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LE GRANDI
FIABE RUSSE
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C'era una volta un giovanotto di nome Ivan che, alla morte del
padre, sperperò in pochi mesi tutto il patrimonio di famiglia
restando povero in canna. Un suo ricco zio si impietosì e gli offrì
di lavorare con lui che faceva il mercante.
Il primo viaggio insieme i due lo fecero per nave fino a un
lontano regno. Non appena sbarcato nel porto, lo zio disse a Ivan:
— Eccoti cento rubli in regalo. Compraci le merci che preferi-
sci: in patria le rivenderai con profitto e ben presto riuscirai a
tornare ricco come un tempo.
Ivan ringraziò e andò al mercato. Di merci ce n'erano di ogni
tipo e prezzo ed erano tante che lui non sapeva proprio che cosa
scegliere. Stava riflettendo quando gli si avvicinò un vecchio.
— Che cosa cerchi, giovanotto? — chiese.
— Buona mercanzia da comprare per cento rubli, nonnetto.
— Dammi quel denaro e in cambio avrai qualcosa che ti farà
felice.
Fiducioso, Ivan consegnò i cento rubli al vecchio e questi lo
guidò ai confini della città, in un grande giardino. Seduta accanto
a una fontana c'era una fanciulla di tale bellezza che non si può
descriverla a parole.
— Ecco la tua mercanzia, giovanotto — disse il vecchio. —
Prendila per mano e portala a casa.
— Che cosa me ne faccio di una fanciulla? — protestò Ivan.
— A me servono merci da rivendere al mio paese per tornare
ricco com'ero un tempo.
— Se è così che la pensi — rispose il vecchio — vattene senza
soldi e senza mercanzia.
E proprio questo fece Ivan, ritornando da suo zio a mani
vuote. Disse che cento rubli erano pochi, che non era riuscito a
comprare niente. E così ne ottenne altri cento. Il giorno seguente
tornò al mercato e si imbatté in un altro vecchio che, per quella
somma, gli promise una mercanzia speciale. Non appena ebbe
ottenuto il denaro, lo condusse nello stesso giardino del giorno
prima, offrendogli la stessa bellissima fanciulla.
Di nuovo Ivan rifiutò: era ben altra la merce che lui desidera-
va, e di nuovo tornò da suo zio a mani vuote affermando che
duecento rubli erano troppo pochi per un acquisto importante. Lo
zio gliene affidò altri cento, raccomandandogli di spenderli bene.
Per la terza volta Ivan tornò al mercato, per la terza volta un
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vecchio gli offrì una mercanzia eccezionale, e per la terza volta si
trovò davanti alla bellissima fanciulla. A questo punto disse:
— Se questo è il mio destino, ti porterò con me, ragazza.
Come ti chiami?
— Natascia. Sono figlia di un re. Un giorno, mentre passeg-
giavo in riva a un fiume, un vecchio mi rapì e mi chiuse nel
giardino dove mi hai trovata. Sono contenta di seguirti.
— E ora, come farò a presentarti a mio zio? — sospirò Ivan.
— Andrà su tutte le furie quando saprà che per te ho sprecato
trecento rubli.
— Vedrai che tutto andrà per il meglio — lo rassicurò Na-
tascia.
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Lo condusse in una casa vicina e cominciò a tessere un tappeto
che di così splendidi nessuno ne aveva mai visti. Quando ebbe
finito disse a Ivan:
— Portalo al mercato e se qualcuno chiede di comprarlo digli
che non vuoi denaro ma solo tanto vino da ubriacarti.
Ivan obbedì. Trovò un compratore, chiese vino in pagamento
e si ubriacò talmente che, non appena uscito dall'osteria, rotolò in
una pozzanghera ricoprendosi di fango. Passava di lì un ricchissi-
mo mercante che, a quello spettacolo, scoppiò a ridere.
— Come sei ridotto, giovanotto! I maiali nel porcile sono più
puliti di te.
