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GUIDA

IL RICAMO AD OLIENA
VALERIA SANNA RANDACCIO
Il ricamo ad Oliena
Guida
Guida
Il ricamo ad Oliena

Testi
Valeria Sanna Randaccio

Immagini
© Copyright Valeria Sanna Randaccio

Ringraziamenti
L’autrice esprime la propria gratitudine a tutti coloro
che hanno contribuito alla riuscita di questo lavoro, e in
particolare alle Signore e Signori Felicina Cabboi, Patrizia
Carrus, Bonaria Congiu, Tatana Congiu, Peppa Congiu,
Paolo Corsico, Franca Costa, Mintonia Fancello, Angela
Ghisu, Anna Massaiu, Francesca Massaiu, Michela
Massaiu, Pietrina Massaiu, Maria Muscau, Susanna
Piga, Dorotea Pinna, Luisa Pinna, Maria Puddu, Roberto
Puddu, Maria Salis, Giovanni Tedde, Carmela Tupponi

Stampa
bla bla

Edizioni
Mediando srl
via Coradduzza 27
07100 Sassari
www.mediando.net

ISBN 978-88-89502-33-4

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GUIDA

IL RICAMO AD OLIENA
VALERIA SANNA RANDACCIO
Il ricamo a Oliena
tra ricordo e attualità

[1]
1.

È raro ad Oliena trovare giovani donne e uomini che non possie-


dano o non vorrebbero possedere un capo ricamato. Rispetto ad
altri centri dell’Isola, nei quali non esistono più maestre di ricamo
né un numero significativo di ricamatrici, ad Oliena la tradizione
è viva e vitale, senza soluzioni di continuità rispetto a un passato
con cui oggi ci si confronta in maniera a volte nostalgica e a volte
analitica, o semplicemente considerandolo un solco tracciato entro
il quale si muovono numerose ricamatrici di ogni età. In realtà, se
si guarda nelle pieghe del vissuto sociale della comunità olianese
si scorge appena un’incrinatura in questa lunga tradizione fatta di
ago e pazienza, ed è quella di una generazione – quella che aveva
più o meno vent’anni negli anni Settanta del Novecento – di cui
una parte, fatta di persone che avevano la possibilità di studiare, si
allontanò dai saperi, dai mestieri e dagli usi tradizionali, salvo poi
recuperarli col tempo sotto forma di interesse per il tempo libero. In
ogni caso, a Oliena il ricamo viene vissuto ancora oggi come un’arte
e soprattutto come una passione, sia che costituisca un lavoro sia
un semplice diletto.
Fino alla metà del secolo scorso, la maggior parte delle donne era
in grado di ricamare da sé il proprio corredo e i capi per la famiglia;
oggi, pur non esistendo più almeno una ricamatrice in ogni nucleo
familiare come accadeva in passato, anche i più giovani tengono ad
avere nel proprio corredo capi ricamati che si fanno confezionare o
riadattare da parenti o da ricamatrici professioniste. In passato era-
no comunque poche le donne che sapevano confezionare il vestia-
rio interamente da sole; la maggior parte era in grado di provvedere
autonomamente alle parti ricamate, mentre il confezionamento dei
capi veniva affidato a sa mastr‘e pannu, ovvero la sarta che si oc-
cupava di assemblare le varie parti di un capo e soprattutto era in
grado di trattare il faticosissimo orbace di lana.
Nella tradizione olianese si assiste da sempre a una divisione del
lavoro tra ricamatrici, ognuna delle quali specializzata nel confe-
zionare una diversa tipologia di ricamo, per esempio gli ornamenti
della camicia o i ricami del giubbetto e di fazzoletti e balze per gon-
na; questa specializzazione nasce principalmente dalla quantità di
tempo necessario per eseguire un ricamo di buona qualità, e dalla
differente tecnica necessaria per ciascuno di essi.
Qualunque sia il ricamo eseguito, tutto ha origine dal disegno, atto
creativo per eccellenza che rompe o segue gli schemi, che viene
prestato, donato o gelosamente occultato e che è sempre alla base
del risultato finale; al disegno segue la sua trascrizione sul tessuto
mediante carta da ricalco, e a questa fase ne seguono altre, diverse

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a seconda dei capi da ricamare e quindi delle tecniche adoperate. I
disegni seguono un repertorio tradizionale di motivi decorativi, su
cui si innestano di volta in volta variazioni e innovazioni di gusto
personale. Ma la differenza nella qualità dei ricami la fanno da
sempre soltanto tre cose: l’abilità, la serietà e la passione. E ancora
tre, a detta delle ricamatrici più esperte, sono i peggiori nemici del
ricamo: la fretta, l’improvvisazione e la superficialità.

[2]

8
[3]

9
Manufatti ricamati
dell’abbigliamento tradizionale

10 [3]
2.

Il vestiario costituisce ancora oggi il terreno più fertile per l’uso del
ricamo, sia perché il costume tradizionale è considerato tuttora
quello da esibire nelle occasioni più importanti sia perché la quanti-
tà e la varietà dei ricami nei diversi indumenti lasciano alla fantasia
delle ricamatrici un vasto campo d’azione, regolato dall’abilità e
dal gusto nell’uso di colori e motivi decorativi che si rifanno alla
tradizione olianese sotto la personale interpretazione delle singole
ricamatrici. Ad Oliena è attestato l’uso di una gamma cromatica
piuttosto ampia e accesa di colori e dell’oro, a impreziosire i fazzo-
letti che ricadono sui giubbetti in broccato, broccatello e nastro di
seta indossati sulle camicie arricchite di ricami a traforo, a filet, a
intaglio e ad ago nei polsi e nella scollatura.
Tradizionalmente le tre principali occasioni d’uso che contraddistin-
guevano il vestire di uomini e donne erano quelle della festa, della
quotidianità e del lutto. Col tempo, e in particolare a partire da
quello che nella memoria collettiva olianese è identificato come “il
tempo del benessere”, cioè all’incirca dagli anni Sessanta del Nove-
cento, il vestiario tradizionale è stato progressivamente confinato
alle occasioni festive o è sopravvissuto per singoli capi accostati a
capi non tradizionali, come è accaduto alla camicia ricamata. Tutta-
via, fino a non molti anni fa era attestata ad Oliena sia la presenza
di donne ancora abitualmente vestite in costume tradizionale nella
quotidianità, sia l’uso di seppellire i defunti di entrambi i sessi con gli
abiti tradizionali della festa. In questa cornice, il ricamo ha avuto so-
prattutto in passato un posto di primaria importanza nel distinguere
la povertà dalla ricchezza, la cura dalla sciatteria, la volontà di salire
la scala sociale dall’accettazione del proprio status; e soprattutto,
l’ampiezza e la tipologia dei ricami hanno costituito tradizionalmen-
te una facile indicazione dello stato civile delle donne agli occhi della
comunità. Non è difficile immaginare, a messa e nelle processioni,
quanti occhi non solo maschili si saranno appuntati sulla lunghezza
di una frangia, sulla grandezza del ricamo in un fazzoletto, sulla
presenza o meno di tutti quei segni che indicavano chiaramente la
condizione di nubile o sposa di una donna e il suo status sociale,
persino quando qualcuna tentava - con scarsi risultati – di ostentare
tramite il vestiario l’appartenenza a una classe sociale a cui in realtà
non poteva aspirare.
Per una più facile lettura, segue la descrizione dei capi dell’abbiglia-
mento tradizionale che possiedono parti ricamate. Per ogni capo
considerato, viene specificato nel dettaglio quali elementi di ogni
singolo capo sono interessati dal ricamo.

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2.1
Copricapo, Muncadòre.

Elementi ricamati
- Parte della superficie in prossimità di uno degli angoli.
- Bordo in macramè.

