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IL RICAMO AD OLIENA
VALERIA SANNA RANDACCIO
Il ricamo ad Oliena
Guida
Guida
Il ricamo ad Oliena
Testi
Valeria Sanna Randaccio
Immagini
© Copyright Valeria Sanna Randaccio
Ringraziamenti
L’autrice esprime la propria gratitudine a tutti coloro
che hanno contribuito alla riuscita di questo lavoro, e in
particolare alle Signore e Signori Felicina Cabboi, Patrizia
Carrus, Bonaria Congiu, Tatana Congiu, Peppa Congiu,
Paolo Corsico, Franca Costa, Mintonia Fancello, Angela
Ghisu, Anna Massaiu, Francesca Massaiu, Michela
Massaiu, Pietrina Massaiu, Maria Muscau, Susanna
Piga, Dorotea Pinna, Luisa Pinna, Maria Puddu, Roberto
Puddu, Maria Salis, Giovanni Tedde, Carmela Tupponi
Stampa
bla bla
Edizioni
Mediando srl
via Coradduzza 27
07100 Sassari
www.mediando.net
ISBN 978-88-89502-33-4
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GUIDA
IL RICAMO AD OLIENA
VALERIA SANNA RANDACCIO
Il ricamo a Oliena
tra ricordo e attualità
[1]
1.
7
a seconda dei capi da ricamare e quindi delle tecniche adoperate. I
disegni seguono un repertorio tradizionale di motivi decorativi, su
cui si innestano di volta in volta variazioni e innovazioni di gusto
personale. Ma la differenza nella qualità dei ricami la fanno da
sempre soltanto tre cose: l’abilità, la serietà e la passione. E ancora
tre, a detta delle ricamatrici più esperte, sono i peggiori nemici del
ricamo: la fretta, l’improvvisazione e la superficialità.
[2]
8
[3]
9
Manufatti ricamati
dell’abbigliamento tradizionale
10 [3]
2.
Il vestiario costituisce ancora oggi il terreno più fertile per l’uso del
ricamo, sia perché il costume tradizionale è considerato tuttora
quello da esibire nelle occasioni più importanti sia perché la quanti-
tà e la varietà dei ricami nei diversi indumenti lasciano alla fantasia
delle ricamatrici un vasto campo d’azione, regolato dall’abilità e
dal gusto nell’uso di colori e motivi decorativi che si rifanno alla
tradizione olianese sotto la personale interpretazione delle singole
ricamatrici. Ad Oliena è attestato l’uso di una gamma cromatica
piuttosto ampia e accesa di colori e dell’oro, a impreziosire i fazzo-
letti che ricadono sui giubbetti in broccato, broccatello e nastro di
seta indossati sulle camicie arricchite di ricami a traforo, a filet, a
intaglio e ad ago nei polsi e nella scollatura.
Tradizionalmente le tre principali occasioni d’uso che contraddistin-
guevano il vestire di uomini e donne erano quelle della festa, della
quotidianità e del lutto. Col tempo, e in particolare a partire da
quello che nella memoria collettiva olianese è identificato come “il
tempo del benessere”, cioè all’incirca dagli anni Sessanta del Nove-
cento, il vestiario tradizionale è stato progressivamente confinato
alle occasioni festive o è sopravvissuto per singoli capi accostati a
capi non tradizionali, come è accaduto alla camicia ricamata. Tutta-
via, fino a non molti anni fa era attestata ad Oliena sia la presenza
di donne ancora abitualmente vestite in costume tradizionale nella
quotidianità, sia l’uso di seppellire i defunti di entrambi i sessi con gli
abiti tradizionali della festa. In questa cornice, il ricamo ha avuto so-
prattutto in passato un posto di primaria importanza nel distinguere
la povertà dalla ricchezza, la cura dalla sciatteria, la volontà di salire
la scala sociale dall’accettazione del proprio status; e soprattutto,
l’ampiezza e la tipologia dei ricami hanno costituito tradizionalmen-
te una facile indicazione dello stato civile delle donne agli occhi della
comunità. Non è difficile immaginare, a messa e nelle processioni,
quanti occhi non solo maschili si saranno appuntati sulla lunghezza
di una frangia, sulla grandezza del ricamo in un fazzoletto, sulla
presenza o meno di tutti quei segni che indicavano chiaramente la
condizione di nubile o sposa di una donna e il suo status sociale,
persino quando qualcuna tentava - con scarsi risultati – di ostentare
tramite il vestiario l’appartenenza a una classe sociale a cui in realtà
non poteva aspirare.
