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LXXIV
CENTRO
DI ANTICHITÀ
ALTOADRIATICHE
CASA BERTOLI
AQVILEIA
Diario ............................................................................................................ p. 9
Introduzione ai lavori .................................................................................... » 11
Studi
Ludovico Rebaudo, Il gruppo dei Tetrarchi: una lettura del reimpiego .... » 147
7
Fabrizio Bisconti, Matteo Braconi, Il riuso delle immagini in età tardo-
antica: l’esempio del Buon Pastore dall’abito singolare ............................... p. 229
Poster
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Francesca Morandini
1 Sul monastero in generale si vedano da ultimi San Salvatore-Santa Giulia 2001 e I Longobardi in
Italia. I luoghi del potere 2010.
2 Ulteriori ricerche 2010.
3 Per le domus si veda da ultimo Dalle domus alla corte regia 2005 e Morandini 2009.
4 Bonini 1992.
5 Panazza 2001.
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Francesca Morandini
mi sono occupata delle lastre di sarcofago reimpiegate nel pavimento della chiesa di San
Salvatore in occasione di un rinvenimento del 1998 6. Attualmente è in corso lo studio di
tutto il materiale reimpiegato in Santa Giulia, in vista dell’edizione monografica dedicata
al monastero 7.
In questo contributo si propone una sistematizzazione preliminare dei dati disponibili
allo stato attuale delle conoscenze, come premessa per tentare di riassumere le caratteri-
stiche dei pezzi reimpiegati e per verificare la possibilità di individuare i criteri che hanno
determinato questo abbondante utilizzo di pietre antiche nelle strutture del monastero di
Santa Giulia. La notevole quantità di materiale va senz’altro messa in relazione con la pre-
senza del quartiere romano di cui si è detto e con la zona di necropoli orientali dell’antica
Brixia, poco distante dal monastero, esterna alle mura lungo la via per Verona; restano
tuttavia da comprendere le modalità di questo utilizzo anche in relazione con le fasi crono-
logiche del complesso monumentale.
Per facilitare la sintesi e le relative considerazione vengono seguite per semplifica-
zione le principali fasi edilizie del monastero sopradescritte, e cioé la fase altomedievale,
quella bassomedievale e, infine, quella rinascimentale, precedute a titolo di premessa dai
primi casi di riutilizzo, databili all’età gota.
Pur non esistendo ancora alcuna struttura relativa al monastero, si ritiene opportuno
segnalare la presenza del fenomeno del reimpiego anche nelle fasi insediative ad esso pre-
cedenti, evidentemente ben allineate con una prassi analogamente diffusa in numerosi altri
siti e pienamente giustificata dalla monumentalità delle preesistenze classiche nell’area, nel
raggio di poche centinaia di metri (fig. 1).
Sul quartiere romano rovinato e parzialmente abbandonato, si insediano i Goti, giunti
in città alla fine del V secolo d.C.; utilizzano i muri affioranti delle antiche domus per defi-
nire piccole unità residenziali, in alcuni casi anche i pavimenti a mosaico superstiti e non
ancora coperti dagli scarichi e dai livelli di abbandono. La stessa dinamica si verifica con
i primi gruppi di Longobardi giunti a Brescia, che con tramezze lignee sostenute da pali
suddividono gli ampi vani delle antiche dimore 8. Per uso meramente edilizio (latrine, piani
di focolari) viene ampiamente utilizzato materiale funerario (iscrizioni, lastre di sarcofago)
(figg. 2-3), la cui origine primaria è senza dubbio da rintracciare nelle vicine necropoli,
immediatamente esterne alle mura urbiche verso est (che coincidono in questo tratto con il
muro perimetrale del monastero di Santa Giulia), lungo l’arteria viaria per Verona 9.
Il fenomeno è pienamente giustificato dall’arrivo di questi nuovi gruppi, dal loro
impatto con una città per buona parte collassata ma ancora affiorante in alcune zone, con
spazi promiscui all’interno di quanto poteva restare delle mura. A questo si aggiunge l’as-
senza di altre risorse per l’approvvigionamento di materiali – quali cave, ad esempio – e
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Marmi antichi nel monastero di Santa Giulia a Brescia
Fig. 1. Materiali reimpiegati nei livelli dell’insediamento di età gota e del primo insediamento dei
Longobardi (seconda metà del VI secolo d. C.). Il simbolo vuoto indica l’utilizzo dei materiali con una
funzione diversa da quella originaria.