Su muncadòre, copricapo quadrato in lana tibet che si indossa ri-


piegato a triangolo, è tradizionalmente il pezzo più appariscente
del vestiario olianese e – insieme al grembiule – quello più esposto
a variazioni nel corso dei decenni riguardo la dimensione dei ricami
e l’uso del filo d’oro. Il termine muncadòre viene tradotto in italiano
sia come “fazzoletto” che come “scialle”, da distinguersi però dallo
scialle da porre sulle spalle e avvolgere intorno al corpo, usato come
capospalla; quest’ultimo (detto isciàllu, isciàllu de oddòs, isciàllu
pro palas) si è diffuso con l’abbandono – ai primi del Novecento
– dell’uso di portare la doppia gonna rovesciata sul dorso, sostituita
appunto da questo capo semplice e senza ornamenti, della misura
di 160 cm, sempre in lana tibet e anch’esso dotato di frange. Con
il termine muncadòre, in questa sede si intende dunque parlare del
fazzoletto/scialle copricapo; di seguito, si utilizzerà la traduzione
italiana “fazzoletto” per evitare confusioni con lo scialle da spalla
non ricamato, detto appunto isciàllu.
A partire dagli anni Cinquanta del Novecento ha fatto il suo ingresso
tra i capi non tradizionali - esclusivamente a fini commerciali e per
l’utilizzo in ambienti borghesi - un terzo tipo di capo. Si tratta di una
variante da spalla del muncadòre, che risulta perciò simile a s’isciàllu
(col quale condivide la sola denominazione in lingua italiana), ma
che differisce da entrambi sia per le misure, di circa 110-120 cm, che
soprattutto per il tipo di ricamo: questo è di forma rigorosamente
triangolare e con variazioni solo nell’ampiezza dell’area ricamata,
nel fazzoletto; “sciallato” (cioè meno rigido e schematico) sia nella
disposizione dei ricami che nel rispetto dei motivi e dei moduli de-
corativi tradizionali, nel secondo.
Pur con alcune differenze, il fazzoletto di foggia odierna è attestato
già nel primo Novecento; in quel periodo, veniva indossato ripiega-
to all’indentro, sopra una cuffietta rigida detta camùsciu, con i due
lembi annodati sotto al mento ad incorniciare il viso. Tra gli anni Ven-
ti e Trenta del Novecento, l’uso del camùsciu viene completamente
abbandonato e si comincia ad indossare il fazzoletto direttamente a
contatto con il capo, arrotolandolo all’esterno mediante un suppor-
to morbido in stoffa imbottita detto chìrcu e lasciando sciolte le due
estremità laterali che cadono morbidamente sul petto.

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Il muncadòre si confeziona partendo da un disegno che viene tra-
sferito sul tessuto – teso su un telaio quadrato in legno – mediante
carta da ricalco. Del disegno vengono prima imbastiti i contorni, che
successivamente vengono riempiti con filo di seta. Spesso il ricamo
in filo di seta viene ulteriormente arricchito da un ulteriore ricamo
in filo d’oro che ricalca gli stessi motivi decorativi, sia sotto forma
di piccola rete sia come vero e proprio rivestimento del precedente
lavoro in seta. Il filo d’oro ha delicatamente fatto la sua comparsa in-
torno agli anni Venti del Novecento, in piccola quantità soprattutto
per le rifiniture e i contorni; il suo utilizzo – sotto forma di canotiglia
ovvero metallo dorato o argentato – è esploso a partire dal Secondo
Dopoguerra, tanto da superare in quantità l’uso della seta per un
lungo periodo, nonostante alcune ricamatrici siano sempre rimaste
fedeli a questo materiale. L’uso massiccio dell’oro è stato responsa-
bile anche della diminuzione delle dimensioni dei motivi decorativi
sebbene oggi si tenda a tornare ad un uso più sobrio della canoti-
glia, per quanto siano pochissime le ricamatrici che non ne usino
almeno un poco per dare più luce ai loro lavori.
I motivi decorativi tradizionali comprendono un repertorio preva-
lentemente floreale; i fiori del repertorio “di Oliena” sono la rosa, il
garofano, la viola del pensiero e la margherita. Ad essi si accostano
– soprattutto in passato – il vaso di fiori, la farfalla, il nastro fiorito
e l’uccello, motivi tratti dagli antichi nastri in seta operata (vètta
antì(h)a) utilizzati sin da fine Ottocento per rifinire gonne, corpetti
e giubbetti. Il punto utilizzato per il ricamo del fazzoletto è detto

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puntu ‘e su muncadòre, che comprende sia il punto raso che il punto
pieno: quest’ultima denominazione, a sua volta, è comprensiva di
svariati altri punti, tra cui il punto lanciato, il punto fiamma, il punto
stuoia, il punto nodo e il punto seme, fino al più semplice punto
erba. La gamma di colori utilizzati comprende quasi tutte le tonalità
accese del rosso, del verde, del blu, del giallo, di solito in un numero
di sfumature che va da tre a cinque per ogni colore.
Per quanto riguarda l’ornamento dei lati in macramè, l’intreccio dei
cordoncini di seta (trìccia) viene effettuato manualmente, secondo il
personale estro della ricamatrice o sulla base di un’indicazione pre-
cisa del committente. Dal punto di vista del macramè, la differenza
tra un fazzoletto di uso quotidiano e uno festivo e di gala sta nel nu-
mero di fili e nella loro altezza, che nel primo caso si ferma a 50 cm
mentre nel secondo arriva a 1 m. Il lavoro del macramè può essere
fatto sia con l’uso del telaio quadrangolare sia tenendo il lavoro sulle
ginocchia; in questo caso, poiché alcuni fili devono essere tenuti
fermi, le ricamatrici li infilano nel punto vita della gonna.
Il colore di fondo del fazzoletto – oggi sempre nero – in passato
poteva variare dal nero al vinaccia o marrone, entrambi compresi
nel termine tabacchìnu; la grandezza del ricamo e l’uso o meno
del filo d’oro erano proporzionali all’occasione d’uso, quotidiana o
festiva, alla condizione sociale e allo status civile. Alle donne dei ceti
meno elevati e alle nubili non era socialmente permesso di portare
fazzoletti con ricami ricchi e di grandi dimensioni, e le frange degli
stessi non potevano avere la doppia fermatura in seta colorata o in

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oro (sas dòppias càrcias) come invece accadeva nel fazzoletto da
festa (muncadòre ‘onu) delle donne fidanzate e più benestanti, che
“potevano permettersi” anche l’uso di strass e perline. Chi infran-
geva queste regole non scritte si vedeva amaramente criticata dalla
comunità; un’anziana ricamatrice racconta che nei casi più estremi
la punizione poteva arrivare – di nascosto – al taglio delle frange del
fazzoletto in occasione di feste e processioni, quando per le più se-
vere custodi dell’ordine sociale era più facile compiere l’atto punitivo
avvicinandosi a chi aveva osato troppo senza essere viste.
Il fazzoletto che veniva donato alle giovani donne in occasione del
fidanzamento, e che per questo veniva chiamato su donu, era il re-
galo che la suocera faceva alla futura nuora, mentre prerogativa del
fidanzato erano i bottoni per la camicia; le fonti orali ricordano che il
futuro sposo regalava alla futura moglie da parte della suocera uno
o più muncadòres ricamati, dalla cui ricchezza si poteva immediata-
mente intuire quale sarebbe stato il tenore di vita a sui cui sarebbe
andata incontro la giovane.
Per le vedove, il fazzoletto era rigorosamente nero senza alcun rica-
mo e veniva indossato girato verso l’interno, mentre alcune donne
ricordano che il color tabacchìnu (nelle versioni vinaccia e marrone)
senza ricami era usato in particolar modo dalle vedove risposate o
dalle donne che si sposavano dopo un lutto recente, pur non es-
sendo loro esclusiva prerogativa in quanto – nella versione ricamata
– veniva usato anche da chi non era soggetto alle prescrizioni legate
al mezzo lutto.
Il momento più delicato di tutto il confezionamento di questo capo
risulta essere la tensione iniziale del tessuto sul telaio, in quanto un
errore iniziale potrebbe compromettere la corretta trasposizione del
disegno e quindi causare una deformazione del motivo decorativo.
La precisione e l’accuratezza dei dettagli necessarie a confezionare
un muncadòre di buona qualità fanno sì che i tempi necessari per la
sua esecuzione varino dai 45 ai 75 giorni a seconda del numero di
ore di lavoro ad esso dedicate, in media dalle quattro alle otto ore.
Per gli intenditori, le ricamatrici riferiscono che la qualità del lavoro
si valuta sempre alla rovescia: più risulta essere simile al diritto, più è
indice di una mano esperta e rifinita.

[5]

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2.2
Camicia, ‘Ammisa.

Elementi ricamati
- Polsi.
- Parti laterali dello scollo.
- Elemento centrale decorativo.

