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Storia, linguaggio

e prospettive del vestire


in Sardegna
COSTUMI
Storia, linguaggio
e prospettive del vestire
in Sardegna
Collana di
Indice
ETNOGRAFIA E CULTURA MATERIALE

Coordinamento
Paolo Piquereddu

Progetto grafico e impaginazione 7 VESTIRE FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ


Ilisso edizioni Maria Teresa Binaghi Olivari
Grafica copertina
Aurelio Candido 15 NOTE DI STORIA DELL’ABBIGLIAMENTO IN SARDEGNA
Paolo Piquereddu
Stampa
Lito Terrazzi, Firenze 61 IL SISTEMA VESTIMENTARIO
Referenze fotografiche Franca Rosa Contu
La campagna fotografica è stata realizzata da Pietro Paolo Pinna; le immagi-
ni, quando non diversamente indicato in didascalia, appartengono all’Archi- 68 L’abbigliamento femminile
vio Ilisso. Le fotografie nn. 69, 206, 326, 387-391, 401, 465, 480, 691, 693,
fanno parte invece dell’Archivio ISRE, foto Virgilio Piras. 228 L’abbigliamento maschile
Si ringraziano i fotografi e gli archivi pubblici e privati che hanno genero-
samente collaborato rendendo disponibili alcune immagini. 298 L’abbigliamento infantile

Tutte le opere pubblicate quando prive di ulteriore indicazione apparten- 317 TRADIZIONE E QUOTIDIANITÀ. L’ABBIGLIAMENTO FEMMINILE A ITTIRI
gono a collezioni private. Giovanni Maria Demartis

331 I COSTUMI FEMMINILI DI GALA DI OSILO E PLOAGHE


Ringraziamenti Giovanni Maria Demartis
Si ringraziano il Direttore del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Po-
polari di Roma, Stefania Massari e il Direttore dell’ISRE, Paolo Piquereddu 339 L’INVENZIONEDEL CORPO ARCAICO. L’ABITO TRADIZIONALE SARDO
per aver consentito l’accesso alle collezioni e agli archivi degli Istituti da NELLA CULTURA VISIVA TRA OTTO E NOVECENTO
loro diretti.
Un ringraziamento particolare al personale del Museo della Vita e delle Giuliana Altea
Tradizioni Popolari Sarde di Nuoro; del Museo Nazionale delle Arti e Tra-
dizioni Popolari di Roma; della Collezione Piloni dell’Università di Cagliari 371 UN TIPICO COSTUME SARDO: EDITARE I COSTUMI IN CARTOLINA
per la sensibile e generosa disponibilità prestata durante il lavoro. Enrico Sturani
La nostra gratitudine va a quanti hanno collaborato, a vario titolo, alla rea-
lizzazione di quest’opera, in particolare: Stefano Gizzi, Soprintendente ai
BAAAS per le province di Sassari e Nuoro; Francesco Nicosia, Soprinten- 387 “SA VESTE”
dente ai Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro; Mario Serio, Bachisio Bandinu
Direttore Generale per il Patrimonio Storico Artistico e Demo-Etnoantropo-
logico di Roma; Anna Maria Montaldo, Direttrice della Galleria Comunale 395 LE MODE DEL VESTIRE SARDO
d’Arte di Cagliari; Giovanni Antonio Sulas; Luciano Bonino; Rosalba Floris;
Stefano e Annapia Demontis; AT LARGE; Maria Angelina Paffi; Angela Pug- Michela De Giorgio
gioni; Monica Sale; Michele Pira; Santina Accaputo; Peppinetta Mulas; Pa-
squalina Guiso; Nicoletta Alberti; Angela Cocco; Costanza Congeddu; Mar- 409 MODA E TRADIZIONE. SARDEGNA: UNA REALTÀ DA CUI ATTINGERE
gherita Braina; Ugo Mele; Carla Marras, Cristina Murroni Charles e Silvia Bonizza Giordani Aragno
Sotgiu per la collaborazione nella raccolta ed elaborazione dati relativi al
saggio “Profili economici del settore abbigliamento in Sardegna”.
423 SUL CONCETTO “SISTEMA DI VESTIARIO”. DUE ETNOGRAFIE A CONFRONTO
Marinella Carosso

429 ROMA 1911. L’AVVIO DI UNA RACCOLTA MUSEALE NAZIONALE


Stefania Massari

435 MUSEI E COSTUMI


Paolo Piquereddu
© Copyright 2003
ILISSO EDIZIONI - Nuoro
449 PROFILI ECONOMICI DEL SETTORE ABBIGLIAMENTO IN SARDEGNA
Marco Vannini
www.ilisso.it
ISBN 88- 87825-84-X 457 BIBLIOGRAFIA
Vestire fra tradizione e modernità
Maria Teresa Binaghi Olivari

Gli abiti tradizionali, come tutti i vestiti, sono sensazioni battendo con la propria storia, propongo il seguente mo-
della pelle e meccanica dei gesti, a cui si aggiungono la desto ragionamento.
coscienza di appartenenza e lo spessore di una storia Il “costume popolare”, quale è definito dagli studi nei
che tocca un’identità profonda. Di una forma tanto radi- suoi significati sociali e nelle sue componenti formali,
cata nel vivere quotidiano, gli studi elaborati per questo appare totalmente differente dall’abbigliamento usuale
volume definiscono uno stabile patrimonio di dati certi. nella moderna civiltà occidentale. Nell’abito tradizionale
Risulta assodato in primis che l’abito tradizionale sardo i segni forniscono informazioni sulla regione di apparte-
rende riconoscibile la regione di appartenenza, il sesso, nenza, sul ceto e sui diversi ruoli all’interno del ceto, le
l’età, lo stato anagrafico e il ruolo di ciascun membro cui varianti sono determinate dal sesso, dalla professio-
della comunità. Altrettanto rigido e inequivoco è il re- ne e dalla condizione di legittimo coniuge. È del tutto
pertorio delle forme a cui è affidata la trasmissione dei estranea alle funzioni di un abito moderno la necessità,
significati: i pantaloni o la gonna, la camicia, il corpetto, imprescindibile per un abito tradizionale, di indicare se
il grembiule e gli indumenti più esterni, le acconciature, la persona è residente a Cagliari o a Nuoro. Anzi, deve
i colori, i nastri e pochi altri componenti. essere del tutto irriconoscibile dall’abito se la persona
Tutti gli elementi formali si articolano secondo schemi che vediamo transitare a Olbia risiede a Tokio o a Parigi.
modulari, a cui solo la qualità dei materiali e della con- Non diversamente, sarebbe una sbalorditiva stravaganza
fezione conferisce un segno individuale, poiché sono ri- se l’abbigliamento informasse tutta la comunità sullo sta-
strettissimi i margini di scelta personale concessi dall’ap- to civile di chi lo indossa. Per una donna (come per un
parato di informazioni e di moduli, che rappresentano uomo) essere vergine, fidanzata, sposata o vedova è
la collocazione di un membro della comunità nella scala un’informazione che si trasmette con strumenti diversi
delle funzioni. dall’abito. Allo stesso modo non è l’abbigliamento ad
Le fogge, articolate in moduli per un esiguo gruppo di informare sulla professione. Un elegante commesso di
significati, sono radicate in realtà territoriali molto ri- salumeria può vestire esattamente come un principe del
strette, che comprendono numerose varianti e formano foro e veste certamente meglio della generalità dei pro-
una specifica identità culturale. fessori. Dall’abbigliamento oggi in uso spesso risulta dif-
Si è infine situata nella seconda metà del Settecento l’ori- ficile distinguere persino un maschio da una femmina,
gine della struttura. benché si tratti di due tipologie con qualche differenza
Con la medesima configurazione e nel medesimo pun- evidente nell’architettura del corpo.
to della storia si delineano gran parte dei “costumi po- Il distacco tra gli abiti tradizionali e quelli “borghesi” è
polari” europei. confermato e ribadito dalla forma delle fogge e dall’ac-
Il valore speciale dell’abito tradizionale sardo risiede, costamento dei colori. Nell’abito femminile, la lunghez-
oltre che nella ricchezza del suo repertorio formale, an- za e l’ampiezza delle gonne, la sequenza camicia-gon-
che nella sua lunga vitalità e soprattutto nel suo con- na-corpetto-giubbetto con le varianti delle forme ornate
fronto con la modernità, ora. dal frequente accostamento del colore rosso con l’azzur-
La Sardegna, come ben si dimostra negli studi qui rac- ro; nell’abbigliamento maschile, la sequenza calzoni-
colti, di quella modalità di rappresentazione offre an- gonnellino-camicia-corpetto-giubbetto compongono un
cora oggi un dizionario ricchissimo e di svariatissima repertorio incomunicabile all’abito moderno. Quest’ulti-
vitalità. mo impiega forme e sequenze molto varie, e soprattutto
Presumendo di porgere qualche argomento a chi sta di- costruite sulla dimensione individuale di un corpo.
Nell’abito “borghese” la rappresentazione preminente è
quella dell’individualità fisica, espressa principalmente
1. Giuseppe Sciuti, Ingresso trionfale di Giommaria Angioy a Sassari,
1879, decorazione del Salone del Consiglio, nell’aderenza dell’abito al corpo. Per ottenere la com-
1 Sassari, Palazzo della Provincia (particolare). piuta perfezione della forma “borghese”, fu necessario

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abbandonare gradualmente tutte le forme artificiate di dici della Curia arcivescovile», e anche mercanti.2 Insom-
imbottiture e corsetti, a ciò aggiungendo l’elaborazione ma tutti i gradi della nobiltà e le più alte professioni.
della nozione di taglia e una tecnica sartoriale assai A Bologna, la Provisio emanata il 24 marzo 1453 dal car-
complessa, riproducibile meccanicamente. dinale Bessarione, legato apostolico, ampliando e chia-
Al contrario, gli elementi dell’abito tradizionale sono rendo le disposizioni precedentemente vigenti in città,
costruiti con notevole approssimazione dimensionale, restituisce alla percezione storica odierna un’immagine
quasi moduli intercambiabili da persona a persona e da ben definita della scala sociale tra la fine del Trecento e
generazione a generazione. la seconda metà del Quattrocento. Al vertice stavano i
Dopo la rappresentazione dell’individualità, il censo è la nobili (Milites), seguivano i Dottori in Legge e in Medici-
successiva informazione trasmessa dall’abito “borghese”. na, poi i membri delle Arti Maggiori (notai e banchieri, e
E la quotidiana esperienza consente di omettere le prove. inoltre Draperii e membri Artis Sirici, «dummodo … non
Nonostante le radicali differenze, le due tipologie convi- faciant artem manibus propriis, campsores [banchieri]
vono da oltre due secoli e, assai probabilmente, da pa- vero sint, patroni et magistri»), i membri delle Arti Infe-
recchi decenni in più. riori (beccariorum, spetiariorum, lanarolorum, straza-
Tuttavia è necessario completare il quadro con un’ulte- rolorum, mercariorum, bambasariorum, et aurificum),
riore rilevazione di diversità. Merita conto ricordare che gli artigiani (magistri lignaminis, calzolariorum, salaro-
l’abito “borghese”, nella sua complessiva configurazio- lorum, muratorum, fabrorum, pellipariorum, sartorum,
ne, si è composto in confronto e in contrasto con l’abito barberiorum, cartolariorum, pellacanorum, piscatorum,
nobiliare, e rappresenta uno dei segni formali della fine cimatorum, rechamatorum et tinctorum), e infine, sul
della società per ceti e dell’inizio della società per classi. gradino più basso della società, i contadini (comitati-
Non serve hic et nunc una dettagliata argomentazione ni).3 L’oggetto delle prescrizioni era in massima preva-
dei tempi e dei modi che hanno scandito l’affermazione lenza l’abito delle donne (sponsa, uxor vel filia; donne,
dell’abito “borghese” su quello nobiliare. Basti ricordare figliole et spose), in cui si rappresentavano compiuta-
che i significati, le forme e le tecniche dell’abito “bor- mente il ceto di appartenenza e il ruolo dei mariti e pa-
ghese” sono il frutto di una vicenda specifica, nata nel- dri. Anche tra le donne la legislazione suntuaria preve-
l’area industrializzata dell’Europa alla fine del Settecen- deva una scala di valori. Un provvedimento riminese
to, e da lì diffusa in rapido ed esteso sviluppo. È stato del 1573 divideva le donne in quattro categorie con de-
l’abito della borghesia della rivoluzione industriale, ed è crescenti diritti: le donne sposate da oltre quattro anni,
ora adottato da tutta la civiltà occidentale e occidentaliz- le spose maritate da meno di quattro anni, le vedove e 2
zata fino all’Estremo Oriente. infine le donzelle.4 La Provvisione bolognese del 6 apri-
Con qualche sorpresa si deve ammettere che l’apparato le 1514 individuava anche la categoria delle spose che verso una immediata riconoscibilità dei ceti all’interno di danti per la cultura classica dell’Europa occidentale nel
di informazioni trasmesso dall’abito dell’Ancien Régime non avevano portato dote.5 una comunità, definendo i segni dell’appartenenza e san- periodo rinascimentale e barocco, ossia l’Utopia di Tom-
è simile a quello conservato nell’abito tradizionale. An- Nell’apparato delle leggi suntuarie finora note, costante- zionando l’evasione verso i ceti superiori. maso Moro e il Cortegiano di Baldassarre Castiglione.
che le fogge dell’abito nobiliare, composte su moduli mente si segnano le differenze degli obblighi tra i citta- Le leggi suntuarie si possono considerare un raffinatis- Nell’Utopia immaginata da Tommaso Moro «gli abiti so-
generali per forme e dimensioni, informavano sulla re- dini, gli abitanti del contado e i forestieri, ponendo la simo apparato costruito a tutela della struttura sociale no uguali per tutta l’isola e per ogni età, salvo differen-
gione e il ceto di appartenenza, sui ruoli e le funzioni prima distinzione nell’appartenenza territoriale e asse- per ceti. ze inerenti il sesso, oppure lo stato di celibe o di ammo-
della persona. gnando agli abitanti della città il livello più alto dei diritti Benché l’iterazione dei testi legislativi induca a dubitare gliato … Lo stesso principe veste come tutti, recando
Molti sono i documenti di vario genere che, distribuiti e dei doveri. Al grado inferiore erano additati gli ebrei e della loro efficacia, e anzi si registri costantemente l’eva- come unico segno distintivo un mazzo di spighe in ma-
in Europa su un lungo arco di tempo dal XIII al XVIII le prostitute, a cui erano prescritti dei segni esteriori ap- sione e l’opposizione ai controlli e alle pene, l’azione no. Il pontefice a sua volta ha come insegna un cero,
secolo, consolidano il sospetto della connessione. plicati alla persona, affinché non potessero sottrarsi alle normativa sull’abbigliamento continuò per secoli. portato da chi lo precede … La gente indossa in chiesa
Al primo posto, per la precisione delle definizioni e per proibizioni a cui erano soggetti. Entro i limiti così defini- La storia delle leggi suntuarie si esaurì con la Dichiara- bianche clamidi. I sacerdoti ne sfoggiano di vari colori,
il gran numero di testi, si collocano le leggi suntuarie. ti, le norme non obbligavano i singoli ceti a fogge spe- zione del 29 ottobre 1793 (8 brumaio dell’anno secondo finemente lavorate, di taglio splendido ma di stoffa co-
Esse furono emanate dal XIII al XVIII secolo, con lo sco- ciali: l’abito nobiliare, trasferendosi dal ceto dei Milites a della Rivoluzione Francese): «Nessuno potrà costringere mune. Non sono infatti ricamate in oro né tempestate di
po di fissare gli usi concessi a ciascun ceto e a ciascun quelli inferiori, si limitava a ridurre progressivamente la un cittadino o una cittadina a vestirsi in maniera partico- pietre preziose, ma intessute di piume multicolori d’uc-
ruolo all’interno dei ceti; i burocratici dettagli della nor- dovizia dei materiali e degli ornati. Non si rileva una lare … ognuno è libero di portare il vestito o la guarni- cello, disposte con tale gusto e abilità da figurare di
ma solitamente rappresentavano la struttura della società. struttura vestimentaria alternativa all’abito nobiliare. zione che gli pare».6 L’atto ratificava nell’abbigliamento gran lunga più preziose di qualsiasi altra decorazione».7
Per segnalare qualche saliente esempio tra quelli noti, si Molto spesso i legislatori giustificavano l’intervento nor- la fine della società articolata in ceti e l’inizio della strut- Dalla seconda metà del XX secolo gli studiosi evitano
ricordano gli Statuti milanesi del 1396, nella Rubrica ge- mativo con un argomento di natura economica: il dena- tura per classi. Concordemente gli studi rilevano la con- con imbarazzo il sogno di Tommaso Moro sugli abiti
neralis de infrixaturis et diversis vanitatibus, in cui si con- ro speso per il lusso era “denaro morto” ed era spesso temporanea stabilizzazione dei “costumi popolari”, un uguali per tutti. Abbiamo visto troppi sogni d’uguaglian-
cedevano ai cavalieri (militibus), ai dottori in legge e in causa di rovina per importanti patrimoni. Alla condan- sistema di abbigliamento radicalmente diverso dall’abito za generare mostri.
medicina, e ai “reggitori della città” le esenzioni dalle nor- na del lusso per ragioni economiche si aggiungeva la “borghese”. Ma l’uguaglianza degli abiti di Utopia, fondata sull’aboli-
me, in quanto membri dei ceti superiori.1 La successiva riprovazione morale, diffusissima e autorevole, come Singolari congruenze col sistema dell’abbigliamento tra- zione della ricchezza dei tessuti e dei gioielli, in verità
norma suntuaria milanese, risalente al 1498, più detta- gli interventi più noti di Bernardino da Siena e Bernar- dizionale si possono riscontrare non solo nella normativa conservava alcuni segni di distinzione. Il principe esibi-
gliatamente elencava le categorie privilegiate dall’esen- dino da Feltre. dell’Antico Regime, ma anche in due testi letterari fon- va un mazzo di spighe in mano, il pontefice era prece-
zione: senatori, conti, marchesi, baroni, militi, giurecon- Eppure le ragioni economiche e morali richiamate dalle duto da un cero e i sacerdoti nel tempio indossavano
sulti, fisici, licenziati dallo studio generale, «appartenenti leggi sembrano argomenti marginali rispetto al nucleo dei vesti liturgiche ornate da simboli religiosi realizzati con
all’ufficio degli Abbati del collegio dei notai e dei causi- significati primari. Questi sono compattamente orientati 2. Atzara, fine anni Venti, foto d’epoca. piume. Altre non precisate differenze individuavano il

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sesso e il ruolo nella famiglia. Nonostante la vis polemi- Quanto ai criteri generali di scelta, Federico Fregoso sag- francesi, spagnoli, ungheresi, svizzeri, e qualche curioso del modo di comporre le fogge. I mercanti e le loro
ca e il dono profetico di Tommaso Moro, egli non riuscì giamente proponeva: «Io in vero non saprei dare regola esotismo, quali i Babilonesi.13 Il gruppo dei “Rustici e mogli, i plebei e gli artigiani di poco si discostano dai
a delineare una società dalla struttura completamente determinata circa il vestire, se non che l’uomo si accomo- delle Rusticae”, prevalentemente spagnoli, già presenta- nobili. Tra i “rustici” e i servi, che rappresentano i livelli
sovvertita rispetto a quella in cui viveva. Al principe e ai dasse alla consuetudine dei più», specificando poco dopo to da Vico e ampliato da Ferdinando Bertelli, apre un te- inferiori della società, le donne talvolta non hanno ma-
sacerdoti conservò una riconoscibilità esteriore, che tu- come gli abiti, «purché non siano fuori della consuetudi- ma di ricerca che non so quanto esplorato, ossia il rap- niche e rimboccano quelle della camicia, spesso indos-
telava i vertici anche nell’immaginaria società di uguali. ne, né contrari alla professione, possano per il resto tutti porto tra l’abbigliamento tradizionale attualmente vigente sano il grembiule, le loro gonne sono corte al polpaccio
Allo stesso modo, la differenza dei sessi e la discrimi- stare bene, purché satisfacciano a chi li porta. Vero è che e quello contadino documentato nelle immagini dei se- o rimboccate e non sempre sono imbottite ai fianchi.
nante del matrimonio nelle relazioni della comunità fu- io per me amerei che non fossero estremi in alcuna par- coli XVI e XVII. Ma non mancano mai il corsetto teso e scollato, unito
rono affidate alle differenze dell’abito, che pure era sta- te, come talora suole essere il francese in troppa grandez- Il libro di De Bruyne, bellissimo e assai ricco, riproduce ad una gonna larga. Se poi sono contadine delle campa-
to immaginato come un cardine dell’ugualitarismo di za, e il tedesco in troppa piccolezza». un grande numero di abiti, tra cui molti italiani di vari gne veneziane, quando «si vedono in Venetia il giorno
Utopia. Il Principe, i Sacerdoti e il terzo stato, i ruoli al- I valori degli abiti, nella scala fissata dal Castiglione, ri- ceti.14 Con molti “rustici” dell’Europa settentrionale, so- dell’Ascensione di Nostro Signore, il loro abito è rutilan-
l’interno della famiglia, e la loro riconoscibilità affidata siedevano principalmente nell’adeguamento all’uso loca- no raffigurati anche i Piemontesi e la Bresciana. Qual- te di sboffi di camicia, maniche abbottonate, corsetti,
al vestito, compongono lo stesso schema sociale e cul- le («si accomodasse alla consuetudine dei più – e ancora che dubbio sul rigore metodologico dell’autore suggeri- nastri, bottoni, doppie gonne, quasi come un abito no-
turale delle leggi suntuarie. – purché non siano fuori della consuetudine»); a questo sce cautela nel suo uso come fonte. biliare».20 Gli uomini portano giubbetti, corsetti e calze
Nel Cortegiano è dedicato all’abbigliamento il capitolo seguiva l’identificazione del ceto (la “professione”) e in- Il testo più importante e attendibile, sia pure con qualche aderenti di complessa confezione.
quinto del secondo libro. Qui Giuliano de Medici chiede fine la “soddisfazione”. Quest’ultima, insieme con l’as- riserva, è quello di Vecellio, notissimo anche agli studiosi E soprattutto rappresentano sempre l’appartenenza ad
a Federico Fregoso «di quale maniera si debba vestire il senza di estremismi che immediatamente seguiva, erano di storia dell’abbigliamento tradizionale.15 una terra specifica.
cortigiano … Perché in questo vediamo infinite varietà: e ragioni di stile individuale, in cui si radica la legittimità Il Gynaecaeum di Jost Amman pre- Nessuno dei volumi appena ri-
chi si veste alla francese, chi alla spagnola, chi vuole pa- della presenza della moda nella storia dell’arte. senta, in 120 fogli, gli abiti femmi- cordati riproduce abiti di genti
rere tedesco, né ci mancano ancora di quelli che si vesto- Appare ben curiosa l’insistenza sui caratteri regionali in nili di tutte le regioni europee, sarde.
no alla foggia dei turchi; chi porta la barba, chi no. Saria un testo nato in una cultura cosmopolita e destinato ad catalogati secondo l’apparte- Sembra dunque che l’abbi-
adunque ben fatto sapere in questa confusione eleggere una strepitosa fortuna internazionale. La prevalenza del- nenza geografica e secondo gliamento tradizionale espri-
il meglio».8 Con il termine sprezzante di “confusione” si la rappresentazione territoriale è tanto profondamente i ceti e i ruoli (Gallica virgo ma una catena di valori e uno
riprovava l’uso di fogge estranee al centro radicata nella coscienza di Baldassarre Castiglione da es- nobilis, Regina hispanica, Ve- schema di rappresentazione
di appartenenza, sia corte o sia re- sere rappresentata nel suo testo anche nella modalità di neta plebeia).16 pertinenti al “Classicismo di
gione o sia nazione. L’area geo- un cenno d’ironia. Federico Fregoso afferma: «Quale è Le didascalie identificano la na- Antico Regime” (un’espres-
grafica di residenza, quale signifi- di noi che vedendo passeggiare un gentiluomo con una zionalità e il ruolo anche nel ric- sione rubata all’introduzione
cato preminente dell’abito, fu roba addosso quartata di diversi colori, ovvero con tante co repertorio di Pietro Bertelli, di Amedeo Quondam al Cor-
ribadita nella risposta di Frego- stringhette e fettucce annodate e fregi traversati, non lo che contiene ampi e poco scru- tegiano) e là ampiamente docu-
so, che lamentava l’estinzione di tenesse per pazzo o per buffone? – Né pazzo, disse polosi riferimenti alle tavole di mentati. Si può affermare che nel-
un abbigliamento riconoscibil- Messer Pietro Bembo, né buffone sarebbe costui tenuto Vecellio. 17 l’abbigliamento tradizionale sopravvive
mente italiano («Ma io non so da chi fosse qualche tempo vivuto nella Lombardia, per- Segue il testo di Alessandro Fabri.18 l’abito nobiliare?
per quale fato intervenga che ché così vanno tutti».10 Infine le tavole di Giacomo Franco ap- La conclusione, invero assai curiosa, scatta
l’Italia non abbia, come sole- Lo schema d’interpretazione secondo l’appartenenza geo- paiono ormai percettibilmente orienta- a chiusura di un sillogismo. Ma il ragiona-
va avere, abito che sia co- grafica, il ceto e la funzione all’interno di esso si ribadi- te a riferire eventi di cronaca più che mento, percorso con un meccanismo lo-
nosciuto per italiano»).9 sce in una serie di importanti testi illustrati, raffiguranti fi- repertori di fogge.19 Ma intatto per- gico, sembra trovare riscontri e prove.
gurini di abiti di tutto il mondo.11 mane lo schema dell’esposizione dei Nella società tra Umanesimo e Illumini-
I libri più documentati e diffusi si riducono ad un elen- costumi femminili veneziani, che ini- smo i ruoli istituzionali erano affidati a
co relativamente breve che, per buona memoria, qui si zia con la Dogaressa, prosegue con tre ceti, o stati: i nobili, il clero e le co-
dispone in ordine cronologico. la gentildonna, la novizza e la mo- munità (borghesi, artigiane, agro-pasto-
Enea Vico, nelle sue 32 incisioni, definì ogni soggetto in glie del mercante, e si conclude con rali). La riconoscibilità dei membri degli
una piccola epigrafe, in cui la regione di appartenenza la Cortegiana. stati era vitale al funzionamento della
era il primo termine, seguito dal sesso e dalla funzione Tutti le immagini dei libri di model- società, ed era tutelata con la forza
sociale.12 Nel testo sono raffigurate solamente genti assai li suggeriscono che il passaggio dal delle leggi, della persuasione, della
lontane: molte donne spagnole “rusticae”, una dama di ceto superiore a quello inferiore è consuetudine e con ogni altro mezzo
Francia e una di Fiandra, con una Galla serva seu flan- segnato da una riduzione dell’am- di contrasto ad una mobilità sociale,
drensis, soldati tedeschi con le loro donne, poi Tartari, piezza dei modelli e della ricchezza in realtà difficilmente contenibile.
Turchi, Epiroti, Etiopi. Molti degli abiti riprodotti sono tu- dell’ornato, ma non da un’“alterità” Si sono qui proposti gli esempi del-
niche sciolte e variamente drappeggiate o sovrapposte le leggi suntuarie, di due testi lette-
l’una all’altra, non riscontrabili in altre testimonianze, rari di rilevantissima influenza in
quasi fossero composti secondo canoni convenzionali. 3. Emma Calderini, Costume Europa tra il Cinquecento e il Sei-
Le immagini di Vico offrivano un repertorio di abiti esoti- festivo di Bitti, in E. Calderini, cento e di un impegno editoriale
ci, che forse fu di qualche utilità agli artisti, fossero essi Il costume popolare in Italia, specifico sul tema degli abiti, con
Milano 1934.
pittori, scultori o allestitori di spettacoli. Ferdinando Ber- larghissima diffusione euro-
telli, per il suo testo di 64 tavole, riconfermò la sequenza 4. Emma Calderini, Popolana pea negli stessi secoli. Il
di Dorgali, in E. Calderini,
3 identificativa già proposta da Vico e ne prelevò alcune Il costume popolare in Italia, lungo processo di af-
incisioni, che integrò con altre, relative ad abiti italiani, Milano 1934. 4 fioramento dell’abito

10 11
“borghese” è sovrapponibile per cronologia a quello La locuzione “modello basico”, non impropriamente adot- Note
della nascita dell’abito tradizionale. Nel momento in cui tata anche per l’analisi delle arti contemporanee, nella
definitivamente cessò la società per ceti (1789, data del- moda è abitualmente impiegata e spesso si adotta per si-
la Rivoluzione Francese), si estinsero le leggi suntuarie gnificare il complesso composto da blue-jeans e T-shirt.
(1793, data della dichiarazione della libertà d’abbiglia- Con un paio di jeans e una T-shirt tutte le persone sono
mento). Nel medesimo momento nacquero contempora- uguali: il figlio dell’imperatore del Giappone e la ragaz-
neamente l’abito “borghese” e l’abito tradizionale. È ac- za di una periferia metropolitana appaiono ugualmente
certato e ampiamente dimostrato che prima della metà moderni e ugualmente semplici nella struttura di un cor-
del Settecento la dicotomia non esisteva. Quando la ri- po che si differenzia solamente per l’individualità di chi
voluzione industriale ebbe sostituito i ceti con le classi, lo indossa.
l’unico segno di appartenenza sociale fu la rappresenta- È la compiuta realizzazione dell’antico sogno di Tom-
zione della ricchezza individuale. maso Moro, che è entrato nei nostri armadi con quasi
La simultaneità dell’origine dell’abito “borghese” e di mezzo millennio di ritardo. Nei primi anni Sessanta del
quello tradizionale si aggiunge alla dimostrazione di una Novecento, il Minimalismo e i blue-jeans nacquero con-
sostanziale identità di forme e significati tra l’abbiglia- temporaneamente dalla medesima necessità di riportare
mento dell’Ancien Régime e quello tradizionale. il linguaggio formale alle strutture minime della comuni- 1. E. Verga, “Le leggi suntuarie milanesi”, in Ar-
Non sembra dunque del tutto fantasiosa l’ipotesi che cazione. Contrariamente all’Arte Minimale, i blue-jeans chivio Storico Lombardo, XXV, 1898, pp. 17, 47.
l’abito tradizionale abbia conservato la struttura dell’abi- hanno ottenuto un reale risultato di globalizzazione del 2. E. Verga, “Le leggi suntuarie” cit., pp. 49-51.
to nobiliare, arroccandosi nel terzo stato per quasi due linguaggio, applicando una struttura ridotta all’ultima 3. La legislazione suntuaria. Secoli XIII-XV, Emilia-
Romagna, a cura di M.G. Muzzarelli, Ed. Archivi di
secoli. semplificazione, che azzera persino la differenza di sesso. Stato e Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
Flavio Orlando aveva rilevato che non si rintraccia alcu- Lo straordinario evento dovrebbe rivelare nei popoli la Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Fonti, XLI, pp.
na testimonianza di un abbigliamento specifico delle felicità per il raggiungimento dell’assoluta uguaglianza. 148-151.
classi subalterne fino ai decenni centrali del Settecento, a E invece no. Non si può evitare di sentire le richieste, 4. La legislazione suntuaria cit., pp. 671-675.
cui giunge unicamente la documentazione dell’abito no- sempre più massicce e talvolta violente, di tutelare le 5. La legislazione suntuaria cit.
biliare.21 D’altra parte nel 1550 Sigismondo Arquer riferi- identità storiche locali e peculiari. 6. La legislazione suntuaria cit., p. XXV.
va sui sardi e i loro vestiti: «vivunt in diem vilissimoque Contro l’azzeramento delle differenze, uno dei fortini di 7. T. Moro, Utopia, Roma 1994, pp. 49, 74, 91.
vestuntur panno»; e nel 1559 Giovanni Francesco Fara resistenza dell’identità storica si colloca nella difesa del- 8. B. Castiglione, Il Cortegiano, a cura di A. Quon-
annotava l’uso dell’orbace, insieme con un carattere mol- l’abbigliamento tradizionale. dam, vol. I, Milano 2002, p. 133.
to sobrio e privo di lussi.22 Forse la modernità ha bisogno di qualche tempo ancora 9. B. Castiglione, Il Cortegiano cit., p. 133.
Lo stesso Orlando ha suggerito non pochi riferimenti al- per comprendere le parole di Baldassarre Castiglione 10. B. Castiglione, Il Cortegiano cit., p. 135.
l’abito nobiliare nell’abbigliamento tradizionale sardo: il sugli abiti forestieri: «Né pazzo, disse Messer Pietro Bem- 11. Per i libri con incisioni di modelli di abiti vede-
re: H.M. Hiler, Bibliography of costume, New York
cosso col gilet, la camicia maschile sassarese dal colletto a bo – e Messer Pietro Bembo ancora oggi è tenuto per 1939; J.L. Nevinson, “L’origine de la gravure de
punte insaldate con la golilla, i cartzones con i pantalon, uomo sapiente ed elegante –, né buffone sarebbe costui mode”, in Actes du I Congrès International d’Hi-
le ragas con i “calzoni alla rhingrave”, le uose d’orbace e tenuto da chi fosse qualche tempo vivuto in Lombardia, stoire du Costume, Centro Internazionale delle Arti
e del Costume, Venezia 1952; M. Ginsborg, An in-
il collettu con l’abbigliamento militare del XVII secolo, il perché così vanno tutti». Ma il primo suggerimento è troduction to fashion illustration, Pitman Publ.,
corsetto femminile con i busti seicenteschi, l’uso delle che la persona «si accomodasse alla consuetudine dei London 1980.
imbottiture.23 più», per rispetto e a tutela della dignità di tutti. 12. E. Vico, Diversarum gentium nostrae aetatis
habitus, Venezia 1558.
Semplicemente.
Riflettere sul vestire tradizionale potrebbe contribuire a 13. F. Bertelli, Omnium fere gentium habitus, Ve-
nezia 1569 (I ed. 1563).
formare la risposta per una domanda cruciale dei nostri 14. A. De Bruyne, Omnium pene Europae, Asiae,
giorni. Possono saldarsi armonicamente l’appartenenza Africae et Americae gentium habitus, Antwerpie
ad una specificità storica e la condivisione di una cultura 1581.
globale? 15. C. Vecellio, Habiti antichi et moderni di tutto
il mondo, Venezia 1590 (I ed. 1585).
La domanda solleva problemi dolorosi, a cui non pare
siano state finora trovate risposte praticabili. E non si sta 16. J. Amman, Gynaecaeum, Francoforte 1586.
parlando solamente di vestiti, ovviamente. Se si pronun- 17. P. Bertelli, Diversarum nationum habitus, Pa-
dova 1589.
cia la parola chador, la tensione si fa palpabile.
18. A. Fabri, Diversarum nationum ornatus, Pa-
In questo groppo della storia contemporanea, la Sarde- dova 1593.
gna potrebbe offrire un esempio di armonia fra la tradi- 19. G. Franco, Habiti delle donne venetiane, Vene-
zione e la modernità. L’abbigliamento tradizionale sardo, zia 1610.
di cui sono fissati in questo testo i caratteri di varietà, 20. C. Vecellio, Habiti cit., pp. 141v.-142r.
longevità e attuale vitalità, può suggerire qualche rifles- 21. F. Orlando 1998, p. 44.
sione per alleviare la fatica della convivenza di storie di- 22. S. Arquer, Sardinae brevis historia et descriptio,
verse. Basilea 1550 (Cagliari 1922); G.F. Fara, De choro-
graphia Sardinae libri duo; trad. in G.F. Fara, Ope-
Uno dei caratteri preminenti della modernità è ricono- re, a cura di E. Cadoni, Sassari 1992; cfr. F. Orlan-
sciuto nel globalismo, di cui è segno inequivoco il mo- 5. Emma Calderini, Contadina di Aritzo in costume di gala, do 1998, p. 44.
dello basico dell’abbigliamento. in E. Calderini, Il costume popolare in Italia, Milano 1934. 23. F. Orlando 1998, pp. 56-95.
5

12 13
Note di storia dell’abbigliamento in Sardegna
Paolo Piquereddu

Il complesso vestimentario oggi riconosciuto come co- – corpetto e gilet (corìttu, còsso, groppètte) senza mani-
stume popolare della Sardegna rappresenta l’esito di un che, con abbottonatura a uno o a doppio petto, in pan-
lungo processo di trasformazione e rifunzionalizzazione no di lana o in velluto liscio o operato, di diversi colori;
indumentaria che prende avvio nel XVI e si conclude al- diffusi in tutta l’isola si indossano sulla camicia;
la fine del XIX secolo. – giubbetto (zippòne, corìttu), generalmente confeziona-
L’Ottocento produce una documentazione testuale e to mediante tessuti di importazione (panno, velluto, seta
iconografica di straordinaria ampiezza e varietà da cui, broccata) e con chiusura a doppio petto sul davanti; po-
insieme alla configurazione del territorio, alle vicende teva essere guarnito sul petto e sulle maniche con bot-
storiche, ai dati economici e climatici emergono i modi toni d’argento;
di vivere dei Sardi: del lavorare e far festa, del mangia- – calzoni bianchi (carzònes), molto ampi e di lunghez-
re, dell’abitare e, ciò che qui interessa, del vestire. za variabile, di lino o cotone o anche di orbace; veniva-
Questa letteratura formalizza e rende finalmente visibile no indossati sia con le estremità inferiori libere che infi-
il catalogo delle articolazioni dell’abbigliamento utilizza- late dentro le uose di panno o di orbace;
to dalla gran parte della popolazione dell’isola e, nel – gonnellino nero (ràgas, carzònes de furési), di orbace
contempo, ne sancisce la fine come vestiture d’uso; sic- o panno, di varia lunghezza ma prevalentemente corto,
ché è una sorta d’inventario prae morte che viene fuori increspato in vita, con fitta pieghettatura e con i lembi
dal mare magnum di studi ponderosi, relazioni, diari, anteriore e posteriore collegati da una sottile striscia; ve-
reportages, memorie, che inviati governativi, letterati, niva indossato sopra i calzoni bianchi;
militari, o viaggiatori un po’ fuori rotta dal Grand Tour, – brache (carzònis) larghe, nere, d’orbace o di panno,
al termine del loro soggiorno, danno alle stampe a Tori- lunghe grosso modo al ginocchio, diffuse soprattutto
no, Milano, Parigi, Londra, Lipsia e altre città europee.1 nelle regioni sud-occidentali dell’isola; si portavano so-
Per quanto attiene al versante maschile il sistema di cui pra i calzoni di tela bianchi.
si parla comprende sommariamente: Soprattutto in area centro-settentrionale l’insieme formato
– copricapo a sacco, con bordi arrotondati (berrìtta), lun- da gonnellino, calzoni e uose appariva talvolta sostituito
go circa cm 50, nero o rosso, di orbace, panno o velluto; da calzoni a tubo di orbace nero, di panno o fustagno.
– camicia bianca di lino o cotone (bentòne, camìsa), Sopra quelli descritti potevano essere indossati, a secon-
molto ampia, con o senza colletto talvolta ricamato o da del mestiere e delle circostanze, altri indumenti:
fornito di asole per gemelli d’oro o d’argento; – giacca di orbace nero (cappottìnu) con cappuccio e
bordi interni guarniti di velluto nero;
– cappotto lungo di orbace nero (gabbànu), completo
6. Raffaele Aruj (attr.), Ballo in fila con suonatore di launeddas, di cappuccio, con lungo spacco posteriore;
1850-55 ca., olio su tela, Cagliari, coll. Piloni (particolare).
– mantello di orbace nero (sàccu de cobèrri), indumento
7. Uomo di Nuoro, 1914, fotografia di Vittorio Alinari. da lavoro particolarmente diffuso, costituito da due teli
La foto ritrae un rappresentante del ceto agiato in abbigliamento
canonico, cui si aggiunge un raffinato gilet d’astrakan. Questa e le rettangolari cuciti fra loro su due lati consecutivi; si chiu-
altre fotografie di Alinari riprodotte più avanti, tutte di straordinaria deva sul petto mediante fermagli a catenella (gancèra);
qualità, hanno avuto una grandissima diffusione in Italia e all’estero – soprabito di panno grosso e morbido, color marrone,
attraverso pubblicazioni, riviste, album, cartoline postali in
bianconero o colorate. Il loro ininterrotto successo ha fatto sí che con cappuccio (cappóttu serenìcu), con ampie profilatu-
finissero per rappresentare un corpus dei tipi umani e delle fogge re di velluto e ricami, diffuso principalmente in area ca-
vestimentarie della regione, prevalentemente di donne attraenti e gliaritana, dove sostituiva il gabbànu;
di uomini prestanti, attenti alla cura del corpo e degli abiti: un volto
della Sardegna a un tempo esotico e raffinato. – soprabito, senza maniche, di pelle conciata (colléttu),
aderente al corpo, generalmente lungo fino alle ginoc-
8. Ragazza di Osilo in abito nuziale, 1913, fotografia di Vittorio Alinari.
Negli anni di realizzazione di questo scatto fotografico il costume di chia, allacciato a lembi sovrapposti sul davanti e fermato
6 Osilo era oramai divenuto uno dei più noti e rappresentativi dell’isola. in vita mediante una larga cintura;

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7 8
– veste senza maniche di pelli intonse, di agnello o di all’esterno, e, invece, tanto diverso e articolato nell’ambi-
pecora, e di lunghezza variabile, usata soprattutto dal pa- to del territorio isolano, suscitò l’interesse dei visitatori
store; indicata in vario modo da zona a zona (sas pèddes, extrainsulari per due ragioni principali: da un lato l’arcai-
bèst’e pèddi, zamàrra, ervechìna), corrisponde alla ma- cità delle vesti maschili, nelle quali, inevitabilmente, ve-
struca più volte nominata dagli scrittori classici come ca- niva riconosciuta l’eredità del mondo mediterraneo anti-
ratteristica dell’abbigliamento dei Sardi; co; dall’altro la varietà e la ricchezza di quelle femminili.
– scarponi (cosìnzos, iscarpònes) con spesso fondo di Le considerazioni sul vestiario maschile si inscrivono in
cuoio imbullettato, tacco abbastanza alto, lunga stringa- una lettura complessiva, perdurata fino alla metà del XX
tura, punta piuttosto stretta. secolo, di una Sardegna fuori dalla storia, refrattaria ad
Passando all’ambito femminile, gli elementi essenziali assorbire influenze esterne, segnata da una “insularità
comprendono: isolata”.
– copricapo: semplice, consistente in un fazzoletto, o La produzione storiografica dell’ultimo quarantennio ha
composito, costituito dalla sovrapposizione di due o più definitivamente superato quest’impostazione ricollocan-
indumenti (cuffia, benda, velo, pannetti, fazzoletti, do la Sardegna nel bel mezzo delle vicende che nel cor-
manto, mantiglia, scialle, gonna, ecc.); so dei secoli hanno attraversato il Mar Mediterraneo ed
– camicia: bianca, di lino o di cotone (camìsa, ca- evidenziandone una posizione di centralità, ancorché
mìja, lìnza), era generalmente molto ampia e lunga, nella dipendenza.2
con increspature al collo, chiuso con gemelli d’ar- Questo vale pienamente anche per l’ambito indumenta-
gento o d’oro, e ai polsi; la parte più importante, rio: le ricerche negli archivi dell’isola, di Pisa, Genova,
sempre decorata con accurati ricami, era quella Torino, Barcellona, Madrid e di altre città che storicamen-
anteriore, destinata a rimanere in vista; te hanno avuto relazioni non sporadiche con la Sardegna
– corpetto (pàla, imbùstu, còsso): era realizzato hanno rivelato una partecipazione spesso neppure signi-
con tessuti di vario tipo e qualità e nelle fogge ficativamente ritardata alle trasformazioni dell’abbiglia-
più disparate; presentava struttura rigida in area mento in Europa e, a partire dal Seicento, perfino alle vi-
settentrionale, dove consisteva in un vero e pro- cende della moda.
prio busto; in area nuorese aveva struttura mor- Certo le suggestioni derivanti dall’esame della statuaria
bida e dimensioni ridotte, in taluni casi, ad una nuragica, specie se guidato dalle parole di Giovanni Lil-
stretta striscia, sostenuta da sottili spalline, pas- liu, sono forti ed emozionanti; non si può non rimanere
sante sotto il seno e terminante con due appen- coinvolti in un gioco di riconoscimento e di scoperta, nei
dici triangolari; veniva allacciato sotto il seno segni di indumenti talvolta appena delineati, di un com-
con nastri o ganci; plesso di vesti a noi familiari e berrìtte, mastruche, manti,
– giubbetto (zippòne o corìttu): era realizzato sem- pastrani e giacche con cappuccio, giubboni, gonnellini
pre con tessuti pregiati (panno, velluto di cotone e di se- maschili, brachette, gambali, sandali. Talvolta caratterizza-
ta liscia o operata, sete damascate e broccate); la lun- te da stupefacenti pettinature maschili e femminili a trec-
ghezza era variabile e le maniche potevano essere strette cia, sono immagini di capo tribù, di guerrieri, di sacerdo-
e sagomate o aperte sino al polso; spesso erano fornite ti, sacerdotesse e soprattutto di pastori e contadini e delle
di asole sulle quali veniva sospesa una serie di bottoni loro donne che agli occhi dei Sardi offrono la rappresen-
d’argento (buttonèra); tazione di un antico e impossibile album di famiglia.3
– gonna (tùnica, fardètta, munnèdda, saùcciu): sempre Tra le tante statuine, che a questo proposito si possono
lunga ed ampia, veniva confezionata sia con orbace che menzionare, particolarmente significative risultano il Ca-
con tessuti di produzione industriale e di varia qualità po con stocchi e scudo alle spalle e L’offerta della gruc-
quali panno di lana e cotonina; presentava quasi sem- cia per la ricchezza e i particolari dell’abbigliamento.
pre una piegatura sulla parte posteriore e, raramente, su Giovanni Lilliu vi legge nel primo una tunica cui è so-
quella anteriore, che in genere veniva coperta dal grem- vrapposto un giubbone, verosimilmente una sorta di co-
biule. L’indumento poteva essere impreziosito sul bordo razza di cuoio, delle alte uose che proteggono «le gam-
inferiore da una balza e da nastri policromi; be dal ginocchio al collo del piede e, accessorio non
– grembiule (frànda, pannéllu, antalèna, fàrda): di pan- molto frequente in queste figurine, la calzatura che è
no, orbace, seta, tulle e tessuti meno pregiati, poteva
avere forma e dimensioni variabili;
– calzature: le tipologie più diffuse sono basse (iscàrpas), 9. Abito maschile festivo, Quartu S. Elena, anni Cinquanta
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
di pelle marron o nera, talvolta di vernice o rivestite di Realizzato nei primi anni Cinquanta del Novecento, sulla base del
tessuti broccati o ricamati, con grande fibbia metallica o modello in uso tra Ottocento e Novecento, fu donato dal Comune
fiocchi; o stivaletti (bottìnos) con spessa suola bombata di di Quartu S. Elena al costituendo Museo del Costume di Nuoro.
cuoio imbullettata, punta affusolata, tomaia di vitello nero 10. Abito femminile festivo e di gala,
o vernice, tacco generalmente di altezza modesta. Quartu S. Elena/Monserrato, prima metà sec. XIX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
Il vestiario sopra descritto, che, al pari della lingua, ap- È probabilmente l’abito più prestigioso del museo nuorese per l’alta
pariva unitario e riconoscibile come sardo se rapportato qualità dei materiali e dell’esecuzione delle singole parti.