— Eppure, se io voglio, una bellissima fanciulla mi bacerà in
fronte! — replicò Ivan, punto sul vivo.
— Non ci credo. Sono pronto a scommettere tutte le mie
ricchezze che nessuna fanciulla, bella o brutta, avrà il coraggio di
baciarti.
Ivan corse a chiamare Natascia e subito Natascia lo baciò non
solo sulla fronte ma anche sul mento e sulle guance. Il mercante
aveva perso la scommessa e dovette cedere tutto il denaro e le
pietre preziose che possedeva. Allora la bella Natascia disse a
Ivan:
— Cerca dei muratori e ordina loro di impastare dei mattoni
con dentro le pietre preziose del mercante. Non appena pronti, li
porterai a tuo zio.
E anche questa volta Ivan obbedì.
Suo zio, vedendolo arrivare con quel carico voluminoso, gli
chiese:
— Che tipo di merce hai comprato, figliolo?
— Mattoni, zio.
— Ma di mattoni ce ne sono a bizzeffe anche nel nostro paese,
sciocco, a che ti serve portarli da tanto lontano? Ho capito, non
diventerai mai un buon mercante! Fai caricare quella robaccia
sulla nave, è ora di ripartire.
Mentre i marinai sistemavano i mattoni nella stiva, Ivan corse
a prendere Natascia e la fece imbarcare di nascosto. La nave salpò
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e, con i venti favorevoli, compì il viaggio di ritorno in poche
settimane. Siccome la legge imponeva a tutti i mercanti che rien-
travano da paesi lontani di regalare qualcosa allo zar, Ivan
preparò su un vassoio d'oro una mezza dozzina di mattoni. Suo
zio, che aveva scelto come dono un prezioso broccato, inorridì.
— Mattoni per lo zar? Incredibile! Rischi di perdere la tua
testa, figliolo!
— Caro zio, io porto la mercanzia che ho — rispose Ivan.
Quando lo zar ricevette quello strano dono, spalancò tanto
d'occhi per la sorpresa e non aveva l'aria per niente soddisfatta.
Allora Ivan lo pregò di spezzare i mattoni. Lui lo fece e compar-
vero delle pietre preziose così grosse e splendide che illuminarono
la sala del trono di mille bagliori.
— Non ho mai visto prima d'oggi delle gemme così belle! —
esclamò lo zar. E aggiunse: — Per dimostrarti quanto le apprezzi,
giovanotto, ti permetto di stabilirti nel punto migliore della città e
di commerciare senza mai dover pagare né imposte né tasse.
Ivan trovò un negozio che faceva al caso suo vicino a palazzo
reale, nel punto migliore della città, e cominciò a vendere e
comprare di tutto con tanto acume che in breve tempo diventò
ricco sfondato. Ora che non aveva più problemi per il futuro,
pensò che era giunto il momento di sposare Natascia, alloggiata in
una casa vicino alle mura, e mandò un messaggero al re suo padre
per ottenere il consenso alle nozze. Ma Sua Maestà, quando
seppe che l'aspirante alla mano di sua figlia era un mercante, sia
pure ricchissimo, quel consenso non volle darlo. Rimandò indie-
tro il messaggero con delle scuse per prendere tempo, poi, un
giorno, profittando dell'assenza di Ivan, partito per affari, fece
rapire Natascia per ricondurla in patria.
Quando Ivan tornò e scoprì l'accaduto, dapprima pianse e si
disperò, poi decise di andare a riprendersi la fidanzata. Cammina,
cammina, la strada era lunga, i disagi da affrontare moltissimi:
fame, freddo, stanchezza.
Una sera, in un sentiero di campagna, si imbatté in un
vecchio.
— Dove vai, giovanotto?
— Alla ricerca della bella Natascia. Volevo sposarla, ma il re
suo padre me l'ha rapita.