Tra i capi ricamati dell’abbigliamento tradizionale di Oliena, la ca-


micia femminile è quello che presenta il maggior numero di parti
ricamate e la maggiore complessità di esecuzione, in particolare per
quanto riguarda il cosiddetto “cuore”, su còro (pronuncia hòro), un
delicato ricamo geometrico a bassorilievo che guarnisce i polsi in
prossimità delle estremità e i due bordi laterali dello scollo rettan-
golare.
La complessità e le differenti tecniche dei ricami presenti nella cami-
cia femminile festiva e da gala rendono opportuna una descrizione
distinta dei suoi diversi elementi ricamati mobili, chiamati generica-
mente frunimèntos, cioè ornamenti:
- Polsi (brùssos): sono ornati nella parte terminale da su còro e, lun-
go l’orlo, da ricami traforati e sfilati a motivi floreali; sos ventaglios,
“i ventagli”, sono merletti ad ago triangolari o a mezzaluna che
costituiscono la parte terminale dei polsi.
- Parti laterali dello scollo (pettòrras): come i polsi, i lati dello scollo
della camicia sono ornati da su còro, il bordo a motivi geometrici
eseguito lungo la parte terminale del tessuto alla quale vengono
cuciti poi i frunimèntos, ovvero le parti in tessuto traforato e sfilato.
Queste vengono ulteriormente rifinite dai ventaglios ad ago così
come avviene nei polsi della camicia.
- Elemento centrale decorativo (pèttu): si tratta di un rettangolo ri-
camato con le stesse modalità degli ornamenti dei polsi e delle parti
laterali dello scollo, cioè a traforo, a sfilatura e ad ago. Il pèttu ha la
funzione di coprire e impreziosire la scollatura della camicia, di cui
altrimenti si intravvederebbe l’apertura centrale.
Il confezionamento della camicia avviene da sempre in fasi successi-
ve, ognuna eseguita da una diversa artigiana.
Nella prima fase la camicia viene arricciata, tènta, con una tecnica
particolare di conteggio delle trame che procura una fitta plissetta-
tura (tenìngiu) del madapolam o tela di Cambrai (chiamata in olia-
nese trambicchi) usata per confezionare la camicia, sia nella parte
anteriore in corrispondenza della scollatura sia nei polsi.
Una volta arricciata, la camicia viene incorà(d)a: l’esecuzione del
“cuore” (incoròngiu), avviene secondo un complicato alternarsi di

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tre o cinque moduli matematici di conteggio delle trame da alzare
e da abbassare, e prevede l’uso di più aghi contemporaneamente. Il
risultato è un delicatissimo motivo decorativo a bassorilievo, su còro,
che orna sia i polsi che le maniche con motivi geometrici. La necessi-
tà di una logica matematica di base, la complessità del conteggio, la
difficoltà stessa di questo particolare tipo di ricamo che a detta delle
ricamatrici “se si sbaglia è più facile ricominciare daccapo piuttosto
che disfare”, fa sì che attualmente ad Oliena siano rimaste pochissi-
me persone in grado di eseguirlo nonostante la camicia incoràda sia
uno dei pezzi più richiesti dal mercato.
Il terzo passaggio è quello dell’applicazione degli ornamenti alla ca-
micia, che viene così frunìa. Gli ornamenti vengono confezionati in
precedenza e vengono poi cuciti alle varie parti e rifiniti mediante un
ricamo lineare con funzione ornamentale chiamato a seconda del
punto marghinèsu o perr’e au. Il confezionamento dei frunimèntos
avviene a partire da un disegno che viene trasferito su una striscia in
tela fine di cotone; sulla stessa striscia vengono perciò disegnati, in
orizzontale e uno di seguito all’altro, sia gli ornamenti dei due polsi
sia le due parti laterali dello scollo sia su pèttu. Successivamente, il
disegno viene ricamato a rilievo e poi traforato, sfilato o ritagliato;
poi le varie parti, ormai separate, vengono rifinite con il merletto ad
ago a formare sos ventaglios e infine cucite alla camicia. Per la ca-
micia dell’uomo si segue lo stesso procedimento, con l’unica ma so-

[6]

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[7]

stanziale differenza che i ricami della camicia maschile, più semplici,


riguardano solo la zona del collo (collàna) e dei polsi e non sono mai
ad intaglio ma sempre sul tessuto eventualmente traforato. I polsi e
il collo della camicia maschile non vengono mai rifiniti con ventagli
ma con piccoli merletti a occhiello detti a seconda della grandezza e
della posizione gancìttas, ocrìttos, piccòs e randìtta, che anticamen-
te venivano usati anche nelle camicie delle donne e in special modo
in quelle per uso quotidiano.
Gli ultimi due passaggi vedono la camicia (a)ppiccihà(da) oppure
ghettà(d)a a pare, cioè soggetta all’assemblaggio delle varie parti,
rifinita da delicati ricami nel collo e nelle parti di giuntura, e infine
lavata e tinta de holore ‘e helu, azzurro, mediante bagno in polvere
di indaco. Questa operazione può essere effettuata sia dall’esecutri-
ce degli ornamenti sia da chi ha effettuato l’iniziale arricciatura. Chi
si occupa dell’incoròngiu possiede invece un sapere estremamente
specializzato e ristretto a questa fase, estremamente lunga, com-
plessa e delicata soprattutto nella fase iniziale di impostazione e
conteggio delle trame.
È da notare che anche la camicia ha subito nel corso dei decenni un
progressivo arricchimento degli ornamenti, soprattutto dei ventagli,
la cui maggiore o minore grandezza permette di distinguere facil-
mente una camicia eseguita negli ultimi venti o trenta anni da quelle
più datate, i cui frunimèntos risultano più piccoli e delicati anche per
le occasioni d’uso festive e cerimoniali.

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3.
Corpetto, Pala.

Elementi ricamati
- Rifiniture dei punti di giuntura tra le diverse parti.

Il corpetto, attestato già dal secolo XVIII, è uno dei capi che hanno
subito meno variazioni nel corso del tempo e che sono scomparsi
per primi dal vestiario tradizionale. Per l’impossibilità di sostituire
solo alcune parti in caso di usura, come nel caso della camicia e
per le ridotte possibilità di adattamento al mutare delle taglie e del
gusto dei tempi, il corpetto è diventato un capo raro e non è andato
incontro alla virata di natura commerciale che ha caratterizzato il
fazzoletto. Già estinto come capo di uso comune a partire dagli anni
Venti del Novecento, viene oggi utilizzato in occasioni e manifesta-
zioni festive solo da chi ne possiede uno di famiglia, in quanto il suo
confezionamento ex novo è diventato troppo dispendioso, quando
non impossibile, per la difficoltà di reperire materiali qualitativamen-
te all’altezza di quelli antichi. Il corpetto, così come il giubbetto, ve-
niva confezionato dalla sarta adoperando inserti di vari tessuti: per
i capi più preziosi, tessuti broccati e laminati cuciti tra loro, foderati
in tela spessa di lino o cotone e rifiniti sopra le cuciture con ricami
lineari in filo di seta di colori giallo, verde, viola, dalle denominazioni

[8]

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locali complesse: perr’e s’a(h)u (letteralmente “la metà dell’ago”),
marghinèsu, perr’e s’a(h)u groppà(u), riscontrabili anche nel giub-
betto, nella gonna e nelle rifiniture della camicia.
Questo tipo di punti ricamati si presta a confronti che mettono in
luce un’enorme disparità nella finezza di esecuzione degli stessi a
seconda delle diverse mani. Come nel caso del “cuore” della cami-
cia, si tratta di un lavoro poco appariscente ma proprio per questo
in grado di distinguere nettamente il livello di abilità tra ricamatrici.
Ad uno sguardo attento, infatti, è possibile distinguere la maestria
nel confezionare un corpetto proprio attraverso l’esame sia dell’as-
semblaggio delle parti sia dei punti di rifinitura. E’ È evidente come
alla precisione nel taglio e nell’accostamento dei diversi pezzi, si
accompagni la finezza dei punti di rifinitura delle giunture.
Anche sa pala era rappresentativa dello status sociale e civile di chi
la indossava, oltre che dell’occasione d’uso quotidiana o festiva:
tessuti come il broccato e i laminati di seta erano prerogativa di un
utilizzo festivo e di un certo ceto sociale, mentre le appartenenti a
quelli più modesti si dovevano accontentare del nastro di seta ope-
rato (vètta frorìa) alternato a qualche inserto di velluto o broccatello.
In questo caso però, i colori accesi, la lucentezza e la ricchezza di
motivi decorativi del nastro di seta, facevano sì che la disparità tra
capi più o meno ricchi fosse – almeno a prima vista – meno eviden-
te. Da segnalare anche la presenza di corpetti dipinti, come quello
datato 1954 e conservato presso il Museo della Vita e delle Tradizio-
ni Popolari Sarde di Nuoro.

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20
2.4
Giubbetto, Gippòne.