Per una più facile lettura, segue la descrizione dei capi dell’abbiglia-
mento tradizionale che possiedono parti ricamate. Per ogni capo
considerato, viene specificato nel dettaglio quali elementi di ogni
singolo capo sono interessati dal ricamo.
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2.1
Copricapo, Muncadòre.
Elementi ricamati
- Parte della superficie in prossimità di uno degli angoli.
- Bordo in macramè.
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Il muncadòre si confeziona partendo da un disegno che viene tra-
sferito sul tessuto – teso su un telaio quadrato in legno – mediante
carta da ricalco. Del disegno vengono prima imbastiti i contorni, che
successivamente vengono riempiti con filo di seta. Spesso il ricamo
in filo di seta viene ulteriormente arricchito da un ulteriore ricamo
in filo d’oro che ricalca gli stessi motivi decorativi, sia sotto forma
di piccola rete sia come vero e proprio rivestimento del precedente
lavoro in seta. Il filo d’oro ha delicatamente fatto la sua comparsa in-
torno agli anni Venti del Novecento, in piccola quantità soprattutto
per le rifiniture e i contorni; il suo utilizzo – sotto forma di canotiglia
ovvero metallo dorato o argentato – è esploso a partire dal Secondo
Dopoguerra, tanto da superare in quantità l’uso della seta per un
lungo periodo, nonostante alcune ricamatrici siano sempre rimaste
fedeli a questo materiale. L’uso massiccio dell’oro è stato responsa-
bile anche della diminuzione delle dimensioni dei motivi decorativi
sebbene oggi si tenda a tornare ad un uso più sobrio della canoti-
glia, per quanto siano pochissime le ricamatrici che non ne usino
almeno un poco per dare più luce ai loro lavori.
I motivi decorativi tradizionali comprendono un repertorio preva-
lentemente floreale; i fiori del repertorio “di Oliena” sono la rosa, il
garofano, la viola del pensiero e la margherita. Ad essi si accostano
– soprattutto in passato – il vaso di fiori, la farfalla, il nastro fiorito
e l’uccello, motivi tratti dagli antichi nastri in seta operata (vètta
antì(h)a) utilizzati sin da fine Ottocento per rifinire gonne, corpetti
e giubbetti. Il punto utilizzato per il ricamo del fazzoletto è detto
[4]
13
puntu ‘e su muncadòre, che comprende sia il punto raso che il punto
pieno: quest’ultima denominazione, a sua volta, è comprensiva di
svariati altri punti, tra cui il punto lanciato, il punto fiamma, il punto
stuoia, il punto nodo e il punto seme, fino al più semplice punto
erba. La gamma di colori utilizzati comprende quasi tutte le tonalità
accese del rosso, del verde, del blu, del giallo, di solito in un numero
di sfumature che va da tre a cinque per ogni colore.
Per quanto riguarda l’ornamento dei lati in macramè, l’intreccio dei
cordoncini di seta (trìccia) viene effettuato manualmente, secondo il
personale estro della ricamatrice o sulla base di un’indicazione pre-
cisa del committente. Dal punto di vista del macramè, la differenza
tra un fazzoletto di uso quotidiano e uno festivo e di gala sta nel nu-
mero di fili e nella loro altezza, che nel primo caso si ferma a 50 cm
mentre nel secondo arriva a 1 m. Il lavoro del macramè può essere
fatto sia con l’uso del telaio quadrangolare sia tenendo il lavoro sulle
ginocchia; in questo caso, poiché alcuni fili devono essere tenuti
fermi, le ricamatrici li infilano nel punto vita della gonna.
Il colore di fondo del fazzoletto – oggi sempre nero – in passato
poteva variare dal nero al vinaccia o marrone, entrambi compresi
nel termine tabacchìnu; la grandezza del ricamo e l’uso o meno
del filo d’oro erano proporzionali all’occasione d’uso, quotidiana o
festiva, alla condizione sociale e allo status civile. Alle donne dei ceti
meno elevati e alle nubili non era socialmente permesso di portare
fazzoletti con ricami ricchi e di grandi dimensioni, e le frange degli
stessi non potevano avere la doppia fermatura in seta colorata o in
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oro (sas dòppias càrcias) come invece accadeva nel fazzoletto da
festa (muncadòre ‘onu) delle donne fidanzate e più benestanti, che
“potevano permettersi” anche l’uso di strass e perline. Chi infran-
geva queste regole non scritte si vedeva amaramente criticata dalla
comunità; un’anziana ricamatrice racconta che nei casi più estremi
la punizione poteva arrivare – di nascosto – al taglio delle frange del
fazzoletto in occasione di feste e processioni, quando per le più se-
vere custodi dell’ordine sociale era più facile compiere l’atto punitivo
avvicinandosi a chi aveva osato troppo senza essere viste.