— Tardi ti mettesti in cammino. Natascia la bella è già
stata promessa in sposa a un principe. Ma forse posso aiutarti,
verrò con te.
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Cammina, cammina, i due giunsero nella capitale e si intrufo-
larono nei giardini reali. Il vecchio si fermò sotto un melo e disse a
Ivan:
— Tra poco Natascia la bella scenderà qui a passeggiare:
potrai vederla, parlarle e rapirla a tua volta. Se, mentre aspetti,
da questo albero cadono delle mele, non raccoglierle e non man-
giarle, altrimenti ti addormenterai di un sonno profondo e non
riuscirai a combinare niente.
— Non ne mangerò, prometto e giuro.
Poco dopo si alzò il vento e cominciarono a cadere a terra
delle mele. Erano così grosse, succose e profumate, che Ivan
dimenticò l'avvertimento del vecchio e ne addentò una. Non finì
neanche di mangiarla che gli cadde addosso un sonno terribile e
quando Natascia scese in giardino e lo vide, non riuscì a svegliar-
lo, nonostante lo chiamasse, lo scuotesse. Allora, disperata, scris-
se un biglietto:
"Addio per sempre, Ivan, domani sposerò un principe".
Ivan si svegliò solo la mattina seguente, lesse il biglietto e
scoppiò in lacrime. Piangeva ancora quando arrivò il vecchio che
lo rimproverò con severità.
— Non mi hai obbedito e ti sei perduto. Ma forse si può
ancora rimediare. Corri a cercare un pezzo di legno liscio.
Ivan corse, trovò il legno e lo portò al vecchio che in quattro e
quattr'otto ci fabbricò un bel violino.
— E ora — disse — andiamo in città.
Nella piazza principale il vecchio impugnò lo strumento e
cominciò a suonare. Suonava delle melodie così belle, così belle,
che subito si radunò una gran folla. E tutti ascoltavano, incantati.
La notizia che in città c'era un violinista straordinario giunse
alle orecchie del re. E subito il sovrano pensò che un musicista
così bravo era proprio quello che ci voleva per rallegrare il matri-
monio di sua figlia e così ordinò che venisse convocato a corte.
Un messaggero corse in piazza, trovò il vecchio e gli comunicò
che il re lo voleva perché suonasse durante le nozze.
— Vengo subito — disse il vecchio.
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Poi in fretta si spogliò, ordinò a Ivan di vestire i suoi panni e g
dette il violino.
— Vai tu al posto mio, figliolo.
— Ma io non so suonare! — protestò Ivan.
— Non importa: muovi l'archetto e il violino suonerà d
solo.
Ivan andò alla reggia. Tutto era pronto per il matrimonio e le
sale traboccavano di invitati, i tavoli si curvavano sotto montagne
di cibi squisiti. Natascia era seduta accanto al promesso sposo ed
aveva un'aria triste e infelice.
Ivan impugnò l'archetto e cominciò a muoverlo. Dal violino si
sprigionò una musica lenta, così dolce e bella che tutti gli invitati
smisero di parlare e di ridere per ascoltarla in silenzio. Poi, pian,
piano, uno ad uno, si addormentarono, chi in piedi, chi seduto,
chi appoggiato a una colonna, chi affacciato a una finestra.
Solo Natascia era rimasta sveglia e quando Ivan le si avvicinò,
subito lo riconobbe anche nei panni del vecchio e gli gettò le
braccia al collo.
— Sei venuto, finalmente! Appena in tempo!
Insieme corsero alla chiesa e un prete in fretta e furia li sposò.
Quando il re si risvegliò, e con lui tutti gli invitati, Ivan e
Natascia la bella erano ormai marito e moglie e non c'era piì
niente da fare. Allora si rassegnò e ordinò che il banchetto e le
feste previste avessero luogo ugualmente.
Quanto al principe, rimasto improvvisamente senza sposa, s;
consolò in fretta chiedendo la mano della più graziosa tra le
damigelle di Natascia.