Elementi ricamati
- Tutto il giubbetto;
- Rifiniture dei punti di giuntura tra le diverse parti;
- Fasce posteriori lungo i gomiti (uvidalèras)

La presenza ad Oliena di due varianti di giubbetto, uno completa-


mente ricamato e l’altro ricamato solo in parte, è dettata da due
motivi. Il primo ha a che vedere con la progressiva scomparsa dei
tessuti di broccato e broccatello con cui tradizionalmente veniva
confezionato il corpetto, sostituiti da tessuti di pregio e resa estetica
molto inferiore; da qui, la preferenza di alcune donne a favore di
un giubbetto interamente ricamato a mano. Il secondo motivo è
collegato invece più direttamente al mostrare la propria abilità di
ricamatrice o - – soprattutto in passato - – una disponibilità eco-
nomica che consentiva a qualche donna di acquistare un gippòne
interamente ricamato.
Il giubbetto veniva adoperato come capospalla per la protezione del
corpo dagli agenti atmosferici, e con questa funzione è attestato
in Italia fin dal Quattrocento; ad Oliena, gli esemplari più antichi
risalgono al secolo XVIII. Così come il corpetto, anche il giubbetto
viene ottenuto dall’assemblaggio di tagli di stoffe dai colori brillanti,
soprattutto nel caso di capi festivi per i ceti più elevati che hanno in
uso esclusivo il broccato e, a scendere nella scala sociale, il brocca-
tello, il velluto e il panno guarnito di vètta liscia, nastro in taffetà di
seta di colore viola.
Il corpetto è l’indumento “double face”, o a doppio diritto, per
eccellenza: il modello più diffuso è quello con una parte in tessuti
pregiati per un uso riservato al matrimonio e alle grandi feste e il ro-
vescio per un uso domenicale (gippòne imbettàu). Nel lato festivo,
solitamente in broccato o broccatello tranne nei casi di giubbetto
ricamato integralmente, il ricamo è presente solo nelle fasce che
corrono posteriormente ai gomiti, dette uvidalèras, ornate per lo
più da motivi floreali in filo di seta e/o canotiglia. Anche nel caso di
ricamo integrale, i motivi decorativi sono rigorosamente fitomorfi,
senza quella varietà riscontrabile nel repertorio del fazzoletto. Il
giubbetto imbettàu è invece in panno rosso e nastro di taffettà di
seta di colore viola, con nappine – dette pupùsas – viola e gialle.
Insieme al fazzoletto, il giubbetto era il capo del vestiario tradizio-
nale in grado di evidenziare maggiormente e più immediatamente
lo stato civile di chi lo indossava. La variante di gippòne imbettàu

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per uso domenicale poteva subire una leggerissima variazione delle
nappine, da viola e gialle a tutte viola, per diventare il giubbetto del
mezzo lutto. La vedova, come di consueto, doveva invece indossar-
ne uno rigorosamente di colore nero.
Nel caso del gippòne dell’abbigliamento maschile, la presenza di
ricami si limita alle linee di rifinitura delle giunture. Questi, nei polsi
del giubbetto femminile come nella gonna, possono arrivare a file
parallele di sei, diversi nel punto l’uno dall’altro, all’interno di un solo
centimetro di altezza.

[ 10 ]

22
2.5
Gonna, Tùnica.

Elementi ricamati
- La balza ornamentale inferiore.
- Il punto vita.

Quella che oggi è la gonna del costume olianese, codificato come


tale a partire dagli anni Cinquanta del Novecento nell’unico esem-
plare festivo e di gala, ha poco a che vedere con le gonne che le
donne olianesi indossavano ai primi del secolo. Le donne di Oliena
ricordano concordemente la presenza in passato di un’ampia varietà
di gonne, fino a sette per ogni donna divise tra quotidiane, domeni-
cali, festive e di gala a seconda della balza adoperata.
Le immagini d’epoca ci mostrano un modello di tùnica molto diver-
so da quello oggi attestato; in una fotografia del 1903 è evidente
come la gonna sia più corta e arricciata per ottenere un effetto
di maggiore volume e dotata di una balza, molto più bassa del-
l’attuale, alta all’incirca 20 centimetri e costituita da un nastro di
seta operata a motivi fitomorfi riscontrato in altri capi e chiamato
vètta frorìa, in tal caso vètta antì(h)a. A quel tempo vigeva ancora
l’usanza di portare la doppia gonna, di cui talvolta quella più esterna
era rovesciata sulle spalle a mò di scialle. Con il mutare delle mode
cittadine e il generale assottigliarsi della figura femminile a partire
dai primi decenni del Novecento, anche la gonna di Oliena subisce
un progressivo mutamento che tra gli anni Venti e gli anni Quaranta
la vede prima allungarsi e trasformare l’arricciatura in plissettatura,
poi aumentare l’altezza della balza e infine dotarsi di una balza or-
namentale, pitturata o ricamata; quest’ultima, in quanto più ricca, a
partire dagli anni Cinquanta viene cristallizzata nel costume festivo
e da gala che oggi è rappresentativo del costume di Oliena.
Il materiale tradizionalmente utilizzato per confezionare la gonna
è l’orbace di lana (urèsi), in alcune famiglie filato e tessuto in casa,
materiale molto faticoso da trattare e modellare tanto da richiedere
una notevole forza fisica. La figura deputata alla lavorazione del-
l’orbace è sempre stata quella della sarta, professione abitualmente
tramandata di generazione in generazione all’interno di alcune
famiglie e oggi ad Oliena quasi estinta per quanto riguarda proprio
l’assemblaggio della gonna. L’orbace è tanto più pregiato quanto più
è sottile lo spessore del filo, misurato in chintìnas (centine); un’infor-
matrice ricorda che lo spessore massimo del filo di orbace usato per
il confezionamento della gonna era di dodici chintìnas, quello più
pregiato di otto. La finezza del filo faceva sì che la gonna pesasse

23
meno possibile, fino a un minimo di ottocento grammi compresa la
balza. Quest’ultima, nella versione ricamata comparsa a partire da-
gli anni Quaranta’40, presenta da cinque a sette riquadri a seconda
della circonferenza e delle possibilità economiche della committen-
te: il numero regolare dei riquadri è di sei in quanto la parte ante-
riore della balza è coperta dal grembiule, ma nonostante ciò alcune
donne scelgono comunque di “esibire” anche il settimo riquadro,
quello centrale. In passato, anche la scelta della balza ornamentale
della gonna era soggetta all’osservanza delle gerarchie sociali, e su
di essa – come per il muncadòre – si appuntavano maggiormente
le critiche delle custodi delle convenzioni: la balza ricamata, su ràsu
recramau, era appannaggio esclusivo delle appartenenti ai ceti più
elevati. Le altre si dovevano accontentare di quella dipinta, su ràsu
pitturàu, o del velluto o del nastro di seta operata.
Altre parti ricamate della gonna sono le rifiniture della fascia in
tessuto che segna il punto vita, detta intrìccia. Questa, sopra i punti
di cucitura delle giunture, presenta i ricami lineari già visti per il
giubbetto e il corpetto, in più righe parallele con evidente effetto or-
namentale; questo effetto era accentuato ulteriormente nei modelli
di gonna antecedenti agli anni Venti, nei quali era particolarmente
ricca e ricamata sa màssula, cioè la parte superiore – apribile in due
punti – del telo centrale. La ricchezza di rifiniture in questo punto
[ 11 ]

24
non è casuale, in quanto al tempo era abitudine delle donne tenere
le mani leggermente disgiunte sul davanti all’altezza della pancia,
portando così l’attenzione sulla parte centrale del punto vita. È da
notare come ancora oggi le donne di una certa età assumano esat-
tamente questa posizione, nella versione con le mani sovrapposte,
di fronte all’obiettivo della macchina fotografica; il portamento è
sempre stato un elemento fondamentale sia per valorizzare i capi
preziosi ma anche per potersi muovere agevolmente con gli stretti
o in questo caso pesanti capi del vestiario tradizionale. Un’infor-
matrice ricorda come – in tempi recenti – la màstra ‘e pannu abbia
confezionato una gonna per la figlia modellandogliela addosso:
la pieghettatura è il passaggio più difficile e delicato, che denota
la vera abilità di una sarta, in quanto da essa dipendono le sorti
dell’intero capo nella sua vestibilità e nelle sue linee, nel cadere cor-
rettamente addosso alla persona. Nella versione attuale, la gonna
del costume tradizionale olianese presenta tre ordini di pieghe: più
fitte in vita (tenìngiu) per modellare il bacino, più larghe da sotto le
anche al ginocchio (ghigliònes) e ancora più larghe dal ginocchio
alla parte terminale (ghèttos), solitamente rifinita all’interno da un
bordo di panno rosso.

