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António Rosa Damásio è un neurologo, neuroscienziato, psicologo e saggista

portoghese.

Stralcio dal libro: Self Comes to Mind Constructing the Conscious Brain

Pag. 59
RESTARE VIVI
Che cosa occorre perché una cellula si mantenga in vita?
Molto semplicemente: una buona manutenzione e buone relazioni esterne.
Ciò significa saper affrontare in modo efficace la miriade di problemi posti dalla vita.
Tanto in una cellula singola, quanto in grandi creature il cui organismo ne conta
milioni di miliardi, la vita necessita della trasformazione di nutrienti adatti in energia, il
che, a sua volta, richiede la capacità di risolvere numerosi problemi: in primo luogo,
trovare i prodotti da cui ricavare energia; e poi introdurli nell’organismo, convertirli in
ATP (la valuta energetica universale), eliminare le scorie e usare l’energia per
qualsiasi processo occorra espletare al fine di perpetuare questa routine: trovare ciò
che serve, incorporarlo, e così via. Ecco i problemi cui deve far fronte un’umile cellula:
procurarsi il nutrimento, consumarlo, digerirlo e fare in modo che esso garantisca la
necessaria fornitura di energia.

Se i meccanismi di gestione della vita sono così essenziali è perché la vita è difficile: si
tratta infatti di uno stato precario, reso possibile solo quando, nell’organismo, viene
simultaneamente soddisfatto un gran numero di condizioni.
In organismi come il nostro, per esempio, le quantità di ossigeno e di CO2 possono
variare solo all’interno di intervalli ristretti, come pure l’acidità (il pH) del mezzo in cui
le diverse molecole si spostano da una cellula all’altra. Lo stesso vale per la
temperatura, delle cui variazioni siamo profondamente consapevoli quando abbiamo la
febbre oppure, più spesso, quando ci lamentiamo del clima troppo caldo o troppo
freddo; e vale anche per la quantità di nutrienti fondamentali: zuccheri, grassi e
proteine , presenti nel sangue circolante.
Ogni volta che queste variabili si discostano da quello stretto intervallo virtuoso, ci
sentiamo a disagio e se passa molto tempo senza che interveniamo per rimediare,
subentra l’agitazione.
Questi stati mentali e questi comportamenti ci segnalano che le ferree leggi della
regolazione della vita sono state violate; sono sollecitazioni dirette a mente e
coscienza, provenienti dai territori dei processi non coscienti: sollecitazioni che ci
chiedono di trovare soluzioni ragionevoli a una situazione non più gestibile con
dispositivi automatici fuori dàl controllo della coscienza.

Quando si misurano tutti quei parametri attribuendo loro dei numeri, si scopre che
l’intervallo all’interno del quale essi normalmente variano è estremamente ristretto.
In altre parole, la vita impone che l’organismo conservi a ogni costo, nel proprio
dinamico paesaggio interno, letteralmente decine e decine di parametri entro i loro
relativi intervalli. Tutte le operazioni di gestione cui ho accennato prima - procurarsi le
fonti di energia, incorporare e trasformare i prodotti energetici, eccetera -mirano a
mantenere i parametri chimici dell’organismo (il milieu interno) entro quell’intervallo
magico, compatibile con la vita, detto omeostatico; il processo grazie al quale si
raggiunge questo equilibrio è detto omeostasi. Questi termini non troppo eleganti
furono coniati nel Novecento dal fisiologo Walter Cannon, il quale aveva approfondito
ed esteso le scoperte di Claude Bernard, biologo francese del secolo precedente;
questi aveva coniato un’espressione più bella - milieu intérieur (ambiente/mezzo
interno) - per indicare il brodo chimico in cui la lotta per la vita, per quanto
inaccessibile alla vista, ha ininterrottamente luogo.
Sebbene gli elementi essenziali della regolazione dei processi vitali (regolazione che
coincide con il processo dell’omeostasi) siano ormai noti da più di un secolo e vengano
quotidianamente applicati in biologia generale e in medicina, il loro significato più
profondo, in termini di neurobiologia e di psicologia, non è stato ancora apprezzato.

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