Il fazzoletto che veniva donato alle giovani donne in occasione del
fidanzamento, e che per questo veniva chiamato su donu, era il re-
galo che la suocera faceva alla futura nuora, mentre prerogativa del
fidanzato erano i bottoni per la camicia; le fonti orali ricordano che il
futuro sposo regalava alla futura moglie da parte della suocera uno
o più muncadòres ricamati, dalla cui ricchezza si poteva immediata-
mente intuire quale sarebbe stato il tenore di vita a sui cui sarebbe
andata incontro la giovane.
Per le vedove, il fazzoletto era rigorosamente nero senza alcun rica-
mo e veniva indossato girato verso l’interno, mentre alcune donne
ricordano che il color tabacchìnu (nelle versioni vinaccia e marrone)
senza ricami era usato in particolar modo dalle vedove risposate o
dalle donne che si sposavano dopo un lutto recente, pur non es-
sendo loro esclusiva prerogativa in quanto – nella versione ricamata
– veniva usato anche da chi non era soggetto alle prescrizioni legate
al mezzo lutto.
Il momento più delicato di tutto il confezionamento di questo capo
risulta essere la tensione iniziale del tessuto sul telaio, in quanto un
errore iniziale potrebbe compromettere la corretta trasposizione del
disegno e quindi causare una deformazione del motivo decorativo.
La precisione e l’accuratezza dei dettagli necessarie a confezionare
un muncadòre di buona qualità fanno sì che i tempi necessari per la
sua esecuzione varino dai 45 ai 75 giorni a seconda del numero di
ore di lavoro ad esso dedicate, in media dalle quattro alle otto ore.
Per gli intenditori, le ricamatrici riferiscono che la qualità del lavoro
si valuta sempre alla rovescia: più risulta essere simile al diritto, più è
indice di una mano esperta e rifinita.
[5]
15
2.2
Camicia, ‘Ammisa.
Elementi ricamati
- Polsi.
- Parti laterali dello scollo.
- Elemento centrale decorativo.
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tre o cinque moduli matematici di conteggio delle trame da alzare
e da abbassare, e prevede l’uso di più aghi contemporaneamente. Il
risultato è un delicatissimo motivo decorativo a bassorilievo, su còro,
che orna sia i polsi che le maniche con motivi geometrici. La necessi-
tà di una logica matematica di base, la complessità del conteggio, la
difficoltà stessa di questo particolare tipo di ricamo che a detta delle
ricamatrici “se si sbaglia è più facile ricominciare daccapo piuttosto
che disfare”, fa sì che attualmente ad Oliena siano rimaste pochissi-
me persone in grado di eseguirlo nonostante la camicia incoràda sia
uno dei pezzi più richiesti dal mercato.
Il terzo passaggio è quello dell’applicazione degli ornamenti alla ca-
micia, che viene così frunìa. Gli ornamenti vengono confezionati in
precedenza e vengono poi cuciti alle varie parti e rifiniti mediante un
ricamo lineare con funzione ornamentale chiamato a seconda del
punto marghinèsu o perr’e au. Il confezionamento dei frunimèntos
avviene a partire da un disegno che viene trasferito su una striscia in
tela fine di cotone; sulla stessa striscia vengono perciò disegnati, in
orizzontale e uno di seguito all’altro, sia gli ornamenti dei due polsi
sia le due parti laterali dello scollo sia su pèttu. Successivamente, il
disegno viene ricamato a rilievo e poi traforato, sfilato o ritagliato;
poi le varie parti, ormai separate, vengono rifinite con il merletto ad
ago a formare sos ventaglios e infine cucite alla camicia. Per la ca-
micia dell’uomo si segue lo stesso procedimento, con l’unica ma so-
[6]
17
[7]
18
3.
Corpetto, Pala.