[ 12 ]

25
2.6
Grembiule, Frànda.

Elementi ricamati
- I bordi nella metà inferiore; la balza finale.

Il grembiule è il capo di più recente introduzione nell’insieme del co-


stume di Oliena; ciò nonostante, come altri capi ha subito nell’arco
del tempo un mutamento di dimensioni e di motivi decorativi che
lo ha portato a diventare uno dei capi più ricchi e ostentati. Proprio
l’aumentare delle dimensioni, della quantità di fiori e della ricchezza
di colori e materiali adoperati sulla frànda (pronuncia vrànda) è oggi
oggetto di opinioni molto discordanti tra le donne della comunità
olianese: alcune lo ritengono un eccesso che porta a una pericolosa
deriva dalle tradizioni, altre invece lo considerano un’evoluzione in
positivo, nel senso di una maggiore vivacità del capo che va a ravvi-
vare il costume nel suo complesso.
Qualunque siano le dimensioni del ricamo, a partire dagli anni Cin-
quanta del Novecento il grembiule festivo è sempre stato confezio-
nato in raso nero, quasi sempre operato a motivi floreali, e ricamato
con filo di seta e canutiglia utilizzando lo stesso punto del fazzoletto
e della balza, cioè a punto raso (puntu ràsu) o a punto pieno (puntu
prènu), e un repertorio decorativo esclusivamente floreale come
avviene nel caso del giubbetto ricamato.
La balza inferiore del grembiule è oggi in pizzo preconfezionato, ma
non è sempre stato così; anticamente, il grembiule era dotato di una
balza in filet, ovvero ricamo su rete. Un’informatrice ricorda di una
signora di Bosa - – della generazione di sua madre - – che, sposatasi
a Oliena, insegnò alle olianesi la tecnica del filet tipica di quel paese.
Altre donne ricordano quello che chiamano “filet olianese”, ovvero
un ricamo su una rete ottenuta sfilando il tessuto e ripassandolo ad
ago. Un’altra variante della balza inferiore di rifinitura del grembiule
è quella dell’intaglio, il cosiddetto puntu ‘e travu.
Talvolta, nelle foto d’epoca del primo Novecento, è possibile ve-
dere donne con grembiuli del tutto diversi da quello del costume
tradizionale odierno: questo dipende sia dall’epoca, anteriore agli
anni Trenta, sia dallo status sociale. Il grembiule era un capo raro, e
soprattutto le appartenenti ai ceti meno abbienti non lo possedeva-
no affatto o ne indossavano uno in tela, molto frequentemente la
cosiddetta “tela indiana” di cotone.
Nell’abito festivo e di gala del Settecento, sa veste, il grembiule era
in tulle operato o ricamato manualmente, il che mette in evidenza
come gli esemplari di una stessa tipologia di capi del vestiario tra-

26
dizionale olianese, incluso il grembiule, varino notevolmente non
solo tra epoche ma anche tra classi sociali; conferma del fatto che
l’abbigliamento, nei grandi centri urbani come in quelli più piccoli e
periferici, ha sempre ricalcato secondo i propri moduli quelle rigide
differenze sociali che in Sardegna andarono attenuandosi solo dopo
il Secondo Dopoguerra.

[ 13 ]

27
2.7
Cintura, Hintòglia.

Elementi ricamati
- La parte centrale esterna.

Un accessorio tradizionale del vestiario maschile è la cintura; ad


Oliena si presenta nella variante in cuoio ricamato, con filo di seta
o cotone a vivaci colori e motivi geometrici e fitomorfi stilizzati. Nel
poco colorato e poco ricamato costume festivo dell’uomo, questo
particolare contribuisce ad apportare una notevole vivacità all’in-
sieme.
La lunghezza è regolata grazie a lacci che passano attraverso appo-
siti buchetti praticati in una delle estremità.

[ 14 ]

28
29
L’abbigliamento per bambini

[ 15 ]

30
3.

Una panoramica sull’abbigliamento infantile in relazione special-


mente ai capi ricamati non può che partire dall’ingresso ufficiale del
bambino nella comunità: il battesimo.
Le fonti bibliografiche ci informano che nella prima metà del secolo
XIX era ancora in uso la fasciatura integrale del lattante, tradizione
antichissima e profondamente radicata. Nella seconda parte dell’Ot-
tocento inizia gradualmente ad affermarsi un uso che resterà tale
fino agli anni Trenta: la fasciatura della parte inferiore del corpo,
mentre quella superiore è coperta da una camiciola e da unu gip-
ponèddu, che le fonti orali descrivono come un giacchino coprifasce.
Sul capo dei neonati veniva posta la carètta, cuffietta di cui è stato
possibile reperire ad Oliena un unico esemplare superstite della fine
dell’Ottocento, stupendamente ricamato a motivi fitomorfi stilizzati
di grandi dimensioni.
Accanto ai capi di questa tipologia, già a partire dalla metà dell’Ot-
tocento si diffonde l’uso dell’abitino o vestina lunga, soprattutto
in occasione di uscite in pubblico del neonato; questi abitini pre-
sentano solitamente applicazioni di pizzi eseguiti manualmente
ma più spesso preconfezionati, e le fonti orali ricordano l’uso di
alcuni di questi esemplari già dal tempo del proprio battesimo o
quello dei fratelli maggiori, cioè negli anni Trenta. Alcune donne lo
ricordano (o lo possiedono ancora) ricamato a mano, altre invece lo
descrivono come preconfezionato, esattamente come avviene per la
copertina (cucùggiu), solitamente in piquet ornata da pizzi eseguiti
a macchina e più raramente ricamata a mano.
L’uso di ricamare abitualmente le copertine dei lattanti si afferma
solo a partire dal secondo dopoguerra, quando anche ad Oliena il
corredo ricamato si amplia anche presso le classi sociali meno ab-
bienti, e al costume ricamato – pezzo forte del corredo della sposa
– si aggiungono capi di biancheria e di vestiario precedentemente
non ricamati.
Per quanto riguarda il vestiario dei bambini fino ai cinque anni, dalle
fonti scritte e orali è attestato l’uso di una camiciola lunga o di un
insieme composto da camiciola corta e gonnellina/calzoncini. Nella
fascia di età successiva fino all’adolescenza, i bambini iniziano a
indossare versioni semplificate del vestiario degli adulti, così come
avviene ancora oggi quando si regala ai bambini il primo costume
tradizionale; i capi ricalcano fedelmente quello degli adulti nelle
forme ma i materiali sono di qualità più modesta, per esempio il
panno al posto dell’orbace nella gonna o al posto dei tessuti di seta
nel giubbetto.
Oggi, solitamente, si usa regalare il primo costume tradizionale ai

31
[ 16 ]

bambini verso gli 8-10 anni; questo viene poi sostituito da quello
“per la vita” (salvo mutamenti eccessivi di taglia!) verso i 20 anni,
fermo restando che il costume viene regalato o confezionato da sé
pezzo per pezzo, e il suo completamento è pertanto un processo
lento, che può durare più o meno anni a seconda delle possibilità di
tempo e di denaro della singola persona e della sua famiglia.

[ 17 ]

32
[ 18 ]
33
Accessori ricamati

[ 19 ]

34
4.