Fig. 2. Ara pulvinata romana utilizzata in una latrina
di età gota.
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Francesca Morandini
nello stesso tempo grande abbondanza di materiale lapideo e a vista dalla vicina area pub-
blica, dalle necropoli orientali e dalle domus.
La fase longobarda è per Santa Giulia una delle più significative (fig. 4). Desiderio,
duca di Brescia e poi ultimo re del popolo longobardo, fondò nel 753 d.C. il monastero e
promosse l’edificazione della chiesa che si vede a tutt’oggi, conferendo ad essa il ruolo
di mausoleo della famiglia regnante, esprimendone l’importanza attraverso un utilizzo
diffuso di materiali ricchi, quali il marmo, e una decorazione integrata di affresco, stucco
e inserti vitrei presente su buona parte delle superfici interne. L’ornamento della basilica
si pone in rapporto dialettico con l’antico e la tradizione classica, richiamata con evidenza
dall’impiego di colonne e capitelli antichi, integrati con altri realizzati dai Longobardi
stessi. All’interno della chiesa il reimpiego degli elementi architettonici è studiato e l’im-
paginazione – in origine simmetrica, poi alterata dalla costruzione della torre campanaria
Fig. 4. Materiali reimpiegati nella fase desideriana del monastero di Santa Giulia. Il simbolo pieno indica
l’utilizzo dei materiali con una funzione identica a quella originaria.
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Marmi antichi nel monastero di Santa Giulia a Brescia
Fig. 5. Colonne e capitelli reimpiegati nella basili- Fig. 6. Colonne e capitelli reimpiegati nella basili-
ca di San Salvatore. ca di San Salvatore.
nel 1500 e dall’apertura di tre cappelle nel lato settentrionale –, doveva conferire solennità
alle navate della basilica desideriana 10.
In particolare sono riutilizzati capitelli e colonne riconducibili a epoca classica;
due colonne in granito, capitelli di foggia corinzia in prossimità del presbiterio databili
all’età tardoantica e due capitelli imposta a traforo della metà del VI secolo d.C. 11 (figg.
5-6). Tutti i materiali noti vengono reimpiegati replicando la loro funzione architettonica
originaria senza interventi specifici per adattamenti, se non dimensionali, o per facilitare
gli ammorsamenti con il resto del costrutto monumentale; inoltre le superfici decorate
vengono messe ben in evidenza anche nella nuova collocazione, che ne enfatizza le carat-
teristiche ornamentali.
Diverse le ipotesi in merito alla provenienza di questi materiali; le colonne in granito
potevano far parte in origine di altri edifici pubblici di età romana come, ad esempio, i
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Francesca Morandini
portici del foro 12. L’abbondanza di marmo proconnesio, che si riflette anche nella succes-
siva età bassomedievale, lascia immaginare l’approvviginamento diretto in un deposito
ravennate di marmi, legato alle rotte commericali marittime di questa tipologia di merci
da mettere in relazione con la conquista di Ravenna da parte di Astolfo nel 751; per i
Longobardi il ricorso a spolia ravennati evocava Roma e l’autorità imperiale, visti come
modello e forte strumento di autolegittimazione e affermazione di continuità – o legittima
successione – rispetto all’Impero 13.
In relazione con il ruolo della basilica di San Salvatore di mausoleo della famiglia
regia, da molti è stata avanzata l’ipotesi che le numerose lastre di sarcofago rinvenute reim-
piegate nel pavimento di età romanica della basilica (cfr. infra), rimosso in buona parte nel
1959 e per la parte sudorientale nel 1998, siano da ricondurre alle sepolture dei membri
della famiglia di Desiderio, in primo luogo della regina Ansa; anche queste lastre sarebbero
state importate da Ravenna, importante scalo di età imperiale di manufatti funerari destinati
a soddisfare le esigenze delle classi colte e abbienti dell’Italia settentrionale 14. La sugge-
stione di questa ipotesi non sembra tuttavia trovare riscontro nel panorama delle presenze
di sarcofagi in Ravenna; in questo centro infatti, allo stato attuale delle conoscenze, sono
praticamente assenti le importazioni dall’Attica, che avevano come porto preferenziale
in Adriatico la città di Aquileia, mentre a Ravenna ricorrono prevalentemente i sarcofagi
prodotti in Asia Minore, in particolare quelli a ghirlande 15. Il materiale architettonico fune-
rario, molto probabilmente reimpiegato nell’area del monastero già nelle fasi precedenti,
poteva piuttosto essere stato recuperato agevolmente nelle necropoli orientali di età roma-
na, subito al di fuori delle mura urbiche che segnavano il limite stesso del monastero.