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costituita da una specie di sandalo di cuoio con la suo- ma anche di vesti per l’esercito che stanziava nell’Isola e
la allacciata al dorso del piede da larghe fascette che la- che rapidamente fu provveduto a tal richiesta. È anche
sciano nude le punte delle dita accuratamente segnate detto che Caio Gracco, essendo questore del proconsole
nei particolari»; nel secondo personaggio si sofferma, L. Aurelio Oreste, conseguì che i Sardi concedessero be-
tra l’altro, sul berretto, notando che «la calotta bombata nevolmente le vesti necessarie alle milizie Romane.
e il lembo ripiegato sulla fronte ben marcato, rivelano Il beneficio recato dagli isolani all’erario romano procu-
la consistenza effettiva della materia del copricapo – la rando vesti all’esercito era più notevole di quello che
stoffa di lana caprina (l’orbace) – ed il tipo dello stesso: possa apparire ai tempi nostri nei quali la produzione
cioè l’archetipo dell’attuale “berritta sarda”, un berretto meccanica dei tessuti si è a mano a mano estesa ed ha
maschile, tipicamente mediterraneo, di larga diffusione reso men cari che nei secoli passati i vestiti. Per gli an-
(v. anche la “berrettina” catalana)».4 tichi le vesti di lana, frutto di lungo lavoro manuale,
Al di là di queste straordinarie “coincidenze” è inconte- erano merce preziosa. Nel caso nostro basti ricordare
stabile che gli indumenti sui quali storicamente si è fon- che nel 190 a.C. la richiesta fatta dai Romani di cin-
data la specificità e la riconoscibilità dei Sardi, vale a di- quecento toghe e di altrettante tuniche ai cittadini di
re la mastruca, la berrìtta e le ràgas unite ai calzoni Focea contribuì a determinare una sollevazione».7
bianchi di tela sono tutti afferenti a una koinè vestimen- Il singolare episodio è entrato a far parte di una sor-
taria mediterranea. ta di mitologia positiva della letteratura storica sarda;
L’indumento che più di qualsiasi altro, nel corso dei se- in questo senso può essere letta la rappresentazione
coli, è stato associato ai Sardi, la mastruca, rimanda a nazional-popolare che viene offerta dall’opera di
una tradizione d’uso estesa ben oltre i confini dell’isola, Giovanni Marghinotti, I sardi offrono vesti e viveri ai
se non altro per la semplice ragione che le pelli costitui- legionari di Caio Gracco (1850 ca.), attualmente con-
scono i primi, insostituibili abiti dei popoli pastorali. servata nel Palazzo Civico di Cagliari (fig. 15).
E tuttavia i celebri, sprezzanti epiteti ciceroniani di Sar- Lo studio di Giulio Paulis sul termine cèrga, tsèrga, tsrè-
di Pelliti e mastrucati latrones, i testi di Quintiliano, San ga, col quale ancora negli anni Cinquanta del Novecento
Girolamo, Isidoro, di Strabone e Nindoforo e di tanti al- si indicava nell’isola il vestiario che il padrone forniva ai
tri ancora hanno accompagnato attraverso i secoli la ma- contadini o pastori suoi dipendenti quale parte della re-
struca, connotandola come indumento proprio della Sar- munerazione, ha reinserito il vocabolo in un quadro sto-
degna.5 rico assai utile anche per la storia della produzione indu-
Certo, questa semplice veste senza maniche, formata mentaria sarda: «Significante in origine ‘veste’, il vocabolo
dall’unione di quattro pelli intonse di pecora o di capra, fu inizialmente impiegato, con riferimento alla vestis col-
è tra quelle che nell’isola è rimasta in uso per più lungo latio, per designare i capi di vestiario per le truppe che
tempo: ancora negli anni Sessanta del secolo scorso non gli abitanti dell’impero erano tenuti a fornire alle sacrae
era infrequente incontrare nelle campagne della Marmil- largitiones in ragione dei possedimenti fondiari e del nu-
la, Trexenta, Sarrabus pastori “mastrucati”. Oggi la ma- mero di lavoratori agricoli insistenti su un determinato
struca è indossata dalle maschere dei mamuthones di territorio. Siccome i maggiori contribuenti erano, ovvia-
Mamoiada e dei merdules di Ottana: a queste maschere mente, le persone più facoltose e i grandi proprietari
come ad altre simili di tanti paesi pastorali dell’Europa e terrieri, in Sardegna continua a chiamarsi Qèrga, attèrga,
del Mediterraneo (Spagna, Slovenia, Croazia, Bulgaria) tsèrga il vestiario che il padrone dà ai servi in occasio-
si affida il compito di trasformare chi le indossa in esseri ne delle feste o a fine anno come parte della remune-
alieni, propiziatori di beni per la comunità.6 razione pattuita. Sul finire del IV secolo, tuttavia, il
Che i Sardi non fossero i barbari incolti e primitivi de- contributo per la vestis fu commutato in oro (la co-
scritti da Cicerone e invece disponessero di capacità siddetta adaeratio vestis militaris), sicché il lessema
produttiva in grado di risolvere le difficoltà vestimenta- continuato nel srd. med. come cerga, zerga, ther-
rie nelle quali si trovò l’esercito di Roma nel corso della ga andò progressivamente ampliando il suo signi-
seconda guerra punica è ricordato da Ettore Pais, che, ficato sino a designare qualsiasi tributo di natura
riprendendo la testimonianza di Plutarco, scrive: «La ma- reale che i sudditi erano obbligati a versare de
struca derisa da Cicerone non era però l’unica veste de- causa issoro al fisco regio o ad altra autorità da
gli Isolani. Abbiamo veduto che, durante la seconda cui dipendevano».8
guerra punica, Roma fece richiesta non solo di grano, La presenza del termine in numerosi docu-
menti medievali sardi, spesso associato al
ginithu che indicava «originariamente il la-
11. Abito maschile festivo, Orgosolo, 1970 voro obbligatorio compiuto presso gli stabi-
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. limenti tessili di proprietà statale»,9 e l’analisi
12. Abito femminile festivo e di gala, Orgosolo, 1970 che ne fa Paulis consentono di affermare che la cor-
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. responsione del tributo reale costituito dalla fornitura
Questo costume, oltre che dai gruppi folcloristici, viene ancora
oggi indossato come veste nuziale da un buon numero di ragazze tessile e indumentaria presupponeva nell’isola un siste-
di Orgosolo. ma produttivo fondato su una notevole organizzazione

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di mezzi, di persone e di risorse tecnologiche; si aggiun- per gli indumenti pontificali: nei giorni di festa solenne
ge così un altro tassello di supporto al ragionamento che noi e i dignitari della nostra corte portiamo vesti di tale
supera l’idea di una Sardegna subcantonale frammentata colore e di tale lana».10
in monadi produttive libere e autonome. Laura Balletto dà conto degli intensi traffici commerciali
La partecipazione dell’isola all’articolata organizzazione intercorsi nei secoli XII-XIV tra Genova e Savona con la
produttiva statale d’epoca bizantina è peraltro indiretta- Sardegna, pubblicando 39 documenti inediti dell’Archi-
mente confermata da un documento talvolta addotto vio di Stato di Genova, dei quali si segnalano in partico-
come prova della produzione di un tessile di altissima lare due atti. Il primo è una dichiarazione resa al notaio
qualità: il bisso. Ricavato dalla lanugine di una conchi- Lantelmo di Genova il 28 settembre 1234: due fratelli di
glia, la pinna nobilis (nacchera), detto anche lana mari- Arenzano ricevono in accomendatione la somma di 8 li-
na, il bisso costitutiva uno dei tessuti più preziosi e ri- re di genovini per la vendita da effettuare a Bosa di due
cercati fin dall’età imperiale romana. In età bizantina pezze di stanforti lombardi (petiis duabus stanfortum
era utilizzato per la confezione degli abiti papali e dei lombardorum).11
dignitari; l’isola era assai probabilmente uno dei luoghi
di produzione della materia prima se non del tessuto fi-
nito, peraltro presente a Cagliari e a La Maddalena nel 13. Uomini di Sant’Antioco, 1926, fotografia di Max Leopold Wagner,
Berna, Istituto di Filologia Romanza “Karl Jaberg”.
primo Ottocento, secondo la testimonianza dell’Angius, Il grande studioso utilizzò il mezzo fotografico quale ausilio
e a Sant’Antioco ancora nel XX secolo. Nella lettera che ai suoi rilevamenti dialettologici per l’Atlante Linguistico Italiano.
papa Leone VI invia nell’851 allo judex di Sardegna si Le immagini sono perciò caratterizzate da immediatezza
documentativa piuttosto che da accuratezza tecnica e compositiva.
legge: «Se da voi o in uno dei vostri domini trovate del- I personaggi raffigurati indossano i larghi calzoni d’orbace in uso
la lana marina, quella che nella nostra lingua chiamia- nel Sulcis Iglesiente, e, salvo uno, la mastruca; tutti portano sopra
mo “pinnino”, non dimenticatevi di comprarla, a qua- la berrìtta un fazzoletto legato a soggolo.
lunque prezzo e di mandarcela perché ci è necessaria 14. Uomo di Sant’Antioco, 1914, fotografia di Vittorio Alinari. 14

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Nel secondo, redatto l’11 marzo del 1236: «Marchisio del Tra l’altro il testo conferma un dato raramente tenuto nei villaggi della Catalogna. La varietà è enorme: si va dai allacciato spesso con cordelle che, se allentate lasciano
Prione dichiara di avere ricevuto in accomendacione da presente nei lavori sulla storia dell’abbigliamento in Sar- drappi di Puigcerdà, di Saint Joan de les Abadesses, di vedere una stoffa più ricca».24
Ottobuono Tornello la somma di soldi 34 e denari 7, degna, vale a dire l’uso dei capi di vestiario quali mezzi Perpinyà, di Banyoles, frisons, brurells d’Olot, bristò, ai Un documento pubblicato da Maria Teresa Ponti nel 1959
impiegata in due bende sardesche di seta (duabus bin- di pagamento e di scambio, e indirettamente pone an- lini di Vich e alle estopes di Girona, fino alle tele d’Olan- informa dell’immediata diffusione della nuova moda; si
dis sardeschis de seta) da commerciare in Sardegna».12 che qualche interrogativo sulla possibilità di un mercato da, di Germania, di Carcassona e alle robes di Maiorca; tratta dello statuto del gremio dei sarti e calzettai, compi-
La presenza dei mercanti catalani in tutti i principali ap- di abiti usati, la cui presenza, per l’epoca di cui si tratta, ed ancora lino, cotone bianco e blu, ricami, raso, veli di lato nel 1532 e contenuto in un codice del XVI secolo
prodi del Mediterraneo era attestata ampiamente nei se- comincia ad essere oggetto di numerosi recenti studi ri- seta, berretti (bonets) e cappelli di feltro, barretes d’agul- dell’Archivio Comunale di Sassari.25
coli XII e XIII. Carmen Batlle ha posto in evidenza che feriti all’area settentrionale italiana.16 la: Cagliari ed Alghero si vestono alla catalana. Ma sol- Lo statuto riporta le tariffe che i sarti e i calzettai doveva-
«tra questi predominavano gli imprenditori barcellonesi Il condaghe, nel riportare il testo di una transazione tanto Cagliari ed Alghero? Verosimilmente anche i villaggi no rigidamente applicare, pena sanzioni pecuniarie, per
che si erano stabiliti sulle coste francesi, nel nord Africa, commerciale, riferisce di un cunduri de rocca: l’espres- – e non solo di pianura – subiscono la “contaminazione” la confezione di ciascuno dei manufatti. Ne viene fuori
a Cagliari e a Oristano, a Reggio e in altre città del sud sione, di difficile comprensione, è stata oggetto di anali- dei modi di vestire imposti dall’industria tessile catalana. perciò un elenco degli abiti maschili e femminili allora in
dell’Italia, così come naturalmente nella Sicilia recente- si storico-linguistica da parte di Giulio Paulis, che è riu- Componenti essenziali dell’abbigliamento dei contadini e uso e un quadro preciso della presenza di fogge di in-
mente conquistata». scito a svelarne il mistero. Per Paulis il termine sardo dei pastori sardi divengono la diffusissima berritta (negli fluenza catalana. Secondo le parole della Ponti: «I Sassa-
La Batlle ha ricostruito in particolare le vicende del mer- cunduri, di origine bizantina, è da ricollegare al vocabo- anni Cinquanta, l’etnografo Violant i Simorra di questo ti- resi più abbienti indossavano lunghe tonache di brocca-
cante barcellonese Guillem Lloret, che aveva aperto bot- lo usato in Terra d’Otranto (Soleto): kundùri, ‘sottoveste pico copricapo studiò con puntigliosa scientificità misure, to, guarnite di seta o di raso, corpetti aderenti pure di
tega a Oristano, attraverso l’analisi del testamento scritto delle donne nell’antico costume’. Il cunduri andava in- modi d’indossarla, colori e analogie con la barretina cata- broccato, ampie giacche, eleganti e comode mantelle;
il 6 novembre del 1301, poco tempo prima della morte, dossato sotto il rocca una ‘veste di sopra’. Lo studioso lana, siciliana e napoletana: “Desdè Nàpols a Marsella / erano in voga anche i cappotti col cappuccio increspato,
avvenuta nella città sarda. Il testamento informa che Llo- mette in evidenza, tra l’altro, che rocchetto «designava no floria un port sense ella”, cantava il poeta Verdaguer) larghi cappelli, guarniti di “rivet”; le donne indossavano
ret lasciava in eredità, tra le cose che qui interessano, dei un vestimento di cerimonia, proprio di alcune dignità e i barracani tessuti con burell, quella stoffa nera e ruvi- le “faldettes” (gonne) con bluse, corsetti con maniche o
panni di lana catalani e francesi, cipelles catalane, ovvero ecclesiastiche, simile alla cotta».17 da, ma impermeabile e resistentissima».20 senza, giubbe ampie. La classe media faceva confeziona-
«calzature molto primitive formate da una suola di legno Proseguendo nel suo ragionamento, Paulis affaccia l’ipo- L’importazione di berrìtte non ha mai avuto probabil- re gli stessi modelli con stoffe meno costose: il “contray”,
e da alcune cinghie di cuoio che le fermavano al piede», tesi che il cunduri potesse essere di bisso, a causa del mente periodi di interruzione anche nei secoli successivi, il cotone, lo “stamet”, il “fustagno”, la “saya” ed il cam-
e barracani barbareschi, che la Batlle indica come indu- valore che gli si attribuisce nel condaghe (7 sollos, corri- come documentato da diverse fonti. Flavio Orlando ha mellotto. Gli abiti da lutto, di qualunque tessuto fossero,
menti di lana impermeabile provenienti dal Nord Africa.13 spondente grosso modo a quello di due o tre buoi). avanzato l’ipotesi che le berrette di lana importate in Sar- avevano un’unica tariffa: un abito veniva a costare venti
Dati significativi coerenti con quelli emersi negli ultimi Dunque sembra probabile che la Sardegna producesse degna da Livorno alla metà del secolo XVIII, di cui dà soldi, un cappello “de dol” dieci soldi. Le gonne delle in-
decenni riguardanti l’attestazione nell’isola di un merca- tessili di scarsa qualità a mero uso interno e che invece notizia l’Anonimo Piemontese, potessero essere prodotte servienti, i cappelli dei paggi, fatti di “contray” o di coto-
to di abiti pronti, fin da epoca medievale; ciò a confer- importasse una grande quantità di tessuti e abiti pronti dalla manifattura pratese di Vincenzo Mazzoni.21 ne, costavano dagli otto ai dieci soldi».
ma dell’inconsistenza della teoria, diffusa soprattutto in di qualità sia dal continente italiano (Liguria, Lombardia, Un esempio dell’influenza della moda esterna a Cagliari Dalla lettura dello statuto del gremio emerge un altro
ambito etnoantropologico, che vedeva la produzione Toscana), sia naturalmente dalla penisola iberica. viene offerto da Gabriella Olla Repetto che riporta un dato di grande interesse: la proibizione alle donne di
del vestiario delle classi popolari tutta domestica, affida- Si può pertanto ragionevolmente ipotizzare che, a fronte documento quattrocentesco del notaio A. Barbens, con- qualsivoglia stato e condizione, di città o straniere, di ta-
ta alle donne, cui si attribuiva la responsabilità dell’inte- di un’attività commerciale caratterizzata da un mercato di servato nell’Archivio di Stato di Cagliari, relativo all’in- gliare abiti nuovi di seta, o calze, o altri capi di vestiario
ro ciclo lavorativo, filatura, tessitura, tintura, taglio, cuci- importazione di panni e tessili vari di alta, media e bassa troduzione di una foggia ritenuta tanto sconveniente da senza la licenza rilasciata dal gremio, pena una multa, il
tura, ricamo. qualità rigidamente controllata a fini fiscali, e comunque essere sottoposta a «una severa ammonizione ecclesia- che documenta l’insussistenza di un’altra diffusa convin-
Sempre Sassari, attraverso l’ordinanza di Ugone d’Arbo- riservata a una clientela abbiente e cittadina, la Sardegna stica, preludio alla scomunica … Nel 1480, imponendo zione sulla storia della produzione degli abiti nella so-
rea, aggiunta nel 1381 agli Statuti della Repubblica di dei piccoli centri continuasse a produrre lana e lino per la moda fianchi opulenti ed andature sinuose e sculet- cietà sarda, che cioè essa fosse parte dell’ordinario lavo-
Sassari e relativa ai sarti (mastros de pannu), fornisce ul- uso domestico e per un mercato ambulante che attraver- tanti, le donne cagliaritane, per rimediare alle carenze ro domestico.26
teriori preziose notizie sul vestiario in uso nelle ultime sava tutta l’isola. naturali, avevano fatto ricorso a ogni sorta di ingegnosi Si può pensare dunque a un mercato di tessuti e a una
decadi del Trecento: guneda de homine fodorata, gune- Ancora gli Statuti Sassaresi informano dei tessuti prodotti rinforzi. Pezzi di coltri, imbottiture di basti, giri di volan- produzione sartoriale di abiti di pregio riservati alle classi
da de femina incrispada, guneda a sa francesa; palan- in città nella seconda metà del Trecento: tela sottile, fu- ti attorcigliati più volte attorno ai fianchi, ogni marchin- abbienti; a un mercato di prodotti tessili e indumenti di
dra de homine o zerachu; mantedu assa castelana; fro- stianu rigadu o pilosu, guardanapu, tiazolu de manu, gegno sotto le gonne era buono per realizzare le volut- media e bassa qualità, e a una parallela produzione loca-
nimentu de fresos over de arguentu, o perlas.14 furesi (tela fine, fustagno rigato o “peloso”, tela per tuose rotondità».22 le, anzi domestica, portata avanti dai ceti più poveri, im-
Per guneda è senz’altro da intendere la gonnella, ovvero asciugamani e per fazzoletti da mano, orbace); danno, Anche a Cagliari, evidentemente, era già stata adottata la possibilitati ad accedere anche ai manufatti più modesti
la veste maschile e femminile tipica del medioevo euro- inoltre, notizia dei costi da riconoscere ai gualchierai spagnola faldia, una sottogonna a campana resa rigida e, talvolta, impegnati in attività di vendita ambulante.
peo, detta anche cotta e sinonimo di tunica. Il fatto che la (calcatores) per la follatura dell’orbace.18 da una struttura di materiali diversi, che aveva la funzio- Per il discorso che qui si sta facendo, lo statuto in esa-
guneda maschile fosse foderata (fodorata) indica che si L’orbace era dunque oggetto di un mercato isolano di ne di mantenere l’abito scostato dai fianchi. L’indumento, me assume particolare interesse per il vestiario femmini-
trattava di un indumento importante e di qualità, coeren- produzione, vendita e follatura. In ordine a quest’ultima introdotto in Spagna già nel Quattrocento, ebbe diffusio- le che, oltre a una serie di cappe, giacchette, manti, sai,
temente alle caratteristiche che questo capo cominciò ad operazione si cita il documento del 13 aprile 1338, attra- ne in tutta l’Europa nel secolo successivo. Rosita Levi Pi- cappelli di vari materiali (panni, sete, velluti), abiti da
assumere a partire dal secolo XII; vengono inoltre segna- verso il quale Pietro il Cerimonioso autorizza tale Pietro setzky informa che questa foggia «dal carattere nettamen- lutto, comprende gonne e giubbetti.27
lati una guneda a sa francesa e un mantedu (manto) alla Egidio di Sassari a costruire una gualchiera in quella te spagnolesco per la sua pomposità» viene proibita già Nell’elenco non si ritrovano più le gunedas maschili e
castelana; anche questi sono elementi molto significativi città.19 nel 1498 a Milano e nel 1508 a Perugia; provvedimenti femminili del tariffario trecentesco sopra ricordato, ad
in quanto informano dell’esistenza di fogge indumentarie Francesco Manconi ha messo in evidenza l’importanza analoghi a quelli registrati a Cagliari vent’anni prima.23 eccezione delle gonnelle de serventes o de pagesses: for-
di importazione, nettamente distinte da quelle locali. Infi- del traffico di prodotti tessili e indumentari dalla Catalo- Il Cinquecento, come è noto, vede l’affermarsi di un’im- se questo dato sta a indicare che la gonnella è divenuta
ne il testo dà conto della presenza di ornamentazioni gna e la loro influenza sull’abbigliamento dell’isola: «Ver- portante trasformazione dell’abito femminile, la sua divi- veste residuale, utilizzata ormai solo dai ceti più bassi, a
d’argento o di perle sugli indumenti d’orbace. so la metà del Quattrocento la più grande parte del traffi- sione in due parti all’altezza della vita: «La parte superio- fronte dell’affermazione della veste femminile divisa in
Un altro documento significativo inerente alle fogge fem- co da Barcellona e dai porti della costa catalana verso la re staccata sembra si possa riconoscere nel vocabolo vita e formata sostanzialmente da un indumento capo-
minili dell’abbigliamento sardo di epoca medievale viene Sardegna riguarda i panni, i famosi draps de la terra, di investitura o vestura, e più sicuramente in quelli di giup- spalla di varia foggia e da una gonna, vale a dire un ele-
offerto dal Condaghe di San Pietro di Silki.15 modesta qualità ma di buon prezzo, prodotti nelle città e pone, corpetto, corsetto, diploide, busto o cosso. Il busto è mento che copre il corpo dalla vita in giù.

24 25
sia il bronzetto con copricapo piumato della collezione
del Museo Nazionale Archeologico di Cagliari.29
Così come l’eredità linguistica di Roma, alla fine, è risul-
tata più duratura e profonda nella Sardegna interna, così
è lecito pensare che anche nel campo dell’abbigliamen-
to sia stata acquisita e fatta propria, fino ad assumere
carattere identificativo dei Sardi, la balza che il soldato
romano indossava sotto la lorica. La statuaria romana
ma anche tanta produzione scultorea e pittorica sarda
del Quattrocento e del Cinquecento, in particolare le
raffigurazioni dell’arcangelo Michele, offrono in questa
direzione non poche indicazioni.30
Le ràgas trovano una parentela con la gonna maschile
detta fustanella, usata in tutta l’area balcanica, dagli Al-
banesi al popolo nomade dei Saracatsans, e divenuta,
dopo il 1821, indumento dell’uniforme delle guardie
reali greche, nonché con il sottanino maschile detto ro-
mana portato dai mercanti alla fine del Cinquecento,
come documentato dal Vecellio.
E, ancora, non pare inutile ricordare che larghi calzoni
detti vraka (come ràga, di evidente derivazione da “bra-
ga”), lunghi fino al ginocchio, bianchi e di tela per il
periodo caldo e più pesanti, di lana anche scura, per
l’inverno, fossero adottati in diverse località della Tracia
15
e nelle isole di Creta, Skyros, Hydra, Cipro e diverse al-
15. Giovanni Marghinotti, I sardi offrono vesti e viveri ai legionari Un analogo processo può aver interessato la gonnella tre ancora.31
di Caio Gracco, 1850 ca., olio su tela, Cagliari, Palazzo Civico.
L’opera celebra un episodio riferito da Plutarco, relativo
maschile che dividendosi a sua volta in due parti dà luo- Né può essere senza significato, a proposito di scambi e
all’operazione di raccolta delle vesti per i soldati, svolta in Sardegna go a un giubbetto o corsetto e a una gonnellina pieghet- parentele con le regioni levantine, la presenza nell’abbi-
da Caio Gracco nell’inverno 125-124 a.C. tata, più o meno lunga, tenuta da una cintura di cuoio. gliamento maschile sardo del cappotto serenìcu prove-
Si tratterebbe insomma delle ràgas, o carzònes de furési, niente da Salonicco, adottato a Cagliari e nel Campidano;
che per ragioni di decenza vengono associate ai calzoni l’indumento nel secolo XVII veniva confezionato a Ca-
bianchi di lino, cotone e più raramente d’orbace. gliari da una colonia di “cappottari greci”. Il La Marmora
Che comunque questa combinazione già nel secolo XVI sottolinea giustamente che a differenza degli altri sopra-
17
fosse stata assunta nel vestiario popolare maschile del- biti sardi con cappuccio, confezionati con l’orbace, il se-
l’isola risulta dall’esame delle tre figurine di suonatori in renìcu utilizza un panno di grosso spessore e che «la Pur conservando un suo specifico percorso di riconfigu-
bassorilievo della chiesa di San Bachisio di Bolotana (fi- stoffa è importata dal Levante e dal Regno di Napoli e i razione estetica e funzionale, la storia dell’abbigliamento
ne del Cinquecento). Le formelle lapidee mostrano tre lavoranti che li eseguono sono tutti greci stabiliti nell’iso- della Sardegna va allora a riconnettersi a quella com-
suonatori: di corno; di piffero e tamburino (fig. 16); e di la dove non fanno altro. È assolutamente un indumento plessiva europea e mediterranea condividendone i prin-
uno strumento bicalamo. Gli ultimi due in particolare, levantino molto conosciuto in Italia e in molti paesi del cipali eventi sociali ed economici.
per la loro posizione frontale, mostrano un gonnellino Mediterraneo, dove è usato dai marinai e dai pescatori».32 Ferma restando l’ininterrotta importazione di tessili e abiti
con ampie pieghe, rappresentate da scanalature verticali, Questo particolare cappotto, ampiamente documentato di lusso destinati ai ceti nobiliari e alle famiglie più facol-
e il secondo un’alta cintura; tutti e tre recano un cappel- nei testi e nelle raccolte iconografiche del primo Otto- tose dei centri maggiori dell’isola, documentata da nume-
lo con piume. Su quest’ultimo e apparentemente singo- cento, ha subito un rapido abbandono. Risultano per- rosissime osservazioni di opere storiche e di viaggio del
lare elemento pare utile ricordare sia il passo del Gala- tanto di particolare interesse storico ed etnografico la Settecento, e dunque il persistere di un ambito vestimen-
teo di Monsignor della Casa, ripreso da Levi Pisetzky, fotografia (fig. 21) che ne mostra un esemplare indossa- tario privilegiato ed elitario non dissimile al resto d’Italia
quale moda diffusa nel Cinquecento («Le penne, che i to da un ricco cagliaritano, realizzata negli anni Settanta e dell’Europa spagnola, anche in Sardegna viene a confi-
napoletani, e gli spagnoli usano di portare in capo»),28 dell’Ottocento dal fotografo Giuseppe Luigi Cocco, e lo gurarsi uno standard nell’abbigliamento dei ceti popolari
splendido esemplare conservato nel Museo Nazionale femminili che rimarrà sostanzialmente immutato per circa
delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, unito a un abi- due secoli: esso si compone di copricapo di varie fogge
16. Suonatore di piffero e tamburino, calco da un rilievo della fine to completo di pescatore (figg. 430-431).33 e materiali, camicia, corpetto, gonna, grembiule, calze di
del sec. XVI situato nella chiesa di San Bachisio a Bolotana, Gli indumenti riportati nello statuto del gremio dei sarti e maglia, scarpe.
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. calzettai e i bassorilievi della chiesa di San Bachisio dan-
La formella è di straordinario interesse non solo per la storia della
musica nell’isola. Il suonatore, infatti, indossa le ràgas, elemento no dunque notizia dell’introduzione in Sardegna di capi 17. Anonimo, Ritratto di Maria Piras, ante 1725, olio su tela,
caratterizzante l’abito maschile dei Sardi e un cappello piumato, di vestiario adottati da pochi anni nei territori sotto do- Quartu S. Elena, Museo Parrocchiale di Sant’Elena.
copricapo non proprio isolano ma assai diffuso nell’Europa del minio aragonese e informa che l’isola partecipa, dunque, È uno dei primi documenti iconografici sull’abbigliamento femminile
Cinquecento: il primo elemento dunque è di timbro locale e della Sardegna: esempio di una forma vestimentaria che, seppure
regionale, il secondo connette la Sardegna alle vicende della moda all’evoluzione complessiva della moda europea del Cin- non definibile popolare, esprime già una connotazione stilistica e
16 colta del Continente. quecento. ornamentale meglio esplicitata nel secolo successivo.

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18 19

In Sardegna su tale struttura di base andranno a inne- troncoconico dell’area cagliaritana, noto in ambito ma- il colletto, una “casacca di cuoio che veste il petto e la sempre lo stesso in ogni regione, varia solo con diffe-
starsi, in riferimento ai materiali, i tradizionali tessuti ghrebino come fez o shishia. schiena usata in particolare dai soldati che vestono ar- renze sottili ma sempre tra il giallo e il giallo rossastro.
d’orbace e di lino. Esempi di berrìtta sono stati più volte individuati in do- mature”; tra XVI e XVII un indumento non così lontano Questo collettu, che è l’abito ordinario e giornaliero del-
Un passo della Sardiniae Chorographiam, scritta da cumenti di diversa natura, dalle citate statuine bronzee dall’abbigliamento civile, in un certo senso intermedio. la maggior parte dei coltivatori, soprattutto di quelli del-
Giovanni Francesco Fara tra il 1580 e il 1595, riprenden- nuragiche, alle figurine danzanti scolpite in bassorilievo Dalla ritrattistica si evince che il colletto si indossava an- le pianure e delle regioni meridionali, è, per i Sardi, la
do quasi alla lettera il testo della Sardiniae brevis histo- nella chiesa duecentesca di San Pietro di Zuri.35 che al disopra del giubbone, quasi una sopravveste … cosa più utile che sia loro rimasta a ricordare gli antena-
ria et descriptio di Sigismondo Arquer, oltre a conferma- L’affinità di un altro indumento maschile pansardo, su si può considerare un elemento residuale che andava ti. Quale veste infatti potrebbe come questa riunire tanti
re l’orbace quale tessuto diffuso nel mondo rurale, colléttu, con le vesti di alcune statuine nuragiche è stata oltre l’armatura, liberandosi quasi integralmente della vantaggi, soprattutto in luoghi ritenuti malsani? Esso di-
evidenzia anche una netta differenza qualitativa tra il evidenziata da un gran numero d’autori: La Marmora, Bre- funzione originaria».36 fende il corpo dall’influenza spesso funesta di un im-
vestiario delle popolazioni rurali e dei piccoli centri ri- sciani, Angius, Wagner. Il termine “cojetto”, “colletto”, Assai ben documentato nell’iconografia dell’Ottocento, il provviso cambiamento di temperatura e delle intemperie
spetto a quello dei ceti abbienti delle città: «Gran parte “cuoietto” è documentato in area europea associato all’ab- collette viene descritto alla fine del Settecento dal Cetti e dell’atmosfera; esso offre ai brucianti raggi del sole di
dei servi e di coloro che vivono in villaggi e fattorie si bigliamento militare, in particolare alle armature: «Le ar- dal Madao che ne sottolinea l’origine antica. Ma è so- queste contrade, come all’umidità del mattino e alla piog-
vestono con un tessuto assai ordinario che la gente mature richiedevano la presenza di altri capi. Ad esempio prattutto il La Marmora a illustrarne con grande precisio- gia, una superficie impermeabile; esso conserva un ugua-
chiama “fureso”: anche le donne hanno un abbiglia- ne foggia, materiali e funzioni. le calore in ogni tempo e stagione; preserva lo stomaco e
mento molto sobrio e si astengono da qualsivoglia lus- 18-19. Ciclo del martirio di San Lussorio, prima metà sec. XVIII,
«È una specie di giustacuore senza maniche, molto ade- le cosce dalle spine e dai rovi tanto comuni nei terreni
so, mentre al contrario i cittadini che, come le loro don- olio su tela, Borore, chiesa parrocchiale. rente soprattutto verso le anche, che forma, incrociando- poco coltivati; si presta facilmente ad ogni movimento;
ne dispongono di enormi ricchezze, fanno sfoggio di I dipinti offrono una varietà di informazioni sull’abbigliamento sardo si nel basso, una specie di doppio grembiule che scende resiste ad ogni tipo di strapazzo, è di lunga durata; ecco-
abiti per ostentare la loro condizione».34 del primo Settecento. I personaggi rappresentati indossano, per
quanto concerne gli indumenti maschili, colléttu, ràgas, calzoni larghi
sino ai ginocchi. Fatta di cuoio conciato e raso, questa vi, credo, ciò che riscatta ampiamente l’unico difetto che
Anche per quanto attiene alla berrìtta, altro simbolo e neri lunghi fino al ginocchio, calzoni bianchi di tela, gabbani e veste si indossa come i nostri panciotti, ma non deve si può trovare al collettu, la sua forma completamente
dell’abbigliamento della Sardegna, non si può non rile- gabbanelle; tra quelli femminili bende e corsetti, grembiuli, giubbetti, mancare di una cintura che è necessaria per tenere a po- sprovvista d’eleganza.
varne l’ampia diffusione in area mediterranea e la sua gonne che rimandano inequivocabilmente alle tipologie vestimentarie sto le falde. La parte che poggia sul petto è più o meno Del resto, benché esso sia destinato ad essere solo un
della Sardegna. Nello stesso tempo alcuni accessori e ornamenti quali
presenza, come prima notato, nei mercati dei porti più il ventaglio pieghevole, gli orecchini di perle, le scarpe bianche a scollata, a seconda delle zone: per il resto, la forma del abito da lavoro, il lusso ha tuttavia trovato il modo di far-
importanti del Mediterraneo, così come il copricapo punta rimandano alla moda europea del Settecento. collettu è uguale dovunque. Quanto al colore, è quasi ne talvolta un oggetto di valore considerevole. Ci sono

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Anche la seconda donna, di corporatura più robusta, è
vista di spalle e col viso di profilo; dà la mano sinistra a
un bambino che indossa una tunichetta bianca, attraver-
sata da rigoni orizzontali alternativamente color verde e
arancione, e scarpe chiare; sopra una cuffia celestina,
con bordino rosso e merletto ricadente sulla fronte, la
donna reca un fazzoletto bianco con i bordi di pizzo che
scende a triangolo sulle spalle; un corsetto azzurrognolo
con spalle tenute e regolate da nastri rossi, ma più rav-
vicinate rispetto al corsetto prima descritto, è indossato
su un giubbetto con maniche strette ornate da cinque
bottoni, presumibilmente d’argento; una gonna copre in
vita il corsetto: di color ruggine, essa ha forma a campa-
na con pieghe a gheroni, simile alla precedente, e con
20
bordo inferiore segnato da una trina bianca ad archetto;

dei colletti di prezzo molto alto, sia per il tipo di pelle, un corpetto probabilmente di velluto di seta verde scuro,
sia per il modo con il quale sono cuciti, sia, infine per i con strette spalline, completamente ricamato d’oro a par-
fermagli e i bottoni preziosi che vi si applicano».37 te i pannelli centrali di forma triangolare; un’alta fascia di
Riprendendo le considerazioni del La Marmora, Vittorio seta dorata stretta attorno alla vita copre la parte inferio-
Angius, nel Dizionario, conferma le caratteristiche di re del corpetto; un’ampia gonna scampanata, a pieghe,
abito nazionale dei Sardi e, apprezzandone vivamente le forse in seta blu broccata, con un’alta bordatura fittamen-
proprietà, ne depreca l’abbandono sempre più diffuso. te ricamata con racemi dorati; grembiule color marron-
Che, peraltro, ben prima degli anni Venti e Trenta del- rossastro, pieghettato, di forma trapezoidale, che copre
l’Ottocento, il colléttu fosse considerato un indumento tutta la lunghezza della gonna.
antiquato si deduce da un passo di Pasquale Tola, il qua- Quest’abbigliamento, caratterizzato da una tipologia di
le per mettere in evidenza il carattere conservatore di tessuti e dall’ornamentazione certamente non qualifica-
Andrea Manca dell’Arca, l’autore di Agricoltura di Sarde- bili come popolari, potrebbe comunque essere visto
gna, morto nel 1795, scrive: «Egli fu tenacissimo delle co- come un prototipo delle forme vestimentarie adottate,
stumanze antiche, non solamente nelle pratiche più co- con varianti anche molto significative rispetto alla qua-
muni della vita, ma perfino nella foggia patriarcale delle lità dei materiali e dei colori, in tutta l’isola, come par-
sue vesti; perlocché, disdegnando gli usi novelli, non ri- rebbe confermare la presenza nel Nuorese di giubbetti
trasse mai il piede dalle mura cittadine senza indossare il settecenteschi di analoga foggia, poi rapidamente supe-
collette di pelle di daino, sul quale non pertanto cinse rati nel secolo successivo (figg. 222-223).
costantemente la spada e lo stocco di forme spagnuole: Il secondo documento è rappresentato da alcuni quadri 21
bizzarria invero molto strana, per cui una stessa persona conservati nella Parrocchiale di Borore e dedicati, come
vedeasi rappresentare ad un tempo nel secolo XVIII gli la chiesa, al martire sardo Lussorio.
antichi sardi mastrucati di Cicerone e l’armadura caval- Le opere furono presentate per la prima volta nel 1962
leresca del paladino della Mancia così festivamente de- da Giuseppe Della Maria39 come «la più importante docu-
scritto dall’arguto Çervantes».38 mentazione pittorica sull’antico costume isolano». In ef-
Al di là di questi elementi, le attestazioni iconografiche fetti in due dei sei quadri complessivi, alcune figure fem-
nelle quali sono inequivocabilmente riconoscibili alcune minili e maschili, fedeli che attorniano il Santo, assieme a 20. Vittorio Emanuele, Duca d’Aosta, Ingresso a Cagliari di Carlo
Emanuele IV e della Corte, 1779, acquerello su carta, Cagliari,
fogge del vestiario “sardo” risalgono ai primi decenni del varie altre in abiti tout cour settecenteschi, indossano in- Galleria Comunale d’Arte.
Settecento. Si tratta di documenti ben noti agli studiosi dumenti “sardi”. 21. Ritratto di pescatore cagliaritano, ante 1880, foto d’epoca.
dell’abbigliamento dell’isola: il primo è il Ritratto di Ma- In particolare il dipinto (fig. 19), che reca alla base la di- L’immagine risale agli anni Settanta dell’Ottocento ed è opera del
ria Piras, agiata quartese, conservato attualmente nel dascalia Luxorio predicador …, mostra da sinistra verso professor Giuseppe Luigi Cocco, fotografo dilettante con studio a
Museo Parrocchiale di S. Elena di Quartu (fig. 17). La Pi- destra due donne rivolte verso il martire: la prima, pre- Cagliari, tra i primi a partecipare alle Esposizioni internazionali con
fotografie di costumi sardi. Questa ebbe particolare fortuna e
ras indossa un abito di grande interesse per una serie di sentata di spalle e col viso di profilo che guarda Lusso- diffusione; fu riprodotta in svariate cartoline e tra l’altro costituì il
elementi strutturali, cromatici, ornamentali, a un tempo rio, ha il capo e il collo stretti da una benda bianca con modello per la litografia del Dalsani, denominata Pescatore di
di carattere aulico e popolare: una benda bianco-giallo- un lungo lembo ricadente sul dorso; un corsetto giallo Cagliari. L’elegante personaggio indossa il classico fez, copricapo
troncoconico attestato in tutti i paesi del Mediterraneo; il cappotto
gnola cui è sovrapposto un manticello scuro; un giub- oro, le cui spalle, piuttosto distanziate, sono tenute da serenìcu, capo di particolare pregio che veniva realizzato a Cagliari
betto rosso di panno o più probabilmente di velluto di nastri, è sovrapposto a un indumento manicato color da una colonia di sarti greci originari di Salonicco, da cui il nome;
seta, a girocollo, apertura centrale con bottoni e ricami mattone; una cintura alta, a tre fasce, in tessuto rossastro, giacchetta in raso di seta e gilet in tessuto operato a minuta fantasia,
probabilmente anch’esso di seta; in vita fusciacca di seta operata;
dorati, maniche strette e chiuse accompagnate per tutta stringe in vita il corsetto e una gonna azzurra, scampana- calzoni a tubo; scarpe a punta quadra sormontate da una grande
la lunghezza da ricami d’oro, sovrapposto a una camicia ta con piegoni, ornata trasversalmente a circa un terzo fibbia d’argento.
bianca della quale si intravede solo un basso colletto e i della sua altezza da una linea scura e al bordo da una 22. Emma Calderini, Pescatore cagliaritano nel costume antico,
polsini di pizzo pure bianchi; sul giubbetto è indossato stretta profilatura color grigio argento. 1934 ca., in E. Calderini, Il costume popolare in Italia, Milano 1934.

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altra trina bianca, ma in forma di nastro liscio e stretto,


percorre orizzontalmente l’indumento all’altezza del ter-
zo inferiore; la gonna lascia intravedere delle scarpine
nere con tacco sottile color cuoio.
La parte destra del dipinto mostra in primo piano delle
figure maschili: ai piedi di Lussorio, che campeggia al
23. Uomo di Sant’Antioco, 1914, fotografia di Vittorio Alinari. centro della scena, un ragazzo, inginocchiato, indossa
L’anziano signore soggetto di questa celebre foto rende bene un indumento che potrebbe essere di cuoio, senza ma-
il senso di raffinata eleganza che, nei piccoli centri, spesso
caratterizza i ceti benestanti. niche, stretto in vita da una cintura nera, lungo tanto da
coprire i fianchi; le braccia sono ricoperte da maniche
24. Atzara, anni Venti, fotografia di Alfredo Ferri.
rossastre, parte visibile dell’indumento indossato sotto la
25. Atzara, anni Venti, foto d’epoca.
veste predetta; larghe brache nere, calzoni bianchi infila-
26. Desulo, anni Venti, foto d’epoca. ti dentro uose pure nere, scarpe nere. Procedendo verso
27. Brancaleone Cugusi, La cucitrice, 1937, olio su tela. destra, un uomo messo di spalle veste uno stretto giub-
28. Donne di Cabras al lavoro, 1927, fotografia di Max Leopold bino o farsetto azzurro, forse di velluto; un basso collet-
Wagner, Berna, Istituto di Filologia Romanza “Karl Jaberg”. to di pizzo fa intuire la presenza di una sottostante cami-
Entrambe le donne, sia la prima, impegnata nella cucitura o ricamo di cia; sulla spalla sinistra è adagiata una veste nera tenuta
una camicia, sia la seconda, occupata nella realizzazione di un cestino,
portano fazzoletti, gonne e grembiuli di cotonine di provenienza a bandoliera, con bordure rossastre e nappine nere sulla
27 industriale. protuberanza sinistra della stessa che potrebbe essere o

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il cappuccio dell’indumento o un oggetto a parte, per stretta attorno al collo e al capo cui è sovrapposto un
esempio un borsone; calzoni neri, lunghi al polpaccio, manticello, pure bianco; camicia chiusa all’altezza della
con bordino color mattone alle estremità, caratterizzate clavicola con bottoncini e profilino di pizzo; farsetto
da due piccole aperture triangolari; dei merletti a trian- bluastro, con leggera scollatura, apertura centrale a bot-
golo fuoriescono dal bordo delle lunghe brache indican- toncini e profilatura rossa, maniche strette di color ocra,
do che queste sono portate sopra calzoni bianchi di tela; con cinque bottoncini argentati; grembiule grigiastro, a
calzature color cuoio, forse corti stivali. Queste brache ri- piegoni, forse fatto confezionare con un tessuto molto
cordano quelle diffuse nel Sulcis Iglesiente e attestate in fine, come un velo, che assume il colore dell’indumen-
molte zone della Spagna. Un’altra figura maschile, sem- to sottostante, una gonna di color blu scuro, quasi ne-
pre presentata di spalle, indossa una corta giacchetta nera ro, con balza marroncina; scarpe nere a polacchina con
svasata con spacco posteriore centrale piuttosto profon- tacco medio.
do, alla cui estremità superiore pare poggiarsi la punta di Accanto alla figura appena descritta è ritratto un altro
un cappuccio; brache nere che arrivano all’altezza del gi- personaggio femminile che indossa una lunga giacca ros-
nocchio; calzoni di tela bianchi, infilati in uose nere; que- so scarlatto, assai scollata, accostata in vita, con manica a
ste, che parrebbero recare un risvolto di pelle naturale ai tre quarti a frate, da cui fuoriesce ampiamente il pizzo
bordi superiori, coprono la tomaia delle scarpe, appena molto ricco della camicia a manica larga; pizzo anche
delineate, in pelle chiara. sulla scollatura della camicia, fodera e maniche con ri-
Procedendo ancora verso destra, un altro personaggio si svolto color oro; veste intera color giallo oro con gonna
distingue per un pastrano nero con breve spacco poste- molto ampia a piegoni cui è sovrapposto un corto grem-
riore, uose analoghe a quelle appena descritte ma termi- biule bianco; calze azzurrine, scarpe bianche a punta con
nanti al collo del piede, scarpe di pelle chiara, con falda tacco medio leggermente rientrato; la figura è caratteriz-
apribile laterale. zata, inoltre, da una cuffia a sacco rossa, orecchini bian-
Un altro dipinto (fig. 18), recante la didascalia Luchan- chi, forse di perle, girocollo a grani dorati cui è sospeso
do Luxorio …, raffigura una donna con benda bianca un cordoncino nero che regge un pendente di corallo; in

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mano un ventaglio chiuso, ma che lascia intravedere le


stecche chiare, tipo madreperla, e le pagine rosse.
Dunque indumenti maschili quali colléttu, ràgas, brache
larghe e nere lunghe fino al ginocchio, calzoni bianchi
di tela, gabbani e gabbanelle, e femminili quali bende e
corsetti, grembiuli, giubbetti, gonne che rimandano ine-
29. Uomo di Bortigali, ante 1882, foto d’epoca, quivocabilmente alle tipologie vestimentarie sarde, so-
Roma, Fondo Enrico Hyllier Giglioli, Museo Nazionale
Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini”. pra definite.40 Nello stesso tempo alcuni accessori e or-
30. Uomo di Sassari, ante 1882, foto d’epoca,
namenti, quali il ventaglio pieghevole, gli orecchini di
Roma, Fondo Enrico Hyllier Giglioli, Museo Nazionale perle, le scarpe bianche a punta della figura femminile
Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini”. descritta, sono elementi che rimandano alla moda euro-
Le immagini sono di straordinario interesse per la storia pea del Settecento.
dell’abbigliamento maschile sardo, in quanto fermano il momento di
passaggio dalle ràgas, il gonnellino tradizionale, ai pantaloni a tubo. Sia in queste raffigurazioni di Borore sia nel dipinto di
I due indumenti, di fatto alternativi, in queste immagini appaiono Quartu è presente la benda; se si considera che nel cita-
singolarmente insieme; ma il gonnellino, ridotto praticamente a una to atto notarile del 1236 si fa riferimento a due bende
cintura con balza pieghettata, più che un indumento vero è ormai
solo una citazione, un segno della tradizione vestimentaria in corso sardesche di seta si ha la conferma del plurisecolare uso
d’abbandono. di questo copricapo da parte delle donne della Sarde-
31. Contadine, Alghero, località I Piani, 1899, gna. I tre documenti afferiscono, peraltro, a zone diver-
fotografia di Vittorio Sella, Biella, Fondazione Sella. se dell’isola significandone la diffusione pansarda.
L’immagine offre un campionario delle camicie, delle gonne e dei Un altro elemento significativo di questi quadri è che
fazzoletti di cotone largamente adottati nell’isola dai primi anni
del Novecento. Le tre donne in piedi sul lato destro sono scalze, tutti i dati che provengono dalle rappresentazioni del ci-
29 30 come presumibilmente tutte le altre. clo pittorico di San Lussorio di Borore e dal Ritratto di

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di vellutto nero, giupone di panno scarlato con buttonie- notizie dell’abate Vittorio Angius relative all’organizza-
ra d’argento, capotino corto di saurà finissimo, calze e zione economica e sociale dei diversi centri isolani. Esa-
calzoni d’orbaci, tutto vestito all’uso della Trexenta».42 minando le pagine dedicate a Cagliari si apprende che
Per quanto attiene al versante femminile le affinità del vi operano, tra i “Sartori”, «Mastri 53. Garzoni 40, discen-
sistema-base camicia, corpetto/giubbetto, gonna e grem- ti 25, 30 Sartrici e 6 Modiste»; tra i “Sartori alla sardesca”
biule con il costume europeo così come è andato confi- «mastri 45, garzoni 20, discenti 12». Viene inoltre segna-
gurandosi ai primi decenni del Cinquecento appaiono lata l’attività di 13 “Officine di cappottari greci”, per
ancora più evidenti. complessivi 50 uomini – nonché dei seguenti scarpari:
Desta sorpresa, in questi quadri, che tutti i personaggi «di lavoro gentile 80, garzoni 60, dis. 70, di lavoro gros-
femminili portino le scarpe; ciò potrebbe indicare la loro solano mastri 20, garzoni 22».
appartenenza ai ceti agiati, oppure che l’uso delle scarpe L’abate Angius segnala anche la presenza di 15 botteghe
non fosse poi così raro come comunemente si crede. di stoffa e due importanti manifatture attinenti al vestia-
Appare comunque più realistica la prima ipotesi, soprat- rio, la fabbrica di cotoni e quella delle berrette; la pri-
tutto se si tiene conto di quanto al riguardo viene ripor- ma «consta di più di 170 telai distribuiti per la città. La
tato dalla letteratura dell’Ottocento e del Novecento. filatura fu ridotta a sette da 25 macchine, che in addie-
In questa direzione si colloca anche quanto riferisce l’An- tro erano impiegate: la tintoria a poche persone. I tes-
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gius riguardo alle scarpe delle donne di Dorgali, «le quali suti sono bordati, bordatini di diversi colori all’uso di
32. Tre donne di Ochagavia, Navarra, Spagna, con la gonna esterna aggiungono alla loro statura non meno di quattro centi- Genova, tele crude, fanfare all’uso di Malta e altre varie
posata sul capo per protezione contro la pioggia (traje de agua), metri. Tanto sono spesse le suole. Le scarpe, che portò stoffe. Per le quali robe erano già solite estrarsi non
fotografia di Josè Ortiz Echagüe da España, Tipos y Trajes,
Barcellona 1933.
nuove la madre quando fu sposata, le porta di poi la fi- piccole somme. I depositi sono in Cagliari, Sassari e Al-
glia sino a che il suo sposo ne le offra un pajo di nuove, ghero: il prezzo batte con quello delle consimili di Ge-
33. Osilo, 1934 ca., fotografia di Renzo Larco.
che serviranno anch’esse all’altra generazione».43 nova. Dal marzo 1834 al febbrajo 1835 sono state lavo-
34. Giovane di Alija del Infantado, Leon, Spagna, fotografia Un altro dato della particolare connotazione delle scar- rate pezze di cotone 1423 della distesa di palmi sardi
di C. Casado Lobato, in La indumentaria tradicional en las
Comarcas Leonesas, Leon, s.d. pe quale elemento dell’abbigliamento popolare di parti- 216 caduna con l’opera di 277 persone. Indi crebbe il
Di particolare interesse per un confronto con il vestiario sardo colare pregio proviene da Nuoro: «Risulta che ancora numero dei lavoranti sino ai 400».47
il gilet con scollo squadrato, denominato armador. negli anni Trenta un bel numero di ragazze del rione di Di estremo interesse risultano i dati sulla seconda mani-
35. Ragazza con mantiglia di Santa Elena de Jamuz, Leon, Spagna, S. Pietro le quali, per un motivo o per l’altro, avessero fattura, quella delle berrette: «Sono riuniti i soli cardatori:
fotografia di C. Casado Lobato, in La indumentaria tradicional dovuto recarsi al “centro” della città, fossero solite pro- le filatrici e altre operaie lavorano a casa. I manofatti reg-
en las Comarcas Leonesas, Leon, s.d.
cedere scalze e con le scarpe in mano fino al confine gono alla concorrenza con l’estero, e n’è grande lo smer- 36

rionale, rappresentato dalla Piazza S. Giovanni; qui le cio in tutta l’isola, dove se ne vestono circa 190,000 teste,
Maria Piras di Quartu,41 mentre segnalano l’esistenza di calzavano per poi riprenderle in mano al ritorno».44 e se ne comprano annualmente non meno di 150,000.
una clientela agiata, attenta alle variazioni e novità della Questi dati, peraltro, sono perfettamente in linea con Non bastando ancora al bisogno i suoi prodotti possono
moda, nel contempo confermano che il sistema vesti- quelli del resto dell’Europa che confermano come «la alcuni piccoli fabbricanti impiegarsi nella stessa manifat-
mentario sardo, maschile e femminile, che troverà forma scarpa chiusa, fatta con cuoio e pelle per coprire e pro- tura, e devono alla sufficienza importarsene dall’estero.
compiuta nel proseguo del secolo e in particolare in teggere l’intero piede, era, in ogni caso, un lusso citta- Da queste due fabbriche venne a circa un migliajo di
quello successivo, è ormai chiaramente definito. Esso è dino».45 persone un mezzo di sussistenza».
più che mai distintivo delle classi popolari delle città e Lo sviluppo delle industrie tessili garantirà un’accessibi- Dunque, nelle prime decadi dell’Ottocento, a Cagliari tra
dei ceti rurali, ancorché benestanti. lità fino ad allora preclusa a una serie di prodotti quali il sarti per una clientela borghese e abbiente, sarti per le
Un documento di prima mano, in questa direzione, offre panno, velluti di seta, damaschi, rasi, ecc. fogge tradizionali e cappottari greci si supera il numero
un passo dell’autobiografia di Vincenzo Sulis, che descri- Numerosi testi di fine Settecento sottolineano la forte di- di 100 unità; si producono vari tessuti di cotone e ber-
ve se stesso ventenne, e dunque nel 1778: «Vestito alla pendenza dell’isola per quanto attiene alla produzione rette; l’Angius calcola che nell’isola le berrette vestono
sarda con ganceria d’argento nel collette di pelli, berretta di tessili di qualità accettabile dalle classi medio-alte e
l’attenzione di queste ai dettami della moda europea.
36. Anziani di Avila, Castiglia, Spagna, fotografia di Josè Ortiz Echagüe
Ben noto è il passo de Il Rifiorimento della Sardegna di da España, Tipos y Trajes, Barcellona 1933.
padre Francesco Gemelli: «Vestono dunque i Sardi, abi-
37. Donne di Ibiza, Isole Baleari, Spagna, fotografia di Josè Ortiz 37
tano, vivono, nelle città almeno, sul fare delle colte na- Echagüe da España, Tipos y Trajes, Barcellona 1933.
zioni d’Europa, ma pressoché tutto accattano dall’estero 190.000 teste e che essendo insufficiente la produzione
38. Donne di Nuoro, 1914, fotografia di Vittorio Alinari.
… Consideriamo l’abbigliamento dei Sardi di condizione Gli abiti delle due donne sono propri delle nubili benestanti del isolana si provvede ad importarle.
tanto civile che rustica, e rileveremo che nel regno non primo Novecento. Una delle due porta la gonna di orbace sollevata Altrettanto preziose risultano le notizie dell’Angius su
havvi alcuna fabbrica che provveda da vestirsi, se si ec- e posata sulla spalla sinistra; ciò consente di mostrare la gonna Sassari: esse forniscono un quadro assai simile a quello
sottostante in cotone. L’abitudine di portare la gonna d’orbace, tùnica,
cettua l’informe manifattura che dà il sajo ai religiosi sulle spalle per proteggere la balza di seta dell’indumento assieme al di Cagliari circa la distinzione tra sarti d’arte grossa e di
Cappuccini … volere d’altronde impedire la introduzio- corpetto e al giubbetto in caso di pioggia, nonché l’uso di sovrapporre arte gentile. I primi producono «vesti sardesche, bracche,
ne delle merci e manifatture straniere di comodo e di più gonne, è documentato da vari autori fra cui Grazia Deledda, calze, borzacchini, giubbette, e principalmente gabbani
giovane “folclorista” di Tradizioni popolari di Nuoro.
lusso, sarebbe lo stesso che obbligare i Sardi all’uso del- e gabbanelle»; sono ormai pochissimi in quanto sostituiti
le pelli e delle mastrucche».46 39. Giovane coppia di Iglesias, 1914, fotografia di Vittorio Alinari. da «donne de’ paesi vicini, principalmente d’Osilo, che
Da segnalare il grande manto di chiara impronta iberica e
Una situazione che circa cinquant’anni dopo risulta note- mediterranea, la raffinatezza della bordatura in velluto e dei ricami del presero domicilio nella città», mentre i secondi, numero-
34 35 volmente diversa se si considerano le sempre attendibili soprabito a cappuccio del giovane. sissimi, lavorano «vesti da uomo nelle fogge francesi»