Con questo termine, volutamente generico, si indicano qui tutti


quelli accessori per la casa e per l’ornamento di animali da proces-
sione che non rientrano tra i capi tradizionalmente ricamati, quanto-
meno in ambito non borghese. Tovaglie, lenzuola e camicie da notte
ricamate, sono tutte prerogative di una classe sociale elevata, e la
loro diffusione anche in ceti meno abbienti si deve alla conquista di
un maggiore benessere intorno agli anni Sessanta del Novecento.
Questo ha significato che, in centri più piccoli come Oliena, per
quanto riguarda certi capi di biancheria come quella intima si sia
passati da nessun uso - o un uso di capi rozzi e non ricamati – alla
biancheria intima di tipo industriale, saltando così una fase sicura-
mente più documentabile nei ceti più elevati.
Di fronte alle domande riguardanti i capi di biancheria, in particolare
quelli personali più ancora che quelli per la casa, la risposta comune
è quella che attribuisce il possesso di questi capi esclusivamente a
sas segnòras, cioè alle appartenenti a famiglie nobili. I ceti meno
abbienti, invece, non possedevano quasi nessuno dei capi che oggi
sono prerogativa comune e ornamento di ogni casa, anche perché
in passato erano spesso assenti gli stessi mobili e complementi d’ar-
redo che oggi vengono abbelliti con manufatti ricamati.
Ci sono tuttavia alcune tipologie di capi di biancheria per la casa
che sono stati maggiormente utilizzati. Tra essi rientrano le tova-
gliette, già abbastanza diffuse ai primi del Novecento, forse anche
grazie all’esistenza molto più antica delle tovaglie d’altare, e poi
affermatesi comunemente a partire dal secondo dopoguerra. Le
tovagliette, di solito di forma rettangolare o quadrata, sono usate
come centrotavola e per abbellire tavolini o ripiani di credenze così
come gli analoghi centrini, che si differenziano per la forma ovale o
circolare e le dimensioni più ridotte; questi, talvolta, vengono anche
incorniciati e appesi a mò di quadretto ricamato, per abbellire le pa-
reti domestiche. Per entrambi questi capi il tipo di punto può variare
moltissimo, a seconda della fantasia e della tecnica preferita dalla
ricamatrice: intaglio (puntu ‘e travu), sfilato (trappàdigliu), punto
pieno (puntu prenu), punto tondo (puntu tundu), punto inglese,
punto rete, punto ombra ed altri.
Come già attestato nella letteratura in materia, i termini in lingua
sarda usati per definire questi punti variano da paese a paese anche
in centri contigui, per cui a punti uguali corrispondono nomi diversi
e a nomi uguali corrispondono punti diversi a seconda della località.
Inoltre, la varietà dei punti nel ricamo della biancheria non è legata
alla tradizione, che nel caso dei capi ricamati del costume contiene e
disciplina le modifiche, ma al contrario all’utilizzo di modelli tratti da

35
riviste di ricamo e liberamente usati sui capi di biancheria.
Questi punti vengono usati per decorare anche altri due capi diffusi
tradizionalmente anche tra le classi meno abbienti sin dai primi del
Novecento: il risvolto del lenzuolo, sa rivòlta, e i copricuscini. Prima
di entrare nello specifico di questi due capi, è opportuno ricordare
che presso i ceti meno abbienti la camera da letto era di norma
l’ambiente più elegante, quello a cui si dedicavano maggiori cure,
quello in cui la partoriente o l’ammalato ricevevano le visite della
comunità. In particolare, la presenza del letto a baldacchino, rapida-
mente scomparso a partire dall’inizio del XX secolo, faceva sì che in
quella zona della casa si concentrassero in passato i maggiori sforzi
di abbellimento e quindi i capi ricamati. A differenza che in altre
località della Sardegna, ad Oliena sono comunemente introvabili gli
inghirialèttu, strisce ricamate da porre intorno ai piedi del letto che
altrove erano in buratto o filet, mentre ad Oliena le si ricorda in lino
con ricami all’uncinetto. Le fonti orali ricordano anche che queste
strisce vennero disfatte in gran numero nel corso della Seconda
Guerra Mondiale per ottenere filati; stessa sorte subirono molte
delle rivòlte, utilizzate per confezionare capi di primaria importanza
come le camicie. La rivòlta, in italiano “risvolto” è una fascia rettan-
golare che in passato veniva posta trasversalmente sopra il letto in
modo da simulare la presenza sottostante delle lenzuola (di cui ne
avrebbe costituito appunto il risvolto), quasi sempre inesistenti se
non sotto forma di un pezzo di tela usato come lenzuolo “di sotto”.
Qualche informatrice ricorda abbinata alla rivòlta anche una coppia
di copricuscini, che al mattino venivano appoggiati a mò di federe
sopra i cuscini; altro uso che si ricorda – sempre ai fini di tenere
il letto presentabile durante la giornata – è quello di sostituire ai
cuscini usati di notte dei cuscini “da giorno”, che consentivano di
mantenere il letto pulito e in ordine nelle ore in cui la camera da
letto non veniva adoperata per dormirvi. Alcune donne ricordano
sin dall’infanzia la presenza di bisacce (bèrtulas) ricamate e non ai
piedi del letto, sempre con funzione ornamentale oltre che di riscal-
damento. Le bisacce “buone” usate durante le feste e nelle proces-
sioni presentavano di solito una fascia ricamata nella zona centrale,
mentre le parti restanti erano in orbace.
Per chiudere la rassegna di accessori ricamati per la casa, sono da
citare i cuscini e le tende, ormai diffusissimi nelle case olianesi ma di
tarda introduzione, sicuramente non precedente agli anni Settanta
del Novecento.
Ad Oliena le donne ricordano che fino a tutti gli anni Ottanta era uso
comune quello di esporre la biancheria buona sulle finestre durante
le processioni, attestato anche in altre località della Sardegna.
Altri accessori ricamati non tradizionalmente sono la gorgiera per
l’ornamento dei cavalli (collàna) e un altro capo usato per l’abbelli-

36
mento dei cavalli da processione, il sottosella (bàttile). Entrambi sono
diffusi sin da tempi antichi ma con apparati decorativi differenti o
inesistenti; nel caso della gorgiera, si tratta di un capo in cuoio, che
in passato veniva ornato solo da campanelli (detti griglios, che tal-
volta danno il nome all’accessorio nel suo insieme) o da decorazioni
a stampo a fuoco. Oggi la collàna si presenta rivestita di velluto o
in pelle ricamata, pur mantenendo i tradizionali campanelli; si tratta
comunque di un accessorio piuttosto raro anche in occasioni festive
e processionali. Molto più diffuso è invece il sottosella ricamato, che
la testimonianza diretta della sua prima autrice ci permette di collo-
care negli anni Ottanta e di dargli una storia: fino a quel momento
il sottosella, in quanto capo destinato ad usurarsi e a sporcarsi facil-
mente a contatto col pelo e col sudore del cavallo, era in orbace o
in tessuto di lana. Una ricamatrice olianese ha tratto ispirazione dai
motivi floreali di alcuni di questi tessuti per trasferirli come ricamo
sul velluto, conferendo preziosità a questo capo e destinandolo ad
un uso festivo e processionale.

[ 20 ]

37
Piccola storia del ricamo
nel vestiario tradizionale olianese

[ 21 ]
5.

I capi più antichi dell’abbigliamento tradizionale di Oliena risalgono


al secolo XVIII, e sono reperibili come insieme completo in pochis-
simi casi; nella maggior parte dei casi, infatti, sono stati smembrati
tra diverse eredi di una stessa famiglia proprio per la loro preziosità,
perdendo però in tal modo il loro valore di insieme. Si tratta dei capi
che costituiscono sa veste, ovvero il costume festivo e di gala della
nobiltà, il cui uso si estese al ceto borghese durante il secolo XIX.
L’uso della veste è attestato da fonti orali fino agli anni Venti del No-
vecento. Da un punto di vista del ricamo, ad eccezione dei finissimi
ricami lineari di rifinitura, la veste non presenta elementi ricamati
così numerosi e appariscenti come nel costume tradizionale succes-
sivo, ma testimonia piuttosto il fiorente commercio e la disponibilità
già da tempi molto antichi di tessuti pregiati anche in Sardegna.
Nella veste, gli elementi ricamati sono gli stessi osservabili nel giub-
betto, nella gonna e nel corpetto, cioè le linee di rifinitura delle
cuciture di giuntura delle diverse parti di un capo, oltre ai ricami dei
polsi e dello scollo della camicia che talvolta terminano a volants
(pulànigas), prerogativa esclusiva delle nobili; l’unico elemento che
presenta ricchi ricami è il camùsciu, la cuffietta che in forma molto
più modesta divenne nel tempo un sostegno al muncadòre, ad esso
sottostante. Il velo e il grembiule potevano essere di tulle, operato
meccanicamente ma talvolta anche delicatamente ricamato a mano
con motivi fitomorfi.
In alcune immagini fotografiche dell’ultimo quarto dell’Ottocento,
nelle foto di donne appartenenti a ceti nobili e benestanti non ap-
pare ancora traccia di quei ricami preziosi che contraddistinguono il
costume festivo odierno: i fazzoletti sono in seta, in tinta unita scuri
e color crema annodati sotto il mento e indossati sopra il camùsciu.
La gonna, rigorosamente doppia, è sopra la caviglia e piuttosto ri-
gonfia, rifinita nella parte superiore dalla intrìccia in tessuti o nastri
di seta e da un bordo inferiore in nastro di seta operata a motivi
fitomorfi e zoomorfi stilizzati (vètta frorìa), alto circa venti centime-
tri. Raramente appare anche il grembiule, ma è comunque di seta
stampata. I giubbetti sono in ricchi tessuti operati a motivi floreali,
presumibilmente broccato o broccatello. Gli uomini indossano ca-
micie con polsi e collo ricamati, poco differenti da quelle odierne, e
giubbetti in panno rosso bordati di nastro viola. In una delle imma-
gini, tuttavia, compare anche un uomo con giubbetto in tessuto o
nastro operato a motivi floreali.
Tra il 1900 e il 1920 subentrano le prime modifiche sia nei termini
delle fogge che nell’uso del ricamo; in questo periodo, i costumi
olianesi esposti alla Mostra di Etnografia italiana tenutasi a Roma

