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Università degli Studi di Lecce

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali


Corso di Laurea Triennale in Fisica
a.a. 2006/2007

Programma sintetico del Corso di

— Tecnologie Fisiche per la Sanità —


(curriculum di Fisica Applicata, III anno - II semestre, 3 CFU, 24 h, tipologia B, SSD Fis/07)

Dott. Giorgio De Nunzio


Dipartimento di Scienza dei Materiali dell'Università di Lecce,
ex Collegio Fiorini, via per Arnesano, 73100 Lecce
(e-mail giorgio.denunzio@unile.it, tel 0832-297545)

________________________________________________________________________________

1. Radioattività: radiazioni ionizzanti e loro rivelazione.


a. Richiami su: Decadimento radioattivo, famiglie radioattive, Legge temporale del decadimento radioattivo,
Statistiche di conteggio, Assorbimento della radiazione.
b. Rivelatori a gas, contatore di Geiger-Muller, plateau e tempo morto.
c. Uso del contatore Geiger-Muller.
d. [LABORATORIO] Uso del contatore Geiger-Muller, statistiche di conteggio, assorbimento della
radiazione.
e. Rivelatori a scintillatore. Tubo fotomoltiplicatore, analizzatore multicanale (MCA).
f. Richiami sui semiconduttori; Rivelatori di radiazioni ionizzanti a semiconduttore
g. Spettri di fotoni.
h. [LABORATORIO] Spettri di sorgenti tramite rivelatore al Si. Efficienza del rivelatore.

2. MATLAB, introduzione e applicazioni in Fisica.


a. Introduzione all'uso di MATLAB
b. Principali comandi; elaborazione delle immagini; programmazione in MATLAB;
c. applicazioni di MATLAB.
d. [LABORATORIO] Esercitazioni pratiche con MATLAB, dalle basi alle applicazioni a problemi di
Fisica per la Sanità, e nell’ambito dell’elaborazione di immagini diagnostiche mediche. Esempi:
simulazione di una sorgente radioattiva e della sua caratterizzazione statistica tramite rivelatore Geiger;
automi cellulari; segmentazione di immagini di diagnostica medica.

________________________________________________________________________________

Prerequisiti: Elementi di radioattività, Interazione radiazione/materia, Produzione di raggi X. Eventualmente


semiconduttori, elementi di analisi d'immagine e programmazione.

1
Sommario

1. Introduzione __________________________________________________________________ 4
2. Radioattività __________________________________________________________________ 4
Generalità sui decadimenti radioattivi_______________________________________________ 4
Particelle _______________________________________________________________________ 5
Famiglie radioattive ______________________________________________________________ 7
(@) Stabilità dei nuclidi___________________________________________________________ 8
Legge temporale dei decadimenti radioattivi (attività, vita media…) _____________________ 9
Richiami di statistica ____________________________________________________________ 10
(@) Approssimazione della dist. Binomiale con una dist. poissoniana_____________________ 10
3. Rivelatori di particelle a gas _____________________________________________________ 12
Principio di funzionamento _______________________________________________________ 12
Grafico ampiezza dell’impulso vs potenziale di alimentazione; tipi di rivelatori e rispettive
regioni di funzionamento_________________________________________________________ 13
4. Il contatore Geiger-Müller ______________________________________________________ 15
Schema di funzionamento ________________________________________________________ 15
Il tempo morto _________________________________________________________________ 17
Il plateau ______________________________________________________________________ 17
Impieghi del rivelatore Geiger-Müller______________________________________________ 18
5. L’assorbimento della radiazione__________________________________________________ 19
Appendice A ___________________________________________________________________ 20
Effetto fotoelettrico ____________________________________________________________ 20
Effetto Compton_______________________________________________________________ 22
Creazione di coppie ____________________________________________________________ 23
Esperienza I-1: Statistiche di conteggio con un rivelatore Geiger-Müller _________________ 24
Esperienza I-2: Assorbimento della radiazione e coefficiente di assorbimento lineare ______ 27
6. Rivelatori a scintillazione _______________________________________________________ 29
Scintillatori (a cristalli) inorganici _________________________________________________ 29
Scintillatori organici ____________________________________________________________ 30
Scintillatori gassosi______________________________________________________________ 31
I tubi fotomoltiplicatori __________________________________________________________ 31
7. Rivelatori a semiconduttore _____________________________________________________ 33
Appendice A: Unità di misura _______________________________________________________ 43
Attività di una sorgente: _________________________________________________________ 43

2
Dose assorbita e dose assorbita efficace _____________________________________________ 43
Bibliografia ______________________________________________________________________ 45

3
1. Introduzione
Il materiale che costituisce questa dispensa è ottenuto per reciproca integrazione di alcuni testi
disponibili in Rete e di materiale didattico più tradizionale. Salvo involontarie omissioni, tutto il
materiale utilizzato è debitamente citato in Bibliografia. La dispensa vuol essere semplicemente una
guida nella lettura del materiale originale, senza la minima volontà di infrangere copyright.

NOTA! Il simbolo (@) accanto al titolo di un paragrafo indica che si tratta di un approfondimento, non
trattato nel Corso né richiesto in sede d’esame.

Il lettore è pregato di comunicarmi imprecisioni o errori eventualmente rinvenuti nel testo.

2. Radioattività
Generalità sui decadimenti radioattivi
Il decadimento radioattivo è un processo spontaneo per il quale alcune specie di nuclei atomici
(isotopi instabili di alcuni elementi chimici) si trasformano in altre (isotopi instabili o stabili degli stessi
o di altri elementi chimici), emettendo radiazioni. Questa trasformazione fa sì che l’atomo tenda a
portarsi in una situazione di maggiore stabilità.
Le radiazioni (particelle o fotoni) emesse vengono rivelate in quanto interagiscono
elettromagneticamente (ionizzano e/o sono cariche) (ricordare la legge di Lorenz! F = qE + q/c v∧B).

Si ponga un campione radioattivo in un contenitore di piombo sufficientemente spesso da fermare le


radiazioni e dotato di un foro di sezione abbastanza piccola da garantire che le radiazioni uscenti da
esso abbiano grosso modo uguale traiettoria rettilinea; la presenza di un campo magnetico ortogonale
alla traiettoria delle radiazioni uscenti permette la loro separazione in base alla carica (forza di
Lorentz).
Le particelle si distinguono anche per la loro capacità penetrante, che viene messa in evidenza con
opportuni schermi. Esistono tre tipi di radiazioni
• α carica positiva +2, poco penetranti (si fermano con un foglio di carta);
• β carica negativa −1, penetranti (per fermarle occorre uno strato di piombo di circa 0.5 cm);
• γ priva di carica, molto penetranti (per fermarle occorre uno strato di piombo di almeno 10 cm).
La capacità penetrante di una particella è dovuta alla sua energia cinetica e alla sua dimensione: la
particella α ha una sezione talmente grande che non le è possibile attraversare un reticolo di atomi.

4
La capacità penetrante è strettamente collegata alla pericolosità per gli esseri viventi (mentre le
particelle α sono fermate dall’epidermide umana e sono quindi poco pericolose se generate
esternamente al corpo, i raggi γ e le particelle β penetrano in profondità e possono causare danni).