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avendo tra l’altro alcuni di essi appreso l’arte «nelle più dal continente italiano e non, ceti in grado di seguire
celebri botteghe di Francia e d’Italia». L’Angius segnala tutte le novità della moda italiana ed estera.
anche l’esistenza in città di alcuni depositi di vesti sar- Un quadro destinato a subire un rapido mutamento per
de destinate a clienti di Genova e Torino, essendosi l’immissione sul mercato d’una inusitata varietà di pro-
diffusa in molti luoghi della terraferma «la moda del dotti dell’industria tessile europea accessibili perfino alle
panno sardo forese»; nel contempo sottolinea che «in classi popolari, che per la prima volta fruiscono anche
altro tempo erano in Sassari non pochi che cucivano e di un catalogo di colori tradizionalmente precluso. Co-
ricamavano i bei coietti, che vestivano i contadini e al- me mette in evidenza Roberta Orsi Landini, storicamen-
tri uomini della plebe». Alcuni “sarti gentili” inoltre ven- te «i toni intensi, brillanti, saturi, propri dei drappi più
dono anche «robe di uso comune, che si fanno venire belli, non significavano solo bellezza, ma erano un se-
dalla Francia, e hanno magazzini di tutte sorte di ve- gno ulteriore di status. I colori ricchi, cioè ottenuti da
stiario civile. Si numerano 40 botteghe in circa con più coloranti pregiati, come la porpora o il kermes, erano
di 100 lavoranti, 60 garzoni e 40 donne. Le maestre di stati sempre riservati alla maestà, quella umana rappre-
vestiario civile e signorile non sono meno forse di 50. sentata dalla figura dell’imperatore o del re, quella divi-
Di modiste di prima classe, che lavorano per le elegan- na impersonata dalle più alte gerarchie ecclesiastiche,
ti, secondo i figurini della moda francese, se ne conta- che nel rosso vedevano il colore del sangue di Cristo. Ai
40
no non meno di sei».48 poveri era riservata la vasta gamma dei bruni e dei mez-
Giovanni Maria Seche, poeta di Ittiri, morto nei primi an- 40. Donne di Roncal, Navarra, Spagna, fotografia di Josè Ortiz zi toni, l’opacità della ruvida lana, il colore sporco delle
ni del secolo XIX, nel componimento No hamus fradeli- Echagüe da España, Tipos y Trajes, Barcellona 1933. fibre grezze. Sarà l’Ottocento, con la scoperta dei colo-
dade, risalente alla fine del Settecento, lamenta l’assenza ranti chimici, con la produzione meccanizzata di tessuti
di comprensione e rispetto da parte dei ceti benestanti a buon mercato, a regalare alle classi meno fortunate,
del paese nei confronti della povera gente rea di aver con la possibilità di abiti colorati e diversi a seconda
nominato priore della festa il contadino Antonio Virdis. Il 41. Lanusei, ante 1882, foto d’epoca, Roma, Fondo Enrico Hyllier della stagione, la gioia di avere infranto un rigido sche-
testo, mentre informa che i maggiorenti hanno preso in Giglioli, Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini”. ma nella secolare gerarchia delle apparenze».51
odio l’orbace e chi lo indossa perché appartenente al po- 42. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Iglesias, 1878, Se non l’adozione di «abiti colorati e diversi a seconda
polo “minuto”, mette in evidenza come i termini “orba- litografia a colori, in Il Buonumore, Cagliari 1878; Cagliari, coll. Piloni. della stagione», certamente l’immissione dei tessuti indu-
ce” e “popolo” fossero di fatto sinonimi: «… e i sos cava- striali determina in ambito popolare la possibilità di sce-
glieris e gosinos / de su nostru paesi / a dispressiu tenene gliere combinazioni cromatiche e materiche nuove e di
su fresi / e i sos furesados, / essende ch’issos si che sunt in- effettuare interventi innovativi soprattutto nella direzio-
trados / in cussa estimenta, / e a nois lu dana pro affren- ne di un forte, vistoso arricchimento ornamentale che fi-
ta / ca furesi jughimus, / e in issos de fresi nde idimus, / e nirà per caratterizzare il vestiario popolare femminile, e
fatt’a longarinas / calzettas e calzones, casacchinas / giu- per taluni aspetti anche quello maschile, degli ultimi de-
bittas e cabbanos, / non si distinghent dai passamanos / cenni dell’Ottocento.
in cant’e a sos pannos …».49 E infatti i testi degli autori dell’ultimo trentennio del se-
Si può ben capire quindi come l’abbandono dell’orbace, colo (von Maltzan, Mantegazza, Corbetta, Vuillier, ecc.)
quale materiale tessile proprio dei ceti popolari dell’iso- registrano lo splendore e la ricchezza degli abiti delle
la, finisca per simboleggiare un momento di trasforma- classi popolari, ammirandone enfaticamente l’origina-
zione epocale, che viene efficacemente testimoniata dai lità, l’armonia cromatica e la bellezza “antica e fiera”
componimenti dei poeti popolari e dai proverbi. Tra delle donne che li indossano, e individuando le ragioni
questi si ricorda il ben noto Mezus andare dai su fresi a di queste qualità non tanto nelle innovazioni recenti ma
su pannu, qui non dai su pannu a su fresi, cui, oltre al- nella immodificata persistenza delle loro caratteristiche
42
l’ovvio significato “meglio partire da una bassa condizio- antiche dovuta al «poco progresso e alle poche comuni-
ne per raggiungerne una più alta” può attribuirsi quello cazioni». gorio, tutta una tavolozza, la più ricca, la più abbagliante
secondo il quale è “meglio andare verso il futuro piutto- E, in realtà, doveva essere uno spettacolo notevole quel- che vedere si possa».
sto che ritornare verso il passato”.50 lo che a fine Ottocento poteva pararsi davanti al viaggia- Ma anche un osservatore interno alla Sardegna e in qual-
Il quadro che si delinea chiaramente agli inizi dell’Otto- tore che, dopo un faticoso trasferimento, fosse capitato che modo portatore del punto di vista popolare, quale il
cento è dunque quello d’una forte dipendenza esterna nel bel mezzo di un corteo nuziale o di una processione poeta Giuseppe Zicconi di Tissi, dà testimonianza di
per quanto attiene ai tessuti e alle fogge di moda, cui si religiosa di un qualsiasi paese della Sardegna, come, per un’offerta di tessuti, indumenti e accessori particolarmen-
associa una sempre più netta distinzione tra abbiglia- esempio, la Nuoro descritta dal Corbetta: «Bisogna ve- te variegata. Nella poesia Chie cheret comporare elenca
mento delle classi borghesi e urbane rispetto a quelle derle, le donne, in giorno di festa recarsi alla chiesa, o la ricca mercanzia di un merciaiuolo (zanfarajólu) mali-
popolari e rurali. starsene accoccolate per terra oziose davanti alla porta zioso, attraverso l’invito all’acquisto rivolto principalmen-
Esso vede da un lato un mercato interno di produzione delle loro case. I broccati, gli sciamiti, i velluti, i panno- te a clienti femminili, siano esse da marito, vedove o nu-
domestica e di vendita per i paesi di orbace e lino, tes- lani scarlati, azzurri, verdi, i ricami in oro ed argento, i bili; se ne può estrapolare un dettagliato campionario di
suti di base per la confezione del vestiario “alla sarda” bottoni pendenti a catenelle, o lucidi o a filigrana pure tessuti e indumenti: «… panni nuovi, di diverse qualità,
dei ceti popolari, in parte affidata a sarti in parte ese- d’oro o d’argento, gli sparati delle camicie candidissime portati da fuori …, panni di seta e di lana, coltri di bam-
guita in casa; dall’altro un mercato elitario, prevalente- a minutissime pieghe, le fettuccie, i fronzoli svolazzanti bagia e di tela indiana, … pelli di camoscio e di volpe
mente attivo nelle città, di tessuti di qualità provenienti 41 d’ogni colore, costituiscono delle vesti muliebri uno sfol- conciate e col pelo, e cordoncini di seta e di filo, stoffe

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per far fodere, aghi, spilli, Questi manufatti, eseguiti su migliaia di telai rudimenta-
pettini in corno, … catenelle, li operanti in tutta l’isola (4134 nella sola Barbagia), già
bambagia, pizzo, nastro e ber- da tempo non rispondevano più alle esigenze dei ceti
rette di buon taglio … / Perché le sociali più elevati, specie di ambito cittadino; che, infat-
acquistino le ragazze da marito, ti, seguivano pienamente le vicende della moda conti-
… seta e lane di vari colori; per nentale italiana e straniera. Al riguardo così scriveva,
tutte quelle che sono al pri- nei suoi Souvenir d’un séjour en Sardaigne (1827), il
mo amore raso, stoffa, seta, Marchese di Saint-Severin: «Quant aux autres habitants,
gorgorano, panno scarlatto, hommes et femmes, qui ne portent pas le costume natio-
stoffa di Torino, broccatello nal, ils sont habillés a la française: tels sont les habitants
dorato, grisetta azzurra alla des villes, excepté le petit peuple; encore une portion de
moda loro, la saietta e il celui-ci fait des innovations dans son habillement en fa-
tessuto di lana, panni di la- veur du costume européen; par exemple, ils adoptent nos
na di poco costo a seconda gilets. Les Sardes aiment l’élégance dans les divers costu-
della richiesta, ermisino, saia mes. On en trouve dans l’accoutrement national moder-
stampata, sempiterna verde, nisé, si l’on peut ainsi s’exprimer; mais dans les condi-
cremisi e rossa, poi collane da tions plus élevées, il y a du luxe même. Des marchands
portare al collo, sei soldi al fi- partent annuellement pour Lyon et Beaucaire, et vont
lo, nastri e pizzo per il seno e choisir les étoffes et draps à la mode de tous les genres; et
le spalle … scarpe con i lacci, outre cela, tous les articles de mode déjà ouvrés. Les
e calze di Savona e di lanetta, hommes aisés des villes sont aussi élégants qu’on l’est
di cambrich e mussolina, seta dans les villes d’Italie. Les dames et les artistes recoivent
rossa, bianca e color arancio, d’ailleurs à Cagliari le Journal des modes parisiennes. 44

… camicie di pregio … / Di Parfois, des petits maîtres qui vont au continent, rappor-
panni per le vedove … c’è tent le suprême bon ton de Milan à Cagliari; de sorte Analoghe considerazioni svolgeva, in uno scrit-
lana color del gelso e nera, qu’en fait d’élégance, on n’a presque rien à désirer dans to del 1913, il canonico Francesco Tolu Liperi,
tessuto per copricapi … / cette dernière ville, et par suite dans les autres villes de relativamente al caso di Osilo: «Smessa quasi
… alcune vedove e nu- Sardaigne».53 del tutto la filatura del lino, posto che con molta
bili trovano tutto quel A Ciriaco Antonio Tola, poeta bittese, si deve la com- facilità si può avere preparato con filatura a mac-
che vogliono, panni posizione A su butecariu e a su giuighe mandamentale china, e pronto per la tessitura, tutta l’attività si è ri-
43
fini di lana … panno nella quale viene sbeffeggiata la mania di tessuti d’im- volta alla lana, che si fila e si tesse a casa. Vi sono le
scuro di Russia».52 portazione e di abiti di foggia straniera, in particolare tessitrici professioniste, e vi sono quelle che tessono
Fino agli anni Settanta dell’Ottocento le note – ancorché parigina.54 esclusivamente per conto della propria famiglia. Ma an-
generiche quale quella sopra riportata – sulla presenza Quando la domanda di tessuti di produzione industriale, che qui abbiamo un notevole ribasso; mentre ai tempi
di pizzi e di ricami nel vestiario isolano sono assai scar- certamente superiore a quella sarda per finezza e va- in cui scriveva il Casalis, si avevano in Osilo novecento
se: neppure le voci compilate dall’abate Vittorio Angius rietà, non restò più limitata ai signori delle città, come telai dei quali cinquecento in attività, oggi i telai non rag-
per il Dizionario del Casalis, che rappresentano un rife- descritto dal Saint-Severin e stigmatizzato dal poeta To- giungono i trecento cinquanta di questi men che cento
rimento insostituibile per ogni ricerca sulle condizioni la, ma divenne generale, il sistema produttivo della tes- cinquanta lavorano per metà d’anno, i restanti si agitano
economiche e sociali della Sardegna della prima metà situra tradizionale domestica entrò in crisi e a partire da- all’occorrenza, secondo le necessità domestiche. Que-
dell’Ottocento, contengono notizie di una qualche con- gli anni Sessanta si verificò un abbandono generalizzato st’abbandono della tessitura viene spiegato col difficile
sistenza. dei telai, inizialmente nei centri più importanti, quindi in
Eppure l’Angius, relativamente ad un altro settore del la- quelli minori.
voro femminile, la tessitura, aveva dimostrato una rara Pare allora naturale ritenere che, non più impegnate in 43. Abito antico di gala, Ibiza, Isole Baleari, Spagna, anni Venti
precisione documentativa arrivando a elencare pratica- quella che per secoli aveva rappresentato la forma più Madrid, Museo del Pueblo Español.
mente paese per paese il numero dei telai in attività, la importante di industria domestica femminile, con non Il traje de gala di Ibiza, abbandonato alla fine del secolo XIX, è
rientrato nell’uso alla fine degli anni Venti del Novecento, sull’onda
quantità e il tipo dei tessuti prodotti e le loro finalità trascurabili risvolti economici, le donne sarde abbiano ri- di un fenomeno di revival che all’epoca interessò molti aspetti della
d’uso. Ciò considerato, la generale, ancorché non asso- volto le proprie potenzialità lavorative verso la produzio- cultura popolare spagnola. Si tratta di un abito caratterizzato da una
luta, assenza di dati sui pizzi e ricami potrebbe sempli- ne di pizzi e ricami per l’abbigliamento e le telerie do- larga gonna plissettata, con bordo in seta bianca, unita in vita a un
corpetto di velluto di seta operata: una foggia assai poco diffusa in
cemente significare che fino alla prima metà del XIX se- mestiche. Spagna che trova una parentela con le basquiñas di Ansò,
colo la loro produzione fosse molto modesta e il loro Un tipo di lavoro fino ad allora tradizionalmente riserva- nell’Alta Aragona e, in Sardegna, con lo scarramàgnu di Orani.
uso prerogativa del ceto urbano medio-alto. Probabil- to ai ceti elitari venne pertanto ad assumere connotazio- 44. Donne di Orani, 1939 ca., in Le Vie d’Italia 1939.
mente si potranno individuare le ragioni che nei decenni ne popolare; un fenomeno simile è stato registrato da
45. Costume di gala, scarramàgnu, Orani, fine sec. XIX
successivi avrebbero determinato il generale diffondersi Jane Schneider in un saggio relativo alla Sicilia della fine Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
della produzione e dell’uso di pizzi e ricami a livello po- dell’Ottocento: «Il rapidissimo declino della filatura e del- Quest’abito si distingue per il corpetto cucito alla gonna, non presente
polare, esaminando le ulteriori vicende della produzione la tessitura domestica liberò da questi lavori quel nume- in nessun’altra veste tradizionale dell’isola, ad eccezione di quella
di Fonni, e per il particolare tessuto della gonna formato da ordito
domestica delle tele di lino e dell’orbace precedente- ro di ore che rese poi possibile a delle contadine e a in canapa e trama a vista in lana bruno-nera. Questi elementi la
mente tanto ben documentate dall’Angius. delle artigiane l’emulazione delle élites».55 associano al traje de gala di Ibiza.

44
45
collocamento dell’orbace, che per quanto rinomato per di tessuti d’importazione particolarmente morbidi e fini,
la sua finezza ed accuratissima confezione, tale da ga- quali i gros, i damaschi e i velluti di seta, adatti dunque a
reggiare col casimiro non si sa dove collocarlo vantag- ricevere i sontuosi ricami in filato di seta, d’oro e d’ar-
giosamente, ed anche col mutar dei costumi donneschi gento; dall’altro all’influenza delle scuole di ricamo e di
che si sono oltremodo ingentiliti, molte donne credereb- cucito che fanno proprie alcune figurazioni ornamentali
bero umiliarsi esercitando la professione di tessitrice; il diffuse dalle riviste dedicate alle “arti femminili”.
ricamo ed il cucito hanno preso il sopravvento; l’ago ha Al riguardo l’Angius segnala l’attività delle orfanelle del
ammazzato la spola. Mancata la tessitura e la filatura che conservatorio della Provvidenza di Cagliari che com-
dava risorse non indifferenti le donne osilesi si gioche- prendeva lavori di ago e di spola (bordati, bindelli di
relleranno coi ricami e coi pizzi, e finiranno per poltrire, seta, calzette), la filatura della seta tratta da bozzoli sar-
non potendo, per il disuso, sostituire con altri lavori pe- di e la filatura delle gnacchere, per la produzione del
santi quello già smesso. Dapprima la donna osilese ba- bisso: «Nel 1834 erano in esercizio telai 24 per li bordati
stava per se, ora sarà un parassita dell’uomo».56 Ricami dello stabilimento della fabbrica sopra descritta dei co-
con filati policromi – generalmente di seta, ma anche di toni, altri per la seta, fazzoletti, coperte, nastri, calze,
cotone e, più raramente, di lana – vengono eseguiti sui due macchine quasi alla jaquard, e gran copia di altri
più diversi tipi di tessuti utilizzati per la confezione del minori istromenti». Analogamente, a Sassari, in un orfa-
vestiario tradizionale: dall’orbace (gonne, giacche, grem- notrofio «si insegna da una maestra la filatura e tessitura
biuli, uose, cappotti) ai panni di lana (giubbetti, gonne, in lino, lana e seta, con telai migliori de’ sardi, la cuci-
cappe, grembiuli, ecc.), ai damaschi, gros, velluti e taf- tura, la maglia, il ricamo, la composizione de’ fiori».58
fettà di seta (giubbetti, corpetti, fazzoletti, scialli, gonne, Nell’ambito dei ricami a motivi figurati rientrano anche
ecc.), ai velluti di cotone (giubbetti, corpetti, ecc.). Il ri- le decorazioni accurate ed eleganti delle larghe cinture
camo policromo, inoltre, orna le larghe cinture di cuoio maschili di cuoio diffuse nell’area della Sardegna centra-
particolarmente diffuse nella Sardegna centrale, nonché le e delle Barbagie (Desulo, Ollolai), e i fastosi orna-
le scarpe femminili di gala di svariate località, talvolta ri- menti in fili d’oro e d’argento dei capi di un gran nume-
vestite di velluto, di damasco o di seta. ro di località dell’isola (giubbetti di Ploaghe, Sennori,
Ricami e pizzi in bianco con filati di lino e cotone sono corpetti di Ploaghe, Nuoro, Ittiri), frequentemente uniti
presenti su camicie, grembiuli, veli in tela di lino e di a motivi ottenuti con canutiglie, lustrini o perline; come
cotone e in tulle. pure alcune trine in filo d’oro e d’argento, realizzate a
Le decorazioni possono essere grossolanamente distinte fuselli, di diversi indumenti usati nel meridione dell’iso-
in geometriche e figurate. la: a Cagliari decorano la mantìglia di panno rosso affe-
Le prime sono comunemente ritenute le più antiche e rente al costume di gala de sa panattèra.59
proprie dell’isola, in conformità ad una tendenza secolare Ma soprattutto sulle camicie, femminili e maschili, in tut-
dell’ornato sardo verso l’astratto e l’aniconico;57 e sebbene ta l’isola, anche se in misura e qualità differenti da zona
certamente preesistenti al periodo in esame esse vanno a zona, appaiono le forme più impegnative e raffinate
incontro a un arricchimento cromatico e delle tecniche dell’arte del merletto ad ago e del ricamo in bianco: pur
esecutive: comprendono i vari rombi, triangoli, greche, nella diversità di foggia – lunghissime fino ad intrave-
cerchi, linee presenti soprattutto nel vestiario delle Barba- dersi sotto il bordo inferiore della gonna o tanto corte
gie e del Nuorese; sono spesso collocate sui bordi e sulle da coprire appena la vita; divise verticalmente in due
giunture di un tessuto o di tessuti diversi, talvolta eviden- parti simmetriche o completamente chiuse fino alla scol-
ziando, talvolta ammorbidendo i passaggi tra diversi colo- latura; con colletto alto o praticamente inesistente – pre-
ri e materiali e, probabilmente, svolgendo, specie nel ca- sentano collo, petto e polsi ornati da pizzi o ricami in
so del supporto d’orbace, anche una pratica funzione di bianco che variano a seconda delle destinazioni d’uso e
rinforzo e di appiattimento delle cuciture. delle risorse economiche dei proprietari.
Tra gli indumenti cui le decorazioni geometriche conferi- Particolare pregio e raffinatezza caratterizzano la lavora-
scono una particolare caratterizzazione si possono ricor- zione delle camicie femminili delle Barbagie, delle Ba-
dare il grembiule da sposa nuorese, la gran parte di ronie e del Nuorese, tanto da risultare frequentemente il
quelli femminili di Desulo (cappuccio, grembiule, giub- capo più prezioso dell’intero costume. Sempre ampie,
betto) e di Orgosolo (giubbetto di panno rosso, grem- di tela di lino o di cotone, erano contraddistinte dal cò-
biule con grandi fiori – crochi – stilizzati, detti lìzos, che ro, descritto con precisione dalla Deledda “folklorista”:
spiccano sul fondo nero di raso di cotone o di lana fine). «Alle camicie femminili si fa il cuore (“su coro”) come si
Alla categoria dei motivi figurati vanno ascritti i disegni eseguisce anche in talune camicie maschili. Questo cuo-
riproducenti fiori, racemi, tralci di vite, grappoli d’uva, re è una specie di ricamo ad ago sulla larga increspatu-
cornucopie, uccelli, ecc., che ornano giubbetti, corpetti, ra (“sas ispunzas”) che raccoglie l’immenso volume del-
gonne, grembiuli, scialli, cappe, fazzoletti indossati in la tela sul collo e sui polsi».60 Nell’ambito maschile si
svariate località dell’isola (tra le tante si citano Osilo,
Sennori, Oliena, Nuoro, Dorgali, Ittiri, Atzara, Busachi). 46. Paesano sulla soglia di un portale gotico, Abbasanta, 1927,
La loro diffusione è da connettere da un lato all’adozione fotografia di August Sander, Archivio A. Sander. 46

46 47
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evidenzia l’introduzione a Teulada della camicia caratte- preferisce opaca, accollato con maniche lunghe … av- A questo proposito risulta illuminante un passo del Tolu
rizzata dal lavoro detto pùntu a bródu, piuttosto costosa, volto da un amplissimo velo di tulle o di trina»,62 trova Liperi tratto dalla già citata monografia su Osilo. L’autore,
componente indispensabile dell’abito di nozze degli uo- pronto accoglimento presso le famiglie borghesi delle riferendosi ai mutamenti intervenuti nel vestiario femmi- 47. Maria José e Umberto di Savoia presenziano alla Cavalcata sarda,
Sassari, 1939, foto d’epoca.
mini teuladini. città sarde; dai ceti popolari, che non possono permet- nile, scrive: «La terza foggia, l’attuale, che ha raggiunto le
Infine, questi anni vedono la grande diffusione di veli, tersi un abito da utilizzare una sola volta, riceve un cen- alte vette della gloria colla rinomanza, trionfando nelle 48. Cavalcata sarda, Sassari, seconda metà anni Cinquanta,
foto d’epoca.
grembiuli, pettorine e sciarpe di tulle ricamati in bianco no d’attenzione attraverso questi veli, sciarpe e grembiu- gare, nei concorsi, negli album e nelle esposizioni, è un
49. Coppia di Sennori a cavallo, Sassari, Cavalcata sarda, 1999,
su bianco con motivi riproducenti fiori, rami fioriti, frut- li di tulle, che vanno ad associarsi simbolicamente alle portato della evoluzione del secondo costume, svoltasi fotografia di Franco Ruju.
ti, grappoli d’uva. Questi indumenti si adottano soprat- già affermate bianche bende nuziali nuoresi. Continua da un trentennio a questa parte. Ormai il panno scarlatto
50. Tràcca di Quartu S. Elena, Cagliari, sfilata di S. Efisio,
tutto a Cagliari, Assemini, Monserrato, Fluminimaggiore, cioè a permanere la concezione dell’abito nuziale fem- comincia a rannicchiarsi negli angoli più poveri, smet- fine anni Novanta, fotografia di Franco Ruju.
Capoterra, Iglesias, Muravera, Oristano, Cabras, Busachi, minile come investimento da realizzare in tempi lunghi, tendo la sua audacia, e lasciando il campo al trionfante
51. Gruppo folk di Bauladu, Cagliari, sfilata di S. Efisio,
Milis, Meana, Paulilatino, Seneghe, Orosei, Silanus. diluendo la spesa onerosa nel corso di vari anni e riser- terziopelo, vale a dire velluto in seta, finissimo e costo- fine anni Novanta, fotografia di Franco Ruju.
Probabilmente una così ampia diffusione dei veli e dei vando tale impegno per un manufatto non troppo con- sissimo, che va dalle sei alle sette lire al palmo, cioè dal-
52. Gruppo folk di Desulo, Nuoro, sfilata del Redentore, 2001,
grembiuli di tulle, ma anche l’importanza assunta dalle dizionato dagli effimeri dettami della moda e soprattutto le 25 alle 30 lire al metro … La gallona è andata ogni an- fotografia di Franco Ruju.
candide camicie, conseguono all’affermazione dell’abito utilizzabile successivamente come abito di gala.63 no più aumentando larghezza e ricchezza. La gonnella è 53. Gruppo tenores di Oliena, Oliena, Cortes apertas, 1999,
bianco nuziale nelle principali città europee, quale ri- La fine dell’Ottocento vede l’affermarsi del fenomeno per metà tempestata di ricami in seta; ed anche questo fotografia di Franco Ruju.
mando simbolico al candore e alla purezza virginale dei concorsi (Sassari 1896, Cagliari 1899), volti a diffon- ricamo subisce la sorte della stoffa, assoggettandosi a mi- 54. Costume di Dorgali, Bitti, Su Meracolu, 2002,
che avrebbero dovuto caratterizzare la donna davanti al dere l’artigianato sardo in generale e, dunque, anche i nutissime pieguzze, eleganti e flessuose … Le camicie foto di Franco Ruju.
sacramento matrimoniale; connotazione simbolica pe- lavori femminili del cucito e del ricamo, associati a pre- portano al collo e al petto magnifici e finissimi ricami in 55. Costume di Ollolai, Sassari, Cavalcata sarda, 1999,
raltro già presente in diverse cerimonie religiose della mi per i costumi. Queste manifestazioni diventano effi- bianco, che ormai quasi tutte le fanciulle sanno eseguire, fotografia di Franco Ruju.
chiesa cattolica fin dal secolo XVI.61 caci veicoli di promozione delle novità e delle capacità perché hanno sostituito l’ago sottile, al rozzo fuso, ed al 56. Costumi di Bitti, Nuoro, sfilata del Redentore, 1999,
La moda dell’«abito di seta bianca, che per finezza si inventive di abili sarte e ricamatrici. rozzissimo telaio … I veli del capo alla tela han sostituito fotografia di Franco Ruju.

48 49
51 䊱 52 䊱 53 䊲 54 䊱 55 䊱 56 䊲
finissimi tessuti di battista e Giaconetta, tele traforate e del vestiario dei pastori di Villanueva de Aezcoa, in Na- fenomeno di revival che all’epoca interessò molti aspet- corpo e la mente delle donne, anche dalle costrizioni
tramezzate con un’infinità di variazioni, inventate dalla varra, si ritrova l’orbace della Sardegna; così come nelle ti della cultura popolare spagnola.66 fisiche e psicologiche dell’abbigliamento.
fantasia delle fanciulle … I busti hanno ricami d’oro fi- gonne nere e plissettate delle donne di Ochagavia (ma Anche in questo caso si tratta di un abito caratterizzato A Nuoro, per indicare una donna abbigliata correttamen-
nissimo, con delle pettiere di stoffe ideali; in sostituzione anche di Sepulveda, in Castiglia) che si usava sollevare da una larga gonna plissettata, con bordo in seta bianca, te, con una giusta sistemazione delle diverse parti del-
del noioso nastro, che per delle ore intiere teneva occu- fino a coprire le spalle e il capo a difesa dalla pioggia unita in vita a un corpetto di terziopelo: una foggia as- l’abito, con capi di proporzioni adeguate alla taglia, in
pate le fanciulle onde finire l’abbottonatura».64 (figg. 32, 36); consuetudine diffusa e ampiamente docu- sai poco diffusa in Spagna che trova un apparentamen- un insieme pertanto armonico, si usa ancora oggi dire:
In realtà anche la produzione di pizzi e ricami – perlome- mentata nel Nuorese e in tante altre parti della Sardegna. to con le basquiñas di Ansò, nell’Alta Aragona. Le altre est bène chìnta. Il verbo chìnghere significa stringere,
no di quelli destinati all’abbigliamento – andava incontro E, ancora, l’abito di gala delle donne di Roncal (fig. 40) parti dell’abito sono le maniche posticce, in lana bruna, chiudere e riassume molto bene il senso e l’architettura
a un rapido declino. A partire dal primo dopoguerra del appare tanto simile a quello delle donne di Iglesias. Le legate alle spalle mediante nastri di seta, la camicia di dell’abito nuziale e di gala femminile di fine Ottocento,
Novecento, si registra, infatti, non più un processo di camicie delle donne di Aliste, in Zamora, con i loro rica- lino, il sombrero di feltro nero che si pone sopra una specie delle aree centrali e settentrionali. Una serie di
adattamento di fogge, colori e materiali, ma un sistemati- mi variopinti richiamano quelle di Desulo e Ollolai, e benda di cotone con bordo di seta e lo scialletto di lana indumenti fasciano e coprono le braccia, i fianchi e le
co e generale abbandono dei diversi indumenti maschili quelle dell’Alta Aragona, per il sistema di pieghettatura, le con motivi floreali stampati. gambe, bendano il capo, vi si appendono e lo sovrasta-
e femminili che formavano la struttura fondamentale del camicie di Ploaghe e Settimo S. Pietro. I colli delle cami- La composizione del tessuto della gonna, così come no con impalcature, stringono la vita e il tronco, aumen-
vestiario tradizionale, a favore dei modelli comunemente cie maschili di lino, con ricami in bianco, dei territori del quella del grembiule che la accompagna, il delantal de tano il volume dei fianchi; nascondono il corpo delle
adottati in tutto il Continente. Bajo Orbigo e della Valderia appaiono identiche a quel- “mostra”, sulla base dell’analisi dell’esemplare conser- donne, lo rendono più corto e più largo; l’abito è pesan-
Sul versante maschile si registra l’abbandono sempre le del vestiario tradizionale di Teulada, Pula, Samugheo. vato nel Museo del Pueblo Español di Madrid, è la stes- te, occorre camminare con grazia e con attenzione altri-
più massiccio di alcuni elementi del vestiario tradiziona- I corpetti maschili di panno, ricamati con motivi floreali sa dello scarramàgnu di Orani.67 menti si squilibra e chi lo indossa sbanda.
le, quale il colléttu e, tra gli indumenti d’orbace, in parti- in seta policroma di Val San Lorenzo, nella regione della Oltre alla foggia, dunque, un altro elemento inconsueto In termini generali, con la rivoluzione che nel primo
colare le ràgas, sostituite da calzoni a tubo di panno e Maragatería, richiamano vivamente quelli del vestiario unisce lo scarramàgnu all’abito ibizense: la struttura del ventennio del Novecento interessa in particolare l’abbi-
di fustagno. In questo senso fa sorridere e insieme com- maschile di Samugheo, Atzara, Aritzo, ecc. (fig. 34). Il tessuto della gonna in canapa e lana. Così come per di- gliamento femminile, con il primato delle scelte e della
muovere l’immagine fotografica dell’uomo di Bortigali manto delle donne della Salamanca presenta la stessa for- versi tessuti e indumenti iberici, divenuti elementi impor- creatività dei grandi sarti rispetto alla qualità e ricchezza
(fig. 29), realizzata negli anni Settanta dell’Ottocento, ma di quelli di Osilo e dell’Ogliastra, di Ollolai e Gavoi. tanti del vestiario popolare della Sardegna, appare proba- dei tessuti, vero fondamentale discrimine nei secoli pas-
che sui calzoni a tubo indossa un gonnellino che è po- Le analogie riguardano anche i motivi ornamentali di bile che, nell’ambito dell’intenso commercio di manufatti sati tra ceti ricchi e ceti poveri, il corpo femminile acqui-
co più che una striscia di tessuto pieghettato: una me- tanti accessori: le cinture maschili della Maragatería mo- tessili dalla Spagna, soprattutto dalla Catalogna e dalle sta una sua riconoscibilità.
moria, una “citazione” delle ràgas. strano le decorazioni floreali di tante chintòrjas barbari- Baleari, in Sardegna si sia determinata la diffusione del Riprendendo un testo di alcuni anni fa sulla trasformazio-
Su queste forme, epilogo del frammentato processo di cine; i pizzi a fusello, con motivo a ventaglio, presenti particolare tessuto di cui s’è detto e il suo conseguente ne che in tal senso avvenne a Nuoro, «nell’abbigliamento
trasformazione fin qui delineato, si riversa l’infinita quan- nelle mantillas di alcuni abiti di gala maiorchini sono inserimento nel vestiario popolare dell’isola.68 femminile festivo un fazzoletto di lana tibet marrone ha
tità di testi, disegni, stampe, fotografie, cartoline di fine identici a quelli della cappa dell’abito detto de sa pa- La stessa produzione della canapa documentata a Ora- sostituito la benda bianca; il grembiule è del tutto smes-
Ottocento: documenti probatori, che fissano i modelli, nattèra di Cagliari e dei grembiuli e delle gonne di gala ni69 potrebbe aver avuto una delle ragioni di persistenza so; il giubbetto si porta sopra il corpetto, la gonna non è
gli stilemi delle vesti popolari della Sardegna, e conse- di Quartu e Monserrato. I fermagli d’argento a motivi flo- nella domanda che derivava dall’uso dello scarramà- più d’orbace ma è prevalentemente di panno marrone
gnano quasi un inventario alle istituzioni cui ben presto reali e a mascheroni usati nel vestiario femminile del ter- gnu fino alla prima metà del secolo scorso; così come il impreziosita da una balza di velluto blu; ha pieghe di cir-
esse afferiranno: i musei. ritorio montano de Los Argüellos, nel Leon, ci riportano miracoloso perdurare a Orgosolo dell’attività di sericol- ca 4 cm e arriva fino alla caviglia, dunque più corta. La
Un fenomeno questo che in misura maggiore o minore, alle catene che ornano tanti abiti femminili dell’Ogliastra tura è legata alla presenza, nell’abbigliamento tradizio- stratificazione di gonne (necessaria per l’insieme pala a
nelle ultime decadi dell’Ottocento e nelle prime del No- e del Mandrolisai. nale, della benda gialla di seta. supra, tunica, benda), fa posto ad una figura più snella;
vecento, vive tutta l’Europa borghese, come attraversata Ma interrompendo un’elencazione altrimenti destinata a anche la camicia, che nel passato veniva indossata in ma-
da un senso di rimorso: da un lato i giornali di moda, in continuare infinitamente, si passa a esaminare da vicino Dalle prime esposizioni del 1881 a Milano e del 1896 a niera tale che ricadesse sul petto provocando, grazie alla
tutte le più importanti città europee, promuovono gli sti- un abito particolare dell’abbigliamento femminile festivo Sassari alle manifestazioni in onore dei Reali a Sassari rigidità del tessuto inamidato, un rigonfiamento sempre
li e i prodotti delle moderne forme vestimentarie, dall’al- di Orani, lo scarramàgnu, formato da un corpetto di nel 1899, con la sfilata delle coppie a cavallo, gli abiti superiore a quello naturale, acquista dimensioni più mo-
tro una variegata produzione editoriale illustra il mondo panno rosso cucito a una gonna finemente plissettata, tradizionali, raggiunto il più alto valore economico e il deste. In generale, pare possa affermarsi che l’abito tradi-
popolare con immagini fotografiche e pittoriche; imma- che cade morbida fino a coprire i piedi con una bordura massimo splendore estetico e cromatico, perdono so- zionale modifica il suo rapporto col corpo femminile e, in
gini nelle quali i costumi si fermano definitivamente, co- di seta color rosso ciclamino (figg. 44-45). stanzialmente la funzione d’uso per abbracciare quella un rinnovamento delle proporzioni tra i vari capi, assume
sì come nella vita reale. Elemento caratteristico della gonna è la composizione di primario simbolo etnico. le caratteristiche del moderno tailleur, ancorché realizzato
In un contesto di ricchezza documentaria è possibile del tessuto: canapa per l’ordito e lana nera, dal filato sot- Essi si avviano decisamente a divenire materia museale e nei colori e, in parte, nei tessuti tradizionali».70
delineare il catalogo delle vesti delle classi popolari in tile e brillante, per la trama con faccia a vista; composi- scenografica, costumi, elementi connotati da atemporalità, Ma la svolta più radicale tutto sommato si registra sul
Europa e tracciare una rete di analisi comparative. Per zione che determina un particolare effetto cangiante. non modificabili, non partecipi della costante mutevolez- versante maschile; continuando con l’esempio di Nuoro,
la Sardegna, una simile analisi trova una direzione pri- A quanto è dato sapere – a parte alcuni esemplari di za della moda, entrando a pieno diritto nella grande che per la sua collocazione geografica e per le vicende
vilegiata, quella della penisola iberica. Fonni – non risultano, nell’abbigliamento tradizionale Esposizione Internazionale romana del 1911 all’interno storico-sociali può ben rappresentare un caso emblema-
Che la presenza spagnola abbia influito molto sulla cul- della Sardegna, altri esempi di gonna e corpetto uniti da della Mostra di Etnografia Italiana curata da Giovanni Lo- tico, questa città «vede un generale abbandono di zippo-
tura popolare della nostra isola, dai rituali religiosi alle una ancorché rudimentale cucitura; peraltro la camicia, il ria; ciò che costituì il primo grande nucleo repertuale del nes, carzones de furesi, carzones de tela e mesu carzas
rappresentazioni di Carnevale, dall’alimentazione al ve- fazzoletto e il giubbetto che accompagnano lo scarramà- Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma. in favore di giacche e calzoni a tubo di fustagno, di vel-
stiario, dall’architettura all’oreficeria, è d’altra parte qua- gnu rientrano per foggia, materiali e colori nei consueti Di fronte al complessivo mutamento sociale e ai nuovi luto e, per le occasioni importanti, di lana; la stessa ber-
si un dato di comune sentire. canoni dell’abbigliamento popolare del Nuorese. canoni estetici che informano l’immagine della donna ritta fa posto a berretti con corta visiera o a cappelli a
E, in realtà, le corrispondenze risultano straordinaria- Quest’abito, inconsueto in Sardegna, ha un’evidente ana- del primo Novecento, il complesso indumentario tradi- falde, di produzione continentale. Le ragioni di tale tra-
mente numerose e convincenti anche alla prova di in- logia con un tipo di vestiario tradizionale femminile di zionale dell’isola rivela quasi repentinamente la sua ina- sformazione vanno ricercate nell’influenza sempre mag-
dagini puntuali e approfondite.65 un’altra grande isola del Mediterraneo, il traje de gala deguatezza. In particolare la struttura delle vesti femmi- giore della moda esterna, nell’uso di tessuti che rendono
A parte gli abiti di Teulada, la cui corrispondenza col ve- di Ibiza (fig. 43), abbandonato alla fine dell’Ottocento e nili appare in contraddizione con l’assunto che sta alla più facile le confezioni dei capi, e nella contemporanea,
stiario popolare spagnolo è ben nota, nella ruvida lana rientrato nell’uso alla fine degli anni Venti, sull’onda di un base di tutto il processo di emancipazione: liberare il profonda modificazione dell’assetto sociale».71

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Trasformazione vestimentaria che riguarda anche i pic- si spandevano dolciumi o giocattoli o libri, si esponeva-
coli centri del Nuorese e della Barbagia, per lo meno no manichini senza testa vestiti di abiti fatti, tutti corrosi
per quanto attiene alle nuove generazioni; Salvatore magari o ammuffiti, ma che erano il segno di una cosa
Satta dedica al fenomeno un cenno sarcastico ne Il mai vista e neppure immaginata, la ricchezza del dana-
giorno del giudizio: «Quelli che facevano politica, i can- ro, tanto diversa da quella delle pecore e delle capre».72
didati, erano tutti dei paesi: di Orune, di Gavoi, di Ol- Nelle città più grandi dell’isola gli abiti sono quelli di
zai, di Orotelli, persino di Ovodda, quei minuscoli cen- tutta l’Italia: giacca e pantaloni a tubo, panciotto, cap-
tri (biddas, ville) lontani quanto le stelle l’uno dall’altro, pello o berretto, camicia bianca, con o senza colletto,
che guardavano a Nuoro come alla capitale; paesi di mentre l’uso di fogge tradizionali permane in un buon
pastori, di contadini, di gente occupata a contare le ore numero di località della Sardegna interna e centro-set-
della giornata, ma i cui figli avevano scoperto l’alfabe- tentrionale (Barbagia, Ogliastra, Mandrolisai, Logudoro)
to, questo mezzo prodigioso di conquista, se non altro per tutta la prima metà del Novecento e, ancora oggi, a
di redenzione dalla terra arida, avara. Gli zii, come si Desulo, Busachi, Oliena, Orgosolo e in pochi altri paesi,
chiamavano questi rustici anziani, dalle grandi barbe, per lo meno da parte delle donne più anziane.
entravano a Nuoro avvolti nei costumi nuovi, come in Non mancano, peraltro, negli anni Venti, alcune iniziati-
un salotto, e vi andavano per testimoniare o per parlare ve singolari – avviate probabilmente sull’onda del suc-
con l’avvocato o col notaio (quando non vi erano con- cesso che sembra arridere alla produzione dell’orbace
dotti ammanettati), una, due volte all’anno, traendosi adottato dal Governo italiano in un primo tempo per la
appresso i figli. Questi, vestiti da civili, ridicoli ai loro confezione dei cappotti degli ufficiali di Marina e suc-
stessi occhi, vergognosi a poco a poco dei padri, di cessivamente per quella delle divise fasciste – quale
fronte a quei signori non meno sfaccendati ma che se- quella che riguarda l’abito femminile di Desulo, ricorda-
devano ai tavolini del caffè come esercitando un loro ta in uno scritto del 1928 di Imeroni: «Il costume desule-
diritto di casta, vedevano le immense vetrine nelle quali se è sceso dal nido alpestre e si è modernizzato fino a

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costituire un elegante e festoso modello cittadino di viano alcune collaborazioni sperimentali: «I ricami e i
giacca o golf in panno, lana, seta, costume completo per merletti della Sardegna vengono utilizzati nel settore del-
bimbi, e, passato il mare, si diffonde come gli sportivi la “haute couture”. I motivi del costume sardo assumono
golfs di derivazione magiaria a geometriche e vivaci po- il ruolo di un utile suggerimento nelle loro infinite varia-
licromie – conferendo grazia e originalità alle figure che zioni».75 In particolare la bottega della signora Giuliana
lo sanno portare … La cuffietta desulese è scesa dalla Cambilargiu, dopo aver realizzato per anni i ricami più
testa alle mani, dando luogo ad una originale trasforma- apprezzati dell’abito femminile di gala di Osilo, collabora
zione da copricapo in borse grandi e piccole, portafogli, con l’atelier romano d’alta moda Foschini, eseguendo le
portabiglietti, borsellini, in panno scarlatto ricamato in decorazioni a ricamo dei sontuosi abiti destinati a una
seta, altrettanto pratici che decorativi».73 clientela medio-alta della capitale.
E, ancora, nella quarta edizione della Mostra Nazionale Dopo il periodo buio degli anni Sessanta, segnato da un
della Moda di Torino «spiccavano accanto a un telaio an- generale atteggiamento di rimozione nei confronti della
tico sardo, azionato da una donna isolana nel suo costu- cultura tradizionale dell’isola, in qualsiasi espressione es-
me caratteristico, i figurini di un valente artista del gene- sa si manifestasse, dalla lingua all’alimentazione, dalla
re, indossanti abiti e mantelli fatti d’orbace sardo, dei più musica alla poesia, rinasce un nuovo interesse nei con-
diversi colori e dei più artistici modelli e disegni».74 fronti dei costumi popolari; ad esso si accompagna una
Negli anni Cinquanta, promossi dall’ESVAM (Ente Sardo ripresa della confezione tradizionale, tuttora in corso, a
per la Valorizzazione dell’Artigianato nella Moda), si av- seguito delle richieste dei numerosi gruppi folcloristici
che per le loro esibizioni coreiche e musicali hanno
adottato gli abiti tradizionali ottocenteschi dei rispettivi
57. Foto di scena del film Banditi a Orgosolo di Vittorio De Seta, 1961.
Dell’abbigliamento del protagonista si distinguono berretto con corta paesi. Naturalmente la loro lavorazione ha poco a che
visiera, giacca e calzoni di velluto liscio, gambali di cuoio, scarponi vedere con quella che si eseguiva nel passato, sia per i
con fondo di gomma: tutti elementi del vestiario quotidiano. Anche materiali adoperati, sia per la qualità delle decorazioni.
per quanto attiene all’abbigliamento il film si distingue per la sua
attendibilità e segna il superamento del cinema imbellettato degli L’attività di recupero e riutilizzazione come abiti da scena,
anni Cinquanta e della rappresentazione di una Sardegna portata avanti da diversi gruppi, specie in alcuni paesi nei
improbabile nelle storie e nell’aspetto dei protagonisti. quali la scomparsa del vestiario tradizionale è stata preco-
57 58. Orgosolo, fine anni Cinquanta, fotografia di Henri Cartier-Bresson. ce e, apparentemente, assoluta, appare talvolta viziata