Il periodo che si estende dal XII al XIV secolo è indubbiamente quello che vede il
maggior numero di elementi antichi riutilizzati nelle nuove strutture monastiche, ma con
modalità decisamente diverse dalla fase precedente (fig. 7).
In età bassomedievale il monastero si arricchisce di un nuovo edificio di culto a pianta
centrale, l’oratorio di Santa Maria in Solario, raro esempio di romanico a Brescia, con un
nuovo chiostro orientale annesso. Si tratta di un architettura potente e con poche aperture
verso l’esterno, caratterizzato internamente da due piani, collegati da una scala ricavata
nello spessore del muro settentrionale. Nell’ambiente al livello inferiore veniva custodi-
to il cosiddetto “tesoro del monastero” mentre quello superiore era destinato a cappella
monastica per un uso ristretto alle sole monache 16. La tessitura muraria di questo edificio
12 In granito della troade sono alcune colonne, di cui due riutilizzate nella facciata della chiesa di
Santa Maria della Carità, due all’ingresso del Palazzo del Broletto e sei che vennero acquistate da Gianma-
ria Mazzucchelli per la villa di Ciliverghe (Sacchi 2012, p. 62) .
13 Ibsen c.s, con bibliografia.
14 Bertelli 2000a, p. 308; Bertelli 2000b, p. 525; Brogiolo 2000, p. 491; Mitchell 2000, p.
234.
15 Rebecchi 1978, p. 220 e passim; Koch, Sichtermann 1982, pp. 281-282, 285, 468-469. Anche
nel volume del Corpus dedicato ai sarcofagi ravennati è possibile notare come gli attici non siano assoluta-
mente presenti tra i rinvenimenti nella città adriatica (Kollwitz, Herdejürgen 1979).
16 Breda 2001, in part. pp. 145-146; Frati 2001.
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Marmi antichi nel monastero di Santa Giulia a Brescia
è decisamente particolare, dal momento che in essa, soprattutto nel prospetto meridionale,
nel tamburo sommitale ma anche negli spazi interni, sono stati utilizzati numerosi elementi
lapidei di reimpiego.
Internamente l’architettura prende forma da un’ara posta al centro dell’aula inferiore,
con dedica DEO SOLI. L’ara è intatta, non è stata scalpellata, con lo specchio epigrafico
iscritto rivolto verso il lato opposto alla porta (fig. 8). Altro reimpiego visibile è la cornice
antica riutilizzata come architrave della porta di sbocco della scaletta al piano superiore,
con un uso decorativo dichiarato. Sono poi riutilizzate altre iscrizioni frammentarie ma non
visibili, impiegate come materiale costruttivo.
Più evidente il reimpiego nei prospetti dell’edificio (fig. 9). Nella muratura sono inse-
riti numerosi blocchi di età classica (iscrizioni, rilievi, are) in apparente disordine e in una
posizione che non corrisponde all’uso originario. Alcuni blocchi inoltre vennero rimossi
in età rinascimentale, in quanto ritenuti troppo pregiati per poter rimanere esposti agli
agenti atmosferici, sostituiti da altri non decorati 17. Nel tamburo ottagonale che sorregge
17 Si veda ad esempio la lastra funeraria con grifone a rilievo, rimossa nel Seicento (Panazza 2001,
p. 397). Pierfabio Panazza sottolinea la volontà dei costruttori di garantire, nella potenza di questa mura-
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Francesca Morandini
tura, la riconoscibilità dei pezzi antichi, soprattutto nel prospetto meridionale, pur nell’annullamento della
loro funzione originaria, in rispetto dell’auctoritas di cui erano simbolo (Panazza 2001, pp. 397-398).