Dopo le prime scoperte sulla radioattività naturale ad opera di Henry Becquerel (1896), e i successivi
studi dei coniugi Curie, fu Rutherford che giunse ad una conoscenza più dettagliata del fenomeno e ad
una sua schematizzazione: scoprì infatti che le radiazioni emesse nei processi di decadimento del
nucleo erano di tre tipi, ed evinse che il decadimento radioattivo era un fenomeno regolato da leggi
probabilistiche: ogni nucleo ha una certa probabilità di decadere (per unità di tempo) ma è impossibile
prevedere se un determinato nucleo decadrà oppure no (oppure quale nucleo decadrà) in un certo
intervallo di tempo.

Particelle

Lo schema seguente mostra i costituenti principali dell’atomo, e distingue nuclidi stabili e instabili.

5
* Il neutrino fu postulato da W. Pauli (1931) perché la conservazione dell’energia nei decadimenti β− poteva
essere rispettata se una particella subatomica di massa e carica nulle partecipava al processo. Il nome neutrino fu
dato da Fermi. La particella fu scoperta del 1956.

Terminologia utile:

• numero atomico Z = numero di protoni nel nucleo


_

• numero di massa A = numero totale di nucleoni (protoni + neutroni)


_

• numero di neutroni N = (A−Z)


_

• gli isotopi sono i nuclidi con uguale numero atomico ma diverso numero di massa.
• gli isomeri sono nuclidi in uno stato eccitato, i quali, emettendo un γ (decadimento γ o transizione
isomera), si trasformano nel corrispondente nucleo nello stato fondamentale.
• Relazione di Einstein tra massa ed energia E = mc2. In base a questa relazione si suole esprimere la
massa in unità energetiche, tipicamente in MeV (milioni di elettron-Volt)
• L’unità si massa atomica è definita da una media delle masse di alcuni isotopi dell’Ossigeno. Per ragioni
storiche non c’è uniformità tra le unità utilizzate dai chimici e quelle usate dai fisici:
• u.m.c. = unità di massa chimica uguale a 1/16 della media pesata della massa dei singoli isotopi
dell’ossigeno in relazione alla loro presenza percentuale nella miscela naturale ( 168 O 99,757 %, 178 O
18
0,039 %, 8 O 0,204 %)
16
• u.m.f. = unità di massa fisica uguale a 1/16 della massa dell’isotopo 8 O.
• l’attivazione consiste nel rendere radioattivo un nuclide originariamente stabile mediante assorbimento
di una particella, per es. un neutrone

6
Famiglie radioattive
I decadimento α e β sono i più frequenti in natura. Nel decadimento α il nuclide diminuisce la massa di 4 unità e
nel decadimento β si ha una variazione di massa nulla. Ciò comporta che tra nucleo genitore e nucleo figlio vi
sia una differenza di massa nulla o uguale a 4 unità e quindi l’insieme dei nuclidi viene distinto in 4 famiglie
caratterizzate dal numero k = 0, 1, 2, 3 a cui corrispondono masse A = 4n + k con n intero.

In particolare per i capostipiti si ha dunque: 232 = 4a+0, 237 = 4b+1, 238 = 4c+2, 235 = 4d+3.

Per comodità del lettore si riportano i simboli di alcuni elementi generalmente meno noti:

Pa = Protoattinio, At = Astato, Tl = Tallio, Ac = Attinio

7
(@) Stabilità dei nuclidi
Misura della stabilità dei nuclidi è l’energia di legame (nucleare) per nucleone. Questa energia si ottiene
dividendo la differenza ∆m tra la massa del nuclide e la somma delle masse dei suoi nucleoni costituenti, per il
numero di nucleoni A, e quindi moltiplicando per c2, secondo la relazione tra massa ed energia di Einstein,

56
La maggiore stabilità è data dai nuclidi vicini al 26 Fe (vedi Figura). Si deduce che due elementi che si trovano a
sinistra del ferro sviluppano energia per fusione, mentre quelli a destra liberano energia per fissione.
Si nota inoltre che i nuclidi , che hanno un numero pari e uguale di protoni e neutroni,
sono più stabili rispetto all’andamento della curva.

Per numeri atomici bassi, sino al calcio, gli


isotopi stabili hanno lo stesso numero di
protoni e di neutroni. Aumentando il numero
atomico è richiesto un maggior numero di
neutroni per mantenere la stabilità del nuclide.
Oltre a un certo numero atomico tutti gli
isotopi sono instabili.
La vita media diminuisce al crescere della
massa del nuclide.
In base alla posizione di un isotopo rispetto
alla “banda” di stabilità, si può prevedere il
tipo di decadimento a cui sarà soggetto.

(grafico schematico)

8
Legge temporale dei decadimenti radioattivi (attività, vita media…)
Supponiamo di avere inizialmente N nuclei di una specie radioattiva. Si osserva sperimentalmente che
in un secondo decadono mediamente λN nuclei. La grandezza λ (positiva) viene detta costante di
decadimento o costante di disintegrazione, e rappresenta dunque la probabilità di decadimento per
unità di tempo.
Se consideriamo un tempo infinitesimo dt, la frazione di atomi che decadrà sarà data da:

dN = - λ N dt 2.1

dove il segno meno indica che il numero di nuclei diminuisce al passare del tempo.
Separando le variabili:

dN
= −λ dt 2.2
N

e supponendo che al tempo t = 0 vi siano No nuclei radioattivi e al tempo t > 0 i nuclei che non hanno
subito decadimento siano N(t), integrando otteniamo la legge del decadimento radioattivo:

N(t) = No e-λt 2.3

Che può anche scriversi così:

⎛ N ⎞
ln⎜⎜ ⎟⎟ = −λt 2.4
⎝ No ⎠

Si definisce vita media τ di un tipo di nuclei radioattivi la media aritmetica della vita di un insieme No
(tendente ad infinito) di tali nuclei. Per ricavare la vita media si calcola prima la “vita totale” di tutti gli
No nuclei, poi si divide la vita totale per il numero di nuclei No. La vita totale si calcola in base alla
legge temporale che ci definisce il numero N(t) di nuclei non ancora decaduti al tempo t e quindi ancora
in vita nell’intervallo elementare di tempo t ÷ t + dt. La vita totale si ottiene integrando N(t) dt
sull’intero semi-asse positivo del tempo. La vita media risulta:

2.5

Si definisce tempo di dimezzamento t1/2 il tempo in cui decade il 50% degli nuclei radioattivi. Esso
corrisponde a N = No/2, cioè No/2 = No exp (-λ t1/2) da cui t1/2 = (ln 2)/λ = 0.693 τ.

9
Richiami di statistica
Il decadimento radioattivo è un fenomeno regolato dalla relazione 2.3. La probabilità che, in un
secondo, di N nuclei n decadano e N - n non decadano è:

p = λn (1 − λ ) N −n 2.6

Dato che non si sa con esattezza quali sono i nuclei destinati a decadere dobbiamo considerare tutte le
possibili combinazioni di n atomi scelti tra gli N che abbiamo; in questo modo la nostra legge sarà la
distribuzione binomiale:1

⎛N⎞
p N ,λ (n ) = ⎜⎜ ⎟⎟λn (1 − λ ) N − n 2.7
⎝n⎠

in cui m = N λ è il valor medio della distribuzione, e σ2 = N λ (1 – λ) ne è la varianza.