Elementi ricamati
- Rifiniture dei punti di giuntura tra le diverse parti.
Il corpetto, attestato già dal secolo XVIII, è uno dei capi che hanno
subito meno variazioni nel corso del tempo e che sono scomparsi
per primi dal vestiario tradizionale. Per l’impossibilità di sostituire
solo alcune parti in caso di usura, come nel caso della camicia e
per le ridotte possibilità di adattamento al mutare delle taglie e del
gusto dei tempi, il corpetto è diventato un capo raro e non è andato
incontro alla virata di natura commerciale che ha caratterizzato il
fazzoletto. Già estinto come capo di uso comune a partire dagli anni
Venti del Novecento, viene oggi utilizzato in occasioni e manifesta-
zioni festive solo da chi ne possiede uno di famiglia, in quanto il suo
confezionamento ex novo è diventato troppo dispendioso, quando
non impossibile, per la difficoltà di reperire materiali qualitativamen-
te all’altezza di quelli antichi. Il corpetto, così come il giubbetto, ve-
niva confezionato dalla sarta adoperando inserti di vari tessuti: per
i capi più preziosi, tessuti broccati e laminati cuciti tra loro, foderati
in tela spessa di lino o cotone e rifiniti sopra le cuciture con ricami
lineari in filo di seta di colori giallo, verde, viola, dalle denominazioni
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locali complesse: perr’e s’a(h)u (letteralmente “la metà dell’ago”),
marghinèsu, perr’e s’a(h)u groppà(u), riscontrabili anche nel giub-
betto, nella gonna e nelle rifiniture della camicia.
Questo tipo di punti ricamati si presta a confronti che mettono in
luce un’enorme disparità nella finezza di esecuzione degli stessi a
seconda delle diverse mani. Come nel caso del “cuore” della cami-
cia, si tratta di un lavoro poco appariscente ma proprio per questo
in grado di distinguere nettamente il livello di abilità tra ricamatrici.
Ad uno sguardo attento, infatti, è possibile distinguere la maestria
nel confezionare un corpetto proprio attraverso l’esame sia dell’as-
semblaggio delle parti sia dei punti di rifinitura. E’ È evidente come
alla precisione nel taglio e nell’accostamento dei diversi pezzi, si
accompagni la finezza dei punti di rifinitura delle giunture.
Anche sa pala era rappresentativa dello status sociale e civile di chi
la indossava, oltre che dell’occasione d’uso quotidiana o festiva:
tessuti come il broccato e i laminati di seta erano prerogativa di un
utilizzo festivo e di un certo ceto sociale, mentre le appartenenti a
quelli più modesti si dovevano accontentare del nastro di seta ope-
rato (vètta frorìa) alternato a qualche inserto di velluto o broccatello.
In questo caso però, i colori accesi, la lucentezza e la ricchezza di
motivi decorativi del nastro di seta, facevano sì che la disparità tra
capi più o meno ricchi fosse – almeno a prima vista – meno eviden-
te. Da segnalare anche la presenza di corpetti dipinti, come quello
datato 1954 e conservato presso il Museo della Vita e delle Tradizio-
ni Popolari Sarde di Nuoro.
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2.4
Giubbetto, Gippòne.
Elementi ricamati
- Tutto il giubbetto;
- Rifiniture dei punti di giuntura tra le diverse parti;
- Fasce posteriori lungo i gomiti (uvidalèras)
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per uso domenicale poteva subire una leggerissima variazione delle
nappine, da viola e gialle a tutte viola, per diventare il giubbetto del
mezzo lutto. La vedova, come di consueto, doveva invece indossar-
ne uno rigorosamente di colore nero.
Nel caso del gippòne dell’abbigliamento maschile, la presenza di
ricami si limita alle linee di rifinitura delle giunture. Questi, nei polsi
del giubbetto femminile come nella gonna, possono arrivare a file
parallele di sei, diversi nel punto l’uno dall’altro, all’interno di un solo
centimetro di altezza.
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2.5
Gonna, Tùnica.
Elementi ricamati
- La balza ornamentale inferiore.
- Il punto vita.