18 Breda 2001, p. 144.
19 Morandini 2001, pp. 403-408.
20 Morandini 2007.
21 Il futuro dei Longobardi 2000.
22 Per il catalogo completo si veda Morandini c.s.
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Marmi antichi nel monastero di Santa Giulia a Brescia
Fig. 9. Prospetto meridionale di Santa Maria in Solario con il rilievo degli elementi lapidei.
rilievo, riconducibili ad un ambone presente all’interno della chiesa longobarda (fig. 12).
Secondo alcuni studiosi, quali ad esempio Gianpietro Brogiolo e Carlo Bertelli, i
sarcofagi rinvenuti in frammenti nel pavimento della chiesa erano già presenti nel mona-
stero, reimpiegati nella fase precedente – più precisamente nella chiesa desideriana –, per
sepolture di rango, giunti a Brescia dopo la presa di Ravenna 23. A questa ipotesi trovo
opportuno affiancarne un’altra, secondo la quale, come anticipato supra, questo materiale
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Francesca Morandini
funerario poteva essere già stato riutilizzato nell’area di Santa Giulia, recuperato nelle aree
necropolari della città romana, immediatamente al di fuori delle mura urbiche, che costi-
tuivano anche il confine verso est del monastero. Nelle necropoli di età romana della città
non dovevano certo mancare sepolture importanti, soprattutto nel periodo medio e tardo
imperiale, al quale si datano i frammenti di sarcofagi ritrovati 24.
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Marmi antichi nel monastero di Santa Giulia a Brescia
In età veneta sorgono nel complesso monumentale nuovi e imponenti edifici. Il Coro
delle monache, a ridosso di San Salvatore, a discapito dell’antico sagrato della chiesa e di
eventuali chiostri o portici ad essa afferenti, la Chiesa di Santa Giulia e il chiostro setten-
trionale; viene inoltre ristrutturato il chiostro sudorientale 25.
I casi noti di reimpiego sono costituiti prevalentemente da elementi architettonici
(capitelli e colonne) riutilizzati nei chiostri occidentale e sudorientale; si tratta soprattutto
di materiale altomedievale, già reimpiegato in altri edifici del monastero, come dimostrano
gli aspetti formali e le tracce di precedenti utilizzi. Gli unici elementi architettonici di età
romana sono due rocchi di colonna reimpiegati negli ambienti seminterrati del chiostro
nord.
Alcune epigrafi sono state reimpiegate sia come materiale da costruzione, capovolto
o occultato nell’opera muraria, sia a vista, ad esempio come acquasantiera (oggi rimossa)
nella chiesa di Santa Giulia (fig. 13).
Fig. 13. Materiali reimpiegati nelle fasi rinascimentali del monastero di Santa Giulia.
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Francesca Morandini
Considerazioni complessive
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Marmi antichi nel monastero di Santa Giulia a Brescia
chiesa di San Salvatore si riutilizzano materiali architettonici della prima chiesa 26, così
come nel chiostro rinascimentale si riutilizzano elementi architettonici di un chiostro
precedente, distrutto per far posto nel XVI secolo al Coro delle monache e alla chiesa di
Santa Giulia.
Per mantener fede agli obbiettivi proposti in apertura di questo lavoro preliminare,
è opportuno valutare nello specifico le
modalità di reimpiego riscontrate, in
relazione con i principali periodi di vita
del monastero. architettonico
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Francesca Morandini
storiche e storicoartistiche della più recente storiografia, è stato infatti riconosciuto il ruolo
dei Longobardi come tessuto connettivo tra l’eredità classica e i periodi successivi, messo
in evidenza anche grazie all’edilizia religiosa monumentale, che utilizza e nello stesso
tempo emula elementi architettonici e decorativi di età romana, armonizzandoli in edifici
dai quali emerge un lessico ancorato alla tradizione mediterranea ma nello stesso tempo
originale, nel quale il bagaglio decorativo e formale di questo popolo si fonde con l’eredità
classica 29.