La distribuzione binomiale riveste un'importanza notevole nello studio statistico. E’ una distribuzione
discreta che modellizza il problema delle prove ripetute; viene utilizzata quando interessa la ricorrenza
di un evento, non la sua intensità. Nel nostro caso, tuttavia, bisogna tener conto che il numero di eventi
che si verificano mediamente in una unità di tempo è molto piccolo rispetto al numero N di atomi,
quindi è possibile effettuare sulla nostra distribuzione delle approssimazioni che rendano più agevole il
calcolo.
In base ad esse, la dist. Binomiale diventa la dist. poissoniana:

n −m
m e
p m (n ) =
n!
di media m e deviazione standard σ = m .

(@) Approssimazione della dist. Binomiale con una dist. poissoniana


Poniamo che in un secondo ci siano m decadimenti, con m << N, allora m = λ N. Ricavando il valore di
λ e sostituendolo nella equazione 2.7 otteniamo:
n N −n
⎛ N ⎞⎛ m ⎞ ⎛ m ⎞
p = ⎜⎜ ⎟⎟ ⎜ ⎟ ⎜1 − ⎟ 2.8
⎝ n ⎠⎝ N ⎠ ⎝ N ⎠

Poiché sia N sia N - m sono molto grandi possiamo approssimare i loro fattoriali, che compaiono nel
termine binomiale, per mezzo della formula di Stirling:

N ! ≅ N N e − N 2πN 2.9

⎛N⎞ ⎛N⎞ N!
1
La quantità ⎜⎜⎟⎟ si dice coefficiente binomiale e vale:⎜⎜ ⎟⎟ = . Esso compare nello sviluppo della potenza
⎝n⎠ ⎝ n ⎠ n!( N − n!)
N
⎛N⎞
di un binomio: (a + b ) = a N + Na N −1b + K + b N = ∑ ⎜⎜ ⎟⎟a n b N −n .
N

n =0 ⎝ n ⎠

10
(N − m )! ≅ (N − m )( N − m ) e− ( N − m ) 2π (N − m ) 2.10

Essendo poi:

−N
⎛ x⎞
lim ⎜1 − ⎟ = e− x 2.11
N → +∞
⎝ N⎠

−N +m
⎛ m⎞
lim ⎜1 − ⎟ = e− m 2.12
N → +∞
⎝ N⎠

Sostituendo e semplificando i termini sotto radice che per N molto grande sono praticamente identici, e
ponendo

N −n
⎛ n⎞
(N − m ) N −n
=N N −m
⎜1 − ⎟ = N N − ne− n 2.13
⎝ N⎠

la 2.8 prende la seguente forma (distribuzione di Poisson):

mne− m N N e− N mne− m
p= = 2.14
n n n! N N − n e − n e − N + n n!

Questa viene applicata ogniqualvolta il numero di eventi N sia molto grande rispetto alla probabilità λ
che uno di questi si verifichi. E’ possibile inoltre verificare che m rappresenta il numero medio di
conteggi atteso.
La statistica di conteggio del decadimento radioattivo segue proprio questa distribuzione, come si può
verificare sperimentalmente.
Per completare la nostra analisi statistica vediamo ora qual è la deviazione standard della distribuzione
poissoniana; per definizione:

σ 2 = n 2 − (n )
2
2.15

ma poiché per la nostra distribuzione n = m e n 2 = m 2 + m , si ottiene che

σ= m 2.16

11
3. Rivelatori di particelle a gas
Quest’argomento è riassunto da varie fonti citate in Bibliografia. Per approfondire si consiglia la lettura
del testo [9], capitolo 5.

Questi dispositivi sono stati tra i primi utilizzati per la rivelazione di particelle. Essi sfruttano la
ionizzazione prodotta dal passaggio di un fotone o di una particella carica in un gas. La ionizzazione è
un processo di natura statistica, che ha luogo quando una particella carica o un fotone energetico,
attraversando in un mezzo, cede una quantità di energia uguale o maggiore del potenziale di
ionizzazione di un elettrone degli atomi del mezzo. In tale processo un elettrone viene rimosso da un
atomo o da una molecola in modo da creare una coppia elettrone-ione positivo

Principio di funzionamento

Un gas è un mezzo naturale per la raccolta della ionizzazione provocata dalla radiazione, grazie alla
grande mobilità2 che in esso hanno ioni ed elettroni.

Esistono diverse configurazioni (vedi figura) per i rivelatori a gas (configurazione planare e
configurazione cilindrica), ma in ogni caso essi sono costituiti da un contenitore riempito con un gas
facilmente ionizzabile; il rivelatore deve essere costituito da almeno due componenti, uno che funge da
catodo e uno che, mantenuto ad un potenziale +V0 rispetto al catodo, funge da anodo.

2
In presenza di un campo elettrico gli elettroni e gli ioni liberati dalla radiazione sono accelerati lungo le linee del campo
verso l'anodo e il catodo rispettivamente (velocità di deriva). Questa accelerazione è interrotta dalle collisioni con le
molecole del gas che limita la velocità massima raggiunta ottenuta lungo la direzione del campo. La velocità media
raggiunta è conosciuta come velocità di deriva. Paragonata alla velocità termica essa è molto più piccola. Nella teoria
cinetica è utile definire la mobilità di una carica come:

dove u è la velocità di deriva e E il campo elettrico. Nei gas utilizzati per il riempimento di rivelatori, la velocità di deriva
degli elettroni è tipicamente dell’ordine di 105-106 cm/s per gli elettroni, 102-103 per gli ioni.

Ricordiamo che l’energia cinetica Ek di una particella soggetta ad agitazione termica è pari a: Ek = 3/2 k T = ½ m v2, dove k
è la costante di Boltzmann k = R/N = 1.3805×10-23 JK-1 (R costante di Rydberg o dei gas ideali, N numero di Avogadro) e m
è, per esempio per l’elettrone, pari a 9.10908×10-31 Kg. Da queste relazioni si può calcolare la velocità dovuta all’agitazione
termica.

12
Per un rivelatore a gas esistono due possibili configurazioni base planare e
cilindrica.
Le due si differenziano principalmente per i diversi andamenti dei campi
elettrici al loro interno. Per una struttura planare in cui la differenza di
potenziale fra piano-catodo e piano-anodo è V0 , l'andamento delle linee di
campo è quello dato in fig. a, mentre il modulo vale:

dove d è la distanza fra i due piani.


La configurazione cilindrica è costituita da un cilindro cavo, che funge da
catodo, al cui interno è contenuto un filo conduttore, mantenuto ad un potenziale
+V0 rispetto al cilindro. Il campo elettrico radiale, che si viene a formare
all'interno del rivelatore, il cui andamento è mostrato in fig. b, ha un modulo
pari a:

dove r è la distanza radiale dal filo conduttore, b è il raggio interno del cilindro
e a il raggio del filo conduttore.

Se una radiazione penetra nel rivelatore, sarà creato un certo numero di coppie ione-elettrone, sia
direttamente, se la radiazione è costituita da particelle cariche, che indirettamente attraverso radiazioni
secondarie, se la radiazione è neutra.

Il numero medio di coppie create è proporzionale all'energia depositata nel dispositivo. Sotto l'azione
del campo elettrico, gli elettroni vengono accelerati verso l'anodo e gli ioni verso il catodo.