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meno possibile, fino a un minimo di ottocento grammi compresa la
balza. Quest’ultima, nella versione ricamata comparsa a partire da-
gli anni Quaranta’40, presenta da cinque a sette riquadri a seconda
della circonferenza e delle possibilità economiche della committen-
te: il numero regolare dei riquadri è di sei in quanto la parte ante-
riore della balza è coperta dal grembiule, ma nonostante ciò alcune
donne scelgono comunque di “esibire” anche il settimo riquadro,
quello centrale. In passato, anche la scelta della balza ornamentale
della gonna era soggetta all’osservanza delle gerarchie sociali, e su
di essa – come per il muncadòre – si appuntavano maggiormente
le critiche delle custodi delle convenzioni: la balza ricamata, su ràsu
recramau, era appannaggio esclusivo delle appartenenti ai ceti più
elevati. Le altre si dovevano accontentare di quella dipinta, su ràsu
pitturàu, o del velluto o del nastro di seta operata.
Altre parti ricamate della gonna sono le rifiniture della fascia in
tessuto che segna il punto vita, detta intrìccia. Questa, sopra i punti
di cucitura delle giunture, presenta i ricami lineari già visti per il
giubbetto e il corpetto, in più righe parallele con evidente effetto or-
namentale; questo effetto era accentuato ulteriormente nei modelli
di gonna antecedenti agli anni Venti, nei quali era particolarmente
ricca e ricamata sa màssula, cioè la parte superiore – apribile in due
punti – del telo centrale. La ricchezza di rifiniture in questo punto
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non è casuale, in quanto al tempo era abitudine delle donne tenere
le mani leggermente disgiunte sul davanti all’altezza della pancia,
portando così l’attenzione sulla parte centrale del punto vita. È da
notare come ancora oggi le donne di una certa età assumano esat-
tamente questa posizione, nella versione con le mani sovrapposte,
di fronte all’obiettivo della macchina fotografica; il portamento è
sempre stato un elemento fondamentale sia per valorizzare i capi
preziosi ma anche per potersi muovere agevolmente con gli stretti
o in questo caso pesanti capi del vestiario tradizionale. Un’infor-
matrice ricorda come – in tempi recenti – la màstra ‘e pannu abbia
confezionato una gonna per la figlia modellandogliela addosso:
la pieghettatura è il passaggio più difficile e delicato, che denota
la vera abilità di una sarta, in quanto da essa dipendono le sorti
dell’intero capo nella sua vestibilità e nelle sue linee, nel cadere cor-
rettamente addosso alla persona. Nella versione attuale, la gonna
del costume tradizionale olianese presenta tre ordini di pieghe: più
fitte in vita (tenìngiu) per modellare il bacino, più larghe da sotto le
anche al ginocchio (ghigliònes) e ancora più larghe dal ginocchio
alla parte terminale (ghèttos), solitamente rifinita all’interno da un
bordo di panno rosso.
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2.6
Grembiule, Frànda.
Elementi ricamati
- I bordi nella metà inferiore; la balza finale.
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dizionale olianese, incluso il grembiule, varino notevolmente non
solo tra epoche ma anche tra classi sociali; conferma del fatto che
l’abbigliamento, nei grandi centri urbani come in quelli più piccoli e
periferici, ha sempre ricalcato secondo i propri moduli quelle rigide
differenze sociali che in Sardegna andarono attenuandosi solo dopo
il Secondo Dopoguerra.
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27
2.7
Cintura, Hintòglia.
Elementi ricamati
- La parte centrale esterna.
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L’abbigliamento per bambini
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3.
31
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bambini verso gli 8-10 anni; questo viene poi sostituito da quello
“per la vita” (salvo mutamenti eccessivi di taglia!) verso i 20 anni,
fermo restando che il costume viene regalato o confezionato da sé
pezzo per pezzo, e il suo completamento è pertanto un processo
lento, che può durare più o meno anni a seconda delle possibilità di
tempo e di denaro della singola persona e della sua famiglia.
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Accessori ricamati
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4.
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riviste di ricamo e liberamente usati sui capi di biancheria.