E il vecchio? Il vecchio era scomparso e per quanto Ivan le
cercasse non lo rivide mai più. Ma ne custodì per sempre il ricordc
nel cuore.
UNA SCELTA
DIFFICILE
C'era una volta una coppia di sposi ai quali, quando erano già
in età avanzata, nacque un figlio. Lo chiamarono Dimitri, lo
allevarono con ogni cura e quando fu diventato un giovanotto,
vollero cercare per lui una brava sposa.
La madre andò a bussare a tutte le porte delle case del villag-
gio dove abitavano ragazze da marito. Ebbe solo tanti rifiuti.
— Tuo figlio è buono e onesto, ma non può certamente
considerarsi un buon partito!
— E povero in canna!
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— In che modo potrebbe mantenere una moglie?
— Dove la porterebbe ad abitare?
La vecchia, stanca e scoraggiata, tornò a casa per riferir*
l'esito delle sue ricerche.
— Nessuna ragazza vuole il nostro Dimitri, ma io non vogli<
darmi per vinta: da domani andrò in giro nei villaggi vicini.
Lo fece, ma il risultato fu lo stesso: rifiuti su rifiuti. A ch<
serviva un marito senza soldi?
— Bisogna rassegnarsi — disse allora il vecchio padre. — S
Dimitri non può avere una moglie, vuol dire che continuerà
vivere con noi.
Ma Dimitri non era d'accordo.
— Miei cari genitori, datemi la vostra benedizione e lasciai
che me ne vada per il mondo a cercare io stesso la mia sposa
Ebbe la benedizione, fece un fagottello della sua roba e partì
Aveva poche speranze nel cuore ed era molto triste; intanto eh
camminava per una strada di campagna, mormorava tra sé e sé
— Perché nessuna delle ragazze del mio villaggio e di quel
vicini ha voluto sposarmi? Sono proprio più brutto e più scioco
degli altri? Oh, come vorrei una fidanzata! Se anche fosse
diavolo in persona a offrirmene una, giuro che la prenderei t
stesso!
D'improvviso, come se fosse spuntato dalla terra, gli si par
davanti un uomo tutto vestito di nero.
— Dove vai, giovanotto, con quell'aria così mesta?
— Me ne vado in giro per il mondo, signore, alla ricerca c
una sposa. Nessuna delle ragazze del mio villaggio e di quel
vicini mi ha voluto per marito e così ho deciso di trovare altrove 1
fidanzata che desidero.
L'uomo in nero rise.
— Davvero? Allora hai trovato la persona giusta per risolver
i tuoi problemi. Seguimi e potrai scegliere la fidanzata che più
piace.
I due si incamminarono insieme e giunsero in riva a un lagc
Allora l'uomo in nero disse:
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— Volgi la schiena all'acqua e cammina all'indietro.
Dimitri obbedì, fece qualche passo indietro e subito si trovò i
un meraviglioso palazzo di marmo. Nel salone più grande di qu(
palazzo c'erano dodici fanciulle bellissime, l'una perfettament
identica all'altra. Indossavano identici abiti di seta e broccatc
avevano capelli, occhi e sorrisi identici. L'uomo in nero disse
Dimitri:

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— Scegli quella che vuoi e l'avrai in moglie.
Dimitri osservò le fanciulle ad una ad una, ma tutte erano così
belle e così uguali che non sapeva quale di loro scegliere.
— Non potrei rifletterci sopra fino a domattina? — chiese.
— E perché no? Dormici sopra e domani mi indicherai la
prescelta, all'alba.
La camera degli ospiti, nel palazzo di marmo, era grande e
sontuosa, il letto soffice e comodissimo, le lenzuola di seta, ma
Dimitri non riuscì a chiudere occhio. Si girava e rigirava sotto
le coperte e stava sospirando come un mantice quando la porta
si socchiuse e nella camera entrò una delle dodici fanciulle.