Grafico ampiezza dell’impulso vs potenziale di alimentazione; tipi di


rivelatori e rispettive regioni di funzionamento

Il segnale in uscita di un rivelatore a gas dipende dal potenziale applicato, come si nota dalla figura
sottostante:

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Grafico della risposta di un rivelatore a gas (a sinistra un grafico ricavato sperimentalmente, a destra lo stesso
grafico in forma schematica, in scala semilog.

Nella regione A (o I) non tutte le cariche prodotte vengono raccolte in quanto, a causa del piccolo
valore del campo elettrico, il processo di ricombinazione3 delle varie coppie ione-elettrone è notevole.
Aumentando la differenza di potenziale applicata il tempo a disposizione per la ricombinazione
diminuisce, perché aumenta la componente della velocità delle coppie lungo la direzione del campo;
questo crea un aumento della carica raccolta.

Nella regione B (o II), chiamata di saturazione o di camera a ionizzazione, gli effetti della
ricombinazione diventano trascurabili e la carica raccolta è tutta quella prodotta.

Nelle regioni C e D (o III) il campo elettrico è sufficientemente intenso da far acquistare agli elettroni
primari prodotti energia cinetica sufficiente a ionizzare gli atomi del gas producendo, così, una
moltiplicazione4 a valanga di ioni. La ionizzazione secondaria è ancora strettamente dipendente da
quella primaria ed è in questa regione che lavorano i contatori proporzionali.

3
La ricombinazione è il processo nel quale, a causa delle collisioni fra ioni positivi ed elettroni liberi, questi ultimi
possono essere catturati dai primi con il conseguente ritorno allo stato di neutralità. Alternativamente potrebbe avvenire una
collisione fra ione positivo e ione negativo, che cede l'elettrone extra al primo con la conseguente neutralizzazione di
entrambi gli ioni. In ogni caso viene in tale modo persa l'informazione sulla ionizzazione prodotta all'interno del rivelatore.
La ricombinazione fra ioni positivi e negativi è solitamente di gran lunga più frequente di quella fra ioni positivi ed
elettroni.

4
La moltiplicazione in un rivelatore a gas avviene quando gli elettroni provenienti dalla ionizzazione primaria accelerati dal
campo elettrico riescono a ionizzare le molecole del gas. Gli elettroni secondari possono produrre una nuova ionizzazione e
così via, con la formazione di una valanga di ioni, conosciuta con il nome di valanga Townsend (la nota prosegue nella
pagina seguente).

14
Nella regione E (o IV), detta di Geiger-Muller, la carica raccolta non è più proporzionale alla
ionizzazione primaria; oltre alla ionizzazione si hanno altri fenomeni quali l'eccitazione seguita da
emissione di luce visibile e ultravioletta; questo produce un impulso costante in un certo intervallo del
potenziale applicato, indipendentemente dal tipo di particella incidente.

Nella regione F (o V) non è più possibile nessun tipo di rivelazione: l'impulso in uscita non dipende
più dalla radiazione incidente, poiché avviene una scarica in presenza o meno di radiazione.

Tra i rivelatori a gas sviluppati nella prima metà del secolo scorso, sono particolarmente importanti le
camere a ionizzazione (che lavorano nella regione B), i contatori proporzionali (nella regione C) e i
contatori Geiger-Muller (nella regione E).

Molti rivelatori a gas, in versione più o meno modificata, sono ancora attualmente usati nella fisica
nucleare e delle particelle.

4. Il contatore Geiger-Müller
Il contatore di Geiger-Müller è utilizzato per contare il numero di decadimenti che avvengono in un
intervallo di tempo.

Schema di funzionamento
Il tubo Geiger è costituito da un cilindro conduttore chiuso alle estremità, con all'interno un filo
metallico coassiale isolato dal conduttore; in pratica può essere considerato un particolare capacitore
cilindrico. Tra catodo
(tubo) e anodo (filo interno) è applicata una elevata differenza di potenziale che può raggiungere i 1000
V . Il campo elettrico nel tubo non è costante, ma varia secondo la legge:

V
E (r ) = 4.1
r ln (b a )

A causa della grande mobilità degli elettroni rispetto agli ioni positivi, la valanga ha la forma di una goccia liquida con gli
elettroni raggruppati in testa e gli ioni più lenti in coda.

15
dove r è la distanza dall’anodo, b e a sono rispettivamente i raggi del catodo (tubo) e dell'anodo (filo
interno). Il tubo è riempito con un gas a bassa pressione che viene ionizzato al passaggio delle
particelle ionizzanti.
La velocità di deriva degli elettroni prodotti dalla ionizzazione degli atomi del gas dipende dall'inverso
della pressione secondo la relazione:

E
vd ∝ 4.2
P
Ricordiamo anche però che ovviamente la sezione d’urto σ diminuisce se la pressione P diminuisce.
Il gas scelto deve avere una bassa affinità elettronica, cioè non si deve combinare facilmente con gli
elettroni per dare origine a ioni negativi. Per questo motivo vengono scelti dei gas rari, tipicamente
Argon. Dalla 4.1 si vede che gli elettroni subiscono un'accelerazione maggiore in prossimità dell'anodo.

Figura 4.1 Schema di un tubo Geiger-Müller.

Il passaggio di una particella ionizzante produce quindi una ionizzazione all'interno del tubo Geiger.
Questi ioni, accelerati dal campo elettrico, producono una ionizzazione secondaria, terziaria e così via,
dando origine al cosiddetto effetto valanga. Una singola ionizzazione può provocare 106 ÷ 108
ionizzazioni successive, perdendo qualsiasi informazione sull'energia della particella incidente. Il
passaggio di una particella viene rivelato come una variazione di tensione ai capi di una resistenza
posta in parallelo al tubo (figura 4.1).
Gli ioni positivi creano una nuvola attorno all'anodo e schermano il campo elettrico, questo fa sì che il
Geiger abbia una tensione di soglia (soglia di Geiger). Superata questa si entra nella zona di conteggio
(vedi figura 4.2). Il numero di conteggi e l'ampiezza del segnale sono indipendenti dalla tensione
applicata.
Dato che il passaggio di ogni particella crea una vera e propria scarica all'interno del tubo, si capisce
che questo strumento non é particolarmente indicato per rivelare un elevato numero di decadimenti al
secondo. Infatti il tempo che deve intercorrere affinché il contatore rilevi due ionizzazioni consecutive
deve essere almeno dell'ordine delle decine di µs. Per ovviare in parte a questo inconveniente si
aggiungono dei gas, detti di quenching (spegnimento), con bassa energia di ionizzazione che assorbono
parte della carica degli ioni positivi, riducendo il tempo che può intercorrere tra due rilevamenti (tempo
morto, vedi il prossimo paragrafo). Generalmente si usano dei composti come l'alcool etilico o degli
alogeni, che hanno molecole molto grosse, in percentuali rispetto al gas primario del 5-10%.

16
E’ importante notare che, siccome nella regione di funzionamento di un contatore Geiger-Müller basta
una sola coppia primaria per dar luogo ad una scarica a valanga completa, l'ampiezza dell'impulso in
uscita non è più una misura della ionizzazione primaria. Da ciò si comprende che un contatore Geiger
può essere utilizzato come contatore di radiazione e non in esperimenti di spettroscopia.

Il tempo morto
La registrazione di un evento richiede un certo tempo: il rivelatore rimane insensibile durante questo
tempo, detto tempo morto. Se un secondo evento non dista temporalmente dal primo per più del tempo
morto, non viene registrato. E’ evidente che se siamo interessati ad una qualsiasi misura di intensità di
radiazione è importante conoscere il tempo morto per poter correggere opportunamente la misura.