In età romanica, momento nel quale il monastero ebbe – come si è detto – un forte
impulso edilizio, vengono ampiamente utilizzati materiali già presenti in loco (come evi-
denzia l’elevato numero di elementi architettonici altomedievali), con scopo sia costruttivo
sia decorativo. Le fabbriche preesistenti all’interno del monastero, probabilmente biso-
gnose di manutenzione, vengono parzialmente spoliate e demolite per trarne materiale
edilizio, indipendentemente dalla funzione originaria del pezzo o dalla ricercatezza della
decorazione che lo riveste. In quelle di nuova costruzione invece (ad esempio Santa Maria
in Solario) i pezzi antichi sono armonizzati nella tessitura muraria.
Sebbene in età rinascimentale si verifichi il massimo impegno architettonico con
l’edificazione di nuove strutture nel monastero, tuttavia il reimpiego di materiali antichi
cala, seppure in lieve misura, e il fenomeno di reimpiego di materiali antichi è più evidente
in altre fabbriche di età veneta sicuramente di più ampia visibilità rispetto al monastero
quali, ad esempio, i palazzi pubblici che si andavano edificando sul lato meridionale di
piazza della Loggia 30.
Bibliografia
Belotti 2001 = G. Belotti, Il monastero dalla riforma cassinese al XVI secolo, San Salvatore-Santa
Giulia 2001, pp. 169-191.
Bertelli 2000a = C. Bertelli, Roma e i Longobardi nella crisi iconoclastica, in Il futuro dei Longobardi
2000, pp. 303-309.
Bertelli 2000b = C. Bertelli, Sarcofagi da San Salvatore, in Il futuro dei Longobardi 2000, p. 525.
Bezzi Martini 1987 = L. Bezzi Martini, Necropoli e tombe romane di Brescia e dintorni, Brescia.
Bonini 1992 = A. Bonini, Cenni preliminari sul reimpiego di alcune epigrafe romane negli edifici sacri
di Brescia nei secoli tra il XII ed il XV, «Dai Civici Musei d’Arte e Storia di Brescia. Studi e
notizie», 4, pp. 91-100.
Breda 2001 = A. Breda, Strutture architettoniche e fonti scritte, in San Salvatore-Santa Giulia 2001, pp.
133-149.
Brogiolo 2000 = G. P. Brogiolo, La chiesa di San Salvatore in Brescia, in Il futuro dei Longobardi
2000, pp. 490-492.
Brogiolo 2005 = G. P. Brogiolo, La sequenza del periodo III di Santa Giulia nel contesto di Brescia, in
Dalle domus alla Corte Regia 2005, pp. 411-422.
Dalle domus alla Corte Regia 2005 = Dalle domus alla Corte Regia. Santa Giulia di Brescia. Gli scavi
dal 1980 al 1992, a cura di G. P. Brogiolo, F. Rossi e F. Morandini, Firenze.
tore a Spoleto (PG), la Chiesa di Santa Sofia a Benevento e, infine, il Santuario Garganico di San Michele
a Monte Sant’Angelo (FG).
29 I Longobardi in Italia. I luoghi del potere 2010.
30 Passamani 1978; Morandini 2006.
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Marmi antichi nel monastero di Santa Giulia a Brescia
Frati 2001 = V. Frati, La chiesa di Santa Maria in Solario, in San Salvatore-Santa Giulia 2001, p.150.
Koch, Sichtermann 1982 = G. Koch, H. Sichtermann, Römische Sarkophage, München.
Kollwitz, Herdejürgen 1979 = J. Kollwitz, H. Herdejürgen, Die antiken Sarkophagreliefs, 8. Die
Sarkophage der westlischen Gebiete des Imperium Romanum, 2. Die ravennatischen Sarkophage,
Berlin.
Ibsen c.s. = M. Ibsen, Sistemi decorativi nella basilica di Desiderio, in Dalla corte regia al monastero di
San Sanlvatore, a cura di G.P. Brogiolo, Mantova.
Il futuro dei Longobardi 2000 = Il futuro dei Longobardi. L’Italia e la costruzione dell’Europa di Carlo
Magno, Catalogo della mostra (18 giugno - 19 novembre 2000, Brescia, Monastero di Santa
Giulia), a cura di C. Bertelli e G. P. Brogiolo, Brescia.