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— Dormi, Dimitri? — chiese in un sussurro.
— No, non ci riesco perché non so quale fidanzata sceglier*
domani.
— Io son qui proprio per darti un consiglio — disse la fanciul
la. — Devi sapere che l'uomo in nero è il diavolo in persona t
questa è la sua dimora. Se vuoi uscire da qui sano e salvo, rivedere
il sole, fai come ti dico: quando domani il diavolo ti condurrà alle
presenza di dodici fanciulle, tu sceglierai me.
— Ma come potrò riconoscerti? Siete tutte uguali! — disse
Dimitri.
— Non potrai sbagliarti. Io sarò quella sulla cui guancia de
stra si poserà un moscerino con le ali iridate.
— Farò come dici. Ma tu, chi sei?
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— Sono la figlia di un nobile che vive in un paese lontano e mi
chiamo Tatiana. Devi sapere che una volta mio padre si arrabbiò
con me per una cosa da nulla e gridò: « Che il diavolo ti prenda! ».
Subito una forza malefica, come un vento di tempesta, si impa-
dronì di me e mi trascinò in questo palazzo in fondo al lago. Da
quel giorno, e sono passati molti anni, vivo qui da prigioniera,
sognando di fuggire. Adesso devo lasciarti, Dimitri, non vorrei
che il diavolo mi scoprisse. Mi raccomando, non sbagliare, do-
mattina.
Dimitri promise e l'indomani mattina, quando il diavolo gli
fece sfilare davanti le dodici bellissime fanciulle tutte uguali, lui
cercò quella che aveva sulla guancia destra un moscerino con le ali
iridate e la indicò col dito.
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— Voglio quella.
Il diavolo sembrò molto contrariato.
— Ne sei proprio sicuro? Io direi di provare ancora una volta
Mischiò tra loro ben bene le dodici fanciulle e Dimitri, senzi
esitare, indicò di nuovo quella con il moscerino con le ali iridate
sulla guancia destra. Allora il diavolo chiese una terza prova e
anche questa volta Dimitri indicò la stessa fanciulla. A queste
punto il signore delle tenebre diventò rosso vermiglio per li
stizza, lanciò fiamme dagli occhi e sibilò tra i denti:
— E va bene, pòrtatela via, quella smorfiosa.
Lui non se lo fece ripetere due volte e prese la bella fanciulli
per la mano. Ci fu un gran bagliore e i due si ritrovarono in ui
baleno in riva al lago. Davanti a loro si stendeva una grande
strada polverosa che portava chissà dove.
— Camminiamo alPindietro — disse Tatiana.
— E perché mai? — volle sapere Dimitri.
— Per prudenza.
E Tatiana vedeva giusto perché, poco dopo averla lasciati
andare, il diavolo si pentì della sua decisione e mandò una schieri
di diavoletti a inseguirla. Quelli, giunti in riva al lago, si guardaro
no intorno, alla ricerca di qualche traccia, ma rimasero con tante
di naso. Le uniche impronte che si vedevano portavano all'acqua
Così tornarono scornati al palazzo di marmo e riferirono che
fuggiaschi erano scomparsi senza lasciare traccia. Il diavolo 1
rimproverò aspramente perché, delle dodici fanciulle che tenev
al suo fianco, Tatiana era senz'altro quella che gli piaceva di più
Ma ormai non c'era più niente da fare.

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Dimitri e la bella Tatiana, intanto, proseguivano per la loi
strada. Cammina, cammina, giunsero a una città. Era quasi buie
il cielo era scuro di nubi temporalesche e Dimitri propose al]
fidanzata di sostare da qualche parte per riposare un poco. L<
disse:
— No, dobbiamo andare avanti.
Vagarono per strade e vicoli. Ormai era buio pesto, si ex
alzato il vento e Tatiana rifiutava ancora di fermarsi. Finalmenl
indicò una grande casa di pietra grigia che sorgeva di fianco a un
piazza e disse:
— E là che chiederemo ospitalità.