Questi punti vengono usati per decorare anche altri due capi diffusi
tradizionalmente anche tra le classi meno abbienti sin dai primi del
Novecento: il risvolto del lenzuolo, sa rivòlta, e i copricuscini. Prima
di entrare nello specifico di questi due capi, è opportuno ricordare
che presso i ceti meno abbienti la camera da letto era di norma
l’ambiente più elegante, quello a cui si dedicavano maggiori cure,
quello in cui la partoriente o l’ammalato ricevevano le visite della
comunità. In particolare, la presenza del letto a baldacchino, rapida-
mente scomparso a partire dall’inizio del XX secolo, faceva sì che in
quella zona della casa si concentrassero in passato i maggiori sforzi
di abbellimento e quindi i capi ricamati. A differenza che in altre
località della Sardegna, ad Oliena sono comunemente introvabili gli
inghirialèttu, strisce ricamate da porre intorno ai piedi del letto che
altrove erano in buratto o filet, mentre ad Oliena le si ricorda in lino
con ricami all’uncinetto. Le fonti orali ricordano anche che queste
strisce vennero disfatte in gran numero nel corso della Seconda
Guerra Mondiale per ottenere filati; stessa sorte subirono molte
delle rivòlte, utilizzate per confezionare capi di primaria importanza
come le camicie. La rivòlta, in italiano “risvolto” è una fascia rettan-
golare che in passato veniva posta trasversalmente sopra il letto in
modo da simulare la presenza sottostante delle lenzuola (di cui ne
avrebbe costituito appunto il risvolto), quasi sempre inesistenti se
non sotto forma di un pezzo di tela usato come lenzuolo “di sotto”.
Qualche informatrice ricorda abbinata alla rivòlta anche una coppia
di copricuscini, che al mattino venivano appoggiati a mò di federe
sopra i cuscini; altro uso che si ricorda – sempre ai fini di tenere
il letto presentabile durante la giornata – è quello di sostituire ai
cuscini usati di notte dei cuscini “da giorno”, che consentivano di
mantenere il letto pulito e in ordine nelle ore in cui la camera da
letto non veniva adoperata per dormirvi. Alcune donne ricordano
sin dall’infanzia la presenza di bisacce (bèrtulas) ricamate e non ai
piedi del letto, sempre con funzione ornamentale oltre che di riscal-
damento. Le bisacce “buone” usate durante le feste e nelle proces-
sioni presentavano di solito una fascia ricamata nella zona centrale,
mentre le parti restanti erano in orbace.
Per chiudere la rassegna di accessori ricamati per la casa, sono da
citare i cuscini e le tende, ormai diffusissimi nelle case olianesi ma di
tarda introduzione, sicuramente non precedente agli anni Settanta
del Novecento.
Ad Oliena le donne ricordano che fino a tutti gli anni Ottanta era uso
comune quello di esporre la biancheria buona sulle finestre durante
le processioni, attestato anche in altre località della Sardegna.
Altri accessori ricamati non tradizionalmente sono la gorgiera per
l’ornamento dei cavalli (collàna) e un altro capo usato per l’abbelli-
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mento dei cavalli da processione, il sottosella (bàttile). Entrambi sono
diffusi sin da tempi antichi ma con apparati decorativi differenti o
inesistenti; nel caso della gorgiera, si tratta di un capo in cuoio, che
in passato veniva ornato solo da campanelli (detti griglios, che tal-
volta danno il nome all’accessorio nel suo insieme) o da decorazioni
a stampo a fuoco. Oggi la collàna si presenta rivestita di velluto o
in pelle ricamata, pur mantenendo i tradizionali campanelli; si tratta
comunque di un accessorio piuttosto raro anche in occasioni festive
e processionali. Molto più diffuso è invece il sottosella ricamato, che
la testimonianza diretta della sua prima autrice ci permette di collo-
care negli anni Ottanta e di dargli una storia: fino a quel momento
il sottosella, in quanto capo destinato ad usurarsi e a sporcarsi facil-
mente a contatto col pelo e col sudore del cavallo, era in orbace o
in tessuto di lana. Una ricamatrice olianese ha tratto ispirazione dai
motivi floreali di alcuni di questi tessuti per trasferirli come ricamo
sul velluto, conferendo preziosità a questo capo e destinandolo ad
un uso festivo e processionale.
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Piccola storia del ricamo
nel vestiario tradizionale olianese
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5.
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nel 1911 testimoniano la presenza, nel costume femminile festivo e
di gala, di un delicato ricamo sul copricapo a fazzoletto, indossato
ancora sopra uno spartano camùsciu e con le cocche legate sotto
al collo. Lo confermano anche le informatrici, ricordando che le
loro madri acquistavano i muncadòres già ricamati, a quel tempo a
punto pieno, negli appositi negozi. I motivi decorativi occupano co-
munque una superficie ridotta sebbene presentino colori già accesi.