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dall’esigenza di ritrovare a tutti i costi “il vero costume” Così, in alcuni paesi, il colore del velluto sarà solo nero Note
del proprio paese, per riprodurlo in una sorta di divisa, o solo marrone, o verde oliva, color tortora, ocra; le
preferibilmente smagliante di colori e galloni. giacche potranno avere o meno la martingala o le pie-
Davanti al furore investigativo che pervade alcuni ap- ghe a soffietto, il velluto potrà essere liscio o rigato; i
passionati ricercatori locali viene addirittura da chiedersi calzoni lunghi a coprire gli scarponi o stretti dentro
se la grottesca operazione di recupero dell’abito di una gambali di cuoio, il berretto piccolissimo o ampio. Se-
vecchia signora dalla bara ove riposava da due anni sia gni minimali di riconoscimento, di confine, di connota-
solo frutto della fantasia letteraria di Giulio Angioni: zione propri di una società che deve o vuole avere
«Tutto è nato per questa faccenda delle fogge d’abito, strumenti per distinguere i componenti della propria
dei bei costumi antichi. L’idea di una riesumazione era comunità dagli estranei; segnali che ci ricordano come
venuta a Mario molto naturale, quando tre giorni prima la storia della produzione e dei commerci costituisca
stava spiegando alla fidanzata la difficoltà, l’impossibi- soltanto il sostrato materiale e organizzativo sul quale si
lità, di rintracciarne almeno uno, dei bei costumi antichi innesta il sistema di valori e di simboli che da sempre
frauensi, da indossare ed esporre nella mostra e la sfila- l’uomo associa alle vesti.
ta. Non ce n’erano più, neanche a cercarli nelle fosse … Solo tenendo presente questo lato invisibile degli abiti, è 1. Si veda la bibliografia di P. Piquereddu (Archivio de la Catedral de Barcelona, Pia Al- goni, disposizioni governative e comunali, giu-
1987; sulla letteratura di viaggio si veda A. Bo- moina, Pergaminos serie 9, n. 152)». ramenti e atti diversi”. I testi di quattro statuti
Però almeno uno lo dovevano trovare, anche senza co- possibile decifrare le ragioni di un fenomeno paradossa- scolo 1973. dei gremi contenuti nel codice (sarti-calzettai,
ralli e senza ori, autentico, non riconfezionato tutto nuo- le quale quello dell’esplosione cromatica e ornamentale 14. Codice degli Statuti della Repubblica di Sas-
2. Questa tematica è al centro del saggio di A. sari, edito e illustrato dal cav. D. Pasquale To- calzolai, pellicciai e falegnami) vennero pubbli-
vo, come qualcuno proponeva, disonesto».76 del vestiario popolare sardo di fine Ottocento, in un’Eu- cati da Maria Teresa Ponti (1959). A cura della
Mattone 1989, pp. 13-64; un’ulteriore stimo- la, Cagliari 1850; rist. anastatica, Sassari 1983,
stessa Ponti lo statuto dei calzolai e quello dei
È indubbio, comunque, che l’attività dei gruppi folclori- ropa già immersa nel bagno scuro della “grande rinun- lante analisi è contenuta nel testo di M. Briga- pp. 234-235.
sarti erano apparsi nel 1956 sul Bollettino Bi-
glia 1981, pp. 5-16.
stici, in termini generali, specialmente negli anni segna- cia”, o del solido successo che, cent’anni dopo, viene tri- 15. Condaghe di S. Pietro di Silki. Testo logu- bliografico Sardo.
ti da scarsa considerazione e rispetto, ha contribuito in butato all’abito maschile di velluto dai più diversi ceti 3. Si veda l’ancora insostituibile lavoro di G. dorese inedito dei secoli XI-XIII, a cura di G. 26. «Item que daci avant niguna de qualsevol
Lilliu 1966. Bonazzi, Sassari-Cagliari 1900; Il Condaghe di stat, grau y condició sia de la terra o strange-
misura determinante a conservare una gran parte delle sociali dell’isola: attraverso i tortuosi cammini della moda San Pietro di Silki, trad. e introd. a cura di I.
4. G. Lilliu 1966, pp. 126, 178-179. ra no gose, ni presumesca palesement o ama-
conoscenze tecniche, della terminologia sartoriale e del e del gusto quell’abito di velluto, che chiunque sia stato Delogu, Sassari 1997. gada tallar roba nova de vestir de seda, ni
5. Sulla mastruca e gli autori classici si veda
ricamo tradizionali, svolgendo dunque, di fatto, un’ope- bambino nella Sardegna degli anni Cinquanta non può E. Pais 1999 (riedizione dell’opera edita da 16. Un ampio quadro di queste problematiche calses, ni drap o altrament sens haver hagut
ra di tutela nei confronti di questo vasto settore della non associare a immagini di povertà e malessere, a un Nardecchia, Roma, nel 1923); P. Meloni, La si trova in: Per una storia della moda pronta primer licencia de dits obrers y revehedors, sots
Sardegna romana, Sassari 1991. 1991; si veda anche P. Allerston, “L’abito usa- pena de vujt sous per cada roba applicadora a
cultura popolare della Sardegna. odore inconfondibile e ineliminabile, agli informi indu- to”, in Annali 2003, pp. 561-581. dita contraria». M.T. Ponti 1959, p. 241.
Ma ritornando agli abiti veri, e al loro perdersi nella im- menti dei pastori di Banditi a Orgosolo, a giacche e cal- 6. Sulle maschere pastorali della Sardegna: P.
17. G. Paulis 1983, pp. 135-142. «Spingendo 27. Per il suo valore storico e documentale si
Piquereddu 1989.
mane trasformazione economica e sociale del secondo zoni vistosamente rattoppati – anche se sempre connotati oltre il semplice piano formale il parallelismo riporta di seguito l’elenco completo del tariffa-
7. E. Pais 1999, vol. II, pp. 269-270. tra la parola sarda antica cunduri e quella rio: «Et primerament per una capa de brocat,
dopoguerra, in paesi come Orgosolo, Desulo, Fonni, da valori estetici, perlomeno da quello della simmetria –, guarnida del matex brocat o de seda, dotze
8. G. Paulis 1997, p. 82. otrantina kundùri ‘sottoveste delle donne nel-
Dorgali, Oliena, Orosei le donne anziane di prevalente è diventato sorprendentemente il vessillo dell’attuale l’antico costume’, possiamo ammettere ragio- lliures; / Item una capa del matex brocat sens
ambiente pastorale li indossano come abiti di gala per le identità vestimentaria della Sardegna.77 9. G. Paulis 1997, p. 81. nevolmente che al pari del kundùri dell’Italia guarnició, tres ducats; / Item un sayo del ma-
10. A. Guillou 1988, p. 370. Sul bisso si veda meridionale anche il cunduri sardo medioe- tex brocat, guarnit del matex brocat o de seda,
grandi ricorrenze familiari e religiose; altri hanno adotta- vale, essendo usato dalle donne (si tratta, in- set lliures; / Item un sayo de dit brocat, sis lliu-
G. Carta Mantiglia 1997, pp. 89-99.
to alcuni indumenti riconducibili a uno stile tradizionale: fatti, di un cunduri muierile), fungesse pro- res; / Item un borriguo de brocat, guarnit, cinc
11. ASG, cart. n. 18, parte II. Archivio di Stato lliures; / Item un borriguo perlá de brocat, qua-
per le donne, gonna, finemente plissettata, a tinta unita di Genova, cart. n. 24 (notaio Buonvassallo de
priamente da sottoveste. Allora il rocca che
segue (cunduri de rocca) andrà insieme al tre lliures; / Item una capa lombarda de vellut
marron, blu, nera, grigia, in lana, cotone, misto lana, fi- Cassino), c. 79r. L. Balletto, “Documenti notarili
francone *(h)rokk, continuato nel basso latino o de ras, guarnida de rivet o selleta y folrada
bre sintetiche, lunga al polpaccio; blusa/camicia a pic- liguri relativi alla Sardegna (secc. XII-XIV)”, in de seda, quatre lliures; / Item una capa de vel-
ROCCUS, ricorrente nei capitolari carolingi e
La Sardegna nel mondo mediterraneo, vol. II, lut o de ras, guarnida de rivet o selleta, un du-
coli disegni, in armonia cromatica con la gonna; scialle significante – come si esprime il Du Cange –
Sassari 1981, pp. 212-260. cat; / Item una capa de vellut o de ras plana,
“suprema vestis”, cioè “veste di sopra”».
di lana tibet marron, nero, blu o grigio scuro; scarpe 12. Per quanto attiene al commercio dei panni quarantacinc sous; / Item un sayo de vellut o
18. Codice degli Statuti della Repubblica di de ras plana, quarantacinc sous; / Item un
scollate, o aperte dietro tipo chanel, con tacco medio- e delle berrette dalla Lombardia Gian Luigi
Sassari cit., p. 68.
Fontana scrive che: «I panni di Milano, di Mon- sayo de vellut o de ras, guarnit de rivet o selleta,
basso e tozzo; fazzoletto di tibet in tinta con lo scialle, 19. ASC, “Antico Archivio Regio. Prammatiche, un ducat; / Item un sayo de vellut o de ras
za, di Como, di Brescia e di Bergamo erano
legato a soggolo. Il tutto senza ricami, senza motivi or- diffusi in tutta la penisola e nell’area mediterra- istruzioni e carte reali”, vol. B6, cc. 146-147v, perlá, quarant sous; / Item un borriguo de vel-
namentali. nea almeno dalla metà del XII secolo … Alla orig. cart. in La Corona d’Aragona un patri- lut o de ras, guarnit de selleta o rivet, trenta
fine del Trecento Milano … non produceva so- monio comune per Italia e Spagna (secc. XIV- sous; / Item un borriguo de vellut o de ras perlá,
Per gli uomini, al di là della presunta democratizzazione XV), Deputazione di Storia patria, Cagliari 1989, vinticinc sous; / Item una casaca de vellut o de
lo panni di alta qualità, ma, data la forte e di-
dell’abito borghese, si riproducono alcune nette differen- versificata domanda del grande centro urbano, p. 348. ras, guarnida de rivet o selleta y folrada, tren-
ziazioni. Gli abiti dei ceti urbani, compresi gli artigiani, anche mezzelane, miste di cotone e di lino, tacinc sous; / Item una casaca de vellut o de
20. F. Manconi, “L’eredità culturale”, in I Cata- ras plana, mig ducat; / Item una saya de bro-
sono gli stessi delle grandi città del Continente: giacca e drappi bassi, drappi grossi e panni dei più di- lani in Sardegna, Cagliari 1986, p. 219.
versi livelli di prezzo, oltre a calze, cappucci, cat de dona, guarnida de rivet o selleta del ma-
pantaloni a tubo e panciotto di lana, generalmente scuri, mantelli, coperte, guanti, cappelli e berrette». 21. F. Orlando 1998, p. 54. tex y ab manegues, dotze lliures; / Item una
saya de brocat sens manegues, guarnida se-
berretto, camicia bianca, con o senza colletto. I pastori e G.L. Fontana, “La lana”, in Annali 2003, p. 334. 22. G. Olla Repetto 1986, p. 274. gons ses dit, deu lliures; / Item una saya de bro-
i contadini, specie delle zone interne, adottano un pro- 13. C. Batlle, “Noticias sobre los negocios de 23. R.L. Pisetzky 1978, p. 211. cat plana, très ducats; / Item una saya de vellut
prio modello di vestiario: l’abito di velluto e di fustagno, mercaderes de Barcelona en Cerdeña hacia o ras, guarnida de rivet o selleta ab manegues,
1300”, in La Sardegna nel mondo mediterra- 24. R.L. Pisetzky 1978, p. 210.
quatre lliures; / Item una saya de dit vellut sens
composto da giacca, pantaloni e gilet, mano a mano neo, vol. II, Sassari 1981, pp. 277-289. Il testa- 25. Il prezioso codice venne messo in luce manegues y guarnida, cinquanta sous; / Item
sempre più diffusamente associato al berretto di lana o mento è riportato in appendice al saggio e reca per la prima volta da Enrico Costa, il poligrafo una saya de vellut o ras plana, quaranta sous;
i seguenti dati: «1301, noviembre, 6, Oristano, sassarese, nel riordinare l’Archivio del Comune / Item una saya de dona de contray, guarnida
cotone con corta visiera, nonostante la pervicace resi- Le immagini del Fondo Enrico Hyllier Giglioli (Museo Nazionale Prei- testamento de Guillem Lloret, de Barcelona, presso il quale era impiegato. Costa ne diede de rivet o selleta, ab manegues, trenta sous; /
stenza della plurisecolare berrìtta. storico Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma), di Vittorio Sella (Fondazio- habitante de Oristano en la isla de Cerdeña, notizia attraverso la pubblicazione nel 1902 del Item una saya de contray plana de dona, vinti
E, ancora, il mondo delle campagne trova, pur in una ne Sella, Biella) e di Max Leopold Wagner (Istituto di Filologia Romanza donde residía con una pequeña colonia de lavoro Archivio civico del Comune di Sassari sous; / Item unes faldetes de contray o de fi,
“Karl Jaberg”, Berna), sono state oggetto di studio da parte di Marina catalanes para comerciar con capital proce- evidenziandone l’importanza fondamentale per guarnida des séllelas o de rivet, seze sous; /
gamma di fogge molto limitata e di colori discreta, Miraglia nell’ambito di una ricerca finanziata dall’Istituto Superiore Re- dente de Barcelona mediante el sistema de las la storia della città e riassumendone il contenu- Item un jaquet de brocat, guarnit de rivet o sel-
smorzata, un suo linguaggio di differenziazione locale. gionale Etnografico della Sardegna. comandas vendiendo aceite, loza, telas etc. to “1520-1565 – Libro di ordinanze, grida, pre- leta, quatre lliures; / Item un sayet de brocat

56 57
perlá, un ducat; / Item un sayet de vellut o ras, 29. Per l’analisi dell’originale testina si veda Bollettino Bibliografico Sardo, chiude l’articolo 51. R. Orsi Landini, “La seta”, in Annali 2003, matrimonio, la cui scelta è fortemente connota- to e al primo trentennio del Novecento, prove-
guarnit de rivet o selleta, mig ducat; / Item un G. Lilliu 1966, p. 99. sui quadri di S. Lussorio augurando «una tem- p. 366. ta simbolicamente: Montaigne, nell’aprile 1581, nienti dalla gran parte delle regioni storiche
sayet de vellut o ras pla, vinti sous; / Item una 30. Sulla discendenza delle ràgas dalla balza: pestiva effettuazione di un loro completo re- 52. «… pannos friscos battidos dai fora / de di- descrive una cerimonia a Roma durante la della Spagna: una visita a questo straordinario
saya de xamellot de dona, guarnida, quaranta R. Corso 1929-81, p. 239. stauro ad opera della competente Sovrainten- versas calidades, / … / pannos de seda e lana, quale il Papa donava a più di cento fanciulle patrimonio, peraltro abbastanza sconosciuto,
sous; / Item una saya de xamellot de dona, pla- denza alle Gallerie e i Monumenti di Cagliari e / coccias d’ambaghe e de tela indiana, / … / e una borsa di damasco bianco nella quale vi era rappresenta per lo studioso di abbigliamento
na, vinti sous; / Item una de stamet de dona, 31. Le ràgas sono state recentemente assimila- una loro destinazione permanente nell’erigen- una cedola valida per una dote di 35 scudi per popolare della Sardegna un’esperienza emo-
te alla rhingrave, la sontuosa quanto bizzarra peddes de camusciu e de mazzone / conzadas
guarnida, quinze sous; / Item una de dona de do Museo del Costume di Nuoro». Un’idea, e in pilu, / e cordoneris de seda e de filu, / zi- maritarsi e un abito bianco del valore di 5 scu- zionante: colori, materiali, denominazioni, fun-
stamet, plana, deu sous; / Item un jaquet de gonna adottata da Luigi XIV e dalla sua corte a questa della destinazione al museo nuorese, di. La cerimonia descritta da Montaigne assu- zioni d’uso richiamano cose e contesti familiari
musa pro afforru, / agos, aguzas, pettenes de
contray, guarnit de rivet o selleta, deu sous; / metà del Seicento, da F. Orlando 1998, p. 58. nient’affatto male, considerato il valore docu- me un valore particolare in epoca post-tridenti- provocando una vivida sensazione di déjà vu.
corru, / … / … cadenittas, / bambaghe, randa,
Item un jaquet de contray perlá, vuyt sous; / Considerato che la rhingrave, dopo un effime- mentario delle opere per la storia dell’abbiglia- na quando il matrimonio accede a un posto Il termine scarramàgnu meriterebbe un’ap-
gallone e berrittas / fattas de bonu seju / … //
Item un gipo de brocat cotonat ab butons, tres ro successo, uscì ben presto anche dalla moda mento della Sardegna. Lo studioso si chiede definitivo tra i sacramenti. Inoltre, va sottoli- profondita analisi al fine di ricostruirne il si-
Pro leare bajanas … / … seda e lanas / de di-
Lliures; / Item un gipo de vellut o ras cotonat ab di corte, appare improbabile che un capo così anche per quali ragioni la Provincia di Nuoro neato il fatto che tale cerimonia avvenisse nella gnificato storico e linguistico; appare peraltro
versos colore’, / pro totu sas chi sunt in primu
butons, vinti sous; / Item un gipo de drap con- lussuoso potesse avere trovato nell’isola un in- non sia stata dotata di una sua Sovraintenden- domenica in Albis che precede la settimana di interessante ricordare che un vocabolo molto
amore / rasu, istoffa, ispolinu, / grana, iscral-
tray o fi cotonat ab butons, deu sous; teresse tale da diventare uno degli indumenti za. G. Della Maria, “Raffigurazioni settecente- Pasqua, durante la quale venivano celebrati i simile, scaramangum, in età bizantina indicas-
lattu, istoff’e Torinu, / broccadigliu de oro, /
Item un gipo de fustani cotonat ab butons, deu caratterizzanti l’abbigliamento della Sardegna. sche del costume sardo”, in Bollettino Biblio- grisette biaittu a modu insoro, / mesu saja e re- nuovi battezzati che restavano vestiti di bianco se un prezioso abito di corte, generalmente di
sous; / Item un gipo de saya cotonat ab butons, La romana e la fustanella ebbero invece una grafico Sardo cit., pp. 3-6. vessu, / robas de lana e de pagu interessu / se- fino al sabato: il Papa, scegliendo di donare la seta. Nelle ordinanze di Leone VI (911-912) che
deu sous; : Item un gipo de brocat sens coto y circolazione sicuramente più ampia rispetto al- gunda requella, / amis, saja istampada, perfet- dote e l’abito bianco alle fanciulle in quella do- dettavano le regole della produzione e del
butons, un ducat; / Item un gipo de vellut o ras l’ambito sociale e a quello geografico. 41. Alla prima metà del Settecento risalgono an- commercio a Costantinopoli, la produzione de-
tuella / birde, cremis e ruju / e granadiglios menica, legava il sacramento del battesimo a
sens coto o butons, treze sous; / Item un gipo de che due tele ad olio dell’artista piemontese gli skaramangia era riservata alle fabbriche im-
32. A. della Marmora 1826, Voyage, p. 220. pro portare in tuju / dogni filu ses soddos, / fet- quello del matrimonio, in una stessa promessa
drap contrary o fi sens coto y butons, vuyt sous; Giovanni Michele Graneri, conservate al Museo periali; l’invio di un centinaio di skaramangia
Sulle vicende dei cappottari greci e i loro rap- tas e randa de sinu e de coddos, / … / e muc- escatologica di salvezza e attraverso un preciso
/ Item un gipo de fustani perlá sens coto y bu- civico di Torino, attualmente riprodotte nell’o- in Bulgaria è inoltre oggetto di un trattato stipu-
porti con le organizzazioni dei sarti locali, si caloros de peri sa domo, / iscarpas a lignetta, / colore dell’abito, il bianco. Né va dimenticato
tons vuyt sous; / Item un gipo de saya sens coto pera di R.L. Pisetkzy 1964-69: vol. IV, 1967, p. lato tra Leone VI e Simeone di Bulgaria. Si veda
veda anche S. Pira 1993. e calzas de Saona e de lanetta, / cambrai e che anche la cerimonia della comunione ven-
y butons, vuyt sous; / Item una capa lombarda 303 “Festa al santuario sardo” (1747), p. 306 al riguardo The Book of the Eparch, introduction
mussolina, / seda ruja, bianca e aranzina, / ne caratterizzata, sempre nel corso del XIX se-
de contray, guarnida de rivet o selleta, qua- 33. «G. Luigi Cocco (di Cagliari?) esercitò l’arte “Festa nautica al porto di Cagliari” (1747). Delle by I. Dujcev, London 1970, nonché Aspetti e
… / camijas de rispettu, // … / pannos fines de colo, da un abito bianco mutuato in sedicesi-
ranta sous; / Item una capa lombarda, plana, fotografica in concomitanza con il Laj Rodri- opere dà notizia nel n. 19 del Bollettino Biblio- problemi degli studi sui tessili antichi, II Conve-
lana, et oro e pratta, / pindula e zicchi zacca, mo dall’abito da sposa». M. Canella, “Abiti per
trenta sous; / Item una cloxa de cappello, quin- guez, possedeva uno studio – sin dall’inizio grafico Sardo 1959, p. 16, G. Della Maria, che gno CISST, Firenze 1981, a cura di G. Chesne
/ … / pannu brunu ’e Russia». G. Spano, Can- matrimoni e funerali XVIII-XX secolo”, in An-
ze sous; / Item un capus de contray ab rivet e della sua attività – in via del Condotto dall’in- esprime le sue perplessità sul loro valore docu- Dauphiné Griffo, Firenze 1981 e G. Paulis 1983,
zoni cit. pp. 366-370. nali 2003, p. 277.
selleta, quinze sous; / Item un capus perlá, deu segna “Fotografia sarda” … la sua opera è par- mentario non risultando che l’autore avesse p. 134.
sous; / Item un gipo de drap contray o fi sens ticolarmente conosciuta per le 22 fotografie di mai messo piede nell’isola e dunque ritenendo 53. C. De Saint-Severin 1827, p. 161. 62. R.L. Pisetzsky 1978, p. 334.
che fossero raffigurazioni di seconda mano. 68. Si veda: R. Violant I Simorra 1949; Concha
coto y butons, vuyt sous; / Item una casaca pla- abbigliamenti isolani che costituirono la base 54. «Pro sestare unu flacone / A vostè, Segnor 63. Ancora oggi in diversi paesi dell’isola, uno Casado Lobato 1991.
na ab rivet de drap, deu sous; / Item una capa alla incisione su pietra a Giorgio Ansaldi (Dal- 42. In Vincenzo Sulis, Autobiografia, a cura di Vizente / App’attidu espressamente / Unu tagliu per tutti Orgosolo, tante ragazze optano per le
ab collar de contray o fi, guarnida, treize sous; sani) per le corrispondenti tavole della “Galle- G. Marci, Cagliari 1994, p. 76. Il saurà o surah de pilone / E corpetto e pantalone / Chi li servat nozze con l’abito tradizionale assemblato a po- 69. Si veda al riguardo: V. Angius, voce “Orani”,
Item una capa ab collar, guarnida de matex ria dei Costumi sardi” promossa dal periodico era una stoffa di seta spigata proveniente dal pro s’istade. / Cust’est … // No miret no pro s’i- co a poco, talvolta utilizzando parti degli abiti in G. Casalis 1833-56.
drap, deu sous; / Item una balandrana de con- Il Buonumore». G. Della Maria 1972, p. 15. centro omonimo indiano; si veda R.L. Pisetzky spesa / Chi finza a dona Antonina / Li sesto della propria madre o di altre parenti strette. Si 70. P. Piquereddu 1987, p. 93.
tray o fi, guarnida de seda, venticinc sous; / 34. Joannis Francisci Farae, Opera, In Sardiniae 1978, pp. 16, 98; C. Meano 1938, p. 438. una capuzzina / A sa Greca o a s’Inglesa / Pro registra invece l’assenza di tale pratica per lo
Item una balandrana del dit guarnit de drap, 71. P. Piquereddu 1987, p. 94.
Chorographiam, intr., ed. critica e apparato a sette liras e mesa / Camp’eo e tottu campade. / sposo, che, nella gran parte dei casi, indossa
vuyt sous; / Item un capot ab la capilla fronzi- 43. V. Angius, voce “Dorgali”, in G. Casalis un abito di confezione industriale rinvenibile a 72. S. Satta, Il giorno del giudizio, Nuoro 1999,
cura di E. Cadoni, trad. italiana di M.T. Laneri, Cust’est … // Si mi procurat faina / De lu servi-
da, guarnit de vellut, trenta sous; / Item un ca- 1833-56, p. 225. costi contenuti. p. 27.
Sassari 1992, pp. 150-153. Il testo del Fara con- re appo brama / E li cunserto a sa mama / Una
pot, guarnit de drap, vint sous; / Item una tinua riprendendo alcuni ben noti topoi della 44. P. Piquereddu 1987, p. 89. bella pellegrina / Culzita a sa Parigina / Borta- 73. A. Imeroni 1928, p. 26.
64. F. Tolu Liperi 1913, pp. 132-133.
manta de brocat del matex brocat e seda, qua- storia dell’abbigliamento nell’isola: «Un tempo i da a s’estremidade / Cust’est … // Si mi cheren
45. «Anche a Parigi il popolo conquista le scar- 65. España, Tipos y trajes por Jose Ortiz Echagüe 74. M. Vinelli 1935, p. 356.
tre llures e quatre sous; / Item una manta sens Sardi, come afferma lo stesso Alessandro Sardo, onorare / Dottor Porcu e dona Lia / In cosas de
pe solo alla fine del Settecento, con quella che 1933.
guarnir, tres llures y mig; / Item una manta vestivano pelli di capra secondo il costume de- s’arte mia / Los poto disimpignare / In cosire o 75. M. Foschini 1957, pp. 56-58.
sens guarnir girada en riquets, vuyt sous; / Item Daniel Roche definisce una vittoria sulla “vita
gli antichi greci (lo stesso Ercole, dal quale di- fragile”. Il povero, di solito, va a piedi scalzi o, ricamare / Den bider s’abilidade. / Cust’est … 66. Si vedano al riguardo: Moda en Sombras,
una manta de contray, guarnida, quinze sous; 76. G. Angioni, Il mare intorno, Palermo 2003,
scendono, si copriva infatti con una pelle): se può permetterselo, indossa ciabatte di pelle // Ecco tantos figurinos / Custos sun Venezia- Museo Nacional del Pueblo Español, Madrid,
/ Item sens guarnir, deu sous; / Item una manta pp. 144-147.
d’inverno la indossavano col vello rivolto dalla riciclata in città e zoccoli di legno in campa- nos / Cuddos sun Napolitanos / Tottu sun ultra- Ministerio de cultura. Dirección General de
de vellut, guarnida de seda, mig ducat; / Item parte interna, d’estate invece rovesciata, come marinos / Costan bonos quattrinos / Pro narrer Bellas Artes y Archivos, 1991; Conferencia in- 77. Per la storia dell’abito pastorale di velluto si
una manta de taffatta, guarnida, quinze sous; gna, i quali erano già indice di un certo agio. veda il bel libro di U. Cocco, G. Marras 2000.
attesta Ninfodoro al quale rifà il Volterrano. Ce- Nelle Marche, ancora fino agli anni quaranta sa veridade / Cust’est … // Disizan unu sortù / ternacional de colecciones y museos de indu-
/ Item una manta de taffatta sens guarnir, deu lio chiama questa veste “tunica sardonica” O cheren unu paxò / Unu guardatalò / Inforra- mentaria, coordinacion y maquetacion Pilar
sous; / Item una manta de saya, guarnida, deu del Novecento, tra contadini e artigiani di bas-
mentre Cicerone, così come san Gerolamo, la du a crudetù? / Tipu Saib in Perù / S’usat in Barraca de Ramos, Madrid, Ministerio de cul-
sous; / Item una manta de saya sens guarnir, so rango le scarpe buone venivano usate alter-
definisce “mastruca dei Sardi” ed ecco perché s’antichidade / Cust’est … // Ecco sedas, ecco tura. Dirección General de Bellas Artes y Ar-
vuyt sous; / Item un sayo guarnit y folrat, mig nativamente dai membri della famiglia che ne
essi sono detti “mastrucati” e “pelliti” da Sabelli- pannos / Indianettas, calmucos / Chi usan sos chivos. Museo Nacional del Pueblo Español,
ducat; / Item sens manigues, set sous; / Item go- avevano bisogno. La disponibilità o meno di
co che, rifacendosi a Tito Livio, riferisce altrove Malamucos / Sos Cosacos, Sos Normannos / Sos 1991; Anales del Museo del Pueblo Español, to-
nelles de serventes y de pagesses ab rivet del ma- calzature ed eventualmente il loro tipo era, in- Chinesos e Britannos / Los usan in cantidade /
che nell’anno 204 a.C. i Sardi furono in grado fatti, uno dei più chiari segni di status sociale». mo 1, cuadernos 1-2 (1935), tomo 2 (1988),
tex drap, deu sous; / Item sayet de drap mane- di consegnare all’esercito romano ben dodici- Cust’est …». C.A. Tola, Cantones e mutos, Ca- tomo 3 (1990).
gua streta, tres sous; / Item un borriguo guarnit A. Vianello, in Annali 2003, p. 633. gliari 1997, p. 312 sgg.
mila tuniche e milleduecento toghe».
de seda, quinze sous; / Item un borriguo guar- 46. F. Gemelli, Il Rifiorimento della Sardegna 67. Per quanto riguarda la basquiña o gonella
35. Peraltro G. Della Maria (Nuovo Bollettino 55. J. Schneider, “Il corredo come tesoro, mu- la scheda del Museo Nacional del Pueblo Espa-
nit del matex drap, deu sous; / Item un borri- proposto nel Miglioramento della sua Agricoltu-
Bibliografico Sardo, a. VIII, n. 47-48, 1963, p. tamenti e contraddizioni nella Sicilia di fine ñol riporta: «Lana, cañamo y algodon. Reps,
guo sens guarnir, vuyt sous; / Item sayos de pa- ra, riprodotto in compendio con molte osser-
10) contesta che nel copricapo dei personaggi Ottocento”, in Memoria, rivista di storia delle terciopelo, tafetan, sarga, confeccion manual.
ges de qualsevol drap, guarnit de seda, treize vazioni ed aggiunte del cav. Luigi Serra, Torino
del bassorilievo di Zuri possa riconoscersi la donne, serie 11-12, n. 2-3, Torino 1984. 143 x 100 cm. De tejidos diferentes de color
sous; / Item guarnit del drap matex, deu sous; / 1842.
Item sens guarnicio, sis sous; / Item una laba de berrìtta. 56. F. Tolu Liperi 1913, pp. 63-64. negro, cuerpo de terciopelo y falda de tejido
vellut, guaranta sous; / Item una laba sens 47. V. Angius, in G. Casalis 1833-56. mixto de lana unidos en la linea de bajo pe-
36. P. Ventura, “Cuoio e pellicce”, in Annali 57. Su questo tema si veda: S. Naitza 1987, “Ar-
guarnicio, trenta sous; / Item una laba de con- 2003, p. 453. 48. V. Angius, in G. Casalis 1833-56. te e Artigianato”; S. Naitza 1987, “L’Artigianato”, cho. Cuerpo corto y ajustado, con tirantes y
tray, guarnida, vuyt sous; / Item sens guarnir p. 236. abrochadero de cordon. Falda larga con leve
37. A. della Marmora 1826, Voyage, p. 208. 49. «I cavalieri e i signorini (gosinos) del no-
deu sous; / Item una cloxa de cappello, quinze cola»; il grembiule è invece così descritto: «De-
stro paese tengono in disprezzo l’orbace e la 58. V. Angius, voci “Cagliari” e “Sassari”, in G.
sous; / Item sens guarnir y folrar, quinze sous; / 38. P. Tola, Dizionario biografico degli uomini lantal de mostra, de tejido mixto de lana ne-
gente del popolo, ma ora si sono dati a que- Casalis 1833-56.
Item un sayo de xamellot folrat y guarnit, vint illustri di Sardegna, vol. II, Nuoro 2001, p. 336. gra, largo y rectangular. Barriga frungida y
sto modo di vestire, e guardano noi con di- bordado a la aguja geométrico de sedas poli-
sous; / Item sens guarnir, quinze sous; / Item un Il Tola evidentemente è tra quelli che identifi- 59. Si tratta dell’abito ricco delle panificatrici di
sprezzo perché portiamo l’orbace e intanto lo cromas» in Moda en Sombras cit., p. 180. Le
sayo de saya folrat y guarnit, vint sous; / Item cava il collette nella mastruca disprezzata da Cagliari che alla fine dell’Ottocento costituiro-
vediamo anche indosso a loro, fatto a tabarri, operazioni di restauro eseguite su quest’abito
una roba de dol, vint sous; / Item una gramal- Cicerone. Per quanto attiene a Don Chisciotte, no una categoria socialmente ben caratterizza-
calze e calzoni, casacchine, giubbetti e gabba- hanno consentito d’appurare che nel grembiule
la, dos sous; / Item una clox de dol, deu sous; / è comunemente accettato che la sua veste fos- ta, frequentemente oggetto di satira popolare.
ni, non si differenziano dai popolani in quan- «las tramas del tejido eran de lana y las urdim-
Item un sayo de dol, deu sous; / Item un berret se per l’appunto un coleto, indumento atto a to agli abiti». G. Spano, Canzoni popolari di 60. G. Deledda 1972, p. 120. bres de cañamo», in Conservacion y restaura-
de dol, quatre sous; / Item un cappel de pages proteggere il corpo, specie dei soldati, assai
de qualsevol drap, vuyt sous; / Item un cappel Sardegna, vol. III, Nuoro 1999, pp. 163-164. ción de tejidos antiguos, M.ª Pilar Baglietto Ro-
diffuso nella Mancia. 61. «La storiografia sulla moda è concorde nel
de qualsevol drap e la desobra guarnit, deu 50. G. Spano, Proverbi sardi, trasportati in lin- ritenere che l’abito nuziale bianco s’affermi sell, in Anales del Museo del Pueblo Español,
sous: / Item del matex drap sens guarnir, sis 39. Articolo pubblicato sul Bollettino Biblio- gua italiana e confrontati con quelli degli an- nella tradizione europea molto tardi, nel corso tomo 3 (1990), p. 235.
sous». M.T. Ponti 1959, pp. 242-244. grafico Sardo, n. 37-38, Cagliari 1962. tichi popoli, a cura di G. Angioni, Nuoro 1997, del XIX secolo. Tuttavia, fin dal XVI secolo si Il museo madrileno conserva circa 4000 reperti
28. R.L. Pisetzky 1978. 40. G. Della Maria, benemerito fondatore del pp. 160-161. ritrovano numerosi esempi di abiti bianchi da di abbigliamento popolare risalenti all’Ottocen-

58 59
Il sistema vestimentario
Franca Rosa Contu

Nell’arco di tempo compreso tra il XIX e la prima metà spazio, regolano la normale gestualità del vivere in for-
del XX secolo, al quale fa riferimento il presente studio, me contenute, quasi rituali, che segnano i momenti del
essere abbigliati secondo le regole del proprio luogo di non lavoro; vestiti destinati ad accompagnare i defunti o
origine, avendo coscienza piena dell’adesione formale a passare, preziosa eredità, alle generazioni successive.
a ciò che si usa, si costuma, sembra essere tra le mag- La festa è l’eccezione, il rito, la cerimonia, la cui impor-
giori preoccupazioni della gente sarda. La ricchezza tanza viene in qualche modo amplificata proprio dalle
delle fonti e la straordinaria varietà dei materiali che complesse regole che la comunità elabora per la sua ce-
ancora si rinvengono nelle raccolte private e pubbliche, lebrazione. A questo evento fuori dall’ordinario l’abito di
il rinnovato interesse dei singoli o di enti e istituzioni, gala è pienamente coerente: stringe e costringe i corpi, li
verso lo studio, la valorizzazione e la riscoperta di mo- ricopre di colori vivaci, comunica in un codice intelligi-
delli vestimentari, sembrano significare che le comunità bile; regola le posizioni sociali, consentendo varie grada-
locali, ieri come oggi, confidino nella capacità degli zioni del “lusso”, dichiara lo stato civile dell’individuo,
abiti tradizionali di riassumere e rappresentare il pro- distingue coloro che, per lutto, sono socialmente impos-
prio modello culturale. Senza questa motivazione, l’an- sibilitati a godere pienamente della festa. Il primo grado
siosa ricerca degli antichi modelli vestimentari potrebbe del “lusso” è dato dallo stato di usura e dalla pulizia dei
essere giudicata un romantico anacronismo o, più cini- capi che, variamente assemblati, costituiscono l’abbiglia-
camente, un modo per dotarsi di “figuranti in costume” mento festivo; il massimo livello è quello dell’abito nu-
da proporre a fini turistici. Anche se questi ultimi aspet- ziale, veste di gala per eccellenza, che dopo le nozze
ti possono costituire una diffusa giustificazione, non viene indossato solo in occasione delle principali solen-
può essere comunque sottovalutato il fatto che le diver- nità religiose, matrimoni, battesimi e cresime. Come si
se comunità locali, superata la precarietà alimentare dei vedrà più avanti, nella descrizione dei singoli capi, l’abi-
secoli precedenti, integrate più o meno felicemente to nuziale femminile presuppone l’uso di indumenti vie-
nelle logiche del mercato globale, si scoprono impove- tati alle nubili, i quali sanciscono un passaggio di condi-
rite e private di validi segni identitari: da qui il ricorso a zione che dal momento delle nozze in poi sarà sempre
ciò che, nel passato, ha costituito un forte elemento di segnalato da varianti appropriate.
differenziazione etnica. Un valore con radici profonde, Gli abiti divengono dunque forme di comunicazione
coltivato e valorizzato nell’arco di tempo che si vuole perfettamente decifrabili sia all’interno di un preciso
esaminare, ha contribuito a produrre la straordinaria va- gruppo sociale, quello del villaggio, sia all’interno delle
rietà di modelli vestimentari che sono oggetto di questo comunità vicine con le quali esistono spesso sostanziali
saggio. convergenze nelle regole vestimentarie, mentre possono
Le occasioni festive e di gala e, all’estremo opposto, la variare anche sostanzialmente i dettagli, i colori e le or-
condizione di lutto sono i momenti nei quali l’abito si namentazioni.
struttura secondo regole codificate più rigidamente; la Un abito nuziale che si rispetti non dovrebbe mai essere
quotidianità deroga necessariamente a tali norme. Quel- stato usato; tale condizione è comune all’abito femmini-
la consueta e celebrata è l’immagine di un popolo in fe- le e maschile, che non presenta differenze indicative di
sta negli abiti variopinti, da sempre ammirati, decantati un passaggio di condizione, ma è in genere realizzato
e maggiormente rappresentati. Abiti del “tempo sospe- con ornamentazioni più ricche e tessuti di qualità più
so” che coprono, riscaldano, ma soprattutto trasformano pregiata utilizzando, ad esempio, velluto di seta anziché
la fisicità di uomini e donne, espandono i corpi nello di cotone. La maggior parte della popolazione non può
permettersi un abbigliamento al livello più alto della ga-
la e in tutti i casi una sorta di censura interna al gruppo
59. Simone Manca di Mores, Costumi del Campidano, Ballo “sa danza ne vieta di fatto l’accesso a quanti non facciano parte
59 cun is launeddas”, 1878-80, acquerello su carta. della élite locale. Si creano pertanto insiemi nuziali e di

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gala che corrispondono ai modelli domenicali dei ceti lo possiedono, tutti vi aspirano e comunque lo ricono- e la composizione del cadavere, il compianto, la recita pala a supra”. La benda è essenziale segno di lutto, ma
più elevati. In entrambi i casi la realizzazione dell’abito scono come distintivo della comunità. di preghiere e tutto quanto si svolge nell’abitazione del si porta anche il fazzoletto nero. A misura che si allonta-
nuziale richiede un impegno economico notevole e lun- La sintesi temporanea di tutte queste regole è, di volta defunto prima che la salma venga trasportata in chiesa na il grado di parentela, si porta la benda di colore, o co-
ghi tempi di confezione; ciò che si indossa il giorno del- in volta, definita “il costume”.1 Il massimo livello del per la celebrazione della messa funebre. La presenza lor caffè, o giallo oscuro, e giallo chiaro (tinta di terra
le nozze è lo specchio di ciò che la famiglia di origine lusso festivo e di gala ha il suo corrispondente nella alla funzione, infatti, richiede l’uso di indumenti di di- gialla o in zafferano) o infine bianca. Bianca è special-
ha voluto e potuto fare per la propria figlia e rappresen- condizione di lutto vedovile che per le classi agiate verso tipo per le partecipanti non parenti, fino al livello mente per i bambini. Anche certe vedove, dopo moltissi-
ta anche lo stile di vita che la nuova coppia di sposi po- prevede insiemi complessi, simili a quelli nuziali, ma festivo, escluso quello di gala. mi anni, usano portare la benda caffè oscurissima o gial-
trà o vorrà permettersi. Quando una famiglia è “potente” realizzati con tessuti e ornamentazioni di colore nero. Trovarsi in questa o in quella condizione di lutto com- la e le gonne grigie orlate di nero. Il lutto varia da sette
fa realizzare per la propria figlia un abito da sposa defi- La condizione di lutto è talmente pregnante di significati porta, dunque, un mutamento di condizione di vita, una ed otto anni per il padre fino a due anni – il minimo –
nito in nuorese a primòre, vale a dire al massimo livello da modificare e ricomporre, anche stravolgendole, mol- mutazione “a tempo”, salvo per le vedove il cui status per lontani parenti. Certe persone indossano i segni di
di eccellenza per la scelta dei tessuti, per la confezione e te regole sociali. Si parlerà più spesso della condizione dura per tutta la vita a meno che non passino a nuove lutto anche per le amiche. Gli uomini che devono radersi
l’ornamentazione, operazioni affidate alle più esperte femminile piuttosto che di quella maschile perché alle nozze. Così Grazia Deledda descrive la condizione di lut- la barba quando sposano, la lasciano crescere per il lut-
maestre (màstras) della zona. donne spetta, più che agli uomini, l’elaborazione socia- to a Nuoro alla fine dell’Ottocento: «Finite le condoglian- to, e portano il cappotto vestito, col cappuccio tirato su-
Questa corsa all’eccellenza produrrà, soprattutto a partire le del lutto e i loro abiti mostrano, per questo, varianti ze, esaurite le pratiche funebri, si tingono le vesti … Pri- gli occhi. I vedovi vestono completamente di nero».2
dalla fine dell’Ottocento, una corsa alla diversificazione, più significative. È dunque necessario distinguere le ma la vedova usava portare la camicia sporca (a tal uopo L’abbigliamento tradizionale risponde alle esigenze sopra
all’originalità ed esclusività delle ornamentazioni, dinami- principali gradazioni del lutto: lutto stretto, mezzo lutto la esponeva persino al fumo…) e non la svestiva finché descritte in diversi modi, che tengono conto delle diffi-
ca che in pochi anni modificherà i capi tradizionali più e lutto leggero sulle quali vengono diversamente mo- non cadeva a brandelli. Le nipoti dei preti alla costoro coltà e dei costi di produzione dei capi necessari e del
antichi, esito di elaborazioni portate a compimento in un dulate le regole sociali e di conseguenza quelle vesti- morte venivano vestite da vedove e il lutto durava lun- fatto che trovarsi nella condizione di mezzo lutto o lutto
lungo arco di tempo. Chi non può farsi confezionare un mentarie. La parentela esistente tra il defunto e i membri ghissimi anni. Ora la vedova è bensì pulita, ma resta ve- leggero è assai ricorrente in società ristrette, nelle quali i
abito nuziale nuovo, né può riadattare capi ormai consi- della comunità determina l’adesione all’uno o all’altro stita di nero (deposto l’anello nuziale ed ogni altro orna- rapporti di parentela sono numerosi e sono intensi an-
derati “fuori moda”, deve chiederne in prestito uno ap- grado. Al lutto stretto sono tenute le vedove, i vedovi, mento) per tutta la vita, ovvero finché non si rimarita. Le che quelli di vicinato. A tal fine si rivela indispensabile la
partenente ad una parente o ad un’amica di pari grado gli orfani, i fratelli e le sorelle del defunto. Al mezzo case ricche per lo più usano distribuire le bende nere a flessibilità di utilizzazione di un certo tipo di capi conce-
sociale o solo di poco superiore. lutto tutti i parenti di primo grado o anche i vicini di quelle parenti che non possono spendere. Anche la ser- piti per un uso semifestivo e spesso caratterizzati da un
Un’analisi diacronica delle vesti festive e di gala usate casa o gli amici con i quali corrano stretti rapporti so- va o le serve indossano il lutto a spese dei padroni. utilizzo “a doppio diritto” come descritto dalla stessa
nelle varie località mostra dunque i mutamenti di foggia ciali. Al lutto leggero concorrono tutti coloro che abbia- Tranne la vedova nessun altro parente è costretto a ve- Grazia Deledda a proposito del lutto femminile: «Indos-
più o meno significativi che danno luogo a vere e pro- no parentela lontana e quanti si rechino a fare le visite stirsi di nero. Le più prossime portano la benda e il sare sempre il giubbone dalla parte dello scarlatto» vale a
prie mode tradizionali e consente anche di individuare le di condoglianze o debbano partecipare in qualche mo- grembiule; però devono indossare sempre il giubbone dire indossare il giubbetto al rovescio. A Desulo l’impie-
influenze, le assimilazioni o le rielaborazioni che avven- do alle pratiche successive al decesso quali il lavaggio dalla parte dello scarlatto, ed avere il corsetto agganciato. go degli indumenti al rovescio in relazione alla condizio-
gono negli scambi tra gruppi diversi. Le regole vestimen- Molte vanno scalze in segno di lutto e portano le gonne ne di lutto è stato osservato e studiato grazie anche alla
tarie che questo tipo di analisi evidenzia costituiscono 60-61. Agostino Verani, Costumi sardi, inizio sec. XIX, orlate di verde. Altre, specialmente la madre, le sorelle straordinaria vitalità dell’abito tradizionale il cui uso con-
dunque il modello di riferimento al grado più alto: pochi acquerello su cartoncino, Cagliari, coll. Piloni. maritate, le zie e le cugine idem, indossano sempre “sa tinua, in qualche caso, fino ad oggi.3

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Per non incorrere nel rischio di banalizzazioni o sempli- vedere direttamente almeno nel periodo di lutto stretto.
ficazioni di un argomento che si presenta invece assai Le più indigenti rompono con maggiore facilità la regola
complesso e sfaccettato, giova ribadire che norme di dell’inattività soprattutto con prestazioni d’opera in ambi-
comportamento e regole vestimentarie per il lutto posso- ti “protetti” come nel caso del lavoro notturno dedicato
no variare, anche in misura considerevole, da una comu- alla panificazione; la loro deroga alle norme trova in
nità all’altra ed anche all’interno della stessa in relazione questo caso una piena giustificazione sociale dato che
alla condizione sociale. In generale le classi agiate osser- l’alternativa sarebbe quella di vivere della carità di fami-
vano regole più rigide delle quali quelle vestimentarie liari e vicini. Quest’ultima condizione è anche quella nel-
rappresentano l’aspetto più evidente. Esentate dalla mag- la quale l’abbigliamento sarà estremamente semplificato
gioranza delle attività produttive, che richiedono scambi e manterrà la sola connotazione del nero dei capi ritinti
con l’esterno e che possono essere svolte da una nume- per l’occasione o prestati da parenti e amici.
rosa servitù, le donne appartenenti a tali classi trascorro- La quotidianità dei ricchi è paragonabile alla festa dei
no gran parte del loro tempo in casa con la sola eccezio- poveri, almeno nel vestiario e spesso anche nel cibo.
ne di quello necessario per seguire le funzioni religiose Tra gli uni e gli altri c’è il grande insieme dei non ricchi
alle quali si recano, in genere, di primo mattino. Le don- e dei non poveri cioè di quanti hanno qualcosa di pro-
ne di condizione media si avvalgono comunque dell’aiu- prio e non sono perciò costretti a servire in casa d’altri;
to servile, anche occasionale, soprattutto per il bucato ed ad essi non si addicono gli insiemi vestimentari più lus-
eventuali attività di raccolta, alle quali non possono prov- suosi, ma sono comunque tenuti ad un decoro che co-
stituisce un penoso onere quando non c’è certezza del-
le entrate e si è soggetti ai capricci delle annate.
Il lavoro, la fatica, le più normali attività quotidiane rime-
scolano le regole della festa e del lutto. Il candore di ca-
micie e veli, gli squillanti colori, il luccichio dei nastri si
velano presto nell’uso continuo. Lo stesso nero assoluto
del dolore vira alla luce in cupe e improbabili tonalità
verdastre o brune o ingrigisce nella polvere e nella cene-
re. Come un miraggio o un sogno perduto, le forme pro-
prie della gala sono comunque riconoscibili nelle linee
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degli abiti se anche i nastri cedono di schianto al lungo
uso e formano bordure intermittenti, se i corpetti, che la forme di scambio, quali il dono o la retribuzione, essi modesta condizione, anche per quelli festivi. Le famiglie
gala vuole rigidamente allacciati, si aprono per dare re- abbiano un ruolo di primo piano. Senza neppure tentare agiate ricorrono più spesso all’opera di maestranze, riser-
spiro a chi torna dai campi o si piega nell’immane fatica di dar conto dell’ampiezza e della complessità dei rap- vando per sé soltanto piccoli lavori di ornamentazione.
del panificare. E ancora la miseria, la malattia e l’emargi- porti che vengono a crearsi nel ciclo di produzione, tra- Come si è visto esistono anche vari livelli di specializza-
nazione sfrangiano gonne e giubbetti quasi fossero espo- sformazione e consumo, basterà qui ricordare che capi zione e quasi mai l’intero insieme vestimentario viene
sti ad una improvvisa tempesta. Così Vittorini descrive di abbigliamento, soprattutto fazzoletti e scialli, sono fre- confezionato da una sola persona. Alcune donne sono
un povero popolano che, negli anni Trenta del Novecen- quente dono dei fidanzati alle promesse spose le quali particolarmente dotate nella complessa realizzazione di
to, indossa l’abito tradizionale: «È vestito di stracci che gli ricambiano con camicie e fazzoletti ricamati. Cuffiette e giubbetti o gonne, altre ancora ricamano parti di indu-
svolazzano addosso come piume; sembra un pollo».4 camicine sono il regalo delle madrine ai figliocci. Nastri, menti che poi vengono assemblati da persone con un
Quanta verità nella descrizione di questi indumenti di- fazzoletti e tessuti sono il dono più frequente per le grado ancora diverso di specializzazione. Fin qui si è
ventati piume che non si tolgono neppure per dormire, donne di casa al ritorno dalle città e dalle fiere. Le serve, parlato di attività femminili, ma nelle città è altrettanto
in questi corpi che senza abiti sembrano non poter pro- come vengono definite le aiutanti domestiche, ricevono frequente l’opera di sarti esperti nella confezione di capi-
prio esistere. Abiti del vivere quotidiano che coprono, ri- per salario il vitto, l’alloggio e qualche capo di abbiglia- spalla da uomo. Di competenza maschile è spesso anche
scaldano, accompagnano il lavoro, la preparazione e la mento smesso o vengono eccezionalmente dotate di la produzione di sopravesti in pelle e pelliccia specie
conclusione della festa, che del vivere subiscono gli ol- qualcuno nuovo. Le balie sono provviste di camicie e nelle varianti di maggior pregio. Capi pronti, soprattutto
traggi e sono destinati a sparire dopo infiniti riutilizzi, grembiuli adatti a significare il loro ruolo e il rango della maschili e infantili, sono venduti nei negozi dei centri
adattamenti e rammendi. Abiti slacciati, sudati, macchiati famiglia presso la quale prestano servizio. Il mantello di più importanti insieme a scialli, fazzoletti, tessuti e filati
e consunti raccontano la vita quotidiana di quanti aspira- orbace viene concesso in dotazione ai lavoranti che so- necessari per la confezione di quelli femminili.
no alla regola vestimentaria della festa e della gala e allo no tenuti a renderlo quando il rapporto di lavoro si in- La moda, italiana e straniera, entra in gioco per gli inevi-
stesso tempo sono costretti a trasgredirla, portandone co- terrompe. Le calzature possono costituire una parte del tabili passaggi tra classi sociali e per il diffondersi delle
munque indosso almeno un segno, anche nella miseria salario annuale dei servi pastori in abbinamento con riviste di moda e di ricamo. Le novità giungono con gli
più oscura, per non sentirsi individui senza patria. derrate alimentari e un po’ di danaro. ambulanti e i loro carichi di nastri e tessuti variopinti ai
In una società nella quale gli abiti hanno una così preci- La confezione di capi di abbigliamento può avvenire in quali le donne si accostano con pari diffidenza e deside-
sa connotazione simbolica, è anche naturale che nelle ambito domestico e può essere compresa nell’insieme rio. Così, fin nelle più piccole località dell’interno, pene-
delle attività proprie della “buona massaia”. In relazione trano stimoli e suggestioni “moderne” e processi di assi-
alla varietà delle situazioni materiali si confezionano capi milazione, più o meno rapidi, si compiono per la ricerca
62. Vedova di Nuoro, 1895, foto d’epoca. per tutti i membri della famiglia, almeno per quanto ri- di novità delle giovani generazioni, favorita anche dal
62 63. Desulo, 1955, fotografia di Mario De Biasi. guarda gli indumenti d’uso giornaliero e, in quelle di commercio di tessuti di cotone a buon mercato, specie

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tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Nello ti a membri dello stesso ambito familiare o capi smessi ricadenti intorno al volto.5 Per quanto riguarda gli abiti diversi capi tra loro, leggendo in questo continuo fluire
stesso periodo si diffondono anche i cataloghi per la dalle “padrone”, donati alle donne di fatica, e poi ripro- femminili le fonti illustrano sia la versione giornaliera, di dati il formarsi di vere e proprie mode locali che, se
moda pronta che divengono fonte di ispirazione soprat- dotti in versioni via via meno lussuose dalle altre popo- completa di scialletto da spalle e zoccoli, sia quella festi- non sono soggette ai repentini mutamenti del gusto ari-
tutto per quanto riguarda la biancheria intima ed i dise- lane. Il fenomeno continua, di passaggio in passaggio, va caratterizzata da indumenti a vita alta, a scollo quadra- stocratico e borghese, mostrano comunque una conti-
gni per ricamo. fino al totale abbandono dell’abito tradizionale di foggia to, accompagnati da calze e scarpe leggere. In entrambi i nua evoluzione e ne interpretano, talvolta con sorpren-
Abiti ispirati alla moda francese e italiana, in voga tra il più antica sostituito da queste varianti che, per i noti at- casi il capo è comunque coperto da un fazzoletto chia- dente tempestività, le influenze e le suggestioni.
1870 e il 1880, entrano a pieno titolo nell’abbigliamento tardamenti, perdurano nell’uso fino al primo trentennio ro.6 Negli acquerelli del Tiole7 è anche descritto un corto L’analisi che segue, pertanto, propone le varie compo-
tradizionale di diverse località della Sardegna per opera del Novecento. In alcune aree questo processo di sosti- giacchino del tutto simile al caraco del primo Ottocento nenti dell’abito tradizionale, descrivendo ciascun indu-
di mogli e figlie di funzionari statali e di commercianti, tuzione non si compie e i modelli sopra descritti restano che completa l’abito di tessuto leggero. mento nella sua funzione, illustrandone quando possibi-
spesso forestiere e dunque portatrici di un diverso stile riservati ad una élite, mentre le classi più povere man- L’analisi classica dell’abbigliamento tradizionale sardo si le l’origine, la cessazione dell’uso o la continuità anche
vestimentario, o anche donne del luogo che, dopo il tengono lo stile vestimentario di tradizione cinque-sei- sofferma, di norma, sugli insiemi festivi e di gala delle in presenza di sostanziali trasformazioni. Le grandi cate-
matrimonio, assumono l’abito di tipo borghese ritenuto settecentesca che continua per tutto l’Ottocento e buona varie località, descritti troppo spesso come immutabili e gorie della festa, del lutto e della quotidianità vengono
più adatto a rappresentare lo stato sociale del capofami- parte del Novecento. resistenti alla modernizzazione, e dei quali si esaltano il trattate insieme nell’analisi delle varie tipologie di indu-
glia. Non potendo riconoscere in queste tipologie una Nell’arco di tempo esaminato nel presente studio vi sono cromatismo, il corredo di gioielli e l’antichità. Superando menti, assorbite in quelli che possono più estesamente
vera e propria caratteristica subregionale, dato che la alcune località, quali Carloforte e la Maddalena, per le l’analisi di tali insiemi, che ad uno studio appropriato ap- essere definiti i sistemi vestimentari maschile, femminile
diffusione interessa in misura più o meno evidente mol- quali non è possibile cogliere altro se non modelli esat- paiono tutt’altro che immutabili, si propone qui un’anali- e infantile.8
te località della Sardegna, vale comunque la pena di se- tamente equivalenti a quelli indossati nella penisola ita- si per quanto possibile approfondita dei vari capi costitu-
gnalare che se in alcune località la presenza dei modelli liana e un po’ in tutta Europa nel primo trentennio del- tivi del sistema vestimentario nel suo complesso.
suddetti influenza solo marginalmente l’abbigliamento l’Ottocento e dei quali, anche per la mancanza di reperti Ogni volta che le fonti e l’esame degli stessi capi lo con-
tradizionale, in altri luoghi finisce per uniformare grada- d’epoca, non si può dare alcuna descrizione sartoriale. sentono si evidenziano le caratteristiche sartoriali e de-
tamente il gusto generale fino a soppiantare totalmente Gli uomini usano completi formati da giacca e pantalo- corative e in particolare quegli elementi che possono
le fogge precedenti. ne abbinati, combinati a gilet e camicia di taglio moder- contraddistinguere, con una sorta di marchio etnico iso-
Sono abiti costituiti da gonna e giacchina realizzati in no, con fazzoletto annodato al collo che si preannuncia lano, indumenti altrimenti comuni e popolarmente con-
combinazione tra loro nei modelli festivi e di gala men- già come una cravatta e con cappello a tesa quale copri- notati sia nell’area europea sia nord africana. Un’osser-
tre negli altri casi, discendendo dalle fogge più ricche a capo. Perfino le pettinature mostrano un incredibile tem- vazione diacronica dei vari indumenti consente anche di
quelle da lavoro, la giacca e la gonna sono assortite in pismo nell’imitare i modelli in auge in Europa: i capelli cogliere i mutamenti più o meno rapidi delle forme sar-
modo più casuale. Possono essere indumenti appartenu- sono corti, acconciati con apparente disordine in ciuffetti toriali di ciascun tipo e la varietà delle combinazioni dei 64. Giuseppe Biasi, Corteo nuziale, 1923 ca., olio su tela (particolare).