Nell’esempio riportato in figura, gli eventi numero 4 e 6 non sono registrati.

Figura 4.2 Tempo morto.

Il plateau

Un grafico ottenuto riportando in ascisse le tensioni applicate, ed in ordinate il numero degli impulsi
registrati in un intervallo di tempo T (uguale naturalmente per tutte le misure) si chiama "curva
caratteristica del contatore" ed ha l'andamento mostrato nella figura sottostante:

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Figura 4.3 Soglia e plateau.

Tale curva presenta una zona lunga centinaia di Volt a piccola pendenza che viene chiamata "plateau"
del contatore.

La tensione di lavoro del contatore viene scelta a circa 1/3 di tutto il plateau, in modo che eventuali
variazioni nella tensione di alimentazione V del contatore non lo portino al di fuori della regione di
lavoro; d'altra parte, l'applicazione di una tensione più alta può produrre cariche spurie all'interno del
rivelatore.

Impieghi del rivelatore Geiger-Müller

In base alla geometria essi possono funzionare come rivelatori di raggi β, γ o X.

I contatori per raggi β devono poter offrire un piccolissimo assorbimento agli elettroni e per tale
motivo una parte del tubo viene provvista di una finestra ricoperta da un materiale molto sottile, di
bassa densità e di resistenza meccanica sufficiente a sopportare la differenza tra pressione interna ed
esterna. Solitamente tali finestre sono fatte in mica.

I contatori per raggi γ funzionano a causa della ionizzazione dovuta agli elettroni prodotti per effetto
fotoelettrico (vedere l’appendice A), per effetto Compton o per creazione di coppie dall'interazione dei
raggi γ con le pareti o con il gas di riempimento. A causa della bassa probabilità di interazione con il
gas, occorre affidarsi all'interazione con le pareti e utilizzare contatori senza finestra e con spessori
notevoli delle pareti metalliche. Con tutto ciò l'efficienza risulta molto bassa.

I contatori per raggi X sono simili a quelli per raggi β. Infatti poiché i raggi X sono fotoni con energie
più basse dei raggi γ, occorrono contatori con pareti sottili e con finestra di mica, in modo che

18
l'interazione avvenga con le molecole del gas. Generalmente i gas impiegati sono l'argon, il krypton e
lo xenon.

5. L’assorbimento della radiazione


I rivelatori Geiger-Müller possono avere anche altri impieghi come ad esempio la misura del
coefficiente di assorbimento per raggi α, β o γ nell'attraversare un mezzo materiale. Ciò può essere
ottenuto misurando il numero di conteggi in un tempo fissato in assenza di materiale e vedendo come
questo varia interponendo fra sorgente e contatore il materiale di volta in volta con spessori diversi.
Una rappresentazione schematica dell'esperimento è data di seguito.

Quando5 un fascio di radiazioni X o γ attraversa uno strato di materia, viene assorbito, e la sua intensità
dopo avere attraversato lo strato diminuisce. Il processo secondo il quale si produce questa dimi-
nuzione può essere descritto in modo molto generale così: un fotone nel suo percorso ha una certa
probabilità di incontrare un elettrone, per es. uno degli elettroni atomici e, se questo avviene, il fotone
scompare e la sua energia si trasforma, generalmente, in energia cinetica dell’elettrone e in un nuovo
fotone di energia diversa che si propaga in una direzione differente da quella del fotone incidente. Il
fotone quindi, in seguito all’ interazione con un elettrone, scompare dal fascio di radiazione primaria.
Diciamo subito che si può avere assorbimento anche per interazione con i nuclei degli atomi,
allorquando il fotone ha una energia piuttosto elevata, ma per le considerazioni che seguono non ha
importanza 1’oggetto con cui il fotone interagisce.

Se supponiamo (vedere la figura precedente), di avere un fascio parallelo di fotoni di intensità Io,
corrispondente ad No fotoni al secondo, incidenti su uno strato di spessore x0, il numero di fotoni che
5
La parte che segue è presa da M. Della Corte, R. Renzi, “Fisica e Tecnica delle radiazioni ionizzanti in radiologia”.

19
verranno assorbiti nello straterello infinitesimo dx sarà proporzionale al numero di fotoni che vi
incidono N(x) per la probabilità che un fotone subisca una collisione nello strato (perché ogni fotone
interagisce indipendentemente). Questa probabilità sarà esprimibile col prodotto µ dx perché sarà
certamente proporzionale a dx, in quanto crescendo dx cresce proporzionalmente il numero di elettroni
con i quali il fotone può interagire. Avremo quindi

- dN = N(x) µ dx.

Questa relazione matematica che contiene quantità infinitesime come dN e dx e quantità finite
(equazione differenziale) può essere risolta con i metodi del calcolo differenziale e dà luogo alla
relazione:

N(x) = No e-µx

dove e è la base dei logaritmi naturali (e = 2.7l828...)


Ricordando che 1’intensità è proporzionale al numero di fotoni si ottiene la legge di assorbimento
esponenziale:

I(x) = Io e-µx

Il significato della costante µ, che si chiama coefficiente di assorbimento lineare, è, come abbiamo
detto, dipendente dalla probabilità che un fotone interagisca nello strato dx.
E’ allora evidente che µ dipenderà:
a) dall’energia del fotone, perché fotoni di diversa energia hanno probabilità diverse di interagire;
b) dalla natura del materiale attraversato e precisamente dal numero di elettroni per cm2.
I vari tipi di processi elementari di assorbimento di radiazione nella materia sono:

1) scattering classico o effetto Tbompson;


2) effetto fotoelettrico;
3) eftettoCompton;
4) creazione di coppie;

Appendice A
Effetto fotoelettrico
L'effetto fotoelettrico spiega l'emissione di elettroni da parte di un metallo colpito da radiazione
elettromagnetica.
La spiegazione di tale fenomeno fu un successo della meccanica quantistica e fu resa possibile quando
nel 1905 Einstein estese le ipotesi quantistiche di Planck, postulando che la quantizzazione non era una
proprietà del meccanismo di emissione, ma piuttosto una proprietà intrinseca del campo
elettromagnetico.

20
Usando questa ipotesi Einstein fu capace di spiegare il fenomeno osservato nell'effetto fotoelettrico,
cioè il fatto che l'energia cinetica con cui venivano emessi gli elettroni variava con la frequenza ν della
radiazione incidente secondo la relazione:

dove h è la costante di Planck, W0 l'energia caratteristica associata ad ogni dato metallo e chiamata
energia di estrazione, c la velocità della luce e λ la lunghezza d'onda della radiazione incidente. Questo
è il risultato aspettato se i fotoni hanno un'energia quantizzata pari a E=hν, che è il valore proposto da
Einstein.
Nell'approssimazione hν << mc², la sezione d'urto per effetto fotoelettrico vale:

dove me è la massa dell'elettrone, Φ0 vale 6.651×10-27 cm² e α=1/137 è la costante di struttura fine.
Come si nota dalla formula la sezione d'urto per effetto fotoelettrico dipende principalmente dal
numero atomico Z e diminuisce man mano che aumenta l'energia.