39
nel 1911 testimoniano la presenza, nel costume femminile festivo e
di gala, di un delicato ricamo sul copricapo a fazzoletto, indossato
ancora sopra uno spartano camùsciu e con le cocche legate sotto
al collo. Lo confermano anche le informatrici, ricordando che le
loro madri acquistavano i muncadòres già ricamati, a quel tempo a
punto pieno, negli appositi negozi. I motivi decorativi occupano co-
munque una superficie ridotta sebbene presentino colori già accesi.
La chiusura centrale della gonna, sa màssula, è ancora riccamente
ornata da nastri di seta operata e ricami lineari a più file. Il giubbetto
è a doppio diritto, in panno rosso con inserti in raso e in velluto e
rifiniture della parte posteriore e dei polsi a ricami lineari a più file
e più colori; il ricorso al panno indica un uso festivo ma da parte di
appartenenti a ceti non elevati. La camicia presenta il còro a guar-
nizione della scollatura, rifinita da un semplice bordino ricamato
come i polsi. Non sono ancora comparsi i ventàglios ne il pèttu né la
tecnica a intaglio per il ricamo della scollatura e dei polsi.
Tra gli anni Venti e gli anni Quaranta, il costume femminile festivo
e di gala è soggetto a un’ulteriore evoluzione: scomparso l’uso
della doppia gonna in orbace si attesta definitivamente quello del
grembiule, inizialmente ancora in tessuti di cotone o seta semplici o
stampati ma senza ricami e poi delicatamente ricamato e con balza
in pizzo a traforo o a filet. La balza della gonna si mantiene inizial-
mente bassa e in vètta frorìa ma all’inizio degli anni Quaranta è già
più alta, in velluto o in raso pitturato e molto raramente ricamato. Le
camicie iniziano a dotarsi di piccoli ventàglios triangolari alle estre-
mità dei polsi. Scompare il corpetto. Il giubbetto viene confezionato
in broccato o broccatello a motivi floreali. Il fazzoletto, di dimensioni
più grandi che in precedenza, si porta non più sopra il camùsciu e le-
gato sotto il collo, ma arrotolato all’esterno con il chìrcu e con le due
estremità laterali che ricadono sul petto lateralmente al viso; i motivi
decorativi nella parte posteriore si infittiscono e si ingrandiscono
e appare l’uso moderato della canutiglia d’oro e d’argento come
rifinitura a rete o per contornare i disegni, che occupano un’area
maggiore che in precedenza.
Gli anni Cinquanta vedono affermarsi la versione più ricca del co-
stume femminile festivo e di gala, che nei decenni successivi e fino
al periodo attuale assumerà la forma codificata del “costume di
Oliena”, caratterizzato da un ampio ricamo in filo d’oro e perline
del fazzoletto; le maniche della camicie sono ampie e dotate di
tutta la gamma di ornamenti già esaminati, dai ventagli triangolari
nell’estremità dei polsi al pèttu, elemento decorativo centrale la cui
funzione è anche quella di nascondere l’apertura della camicia. È da
notare come in questo periodo tutti i frunimèntos appaiano eseguiti
con la tecnica a traforo, evoluzione che non coinvolge invece gli
ornamenti dei polsi e del collo della camicia maschile. Il grembiule

40
è lungo e arricchito di ricami floreali in filo di seta e oro, ancora di
dimensioni contenute, e la balza in filet scompare progressivamente.
Il fazzoletto copricapo inizia ad essere ricamato per un uso borghese
e non tradizionale, e – solo ed esclusivamente in questa accezione
– si trasferisce dal capo alle spalle.
Tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, ricordati ad Oliena come su
tempu ‘e su benessere, si assiste a un’esplosione del ricamo, non solo
per l’estensione anche ai ceti meno abbienti di tutti i capi ricamati
di biancheria del corredo, ma anche e soprattutto per il boom del
muncadòre. A proposito di quel periodo le fonti orali riferiscono di
un fiorente commercio sia in paese che in altre zone della Sardegna,
soprattutto costiere, e da lì nella penisola; e raccontano di scuole
e di corsi, di mostre e di premi, di tutta quella operazione di valo-
rizzazione dell’artigianato sardo che ruotava intorno all’I.S.O.L.A.
fondata da Eugenio Tavolara, che raccoglieva l’eredità di precedenti
iniziative e istituti con finalità simili, e alla cerchia di artisti sardi che
con la loro attività fecero da tramite tra l’Isola e la penisola o altri
paesi dell’Europa e del mondo.
È un periodo di forti contraddizioni: da parte di intellettuali e artisti
si dà impulso alle produzioni artigianali e si cerca una riscoperta del
tradizionale, mentre da parte delle generazioni più giovani e meno

[ 22 ]

41
borghesi si rifiuta di proseguire sulla strada della tradizione in tutte
le sue implicazioni, anche vestimentarie. Il costume tradizionale fe-
stivo smette dunque di subire evoluzioni, mentre quello quotidiano
prende due strade diverse: da una parte viene totalmente accan-
tonato a favore delle mode provenienti dalla città, dall’altra viene
mantenuto sotto forma di un adattamento parziale alla comodità
dell’abbigliamento cittadino, producendo un clone “pret a porter”
del vestiario tradizionale. Da quel momento ad oggi, alcune donne
scelgono di vestirsi con una gonna lunga plissettata e una camicia
bianca o azzurrina (ricamata nelle occasioni festive) con sopra un
maglione o uno scialle nero, in tibet come il fazzoletto di colori scuri
e in tinta unita talvolta ricamato. Solo alcune donne in quegli anni
continueranno a portare il costume tradizionale quotidiano nella
versione integrale con la gonna in orbace, sa ‘ammisa e il corpetto
o il giubbetto.
Negli ultimi quindici anni si assiste in parte a una riscoperta dell’an-
tico. Scoppiata la bolla commerciale, passata l’epoca dei soldi facili,
chiuso l’I.S.O.L.A., le ricamatrici riscoprono, se non il minimalismo
del primo Novecento, la sobrietà di un uso dell’oro meno totalizzan-
te ma per questo anche più raffinato. Sul muncadòre riappaiono i
disegni in filo di seta, e anche se nei grembiuli qualcuno li considera
eccessivamente grandi, questa rielaborazione dei colori e dei motivi
decorativi in chiave attuale è anche il segno di un rinnovarsi; che
per la tradizione non significa morire ma al contrario evolversi, forse
finalmente libera da quei folklorismi che – a scopi più o meno com-
merciali – anche in Sardegna hanno viziato e fossilizzato in forme
fisse, ripetitive e sempre uguali, molta della produzione artigianale
degli scorsi decenni.

[ 23 ]

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[ 24 ]

43
Glossario dei termini

Alèttas: parti posteriori del giubbetto


‘Ammisa: camicia
Bàttile: sottosella
Bèrtula: bisaccia
Billùdu ‘e ràu: terziopelo, velluto di seta
Broccàdu/broccadèddu: broccato/broccatello
Camùsciu: antico copricapo a cuffietta semirigida
Càrcias: fili di seta colorati arrotolati alle frange del fazzoletto per
fermarle
Chìrcu: supporto morbido in stoffa imbottita utilizzato ripiegato ad
arco per arrotolare il fazzoletto sul capo
Collàna: gorgiera per ornamento di animali a festa; chiamata anche
grìglios per estensione del termine indicante i campanelli che ne fanno
parte
Còro: (pronuncia hòro): particolare e complesso ricamo, tipico della
tradizione olianese, effettuato su alcune parti della camicia.
Cucùggiu: copertina per neonato
Frànda (pronuncia vrànda): grembiule
Frunimèntos: ornamenti ricamati della camicia. Il termine generale è
comprensivo di:
brùssos: polsi; nelle camicie femminili essi terminano con ventàglios
di forma triangolare
pettòrras: parti laterali più esterne dello scollo
pèttu: elemento centrale verticale di copertura dell’apertura
anteriore
Ghettàre a pàre: confezionare la camicia assemblandone le varie parti
Gippòne: giubbetto
Hintòglia: cintura maschile
Incoràre/Incoròngiu: operazione dell’effettuare il còro (vedi sopra)
Istèrrere: imbastire
Intrìccia: fascia in tessuto che segna il punto vita della gonna
Isciàllu: scialle da spalla (capospalla)