66 67
L’abbigliamento
femminile

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COPRICAPO E ACCONCIATURE

I copricapo sono generalmente complessi, costituiti da almeno due elementi sovrapposti, uno dei quali a di-
retto contatto con i capelli, raccolti in varie acconciature, e almeno un secondo, sopra questo. L’uso di co-
prire la testa rende solo ipotizzabile quali acconciature si celino sotto i copricapo dato che anche quelli più
le più giovani, almeno il fazzoletto. In alcune località i copricapo di gala diven-
gono ancora più complessi e continuano a nascondere i capelli, che nel quoti-
diano vengono invece mostrati con più facilità. Fazzoletti, veli e scialli ini-
semplici, come i fazzoletti o le cuffie, nascondono la capigliatura.9 Le donne portano i capelli lunghi intrec- ziano ad essere indossati a diretto contatto con la capigliatura che sempre
ciati in diversi modi, partendo da una scriminatura centrale che divide la massa, viene spesso legata con più spesso viene acconciata e gonfiata all’attaccatura della fronte in
nastri (bìttas o vìttas), colorati per le ragazze e le giovani donne e scuri o neri per le anziane o le vedove. Le conformità con lo stile borghese. La pettinatura a trecce, considerata
trecce possono essere basse e ravvicinate alla scriminatura centrale, alla base del cranio, dove vengono attor- fuori moda dalle ragazze, viene progressivamente abbandonata in
cigliate tra loro a formare una crocchia. Le trecce impostate dietro l’orecchio danno luogo ad un’unica favore della pettinatura a crocchia (curcùddu, mògno) fermata
crocchia che avvolge la base del cranio. Quelle portate alte e legate strettamente sulla sommità del capo (cùc- sul capo o sulla nuca con spilloni d’osso o di metallo; i cam-
cos, cucchèdda, cuccurìnu), raccolte sotto la cuffia o avvolte con fazzoletti, costituiscono la struttura che biamenti di pettinatura sembrano essere più traumatici
consente di modellare i vari tipi di copricapo complessi. Nel primo Novecento, ai mutamenti descritti per gli rispetto alle modifiche dell’abbigliamento e lo scontro
abiti, si affianca anche un diverso modo di acconciare i capelli; fino a questo momento, specie per le donne generazionale si fa talvolta vivace; le giovani che
sposate ed anziane, è regola diffusa quella di ricoprire i capelli quale segno di pudore, di riservatezza, di adottano pettinature alla moda sono guardate
morigeratezza di costumi; tale regola, ferrea fuori dall’ambito domestico, viene per lo più osservata anche al con riprovazione. Si può dire a grandi linee
suo interno, dove è consuetudine che le donne più anziane portino cuffia, fazzoletto o benda sovrapposti e, che, dopo il 1920, le donne mostrano la capi-
gliatura con maggiore libertà e se questa re-
sta comunque celata non lo è più per una
sorta di tabù, ma per dare ancora più risal-
to alle complesse acconciature di gala. Dopo
il 1930 i capelli sono raccolti in una semplice
crocchia, più o meno aderenti al capo, con o
senza scriminatura centrale, e tale acconciatura
è rimasta, pressoché invariata, nelle pettinature
delle donne che continuano ad indossare il cosidetto
abbigliamento di “transizione”.

67

65. Abito femminile da sposa e di gala,


’estìre rùiu, Ittiri, 1950
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.
66. Cuffia festiva e di gala, cugùddu,
Desulo, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.
67. Cuffia festiva, carètta, Lodè, fine sec. XIX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.
68. Cuffia festiva, carètta, Bitti (?), fine sec. XIX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
68 Popolari Sarde.

66
da indossare sempre sotto la benda, sono in panno o
tessuti di cotone dai colori sobri, fino ad arrivare al nero
per le donne molto anziane o in lutto; in tutti i casi ven-
gono legate su un lato del viso, con un semplice laccet-
to. L’antica cuffia di Oliena (camùsciu), irrigidita e sago-
mata con cartone, è realizzata con lampassi broccati
guarniti con larghi galloni d’argento; ad essa può essere
sovrapposto un velo o uno scialle di seta. A Bitti si co-
noscono esemplari di forma molto allungata, in panno,
velluto o tessuti di seta spesso ricamati a motivi geome-
trici e con inserimento di carta di stagnola colorata, ai
quali si sovrappone la benda bianca o lo scialle di seta;
altri esemplari sono ornati con trine in filati metallici
d’oro e d’argento realizzate a fuselli con prevalenza di
motivi a ventaglio di tradizione settecentesca. Non si
può non citare la cuffia di Desulo (cugùddu), certamen-
te la più nota anche fuori dell’isola, divenuta una sorta 72

di simbolo della Sardegna, caratterizzata dall’alternanza


del rosso del tessuto, dell’azzurro dei nastri e del giallo
dei ricami geometrici.
Le cuffie a sacco (cambùsciu, scòffia, trubànti) sono dif-
fuse in tutta la Sardegna, particolarmente in quella cen-
69. Cuffia festiva e di gala,
carètta, Nuoro, seconda
tro-meridionale. Possono essere confezionate in raso e
metà sec. XIX velluto di seta, in filati di lana, lino o cotone o seta lavo-
Nuoro, coll. privata. rati ai ferri o a uncinetto. Il modello è costituito da un
70. Orgosolo, foto d’epoca, rettangolo di tessuto o maglia chiuso sul lato lungo ed
anni Cinquanta. arricciato ad una estremità sulla quale viene talvolta ap-
71. Cuffia festiva e di gala, puntato un fiocco o una nappina. Il lato che rimane
camùsciu, Oliena, seconda aperto, bordato con un nastro di velluto o di taffettà di
metà sec. XIX
69
Oliena, coll. privata. seta, viene calzato all’altezza della fronte e il nastro lega-
70 to a fiocco sulla sommità del capo o annodato dietro la
nuca. Negli esemplari più sfarzosi il fiocco di velluto di
seta nero è guarnito con frange in canutiglia d’oro. Qua-
le che sia il materiale utilizzato, la parte a sacco, più o
Cuffie da giorno meno lunga, ricade morbida e sfiora la parte superiore
Se ne possono distinguere sostanzialmente due tipi: delle spalle, raccogliendo completamente al suo interno
modellate e a sacco. la massa dei capelli acconciati in vario modo. Gli esem-
Le cuffie modellate sono tagliate in tre o più elemen- plari confezionati in tessuto di seta sono quasi sempre
ti uniti tra loro per permettere una giusta aderenza foderati con tela di cotone o lino color crudo. Le cucitu-
al capo, adattandosi ad esso anatomicamente o al- re sono realizzate sia a mano che a macchina. In alcuni
terandone le proporzioni specialmente in lun- comuni del meridione dell’isola si è perso, nel tempo,
ghezza. Diffuse soprattutto nell’area centro-set- l’uso della cuffia della quale resta testimonianza in una
tentrionale, a Nuoro, Fonni, Ittiri, Desulo, Gavoi, fascia con fiocco di velluto più o meno decorato sulla
Oliena, Orgosolo, Bitti, per citare solo qualche quale viene appuntato il velo.
73
esempio, sono in genere confezionate con pan-
no scarlatto, velluto di seta liscio o operato a Cuffie da notte e da letto e il 1930, sono presenti cuffie da notte di foggia borghe-
motivi floreali, raso di seta. La fodera e le imbot- Le cuffie da notte vere e proprie sono assai rare perché, se, utilizzate soprattutto durante la degenza a letto, dopo
titure, che variano in relazione al modello, sono considerate alla stregua di capi intimi, non venivano con- il parto. Si tratta di preziosi esemplari confezionati in sot-
in genere in grossa tela di cotone o lino con ele- servate per lo scarso valore venale. Il loro uso è docu- tile taffettà e organza di seta o bisso di lino che presenta-
menti in tessuto, cuoio o cartone inseriti per au- mentato fino agli anni Quaranta del Novecento da parte no ricami su tela sfilata o inserimenti di falsature in pizzo
mentarne la rigidezza. Sulle cuffie così confezio- di donne anziane che prediligono tessuti morbidi di co- meccanico tipo Valenciennes; i modelli sono chiaramen-
nate compaiono vari tipi di ornamentazioni, tanto tone (tela o mollettone) e modelli semplici, sagomati sul te borghesi senza alcuna modifica d’impronta popolare.
più preziose per l’uso festivo e di gala. Le cuffie di capo, simili a quelli dei bambini, o modelli a sacco.10
gala nuoresi (carèttas), usate sotto la benda sino alla Le donne più giovani utilizzano semplici fazzoletti di co-
fine dell’Ottocento, sono confezionate in panno scar- tone in tinta unita o a fiorami, ma più spesso raccolgono 72. Cuffia festiva e di gala, capiàle, Ollolai, prima metà sec. XX
latto e talvolta ricamate con un motivo a stella in ca- i capelli in due trecce trattenute da nastri morbidi. In al- Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
nutiglia d’oro e d’argento; quelle per uso giornaliero, 71
cuni corredi particolarmente preziosi, databili tra il 1910 73. Ollolai, foto d’epoca, anni Venti.

72 73
78
77

75

74. Cuffia, iscòffia, Ittiri, prima metà sec. XX


Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
75. Cuffia festiva, scòffia, Iglesias, fine sec. XIX-inizio XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
76. Cuffia festiva, scòffia, Iglesias, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
77. Cuffia festiva, iscòffia, Atzara, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
78. Cuffia di gala, berrìtta, scùffia, Quartu S. Elena,
primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
79. Cuffia di gala, berrìtta, scùffia, Quartu S. Elena/Monserrato,
fine sec. XIX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

74 76 79
Bende
Con il termine benda (Nuoro, Orani: bènda; Orgosolo:
liónzu; Bitti: vèla; Atzara, Benetutti e Bono: tiazòla;
Fonni: tivagèdda, a titolo d’esempio) si indicano i co-
pricapo aventi quale principale caratteristica quella di
essere più lunghi che larghi,11 di avere la sola dimen-
sione piana e di venire utilizzati avvolti attorno al vol-
to, passando sotto il mento e ricoprendo la gola del
tutto o in parte. Sotto le bende si indossano sempre al-
tri tipi di copricapo quali cuffie, fazzoletti o nastri che
integrano e sostengono l’acconciatura dei capelli per
ottenere i volumi desiderati. A loro volta le bende pos-
sono essere indossate sotto manti, manticelli ecc. Si trat-
ta di indumenti estremamente interessanti derivati da
fogge assai arcaiche ampiamente attestate nell’icono-
grafia colta italiana tardomedievale e rinascimentale
che in Sardegna hanno avuto particolare fortuna so-
pravvivendo, con piccole, continue modifiche, fino al
primo decennio del Novecento; dopo questa data solo
80 83 84
in alcuni paesi ne è perdurato l’impiego, riservato ad
insiemi vestimentari di gala e in alternativa a forme di 80. Bono, foto d’epoca, inizio sec. XX. precisamente circoscritti. A Nuoro, ad esempio, l’insie-
copricapo meno complesse e di gusto moderno. L’ico- me vestimentario da sposa di famiglia agiata, codificato
nografia più antica, le testimonianze e le fonti orali ci intorno alla metà dell’Ottocento ed utilizzato con qual-
permettono di affermare che l’uso della benda è, in Sar- che variante fino al primo decennio del Novecento,
degna, riservato alle donne maritate, o comunque adul- prevede l’uso della benda bianca, di tessuto di seta o
te, non diversamente da quanto accade anche in Italia di cotone. Tale copricapo è precluso alle donne non
per tutto il Trecento dove le bende sono il copricapo sposate con la sola eccezione delle giovani parenti nu-
proprio delle donne mature per poi diventare quello de- 81. Benda festiva, tiazòla, Benetutti, primo decennio sec. XX bili della sposa che in occasione delle nozze l’accom-
gli ordini monastici.12 Le fonti orali e, più raramente, Benetutti, coll. privata. pagnano durante il corteo indossando anch’esse l’insie-
quelle iconografiche informano dell’utilizzo della benda 82. Benda festiva, tiazòla, Bono, prima metà sec. XX me da sposa completo di benda. Al di fuori da questa
anche da parte delle donne nubili, in contesti cerimoniali Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. occasione l’utilizzo da parte delle nubili della benda e 85
dell’insieme dei gioielli propri delle spose è fortemente
censurato. Le fonti iconografiche dei primi decenni
dell’Ottocento attestano la presenza, in varie località
dell’isola, delle bende, nel tempo soppiantate da forme
di copricapo più “moderne”; solo in alcune località le
bende vengono utilizzate fino ai primi decenni del No-
vecento con modifiche, anche notevoli, nelle dimen-
sioni e nel modo di indossarle.
Per la confezione di questi capi è consueto l’uso di tela
di cotone o di lino di colore bianco, anche se qualche
fonte informa della presenza di bende di seta, bianche
o gialle. Il colore giallo o bruno, sia in lino sia in coto-
ne, o il giallo, velato con un sottile tessuto di garza ne-
ro, è ampiamente usato nella condizione di mezzo lut-
to; per il lutto stretto, riservato alle vedove, è previsto
81
l’uso del colore nero in capi di tela di cotone, lino o ti-
bet di lana. Fa eccezione a questa regola cromatica la

83. Orani, cartolina illustrata, inizio sec. XX.


84. Atzara, anni Venti, fotografia di A. Ferri.
85. Bono, cartolina illustrata, inizio sec. XX.
86. Benda festiva, tiazòla, Bono, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

82 86
benda di Orgosolo, detta liónzu, di colore giallo anche Fazzoletti
nell’abbigliamento festivo e nuziale.13 Si tratta di un ca- Un pezzo di tessuto indossato a protezione della testa e
po realizzato con un tessuto di seta prodotta in loco. del volto: così potrebbe essere banalmente descritto il
L’allevamento dei bachi, la trattura del filo, la filatura e fazzoletto, copricapo femminile popolare per eccellen-
tutte le operazioni necessarie fino alla tessitura avven- za. Quando questo tessuto abbia iniziato ad essere usa-
gono in ambito familiare. Il colore giallo è ottenuto con to stabilmente come copricapo, quando la sua forma sia
lo zafferano.14 Le bende sono quasi sempre prive di or- stata codificata in quella quadrangolare, allo stato attua-
namentazioni e presentano orli sottili cuciti a mano, a le degli studi non può essere detto con sicurezza per
punto Parigi, a giorno o a macchina. In qualche caso gli nessuna delle varianti presenti nei paesi del bacino del
orli a giorno sono più complessi e il capo ha una parte, Mediterraneo e non sarà il caso di tentare alcuna ipotesi
in genere ad angolo, ricamata su tela sfilata, a intaglio, neppure per quelle sarde. Questo studio si limiterà per-
o con inserti in filet. Gli orli sono orientati in direzione tanto a descrivere i modelli più diffusi, la loro specifica
diritto rovescio, in relazione al modo di avvolgere la funzione e l’evoluzione del gusto.
striscia attorno al capo o di ripiegarla per la stiratura. I fazzoletti di forma quadrata da piegare a triangolo o
Ad eccezione della benda di Orgosolo, che si conserva quelli triangolari, utilizzati nell’isola tra il XIX e il XX se-
semplicemente arrotolata, gli altri tipi di bende, con colo, sono per lo più prodotti industriali tessuti con fila-
ti di lana, cotone e seta quali il crespo di lana e di seta,
grandi differenze da luogo a luogo, richiedono com-
il damasco di cotone o seta, i taffettà uniti, cangianti o
plesse operazioni di apprettatura con amidi a freddo o
operati a motivi floreali sia in tinta unita sia policromi, i
87 a caldo se di colore chiaro, con cera se di colore scuro. 89
rasatelli in lana e cotone spesso stampati a motivi flo-
reali o geometrici.15 La confezione prevede un sottile
orlo realizzato a macchina o a mano. Questo tipo di 89. Sennori, foto d’epoca, anni Cinquanta.
87. Orgosolo, anni Venti,
fotografia di A. Ferri. fazzoletti viene stretto intorno al capo avvolgendo la 90. Fazzoletto e velo, muccalóru biàncu e ’élu, nell’insieme festivo
88. Benda, liónzu, nell’insieme festivo e
capigliatura con le cocche riportate sulla sommità op- e di gala, Sennori, prima metà sec. XX
pure annodate sotto la nuca. I fazzoletti indossati in Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
di gala, Orgosolo, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle questo modo sostituiscono di fatto le cuffie, proteggo-
Tradizioni Popolari Sarde. no il copricapo soprastante dal contatto diretto con la
capigliatura e danno sostegno e volume all’insieme del-
l’acconciatura. In alcuni casi è presente un ricamo im-
postato su uno dei lembi destinati a rimanere in vista
quando indossato in insiemi complessi con benda o al-
tri fazzoletti sovrapposti come avviene a Bono, Anela,
Sennori. Questo genere di fazzoletti può anche essere
indossato con le cocche morbidamente annodate sotto
il mento o su un lato del volto e può essere a vista o
associato ad un copricapo sovrapposto: velo o scialle di
seta (Settimo S. Pietro, Monserrato, Pirri, Quartu, Selar-
gius), manticello (Lanusei, Samugheo), benda (Atzara).
A Busachi si segnala l’uso di un fazzoletto di tela di co-
tone o lino, di forma quadrata, che, ripiegato a rettan-
golo, viene indossato con i lembi liberi o annodati
sotto il mento, posato su un fazzoletto stretto sul ca-
po; il colore è bianco candido per l’uso giornaliero
o giallo per il lutto.
Nell’area centro-meridionale sono particolarmente
diffusi ampi fazzoletti in tessuti di lana o cotone
stampati.16 Sono caratterizzati da tonalità croma-
tiche molto calde e cupe, con fondi uniti e cor-
nici a grandi motivi floreali ottenuti a stampa.
La grandissima diffusione di questi indumen-
ti, tra la fine dell’Ottocento e i primi del
Novecento, fa supporre che il loro costo
fosse divenuto accessibile ai più ed è da
porre in relazione con l’altrettanto vasta
presenza di tele di cotone stampato,
le cosiddette indiane, che ricopri-
ranno un ruolo molto importante

88 90
nella confezione di diversi indumenti tradizionali. I capi
destinati all’abbigliamento festivo delle ragazze o delle
donne più giovani sono spesso a vivaci colori eviden-
ziati con bordure e frange in tinta. Questi grandi fazzo-
letti vengono in genere ripiegati a triangolo e poi adat-
tati sul capo, fissandoli con una spilla al copricapo
sottostante e lasciando i lembi aperti o annodati morbi-
damente all’altezza del petto. In alcune località vengono
appuntati al copricapo sottostante e fatti ricadere senza
ulteriori piegature. Questo modo di utilizzarli può aver
indotto alcuni viaggiatori dell’Ottocento, ed anche qual-
che studioso locale, a ritenere diffusi nell’isola i mezzari
genovesi. In realtà, salvo usi sporadici dei preziosi mez-
zari in ambiti sociali particolarmente agiati, i fazzoletti
di cui si parla possono essere considerati delle imitazio-
ni a buon mercato.17
I fazzoletti in tibet di lana nei colori crema, tabacco, mar-
rone bruciato, nero, blu hanno forma quadrata e vengo-
no indossati ripiegati a triangolo. Attestati sin dalla fine
dell’Ottocento, si diffondono presto in quasi tutta l’isola,
in molte varianti locali, dapprima affiancandosi ai model-
li di copricapo più arcaici e poi finendo per sostituirli
quasi ovunque, con il variare dell’intero insieme vesti-
mentario. Le dimensioni cambiano sia in relazione al
luogo che ai momenti di utilizzazione. Con larga genera- 92

lizzazione possiamo ad esempio affermare che nella Sar- 92. Sant’Antioco, cartolina illustrata, inizio sec. XX.
degna centrale, tra la fine dell’Ottocento e i primi del
93. Fazzoletto festivo da nubile, muncalóru,
Novecento, le dimensioni medie sono piuttosto ampie Settimo S. Pietro, prima metà sec. XX
mentre si riducono fortemente avvicinandosi ai momenti Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
finali della loro utilizzazione (1950 ed oltre nell’abbiglia- 94. Fazzoletto giornaliero, macalóru, Macomer, prima metà sec. XX
mento di “transizione”).18 La confezione di questi capi Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

91. Fazzoletti festivi, muccadòres,


provenienza varia, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle
Tradizioni Popolari Sarde. 91 93 94
95 96 97 98

prevede un sottile orlo realizzato a macchina o a mano o 95. Fazzoletto giornaliero, muncalóru ispàrtu,
Ittiri, prima metà sec. XX
a piccoli smerli ricamati a punto festone con cordoncino Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
di seta in tinta o in contrasto cromatico. In alcune loca- Popolari Sarde.
lità come Nuoro, Orosei, Fonni, Mamoiada, il fazzoletto 96. Fazzoletto festivo, muccadòre,
viene ricamato in corrispondenza del triangolo posterio- Orani, inizio sec. XX
re, con la medesima tecnica decorativa usata per altre Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.
parti dell’abito festivo, quali il corpetto, il grembiule o la
gonna. Possono pertanto essere presenti temi floreali a 97. Fazzoletto festivo e di gala, muccadòre,
Benetutti, 1948
ghirlanda, motivi geometrici a greca o triangoli, anche Benetutti, coll. privata.
in combinazioni tra loro, realizzati a punto raso, er- 98. Fazzoletto festivo e di gala, muccadòre,
ba, pittura, pieno, con fili di seta policromi e canu- Nuoro, inizio sec. XX
tiglia d’oro e d’argento; per completare il ricamo Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
sono talvolta inseriti lustrini, perline e vetri colo- Popolari Sarde.
rati. Nei luoghi in cui l’abito tradizionale viene 99. Fazzoletto giornaliero, muncadòre biàncu,
Busachi, primo decennio sec. XX
ancora oggi utilizzato in ambito festivo si in- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
troducono ulteriori modifiche soprattutto nel- Popolari Sarde.
l’impostazione dell’ornato. Questo tipo di 100. Fazzoletto festivo, mucadòre,
fazzoletti, che costituiscono, sia nella ver- Mamoiada, prima metà sec. XX
sione inornata che in quella ricamata, la Mamoiada, coll. privata.
continuità tra il sistema vestimentario tra-
dizionale e l’abbigliamento di “transizio-
ne”, vengono indossati ripiegati a trian-
golo, riducendone l’ampiezza con una
o due pieghe in corrispondenza del
lato lungo che incornicia il viso. In
alcune località questa parte viene
fissata a punti nascosti ad un sup-
porto che ne irrigidisce il profilo
(Fonni). Le cocche vengono in ge-
nere raccolte incrociandole sotto il
mento e fissandole verso l’interno,
all’altezza dell’orecchio. In ambito
domestico i lembi possono essere
sollevati e riportati sulla sommità
del capo.

99 100
Manticelli ma quadrangolare piana (Ploaghe: mantéddu; Samu- sono così disposti da lasciare in evidenza, al centro, il
Si tratta di un genere di copricapo molto diffuso nella gheo: mantighéddu; Lanusei: colòri ) o presentano un panno rosso che forma un motivo a croce. Il ritratto di
Sardegna dell’Ottocento e del primo Novecento che tro- lato arrotondato (Villagrande Strisaili: colòre ; Tertenia: Anna Lucia Figone Spano, madre dell’archeologo Gio-
va oggi attestazioni limitate per i citati fenomeni di mo- màntu) oppure, come il cappùzzu di Gavoi, sono sago- vanni Spano, conservato presso la Facoltà di Lettere di
dernizzazione. Il copricapo definito manticello ha di- mati per adattarsi alla sommità del capo in una sorta di Cagliari e risalente all’inizio del XVIII sec., è di partico-
mensioni ridotte,19 ricopre il capo, i lati del volto e cappuccio i cui lembi inferiori scendono liberi sulle lare interesse per lo studio dell’evoluzione di questo co-
sfiora gli omeri. È confezionato per lo più con panno di spalle. A Ploaghe il manticello è confezionato con pan- pricapo perché mostra una versione più morbida di
lana ed è bordato con taffettà di seta o velluto, nastri e no di lana rosso o giallo di forma quadrangolare che quella in voga attualmente, nella quale il tessuto di seta
passamanerie in tinta contrastante. Le cuciture sono rea- viene ricoperto con quattro elementi di tessuto di seta in in colore contrastante è applicato nella sola parte ante-
lizzate a mano o a macchina. Alcuni modelli hanno for- tinta unita o velluto operato a fiorami; questi elementi riore; interessante è anche il fatto che venga chiaramente
103

103. Serri, foto d’epoca, primo decennio sec. XX.


101-102. Manticello festivo e di gala, colòri,
Lanusei, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.

101 102
indossato sovrapposto ad una benda a soggolo. Lo stes-
so modello è riprodotto in alcune tempere (1870-80) di
Simone Manca di Mores che raffigurano una donna di
Ploaghe in abito di gala con manticello giallo bordato
di celeste. In Ogliastra i bordi del manticello sono evi-
denziati con nastri di taffettà in colore contrastante ri-
spetto al tessuto, e il punto di unione è anche sottoli-
neato con un fine ricamo a dentelli realizzato con
cordoncini di seta; tipico di tutta l’area ogliastrina è il
modo di fissarlo sotto il mento con un soggolo a catena
(gancèra, càncios de frénu, cadenàtzas) in lamina e fi-
ligrana d’argento con ganci in lamina cuciti al tessuto.
Anche in questo caso l’indumento si indossa sopra un
fazzoletto o uno scialle. Il manticello in uso a Samu-
gheo, che è parte di una complessa acconciatura costi-
tuita da almeno tre fazzoletti di diverso tipo, ha forma
rettangolare ed è confezionato con panno o tessuto ti-
po loden di colore verde; la sola parte anteriore è rica-
mata a motivi floreali e geometrici ed è guarnita con
applicazioni di lustrini e passamanerie. A Fonni, di
panno bordato d’azzurro, viene indossato in mo-
do da ricoprire tutta la parte superiore del bu-
sto tenendolo chiuso completamente sul petto.
A Gavoi è bordato in taffettà di seta o pizzo
nero e, negli esemplari recenti, viene in-
104 105 dossato sovrapposto alla sola cuffia.
107

104. Ploaghe, foto d’epoca, fine sec. XIX.


105. Fonni, foto d’epoca, primo decennio sec. XX.
106. Manticello festivo e di gala, mantéddu,
Ploaghe, anni Cinquanta
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
107. Manticello, mantighéddu, nell’insieme festivo e di
gala, Samugheo, 1930
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
108. Manticello festivo, mantìgliu, Carloforte,
prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
109. Manto di gala, capìtta, Osilo, seconda metà sec. XIX
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna.
110. Manto di gala, capìtta, Osilo, fine sec. XIX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
111. Manto di gala, capìtta, Osilo, primo decennio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

106 108 109


110 111
Manti
L’iconografia più antica mostra con grande frequenza
immagini di donne abbigliate con manti da testa di am-
piezza maggiore rispetto ai manticelli descritti in prece-
denza. In qualche località questo tipo di copricapo è
ancora presente nell’abbigliamento tradizionale e nume-
rosi sono i reperti d’epoca che ne testimoniano una va-
sta diffusione tra tutti i ceti sociali sia negli abiti di gala
che in quelli giornalieri e da lutto. Si indossano sempre
sovrapposti ad insiemi di cuffia/benda, cuffia/velo o faz-
zoletto. L’ampiezza varia in relazione al modello mentre
la lunghezza è tale da coprire il capo e tutto il busto ar-
116. Iglesias, cartolina
rivando fino al bacino. I modelli più semplici sono quel- illustrata, inizio sec. XX.
li di forma quadrangolare, in piano, confezionati in pan- 118
117. Panattàra di Cagliari,
no o orbace e ornati con applicazioni di velluto, nastri e cartolina illustrata,
ricami. A Bitti un manto di questo tipo si indossa sopra di gala di Iglesias, Alghero e Tortolì (mantìglia) hanno fine sec. XIX.
l’insieme costituito da cuffia e benda o cuffia e fazzolet- 112 116 forma ad amigdala con lati lunghi asimmetrici. Sono 118. Manto festivo e di gala,
to. Ad Aritzo (cappùcciu), dove si sovrappone allo scialle confezionati in panno di lana rosso con bordi in trina mantìglia, Iglesias, seconda
d’argento lavorata a fuselli, oppure in raso di seta bian- metà sec. XIX
di seta o al velo di tulle, la forma è più complessa: ha la Roma, Museo Nazionale
parte superiore sagomata che permette di calzarlo sulla co con larga bordura in raso di seta az- delle Arti e delle Tradizioni
testa come un cappuccio mentre i lembi sciolti arrivano a zurro. Sono indumenti riservati a Popolari.
coprire i fianchi. A Desulo esiste un modello di forma donne benestanti e maritate che si 119. Manto festivo e di gala,
trapezoidale in orbace, identico al grembiule (saùcciu ’e indossano sempre sopra la cuf- mantéddu o mantìglia a
fia o in associazione al velo di arrànda ’e pràta, Cagliari,
liàre) per un uso quotidiano e festivo, e un modello fine sec. XIX
d’uso strettamente cerimoniale (cappùcciu) in panno tulle. Dal Nuorese provengo- Nuoro, Museo della
nero con pieghe che partono a raggiera dalla sommità no manti della stessa forma, Vita e delle Tradizioni
del capo e bordi in taffettà di seta, o in damasco di seta in panno bordato con na- Popolari Sarde.

nero nelle ultime lussuose varianti. Di forma rettangola- stri a motivi floreali, op-
pure confezionati con
re piana sono anche i manti di panno di lana verde o
preziosi lampassi broc-
azzurro di S. Antioco (pannìcciu de colòri ). I manti delle
cati a motivi floreali
ricche popolane di Cagliari (panattàre), detti mantéddu
policromi, orlati con
o mantìglia a arrànda ’e pràta, e quelli tipici degli abiti 113 117
trine d’argento a fu-
selli; questi capi, la cui datazione può essere
compresa tra il tardo Settecento e i primi de-
cenni dell’Ottocento, sembrano essere associa-
ti a sistemi vestimentari assai rari, di chiara
influenza spagnola, prerogativa delle classi
più elevate della società del tempo.20

112. Aritzo, anni Venti, fotografia di A. Ferri.


113. Desulo, foto d’epoca, anni Venti.
114. Manto festivo e di gala, cappùcciu,
Desulo, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle
Tradizioni Popolari Sarde.
115. Manto festivo e di gala,
cappùcciu, Aritzo, inizio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle
Tradizioni Popolari Sarde.

114 115 119


120 121

Scialli
Si tratta di grandi fazzoletti quadrangolari con frange che
hanno incontrato larga fortuna nell’abbigliamento femmi-
nile a partire dalla fine dell’Ottocento, arrivando a sop-
piantare le altre fogge di copricapo. Se ne distinguono
due grandi tipologie di importazione nazionale ed estera.
Scialli di seta in tessuti leggeri operati su base damasco
o taffettà21 o più pesanti come i cannellati caratterizzati
da una bicromia o tricromia che valorizza i motivi flo-
reali stilizzati di grandi e medie dimensioni. Questo ge-
nere di scialli è usato in tutta l’isola negli insiemi vesti-
mentari di gala di moltissimi paesi quali Aggius, Bitti,
Dorgali, Irgoli, Lula, Oliena, Orosei, Orune, Settimo San
Pietro, Sinnai, Quartu, per fare solo qualche esempio.
Vengono sempre indossati ripiegati a triangolo, even-
tualmente riducendo l’ampiezza anteriore con ulteriori
piegature come stabilito dalle usanze locali. Tradizional- morbidamente sul petto. Solo nell’ultima fase di utilizza-
mente sono indossati sovrapposti a cuffie o fazzoletti, zione, dopo il 1920, in qualche località si è preso ad in-
lasciando ricadere i lembi lungo il busto o annodandoli dossarli a diretto contatto con la capigliatura raccolta a
crocchia: si tratta di momenti di grande trasformazione
che preludono ad una cessazione del loro utilizzo in
ambito tradizionale.
Grande fortuna hanno, in tutta l’isola, gli scialli in tibet
di lana di forma quadrata22 nei colori tabacco, marrone,
nero o, più raramente, blu scuro. Si acquistano già or-
nati con frangia in cordoncino di seta in tinta, annodato
con la tecnica del macramè, oppure vengono confezio-
nati in loco acquistando il tessuto e poi provvedendo a
realizzare la frangia con la forma di intreccio preferita.23
L’altezza della bordura, il tipo di annodatura e anche la
lunghezza delle frange, variando da zona a zona, costi-
tuiscono elemento di riconoscimento geografico e di
datazione. Di norma gli esemplari più antichi hanno,
infatti, dimensioni ridotte e frange più corte. L’in-
troduzione di questi scialli sembra aver inizio nel
primo Ottocento; si diffondono rapidamente e
non sempre, ma spesso, sostituiscono i copricapo
preesistenti o vengono indossati in alternativa

120. Dorgali, foto d’epoca, fine sec. XIX-inizio XX.


121. Dorgali, foto d’epoca, fine sec. XIX- inizio XX.
122. Scialle festivo e di gala, pannúzzu ’e sèda,
Dorgali, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.
123. Scialle festivo, pannúzzu recamàu,
Dorgali, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.
124. Scialle festivo e di gala,
muncadòre, Oliena, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.
125. Scialle festivo e di gala,
muncadòre, Oliena, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.

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ad essi; ad Orgosolo, ad esempio, lo scialle non sop- al modello codificato intorno al 1930 e utilizzato nell’in-
pianta la benda nell’abito di gala, ma resta “confinato” sieme da sposa fino agli anni Cinquanta del Novecento.
ad un uso giornaliero o semifestivo indossato sopra la In tutta la Sardegna centro-meridionale gli scialli di
cuffia, con i lembi raccolti sotto il mento. Lo stesso tipo questo tipo presentano estesi ricami floreali a vivaci co-
di scialli viene anche ornato con ricami floreali realizza- lori o prediligono cromatismi più raffinati e sobri nei
ti con fili di seta policromi, secondo moduli decorativi toni spenti delle terre sul fondo tabacco o marrone del
di tradizione settecentesca prima, ottocentesca poi, con tessuto.
variazioni nella tipologia dei punti di ricamo e nei cro-
matismi che giungono alla massima enfasi nei primi de-
cenni del Novecento. I motivi ornamentali interessano 126. Scialle festivo e di gala, sciallètto o mucatòre de sèta,
Orune, inizio sec. XX
sempre la parte posteriore triangolare che ricopre il ca- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
po e le spalle e sono costituiti da mazzi di fiori circon-
127. Scialle giornaliero, mucadòre,
dati da ghirlande di fiori e spighe; sporadicamente sono Ollolai, prima metà sec. XX
anche presenti elementi zoomorfi, uccelli esotici e far- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
falle, chiaramente tratti dall’ornamentazione di nastri e 128. Scialle festivo e di gala, issàllu ’e sèta,
tessuti serici d’importazione. Anche la tipologia del ri- Orosei, fine sec. XIX
camo e la sua disposizione permettono l’attribuzione Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
geografica e temporale. A Dorgali lo scialle, detto 129. Scialle festivo e di gala, sciàllu,
pannùzzu recamàu, presenta delicati ricami floreali, Settimo S. Pietro, inizio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
viene piegato a triangolo e indossato su una complessa
130. Oliena, foto d’epoca, inizio sec. XX.
acconciatura costituita dai capelli intrecciati con fazzo-
letti variopinti. Ad Oliena lo stesso tipo di scialle, mun- 131. Ollolai, foto d’epoca, anni Trenta.
cadòre, conosce nel tempo diversi stili di ricamo, fino 132. Benetutti, foto d’epoca, fine sec. XIX.
130 131 132

96 97
Veli
Benché si tratti, per forma e dimensioni, di grandi fazzo-
letti24 riservati ad un uso festivo, i veli vengono conside-
rati a parte perché caratterizzati dall’impiego di tessuti
trasparenti quali l’organza, la garza o il tulle meccanico
di cotone, lino o seta, a maglia per lo più esagonale. È
plausibile che i primi esemplari fossero già diffusi sul fi-
nire del Settecento, presso i ceti abbienti, e che poi sia-
no passati all’ambito popolare con sempre maggiore fre-
quenza tra l’Ottocento e il Novecento con la crescente
disponibilità sul mercato del tulle meccanico di cotone.

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137
133. Abito femminile festivo e di gala, Oristano, prima metà sec. XX Già in alcune tavole del Tiole e del La Marmora si os- coprendo la gola e il petto (Osilo, Sennori: ’élu).
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
servano diversi insiemi vestimentari di gala caratterizza- I motivi decorativi sono sempre di carattere floreale,
134-136. Velo festivo e di gala, tùllu, Ittiri, prima metà sec. XX ti dal copricapo di velo; l’iconografia successiva attesta più o meno raffinati, e sono realizzati con fili di cotone
Sassari, coll. privata.
un incremento dell’uso che diviene poi generalizzato. o seta in tinta messi in opera a punto catenella, filza,
137. Velo festivo e di gala, vélu, Oristano, prima metà sec. XX La diffusione sembra partire dalle coste via via raggiun- pieno, pieno imbottito, rammendo, tela, festone e cor-
Oristano, coll. Enrico Fiori.
gendo le aree più interne della Barbagia dove i veli di doncino con i quali si realizzano anche decorazioni a
questo tipo sostituiscono i manti e i manticelli degli traforo a fili tirati.
abiti tradizionali negli insiemi vestimentari definiti “co- Come le bende, anche i veli richiedono un’accurata sti-
stume da sposa” nei quali, seguendo la moda borghe- ratura che può prevedere l’apprettatura a caldo o a
138. Velo festivo e di gala, vélu,
se, il velo bianco diviene vero simbolo delle nozze sia freddo. Caratteristica dello “stile locale” è proprio il mo-
Monserrato/Quartu S. Elena, fine sec. XIX per il colore che per la leggerezza e la trasparenza del do di stirare e posare sul capo un tipo di velo che per il
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. tessuto. I modelli di forma quadrata vengono indossati resto potrebbe altrimenti risultare identico tra un paese
139. Velo festivo e di gala, muccadòre biàncu, ripiegati a triangolo, pertanto è frequente una ornamen- e l’altro e che invece, proprio con questi accorgimenti,
Teulada, prima metà sec. XX tazione ricamata simmetricamente negli angoli contrap- caratterizza fortemente lo stile vestimentario dell’una o
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
posti o riservata alla sola parte triangolare che ricade dell’altra località. I veli di tulle vengono perciò inamida-
140. Velo festivo e di gala, muncadòri biàncu, sulle spalle, destinando un ornato più semplice a quella ti in modi diversi a seconda dell’uso cui sono destinati.
Iglesias, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. sottostante. L’amido cotto o la colla di pesce danno consistenza qua-
I veli di forma quadrata o rettangolare vengono indossa- si vetrosa agli esemplari di Samugheo, Busachi, Iglesias,
141. Velo festivo e di gala, muncadòre ’e tùllu,
Busachi, seconda metà sec. XIX ti completamente aperti a ricadere sulle spalle; in questo S. Antioco, Teulada ecc.; Ollolai, Aritzo, Orosei e tutta
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. caso la parte anteriore corrispondente alla sommità del l’area del Campidano di Oristano e di Cagliari prediligo-
142. Osilo, cartolina illustrata, inizio sec. XX. capo viene rinforzata e ornata con l’applicazione di un no apprettature più leggere come anche Osilo, Sennori
143. Abito femminile festivo e di gala, ’estìre rùiu, Ittiri, 1950
pizzo meccanico o a mano. A Samugheo e Busachi il e Tempio; a Ittiri, Florinas e in tutta l’area anglonese,
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. velo (muncadòre ’e tùllu) viene ripiegato a metà, a for- dove il velo si porta sciolto a ricadere sulle spalle, viene
144. Abito femminile festivo e di gala, Ollolai, inizio sec. XX ma di rettangolo. Altri tipi di velo di forma rettangolare apprettata, e comunque rinforzata con un merletto di
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. vengono drappeggiati in vario modo attorno al capo, supporto, solo la parte anteriore. 142

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143 144
Grembiuli da testa
In alcune località della Sardegna centrale e meridio-
nale è attestato, fin dai primi decenni dell’Ottocento,
l’uso di un copricapo del tutto analogo ad un grem-
biule, di colore nero, che viene indossato ponen-
dolo trasversalmente sul capo, come attestato dal-
la tavola del Tiole raffigurante una popolana di
Milis. I grembiuli da testa, soprattutto negli in-
siemi giornalieri, sono in verità diffusi in tutta
l’isola con diverse denominazioni quali pan-
néllu ’e cugùddu o fàlda ’e coveccàre, defi-
nizione questa che può anche far riferi-
mento alle gonne da testa descritte più
avanti. In qualche caso sono anche pre-
senti i lacci che, privati della loro ini-
ziale funzione, vengono legati a fioc-
co e ricadono liberamente su una
spalla. A Desulo questo copricapo
è del tutto uguale al grembiule,
sia per forma che per ornamen-
tazione, e viene allacciato sot-
to il mento con una catenella
d’argento. I grembiuli da testa
145
vengono sempre sovrapposti
ad altri elementi (veli, fazzoletti, cuf-
fie) ed è possibile che la loro presenza an-
che in ambito festivo sia dovuta ad una iniziale necessità
di proteggere dalle intemperie il copricapo sottostante
quando questo sia realizzato in tessuto prezioso. Non è
comunque da trascurare il fatto che questo genere di in-
dumenti serve anche a mitigare l’aspetto festivo di un
copricapo troppo chiaro o lussuoso se indossato in par-
ticolari momenti della vita sociale quali le visite di con-
doglianze o la partecipazione a funzioni religiose in suf-
fragio di defunti. Un’ulteriore variante è costituita dai
grembiuli posteriori da rialzare sul capo. A Isili il caratte-
ristico indumento detto fàsca viene realizzato in tessuto
pesante di lana e indossato allacciandolo in vita e rial-
zandolo sulla testa a coprire la parte posteriore del bu-
sto e il capo. A Ozieri, riservato alle donne agiate, è det-
to màntu ed è confezionato in tessuto di seta di colore
nero (raso, taffettà).25 I grembiuli da testa, dei quali si
conservano solo pochi esemplari d’epoca, hanno cono-
sciuto una notevole diffusione fino a tutto l’Ottocento
analogamente a quanto è avvenuto nella penisola italia-
na dove l’uso, a livello popolare, è documentato dalla fi-
ne del Seicento ed è continuato per tutto l’Ottocento.