Sezione d'urto per effetto fotoelettrico, calcolata per il piombo

21
Effetto Compton
Lo scattering Compton avviene su elettroni liberi non legati al nucleo, contrariamente all'effetto
fotoelettrico. Tuttavia, anche per gli elettroni legati, se l'energia del fotone è alta rispetto all'energia di
legame, questa si può trascurare in modo da considerare gli elettroni come liberi.
Nell'interazione, il fotone di energia hν trasferisce ad un elettrone, che si suppone fermo, parte della sua
energia e del suo impulso. Come risultato si avrà un fotone diffuso ad un angolo θ con un energia hν', e
l'elettrone deflesso ad un angolo φ con energia cinetica T.

Applicando la legge di conservazione dell'energia e della quantità di moto si ottiene l'energia del fotone
diffuso:

La sezione d'urto totale per effetto Compton è data da:

dove γ = hν/mec² , re e me sono raggio e massa dell'elettrone.


Tale sezione d'urto si può decomporre in due termini : il primo σa è la sezione d'urto d'assorbimento
Compton, che è proporzionale all'energia media trasferita all'elettrone di rinculo, mentre il secondo σs è
proporzionale alla frazione di energia totale del fotone diffuso. Pertanto:

σComp= σa+σs

Nella figura sottostante si può vedere l'andamento delle sezioni d'urto σComp, σa e σs per il piombo.

22
La sezione d'urto complessiva per effetto Compton decresce all'aumentare dell'energia del fascio.

Creazione di coppie
La creazione di coppie implica la trasformazione del fotone incidente in una coppia elettrone-positrone.
Il processo può avvenire solo quando l'energia del fotone è pari almeno alla somma delle masse delle
particelle create, cioè per Eγ >2mec² (1.022 Mev) e in presenza di un terzo corpo, in genere un nucleo,
affinché ci sia conservazione della quantità di moto.

Per la conservazione dell'energia si ha:

T(e-) + T(e+) = hν - 2mc²

dove hν è l'energia del fotone incidente e la differenza a secondo membro fornisce l'energia cinetica
che viene ripartita fra le particelle.

Quando l'energia cinetica del positrone diventa bassa (confrontabile con l'energia termica degli
elettroni nel mezzo) esso si ricombina con un elettrone dando luogo a due fotoni che sono emessi in
direzioni opposte, ciascuno con energia pari a 0.51 Mev. Successivamente questi due fotoni possono
essere riassorbiti per effetto fotoelettrico o Compton.

La sezione d'urto per produzione di coppie vale:

23
dove Z è il numero atomico del materiale assorbitore, α =1/137 la costante di struttura fine e la
funzione f(Z) una piccola correzione coulombiana, che tiene conto dell'interazione dell'elettrone nel
campo del nucleo.

La sezione d'urto per creazione di coppie cresce rapidamente all'aumentare dell'energia dei fotoni
incidenti, divenendo ad alte energie l'unico processo efficace per l'assorbimento dei fotoni.

Sezione d'urto per creazione di coppie, calcolata per il piombo

Esperienza I-1: Statistiche di conteggio con un rivelatore Geiger-Müller

Scopo dell’esperienza è la verifica sperimentale della distribuzione di Poisson (in realtà, di Gauss), cui
obbedisce l’emissione di fotoni X da parte di una sorgente radioattiva. Lo strumento utilizzato è un
contatore di Geiger. Ricordiamo che nel limite di un “grande” numero di “prove” (in questo caso, il
numero N degli atomi del campione) e di una “piccola” probabilità di verificarsi dell’evento studiato
(probabilità λ di decadimento di un atomo) la distribuzione Poissoniana è approssimabile con una
Gaussiana di media xm pari a N ·λ e deviazione standard σ pari a xm1/2.

Fasi dell’esperienza:

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1) Esaminare la strumentazione disponibile. Essa consiste in un tubo di Geiger-Muller, inserito in
un portacampioni (vedere la figura), nell’alimentatore per il tubo, e nell’elettronica di conteggio
(con il suo alimentatore). E’ disponibile anche un secondo alimentatore/contatore, di
concezione più moderna e dimensioni più ridotte, da provare in seguito con lo stesso tubo GM.
2) Ad apparecchiature spente, ricostruire le connessioni necessarie per il funzionamento del tubo.
3) Prima di alimentare le apparecchiature assicurarsi che la tensione di alimentazione sia al
minimo (nella sezione centrale dello strumento, le manopole relative all’alta tensione devono
essere a 0). Accendere gli alimentatori del tubo e dell’elettronica di conteggio. I display di
conteggio devono illuminarsi, così come i led di alimentazione. Impostare la tensione di
alimentazione al valore ottimale per il tubo: in generale si va da qualche centinaio di volt a circa
un migliaio; nel tubo da noi adoperato la tensione di alimentazione consigliata è di 560 V circa.
Il deviatore mA/kV deve essere posto su kV (a destra). La regolazione avviene tramite tre
manopole: la prima (in alto) imposta V a passi di 500 V: porre su 500 V; la seconda va da 0 a
500 V a passi di 100 V: porre a 0; la terza (in basso) imposta V da 0 a 100 V (ogni giro della
manopolina più interna del comando corrisponde a 10 V): porre a 60 V. Leggeremo sul display
la tensione in kV: 0.56.
4) Impostare modo e tempo di conteggio: nella sezione di sinistra il pulsante TIMER dev’essere
rilasciato (“fuori”), e così pure il pulsante CH B (indica che il segnale letto (dal tubo) dovrà
andare sul canale B); il pulsante COUNT deve essere premuto, RESET rilasciato, RECYCLE
premuto, TIMEBASE INT rilasciato, TIMEBASE .1 sec premuto (indica che l’unità di misura
letta sul display è 0.1 sec). Impostare il tempo di conteggio, oltre il quale il contatore si
azzera.Bisogna impostarlo nella forma N x 10N, dove le due N vengono impostate sui comandi
rispettivi nel seguente modo: per indicare 10 secondi, ossia 100 volte 0.1 secondi, occorre
mettere i valori 1 e 2 perché 100 = 1 x 102. Analogamente 100 secondi equivale alla coppia 1 e
3; 60 secondi è (6,2), 50 secondi è (5,2), e così via. Impostiamo 10 secondi di conteggio.
5) Selezionare la sorgente di Tb, ed inserirla nel portacampioni sotto la finestra del tubo.
ATTENZIONE! Anche se la sorgente è debolissima, evitare di rivolgerla contro la propria o
l’altrui persona, soprattutto verso gli occhi.
6) Prendere 200 conteggi di 10 secondi ciascuno (tempo necessario? Calcolarlo, verificando che è
di circa 40 minuti). Valutare il fondo radioattivo naturale, evidentemente misurato sullo stesso
tempo di accumulo, ed eventualmente (se significativo) sottrarlo dalle misure precedenti. Creare
un istogramma con larghezza di ogni classe pari a 10. Confrontare con una Gaussiana, limite
della Poissoniana per N “grande” e λ “piccolo”. Verificare che la σ è circa pari a xm1/2

Il tubo GM, inserito nel portacampioni, e connesso all’elettronica di conteggio

25
Sorgente secondaria di raggi X, eccitata da fotoni gamma.

26
Nella figura precedente, notare che la deviazione standard dev’essere circa pari alla radice quadrata del
valor medio, come si verifica facilmente.