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Istramàre: sfilare
Istramòngiu: sfilatura
Marghinèsu: ricamo lineare di rifinitura di parti unite da cuciture
Màssula: sportellino anteriore della gonna, di forma quadrangolare,
collocato al centro a partire dal punto vita, con due punti di apertura
Màstru/Màstra ‘e pànnu: sarto/ sarta
Muncadòre: fazzoletto/scialle copricapo
Pala: corpetto
Perr’e s’au: ricamo lineare di rifinitura delle parti unite da cuciture
Punt’e tràvu: ricamo a intaglio
Pupùsas: nappine del giubbetto
Rasu: balza ornamentale della parte terminale della gonna, in raso
dipinto (rasu pitturàu) o ricamato (rasu recramàu)
Recramadòra: ricamatrice
Rivòlta/Revòrta: fascia ricamata da porre sul letto a mò di risvolto di
lenzuola, per ornarlo
Tenìngiu: plissettatura o fitta pieghettatura. È presente nella camicia
(polsi, spalle, lati dello scollo) e nella gonna (punto vita)
Tibè: tessuto di lana tibet usato per confezionare il fazzoletto e lo
scialle
Trambìcchi: tela fine di cotone usata per confezionare le camicie, in
italiano madapolam o tela di Cambrai (il termine italianizzato è “tela di
cambrì”, da cui per assonanza il termine in olianese)
Trappadìgliu: ricamo sfilato
Trìccia: rifinitura esterna dei lati del fazzoletto, ottenuta mediante
cordoncino di seta annodato con la tecnica del macramè
Tùnica: gonna
Urèsi: orbace di lana
Uvidalèras: nel giubbetto, le due fasce che corrono dietro ai gomiti,
solitamente ricamate
Vètta: nastro in seta operata. Si distingue in seta operata a motivi
fitomorfi e zoomorfi (vètta frorìa) e taffettà di seta in tinta unita (vètta
o vètta lìscia)

45
Bibliografia

– Altea G., Magnani M., Pittura e scultura del Primo Novecento, Nuoro
1995.
– Alziator F., La raccolta Cominotti, Roma 1963.
– Arata G., Biasi A., Arte sarda, Milano 1935.
– Archivio per lo studio delle tradizioni popolari italiane, annate varie.
– A.A.V.V., Vanità sarda. Eleganze antiche e profane, Milano 1986.
– Calderoni E., Il costume popolare italiano, Milano 1934.
– Buseghin M.L. (a cura di), In viaggio con Penelope, percorsi di ricamo
e volute di merletto dal XVI al XX secolo, Milano 1989.
– Cabboi F., Congiu S., Loi D., Oliena, immagini e testimonianze di vita,
Nuoro 1989.
– Carta Mantiglia G., Vestiario popolare della Sardegna, Sassari 1979.
– Carta Raspi R., Costumi Sardi, Cagliari 1931.
– Catalogo della Mostra di Etnografia italiana in piazza d’Armi, Bergamo
1911.
– Colomo A.M., Speziale G., I costumi della Sardegna, Nuoro 1983.
– Costumi. Storia, linguaggio e prospettive del vestire in Sardegna,
Nuoro 2003.
– Costumi; gli abiti sardi dell’Esposizione Internazionale di Roma del
1911, Nuoro 2005.
– Davanzo Poli D. (a cura di), Il merletto nel folklore italiano, Venezia
1990.
– Deledda G., Tradizioni popolari di Nuoro (Sardegna), r.a., Cagliari
1971.
– Delitala E., Note sull’abbigliamento tradizionale in Sardegna, Cagliari
1981.
– Delitala E., Fonti iconografiche di Etnografia. Trenta costumi sardi,
Cagliari 1956.
– Delogu R., La sezione etnografica “G. Clemente” del Museo Nazionale
G.A. Sanna di Sassari, Sassari 1950.
– Demartis G.M., Abbigliamento, in Il Museo Sanna di Sassari, Sassari
1986.
– Demartis G.M., Randas, c.m., Sassari 2004.
– Manconi F. (a cura di), Il lavoro dei sardi, Sassari 1983.
– Il Museo etnografico di Nuoro, Sassari 1987.
– Naitza S., Delitala E., Piloni L., Album di costumi sardi riprodotti dal
vero, Nuoro 1990 .

46
– Oliena, paesaggi e personaggi del Novecento sardo, c.m., Oliena
2007.
– Orlando F., Guido Colucci, Sassari 1998.
– Pilia F. (a cura di), Sardegna tra due secoli nelle cartoline illustrate della
Collezione Colombini, Nuoro 1980.
– Samugheo C., Costumi di Sardegna, Cagliari 1981.

47
Immagini

[1] Ragazza in costume festivo. “Cortes apertas” 2008

[2] Ragazza in costume festivo. “Cortes apertas” 2008

[3] Ragazza in costume festivo. “Cortes apertas” 2008

[4] Preziosità dei ricami festivi. “Cortes apertas” 2008

[5] Fazzoletti e grembiule ricamati (Sig.ra Susanna Piga)

[6] Polsino ricamato (Sig.ra Carmela Tupponi)

[7] Camicia ricamata (Sig.ra Anna Massaiu)

[8] Antico corpetto (fronte). Collezione privata

[9] Antico corpetto (retro). Collezione privata

[10] Retro di un giubbetto. Collezione privata

[11] Balza ricamata (Sig.ra Dorotea Pinna)

[12] Balza di gonna pitturata (Sig.ra Patrizia Carrus)

[13] Particolare di grembiule ricamato (Sig.ra Giovanna Lostia)

[14] Cinture ricamate (Sig.ra Susanna Piga)

[15] Cuffietta da neonato ricamata (Sig.ra Bonaria Congiu)

[16] Abito da battesimo ricamato (Sig.ra Bonaria Congiu)

[17] Cuffietta da neonato ricamata (Sig.ra Bonaria Congiu)

[18] Murale ad Oliena con donna che ricama

[19] Borsetta ricamata (Sig.ra Susanna Piga)

[20] Particolare di un paramento sacro (Sig.Carmela Tupponi)

[21] Fase iniziale di un ricamo

[22] Ricamatrice al lavoro (Sig.ra Maria Salis)

[23] Parte posteriore di un corpetto. “Cortes apertas” 2008


Collezione privata

[24] Particolare di fazzoletto ricamato (Sig.ra Giovanna Lostia)

[25] Particolare di grembiule ricamato (Sig.ra Maria Salis)

48
[ 25 ]
49
Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed
Etnoantropologici per le province di Sassari e Nuoro

Questo lavoro è stato realizzato con i fondi della Programmazione Ordinaria del Mi-
nistero per i Beni e le Attività Culturali E. F. 2006 (D. M. 30/03/2006) – Cap. 7834
– Perizia 1082 del 20/09/2007 - OLIENA (NU), Museo del Ricamo e del Fazzoletto
Olianese - “Lavori di allestimento ed adeguamento impiantistico e restauro di oggetti
polimaterici etnoantropologici”, Euro 200.000,00

Responsabile del Procedimento


arch. Rossella Sileno

Supporto al Responsabile del Procedimento


geom. Anna Campus

Progettazione generale e progetto architettonico


arch. Rossella Sileno

Collaborazione alla progettazione generale e progetto architettonico


geom. Giuseppe Doro

Progetto Conservativo di tessuti ricamati e disegni preparatori


sig.ra Maria Francesca Mureddu

Direzione dei Lavori (progetto architettonico)


arch. Gabriela Frulio

Direzione operativa (progetto architettonico)


geom. Giuseppe Doro

Coordinatore per la Sicurezza


geom. Giuseppe Doro

Collaborazione alla Direzione dei Lavori (progetto architettonico)


geom. Anna Campus

Consulenze e collaborazioni esterne


Ricerca Scientifica per gli aspetti etnoantropologici
dott. Valeria Sanna Randaccio

Ditta esecutrice dei Lavori


M.N. Manifattura Nulese srl., Via Dante n. 33 - 07010 NULE

Un ringraziamento particolare per il prezioso supporto tecnico fornito in fase di


progettazione e nel corso della Direzione dei Lavori va al geom. Giovanni Tedde del
Comune di Oliena.

Aprile 2008
Tipografia Gallizzi
Sassari
ISBN 978-88-89502-33-4

€ 10,00
9 788889 502334

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