145. Grembiule da testa giornaliero, pannéllu ’e cugùddu,


Ittiri, inizio sec. XX, Sassari, coll. privata.
146. N.B. Tiole, Paysans de Milis, 1819-24, acquerello su carta.
147. Desulo, 1955, fotografia di Mario De Biasi. 148

148. Grembiule da testa festivo, saùcciu,


Desulo, primi decenni sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
146 147

104
Gonne da testa o gonne-copricapo tessuto contrastante è applicato sia all’esterno che al-
Sono tipi di copricapo diffusi soprattutto nella Sardegna l’interno. La parte corrispondente al punto vita viene
settentrionale (ad esempio a Sorso, Ittiri, Tempio), confe- posata sul capo, già coperto con un fazzoletto, così che
zionati come una vera gonna arricciata se non fosse per l’indumento ricade lungo la schiena e, nella differente
le ridotte dimensioni della lunghezza, dell’ampiezza to- lunghezza, mostra sia il bordo applicato sul diritto sia
tale e del giro vita. Sono noti come bunnèdda a cappìt- quello sul rovescio.
ta,26 munnèdda ’e cugùddu o suncurìnu o zuncurìnu.27
Per le loro dimensioni e per il modo di indossarle non
possono perciò essere confuse con le doppie gonne
che coprono il capo rialzando la parte posteriore28 e
delle quali si dirà più avanti. È del tutto naturale inter-
rogarsi su una così strana foggia che, a guardare la fun-
zione, potrebbe essere sostituita con vantaggio da un
semplice manto. È possibile che derivi dalla necessità
di coprire il capo uscendo di casa all’improvviso utiliz-
zando proprio una vera gonna che, anziché essere in-
dossata cingendola in vita, viene posata semplicemente
sul capo; nel tempo questa consuetudine può aver dato 149. Alessio Pittaluga, Femme d’Usini (Donna di Usini), 1928 ca.,
luogo alla confezione di un vero copricapo uguale ad litografia a colori, Cagliari, coll. Piloni.
una piccola gonna. La descrizione di questi indumenti è 150. Tempio, foto d’epoca, inizio sec. XX.
puntuale nell’iconografia del primo Novecento e nume- 151. Tempio, foto d’epoca, inizio sec. XX.
rose sono anche le immagini fotografiche. La confezio- 152-153. Abito femminile “da visita”, Osilo, prima metà sec. XX
ne prevede l’uso dei tessuti più vari sia in lana che in Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
cotone, in tinta unita e nelle diverse fantasie soprattutto 154-156. Abito femminile giornaliero, Ittiri, prima metà sec. XX
scozzesi, rigate, a fiori e a fiamma; un largo bordo in Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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Cappelli a tesa CAMICIE Orune per definire la camicia da donna fatta di lino
Copricapo prettamente maschile, se ne conosce l’uso in e tessuta in casa e richiama i termini rumeni iie e al-
ambito femminile solo grazie a fonti iconografiche del
primo Ottocento. Si tratta di un cappello a cilindro, ro-
tondo, probabilmente di feltro nero, che viene indossa-
I ndumenti fondamentali del sistema vestimentario
popolare, sono attestate in numerose varianti; i
modelli destinati all’uso giornaliero sono realizzati
banese l’in}. A Nuoro, dove si usa la camicia corta, il
termine lìnza indicava la camicia femminile mentre
quella maschile veniva detta ghentòne; entrambi i
to sovrapposto all’insieme velo e cuffia, con l’aggiunta con tele piuttosto resistenti di cotone di produzione termini sono stati sostituiti nei primi decenni del No-
di fiori e nastri di decoro sulla tesa.
industriale o lino tessuto in casa, con ornati molto vecento dal più comune camìsa.34
Secondo quanto riportato dal La Marmora, «se il matri-
monio ha luogo in una stagione in cui si teme l’azione
semplici posti soprattutto in corrispondenza dello Caratteristica della gran parte delle camicie è l’am-
dannosa del sole, le donne, in qualche contrada, ag- scollo e dei polsi. I capi festivi e di gala, realizzati piezza del tessuto della parte superiore e delle mani-
giungono al loro costume un cappello rotondo di fel- con tele di maggior pregio, mostrano ricami ricerca- che che può essere raccolta con semplici increspature
tro, che mettono solo in questa occasione ed ornano di ti e preziosi, sempre più appariscenti a partire dai nascoste o con un ricamo geometrico realizzato su
piume, di galoni, di nastri e di fiori».29 Il Tiole, nelle ta- primi anni del Novecento. una apposita, fittissima increspatura. Tale ricamo è
vole n. 5, 55 e 77, rappresenta una figura femminile L’esame dei reperti permette di individuare tipologie tecnicamente definibile con il nome moderno di
che indossa questo particolare copricapo, confermando di camicie ascrivibili a due grandi gruppi: camicie “punto smock” del quale costituisce una raffinatissi-
le fonti iconografiche del periodo. Sembrerebbe dun- lunghe che coprono fino a metà gamba o alla cavi- ma variante locale. La modernità del termine non
que che si tratti di un capo prettamente maschile intro- glia e camicie corte che coprono fino alla vita o al significa affatto una modernità della tecnica che è
dotto solo sporadicamente nell’abbigliamento femminile bacino. È possibile che l’archetipo comune sia stato invece attestata in ambito colto, nazionale ed estero,
di gala,30 ma non è da escludere una sua utilizzazione in una camicia lunga, un originario capo con doppia almeno fin dal XV secolo e successivamente, in am-
ambito giornaliero. Nella tavola n. 33 della Collezione funzione intima e esterna, diffuso in tutta la Sarde- bito popolare, con attardamenti tipici dei passaggi e
Luzzietti31 del primo decennio dell’Ottocento, infatti, è gna, che si è poi differenziato con modifiche struttu- della diffusione dalle classi agiate a quelle popolari.
raffigurata una donna di Oristano in abbigliamento quo-
rali non significative ma con interventi decorativi as- Si tratta di un ricamo impostato sulle strette increspa-
tidiano che indossa, sopra un grande fazzoletto annoda-
sai diversi determinati dal modello vestimentario ture del tessuto in corrispondenza del collo, dei polsi
to sotto il mento, un cappello rigido, di forma bombata,
a testimoniare un uso probabilmente più esteso di quan- delle diverse località che può richiedere una maggio- e all’attaccatura delle maniche; su tali increspature,
157. Anonimo, Donna di Oristano, inizio sec. XIX, acquerello su carta, re o minore esposizione della camicia. La semplicità più o meno fitte in relazione al titolo del tessuto im-
to non sia possibile dedurre dalle sole immagini di La Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria.
Marmora e Tiole che di fatto riproducono lo stesso sog- della struttura di questi indumenti li rende facilmen- piegato, si realizzano motivi geometrici o naturalisti-
158. N.B. Tiole, Nuoveaux Maries, 1819-24, acquerello su carta.
getto in tenuta di gala.32 Nelle raccolte pubbliche e pri- te adattabili a diverse corporature, le dimensioni so- ci stilizzati utilizzando più frequentemente la tecni-
159. Giuseppe Cominotti, Noce. Arrivée d’une jeune fille de Sinai ca del punto ondulato, punto erba, punto doppio o
vate, tuttavia, non risulta essere rimasta traccia di questo mariée à un riche cultivateur de Quartu, 1825, litografia a colori,
no pertanto piuttosto uniformi; l’ampiezza e la lun-
copricapo. in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora. ghezza delle maniche sono condizionate dall’uso o punto incrociato. Quanto più sottile è il tessuto im-
meno di un indumento a manica lunga (giubbetto, piegato, tanto più piccoli sono i punti di ricamo, tan-
giacca o bolero) da sovrapporre alla camicia e dalla to più l’indumento è pregiato e costoso, specialmente
tipologia della manica di questo stesso indumento. se ricamato con fili in tinta.
Le fonti iconografiche non permettono di stabilire Questo genere di ricamo è attestato nell’abbiglia-
con certezza se le camicie femminili rappresentate mento popolare in Albania, Grecia, Polonia, Roma-
fossero di tipo lungo o corto, né si può affermare con nia, Spagna, Ungheria, oltre che in alcune zone del
certezza che il lembo bianco che oltrepassa l’orlo nord Africa con varianti determinate dai motivi geo-
delle gonne raffigurate dal Martelli o dal Dalsani sia metrici ricamati e dal tipo di filato usato per realiz-
la parte inferiore della camicia e non un indumento zarlo (cotone in tinta con il tessuto o in contrasto
a sé stante. cromatico). Come in Sardegna anche in questi luo-
La denominazione locale non offre alcuno spunto per ghi si tratta di un tipo di ricamo presente soprattutto
una differenziazione tipologica. Il termine camìsa, nelle camicie, dunque su tele di lino o cotone, ma
con le varianti ’ammìsa, ’amìsa, camìgia, camìsia ed non mancano realizzazioni su tessuti più pesanti sia
altre, è presente in tutta l’isola riferito indifferente- di lana che di cotone. In Sardegna è conosciuto con
mente a modelli lunghi o corti. I diminutivi camisèd- diverse denominazioni: pùnt’ivànu (Samugheo), còro
da e ’amisèdda sono peraltro usati rispettivamente a (Nuoro, Oliena, Orgosolo), alchìttu, razzòni (Viddal-
Desulo e a Fonni anche per la gonnella di orbace33 e ba e area gallurese).
per la sottogonna di tela di lino o cotone pesante. Ter- Per questo tipo di ricamo delle camicie nuoresi Gra-
mine più antico ed attestato in tutta l’area mediterra- zia Deledda scrive: «Alle camicie trapuntate si fa il
nea è lìnza, ma anche in questo caso non si può dire cuore “su coro” come si eseguisce anche in talune
se i capi così denominati fossero lunghi o corti. Il Wa- camicie maschili. Questo cuore è una specie di rica-
gner scrive: «Anticamente la camicia delle donne si mo ad ago sulla larga increspatura (“sas ispunzas”)
chiamava líndza, parola che vive ancora nel Centro» che raccoglie l’immenso volume della tela sul collo e
(Wagner, DES, lemma kamípa). Lo stesso autore preci- sui polsi. Ci vuole un’arte di Aracne per eseguire
159 sa che è un termine diffuso a Bitti, Lula, Lollove e questi ricami variatissimi e belli. Occorrono molti

110 111
“punti” e il nome di “coro” proviene da ciò che la fi- e ricamando diversi ordini di minuscoli archetti a Camicie lunghe
gura del ricamo è composta di cuori più o meno fini- punto occhiello intercalati da pippiolini, ragnetti e La loro diffusione interessa tutta l’isola ad eccezio-
ti, più o meno fioriti e piccoli. C’è il “cuore di sette” il rosette. Anche qui è da precisare che le bordure più ne della zona del Nuorese e della Baronia.
“cuore di nove”, ecc.».35 antiche sono sottili, mentre nelle camicie di gala più Gli esemplari di struttura più arcaica nascono dall’unio-
La denominazione “punto smock”, benché tecnica- recenti raggiungono dimensioni considerevoli.36 Si ne di una parte superiore costituita da cinque o sei ele-
menti rettangolari, proporzionati alla taglia del com-
mente rispondente, non soddisfa pienamente le ca- tratta di un insieme di punti di tradizione antica
mittente, uniti a formare busto e maniche, ai quali
ratteristiche di questo magnifico ricamo che, data la utilizzati nella piena aderenza al gusto isolano o
vanno aggiunti gli elementi ornamentali, vale a dire
forte connotazione isolana sarà definito, d’ora in poi, suggeriti dalle riviste di ricamo che ripropongono i i polsi ed eventualmente i decori della scollatu-
“punto sardo su tela arricciata”. Le denominazioni temi della grande tradizione del merletto italiano ra anteriore e del petto che possono essere
degli altri punti rimangono quelle da tempo codifica- rielaborati nel gusto proprio delle correnti stilistiche preparati a parte e applicati successivamente
te nei manuali di ricamo. Analizzando nel loro in- del primo Novecento. insieme al bordo che rifinisce la parte poste-
sieme le camicie sarde nell’excursus cronologico in Alla diffusione del ricamo concorre anche l’attività riore della scollatura; a questo insieme viene
esame, si ha d’altro canto un campione completo di delle monache, presso le quali le giovani di famiglia unita una parte inferiore, in genere costituita
tutte le tecniche del ricamo in bianco utilizzate per agiata apprendono le più raffinate tecniche per la da due o quattro teli. La tela di cotone o lino
realizzare motivi geometrici e floreali. Si inizia con realizzazione dei corredi, e l’apertura di istituti reli- impiegata per la confezione della parte supe-
gli elementari punto erba, catenella, vapore, mosca, giosi che impegnano le giovani donne in attività di riore può essere molto sottile, quella utilizza-
spina, festone, strega, per arrivare al punto damasco, cucito e ricamo.37 ta per la parte inferiore, sempre in lino
lanciato, pieno, pieno imbottito, punto pisano, punto Le trine a fuselli in sottile filato di lino sono piuttosto o cotone, è in genere molto grossola-
inglese, ricamo a intaglio o Richelieu; notevoli i punti rare, soppiantate dal più comune pizzo ad uncinetto na e pesante tale da risultare più re-
sistente all’attrito con i tessuti delle
di ricamo su tela sfilata che comprendono le nume- o da merletti meccanici. Rarissimo è anche il chiac-
gonne. Talvolta la parte inferiore
rose varianti di punti a giorno realizzati a fascetti, a chierino talvolta utilizzato per interventi di riparazio- eccede, in larghezza, rispetto a
punto maglia, cordoncino e rammendo in una gran- ne in sostituzione del merletto a “punto in aria”. Da quella superiore e, in corrispon-
de quantità tipologica. tenere presente il ricamo che orna le camicie di Teu- denza dei lati, lungo il punto
Specialmente nei ricami del primo Novecento l’or- lada, sia maschili che femminili.38 Il pizzo San Gallo di unione, si osservano due
nato floreale è realizzato sfruttando la traspa- ed altri tipi di merletti meccanici entrano nell’ab- spacchi trasversali. La vesti-
renza ottenuta combinando insieme diversi bigliamento tradizionale dopo il primo venten- bilità è data da una lunga
tipi di fondi a giorno (retini su tela sfilata) nio del Novecento e si diffondono solo laddove apertura longitudinale
contornati a punto festone o cordoncino, per la tradizione del ricamo a mano non ha mai
ottenere decori di grande effetto. Assai dif- trovato uno sviluppo compiuto o sono impiega-
fuso, dalla fine dell’Ottocento in poi, è ti in esemplari da riparare o da utilizzare
anche il ricamo su tela sfilata, erro- in ambito giornaliero.
neamente definito filet, caratteriz- L’unione delle varie parti dell’indu-
zato da un reticolo di fondo lavo- mento è realizzata a mano o a mac-
rato a punto cordoncino sul quale, china a costura piatta o doppia, tec-
a punto rammendo, si eseguono i niche che danno consistenza anche
motivi ornamentali costituiti so- ai tessuti più leggeri e rifiniscono sen-
prattutto da rose, grappoli d’uva ed za sfilacciature quelli più pesanti, ga-
altri motivi fitomorfi stilizzati. Il filet rantendo anche una maggiore resistenza
vero e proprio o modano, vale a dire ai lavaggi e al logorio dovuto all’uso. Solo
la rete annodata, ricamata a punto raramente, in esemplari rimaneggiati e
rammendo, oppure utilizzata come comunque utilizzati al di fuori dall’am-
sfondo per l’applicazione di ricami bito tradizionale, si osservano cuciture
a punto festone, è presente in rari e di qualità inferiore. Il lutto impone la
raffinati esemplari successivi agli riduzione delle scollature, la rinuncia
anni Venti del Novecento. Da se- ai ricami vistosi con la sola concessio- 160. Dalsani (Giorgio Ansaldi),
Costume di Bitti (circond. di
gnalare l’impiego del “punto in ne di quelli necessari per la struttura Nuoro), 1878, litografia a
aria” (punto occhiello) realizzato dell’indumento, ma in tutti i casi, an- colori, in “Galleria di costumi
ad ago, di tradizione cinquecen- che questi, semplificati. Per le vedove, sardi”, in Il Buonumore,
Cagliari 1878.
tesca, per rifinire i ricami sullo specie nei primi tempi, anche l’ecces-
161. Camicia festiva e di
scollo e sui polsi; è un punto di sivo candore della camicia fresca di gala, camìsa, Sinnai,
ricamo che richiede grande peri- bucato doveva essere smorzato espo- seconda metà sec. XIX
Nuoro, Museo della Vita e
zia: viene realizzato come un mer- nendola al fumo del focolare prima di delle Tradizioni Popolari
letto partendo da una sola linea di appoggio 160
indossarla. Sarde.

112
161
anteriore chiusa in corrispondenza del petto capi più modesti o di datazione
con asole trasversali che permettono l’inseri- più recente. Nella stessa area,
mento di bottoni gemelli d’oro, d’argento o per un uso giornaliero o per le
di filo di lino o cotone. Alcune camicie pre- ragazze più giovani lo scollo
sentano doppio davanti, vale a dire un’aper- può essere meno ampio e guar-
tura posteriore, rifinita in modo più sempli- nito con un collettino diritto e
ce rispetto a quella anteriore, da utilizzare semplici ricami di rifinitura. Le
comunque come davanti quando ve ne sia camicie lunghe di Desulo, mol-
necessità. L’ampiezza del tessuto in corri- to accollate, sono caratterizzate,
spondenza dello scollo, dell’attaccatura delle nei modelli di gala, da ricami
maniche e dei polsi viene raccolta come de- minuti e raffinatissimi realizza-
scritto nella parte generale. Da un’area all’al- ti in corrispondenza del col-
tra dell’isola cambiano in modo significativo lo, dei polsi e lungo l’apertura
la forma e le ornamentazioni dello scollo, anteriore; anche gli esemplari
del petto e dei polsi anche se si può affer- destinati ad un uso giornaliero
mare che comunemente gli esemplari di ga- mostrano spesso rifiniture di
la più antichi presentano ricami realizzati grande pregio. In qualche caso
162 con grande raffinatezza concentrati su scol- il ricamo può essere realizzato
lo, polsi e parte anteriore centrale, mentre con fili di cotone in colore con-
con l’avvicinarsi ai nostri giorni si abbando- trastante rosa o celeste (Ollolai,
na lo stile del ricamo antico a piccoli punti Sennori). Sulla parte anteriore,
in favore delle grandi forme naturalistiche simmetricamente all’apertura, in
ottocentesche. Ad Aritzo, Samugheo, Busa- senso longitudinale si realizzano, tal-
chi si può facilmente notare che il ricamo volta, semplici impunture. Il lavaggio, la
delle camicie di gala, dalla fine dell’Ottocen- stiratura e l’apprettatura più o meno
to ad oggi, si è esteso progressivamente a sostenuta, ottenuta con amido sem-
tutta la parte anteriore, con grandi ornati flo- plice o cotto, richiedono una
reali stilizzati realizzati su tela sfilata, con va- cura particolare specie
ri tipi di retini, ad intaglio, a punto pieno, per la parte anteriore;
erba e festone. A Tonara, dove le camicie le maniche delle ca-
antiche sono estremamente semplici e dav- micie che devono
vero rare quelle festive ricamate, la parte del essere indossate so-
petto e dei polsi vede spesso l’applicazione lo con il corpetto o
di pizzo San Gallo. con giubbetti a ma-
Scolli rotondeggianti guarniti con volant e nica aperta posso-
polsi lisci o a volant caratterizzano le belle no essere apprettate
camicie lunghe dell’area campidanese: Quar- e pieghettate a fisar-
163
tu S. Elena, Settimo S. Pietro, Sinnai, Maraca- monica in senso oriz-
lagonis, Selargius. Il volant, i polsi e l’attacca- zontale o verticale (Quar-
tura delle maniche presentano raffinati ricami tu S. Elena, Settimo S. Pietro,
con bordi a fuselli o ad ago negli esemplari Sinnai, Ploaghe). La trasforma-
di gala più antichi, profili ad uncinetto nei zione dell’abito tradizionale – avvenuta in alcune zone
dell’isola sin dalla fine dell’Ottocento sulla scia della
moda borghese, con il conseguente abbandono dell’in-
sieme camicia/corpetto/giubbetto – in favore di giacche
e bluse di foggia moderna ha comportato la sparizione
o la modifica sostanziale di questo tipo di camicie che
162. Camicia, camìsa, ritornano in qualche caso ad essere utilizzate come in-
Iglesias/Tratalias, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni dumento intimo.
Popolari Sarde.
163. Camicia festiva, camìja,
Torralba, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.
164. Camicia festiva, camìja, 165. Camicia festiva e di gala, camìsa,
Thiesi, prima metà sec. XX Sinnai, seconda metà sec. XIX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde. Popolari Sarde.

164
165
Camicie corte Alcuni modelli presentano apertura anteriore centrale e
Questo gruppo comprende le camicie che coprono il sono formati dall’unione di cinque o sei parti rettangola-
busto non oltre la linea dei fianchi. ri, proporzionate alla taglia del committente, alle quali
L’ampiezza, in particolare quella delle maniche, varia in vanno aggiunti gli elementi ornamentali, vale a dire i
funzione della utilizzazione con gli altri capi dell’abbiglia- polsi e i tre pezzi della scollatura anteriore e del petto,
mento tradizionale ad essa sovrapposti, senza che questa in genere preparati a parte e applicati successivamente
costituisca comunque un elemento di differenziazione ti- insieme alla finitura della parte posteriore della scollatu-
pologica. Sono confezionate in tela di cotone o di lino di ra. Questa può essere costituita da un unico pezzo qua-
colore bianco, di qualità varia, ma in genere piuttosto sot- drangolare o da due rettangoli uniti tra loro mediante un
tile, con varie denominazioni in lingua italiana (percalle, bottone o un nastro per regolare l’ampiezza dell’indu-
pelle ovo, madapolam, tela di Cambrai ecc.) mantenute, mento; in entrambi i casi il tessuto è arricciato in corri-
con qualche trasformazione, anche nella parlata locale spondenza della scollatura. Queste varianti sono spesso
(trambìcche, pèlle óvo, percàlle, madàpolam). Nella con- determinate dalla necessità di sostituire i pezzi deteriora-
fezione dello stesso capo possono essere utilizzate tele di ti o di adattare l’indumento ad una diversa corporatura.
varia qualità: cotone mediocre per la parte posteriore e La parte anteriore è sempre costituita da due elementi di
ottima tela, molto sottile, di lino o di cotone, per la parte tessuto di forma rettangolare arricciati nella parte supe-
anteriore; le maniche possono essere confezionate con riore corrispondente alla scollatura; tale arricciatura vie-
tessuto uguale a quello della parte anteriore se destinate ne eseguita tirando in più ordini i fili di trama del tessu-
a fuoriuscire dalle aperture delle maniche del giubbetto, to fino a ridurlo dell’ampiezza desiderata, ricamando
in caso contrario possono essere di qualità inferiore. Per l’insieme con la tecnica del “punto sardo su tela arriccia-
le stesse ragioni esposte sopra anche capi realizzati in te- ta” descritto in precedenza. Ciascuna manica è costituita
la di cotone e di lino sottilissimo privilegiano l’uso di da un rettangolo di tessuto arricciato su uno dei lati bre-
quest’ultimo per la confezione delle parti in vista. Il colo- vi nella parte centrale che viene fatta coincidere con la
re della tela è il bianco in varie tonalità. L’uso abbastanza spalla mentre sul lato opposto il tessuto viene ridotto fi-
diffuso dell’indaco in polvere o a scaglie per ottenere no ad ottenere l’ampiezza necessaria per il polso, con la
l’azzurraggio del tessuto, vale a dire una lieve ombra stessa tecnica descritta per la parte anteriore della scolla-
d’azzurro che dà più luce al bianco, ha portato, in alcuni tura. Un tassello sottoascellare di forma quadrangolare,
casi, ad eccedere nell’uso ottenendo una particolare tona- che funge da collegamento delle parti suddette, aumenta
lità di azzurro chiaro che è tipica delle camicie di Oliena l’ampiezza del giromanica; le dimensioni di questo inser-
tra gli anni Venti e Sessanta del Novecento. to sono proporzionate alle dimensioni complessive del

166. Camicia festiva, camìsa,


Mamoiada, inizio sec. XX
Mamoiada, coll. privata.
166

167-168. Camicia festiva e di gala,


’ammìsa, Oliena, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle 167
Tradizioni Popolari Sarde.
168
171

172

173

169 170

169-170. Camicia festiva e di gala, camìsa, Bono, prima metà sec. XX


Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
171. Camicia festiva e di gala, camìsa, Dorgali, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
172. Camicia festiva, camìsa, Orosei, inizio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
173. Camicia festiva, camìsa, Busachi, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
174. Camicia festiva e di gala, camìsa, Samugheo, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

174

Quaranta del Novecento presentano invece apertura a
doppio petto, foderata e irrigidita con più strati di tessu-
to, da coprire con pettorine lavorate a parte eventual-
mente intercambiabili (Benetutti). Le camicie da indos-
sare con modelli di giacca di foggia borghese possono
essere tagliate con giromanica di tipo moderno, presen-
tano abbottonature centrali o laterali per tutta la lun-
ghezza dell’apertura e colli montanti alla coreana con
piccoli ricami o pizzi applicati.

Pettorine
L’uso delle pettorine permette di lavare con frequenza
le camicie senza rischiare il logorio delle parti anteriori,
di norma più ricamate. Questo tipo di indumenti non è
distinguibile, nelle fonti iconografiche, dalla parte ante-
riore delle camicie e non potrebbe essere diversamente
dato che gli esemplari esaminati riproducono di fatto
175
questa parte; sono dunque confezionati in due metà
con ricami particolarmente pregiati e asole per permet-
terne la chiusura. Si appuntano alla camicia inornata
con spille, bottoni o laccetti, oppure con lacci passanti
dietro le spalle, incrociati e riportati nella parte anteriore
dove vengono annodati. I tessuti usati per confezionarle 177
e le tecniche di ricamo sono le medesime descritte per
le camicie. Del tutto particolari le pettorine in uso a Be- 175. Camicia festiva e di gala, camìsa, Ussassai, prima metà sec. XX
netutti al principio degli anni Quaranta. Sono tagliate in Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
un unico pezzo e coprono completamente la parte ante- 176. Camicia, camìsa, Benetutti, 1948
Benetutti, coll. privata.
riore della camicia che ha doppio petto ed è priva di or-
namenti. Si fissano con asolette a piccoli bottoni cuciti 177. Camicia e pettorina, camìsa e pettorìna,
nell’insieme festivo e di gala, Benetutti, 1948
alla camicia in corrispondenza delle spalle. Sono rica- Benetutti, coll. privata.
mate su tela di lino semplice, tela di Fiandra operata, ra- 178-180. Pettorina, pettorìna, Benetutti, 1948
so di seta o filet con ricami applicati. Benetutti, coll. privata.
176

capo. La parte anteriore della scollatura e i polsi sono ri- sono essere sostituiti da un semplice nastrino colorato o
finiti in modi che variano sensibilmente in relazione alla da bottoncini di filo a forma di piccola bacca; quelle fe-
funzione d’uso del capo (festivo, giornaliero, da lutto) stive hanno asole lunghe fino a cm 4-5 visto il maggior
ed al luogo di provenienza dello stesso; in linea di mas- diametro dei bottoni d’oro; i polsi sono chiusi con pic-
sima si nota la presenza di elementi decorativi più o coli gemelli d’oro, bottoncini di filo o di madreperla. Le
meno elaborati realizzati su strisce rettangolari di lino o ornamentazioni sono realizzate rigorosamente a mano;
di cotone di lunghezza sufficiente a coprire completa- la sporadica comparsa di applicazioni di pizzo meccani-
mente la parte anteriore della scollatura e i polsi. Per co, realizzato con varie tecniche, è generalmente dovuta
quanto attiene al ricamo e alle ornamentazioni vale ad una fase ultima di utilizzazione in ambito domestico
quanto detto nella parte introduttiva sulle camicie. I capi o, ormai cessato l’uso abituale, a rimaneggiamenti re-
esaminati presentano in genere scollatura e polsi lisci, centi per utilizzazioni in ambito carnevalesco o folclori-
più rari gli esemplari con volant arricciato. Nelle camicie stico. La preparazione delle camicie festive, che rientra-
festive una porzione di tessuto ricamato in abbinamento no nella tipologia descritta, è piuttosto laboriosa perché
alla scollatura viene appuntata sulla parte anteriore al fi- richiede una accurata apprettatura dei ricami e del tes-
ne di mascherarne l’apertura. Questo tipo di camicie suto delle parti anteriori la cui ampiezza viene ridotta
viene sempre chiuso con bottoni gemelli d’oro o d’ar- stirando il tessuto a piccole pieghe parallele orientate
gento passanti attraverso asole longitudinali aperte nel dal centro dell’indumento verso i lati.39 Alcuni tipi di ca-
tessuto o a ponte. Le camicie giornaliere presentano micia corta presentano le parti anteriori lisce e cosparse 178
179
180

asole piccole, per bottoni di dimensioni ridotte che pos- di ricami. Altri modelli confezionati tra gli anni Trenta e

120 121
FAZZOLETTI, SCIALLETTI DA SPALLA E COPRISENO

F azzoletti (del tutto simili a quelli da testa) e


scialletti da spalla si distinguono tra loro solo per
la presenza o meno di frange; possono avere forma
di Cagliari. I copriseno sono di due tipi. Il più sempli-
ce è un fazzoletto (mucadòri ’e pitùrra, pannéddu,
pànn’’e pettùrra, pànnu de incordeddài) di medie di-
quadrata o triangolare (sciallìnu, pèrr’’e sèra, mu- mensioni che viene fissato alle bretelle del corpetto e
cadòre in trùgu), sono indossati ripiegati a triangolo lasciato ricadere sul petto o rimboccato all’altezza
e incrociati sul petto fissando gli angoli anteriori alla della vita coprendo tutta la parte anteriore. È un faz-
gonna, oppure piegati a sciarpa e indossati come sto- zoletto di produzione industriale, in tela di cotone
la fissando le estremità anteriori dentro il corpetto, stampata nelle più diverse fantasie o, per la gala, in
senza incrociarle. La diffusione di questi indumenti tessuti di seta operati; è presente anche nell’abbiglia-
interessa tutta l’isola sia negli insiemi festivi che in mento quotidiano per proteggere la camicia nello
quelli giornalieri, fatta eccezione per l’area centrale. svolgimento delle attività domestiche.40 Derivati dai
Gli scialletti frangiati di fichu settecenteschi sembra-
seta possono no essere i copriseno

181

essere in tessu- a sciarpa


ti leggeri operati su usati in area logudore-
base damasco o taffettà, o se (pettièra, iscèlpa), sono
più pesanti come i cannellati in tulle bianco ricamato a mo-
del tutto uguali a quelli usati tivi floreali o con leggeri tessuti
come copricapo, salvo le dimensio- di seta color crudo o in fantasie
ni ridotte, oppure in crespo di seta sia delicate. Una variante è quella in ra-
in tinta unita che fantasia. Analoghi ai so o gros di seta, con fodera di sostegno,
veli da testa sono anche i fazzoletti in tulle ricamata a motivi floreali in seta o canu-
che, ripiegati a triangolo, coprono i giacchi- tiglia d’oro o d’argento, spesso in abbina-
ni indossati nell’insieme festivo delle panattàre mento al corpetto.

181. Scialletto da spalle, pèrra,


Iglesias, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari.
182. Dalsani (Giorgio Ansaldi),
Costume di Iglesias, 1878,
litografia a colori, in “Galleria di
costumi sardi”, in Il Buonumore,
Cagliari 1878.
183. Dalsani (Giorgio Ansaldi),
Domestica del Campidano.
Cagliari, 1878, litografia a colori,
in “Galleria di costumi sardi”,
in Il Buonumore, Cagliari 1878.
184. Abito da sposa e di gala della
panattàra, Cagliari, fine sec. XIX
Nuoro, Museo della Vita e delle
Tradizioni Popolari Sarde.
182 183

122
184
CORPETTI

Q uesti indumenti, privi di maniche, aderenti al busto e tagliati per sostenere e dare risalto al
seno, possono essere considerati, in Sardegna, gli indumenti più conservativi. Per il loro va-
lore intrinseco, dovuto all’uso di tessuti pregiati, alla presenza di ricami elaborati e per la tipolo-
gia sartoriale, che non consente riutilizzi del tessuto, sono tra i capi più rappresentati nelle colle-
zioni pubbliche e private, specie nelle varianti festive e di gala. Come già altri studiosi hanno
osservato, i modelli di corpetti sardi possono essere distinti in due grandi classi che delimitano
due aree geografiche ben definite: corpetti o busti rigidi nella Sardegna settentrionale e nel Go-
ceano e corpetti morbidi nella Sardegna centro-meridionale e nel Nuorese.41 Tale suddivisione,
tuttavia, non tiene conto di alcune varianti proprie dell’area barbaricina che potrebbero rientra-
re nella classe dei corpetti morbidi ma che presentano particolarità tali da costituirne una a sé
stante che potrebbe definirsi “a fascia”. In tutti i casi i corpetti hanno dimensioni assai ridotte e
richiedono l’impiego di una esigua quantità di tessuto; ciò spiega l’utilizzo di materiali di grande
pregio, talvolta ritagli di capi di provenienza ecclesiastica o nobiliare rielaborati in ambito popo-
lare. I colori sono di norma squillanti e le policromie accese nei capi destinati all’uso festivo, più
smorzate in quelli d’uso feriale. Eccezione tra tutti il corpetto di Orgosolo (pàlas), tutto nero, con
la sola nota del rosso dei profili, anche per l’uso festivo e di gala. Gli indumenti destinati al lutto
prediligono i colori scuri, con nastri violacei; per il lutto vedovile è d’uso il nero assoluto, appena
stemperato da applicazioni di nastri o trine in tinta.

Corpetti rigidi o busti antichi, di metà Ottocento, sono realizzati con tessuti di
Diffusi come già detto nella Sardegna settentrionale e nel un certo pregio quali lampassi in seta e cotone laminati e
Goceano, i corpetti di questo tipo sono chiamati imbù- broccati, damaschi e rasi spolinati; sono frequenti le ap-
stu a Osilo, Ploaghe, Bono, Ittiri, Cossoìne, ostìgliu a plicazioni di galloni e trine metalliche disposte in senso
Sennori, per citare solo qualche caso; si tratta di termini verticale a sottolineare e dare maggior slancio alla linea.
che richiamano i modelli di fine Seicento e Settecento tal- Nell’uso di tessuti a grande o medio rapporto, in genere
volta citati nei lasciti testamentari. Questi indumenti sono a motivi floreali o fitomorfi, si coglie una notevole atten-
costituiti da due parti simmetriche collegate, nella parte zione nell’orientare il tessuto per ottenere motivi decora-
posteriore, da un intreccio di nastri passanti dentro sem- tivi simmetrici rispetto alla linea mediana dell’indumento.
plici fori del tessuto o appositi occhielli rotondi; le due Il ricamo è piuttosto raro negli esemplari antichi e, quan-
parti anteriori vengono allacciate sotto il seno con lacci do compare, su velluti o raso di seta, è schematico nella
infilati in forellini rotondi rinforzati con anelli metallici e composizione ed elementare nella realizzazione che vede
rifiniti a punto occhiello o cordoncino. In alcune aree la utilizzati il punto pieno imbottito, nodi, catenella, realiz-
parte posteriore è costituita da un unico elemento al zati con fili e cordoncini di seta a colori vivaci. Sul finire
quale se ne uniscono altri due laterali, sagomati, muniti dell’Ottocento i ricami si fanno sempre più presenti, cul-
di occhielli che sostengono l’allacciatura anteriore. In tut- minando, dopo il primo decennio del Novecento, negli
ti i casi la parte inferiore presenta una serie di alette for- ornati a grandi fiori a punto raso e pittura dalle delicate
manti una sorta di baschina che consente una migliore sfumature, su fondi chiari in gros, taffettà o raso di seta.
vestibilità. La fodera, in pesante tessuto di lino, cotone o
canapa, è doppia e impunturata per sostenere l’inseri-
mento degli elementi vegetali in palma nana, steli di
giunco e grano o stecche metalliche, che servono a so- 185. Corpetto festivo, imbùstu, Ittiri, primo decennio sec. XX
Sassari, coll. privata.
stenere il busto. Le parti anteriori eccedono in lunghezza
186. Corpetto festivo, imbùstu, Berchidda, prima metà sec. XX
rispetto alle altre e sono anch’esse irrigidite con stecche Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
metalliche o steli vegetali; queste appendici appiattisco-
187. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta,
no il ventre oppure si affiancano o si incrociano tra loro primo decennio sec. XX
dando un caratteristico rilievo all’addome. Altro elemento Sassari, coll. privata.
caratterizzante sono le bretelle che per maggiore como- 188. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, prima metà sec. XX
dità, dove il giro manica sia molto stretto, possono essere Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
allacciate e regolate dopo aver indossato il busto, utiliz- 189. Corpetto festivo, imbùstu, Ittiri, prima metà sec. XX
185

zando gli appositi laccetti anteriori. I modelli di gala più Sassari, coll. privata.

124
186
187

188 189
Nello stesso periodo si diffonde l’applicazione di paillet-
tes, lustrini o perline e il ricamo con fili e canutiglie
d’argento con i quali si creano esemplari davvero spet-
tacolari. Altre innovazioni si devono al ricamo “a riccio”,
realizzato con una apposita macchinetta, e all’uso dei fili
in ciniglia di seta. In relazione all’uso festivo o giornalie-
ro variano anche le allacciature realizzate con nastri di
taffettà e raso di seta, talvolta in colori sfumati per la par-
te posteriore, soutache di lana o di seta per la parte ante-
riore. Questi tipi di corpetto sono bordati con nastrini
soutache, taffettà o velluto di seta in tinta vivace anche
in contrasto con il colore del tessuto. Negli esemplari
giornalieri tutto l’apparato decorativo è estremamente
semplificato e si ricorre frequentemente a nastri variopin-
ti, di cotone, per le allacciature e le bordure. In alcune
località come Ittiri, dove l’uso dell’abito tradizionale si è
protratto fino a tutti gli anni Cinquanta, e ad Uri, l’allac-
ciatura anteriore è stata sostituita da una sorta di pannel-
lo rigido sul quale i nastri sono accostati e cuciti; tale
pannello viene chiuso su un lato del busto con una serie
di ganci. Nel corpetto di Osilo, spariti i nastri, la parte
anteriore viene fermata con due elementi trapezoidali,
quasi sempre in raso di seta cremisi, agganciati nella par-
te centrale. I corpetti rigidi vengono indossati sotto corte
giacche a bolero che ne lasciano in vista tutta la parte
posteriore o sopra giacche e giubbetti più lunghi. L’affe-
zione a questi indumenti è tale che nel primo Novecen-
to, adottate gonne e giacche di foggia borghese, conti-
nuano ad essere usati sopra o sotto questi capi in una
assoluta dissonanza formale. Nel Goceano il modello so-
pra descritto è riservato alle élite. Quello tipico dell’area
(Anela, Bono, Benetutti, Bultei, Burgos, Illorai, Nule), in-
fatti, pur essendo di tipo rigido, si differenzia per la lun-
ghezza, che non arriva a coprire il punto vita, per la for-
ma, all’incirca rettangolare, e per il fatto d’essere sempre
confezionato per un impiego a doppio diritto. La parte
posteriore centrale presenta comunque una doppia serie
di nastri passanti in appositi forellini, che costituiscono la
memoria, ormai priva di funzionalità, delle allacciature
regolabili dei busti rigidi prima descritti. La parte esterna
del diritto buono, realizzata con velluto o raso di seta, ri-
camati o dipinti, è anche ornata da nastri multicolori a
motivi floreali e nappine formate con cordoncini di seta
policromi, particolare, questo, che collega quest’area al
gusto estetico delle vicine zone delle Barbagie e del
Mandrolisai. La parte interna, utilizzabile comunque co-
me diritto per occasioni meno formali o mezzo lutto,
mostra il modesto tessuto di fodera impunturato per trat-
tenere le stecche; in molti casi si tratta di tessuti di coto-
ne policromi a fiorami, oppure in tinta unita con motivi
ornamentali dipinti. Anche le bordure presentano, su
questo lato, ornamentazioni semplificate.

190. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, prima metà sec. XX


Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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199

191. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, prima metà sec. XX


Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
192. Corpetto festivo e di gala, imbùstu, Torralba, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
193. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
194. Corpetto festivo, imbùstu, Thiesi, primo decennio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
195. Corpetto giornaliero, imbùstu,
Nughedu S. Nicolò, inizio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
196. Corpetto giornaliero, imbùstu, Osilo, prima metà sec. XX
Sassari, coll. privata.
200. Corpetto festivo e di gala, pàla a sùpra
197. Corpetto giornaliero, imbùstu, Benetutti, fine sec. XIX
(particolare della parte posteriore centrale)
Benetutti, coll. privata.
Nuoro, primo decennio sec. XX
198. Corpetto festivo e di gala, imbústu, Bono, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
201. Corpetto festivo e di gala, pàla a sùpra,
199. Corpetto da mezzo lutto, imbùstu, Bono, prima metà sec. XX Nuoro, fine sec. XIX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Nuoro, coll. privata.

135
198
Corpetti morbidi cano corpetti morbidi in panno di lana giallo che copro-
Rientrano in questo gruppo i corpetti in uso nella Sarde- no completamente le spalle e si chiudono sul davanti
gna centro-meridionale e in Gallura, dove si segnala un nascondendo parzialmente la camicia. Sono indumenti a
modello (ciléccu) a struttura morbida con le due parti doppio diritto che sul lato più lussuoso presentano ap-
anteriori interne irrigidite con stecche metalliche o steli plicazioni in velluto di seta a fiorami e ricami geometrici,
vegetali. Anche per la confezione di questi corpetti si fa impostati lungo le linee di unione tra i diversi tipi di tes-
largo uso di tessuti pregiati e di ricami soprattutto per gli suto, realizzati con cordoncini di seta; sul lato interno le
indumenti festivi e di gala. I modelli sono assai vari e si applicazioni sono in velluto in tinta unita e i ricami linea-
cercherà di dar conto, per brevità, di alcuni tra quelli più ri e geometrici un po’ semplificati. I corpetti di Orosei,
particolari. Alcuni coprono le spalle ed hanno le parti Irgoli, Galtellì e Onifai, detti zustìllu, sono talmente ri-
anteriori alte e rigide, unite tra loro con un gancio che dotti da coprire solo la parte superiore delle spalle, men-
lascia comunque in vista il davanti della camicia (Nuoro, tre sul davanti consistono di due elementi rigidi che so-
Orgosolo, Oliena, Orani: pàlas; Siniscola: zustìllu). Ad stengono lateralmente il seno e sono collegati tra loro da
Orani è da segnalare un corpetto di tipo morbido assai un cordoncino colorato che attraversa trasversalmente il
interessante perché unito alla gonna detta iscarramà- busto. Nella Sardegna centrale sono piuttosto interessanti
gnu, descritta più avanti. A Bitti, Orune, Lula, Lodè, Lol- gli esemplari di Samugheo (corpìttu, cropìttu) che, nei
love, con i termini solopàttu, soropàttu e soropàu si indi- modelli da adulta, conservano traccia della baschina ad

200 201

136 137
202 203

alette; sono confezionati con tessuti broccati e laminati 202. Corpetto festivo e di gala, pàla a sùpra, Nuoro, fine sec. XIX
in seta e cotone guarniti con trine e passamanerie men- Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
tre gli esemplari ricamati perpetuano, anche in tempi a 203. Corpetto festivo e di gala, pàla a sùpra, Nuoro, fine sec. XIX
Nuoro, coll. privata.
noi vicini, uno stile di disegno, schematico, naturalistico
stilizzato, di antica tradizione. Anche a Busachi si trova- 204. Corpetto festivo e di gala, pàlas, Orgosolo, fine sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
no corpetti (pàllas) interessanti per la qualità delle stoffe
impiegate, per le rifiniture realizzate con nastrini policro- 205. Abito festivo e di gala, Orgosolo, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
mi sapientemente pieghettati e per la cura con la quale
vengono confezionati anche gli indumenti giornalieri il
cui uso continua, tra le più anziane, anche attualmente.
In tutta l’area centrale, fino a Sorgono, i corpetti sono
bordati con nastri a colori vivaci. L’area centro-meridio-
nale mostra corpetti assai omogenei nel taglio,
coprono infatti le spalle quasi fino al pun-
to vita con grandi scollature quadrangolari
o rotondeggianti, mentre è assai varia la
scelta dei tessuti e l’ornamentazione. La
confezione di capi festivi predilige, come
nel resto dell’isola, tessuti di pregio sui
quali vengono applicati trine, nastri, lustrini
e perline a sottolineare le linee di cucitura
sulle spalle o ad ornare le piccole parti an-
teriori unite sotto il seno con una serie di
ganci o nastri allacciati. I capi più lussuosi
vengono anche ricamati con fili e canuti-
glia d’argento sul tessuto broccato.
Per i capi giornalieri la tipologia dei
tessuti impiegati comprende velluti
di cotone uniti o stampati, lampassi,
damaschi e tutta la gamma dei tessuti
di cotone operati e stampati. Questi
capi sono cuciti a mano o macchina,
tutti sono accuratamente foderati con te-
le di cotone o di lino pesanti di colore
chiaro, o con telette di cotone fantasia. 204

138
205
207

206 208
209

210

211
206. Corpetto festivo e di gala, pàla
(particolare della parte posteriore centrale),
Oliena, seconda metà XIX sec.
Oliena, coll. privata.
207-208. Corpetto festivo e di gala, pàla,
Oliena, 1954
Nuoro, Museo della Vita
e delle Tradizioni Popolari Sarde.
209. Corpetto festivo e di gala, corpéttu,
Ussassai, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita
e delle Tradizioni Popolari Sarde.
210. Corpetto giornaliero, palèttas,
Tonara, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari.
211. Corpetto festivo,
provenienza sconosciuta,
seconda metà sec. XIX
Nuoro, coll. privata.

212

212. Corpetto festivo, cóssu,


Quartu S. Elena, fine sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari.
213. Corpetto festivo,
provenienza sconosciuta, inizio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita
e delle Tradizioni Popolari Sarde.
214. Corpetto festivo e di gala,
provenienza sconosciuta, fine sec. XIX
Nuoro, Museo della Vita
e delle Tradizioni Popolari Sarde.
214
213
Corpetti a fascia pratico ed è anche difficile comprendere in quale tempo
L’area della loro utilizzazione è circoscritta ad alcuni co- questo dettaglio si sia formato e poi codificato. L’icono-
muni (Gavoi, Fonni, Mamoiada, Ovodda, Olzai, Ollolai) grafia e le fonti sono assai avare di documenti ed è, per-
dell’area barbaricina, cui si aggiunge Dorgali, unica ec- tanto, preziosa la tavola n. 62 del Tiole raffigurante una
cezione, in prossimità della costa orientale. Sono corpet- donna di Bitti42 che indossa, sopra l’insieme giubbetto
ti costituiti da una stretta fascia di stoffa, irrigidita me- e corpetto, un ulteriore indumento a fascia fornito di
diante l’inserimento di tessuti impunturati o di cartone, un’appendice a punta in corrispondenza della parte an-
che cinge il busto passando sotto il seno, chiusa nella teriore centrale.43 Bisogna attendere l’ultimo quarto del-
parte centrale e sostenuta da sottili bretelle. Tale fascia è l’Ottocento, con le tavole di Dalsani e Martelli, per tro-
sempre costituita da tre elementi: uno posteriore centra- vare immagini femminili dei comuni in questione. Nella
le di forma triangolare o trapezoidale, cui sono raccor- tavola del Martelli Donne di Bitti – Costume antico que-
dati i due elementi che cingono il busto fino alla parte sto tipo di corpetto è descritto con maggiori particolari,
anteriore. Il loro collegamento è dato da nastri passanti mentre è del tutto assente nell’opera di Dalsani che raf-
dentro forellini, particolare questo che riporta ad una figura soltanto l’insieme moderno.44 Entrambi gli autori
comune origine con i busti rigidi. Quanto la denomina- rappresentano invece con grande precisione i corpetti a
zione locale dei busti rigidi appariva coerente con il punta di Fonni, Mamoiada, Ollolai rimasti sostanzial-
modello e la funzione, tanto più la stessa denominazio- mente immutati fino ad oggi. Sul momento di formazio- 217
ne imbùstu di Fonni, Mamoiada ecc. e la variante pàlas ne di questo modello è necessario compiere studi più
di Ollolai e còsso di Dorgali, appare in evidente contra- approfonditi, confidando nel ritrovamento di qualche ca-
sto con questo modello che, ridotto appunto ad una po risalente almeno alla prima metà del XIX secolo. Può
striscia, ha perso totalmente la funzione di copertura e comunque avere senso attribuire alle punte anteriori una
sostegno delle spalle, del busto e dei fianchi. La parte funzione di protezione magica del seno, di origine forse

218

215. N.B. Tiole, Paysannes


de Bitti, 1819-24,
acquerello su carta.
216. U. Martelli, Donne di Bitti –
Costume antico, fine sec. XIX,
litografia a colori.
217. Corpetto festivo, còsso,
Mamoiada, prima metà sec. XX
Mamoiada, coll. privata.
218. Corpetto festivo, còsso,
Mamoiada, prima metà sec. XX
Mamoiada, coll. privata.
219. Corpetto festivo, pàlas, 219
Gavoi, prima metà sec. XX
215 216 Gavoi, coll. privata.

anteriore, assai singolare, presenta in corrispondenza del preistorica, della quale si è perso, nel tempo, il significa- (còsso) appare del tutto particolare perché costituito da loni d’oro e d’argento e trine metalliche ornano gli in-
seno due appendici triangolari più o meno appuntite, to. «Si può certamente affermare che le funzioni magi- una semplice striscia di tessuto prezioso che presenta, dumenti più antichi degli altri comuni, mentre i ricami
sfilate e rigide, poste in prossimità della chiusura centra- che e quelle decorative si svilupparono, fino ad un cer- nella parte anteriore, appena un accenno alle punte di floreali sulle punte e nella parte posteriore conoscono
le. Si tratta di una forma che ha destato e desta grande to momento, insieme, soddisfacendo gli stessi obiettivi. cui si è finora discusso. Tornando alla descrizione di discreta fortuna negli esemplari confezionati dai primi
curiosità e ha dato luogo a svariate interpretazioni sulla Si può anche affermare che il motivo della decorazione questi capi si conferma l’uso, specie in quelli festivi, dei decenni del Novecento in poi. Gli esemplari più antichi
sua origine e sulla sua funzione. In realtà non sembra acquistò sempre maggiore autonomia, mentre lo scopo tessuti di pregio descritti per le altre tipologie con l’ag- sono bordati con panno scarlatto tagliato al vivo; bor-
proprio possibile dire che la particolare foggia di questo magico restava indietro e tendeva a sparire … Ma non giunta di nastri di garza di seta, sovrapposti in più ordi- dure in velluto, taffettà o gros di seta sono segno di
indumento e soprattutto delle sue punte abbia un fine scomparve del tutto».45 Il modello di corpetto dorgalese ni, e canutiglia d’argento negli esemplari di Ollolai; gal- grande lusso e di tempi più recenti.

146 147
220

220. Corpetto festivo, pàlas,


Ollolai, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari.
221. Corpetto festivo, còsso,
Mamoiada, primo decennio sec. XX
Mamoiada, coll. privata.

221
CAPISPALLA

I capispalla, vale a dire gli indumenti strutturati, di linea sia geometrica sia sagomata, che hanno come
punto d’appoggio le spalle e coprono il tronco e le braccia, sono presenti nella sola variante corta, dota-
ta di maniche.
Tra la fine del XVIII e i primi decenni del XX secolo, la copertura di tronco e braccia è dunque assolta da
camicie, corpetti e vari modelli di capispalla corti descritti all’interno di tre grandi gruppi: giubbetti, boleri,
casacchini e giacchini. Giacconi, cappotti e mantelle sono invece del tutto sconosciuti anche nelle località
montane dell’interno dove probabilmente erano utilizzati, all’occasione, dei manti simili a quelli maschi-
li denominati sàccu. In generale sembrano essere sufficienti i copricapo di grandi dimensioni, descritti
nelle apposite sezioni, i quali svolgono egregiamente la funzione di protezione dal freddo e dalle intempe-
rie. Al di fuori delle fogge tradizionali, oggetto del presente studio, sono gli scialli di tibet di grandi dimen-
sioni, drappeggiati sulle spalle, che sono usati esclusivamente nell’abbigliamento di “transizione” ancora
vitale in alcune località dell’isola. Giubbetti
Il termine giubbetto viene proposto per
comprendere tutti gli indumenti a strut-
tura geometrica o sagomata confeziona-
ti con tessuti pesanti (orbace, panno,
velluto). La denominazione locale
più diffusa in tutta l’isola è zippòne,
gippòni, giuppòne, gippòne, varianti
derivate dall’italiano antico “giup-
pone” che definisce, fin dal Quat-
trocento, un indumento che copre
il busto ed è dotato di maniche.
Sono comunque diffuse altre deno- 224

minazioni quali camisgiòla e corìttu. La linea


di questi capi riecheggia i modelli cinquecenteschi e sei-
centeschi con la parte anteriore ridotta per lasciare in
evidenza la camicia e il corpetto. Gli esemplari più anti-
chi sono caratterizzati da maniche lunghe fino al polso
con grandi aperture in senso longitudinale dall’ascella

222-223. Giubbetto festivo, corìttu,


Nuoro, fine sec. XVIII-inizio XIX
222 Nuoro, Museo della Vita
e delle Tradizioni Popolari Sarde.

224. Giubbetto festivo, zippòne, Tonara, inizio sec. XX


Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
225. Giubbetto festivo, zippòne, Nuoro, prima metà sec. XX
Nuoro, coll. privata.

223
225
226-227. Giubbetto festivo
e di gala, gippòne, Oliena, 1950
Nuoro, Museo della Vita
226 e delle Tradizioni Popolari Sarde.

227

228-229. Giubbetto giornaliero,


gippòne, Oliena, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita
228 e delle Tradizioni Popolari sarde.

229
230. Giubbetto festivo, zippòne,
Ollolai, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita
e delle Tradizioni Popolari Sarde.
231. Giubbetto festivo, zippòne,
Ollolai, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti 230

e Tradizioni Popolari.

231
all’avambraccio (Nuoro, Oliena, Orgosolo, Tonara ed al-
tri) dalle quali fuoriescono le ampie maniche delle cami-
cie. Squarci o tagli nelle maniche rispondono all’esigen-
za di ottenere una più ampia mobilità degli arti superiori
che il taglio geometrico dell’attaccatura della manica non
permetterebbe, e sono anche coerenti col gusto del XVI
e XVII secolo che tende a valorizzare la camicia, trasfor-
mandola così da capo intimo a capo esterno. In altri
modelli lo stesso risultato è ottenuto con brevi aperture
collocate in corrispondenza dell’ascella o dell’incavo
del braccio. Sulla parte esterna della manica è pre-
sente, lungo l’avambraccio, un’apertura chiusa con
nastri o con appositi bottoni d’argento, muniti di ca-
tenella, passanti entro lunghe asole.
234

232-233. Giubbetto festivo, cippòne,


Fonni, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari.
234. Giubbetto giornaliero, zippòne,
Orgosolo, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari.

232 233
235

236
237

239

È impossibile, in una trattazione di carattere generale, bile soprattutto nella parte posteriore. Si deve anche evi-
descrivere le varianti di giubbetto usate nelle diverse denziare che le parti anteriori dell’indumento sono di
aree dell’isola. I modelli rappresentati nell’iconografia del ampiezza maggiore rispetto agli esemplari d’epoca suc-
primo Ottocento si rassomigliano tra loro più di quanto cessiva e possono essere accostate lasciando in parziale
non appaia negli esemplari esaminati, datati tra la fine evidenza il busto oppure essere chiuse con lacci o bot-
del XIX secolo e la prima metà del XX. Le illustrazioni toni. In questo periodo gli indumenti appaiono inornati
risalenti al primo trentennio del secolo XIX, infatti, atte-
stano la grande diffusione del giubbetto di panno rosso
con maniche aperte o chiuse, mentre sembra più rara
l’utilizzazione dell’orbace. La lunghezza è tale da sfiora-
re i fianchi con una corta baschina ad alette, apprezza-

235-237. Giubbetto festivo e di gala, cippòne,


Desulo, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
238-239. Giubbetto, zippòne, Mamoiada, fine sec. XIX
Mamoiada, coll. privata.
240. Giubbetto, cippòne, Sorgono, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

238

240
241-243. Giubbetto, cippòne,
Atzara, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari.

