niente è puro» (Lettera a Tito 1,15).
Il giovane debole può cadere tanto vivendo nella più pia famiglia come nel più virtuoso
ambiente.
Al contrario un giovane forte può rimanere puro vivendo nel più deleterio ambiente, perché
ha capìto bene i concetti di dovere, di peccato mortale; e ha solide convinzioni sul Paradiso e
sull'Inferno. E sull'amore che Gesù porta alle nostre anime immortali.
Nella vita del padre Ravignan si parla d'una giovane attrice che passò parecchi anni nel teatro
rimanendo pura come un giglio. Collocata per forza delle circostanze in condizioni così poco
favorevoli alla virtù, si era sforzata con la volontà e con la preghiera di non cedere mai alle
tentazioni che l'assediavano e ci riuscì.
Riassumiamo quanto abbiamo detto: la vittoria non consiste nel fatto estrinseco e negativo di
non
essere tentati (questo, purtroppo, è impossibile!), ma nel fatto intrinseco e positivo di
possedere in noi stessi una sorgente di valore cristiano.
Gli eserciti schierati a difesa al di fuori delle mura non serviranno a niente se non c'è all'inter-
no una volontà potente e risoluta di combattere e di trionfare!
Insomma, ogni uomo è, con Dio, l'autore della propria virtù!
Il trionfo
Diceva il generale Foch quando invitava i soldati alla battaglia: «Li vinceremo! ».
Sulla statua del fante che sorge a Metz fu scritto: « Li abbiamo vinti! ».
Anche la storia della tua guerra, contro le passioni deve cominciare così: «Le vincerò! ». E
deve finire così: «Le ho vinte! ». Giorno radioso dei vincitori.
Pensa ai soldati quando tornavano dal fronte: avevano combattuto, avevano sanguinato. Ma
come dimenticavano tutto nell'apoteosi del ritorno e sotto l'uragano delle acclamazioni!
Giovane puro, eroico soldato della purezza, anche tu sei un vincitore! Chi trionfa di se stesso
è più coraggioso di colui che prende d'assalto una trincea.
Dolce adolescente, tanto delicato, come sei stato coraggioso!
Orazio, nella sua arte poetica, enumera i sacrifici che fa fare la speranza d'un trionfo nei
grandi giuochi: «Chi si sforza di raggiungere con la corsa la mèta, oggetto dei suoi desideri,
s'è sottoposto sin da fanciullo a duri sforzi, ha sopportato molte fatiche; ha sopportato il caldo
e il freddo; s'è astenuto dai piaceri e dal vino».
San Paolo riprende quell'immagine e la sviluppa per spingere i concorrenti non d'una corona
mortale ma d'una corona eterna.
«Non lo sapete voi? Nelle corse dello stadio, tutti corrono, ma un solo conquista il premio.
Correte anche voi cosi, per vincere. Chi vuol vincere si astiene da ogni cosa: quelli là per una
corona che marcisce; noi per una corona che non marcisce! » (i Cor. 9,23).
E prosegue: «Non è ch'io abbia già guadagnato il premio o che abbia raggiunta la perfezione,
ma io continuo la mia corsa per sforzarmi di raggiungere il premio, perché anch'io sono stato
conquistato da Cristo Gesù! Per me, fratelli, non penso d'aver già compita la conquista. Una
sola cosa faccio: dimentico ciò che ho fatto e mi protendo tutto intero verso quello che mi
resta da fare, e corro così alla mèta, per guadagnare il premio» (lettera ai Filippesi ,3,13).
Perché sono persuasissimo che i dolori del tempo presente non hanno proporzione con la
gloria che mi aspetta in Cristo Gesù!» (ai Romani 8,18).
Se tu combatti il buon «combattimento per la purezza» questa sarà la conclusione anche per
te, giovane e generoso amico caro!