Esperienza I-2: Assorbimento della radiazione e coefficiente di


assorbimento lineare
L’esperienza si propone di verificare la legge dell’assorbimento della radiazione X da parte della
materia. Se la radiazione attraversa uno strato omogeneo di materia di spessore x, l’intensità della
radiazione che supera il materiale è data dalla relazione:
I(x) = Io e-µx
Dove Io è l’intensità della radiazione a monte dello strato di spessore x, e µ è il coefficiente di
assorbimento lineare (linear absorption coefficient).
Dall’equazione precedente si ricava anche µ = 0.693/x1/2, dove x1/2 è lo spessore al quale l’intensità si
riduce della metà.

Per il calcolo del coefficiente di assorbimento lineare, l’attrezzatura a disposizione è la stessa


dell’esperienza precedente, con l’aggiunta di un insieme di dischetti di alluminio di spessore pari a
circa 1 mm (da misurare con calibro centesimale, oppure considerare (1.00 ± 0.05) mm).
Porre il tubo GM nelle sue condizioni ottimali di lavoro.
L’esperienza consiste nel misurare i conteggi dati dal GM interponendo, tra esso e la sorgente, spessori
via via crescenti di Al (uno o più dischetti). Per ciascuno spessore, prendere 10 misure (tempo di
conteggio indicativo pari a 10 s ciascuna). Valutare il fondo radioattivo naturale, evidentemente
misurato sullo stesso tempo di accumulo, ed eventualmente (se significativo) sottrarlo dalle misure
precedenti.
Calcolare media e deviazione standard (σ). Verificare che la σ calcolata sia in accordo con la σ attesa
(radice del valor medio).

Dalla relazione:
I(x) = Io e-µx
si ottiene
I(x)/Io = e-µx

27
E quindi, “linearizzando”:
-log(I/Io) = µ x
ossia
y = log(Io/I) = µ x

-1
pendenza µ = 0.1019 mm
spessore media xm σ xm x ∆x y ∆y intercetta 0.1005
(Al, 1mm) (mm) (mm)
0 629 618 599 679 564 595 608 607 608 614 612.1 29.1 24.7 fit
1 514 508 474 493 517 511 485 509 525 496 503.2 15.8 22.4 1 0.05 0.196 0.08 0.202
2 415 417 456 475 430 432 451 439 450 461 442.6 19.4 21.0 2 0.10 0.324 0.09 0.304
3 397 451 425 413 433 404 416 417 453 417 422.6 18.4 20.6 3 0.15 0.370 0.09 0.406
4 361 338 344 344 401 362 365 364 366 367 361.2 17.6 19.0 4 0.20 0.527 0.10 0.508
5 331 321 319 331 353 311 327 358 314 319 328.4 15.8 18.1 5 0.25 0.623 0.10 0.610
6 338 300 301 277 290 292 312 286 301 319 301.6 17.7 17.4 6 0.30 0.708 0.11 0.712
7 286 287 230 279 279 262 272 260 267 311 273.3 21.2 16.5 7 0.35 0.806 0.13 0.813
8 232 229 237 271 258 236 246 258 247 236 245.0 13.6 15.7 8 0.40 0.916 0.10 0.915

Riportando in grafico le coppie di valori (x, y) ci aspettiamo che i punti giacciano nelle vicinanze di una
retta passante per l’origine e avente pendenza µ.

28
6. Rivelatori a scintillazione
Quest’argomento è tratto dal testo [9], capitolo 6. Queste righe sono un riassunto schematico da usare
come guida, studiando però l’argomento dal testo!! Paragrafi 6.1÷6.4, 6.6.

Scintillatore: materiale (solido, liquido o gassoso) che produce fotoni di luce visibile quando è
attraversato da radiazioni ionizzanti.
Questo metodo di rivelazione fu usato per la prima volta nel 1910 da Rutherford (che usò un
microscopio per contare le scintille), poi fu abbandonato e tornò in uso nel momento in cui fu possibile
amplificare la debole luce emessa; il primo materiale solido usato per rivelare particelle è stato uno
scintillatore.
Luminescenza: emissione di luce, dovuta all’assorbimento di una particella eccitatrice (per esempio un
fotone), che avviene con un certo ritardo T rispetto all’assorbimento. Si distinguono: fluorescenza (T
dell’ordine di 10-8 s) e fosforescenza (tempi T “lunghi”).
La quantità di luce prodotta è bassissima; ne consegue la necessità di utilizzare i “tubi
fotomoltiplicatori” (o “fototubi”) che, ricevendo una debole quantità di luce in ingresso, emettono un
intenso impulso elettrico in uscita.

Un rivelatore a scintillazione funziona in due fasi: (1) assorbimento della radiazione incidente con
produzione fotoni visibili, (2) amplificazione della luce (convertita in un flusso di elettroni) tramite il
fotomoltiplicatore, ed emissione di un impulso in uscita.

Uno scintillatore è utile per la spettroscopia, in quanto l’impulso elettrico in uscita è proporzionale alla
luce incidente sul fotomoltiplicatore, a sua volta proporzionale all’energia della particella che ha
generato la luce.

Tipi di scintillatori: inorganici, organici, gassosi.

Scintillatori (a cristalli) inorganici


Generalmente sono cristalli dei metalli alcalini (Na, Ca, Cs, Li), contenenti impurità: NaI(Tl), CaI(Na).
L’elemento riportato tra parentesi è l’impurità, o “attivatore”, responsabile della luminescenza. Si parla
dunque, per esempio, di Ioduro di Sodio attivato al Tallio, e in questo materiale il Tallio è in
proporzione di 10-3 rispetto al Sodio, in moli.

Meccanismo della luminescenza: si basa sulle bande permesse e proibite (separate dal gap).
In un atomo o nelle molecole i livelli energetici permessi sono discreti. In un cristallo i livelli sono
costituiti da bande continue. In un cristallo (non in un metallo conduttore!) la banda ad energia più
elevata utilizzata (e piena) è la banda detta di “valenza”, mentre quella successiva (ad energie
maggiori) è vuota (banda di “conduzione”) nello stato fondamentale.

Quando avviene l’assorbimento di radiazione incidente nel materiale, si verifica la produzione di una
coppia elettrone-lacuna, ed eventualmente la creazione di uno stato eccitonico (quando l’energia non è
sufficiente a separarli), ossia uno stato legato elettrone/lacuna. Quando l’elettrone e la lacuna si
ricombinano avviene l’emissione del fotone.

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In realtà il processo è più complicato, perché parte dell’energia viene dissipata in vibrazioni reticolari
(fononi).
Poiché l’energia della radiazione incidente è depositata nel cristallo e non negli attivatori, per il
funzionamento dei rivelatori deve avvenire un trasferimento di energia dal cristallo all’attivatore:
questo processo avviene con una certa efficienza, che per NaI(Tl) è del 12% circa.

Vedere le figure 6.3 e 6.4 del testo.

Caratteristiche di un oscillatore inorganico: intensità della luce prodotta, lunghezza d’onda della
luce prodotta, dell’ordine di 400-600 nm. La lunghezza d’onda è importante perché lo scintillatore deve
accoppiarsi nel modo migliore al fototubo che amplifica e rivela la luce.

Dipendenza temporale dell’emissione fotonica:


La legge è analoga a quella di decadimento di una sostanza radioattiva: N(t) = Noe-t/T, dove T è il tempo
di decadimento dello scintillatore, dell’ordine di 0.2-1 µs.