241

243
242
244. Giubbetto, corìttu, Benetutti, fine sec. XIX
Benetutti, coll. privata.
245. Giubbetto festivo, cippòne, Samugheo, prima metà sec. XX
Samugheo, Museo Unico Regionale dell’Arte Tessile Sarda.
246. Giubbetto festivo e di gala, cippòne, Samugheo, fine sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

244

245

246

164
o presentano applicazioni di tessuto sovrapposte a sco- si assiste ad una riduzione delle ampiezze, dovuta all’in-
po decorativo e vengono per lo più indossati sopra il fluenza della moda di fine Ottocento: le spalle si restrin-
corpetto. La foggia così rappresentata si evolve in un gono e talvolta anche le maniche, le parti anteriori sono
primo tempo con applicazioni di stoffe in tinta unita appena abbozzate e la stessa lunghezza è talmente ri-
(velluto blu o azzurro) o nastri in colore contrastante. dotta che la baschina ad alette, priva ormai di una fun-
Lo stacco tra i tessuti viene sottolineato con linee di ri- zione pratica, risulta spesso posizionata al di sopra del
camo realizzato mediante cordoncini e fili di seta poli- punto vita, mantenendo una funzione esclusivamente or-
cromi a motivi lineari e geometrici. Nel tempo i capi namentale.
esaltano le differenze tra un paese e l’altro nel modulare La gran parte di questi capi, si è detto, è confezionata in
la posizione delle applicazioni, il colore delle stesse e panno di lana rosso di qualità e gradazione cromatica di-
nell’utilizzare, più o meno estesamente, i ricami. versa. In alcune località la predilezione per una tonalità
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, ai velluti in di rosso vivo o tendente all’arancio si mantiene fino alle 247-248. Giubbetto festivo e di gala, corìttu,
tinta unita si sostituiscono quelli operati policromi acco- ultime fasi di produzione, in altre i cambiamenti cromati- Bono, prima metà sec. XX
stati a tessuti o nastri broccati; nel primo decennio del ci avvengono per il concorso di più fattori, quali la man- Nuoro, Museo della Vita
e delle Tradizioni Popolari.
Novecento la quantità di simili applicazioni e l’estensio- cata presenza sul mercato di un certo tipo di tessuti o la
ne delle parti ricamate è tale da occultare quasi comple- modifica del gusto che, avvicinandosi il primo Novecen- 249. Giubbetto da mezzo lutto, corìttu,
Bono, prima metà sec. XX
tamente la struttura del capo che continua ad essere rea- to, predilige tonalità più sobrie. Le pezze di panno rosso Nuoro, Museo della Vita
lizzata in panno rosso; nello stesso tempo in tutta l’isola sono importate dalla penisola italiana, dalla Francia e e delle Tradizioni Popolari.

247

248

249
ad essere indossati nelle sole varianti festive e di gala
hanno perso, nel tempo, questa particolarità che è rima-
sta soltanto in alcuni giubbetti usati nella Sardegna cen-
trale. La confezione di questi indumenti è di norma as-
sai accurata e presenta cuciture a macchina ribattute e
rifinite a mano. Nei capi più antichi i ricami, se presenti,
sono caratterizzati da motivi lineari, geometrici o natura-
listici stilizzati.
Tra la fine dell’Ottocento e per tutto il Novecento si
diffondono i ricami naturalistici di medie e grandi dimen-
sioni realizzati con fili di seta policromi o con fili e ca-
nutiglie d’oro e d’argento. La decorazione invade
le parti più in vista dell’indumento sia nel caso
che il giubbetto venga indossato sopra il
corpetto, come a Desulo, sia che ven-
ga indossato sotto un corpetto o
busto rigido, come avviene

250. Giubbetto festivo, gruppìttu,


Osilo, primo decennio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita
e delle Tradizioni Popolari Sarde.
251. Giubbetto festivo, coipìttu,
Sennori, prima metà sec. XX nell’insieme di gala di Sennori dove le maniche appaio-
250
Nuoro, Museo della Vita no come rigide ali ricoperte con un ricamo in canutiglia
e delle Tradizioni Popolari Sarde.
d’oro. Gli esemplari per lutto stretto sono confezionati in
panno bruno o nero e in genere non presentano varia-
zioni nel taglio, ma una estrema semplificazione delle
ornamentazioni e dei ricami sempre realizzati in tinta.
dalla Germania, ma non è infrequente anche l’impiego esclusivamente sotto il corpetto possono essere confe- Per il lutto vedovile di fine Ottocento, in alcune località
di tessuti derivati da vecchie divise militari. All’inizio del zionati con tessuto di minor pregio nelle parti destinate è prescritto l’uso di un indumento apposito che si diffe-
XX secolo si diffonde l’uso dei coloranti all’anilina che a rimanere nascoste. È caratteristica comune alla gran renzia sia per il taglio sia per la denominazione dagli al-
in alcuni paesi vengono usati proprio per rafforzare o parte dei giubbetti in panno quella di non presentare tri modelli.47 La stessa terminologia (zippòne, gippòni,
scurire le tonalità di rosso. A Nuoro, ad esempio, i giub- fodere, ma di avere un rovescio rifinito in modo da pre- giuppòne, gippòne) usata per i giubbetti appena descritti
betti femminili confezionati in questo periodo mostrano starsi anche ad un uso a doppio diritto. Ciò consente è anche frequente per modelli dalle caratteristiche di
già il ricorso a un panno di colore rosso cupo ottenuto una grande flessibilità nella combinazione dei vari capi maggiore “modernità” che hanno sostituito i capi più an-
infeltrendo il tessuto in un bagno di acqua e calce e sot- utilizzati sia al diritto sia al rovescio, giocando su una tichi mantenendone comunque il nome. Alcuni modelli
toponendolo a tintura con colori all’anilina per raggiun- dotazione minima di elementi base. Questa flessibilità è saranno descritti più avanti come boleri, altri ancora
gere una tonalità bordeaux propria degli antichi indu- tanto più apprezzabile nelle varie norme del lutto per le rientrano più propriamente tra i capi definiti come ca-
menti da mezzo lutto. I capi destinati ad essere usati quali si rimanda alla parte introduttiva.46 I capi destinati sacchini e giacchini.

168
251
Boleri equilibrate, lunghezze a metà spalla ed elementi anterio- in tinta unita sia operato a motivi policromi, nelle varie zati con cordoncini di seta messi in opera a motivi lineari
Indumenti caratterizzati da una limitatissima lunghezza, ri assai ridotti che lasciano in evidenza la camicia ed il gradazioni di qualità che la condizione della committen- e geometrici in forte contrasto cromatico col tessuto di
presentano sempre maniche lunghe e strette, in qualche busto. È possibile che la diffusione del bolero sia inizia- te consente. I colori sono i più vari anche se per la gala fondo. Sull’avambraccio sono presenti da un minimo di
caso con brevi spacchi. Sono specialmente presenti nel- ta alla fine dell’Ottocento sulla scia della moda borghese si prediligono varie tonalità di rosso, per la festa ordina- una sino a dieci asole, anch’esse finemente ricamate a
la Sardegna centro-settentrionale, dove sono detti corìt- che nell’ultimo trentennio ne aveva decretato fasi alter- ria il nero, mentre per gli indumenti quotidiani si utiliz- punto occhiello con cordoncini di seta; a queste corri-
tu, e nella Baronia di Orosei dove sono chiamati zippò- ne di successo. In Sardegna, la fortuna di questo capo zano tessuti più modesti in una vasta gamma cromatica. spondono un pari numero di bottoni in filigrana d’argen-
ne. A partire dalla prima metà dell’Ottocento è possibile prosegue fino al pieno Novecento. Il tessuto principe I ricami sono limitati a brevi fasce che percorrono, evi- to. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo si assiste
seguire l’evoluzione di modelli caratterizzati da forme per la sua confezione è il velluto di cotone o di seta, sia denziandole, le linee di taglio e sono per lo più realiz- ad una notevole trasformazione di questo indumento.

252. Bolero festivo, corìttu,


Ittiri, prima metà sec. XX
Sassari, coll. privata.
253. Bolero festivo, corìttu,
Ittiri, prima metà sec. XX
Sassari, coll. privata.

252

253

170
254

255

254-255. Bolero festivo e di gala, corìttu,


Torralba, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita
e delle Tradizioni Popolari Sarde.

172 173
256

257

256. Bolero festivo, corìttu, Ittiri, prima metà sec. XX


Sassari, coll. privata.
257. Bolero festivo, corìttu, Torralba, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
258. Bolero festivo, corìttu, Bosa, seconda metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

174 175

258
259

Le dimensioni diventano così ridotte che qualche bole-


ro è, di fatto, costituito dalle maniche collegate tra loro,
in corrispondenza delle spalle, con una striscia di tessu-
to. L’ornamentazione ricamata a motivi floreali, di chia-
ra impronta ottocentesca, prende il sopravvento e fre-
quentemente viene accompagnata dall’applicazione di
lustrini e perline. In questo periodo i boleri sono spes-
so profilati con passamanerie, guarnizioni in organza e
frangette di seta. Quale che sia la loro datazione gli
esemplari esaminati presentano tutti cuciture a macchi-
na con rifiniture interne di media o buona qualità e so-
no foderati con resistenti tessuti di cotone in tinta unita,
stampati o operati. Per capi destinati al lutto si utilizza-
no tessuti scuri o neri e le ornamentazioni sono note-
volmente ridotte.

260
259. Bolero festivo e di gala, corìttu,
Cossoine, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita
e delle Tradizioni Popolari Sarde.
260. Bolero festivo e di gala, zippòne,
Benetutti, 1948
Benetutti, coll. privata.

176
Casacchini e giacchini ghezza totale dell’indumento. L’unico dettaglio che costi- 263. Giacchino festivo, gippòni,
Iglesias, primo decennio sec. XX
Indumenti di diversa origine vengono compresi in que- tuisce una vera differenziazione è il disegno della manica Nuoro, Museo della Vita e delle
ste due definizioni, la prima delle quali è riservata ad che può avere un alto risvolto rigido con profilo “a scu- Tradizioni Popolari Sarde.
un modello ben preciso, il cui uso pare attestato soltan- re”, messo ulteriormente in risalto dai larghi galloni ap-
to nel circondario di Cagliari, mentre la seconda com- plicati, o terminare con un volant arricciato bordato con
prende varianti utilizzate in tutta l’isola. un gallone o una trina d’oro. Sia il Tiole sia il La Marmo-
I casacchini sono corte giacche che non oltrepassano i ra48 illustrano l’esemplare con volant sotto il quale sono
fianchi, hanno la parte posteriore piuttosto aderente al indossate lunghe maniche di tessuto variopinto, con aso-
busto e lasciano scoperto il petto. Le prime fonti icono- le e bottoni d’argento. La versione con manica “a scure”
grafiche che ne attestano l’uso risalgono al primo decen- sembra invece destinata ad essere indossata lasciando in
nio dell’Ottocento e la descrizione risponde appieno agli vista le maniche della camicia ornate di pizzi. I modelli a
esemplari d’epoca presenti nelle raccolte pubbliche e volant sono peraltro associati a gonne rosse (si conosce
private. Il casacchino è confezionato in velluto di seta un solo esemplare di colore azzurro) con alto bordo
nero o color caffè scurissimo ed è sempre caratterizzato in tessuto di seta broccato analogo anche
da maniche a tre quarti terminanti con volant arricciato o al grembiule, mentre l’esemplare “a
risvolto “a scure” e da un accenno di baschina posteriore scure” si abbina ad una gonna in
con piccolo gruppo di pieghe al centro. Le parti anterio- pesante tessuto broccato e lami-
ri, appena accennate, sono irrigidite con steli vegetali o nato.49 L’abito di gala delle col-
cordoncini inseriti all’interno della fodera. L’indumento è lezioni del Museo della Vita e
interamente profilato con galloni d’oro con i quali sono delle Tradizioni Popolari Sarde
anche bordate le aperture di due finte tasche. Due nastri di Nuoro rimanda a questa va-
in gallone d’oro con frangia partono dallo scollo poste- riante; quello conservato a Ro- delle Arti e Tradizioni Popolari, mostra invece
riore e ricadono sciolti, sopravanzando di poco la lun- ma, presso il Museo Nazionale il tipo a volant, con manica staccata, abbinato al-
la gonna di panno rosso. In tutti i casi si tratta di in-
siemi vestimentari di massima gala riservati al ceto dei
grandi possidenti del circondario di Cagliari.50 La foggia
di questi capi deriva da casacchini e carachi settecente-
schi nei quali è ugualmente possibile ritrovare sia la ma-
nica a volant sia “a scure”, quest’ultima è assai frequente
anche nelle marsine maschili della stessa epoca dette
anche velàda, proprio lo stesso termine usato in Sarde-
gna per questo tipo di casacchino distinto così, anche
nel nome, da tutti gli altri capispalla. Di foggia legger-
mente diversa è il casacchino che contraddistingue l’abi-
to da sposa di Teulada, anch’esso in velluto con manica
a tre quarti, caratterizzata da un alto risvolto in tessuto
broccato a grandi motivi floreali.51
263

261. Giacchino festivo, gippòni,


Iglesias, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari. 261

262. Giacchino festivo, gippòni, 264. Giacchino festivo, gippòni,


Ussassai, prima metà sec. XX Iglesias, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
178 delle Tradizioni Popolari Sarde. Popolari Sarde. 179
262
264
Giacchini delle più diverse fogge sono presenti in tutta molto diffusi i giacchini corti che sfiorano il punto vita
l’isola discendenti da capi aulici o borghesi, più rara- ed hanno maniche diritte o lievemente arricciate nella
mente di tradizione settecentesca, più spesso derivanti parte superiore. Sono anche frequenti modelli con ma-
dalle varianti della moda ottocentesca. Sono confeziona- nica a pagoda tipicamente ottocentesca confezionati con
ti con stoffe di varia qualità e peso: panno nero, raso, velluti di seta operati a motivi floreali in due o tre tona-
lampasso lanciato, damasco semplice, lanciato o brocca- lità. I giacchini a baschina più o meno accentuata sono
to, velluto liscio, stampato, operato e taffettà liscio o anch’essi presenti in molte località dove mantengono
operato. I tessuti di cotone di vario tipo sono destinati la denominazione di zippòne, gippòni, tipica, come
agli esemplari d’uso giornaliero. I giacchini possono es- si è visto, dell’antico giubbetto oppure, come a
sere raggruppati in relazione alla linea della parte infe- Quartu S. Elena, prendono il nome di baschì-
riore che può essere rettilinea, a punta, o presentare na, con ovvia derivazione dal dettaglio sar-
una corta baschina. La parte anteriore è chiusa con una toriale che le caratterizza.
serie di bottoni o ganci o rimane parzialmente accostata
sul petto. Negli esemplari a punta le parti anteriori sono
anche irrigidite con stecche metalliche o steli di giunco.
Le maniche dei giacchini a punta, confezionati in panno,
sono in genere percorse da nervature che raccolgono
l’ampiezza del tessuto nella parte superiore del braccio
per poi aprirsi a sbuffo nella parte inferiore, chiusa con
un polsino di varia altezza. Grande risalto hanno anche
le maniche dei modelli festivi e di gala propri delle clas-
si medie di Quartu S. Elena, Settimo S. Pietro, Sinnai,
detti spenséru o spénsu, nei quali il tessuto di seta viene
arricciato o pieghettato solo nella parte superiore e infe-
riore della manica in modo da formare uno sbuffo a
ruota in corrispondenza del gomito dove sono anche
applicati volant dai lobi arrotondati o triangolari. L’orna- 266

mentazione di questi capi, assai fantasiosa, è realizzata


con applicazioni di tessuti in colore contrastante, passa-
manerie, nastri, cordoncini e galloni d’oro; più raro il ri-
camo, caratterizzato da disegni piuttosto elementari,
geometrici o floreali, realizzati con filati e tecnica al-
quanto grossolani in evidente contrasto con la cura dei Questi giacchini sono di norma confezionati con tessuti
dettagli sartoriali che caratterizzano tali indumenti. Sono serici o di cotone di medio peso, nella più ampia gam-
ma dei colori e delle tipologie; le maniche, sempre lun-
ghe, sono diritte o appena rigonfie nella parte superio-
265. Giacchino festivo, corìttu, re. Il giacchino può essere indossato con la baschina in
Ozieri, prima metà sec. XX evidenza o nascosta sotto la gonna. Chiaramente ispirati
Ozieri, coll. privata. alla moda borghese del primo Novecento sono i giac-
266. Giacchino festivo, corìttu, chini con breve collo montante e allacciatura centrale o
Nughedu S. Nicolò, prima metà sec. XX laterale che, nella parte anteriore, imitano l’effetto otte-
Nuoro, Museo della Vita
e delle Tradizioni Popolari Sarde. nuto indossando insieme la camicetta e il giacchino; la
parte che simula la camicetta è perciò realizzata con tes-
suti piuttosto leggeri, pizzo o tulle ricamato, mentre il
giacchino è confezionato con tessuti di seta più pesanti
quali i damaschi, i taffettà, i gros uniti o marezzati. Si
prediligono colori molto scuri, in particolare il nero. Le
decorazioni sono realizzate con applicazioni di souta-
che, passamanerie, lustrini e perline.
Tutti i modelli descritti vengono indossati sopra i corpet-
ti tipici delle varie località, in evidente opposizione for-
male, dati i caratteri di arcaicità che questi ultimi man-
tengono; tale contrasto è tanto più accentuato laddove
non si vuole rinunziare al corpetto rigido pur avendo
smesso sia la camicia sia il giubbetto o il bolero e dun-
que si indossa il corpetto sopra giacchini della foggia
265 appena descritta.

181
267

267-268. Casacchino di gala, velàda,


Quartu S. Elena, prima metà sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari.

268
MANICHE STACCATE, MANICOTTI, POLSINI CINTURE

M aniche staccate: Coprono l’avambraccio dal polso al gomito e vengono confe-


zionate con pregiati tessuti in seta. A quanto è dato sapere il loro uso è limi-
tato ad una ristretta area del Campidano di Cagliari. Le fonti iconografiche più
S ono accessori d’uso abbastanza limitato nell’iso-
la, completano l’abbigliamento femminile di ga-
la di poche località ed hanno un impiego pretta-
antiche, dal Tiole al La Marmora, ne documentano l’uso in insiemi vestimentari di mente ornamentale. Coprono l’area del punto vita
gala del Campidano di Cagliari, sempre abbinate a casacchini di velluto con ma- compresa tra l’orlo inferiore del corpetto e la gonna
niche a tre quarti con bordo a volant.52 Anche immagini fotografiche più recenti e si utilizzano sia quando il corpetto viene indossa-
ne attestano l’uso a Quartu S. Elena, Sinnai e altri paesi del circondario di Caglia- to sotto il giubbetto (Quartu S. Elena, Monserrato,
ri. Manica a tre quarti con profili “a scure” mostra invece il casacchino (velàda) di Bitti, Dorgali) sia quando viene indossato sopra
velluto nero, proveniente da Quartu S. Elena, al quale sono cucite le maniche, con- (Nuoro, Orani). I modelli sono sostanzialmente
fezionate a parte, in raso di seta rosso con polso guarnito con tessuto policromo e due: a nastro avvolto e a fascia. Gli esemplari del
bordato con passamaneria e pizzo.53 primo tipo sono confezionati con un nastro di gal-
Manicotti: Partendo dal polso coprono per metà l’avambraccio e nascondono le ma- lone in filato metallico dorato o argentato, largo cm
niche delle maglie di lana eventualmente indossate sotto la camicia giornaliera por- 5-10, lungo fino a cm 350, con le estremità in lam-
tata con le maniche rimboccate, oppure, negli insiemi di gala, si intravedono appena passo di seta o altri tessuti a righe o ricamati. La fo-
sotto il polso della camicia. Di norma sono lavorati a coste con giro di ferri da calza dera è in genere in tela di cotone o di lino di colore
utilizzando sottili filati di cotone o di lino di colore bianco; l’inserimento di filati di chiaro cucita al gallone con piccoli punti nascosti.
colore contrastante (rosso, azzurro, rosa) è limitato alla parte del bordo del polso ed è Le cinture di questo tipo (lazzàda o fàsc’’e cintróxu)
in genere lavorato a ventagli e traforo. L’iconografia più antica non ne attesta l’uso, si indossano avvolgendole almeno due volte attorno
potrebbe trattarsi di un’introduzione successiva ai primi anni del XX secolo del quale 269 al punto vita, falsando i giri per aumentare la parte
resta traccia in esemplari del centro Sardegna ed in particolare di Samugheo. coperta, il lembo in lampasso viene rimboccato per
Polsini: Confezionati in tela di cotone o di lino, sono presenti in quegli insiemi ve- tenere fermo l’indumento. A Bitti la cintura a na-
stimentari che prevedono l’uso di giacche con manica stretta al di sotto delle quali stro avvolto (intrìzza o àsca) è preparata con nastri
la camicia può essere molto semplice perché destinata a rimanere completamente gobelin a motivi floreali o geometrici.
coperta. In questi casi, per simulare il possesso di più camicie ricamate, si indossa- Le cinture a fascia sono confezionate con gallone
no alti polsini ornati per lo più a motivi floreali con le tecniche già descritte per il in filato metallico dorato o argentato o con nastri
ricamo in bianco delle camicie.54 I bordi possono essere completati da pizzo ad un- gobelin a motivi floreali o geometrici, in tutti i casi
cinetto, archetti a punto occhiello o semplici smerli a punto festone. I polsini sono sotto la fodera di cotone è presente un tessuto di
completi di occhiello, tagliato o a ponte, e bottone e vengono indossati sotto la ma- rinforzo. Le dimensioni in altezza variano tra cm 5
nica della giacca, tenendo in evidenza la sola parte ricamata. e 10, la larghezza corrisponde al giro vita. Vengono
chiuse con due o più coppie di ganci o con cordelle
passanti attraverso occhielli rotondi. Le cuciture so-
no eseguite a mano o a macchina e gli occhielli
possono essere rifiniti a punto festone, con cordon-
cini di seta. Alcuni esemplari in gallone d’argento
di fine XIX secolo, provenienti da Nuoro e Orani
(chintóriu), sono profilati con un sottile tessuto di
seta di colore celeste; a Dorgali le cinture (zimùs-
sas) sono fatte mediante nastri decorati con insegne
papali (zimùssa ’e cònca ’e pàpa), reali (zimùssa ’e
cònca ’e re) o a motivi floreali policromi su fondo
chiaro (zimùssa de sas rosichèddas).

269. Giuseppe Cominotti, Noce. Arrivée d’une jeune fille


de Sinai mariée à un riche cultivateur de Quartu, 1825,
litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne
par De Lamarmora, Cagliari, coll. Piloni.
270. Manica staccata, manighìle, di casacchino (velàda)
Quartu S. Elena, prima metà sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
271. Manicotto, manighìle, Samugheo, 1930
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 273

272-275. Cinture, chintòrias, 272


Nuoro e Orani, seconda metà sec. XIX-inizio XX
270 274 275
271 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde (272-274)
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari (275).
davanti e dietro la figura, allacciandoli con legacci
che li adattano alla circonferenza della vita, i due te-
GONNE li si sovrappongono lasciando appena intravedere la
camicia o la sottogonna. Si tratta dell’attestazione di
una foggia di origine molto antica scomparsa per
I nfinite davvero sembrano essere le soluzioni sartoriali e decorative escogitate in tutto l’ambito
della Sardegna per produrre questo genere di indumenti che, per facilità di sintesi, vengono
descritti raggruppandoli in cinque grandi categorie. Esistono comunque alcune caratteristiche
far posto prima ad una gonna d’orbace a pieghe,
poi di orbace e panno con decorazioni applicate.
Su questa gonna di foggia più evoluta si indossa
comuni a tutte le gonne, il punto vita, ad esempio, è regolabile per poter accompagnare la pro-
un grembiule che mantiene, un po’ ridotta, la
prietaria dell’indumento nelle sue variazioni di taglia o durante la gravidanza. Dato l’utilizzo stessa forma trapezoidale del pannello anteriore
prevalente di tessuti pesanti, quali lana e soprattutto orbace, nella sua confezione, alla gonna appena mitigata da due pieghe in corrisponden-
viene frequentemente associato l’impiego di cuscinetti o imbottiture per migliorarne la vestibilità za del punto vita. A Tonara, nel primo Nove-
e sostenerla nella parte superiore, in corrispondenza della vita, evitando così che scivoli lascian- cento, l’uso di questa coppia di indumenti, det-
do scoperti parte della camicia o del corpetto. ti sas chìntas, era ormai limitato alle donne
molto anziane o a ragazzine in età prepubera-
le e del tutto eccezionale venne considerato il
Gonne a telo semplice o doppio Tonara, Meana e Belvì dovevano essere costituite da uno fatto che nel 1930, in occasione della cresima, si
I viaggiatori dell’Ottocento, pur nel generale apprezza- o due teli di orbace, drappeggiati intorno ai fianchi, trat- confezionassero per una ragazzina questi indumen-
mento per l’abito tradizionale sardo e in particolare per tenuti con legacci o ganci. Le figure delle tavole del La ti, anziché la gonna a pieghe.
quello femminile, descrivono con evidente disappunto Marmora e del Tiole testimoniano senz’altro l’uso di capi
l’abbigliamento dei paesi montani della Barbagia e del- aderenti, ma non è possibile stabilire se si tratti di uno o Gonne a sacco
l’Ogliastra, quali Aritzo, Tonara, Belvì e Baunei, dove le due teli o del modello di gonna “a sacco” descritta più È probabile che questo genere di gonne, presente
donne indossavano indumenti aderenti alla figura che avanti; fa eccezione l’indumento di Meana, riprodotto al- soltanto nei paesi montani del centro Sardegna, sia
sottolineavano le forme ad ogni movimento. Tanto più la tav. 28 della Collezione Luzzietti, che è inequivocabil- il risultato di una elaborazione del modello prece-
tali “aderenze” dovevano stupire e sconcertare se si tie- mente un unico telo allacciato su un fianco.55 Il Museo dente, a doppio pannello, avvenuta all’interno di
ne conto del fatto che la moda italiana ed europea del Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma con- un omogeneo gusto locale, dettato da esigenze
tempo prediligeva per gonne e sottane ampie rotondità serva un esemplare assai interessante di abito femminile pratiche e tradizioni culturali oggi difficilmente
e volumi esagerati. Le gonne delle barbaricine di Aritzo, completo proveniente da Tonara composto dai consueti comprensibili. Unendo semplicemente dei teli di 278
capi in uso tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi tessuto in senso longitudinale si ottiene un indumen-
decenni del Novecento, ad eccezione della gonna arric- to molto semplice, una sorta di sacco con doppia aper-
ciata sostituita da una coppia di teli confezionati in or- tura che nel punto vita non presenta tagli, riprese o ac-
bace di colore rosso scuro. Se si posizionano questi teli corgimenti sartoriali particolari, ma viene semplicemente inizialmente molto semplice e vede l’applicazione di na-
ripiegato, stringendolo con una coppia di lacci nella stri di taffettà uniti o operati, di velluto di seta e cotone;
parte anteriore e con un’altra in quella posteriore, fino a ad Aritzo sono anche presenti applicazioni di sottili stri-
raggiungere l’aderenza desiderata.56 Si tratta dunque di sce dentellate di panno scarlatto. In ambiente agiato e
un modello di struttura arcaica con un limitato costo di negli abiti di gala più recenti l’ornamentazione diviene
produzione ed oltretutto assai versatile e funzionale per preziosa ed è costituita da una fascia ricamata nella qua-
la sua adattabilità alle variazioni di taglia nel corso degli le si susseguono motivi a triangolo, roselline, puntini,
anni o durante la gravidanza. Questa tipologia è ancora alternati a linee colorate, e motivi a dentelle realizzati
presente in area barbaricina a Desulo, Aritzo e Belvì. con cordoncini di seta policromi nelle note dominanti
Qualche ritocco al modello – una lieve increspatura del del giallo e con punte di azzurro e rosso. Su questo tipo
tessuto nella parte posteriore, dalla quale partono due di gonna si usano esclusivamente grembiuli a pannello
pieghe che consentono una maggiore scioltezza nei mo- liscio, di forma trapezoidale o a striscia allungata. Le va-
vimenti – ha nel tempo ingentilito la sua struttura auste- rianti da mezzo lutto o quelle indossate da persone mol-
ra. Nei primi decenni del Novecento le gonne a sacco to anziane sono di colore rosso bruno e presentano po-
vengono confezionate in orbace in tutte le sfumature chi ricami. Per il lutto stretto si usa esclusivamente il
del rosso fino al bruno e al nero, con cuciture realizzate colore nero con una quasi totale assenza di ricami rea-
a mano o a macchina. L’unione dei diversi teli di tessuto lizzati mediante cordoncini di seta e nastri in tinta.
e le linee di applicazione dei nastri sono sempre sottoli-
neate con minuti ricami geometrici lineari realizzati con
cordoncini di seta e cotone a vivaci colori (punto cate-
276. Gonna a doppio pannello, chìntas,
nella, punto erba, punto mosca, punto pieno); tali rica- Tonara, primo decennio sec. XX
mi divengono via via più estesi fino a formare delle fa- Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
sce ornamentali larghe fino a cm 10. Negli esemplari 277. Anonimo, Donne di Meana, inizio sec. XIX, acquerello su carta,
desulesi più recenti il cromatismo dei rossi si fa più ac- Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria.
ceso e la metà inferiore dell’indumento viene realizzata 278. Gonna a sacco, camisèdda, Desulo, prima metà sec. XX
276
277 con panno scarlatto. Come già detto l’ornamentazione è Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

186 187
Gonne arricciate, a pieghe e plissettate latto delle donne di Osilo e quelle in damasco di seta
Questo gruppo comprende la maggior parte delle gon- broccato e laminato, proprie dell’abbigliamento di gala
ne caratterizzate da una notevole ampiezza del tessuto delle ricche campidanesi di Monserrato e Quartu S. Ele-
che viene arricciato, pieghettato o plissettato con moda- na e ancora le gonne in pesante tessuto di cotone a ri-
lità descritte più avanti.57 Per la confezione si usano ghe blu e rosse, detto abordàu o bodràu, caratterizzan-
l’orbace, il panno di lana, il crespo di lana e di seta, il ti l’abbigliamento quotidiano e festivo delle popolane
gabardine di lana e di cotone, il raso e il damasco di della Sardegna meridionale.58
seta, il lampasso broccato, il velluto di seta e di cotone, La parte anteriore di queste gonne è costituita da un ele-
il rasatello di cotone stampato, e una gamma vastissima mento liscio o appena increspato sul punto vita, in alcu-
di indiane e tessuti misti in lana, seta e cotone. I colori ni casi è un vero e proprio pannello indipendente unito
variano in relazione al tipo di tessuto: negli esemplari per tutta la lunghezza da bottoni. L’apertura è in genere
in orbace e panno di lana sono prevalenti le tonalità anteriore, mono o bilaterale, di cm 30-50. Il modello sar-
del rosso per gli indumenti nuziali, festivi ed anche toriale è quasi sempre condizionato dalla scelta del tes-
giornalieri, con le varianti di rosso cupo e marrone bru- suto, primo fra tutti l’orbace, in genere unito in numerosi
ciato per le donne anziane e per il lutto, fino al nero teli fino a raggiungere l’ampiezza desiderata; regolazioni
per le vedove. Per gli altri tipi di tessuto, sia uniti sia di taglia sono comunque rese possibili adattando la chiu-
operati, la gamma cromatica è estremamente ampia; sura in vita mediante ganci o lacci. In qualche caso si
per brevità si segnalano le gonne di velluto di seta scar- utilizzano due tipi di tessuto, ad esempio orbace nella

280

parte superiore e panno in quella inferiore, uniti in sen-


so trasversale. Il tessuto così preparato può essere sem-
plicemente arricciato riducendo l’ampiezza in vita me-
diante punti filza nascosti o punto smock ricamato con
279. Gonna festiva e di gala, munnèdda, cordoncini robusti in tinta o formando una vera e pro-
Ittiri, prima metà sec. XX pria fascia di altezza variabile (da cm 10 a cm 40) costi-
Sassari, coll. privata.
279
tuita dalle pieghe raccolte strettamente a partire dal pun-
280. Gonna festiva e di gala, gunnèdda, to vita fino a fasciare tutta l’area dei fianchi. Il tessuto
Quartu S. Elena, fine sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti può ricadere liberamente dando luogo a pieghe sciolte
e Tradizioni Popolari. (Nuoro: fardètta ’e pànnu o tùnica ’e pànnu; Fonni:

188 189
283
282

281

istàde) o essere “messo in piega” mediante cuciture o al- gli orli. In alcune località quest’uso, benché con le im- si coglie lo sforzo di rimodellare le gonne, raccogliendo
tre tecniche di modellazione per l’ottenimento di pieghe mancabili modifiche, si è mantenuto fino ai giorni nostri. la grande quantità del tessuto con fitte pieghettature cu-
più o meno ampie (da cm 0,8 a cm 5-6) a profilo arro- Ad Orgosolo la gonna di panno o saia di lana con bordo cite che dal giro vita scendono verso il basso, interessan-
tondato o spigoloso; le pieghettature finissime, a sagoma inferiore di seta verde, detta vèste o arràsa, si indossa do in qualche caso tutta la fascia del bacino e dei fian-
arrotondata o acuta, ottenuta con lavorazioni particolari sopra quella di orbace detta saìttu, anch’essa con bordo chi, oppure rendendo ancor più fitta la plissettatura o
del tessuto, vengono genericamente definite plissettature. verde; ancora nel primo Novecento è diffuso l’uso di in- riducendo la larghezza delle pieghe. Di pari passo dimi-
Gran parte delle gonne presentano due fessure longitudi- dossarle entrambe sopra una terza gonna di orbace bor- nuiscono le lunghezze – per mostrare calzature che se-
nali anteriori che, formando una sorta di patta, consento- data di rosso chiamata saìttu rùbiu; a Ollolai la gonna in guono anch’esse tipologie “alla moda” – mentre, quale
no di indossarle con facilità e di adattarne le dimensioni panno plissettato, detta fardellìnu, è sovrapposta a quel- segno di lusso, aumentano in altezza tutti i bordi inferiori 281. Gonna festiva e di gala, gunnèdda,
alla vita; essendo spesso coperta con un grembiule, la la di orbace detta uddìttu. Sotto le gonne di orbace o ornamentali delle gonne, siano essi in tinta unita, ricama- Quartu S. Elena, fine sec. XIX
parte anteriore può essere confezionata con tessuti di panno era comunque consuetudine diffusa, anche nel ti, o costituiti da più ordini di tessuto o nastri sovrappo- Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
qualità diversa, ad esempio cotonina a fiorellini, mollet- pieno Novecento, usare almeno una gonna arricciata sti. In tal modo solo le gonne che mantengono lunghez- 282. Gonna festiva e di gala, unnèdda, Bono, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
tone a quadri ecc. per la parte anteriore di una gonna di confezionata in tela di cotone in minute fantasie giocate ze al piede danno realmente slancio alla figura, tutte le
pesante panno di lana (Samugheo: chìnta ’e fàttu o su tonalità scure. Nella gran parte dei casi l’uso si è per- altre ottengono esattamente il risultato opposto. Le gon- 283. Gonna festiva e di gala, munnèdda,
Torralba, prima metà sec. XX
chìnta ’e pàllas; Busachi: unnèdda; Benetutti: munnèd- so progressivamente (Nuoro, Oliena, Gavoi ecc.) per un ne di orbace e panno non vengono mai foderate se non Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
da). Le varianti documentate dopo la seconda metà del- processo di semplificazione dell’abbigliamento tradizio- lungo il bordo inferiore, in corrispondenza dell’orlo de-
284. Gonna festiva, gunnèdda,
l’Ottocento raggiungono volumi importanti ottenuti sia nale influenzato dal gusto estetico del Novecento che ri- corato esterno; quelle realizzate con tessuti di seta e in Sinnai/Maracalagonis, inizio sec. XX
con grandi ampiezze di tessuto sia sovrapponendo più disegna una figura femminile affusolata, riducendo dap- particolare con quelli broccati e laminati sono foderate Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
gonne di orbace o altra stoffa con differenze di lunghez- prima i volumi e poi anche le lunghezze delle gonne. con tela apprettata o incerata di cotone, lino o canapa 285. Gonna festiva, fardètta, Iglesias, fine sec. XIX
za, talvolta studiate per evidenziare la stratificazione de- Negli esemplari datati dopo il 1930, in quasi tutta l’isola, nei colori avorio o celeste. Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

190 191
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285
286

286. Gonna festiva e di gala, munnèdda, Benetutti, 1948


Benetutti, coll. privata.
287
287. Gonna festiva, munnèdda, Benetutti, inizio sec. XX
Benetutti, coll. privata.

194 195
288. Gonna festiva, saigiòne, Atzara, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
289. Gonna festiva, saigiòne, Sorgono, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
290. Gonna festiva e di gala, tùnica, Oliena, 1950
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

288

290

289
291. Gonna festiva e di gala, uddìttu, Ollolai, inizio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
292. Gonna festiva e di gala, fardètta, Mamoiada, fine sec. XIX
Mamoiada, coll. privata.
293. Gonna festiva e di gala, uddìttu,
Ollolai, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

291

293

292
Gonne a gheroni
Questa definizione comprende le gonne di orbace nelle 294. Gonne festive e di gala, saìttu e vèste,
quali ad ogni piega, o al massimo ad un gruppo di due, Orgosolo, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
corrisponde un gherone, vale a dire una striscia di tessu-
295. Gonna giornaliera, saìttu, Orgosolo, primo decennio sec. XX
to di forma trapezoidale, lungo quanto l’altezza totale Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
della gonna, unito ad un altro in corrispondenza della
296. Gonna festiva, ’amisèdda, Fonni, primo decennio sec. XX
parte interna della piega (Nuoro: ghirònes); l’intera am- Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
piezza della gonna (cm 380 e cm 480), ad eccezione del
297. Gonna festiva, tùnica, Nuoro, prima metà sec. XX
pannello anteriore,59 è perciò data dall’unione dei ghero- Nuoro, coll. privata.
ni; la parte inferiore della piega presenta una cucitura a
costura semplice, quella superiore, ma non sempre, una
lieve impuntura che ne sostiene la piega. In corrispon-
denza del punto vita, per circa cm 10, la parte superiore
dei gheroni viene raccolta in una fitta increspatura per
ridurre il tessuto e dare snellezza alla figura; il cinturino
in corrispondenza del punto vita viene fatto con diversi
tipi di tessuto di seta o cotone, unito o fantasia, e può
anche essere guarnito con un profilo di panno scarlatto
tagliato al vivo. La gonna a gheroni è usata a Nuoro,
Orani e Orotelli per le gonne di orbace festive, giorna-
liere e da lutto dette tùnicas, distinte anche nel nome da
quelle semplicemente arricciate fatte in panno o altri tes-
295 suti (fardèttas). La larghezza dei gheroni e, conseguente-
mente, quella delle pieghe consentono di datare questi
indumenti perché, come già detto per i modelli arriccia-
ti, le gonne realizzate dopo il primo ventennio del No-
vecento hanno pieghe molto più strette rispetto agli
esemplari ottocenteschi.
La parte anteriore, appena arricciata, presenta aperture
longitudinali (màsculas) bordate con raso, taffettà o vel-
luto di seta o di cotone, talvolta ricamati in abbinamento
al corpetto festivo, specie negli esemplari successivi agli
anni Trenta del Novecento. Il bordo inferiore è sempre
guarnito con un nastro di altezza variabile tra i cm 12
degli esemplari antichi fino ad arrivare ai cm 18-20 degli
esemplari più recenti. Nella seconda metà dell’Ottocen-
to per le gonne giornaliere si utilizzano nastri di taf-
fettà di seta a colori sfumati, rigati o Madras; per
quelle di gala si predilige il nastro in taffettà o raso
di seta rosso, in varie tonalità, o color ciclamino,
meno frequente il nastro in gros di seta marezza-
to che caratterizzerà invece questi capi a partire
dalla fine dell’Ottocento. L’orlo presenta profili
in panno scarlatto tagliati al vivo o un sottile
profilo di velluto rosso o blu scuro. A diffe-
renza delle gonne in orbace a semplici pie-
ghe, le cuciture sono realizzate a mano con
la sola eccezione della applicazione della
bordura inferiore e della corrispondente
fodera interna che possono essere ese-
guite a macchina.60

297

294 296
Gonne unite al corpetto 298. Gonna festiva unita al corpetto, vèste,
Fonni, primo decennio sec. XX
Si tratta di indumenti assai particolari il cui Roma, Museo Nazionale delle Arti
uso è attestato in poche località.61 Gli esem- e Tradizioni Popolari.
plari esaminati provengono da Fonni, nel- 299. Gonna festiva, vèste,
l’insieme costituito da imbùstu e vèste, e Fonni, prima metà sec. XX
da Orani nell’insieme di pàla e iscar- Fonni, coll. privata.
ramàgnu. Le fonti iconografiche non
evidenziano mai questi capi dei qua-
li non si colgono le peculiari carat-
teristiche quando vengono indos-
sati. I due casi citati differiscono
peraltro completamente tra lo-
ro dato che il tipo fonnese
presenta un corpetto a fa-
scia con punte anteriori,
unito alla classica gon-
na di orbace o panno

298

plissettato; in questo caso l’insieme busto-gonna viene fili chiari dell’ordito. L’indumento, ornato con un nastro
indossato sotto il giubbetto di panno. Del tutto partico- in gros di colore variante dal rosso geranio al ciclamino,
lare il caso di Orani, nell’insieme vestimentario detto è anche caratterizzato da una fittissima plissettatura serra-
iscarramàgnu, dove il corpetto in panno di lana di colo- ta in corrispondenza della vita. La parte anteriore, appe-
re rosso cupo, tendente al marrone, è di tipo morbido, na arricciata, presenta due aperture laterali piuttosto mal
copre completamente la parte posteriore del busto e vie- rifinite se si considera il tono e la qualità raffinata dell’in-
ne unito a grossi punti alla gonna che, allo stato attuale dumento. L’insieme descritto viene indossato sopra un
delle conoscenze, costituisce un unicum in Sardegna. Si corto giubbetto in panno.62
tratta infatti di una gonna con ordito in canapa o lino di Alle caratteristiche particolari del tessuto si aggiunge an-
colore naturale e trama in lana di colore marrone scuris- che quella della denominazione, iscarramàgnu, unica
simo/nero; tale tessuto ha una lucentezza particolare do- anch’essa in Sardegna, che richiama il termine scara-
vuta sia alla qualità del filato di lana, sia alla tecnica di manghion usato in epoca bizantina per indicare una ve-
tessitura con trame a vista che coprono completamente i ste cerimoniale.63 299

202
operato a motivi floreali e zoomorfi. Più rara l’ornamenta-
zione ricamata quale quella di Nuoro e Orani, caratteriz-
GREMBIULI zata dal susseguirsi di piccoli motivi floreali e geome-
trici disposti a cornici concentriche lungo il bordo
inferiore, e quella di Orgosolo che invade buona
I grembiuli caratterizzano l’abbiglia-
mento popolare di tutto l’ambito euro-
peo ed anche in Sardegna sono presenti
parte della superficie con i noti motivi a punta,
realizzati alternando organicamente filati di
seta dai colori vivacissimi. I due esempi,
in numerosissime varianti determinate del tutto diversi tra loro, sembrano co-
dall’insieme vestimentario al quale si ac- munque riportare ad un antico signi-
compagnano, dall’area geografica di ap- ficato simbolico dell’ornamentazio-
partenenza e dall’occasione per la qua- ne, fortemente caratterizzante il
le vengono indossati. sistema vestimentario di gala
Per necessità descrittiva le varie tipo- delle comunità citate. In
logie vengono ricondotte, in qual- particolare è da osserva-
che caso forzatamente, a grandi re che sia il complesso
gruppi, abbiamo quindi: grem-
biuli a pannello, arricciati o pie-
ghettati e a ventaglio.

Grembiuli a pannello
In questo insieme vengono descritti i grembiuli a
striscia allungata, quelli trapezoidali e quelli avvol-
genti. I cosiddetti grembiuli a striscia allungata, 300. Grembiule festivo e di gala, frànda,
denominati jìnta o chìnta, caratterizzano l’abbi- Nuoro, inizio sec. XX
gliamento di alcuni paesi montani del centro Nuoro, coll. privata.
Sardegna (Aritzo, Laconi, Belvì) per i quali le 301. Grembiule festivo e di gala, frànda,
fonti danno numerose descrizioni e illustrazioni. Orani, inizio sec. XX
Si tratta di grembiuli che poggiano sui fianchi Nuoro, Museo della Vita e delle
Tradizioni Popolari Sarde.
allungandosi in una lunga striscia centrale con
estremità inferiore arrotondata; sono sempre
associati a gonne strette e aderenti alla figura.
Paiono essere confezionati in tessuti pesanti,
certamente orbace o panno, e non presen-
tano alcuna ornamentazione. Gli esemplari
di fine Ottocento e dei primi del Novecen-
to hanno subito modifiche sia relative alla
forma, che si è ulteriormente assottigliata
e ingentilita, sia al tessuto, panno o vel-
luto di seta con nastri a motivi floreali e
zoomorfi applicati lungo il bordo.
Questo tipo di grembiuli sono fermati
in vita con semplici nastri o con ap-
posite catenelle d’argento e vengono
indossati con gonne a sacco.
I grembiuli di forma trapezoidale, li-
sci o appena arricciati, all’inizio del-
l’Ottocento sono piuttosto comuni
nella Sardegna centrale (a Desulo,
Fonni, Gavoi, Mamoiada, Nuoro,
Oliena, Ollolai, Orani, Orgosolo e
in molti altri luoghi). Il tessuto più
usato è il panno o il rasatello di
vario colore bordato con un na-
stro in tinta unita, ricamato o

204 300
301
303
302

302. Grembiule festivo, ’odàle,


Gavoi, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari.
303. Grembiule festivo, saùcciu,
Fonni, fine sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari.
304. Grembiule festivo, saùcciu,
Fonni, seconda metà sec. XX
Fonni, coll. privata.
305. Grembiule festivo, antalèna,
Orgosolo, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari.

304
305
Grembiuli arricciati
Sono i grembiuli più comuni sia perché hanno soppian-
tato nell’uso alcuni dei modelli di gala sopra descritti ed
accompagnano il vestiario tradizionale fino alle ultime
fasi della sua utilizzazione, sia perché sono quasi ovun-
que utilizzati negli insiemi giornalieri e da lavoro. Esa-
minando gli esemplari di gala si può dire che la gamma
dei tessuti impiegati è davvero sterminata. Si passa in-
fatti dai modelli in orbace, nei quali l’ampiezza è raccol-
ta con plissettature, a tutta la gamma dei tessuti in seta,
soprattutto taffettà liscio e operato, damasco, organza,
raso, crespo sia in tinta unita che in più colori; molto
ampia anche la gamma dei tessuti di cotone che com-
prende tutte le tele bianche e quelle a colori stampate
dette indiane, il rasatello stampato a piccoli motivi flo-
reali policromi o nei toni dell’oro e dell’argento; altret-
tanto vasta è la gamma dei grembiuli arricciati realizzati

308. Grembiule festivo, chìnta, Sorgono, primo decennio sec. XX


Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
309. Grembiule festivo, chìnta, Atzara, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
310. Grembiule giornaliero, chìnta, Atzara, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

308

306 307

decoro costituito dal susseguirsi di spirali dei grembiuli ha forma trapezoidale, il ricamo lineare che contorna i
di Nuoro e Orani, sia i citati elementi a punta di quelli nastri applicati e divide lo spazio in segmenti geometri-
orgolesi, richiamano i motivi a meandro, a spirale, a ci, diviene nel tempo sempre più esteso, costituito da
doppia protome propri di una simbologia preistorica più ordini decorativi, ma senza troppe concessioni al
paneuropea. Quale che sia stato il significato iniziale di gusto naturalistico. In molti altri casi le forme trapezoi-
questi simboli, è certo che la loro forza è stata tale da dali attestate nel primo Ottocento assumono dimensioni
farli riprodurre, di generazione in generazione, sugli più ridotte e talvolta danno luogo a nuovi modelli di
esemplari di gala, anche se nel tempo si è perso il si- forma quasi triangolare (Fonni: saùcciu) con bordi sem-
gnificato della rappresentazione. La perdita della memo- pre più alti, spesso ricamati in combinazione con alcu-
ria simbolica si conclude quando, dopo il primo tren- ne parti della gonna e del giubbetto. In altre località,
tennio del Novecento, ai simboli descritti si affiancano come Mamoiada e Oliena, il modello trapezoidale viene
con sempre maggiore invadenza i motivi floreali che fi- sostituito con varianti arricciate e ricamate di cui si trat-
niscono per soppiantarli completamente, come è avve- terà più avanti. Alcuni grembiuli a pannello hanno dop-
nuto in alcune varianti di grembiuli nuoresi, risalenti a pio diritto e il loro uso è dunque possibile anche in tut-
quegli anni, voluti dalle committenti per rinnovare lo te le occasioni prescritte per le varie gradazioni di lutto
stile dei grembiuli nuziali nell’ultima fase del loro utiliz- ad eccezione del lutto stretto per il quale è d’obbligo il
zo. Ad Orgosolo il motivo a punta continua ad essere colore nero.
presente ma, perso il magnifico risalto che caratterizza
gli esemplari più antichi, appare soffocato, mortificato
quasi, avviluppato com’è da fiori e mazzolini ricamati
introdotti negli esemplari di gala più recenti. Il processo
di modernizzazione e di trasformazione non si limita ai 306. Antonio Ortiz Echagüe, Comida en Mamoiada, 1907, olio su tela.
soli casi in questione, ma riguarda quasi tutti i tipi di 307. Grembiule festivo, ’odàle, Ollolai, primo decennio sec. XX
grembiule. A Desulo dove il grembiule, detto saùcciu, Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
309 310

208
312

con tulle di seta, lino o cotone, ricamato a motivi florea-


li con fili di cotone o di lino in tinta. Dopo il primo de-
cennio del Novecento gli esemplari di gala sono sempre
più spesso ornati con ricami naturalistici disposti su un
angolo o a formare una vera e propria cornice che inte-
ressa tutto il bordo inferiore; altrettanto frequenti sono le
bordure di pizzo meccanico o a uncinetto. La tela di co-
tone o di lino è utilizzata per tutti i grembiuli da lavoro
e in particolare per quelli destinati alla panificazione. Si 311-312. Grembiule festivo, chìnta ’e annànti,
tratta di capi molto semplici dei quali rimane traccia Samugheo, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
esclusivamente nei ricchi corredi dei primi del Novecen-
313. Grembiule festivo, fardìtta, Bono, prima metà sec. XX
to nei quali si ritrovano grembiuli bianchi ricamati, da Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
utilizzare in ambito esclusivamente domestico in occa-
314. Grembiule festivo, provenienza sconosciuta, prima metà sec. XX
sione di pranzi o altre circostanze eccezionali o destinati Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
alle balie che, pur indossando l’abito tradizionale del
315. Grembiule festivo, fàrda, Benetutti, 1948
proprio luogo d’origine, possono sovrapporre ad esso Benetutti, coll. privata.
un grembiule bianco particolarmente ornato che diviene
316. Grembiule festivo, provenienza sconosciuta, prima metà sec. XX
simbolo della loro stessa professione. Del tutto singolare Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
pare il caso di Orani nel quale il grembiule bianco di te- 317. Grembiule festivo e di gala, fàrda, Benetutti, 1948
la, con falsature in pizzo ad uncinetto, filet, buratti o ri- Benetutti, coll. privata.
cami su tela sfilata, è abbinato all’antico insieme di gala 318. Grembiule giornaliero, pannéllu, Ittiri, inizio sec. XX
detto iscarramàgnu. Nell’uso quotidiano sono comuni i Sassari, coll. privata.
grembiuli di cotone stampato a motivi minuti sia nei co- 319. Grembiule festivo, fàrda, Benetutti, seconda metà sec. XX
lori scuri che chiari. Tutte le varianti descritte trovano il Benetutti, coll. privata.
loro corrispondente in nero per il lutto stretto e colori 320. Grembiule festivo e di gala, frànda, Orani, inizio sec. XX
311 spenti per gli altri gradi del lutto. Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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Grembiuli a ventaglio
Si tratta di una tipologia piuttosto omogenea ben rap-
presentata, dal primo Ottocento in poi, negli insiemi di
gala del Cagliaritano che, per l’indubbia valenza esteti-
ca, ha attratto i viaggiatori e gli illustratori. Insieme ai
casacchini già descritti e alle gonne di panno o velluto
di seta rosso o di damasco fondo verde broccato a moti-
vi floreali, caratterizzano l’abbigliamento nuziale e di ga-
la delle ricche possidenti del circondario di Cagliari e in
particolare di Quartu S. Elena, Sinnai, Monserrato e Se-
largius. La stessa foggia è anche presente negli insiemi
festivi e nuziali di Teulada e Pula in abbinamento sia a
gonne di panno rosso che a un tipo più modesto di co-
tone a righe rosse e blu (bordatino). Le denominazioni
sono ovunque assai simili: frascadròxa, vascatròxa e
deventàli. Si tratta di grembiuli che non oltrepassano la
metà della lunghezza complessiva della gonna e vengo-
no definiti a ventaglio perché caratterizzati da un grup-
po centrale di pieghe in cui si raccoglie l’ampiezza del
tessuto che si allarga verso il basso appunto come un
ventaglio. Gli esemplari esaminati, risalenti alla seconda
metà dell’Ottocento, sono confezionati con diversi tipi
di tessuto. La parte centrale è in velluto di seta o panno
321 322

323 324

214
in varie gradazioni di rosso, in qualche esemplare in
panno o velluto blu scuro, le parti laterali sono confe-
zionate in panno o altro tessuto di media qualità dato
che vengono ricoperte con un alto bordo in lampasso
broccato e laminato o broccatello a motivi floreali po-
licromi su fondo color avorio o giallo. A impreziosire
ulteriormente il capo contribuiscono le bordure in
gallone d’oro e le trine lavorate a fuselli con filati
d’oro caratterizzate dal motivo a ventaglietti. I model-
li raffigurati nelle illustrazioni del primo ventennio
dell’Ottocento presentano una forma a ventaglio me-
no accentuata e bordi molto sottili, ma già nel 1837 il
Valery testimonia la foggia compiuta, quale quella
degli esemplari giunti fino a noi, che da quella data
in poi sarà ampiamente documentata. Vale la pena di
osservare che tutta l’iconografia citata mostra con
chiarezza che i grembiuli di questo tipo non vengo-
no allacciati in corrispondenza del punto vita, ma
piuttosto sospesi con gli appositi lacci in modo da la-
sciare bene in vista la parte superiore della gonna. In
quasi tutte le raffigurazioni si notano, infatti, i nastri e
le cordelle che, sostenendoli, ricadono in posizione
perpendicolare e non inclinata come accadrebbe se i
lacci fossero stretti attorno alla vita. Questo modo cu-
rioso e per ora inspiegabile di indossare il grembiule
è comune anche a pochi altri modelli dell’area cam-
pidanese di cui gli stessi autori danno testimonian-
za.64 Non esistono grembiuli a ventaglio da utilizzare
in caso di lutto dato il carattere di grande lusso e ga-
la dell’insieme vestimentario al quale questi capi fan-
no riferimento.