I Longobardi in Italia. I luoghi del potere 2010 = I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d.C.),
dossier di candidatura per la Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.
I portici del foro 2012 = I portici del foro di Brescia, a cura di F. Sacchi, A. Dell’Acqua, R. Bugini
e L. Folli, in Divus Vespasianus (Pomeriggio di studio per il “Bimillenario della nascita di
T. Flavio Vespasiano imperatore romano”, Brescia, 8 dicembre 2009), a cura di F. Morandini e
P. F. Panazza, Brescia, pp. 55-81.
La vita dietro le cose 2004 = La vita dietro le cose. Riflessioni su alcuni corredi funerari da Brixia, a cura
di F. Rossi, Milano.
Mitchell 2000 = J. Mitchell, L’arte nelle corti dell’VIII secolo, in Il futuro dei Longobardi 2000, pp.
233-235.
Morandini 2000 = F. Morandini, Osservazioni su quattro sarcofagi inediti dal monastero di Santa Giulia
in Brescia, «Quaderni di archeologia del Veneto», 16, pp. 184-190.
Morandini 2001 = F. Morandini, Sarcofagi romani reimpiegati nel monastero di Santa Giulia, in San
Salvatore-Santa Giulia 2001, pp. 403-409.
Morandini 2004 = F. Morandini, Immagini greche per sarcofagi di prestigio, in La vita dietro le cose
2004, pp. 10-12.
Morandini 2006 = F. Morandini, Il lapidario di Piazza della Loggia a Brescia, Brescia.
Morandini 2007 = F. Morandini, Frammenti di sarcofagi dalla chiesa di San Salvatore di Brescia, in
Akten des Symposiums des Sarkophag-Corpus 2001 (Marburg, 2-7 luglio 2001), a cura di G.
Koch, pp. 37-42, Taff. 19-21, Mainz am Rhein.
Morandini 2009 = F. Morandini, Presso il foro e lungo le pendici del colle. Abitare a Brescia in età
romana, in Intra illa moenia domus ac penates (Liv. 2, 40, 7). Il tessuto abitativo nelle città romane
della cilsapina, Atti delle giornate di studio (Padova, 10-11 aprile 2008), «Antenor», Quaderni, 14,
a cura di M. Annibaletto e F. Ghedini, Padova, pp. 161-174.
Morandini c.s = F. Morandini, La presenza dell’antico nelle strutture del monastero, in Dalla corte regia
al monastero di San Salvatore, a cura di G. P. Brogiolo, Mantova, in corso di stampa.
Panazza 2000a = P. F. Panazza, Lastra trapezoidale con pavone in marmo proconnesio, cat. n. 479, in Il
futuro dei Longobardi 2000, p. 521.
Panazza 2000b = P. F. Panazza, Due frammenti di lastra trapezoidale con pavone in marmo proconnesio,
cat. n. 480, in Il futuro dei Longobardi 2000, pp. 521-522.
Panazza 2001= P. F. Panazza, Il reimpiego dei materiali, in San Salvatore-Santa Giulia 2001, pp. 395-
401.
Passamani 1979 = B. Passamani, La coscienza della romanità e gli studi antiquari tra Umanesimo e
Neoclassicismo, in Brescia romana. Materiali per un museo, II, Brescia, pp. 5-17.
Rebecchi 1978 = F. Rebecchi, I sarcofagi romani dell’arco Adriatico, «Antichità Altoadriatiche», 13, pp.
201-258.
San Salvatore-Santa Giulia 2001 = San Salvatore-Santa Giulia. Un monastero nella storia, a cura di
R. Stradiotti, Milano-Ginevra.
Settis 1986 = S. Settis, Continuità, distanza, conoscenza, Tre usi dell’antico, in Memoria dell’antico
nell’arte italiana, a cura di S. Settis, vol. III, Dalla tradizione all’archeologia, Torino, pp. 373-
486.
Ulteriori ricerche 2010 = Ulteriori ricerche sul San Salvatore II di Brescia, a cura di G. P. Brogiolo,
M. Ibsen, V. Gheroldi e J. Mitchell, «Hortus artium medievalium», 16, pp. 209-232.
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