Bussò alla porta, venne ad aprire un servitore in livrea.
— Che cosa volete, gente?
— Chiediamo ospitalità, siamo due viandanti stanchi —
spiegò Tatiana.
— Vado a chiedere al padrone.
Il padrone, un ricco barone, storse il naso quando il servitore
gli riferì la richiesta.
— Stasera sono miei ospiti molti amici mercanti, non c'è
posto per altra gente!
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Poi ci ripensò: la sua casa era grande e due persone in più o in
meno non facevano poi una gran differenza. Inoltre era notte
fonda e stava scatenandosi un temporale.
— Fai entrare quei viandanti — ordinò al servitore.
Dimitri e Tatiana entrarono. Ma mentre il giovanotto, intimi-
dito, si rifugiava in un angolo, la sua fidanzata si avvicinò al
padrone di casa.
— Mi riconosci, nobile barone? Sono tua figlia Tatiana.
Il barone balzò in piedi, scrutò la bella fanciulla in piedi
davanti a lui e subito riconobbe la figlia misteriosamente scompar-
sa anni prima. L'abbracciò piangendo di gioia, la tempestò di
domande. Lei raccontò del rapimento da parte del diavolo, della
fuga dal palazzo di marmo, poi chiamò Dimitri e lo presentò come
suo salvatore e promesso sposo.
— Se non ci fosse stato lui, mi avresti perduta per sempre,
padre mio — concluse.
Il barone abbracciò anche Dimitri e disse che era felicissimo di
dare in sposa sua figlia a un giovanotto così astuto e coraggioso. I
mercanti ospiti applaudirono e promisero ricchi doni per le nozze
imminenti.
Poi Tatiana aprì un fagotto che aveva portato con sé fuggenck
dal palazzo di marmo e apparvero stupendi piatti d'oro e d'argen
to. Il barone li guardò ed esclamò:
— Ma questi piatti sono miei! Una volta, ricordo, mentn
banchettavo con degli amici e la tavola era apparecchiata proprie
con quei piatti, mi ferii inavvertitamente con uno di essi che avev;
l'orlo un po' tagliente. Arrabbiatissimo, gridai: « Che il diavolo s<
li porti! ». E tutti i piatti immediatamente scomparvero e al lor<
posto ne vidi altri, di brutta terracotta scheggiata.
— Il diavolo te li aveva portati via davvero e al diavolo io li he
ripresi! — disse Tatiana con una bella risata. — Sono stata furba'
— Certo, figlia mia. E quei piatti d'oro e d'argento saranno i
mio regalo di nozze.
Il giorno dopo Dimitri e Tatiana si sposarono e dopo ui
banchetto splendido e interminabile, carichi di doni preziosi, par
tirono per il lontano villaggio dello sposo a bordo di una comodi
carrozza. Vi giunsero dopo due giorni di viaggio al galoppo.
I vecchi genitori di Dimitri piansero di gioia nel vedere il figli<
vestito come un re e con una bellissima moglie al fianco. Piange
vano, piangevano, e non la finivano più di abbracciarlo, di guar
darlo.
— Dimitri, figlio caro, ti credevamo perduto per sempre! Se
stato via così a lungo...
— A lungo? Ma se sono partito solo qualche giorno fa!
— Manchi da casa esattamente da tre anni.
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E allora Dimitri comprese che il suo soggiorno nel palazzo (
marmo del diavolo non era durato una sola notte come lui crede
va, ma lunghi, lunghi anni. Comunque, che importanza avev
tutto questo? Lui se n'era andato per il mondo alla ricerca di un
sposa e, dopo una scelta difficilissima, era riuscito a trovare quel!
giusta, così dolce e bella che non la si poteva descrivere a parole
E, da quel giorno, Dimitri e Tatiana vissero fianco a fi ance
felici.

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