La chiusura centrale della gonna, sa màssula, è ancora riccamente
ornata da nastri di seta operata e ricami lineari a più file. Il giubbetto
è a doppio diritto, in panno rosso con inserti in raso e in velluto e
rifiniture della parte posteriore e dei polsi a ricami lineari a più file
e più colori; il ricorso al panno indica un uso festivo ma da parte di
appartenenti a ceti non elevati. La camicia presenta il còro a guar-
nizione della scollatura, rifinita da un semplice bordino ricamato
come i polsi. Non sono ancora comparsi i ventàglios ne il pèttu né la
tecnica a intaglio per il ricamo della scollatura e dei polsi.
Tra gli anni Venti e gli anni Quaranta, il costume femminile festivo
e di gala è soggetto a un’ulteriore evoluzione: scomparso l’uso
della doppia gonna in orbace si attesta definitivamente quello del
grembiule, inizialmente ancora in tessuti di cotone o seta semplici o
stampati ma senza ricami e poi delicatamente ricamato e con balza
in pizzo a traforo o a filet. La balza della gonna si mantiene inizial-
mente bassa e in vètta frorìa ma all’inizio degli anni Quaranta è già
più alta, in velluto o in raso pitturato e molto raramente ricamato. Le
camicie iniziano a dotarsi di piccoli ventàglios triangolari alle estre-
mità dei polsi. Scompare il corpetto. Il giubbetto viene confezionato
in broccato o broccatello a motivi floreali. Il fazzoletto, di dimensioni
più grandi che in precedenza, si porta non più sopra il camùsciu e le-
gato sotto il collo, ma arrotolato all’esterno con il chìrcu e con le due
estremità laterali che ricadono sul petto lateralmente al viso; i motivi
decorativi nella parte posteriore si infittiscono e si ingrandiscono
e appare l’uso moderato della canutiglia d’oro e d’argento come
rifinitura a rete o per contornare i disegni, che occupano un’area
maggiore che in precedenza.
Gli anni Cinquanta vedono affermarsi la versione più ricca del co-
stume femminile festivo e di gala, che nei decenni successivi e fino
al periodo attuale assumerà la forma codificata del “costume di
Oliena”, caratterizzato da un ampio ricamo in filo d’oro e perline
del fazzoletto; le maniche della camicie sono ampie e dotate di
tutta la gamma di ornamenti già esaminati, dai ventagli triangolari
nell’estremità dei polsi al pèttu, elemento decorativo centrale la cui
funzione è anche quella di nascondere l’apertura della camicia. È da
notare come in questo periodo tutti i frunimèntos appaiano eseguiti
con la tecnica a traforo, evoluzione che non coinvolge invece gli
ornamenti dei polsi e del collo della camicia maschile. Il grembiule
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è lungo e arricchito di ricami floreali in filo di seta e oro, ancora di
dimensioni contenute, e la balza in filet scompare progressivamente.
Il fazzoletto copricapo inizia ad essere ricamato per un uso borghese
e non tradizionale, e – solo ed esclusivamente in questa accezione
– si trasferisce dal capo alle spalle.
Tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, ricordati ad Oliena come su
tempu ‘e su benessere, si assiste a un’esplosione del ricamo, non solo
per l’estensione anche ai ceti meno abbienti di tutti i capi ricamati
di biancheria del corredo, ma anche e soprattutto per il boom del
muncadòre. A proposito di quel periodo le fonti orali riferiscono di
un fiorente commercio sia in paese che in altre zone della Sardegna,
soprattutto costiere, e da lì nella penisola; e raccontano di scuole
e di corsi, di mostre e di premi, di tutta quella operazione di valo-
rizzazione dell’artigianato sardo che ruotava intorno all’I.S.O.L.A.
fondata da Eugenio Tavolara, che raccoglieva l’eredità di precedenti
iniziative e istituti con finalità simili, e alla cerchia di artisti sardi che
con la loro attività fecero da tramite tra l’Isola e la penisola o altri
paesi dell’Europa e del mondo.