NaI(Tl): il più diffuso scintillatore per raggi γ. Si possono produrre cristalli molto grossi (cilindri di
altezza pari a 25 cm e raggio di base pari a 75 cm). Il materiale ha alta densità (3.67 g/cm3), alto
numero atomico, si producono cristalli di grande volume: conseguentemente il rivelatore è ottimo per i
γ, presentando alte efficienze. In cambio ha scarsa selettività, è igroscopico (e quindi va tenuto
inscatolato), è sensibile a shock termici a gradienti di temperatura.

Scintillatori organici

Composti aromatici (molecole planari composte di anelli benzenici C6H6): toluene, benzene…

CH3

Benzene Toluene

Gli scintillatori organici possono essere unitari, binari o ternari (composti da una, due o tre sostanze
diverse). Se sono liquidi si parla di solvente e soluti. La sostanza con maggiore concentrazione è detta
solvente, le altre sostanze sono detti soluti (primario, secondario.. in base alla concentrazione).

Meccanismo di scintillazione: risultato di transizioni molecolari (vedere i dettagli sul testo).

30
EB1 – EB0 < EA1 – EA0, per cui lo spettro di emissione non coincide con quello di assorbimento.

Tempo di decadimento: T pari a circa 10 ns. Adatto per misure di temporizzazione. Per gli inorganici
era 10-6 s.

Scintillatori organici cristallini: antracene… Non è necessario attivatore, anzi il materiale dev’essere
il più puro possibile. E’ il più efficiente degli scintillatori organici, ma solo 1/3 dell’efficienza del
NaI(Tl).

Scintillatori organici liquidi: in generale del tipo solvente + soluti. L’energia è depositata nel solvente
quasi totalmente ma la luminescenza dipende dal soluto. Avviene quindi un trasferimento di energia dal
solvente al soluto. Il secondo soluto, se presente, ha la funzione di shifter di lunghezza d’onda per
migliorare l’accoppiamento con il fotomoltiplicatore. Si possono realizzare grandi volumi, utili in caso
di attività bassa dei radioelementi, per la rivelazione di raggi cosmici… Si può sciogliere la sorgente
nello scintillatore, realizzando così geometrie a 4π (alta efficienza).

Scintillatori organici plastici: soluzioni solide (non hanno bisogno di contenitore). Si possono
costruire di qualunque forma (fili, fogli); sono fatti da un solvente e uno o più soluti. Esempio:
Polystirene.

Scintillatori gassosi

Gas nobili miscelati. Emettono in UV, per cui si aggiungono altri gas (N) come λ shifter, oppure si
depositano materiali opportuni sulle pareti del contenitore. Tempi brevissimi di decadimento; basati su
transizioni atomiche. Bassa efficienza per i γ, indipendenza da massa o carica delle particelle; usati per
α e altre particelle pesanti.

I tubi fotomoltiplicatori

Paragrafo 6.6 del riferimento [9].

31
Amplificatori veloci: in tempi di 10 ns amplifica un impulso prodotto dalla luce incidente, di un fattore
106. E’ composto di un tubo a vuoto che racchiude: un fotocatodo, un anodo, un certo numero di
“dinodi” (<= 15).

Sensibilità spettrale: è importante che la sensibilità spettrale coincida con la λ di emissione dello
scintillatore.

Dark current: elettroni emessi per effetto termoionicodal catodo, ma in misura minore anche dai
dinodi e dalle pareti. Soluzione: raffreddamento.

Meccanismo di moltiplicazione degli elettroni. (vedere sul testo!)

32
7. Rivelatori a semiconduttore
(Seguire sul testo, medesimo riferimento 9).

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Appendice A: Unità di misura
Attività di una sorgente:
Con attività di una sorgente radioattiva si intende il numero di disintegrazioni nucleari (decadimenti)
che essa subisce in un dato intervallo di tempo.
L'unità di misura del Sistema Internazionale (SI) è il Becquerel (Bq) pari ad una disintegrazione al
secondo. Il Curie (CI) è l'unità vecchia e corrisponde a 3.7*1010 disintegrazioni al secondo (circa
uguale alla attività di 1g di radio).

Dose assorbita e dose assorbita efficace


Con dose assorbita si intende l'energia depositata dalle radiazioni in una massa di riferimento.
L'unità di misura è il Gray (Gy) pari ad 1 joule per ogni Kg di massa. Sostituisce il rad pari a 100 erg
per ogni grammo di materia.
Dovendo però tenere conto e della qualità delle radiazioni e dei diversi organi o tessuti colpiti si
preferisce usare una grandezza derivata dalla precedente dose assorbita, denominata dose assorbita
efficace la cui unità di misura nel SI è il Sievert (Sv) che è la dose in Gray moltiplicata per un fattore di
qualità che varia da 1 per i raggi X e gamma a 20 per gli ioni pesanti (per i raggi alfa vale 10).
Si stima che l'esposizione a 4/5 Sv provoca la morte del 50 % dei soggetti esposti nell'arco di 2 mesi,
l'esposizione a 50 Sv entro 2 settimane, oltre i 5 KSv nell'arco di due giorni.

Il Roentgen (R) è riferito solo a radiazioni gamma (o X).ed è definito come la quantità di radiazione
che produce in un campione di aria di 1ml a 0°C e 1 atm, una quantità di ioni corrispondente ad una
carica elettrica di 1 ues. Poiché la carica elettrica è 4,8*10-10ues, 1 R corrisponde a 2.1*109 ioni con
singola carica. Una radiografia equivale a circa 500 mR.

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Unità di misura
UNITÀ
UNITÀ FATTORI DI
DEFINIZIONE DI DESCRIZIONE
PRECEDENTE CONVERSIONE
MISURA
numero di
Becquerel Una da Ci a Bq 3,7*10 1 0
disintegrazioni
Attività disintegrazione Curie (Ci)
(decadimento) al
(Bq) al secondo da Bq a Ci 2,7*10 - 1 1
secondo
energia ceduta Gray
Dose
alla massa J*kg rad 1 Gy = 100 rad
assorbita
unitaria (Gy)
dose assorbita
da tessuti
Dose Sievert
viventi con la
assorbita J * kg rem 1 Sv = 100 rem
stessa efficacia
efficace (Sv)
biologica di 1
Gy di raggi X
carica elettrica
Dose di
prodotta in un Coulomb
esposizione C / kg roentgen (R) 1 C/kg = 3.876 R
kg di aria da un / kg
ai γ
fascio di fotoni

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Bibliografia
1. ANDREA LOI: Strumenti per il laboratorio didattico costruiti dallo studente: progettazione e
realizzazione di un contatore Geiger-Müller.
2. CLAUDIO OLEARI: Schede di radioattività/vuoto/…dal Laboratorio di Fisica (raccolte da
Andrea Peri)
3. Sito web www.ct.infn.it/~rivel/Tipi/Ioniz/riv-gas.html
4. Piero Corvisiero: materiale didattico da www.ge.infn.it/~corvi/
5. Ilaria Cordevole e Claudia Giusto: IL RADON, L’AMBIENTE E L’UOMO (SIS, 2001/2002)
6. GEOEX sas: Guida al Radon nelle abitazioni
7. Sito web www.radon.it
8. Sito web fisica.cib.na.cnr.it/INTRODUZIONE.htm
9. Nicholas Tsoulfanidis, “Measurement and detection of radiation”, second edition, Taylor &
Francis

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