È un periodo di forti contraddizioni: da parte di intellettuali e artisti
si dà impulso alle produzioni artigianali e si cerca una riscoperta del
tradizionale, mentre da parte delle generazioni più giovani e meno
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borghesi si rifiuta di proseguire sulla strada della tradizione in tutte
le sue implicazioni, anche vestimentarie. Il costume tradizionale fe-
stivo smette dunque di subire evoluzioni, mentre quello quotidiano
prende due strade diverse: da una parte viene totalmente accan-
tonato a favore delle mode provenienti dalla città, dall’altra viene
mantenuto sotto forma di un adattamento parziale alla comodità
dell’abbigliamento cittadino, producendo un clone “pret a porter”
del vestiario tradizionale. Da quel momento ad oggi, alcune donne
scelgono di vestirsi con una gonna lunga plissettata e una camicia
bianca o azzurrina (ricamata nelle occasioni festive) con sopra un
maglione o uno scialle nero, in tibet come il fazzoletto di colori scuri
e in tinta unita talvolta ricamato. Solo alcune donne in quegli anni
continueranno a portare il costume tradizionale quotidiano nella
versione integrale con la gonna in orbace, sa ‘ammisa e il corpetto
o il giubbetto.
Negli ultimi quindici anni si assiste in parte a una riscoperta dell’an-
tico. Scoppiata la bolla commerciale, passata l’epoca dei soldi facili,
chiuso l’I.S.O.L.A., le ricamatrici riscoprono, se non il minimalismo
del primo Novecento, la sobrietà di un uso dell’oro meno totalizzan-
te ma per questo anche più raffinato. Sul muncadòre riappaiono i
disegni in filo di seta, e anche se nei grembiuli qualcuno li considera
eccessivamente grandi, questa rielaborazione dei colori e dei motivi
decorativi in chiave attuale è anche il segno di un rinnovarsi; che
per la tradizione non significa morire ma al contrario evolversi, forse
finalmente libera da quei folklorismi che – a scopi più o meno com-
merciali – anche in Sardegna hanno viziato e fossilizzato in forme
fisse, ripetitive e sempre uguali, molta della produzione artigianale
degli scorsi decenni.
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Glossario dei termini
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Istramàre: sfilare
Istramòngiu: sfilatura
Marghinèsu: ricamo lineare di rifinitura di parti unite da cuciture
Màssula: sportellino anteriore della gonna, di forma quadrangolare,
collocato al centro a partire dal punto vita, con due punti di apertura
Màstru/Màstra ‘e pànnu: sarto/ sarta
Muncadòre: fazzoletto/scialle copricapo
Pala: corpetto
Perr’e s’au: ricamo lineare di rifinitura delle parti unite da cuciture
Punt’e tràvu: ricamo a intaglio
Pupùsas: nappine del giubbetto
Rasu: balza ornamentale della parte terminale della gonna, in raso
dipinto (rasu pitturàu) o ricamato (rasu recramàu)
Recramadòra: ricamatrice
Rivòlta/Revòrta: fascia ricamata da porre sul letto a mò di risvolto di
lenzuola, per ornarlo
Tenìngiu: plissettatura o fitta pieghettatura. È presente nella camicia
(polsi, spalle, lati dello scollo) e nella gonna (punto vita)
Tibè: tessuto di lana tibet usato per confezionare il fazzoletto e lo
scialle
Trambìcchi: tela fine di cotone usata per confezionare le camicie, in
italiano madapolam o tela di Cambrai (il termine italianizzato è “tela di
cambrì”, da cui per assonanza il termine in olianese)
Trappadìgliu: ricamo sfilato
Trìccia: rifinitura esterna dei lati del fazzoletto, ottenuta mediante
cordoncino di seta annodato con la tecnica del macramè
Tùnica: gonna
Urèsi: orbace di lana
Uvidalèras: nel giubbetto, le due fasce che corrono dietro ai gomiti,
solitamente ricamate
Vètta: nastro in seta operata. Si distingue in seta operata a motivi
fitomorfi e zoomorfi (vètta frorìa) e taffettà di seta in tinta unita (vètta
o vètta lìscia)
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Immagini
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Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed
Etnoantropologici per le province di Sassari e Nuoro
Questo lavoro è stato realizzato con i fondi della Programmazione Ordinaria del Mi-
nistero per i Beni e le Attività Culturali E. F. 2006 (D. M. 30/03/2006) – Cap. 7834
– Perizia 1082 del 20/09/2007 - OLIENA (NU), Museo del Ricamo e del Fazzoletto
Olianese - “Lavori di allestimento ed adeguamento impiantistico e restauro di oggetti
polimaterici etnoantropologici”, Euro 200.000,00
Aprile 2008
Tipografia Gallizzi
Sassari
ISBN 978-88-89502-33-4
€ 10,00
9 788889 502334