321. N.B. Tiole, Paysanne de environ de Cagliari aux journe


de fête, 1819-24, acquerello su carta.
322. Quarto S. Elena (circondario di Cagliari). Costume di gala,
1898, litografia a colori, in E. Costa, Costumi sardi, Cagliari 1913.
325
323. Grembiule festivo e di gala, fascadròxa,
Quartu S. Elena, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
324. Grembiule festivo e di gala, fascadròxa,
Monserrato/Quartu S. Elena, fine sec. XIX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
325. Grembiule festivo e di gala, fascadròxa,
Quartu S. Elena, seconda metà sec. XX
Oristano, coll. Enrico Fiori.

216
della parte posteriore e un alto volant sul fondo (Bitti)
o applicazioni di pizzo San Gallo sul bordo inferiore,
BIANCHERIA con passanastro e nastro in raso negli esemplari più re-
centi. Rarissimi i ricami: essi si osservano solo in indu-
menti provenienti da corredi di spose di condizione
G li indumenti indossati a diretto contatto con il corpo sono originariamente caratterizzati
dall’uso di tela di colore bianco dalla quale prendono la denominazione di biancheria. Le
camicie, che pure sono confezionate con questo tipo di tessuto e nascono come indumento inti-
agiata e sono realizzati a motivi floreali a punto inglese.
Le cuciture sono per lo più realizzate a macchina con
unione del tessuto a costura semplice o doppia.
mo, non vengono comprese nella biancheria poiché, nel periodo al quale fa riferimento il pre-
sente studio, sono ormai pienamente trasformate in capi esterni. Il termine biancheria si esten- Sottovesti
de e finisce per comprendere tutti gli indumenti di utilizzo intimo confezionati con vari tessuti: Indumenti intimi sostituenti nella funzione l’insieme co-
cotone, seta e lana, sia bianchi che colorati. pribusto-sottogonna derivano anche dall’estrema sem-
plificazione delle camicie che, nei primi decenni del
Novecento, vengono private delle maniche specialmen-
te dove si adottano giacchini di foggia borghese a ma-
Copribusto nica stretta. I modelli proposti dalle riviste di moda
Questi indumenti si diffondono in ambito popolare alla vengono adottati soprattutto nelle zone maggiormente
327
fine dell’Ottocento quando la camicia perde la caratteri- soggette alle influenze del gusto nazionale o nei paesi
stica di indumento intimo e diviene capo esterno per che protraggono l’uso dell’abito tradizionale di gala e
eccellenza. Si indossano a pelle, sotto la camicia, diver- da sposa, fino agli anni Cinquanta del Novecento, con
samente dai modelli ottocenteschi a cui si ispirano desti- continue modifiche e modernizzazioni che interessano
nati ad essere portati sopra i busti. È probabile che il lo- sia gli indumenti esterni sia quelli intimi; in questi casi
ro uso si diffonda prima tra i ceti abbienti per soddisfare la parte superiore della sottoveste, che si intravede sotto
un’esigenza di maggiore pudore e decoro, soprattutto in la camicia, viene guarnita con ricami a macchina su tul-
quelle aree nelle quali le ampie camicie corte, aperte sul le, a mano su tela sfilata, o ad intaglio. Gli esemplari
lato anteriore, richiedevano una maggiore protezione destinati ad essere indossati con abiti tradizionali d’uso
del seno. Col tempo, negli insiemi di gala, si fa strada giornaliero prima e di transizione poi (insiemi composti
l’uso di mostrarne la parte superiore della scollatura or- da camicetta o blusa e gonna) presentano, lungo i bor-
nata di pizzi e ricami. Gli esemplari esaminati sono sen- di, applicazioni di pizzo meccanico anche a colori, o ar-
za maniche, a spalla larga, sagomati in modo da aderire chetti a punto festone. Per la confezione di questi indu-
al corpo, dando risalto al seno, con scollature in genere menti si utilizzano tutte le varietà di tele di cotone e di
quadrate o rotondeggianti adatte allo stile della camicia, lino usate per le camicie ed anche mussola o bisso di li-
più rari quelli a scollo triangolare. L’apertura può essere no e cotone molto sottili. Il colore preferito è il bianco,
sia laterale sia anteriore, comunque chiusa con bottoni con modelli a spalla larga con scollo quadrato o arro-
di madreperla o lacci.65 tondato, il taglio è diritto o leggermente svasato e la
lunghezza al polpaccio; in qualche caso per ottenere
326 328
Sottogonne un’ampiezza maggiore vengono inseriti due gheroni ai
Indumenti intimi sono sempre presenti nel corredo per- passandoli tra le gambe e fissandoli in corrispondenza sia affermata nell’uso prima per motivi di tipo igienico, lati dell’indumento. La parte superiore viene sagomata
sonale delle donne sarde a partire dal primo Novecento. della vita. Il Wagner tra i significati del termine kamíṡa poi di tipo estetico, sulla scia delle mode che volevano con nervature verticali, pinces laterali o con piccolo
I reperti di datazione anteriore sono invece assai rari, scrive: «Lo Spano, s.v. kamísia indica che la voce signi- volumi rigonfi delle gonne, ottenuti con più strati so- carré sul quale è applicato il tessuto arricciato della par-
salvo non si tratti di indumenti facenti parte di insiemi fica in log. anche ‘mestruo’ o lo significava almeno. In vrapposti di sottogonne e gonne. In tutti i casi gli esem- te anteriore. Gli esemplari posteriori al 1930, provenien-
di gala. È stato già segnalato che in molte raffigurazioni questo senso si usava camisa in Spagna. Il Diz. Acc. plari esaminati, che non hanno mai datazioni anteriori ti da ricchi corredi, sono talvolta confezionati con bisso
del primo trentennio dell’Ottocento66 si intravede, sotto Spagn. lo registra come ‘p(oco) us(ado)’ nella lingua ai primi anni del Novecento, presentano modelli piutto- di lino rosa o celeste oltre che bianco e presentano di-
la gonna, l’orlo inferiore di un indumento di tela bian- moderna. Ma occorre in scrittori antichi».67 Nessun aiuto sto elementari, con ampiezze di cm 320 massimo. Sono mensioni più ridotte in larghezza ed in lunghezza, spal-
ca, che può essere sia l’orlo di una camicia lunga sia in questa direzione è dato dalla terminologia più antica in genere costituite da un rettangolo formato da due o line strette a nastro, bordi e falsature in pizzo meccani-
quello di una sottogonna. Le camicie lunghe potevano usata per indicare la sottogonna che riconduce sempre più tagli di tela di cotone o di lino, arricciato in vita co tipo Valenciennes, associati o meno a parti ricamate.
infatti assolvere anche alla funzione di sottogonna, a alla camicia: i termini camìsa, camisèdda e ’amisèdda con un semplice nastro passante in un orlo, o con una Quale che sia l’epoca le cuciture sono comunque realiz-
maggior ragione in tempi di grande scarsità di indu- indicano, infatti, sia la camicia sia la sottogonna di tela serie di increspature rifinite con un sottile cinturino di zate a mano o a macchina a costura semplice o doppia,
menti. Salva questa premessa è probabile l’utilizzo dif- di lino o cotone pesante e, a Desulo e a Fonni, anche tela chiuso con lacci, ganci o bottoni. Modelli più raffi- con orli e rifiniture frequentemente eseguite a mano.
fuso di una o più sottogonne di foggia semplicissima e una modesta gonnella di orbace; al contrario il termine nati presentano increspature più fitte in corrispondenza
di tela resistente, considerato che l’uso di mutande era càssiu, che nel Nuorese indica la sola sottogonna, in Camicie da notte
pressoché sconosciuto, anche nel primo Novecento, e area logudorese indica la parte inferiore della camicia o 326. Copribusto, copribùstu, Orosei, prima metà sec. XX
Sono poco presenti nelle raccolte sia per il carattere inti-
che, tra i ceti meno abbienti e meno esposti alle in- la stessa camicia.68 Altre denominazioni: tettèla a Dor- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. mo sia per la natura assai modesta dei capi utilizzati in
fluenze delle mode esterne, compaiono soltanto dopo gali, istàde a Fonni, urési de tèla a Bitti, non portano al- 327. Sottogonna, cànsciu, Torralba, prima metà sec. XX ambito popolare. L’iconografia ignora questo genere di
il 1920. Le stesse fonti orali che confermano l’inesisten- cun chiarimento. Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. indumenti, così poco diffusi che non esiste una deno-
za di mutande, infatti, riferiscono la consuetudine delle È probabile che la sottogonna come capo a sé sia co- 328. Sottogonna, tùnica ’e tèla, Oliena, 1954 minazione specifica salvo quella di camìsa ’e nòtte: di
donne mestruate di sollevare i lembi della sottogonna munque successiva alla camicia di tipo lungo e che si Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. fatto la stessa camicia giornaliera lunga veniva indossata

218 219
Maglie intime Calze e uose
Di produzione industriale, in maglia di lana o di cotone, È necessario premettere che l’andare completamente
a manica lunga, bianche o colorate, le maglie intime ri- scalzi è condizione attestata dalle fonti iconografiche
sultano essere assai diffuse in Sardegna intorno al 1910. per la servitù, i più indigenti o per quanti siano impe-
Sono capi d’origine moderna denominati quasi ovun- gnati in attività domestiche, soprattutto donne e ragazzi.
que màllia, franèlla o flanèlla. Gli esemplari esaminati Fonti orali confermano che nel quotidiano i più poveri
sono, come è facile intuire, assai scarsi, e si riconduco- non indossano calzature e, anche se le possiedono, le
no sostanzialmente ad un unico modello in leggera ma- riservano alle occasioni festive per le quali il loro uso, e
glia di lana o cotone a costine sottili, a manica lunga, dunque anche quello delle calze, è d’obbligo. Si tratta
con scollo arrotondato e breve apertura anteriore dotata di capi di abbigliamento dei quali solo raramente è pos-
di piccoli bottoni. I colori classici sono il bianco, il rosa, sibile ritrovare esemplari d’epoca e in genere di foggia
il giallo o il celeste. La scelta dei colori è data dal gusto festiva, perché tutti quelli d’uso giornaliero sono utiliz-
personale, che può anche diventare gusto collettivo, zati fino alla loro consunzione. In tutti i casi sulla base
come accade ad Orgosolo dove si predilige il giallo co- dell’iconografia antica, dei reperti esaminati e delle fonti
sì che il nome dato a questo capo è frànella zallìna, 330
orali è possibile fare l’analisi che segue a partire dal
appunto “flanella gialla”. Non meno particolari alcuni primo Ottocento. Le calze (mìzas, crazìttas, carzìttas)
esemplari di Ollolai personalizzati con il riporto, lungo arrivano fin sotto il ginocchio, più raramente lo copro-
lo scollo, degli stessi ricami policromi presenti nelle ca- no salendo fino a metà della coscia e sono in tutti i casi
micie. In tutta l’isola il colore più usato resta comunque trattenute con laccetti. Le calze festive sono in genere
il bianco in tutte le tonalità. realizzate con filati di lino, lana e cotone di colore chia-
ro, lavorati con giro di ferri a maglia rasata, a coste o
Mutande con motivi a traforo. In alcune località anche le calze fe-
Le fonti scritte tacciono sulla presenza di questi indu- stive sono di colore scuro, specialmente dove vengono
menti e a maggior ragione quelle iconografiche; non è indossate con scarponcini pesanti allacciati. A Nuoro, nei
dunque difficile accettare la diffusa convinzione che fos- primi anni del Novecento, le calze erano realizzate con
sero indumenti assai poco o nulla utilizzati, a livello po- filo di cotone nero o marrone. A Busachi l’abbigliamento
polare, almeno fino alla seconda metà dell’Ottocento. quotidiano dello stesso periodo poteva essere completa-
Gli esemplari esaminati risalgono tutti al XX secolo, i to da calze in filo di lino blu e nero. Le fonti iconografi-
più vecchi ai primi anni del secolo, e provengono da che dei primi decenni dell’Ottocento mostrano una pre-
ricchi corredi o sono stati fortunosamente recuperati do- valenza di calze chiare indossate con scarpe piuttosto
329 po pressanti ricerche sul campo. scollate, il che potrebbe anche essere frutto di una rap-
Grazie a testimonianze orali è comunque possibile se- presentazione di maniera. La tav. 98 del Tiole mostra
anche come camicia da notte oppure si andava a dormi- guire un’evoluzione dei modelli partendo da quelli una improbabile mungitrice di Bono, in abito chiaramen-
re vestendo semplicemente il copribusto e la sottogon- usati intorno agli anni Novanta dell’Ottocento. Sono te festivo, con indosso calze di colore rosso e azzurro.
na. È assai probabile che per tutto l’Ottocento fossero modelli ampi e lunghi fino al ginocchio o oltre, con Lo stesso si osserva alla tav. 55 dove, di spalle, pare es-
indumenti già presenti nel guardaroba delle donne agia- volant guarnito da un piccolo pizzo. Si utilizza una tela sere raffigurata una donna dello stesso paese. Sempre
te, ma è soltanto nei corredi degli inizi del secolo suc- di cotone di medio peso e il taglio non presenta altre nel Tiole si osservano calze di colore rosso (Baunei)
cessivo che si ritrovano alcuni preziosi esemplari da usa- sagomature se non un semplice tassello quadrangolare
331
mentre le donne di Belvì, alla tav. 84, e quella di Aritzo,
re in occasione delle nozze o dopo il parto. Rarissimi gli inserito in corrispondenza del cavallo per rendere più alla tav. 85, indossano, sopra le calze bianche, delle pez-
esemplari giornalieri risalenti al primo decennio del No- agevoli i movimenti; l’ampiezza del tessuto è raccolta zuole o delle sopracalze colorate ricadenti sulle caviglie.
vecento. Con le informazioni derivate dalle fonti orali è in vita con piccole pieghe piatte oppure con un nastro L’uso di uose o sopracalze è attestato unicamente dalle
possibile comunque affermare che i modelli sono in ge- passante attraverso l’orlo. Una o due aperture sui fian- fonti iconografiche dato che nessun reperto è giunto fi-
nerale semplici, tagliati a sacco o svasati mediante l’inse- chi, chiuse con bottoni o lacci, consentono di indossa- no a noi. Nelle tavole della Raccolta Cominotti e della
rimento di gheroni laterali. Le maniche, sia corte che re l’indumento. Collezione Luzzietti e in quelle del Dalsani oltre alle cal-
lunghe, sono unite al busto con tassello sottoascellare di Come tutta la biancheria anche le mutande sono desti- ze chiare sono presenti sopracalze colorate per la verità
forma quadrangolare, hanno media larghezza e polso nate al lavaggio con la lisciva pertanto la scelta del tes- molto simili a uose. Valery scrive, a proposito delle don-
chiuso con bottoncino in filo o madreperla. Più rari gli suto, dei pizzi e l’esecuzione delle cuciture sono studia- ne di Aritzo, che le più eleganti d’inverno portano le
esemplari senza maniche a spallina larga. Il tessuto uti- ti per resistere a tale tipo di trattamento. Il modello calze di lana rossa, le altre si accontentano di un pezzo
lizzato è la tela di cotone o di lino, di vario peso, in re- descritto, e qualche sua variante, continua ad essere di lana dello stesso colore, attaccata sotto il polpaccio
lazione all’uso. La stessa distinzione vale per le guarni- usato fino al primo decennio del Novecento soprattutto che svolazza e spicca da lontano.70
zioni e i ricami. da donne anziane; le più giovani adottano modelli a
Dopo gli anni Venti del Novecento l’impiego della cami- gamba diritta, preferibilmente senza volant. I capi di
cia da notte diviene sempre più comune tra le giovani corredo per le nozze vengono anche realizzati con tes-
generazioni che le confezionano ispirandosi ai modelli suti di cotone molto sottili, con pizzi e ricami; talvolta 329. Camicia da notte, Capoterra, inizio sec. XX
illustrati nei cataloghi e nelle riviste di moda. Le cuciture gli indumenti sono anche cifrati. Dopo il 1930 questo Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
sono realizzate a macchina, a costura semplice o doppia indumento assume caratteristiche moderne ed i modelli 332
330-332. Mutande, Capoterra, inizio sec. XX
come è consuetudine per tutta la biancheria. si adeguano al variare della moda.69 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

220 221
333 334 335

CALZATURE

P er le ragioni esposte anche le calzature antiche sono poco presenti nelle collezioni pubbliche e private
con l’eccezione del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma dove si conserva una
serie di calzature a corredo di quasi tutti gli abiti sardi presenti nelle sue raccolte. Scarpe basse, legger-
mente appuntite, scollate e in qualche caso guarnite di fibbie d’argento, sono le più raffigurate nel primo
Ottocento anche se non mancano i modelli più pesanti e accollati. Spesso sembra trattarsi di riproduzioni
derivate da un’osservazione affrettata e perciò un po’ semplificate e poco dettagliate. A partire dalla metà
dell’Ottocento le raffigurazioni, le immagini fotografiche e le raccolte pubbliche e private descrivono una
notevole varietà di calzature femminili. Ciabatte e pantofole (cattòlas) in pelle e tessuto sono in genere
ignorate perché destinate ad un uso familiare. Gli zoccoli con suola in legno, tacco basso e tomaia in tes-
suto a fascia chiusa o aperta in punta sono invece piuttosto importanti negli insiemi giornalieri di molte
località specialmente della Sardegna meridionale dove il loro uso è continuato fino alla metà del Nove-
cento. Le scarpe (iscarpìnas, iscàrpas) festive sono in qualche caso realizzate con tessuti broccati che ri-
mandano ad uno stile settecentesco, soprattutto in area campidanese e nell’Iglesiente. Sono piuttosto diffu-
se anche semplici decolleté con tacco basso e tomaia in pelle martellata o vernice, di colore nero, con
sottili profili laterali in pelle rossa. Sono assai frequenti anche scarpe allacciate guarnite di fiocchi, coc-
carde o fibbie d’argento ed anche stivaletti in rasatello di cotone nero ricamato con elastici inseriti ai lati
e con tacco basso. Altre calzature a tacco medio, con tomaia scollata e lacci, decorate di fiocchi o coccar-
de in tinta contrastante o in nero per le vedove o con cinturino abbottonato di lato, sono diffuse in tutta
la Sardegna nel primo decennio del Novecento insieme ad esemplari con tomaia a linguetta liscia o arric-
ciata, talvolta anche impunturata con fili di seta in tinta contrastante e impreziosita da grandi coccarde
di nastro variopinto. Piuttosto diffusi sono, nello stesso periodo, gli stivaletti in pelle o vernice forniti di
banda elastica ai lati, con curioso tacco medio alto molto sagomato e rientrante nella parte posteriore.
Tutti i tipi descritti hanno suola in cuoio liscio. Estremamente interessante è poi la gamma degli scarpon-
333. N.B. Tiole, Paysans du village de Belvì, 1819-24, cini e stivaletti allacciati (iscarponèddos, bòttes, bottìnos), in pelle scamosciata di colore naturale o in
acquerello su carta. pelle liscia o martellata di colore nero, tutti caratterizzati dalla suola di cuoio imbullettata. La forma è
334. Anonimo, Donne d’Ozieri, inizio sec. XIX, acquerello su carta, spesso molto sfilata con punta rialzata verso l’alto, il tacco è medio, molto sagomato e rientrante. Le bullet-
Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria.
te metalliche hanno ampia capocchia scanalata a raggiera con convessità più o meno accentuata e sono
335. N.B. Tiole, Femme du village de Desulo, 1819-24,
acquerello su carta. battute con molta precisione seguendo la linea della suola. Manufatti realizzati da artigiani locali specia-
336. Calze, mìzas, Sorgono, primo decennio sec. XX
lizzati, dopo il 1920 questi tipi di calzatura su misura iniziano ad essere soppiantati
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. dai modelli pronti, preferiti soprattutto per completare gli insiemi da sposa e di
gala mentre resistono ancora, specie nelle aree montane, calzature più ro-
337. Calze, calzìttas, Quartu S. Elena, primo decennio sec. XX buste, soprattutto scarponcini o stivaletti allacciati e
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. abbottonati, in qualche caso anche chiodati,
338. Scarpa, iscarpìna, Osilo, inizio sec. XX da indossare quotidianamente.
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
339. Stivaletto, buttìnu, Quartu S. Elena, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
340. Zoccolo, zócculu, càppu, Iglesias, inizio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
341. Scarpa, iscarpìtta, Iglesias, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
342. Stivaletto, buttìnu, Sorgono, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 338

343. Scarpa, crapìtta, Sinnai, inizio sec. XX


Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
344. Scarpa, iscàrpa, Mamoiada, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
345. Scarpa, crapìtta, Pula, inizio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
346. Scarpa, crapìtta, Sinnai, inizio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
347. Scarpa, is’àrpa, Oliena, inizio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
336 337

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348 349
ACCESSORI DELL’ABBIGLIAMENTO

U na parte dei manufatti compresi nella gioielle-


ria tradizionale è costituita da accessori del-
l’abbigliamento che hanno acquisito, nel tempo, una
grande valenza simbolica e ornamentale.
Si escludono da questa trattazione, volutamente
semplificata, tutti gli ornamenti della persona senza
alcuna finalità pratica legata all’abito.71 I bottoni
gemelli (buttònes) in lamina e filigrana d’argento o
d’oro, da usare con le camicie, sono diffusi in tutta
l’isola come anche quelli, dotati di catenelle o bar-
rette di sospensione (buttònes, buttonèras), utilizza-
ti per chiudere l’apertura delle maniche di giubbetti
e boleri. Bottoni analoghi chiudono e ornano la par-
te anteriore di particolari tipi di giubbetto in uso tra
la fine del XVIII e i primi decenni del XIX secolo, dei
quali si hanno poche attestazioni iconografiche e ra-
rissimi reperti.72 co. Spille e spilloni sono piuttosto comuni nel vestia-
353
Ganci, fermagli e catene, in lamina e filigrana d’ar- rio tradizionale dopo la fine dell’Ottocento; in prece- 352

gento (gancèras, cancèras, càncios de frénu) con in- denza il loro uso è abbastanza limitato se si conside-
serimento di pietre e vetri policromi, sono poi utiliz- ra la sola funzione di accessorio e si esclude quella d’oro, vengono appuntati sulle bende più a scopo de- mato. Simili a questi ultimi sono i fazzoletti
zati per chiudere la parte anteriore di giubbetti e ornamentale. Gli spilloni e le spille usati per appun- corativo che funzionale. Dopo la seconda metà del- da mano realizzati con finissime tele di lino
giacchini o per allacciare copricapo e grembiuli. Ti- tare altri tipi di copricapo sul fazzoletto o la cuffia, l’Ottocento si diffonde anche la grande spilla d’oro a o cotone che vengono decorati e cifrati con
pologicamente affini ai precedenti, ma molto più ra- quali le bende e gli scialli, sono poco documentati fiore utilizzata per fissare scialli e veli. Le spille da ca- le tecniche del ricamo in bianco, già descrit-
ri, sono i portachiavi con più serie di catenelle com- dall’iconografia più antica, evidentemente così poco micia, funzionali e non semplicemente ornamentali, te per le camicie; altri esemplari di fazzoletti
plete di piccolo gancio fissati alla cintura mediante significativi da passare inosservati. In alcuni centri sono assai rare e di evidente gusto Liberty. A Carlofor- da mano sono in tela stampata a vivaci co-
l’apposita linguetta e lasciati ricadere lungo un fian- dell’interno la benda viene fissata da spilloni d’oro o te lo scialletto da spalla viene appuntato sul petto con lori e recano spesso le cifre trapuntate su
co. Sono evidentemente riservati alle ricche padrone d’argento con capocchia a forma di martello o con una spilla impreziosita da corallo. un angolo. In entrambi i casi si tengono
di casa che, anche con il possesso delle chiavi, osten- semplici spille d’oro a barretta; in altri luoghi, dopo il Accessori dell’abbigliamento poco rappresentati ma vezzosamente in mano per un angolo la-
tano la loro posizione di potere nell’ambito domesti- 1920, nuovi tipi di spilla, quelli a losanga in lamina assai usati, sono le tasche staccate (buzzàccas, bu- sciandoli ricadere aperti per mostrarne la
sciàccas, bucciàccas) da indossare sotto le gonne, in bellezza; il loro uso è testimoniato in tutta
corrispondenza delle apposite aperture, o sotto il l’isola tra l’Ottocento e il Novecento e evi-
grembiule, fissate in vita con un laccio. Sono diffuse dentemente costituiscono un raffinato ac-
in tutta l’isola ed hanno forma rettangolare o trape- cessorio, nella funzione, simile al venta-
zoidale, dotate di una fessura longitudinale suffi- glio, oggetto meno comune dei fazzoletti
cientemente ampia per introdurre agevolmente la da mano ma anch’esso presente nell’ico-
mano. Gli esemplari più comuni sono confezionati nografia d’epoca.73
in pesante tessuto di cotone nelle più diverse fantasie;
quelli da abbinare a indumenti festivi sono realizzati
con tessuti più pregiati e talvolta presentano ricami e
bordure in passamaneria. Poco comuni sono invece i
borsellini di tessuto ricamato chiaramente ispirati ai 348. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Ragazza di Turri, 1878,
litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”,
modelli in voga tra la fine dell’Ottocento e i primi del in Il Buonumore, Cagliari 1878; Cagliari, coll. Piloni.
Novecento e quelli in pelle. Le borsette, esclusivamente 349. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di San Vito, 1878,
del tipo a busta, sono usate assai raramente, specie litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”,
nelle piccole città, e compaiono negli insiemi tradi- in Il Buonumore, Cagliari 1878; Cagliari, coll. Piloni.

zionali di gala indossati dalle ricche signore dopo il 350-351. Fazzoletti, muncadòres, Sinnai, inizio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
1920. I fazzoletti da naso d’uso comune sono piutto-
352. Tasca, busciàcca, Settimo S. Pietro, prima metà sec. XX
350
sto rari e si trovano in congruo numero soltanto nei Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
351
ricchi corredi, mentre si conservano più numerosi 353. Tasca, busciàcca, Sinnai, inizio sec. XX
quelli d’uso festivo, in sottile tela di lino o cotone rica- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

226 227
L’abbigliamento
maschile

354
COPRICAPO E ACCONCIATURE Cuffie dossata sotto il cappello a tesa specie negli insiemi festi-
Le cuffie a sacco (còffia, iscòffia, toccàu), diffuse in tutta vi. Per un uso giornaliero, o sotto il fazzoletto, è anche
l’isola, sono formate da un rettangolo di tessuto o ma- documentata la variante in tessuto.78 È una foggia evi-
A ndare a capo coperto non è prerogativa soltanto femminile. Tutta l’iconografia conferma la consue-
tudine degli uomini sardi di coprirsi accuratamente la testa, anche con più copricapo sovrapposti e,
ancora nel 1932, Elio Vittorini può osservare, nel corso di una visita a Nuoro, che «certi uomini, con que-
glia chiuso sul lato lungo ed arricciato ad una estremità
sulla quale viene talvolta appuntato un fiocco o una
dentemente in gran voga tra la fine del Settecento e la
prima metà dell’Ottocento, vista la frequenza nell’icono-
nappina. Il lato che rimane aperto, bordato con un na- grafia dell’epoca. Dopo la seconda metà dell’Ottocento
gli occhi da lupo e quella barba, si sono avvolta una sciarpa intorno al capo prima di calzare la berretta
stro sottile di tessuto di seta o cotone, viene calzato al- appare sempre meno documentata in favore della ber-
fenicia. Come avessero il mal di denti. O come sentissero uno strano bisogno di tenere la testa al caldo, l’altezza della fronte e il nastrino legato sulla sommità retta a sacco. Le cuffie modellate, simili nel taglio a
chiusa ed oscura, in una fisica intimità».74 Lo studio comparato dell’iconografia, delle fonti e dei materia- del capo a formare un piccolo fiocco. Le cuffie sono in quelle femminili e infantili, sono riservate ad un uso
li d’epoca, esaminati in un arco di tempo che va dalla seconda metà del Settecento alla prima metà del genere confezionate lavorando ai ferri o a uncinetto fila- giornaliero in un ambito prettamente familiare e per
Novecento, insieme ai dati preziosi derivati dalle fonti orali, mostra una straordinaria varietà di tipi di ti di lana, lino o cotone; l’effetto è di fatto quello di una questa ragione sono per lo più riservate ad ammalati e
copricapo, un succedersi di vere e proprie mode che vedono l’alterna utilizzazione dei modelli che di se- reticella più o meno ampia (nero, verde e azzurro sem- anziani, anche nella variante da notte.79
guito si descrivono, usati in occasioni festive e giornaliere, con le normali differenze di maggior pregio brano essere i colori più usati) che raccoglie la capiglia-
per quelle festive. Dopo la seconda metà dell’Ottocento la condizione di lutto vedovile impone anche per tura. Questo tipo di cuffia pare essere generalmente in- Berrette a sacco
gli uomini il colore nero negli abiti e dunque anche nei copricapo; diversamente da quanto avviene per le Quando si parla di questi copricapo il pensiero va a
donne non è dato di conoscere quali varianti cromatiche siano previste per la condizione di mezzo lutto e quello sardo per antonomasia, la berretta a sacco (ber-
lutto leggero, probabilmente simili a quelle cupe e sobrie indossate anche dagli anziani. rìtta, barrìtta), sopravvissuta a lungo anche in insiemi
Le acconciature dei capelli descritte dalle fonti iconografiche per il primo Ottocento trovano conferma nelle tradizionali per il resto fortemente contaminati dalla mo-
da ottocentesca. Diffuso in tutta l’isola e comune a tutta
fonti orali che testimoniano attardamenti di fogge e fedeltà alle acconciature tradizionali protratte fino alla
l’area mediterranea, viene genericamente descritto di
fine dell’Ottocento. Dopo questa data, con una progressione sempre più rapida, si passa al taglio di capelli
forma allungata, lungo circa cm 50, confezionato in or-
medio o corto che i copricapo finiscono per nascondere completamente. I capelli lunghi possono essere la- bace, panno o maglia di lana nei colori nero, rosso o
sciati sciolti sulle spalle con una o più treccine ai lati delle tempie come è esemplificato magnificamente dal- marrone, raramente di altri colori. La diffusione in una
la figura n. 7 della tavola III, Vestimenti Sardi in Serie, disegnata da Cominotti per La Marmora.75 Fonti ora- così vasta area e la durata di tale modello presuppongo-
li riferiscono che questa acconciatura è ancora usata a Nuoro alla fine dell’Ottocento da un vecchio no la presenza di importanti centri di produzione dislo-
possidente che usava rifarsi ogni mattina due trecce ai lati delle tempie. L’intera massa dei capelli può anche cati in ambiti nazionali diversi, seguendo anche l’alter-
essere raccolta in una o due trecce: «Gli uomini di Quartu intrecciano i lunghi i capelli in due code, cui narsi delle spartizioni territoriali che, nei vari periodi
escono all’estremità due nastri di seta nera che s’annodano insieme; e questi con tutta la treccia raccolgono storici, avvantaggiano ora l’uno ora l’altro centro produt-
a sommo del capo sotto la berretta. Quelli di Pirri invece fanno le due trecce per egual modo, ma invece di tivo. In Sardegna si ha segnalazione di manifatture locali
coprirle le aggirano sopra il berretto, cingendolo a guisa di guernimento, e se le annodano sulla fronte».76 soltanto a partire dal XIX secolo, ma non è escluso che
La treccia unica, avvolta a spirale intorno al copricapo, è raffigurata nella gran parte delle immagini risa- un qualche tipo di produzione, anche su scala ridotta,
lenti ai primi decenni dell’Ottocento e si direbbe diffusa uniformemente da Nord a Sud.77 I capelli lunghi fosse già presente in precedenza.80
L’iconografia del primo Ottocento testimonia la diffusio-
raccolti a treccia o a coda possono infine essere nascosti dentro vari tipi di cuffie che di seguito si descrivono.
ne, in tutta l’isola, di berrette in diversi colori soprattutto
nelle aree più esposte ai commerci e all’influenza citta-
356 357
dina, mentre il nero gode maggior favore nel Nuorese e
nelle Barbagie. Nella seconda metà dell’Ottocento le
berrette di colore rosso divengono più rare e tale ten-
denza continua fino ai momenti finali della sua utilizza-
zione, nella prima metà del Novecento, con la sola ec-
cezione dell’area campidanese.81 Data la mancanza di
reperti del primo Ottocento non si può dire se questi ca-
pi siano confezionati come quelli più tardi. La berretta
“classica” di fine Ottocento è infatti a forma di tubo, lun-
ga circa cm 120, chiusa alle estremità stondate; essa viene

354. Abito maschile festivo e di gala, Samugheo, 1930


Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
355. Giuseppe Cominotti, Un jour de fête aux environs
de Quartu, 1825, litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne
par De Lamarmora.
356. Alessio Pittaluga, Marchand d’oranges de Millis (venditore
d’aranci di Millis), 1828 ca., litografia a colori, Cagliari, coll. Piloni.
357. Anonimo, Uomo di Iglesias, inizio sec. XIX, acquerello
su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria.
358. Anonimo, Uomini campidanesi, inizio sec. XIX, acquerello
355 358 su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria.

230 231
359 360 361 364 365 366 367

indossata infilandone una metà dentro l’altra, ottenendo


così un “sacco” lungo circa cm 60, il cui diametro varia
in relazione alla circonferenza del cranio. Tra i numerosi
esemplari esaminati nessuno è risultato essere fatto di or-
bace ed eccezionale è anche l’utilizzo del panno di lana.
La maggior parte delle berrette, quale che sia il colore,
sono realizzate in filato di lana lavorato meccanicamen-
te a maglia tubolare; il “tessuto” viene poi chiuso alle
estremità, infeltrito in bagni di acqua calda e infine fol-
lato e/o cardato sulla superficie esterna, così trattato so-
miglia effettivamente ad un panno di lana morbido, il
359. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume maschile di Fonni, 1878,
litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, in Il Buonumore, che può aver generato qualche confusione. La maglia
Cagliari 1878. di lana e il fatto che la circonferenza attorno al capo
362 360. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Desulo, 1878, non presenti cuciture né piegature rendono l’indumen-
litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, to particolarmente confortevole ed adattabile, così da
in Il Buonumore, Cagliari 1878.
ipotizzarne una produzione su larga scala in due o tre
361. Costumes de Tresnuraghes, 1850-63, litografia a colori misure in grado di soddisfare tutte le richieste. Ad un
dal Journal Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni.
esame attento, i pochi capi d’epoca che non presentano
362. Berretta a sacco, berrìtta, Dorgali, primo decennio sec. XX il doppio tubolare risultano essere stati tagliati a metà
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
per eliminare la parte della circonferenza eventualmente
363. Berretta a sacco, berrìtta, Cagliari, fine sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
logorata e poterne così continuare l’utilizzo, realizzando
un semplice orlo. Il modo di far ricadere la berretta sul-
364. Ovodda, 1903 ca., foto d’epoca.
la spalla o di disporla sul capo non è mai casuale ma
365. Sennori, 1903 ca., foto d’epoca. risponde a fogge tipiche delle varie località anche lega-
366. Oliena, fine sec. XIX-inizio XX, foto d’epoca. te all’esercizio di particolari mestieri. Gli studenti resi-
367. Gavoi, fine sec. XIX-inizio XX, foto d’epoca. denti a Cagliari la portano nera, rovesciata all’indietro.82
363

232 233
368 369 370 373 374 375

I rigattieri la indossano nera ripiegata in avanti o di la- Come quelle rosse anche le berrette nere sono portate troncoconica che troncocilindrica, quest’ultima spesso
to.83 Sopra la berretta può essere sovrapposto un fazzo- molto spesso ripiegate in tal modo che non è davvero confusa con una varietà di berretta a sacco. La variante
letto variopinto annodato sotto il mento. Fazzoletti co- possibile capire quale sia la vera lunghezza né delle rossa è usata in alternativa alla berretta a sacco ed è dif-
lorati possono anche cingere la circonferenza della une né delle altre.85 ficile trovare oggi una giustificazione per l’una o l’altra
berrìtta. La berretta rossa, particolarmente gradita alla Forse una variante di queste berrette è quella a punta scelta. A Cagliari i rigattieri e i conducenti di carri le
categoria dei macellai cagliaritani, si porta spesso ripie- guarnita di nappina, descritta nella Collezione Luzzietti usano entrambe, e così pure i pescatori, anche se tutto
gata in due o più cerchi concentrici sulla sommità del alla tav. 47, Tempiesi, accompagnata dalla consueta ac- l’insieme degli indumenti fa propendere per una condi-
capo oppure adattata con un’alta piega esterna attorno conciatura a treccia rialzata. Alla fine della seconda metà zione più agiata di quanti indossano il fez.86 La variante
alla quale viene avvolta la treccia di capelli, in tal caso dell’Ottocento le fogge schiacciate sembrano dimentica- in nero, in panno o orbace, è sopravvissuta nell’abbi-
viene detta a cécciu.84 te mentre rimangono in vigore quelle ripiegate in avanti gliamento di Sanluri, ma non è escluso che anche in
e poi indietro, oppure ricadenti su un lato o all’indietro. questo caso le berrette più antiche fossero analoghe a
In questo periodo, come già detto, la lunghezza è mag- quella descritta e che l’alto costo o una qualche interru-
giore che negli anni precedenti e il colore nero rimane zione del commercio abbia indotto alla sua riproduzio-
368. Anonimo, Macellari di Cagliari, inizio sec. XIX,
acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, in vigore fino alla scomparsa di tale copricapo che con- ne in panno o orbace.
Biblioteca Universitaria. tinuerà a lungo ad essere indossato anche in insiemi ve- I berretti a tamburello, cioè di forma troncocilindrica
369. N.B. Tiole, Paysan de la ville de Sassari, 1819, stimentari tradizionali, sostanzialmente modificati, ad bassa, sono conosciuti con il nome di ciccìa, zizzìa,
acquerello su cartoncino, Cagliari, coll. Piloni. esempio, dall’introduzione dei pantaloni a tubo. giggìa.87 Di fatto nelle collezioni pubbliche e private so-
370. Luciano Baldassarre, Pescatore di Cagliari, 1841 (in campo no presenti solo le varianti infantili di fine Ottocento che
firma: Pedrone), litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Fez e berretti a tamburello saranno descritte nell’apposita sezione. La ricerca sul
Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni.
Entrambi sono copricapo rigidi, i primi ben raffigurati campo ha finora accertato la diffusione dello stesso co-
371. Sennori, inizio sec. XX, foto d’epoca. almeno nell’iconografia del primo Ottocento, i secondi pricapo per adulti nel Nuorese, nelle Barbagie, nelle Ba-
372. Sassari, 1898 ca., foto d’epoca. poco o nulla presenti probabilmente perché usati, in ronie, in Sarcidano e Trexenta. Ovunque viene descritto
373. Luciano Baldassarre, Beccajo di Cagliari, 1841 quel periodo, solo in ambito domestico. Il fez classico è come elemento comune ad uomini di varia condizione
(in campo firma: Pedrone), litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, un copricapo rigido, piuttosto alto, di forma troncoconi- sociale, da utilizzare esclusivamente in ambito confiden-
Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni.
ca che nell’isola viene chiamato berrètta, o berriuòla; di ziale e domestico, dunque in tutte quelle situazioni per
374. Luciano Baldassarre, Costume d’Iglesias, 1841
(in campo firma: Pedrone), litografia a colori da Cenni sulla Sardegna,
chiara influenza nordafricana o levantina, è diffuso in le quali non è prescritto l’uso della berrìtta. Il copricapo
Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni. tutto il Mediterraneo. Nella Sardegna meridionale, area è realizzato in panno di lana, fustagno, velluto ed altri ti-
375. Boucher de Cagliari, 1850-63, litografia a colori dal Journal di vasta diffusione, si predilige la variante in lana rossa, pi di tessuti di cotone, sempre di colore scuro, trapuntati
Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni. ma è attestata anche quella di colore nero, sia di forma lungo la circonferenza per ottenere il profilo rigido della
371 372

234 235
sagoma a tamburello. Le informazioni raccolte fanno ri-
ferimento ad un periodo non anteriore agli ultimi de-
cenni dell’Ottocento, ma non si può escludere che tale
copricapo fosse diffuso anche in precedenza e che, nel-
l’iconografia, sia stato convenzionalmente descritto co-
me un fez o confuso con una berretta schiacciata.88
Come la berretta a sacco e il fez, infatti, anche il copri-
capo a tamburello è diffuso in tutta l’area mediterranea;
in Tunisia, dove vengono detti shishia, se ne produco-
no ancora esemplari soprattutto di colore rosso e nero
destinati al mercato nordafricano, realizzati in filato di
lana di colore naturale, lavorato a maglia. Dopo la tin-
tura, i manufatti vengono infeltriti e, a differenza delle
berrette, battuti su sagome di legno per ottenere la for-
ma desiderata e infine cardati a mano per raggiungere
la classica finitura esterna che rende la loro superficie
simile al panno.89
380 381
Fazzoletti
Diffuso soprattutto nel Cagliaritano e nell’Iglesiente, il
fazzoletto maschile può essere definito un copricapo ac-
cessorio della berrètta, sulla quale viene indossato pie-
gato a triangolo e poi annodato sotto il mento,90 o av-
volto attorno al capo lungo il bordo della stessa berretta.
Gli esemplari esaminati, di datazione non anteriore alla
fine dell’Ottocento, rientrano in questo secondo utilizzo.
376 I fazzoletti maschili non differiscono affatto da quelli
femminili dei quali mantengono anche la denominazio-
ne. In entrambi i casi la forma è quadrata, da ripiegare
lungo la diagonale, in tessuto di cotone o lana stampato
in vivaci fantasie a minuti disegni geometrici spesso in-
scritti in una o più cornici. Piegandolo più volte (muc-
cadòri a s’antòcca) lo si può avvolgere attorno alla ber-
retta come fosse un nastro, annodando le cocche sulla
fronte o dietro la nuca.91

Sombreri e cappelli a tesa


Il sombrero, tipico copricapo spagnolo a tesa ampia, è
piuttosto diffuso in ambito popolare nella Sardegna me- 382 383

ridionale e nel Sassarese mentre sembra non sia mai pe-


netrato nell’area centrale dell’isola dove è conosciuto sol- 376. Anonimo, Carratore di Cagliari, inizio sec. XIX,
tanto negli insiemi vestimentari dei “signori”; ovunque è acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca
denominato sombréri. Il periodo di maggiore diffusione Universitaria.
sembra concludersi nella prima metà dell’Ottocento, per 377. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di San Vito, 1878,
litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”,
il quale abbiamo numerose immagini e notizie. Il som- in Il Buonumore, Cagliari 1878.
brero, con o senza soggolo, viene calzato sopra una cuf-
378. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume giornaliero di Pauli-Pirri,
fia, in insiemi che denotano una condizione agiata o di 1878, litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”,
potere.92 È in feltro nero o di colore comunque scurissi- in Il Buonumore, Cagliari 1878.
mo, guarnito con nastri rossi o gialli intorno alla calotta 379. Villamassargia, fine sec. XIX-inizio XX, foto d’epoca.
e con cordoni ricadenti oltre la tesa, ornati di nappine.
380. Habitant de Campidane, 1850-63, litografia a colori
È tipico dei comandanti di alcuni gruppi di miliziani a dal Journal Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni.
cavallo, ed è anche il copricapo festivo e nuziale in tutta 381. Alessio Pittaluga, Petit Baron ou Garde Nationale de Sassari
l’area dell’Iglesiente. Il La Marmora scrive: «D’estate, gli (Baroncello, ossia Guardia Civica di Sassari), 1828 ca.,
abitanti della Sardegna meridionale, mettono sul berretto litografia a colori, Cagliari, coll. Piloni.
un cappello di tela cerata, di cuoio, o anche di feltro; è 382. N.B. Tiole, Paysan de Cabras, 1819-24, acquerello su carta.
un cappello basso a larghe falde che dà a quelli che lo 383. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Proprietario di Milis, 1878, litografia
portano un aspetto singolarissimo».93 L’Angius descrive a colori, in “Galleria di costumi sardi”, in Il Buonumore, Cagliari 1878.
377 378 379

236 237
386

CAMICIE

Al pari di quella femminile anche la camicia maschile è


nata come indumento intimo, trasformandosi poi in in-
dumento esterno chiamato con l’antico termine ghentò-
ne, bentòne o ’entòne oppure con quello più moderno
camìsa, cammìsa ed altre varianti simili. I capi destinati
all’uso giornaliero sono realizzati con tele piuttosto resi-
stenti di cotone, di produzione industriale, o di lino tes-
suto in casa; per i capi festivi e di gala sono impiegate
invece tele di maggior pregio. Per l’uso giornaliero gli
ornati sono molto semplici mentre per quello festivo
sono presenti ricami ricercati e preziosi sempre più ap-
pariscenti a partire dai primi anni del Novecento; in tut-
ti i casi l’ornamentazione riguarda il collo, i polsi e le
parti di tessuto arricciate in corrispondenza dell’attacca-
tura della spalla.98 I capi esaminati sono per lo più festi-
vi, più rari quelli d’uso giornaliero, ma la differente uti-
lizzazione non comporta alcuna variante di modello,
solo, come si è detto, un diverso pregio del tessuto e
dell’ornamentazione. La semplicità della struttura di
questi indumenti li rende facilmente adattabili a diverse
corporature, le dimensioni sono pertanto piuttosto
uniformi; l’ampiezza e la lunghezza delle maniche va-
riano in relazione all’uso dei capi che si sovrappongo-
384
no direttamente alla camicia. Esistono essenzialmente
due tipi di camicia maschile, uno più arcaico, l’altro più
un cappello di foggia simile realizzato in paglia intreccia- evoluto, entrambi molto semplici dal punto di vista sar-
ta usato dai contadini di Samassi.94 Del cappello a tesa in toriale perché costituiti dall’unione di parti di tessuto di
cuoio, detto montèra, non è rimasto alcun esemplare; le forma rettangolare, proporzionati alla taglia del commit-
fonti informano della sua esistenza, ma senza darne de- tente, uniti a formare busto e maniche; a questi si ag-
scrizioni più precise.95 Nella seconda metà dell’Ottocento giungono i polsi, il colletto ed eventuali pettorine che
inizia la decadenza che si accompagna alla generale tra- sono preparati a parte e poi applicati successivamente.
sformazione del vestiario maschile così che, nella prima La camicia che mostra caratteri di maggiore arcaicità
metà del Novecento il cappello è ancora usato a Teulada ha grande ampiezza ed ha completa apertura lon-
(cappéddu), con tesa di minori dimensioni e varianti an- gitudinale anteriore. Il colletto e i polsi sono
che di colore chiaro, e, raramente, nel Cagliaritano. Nel bassi, diritti, con occhielli trasversali che con-
Sassarese sopravvive negli insiemi cerimoniali indossati sentono l’inserimento dei bottoni gemelli
dai gremi96 e in quelli tradizionali con pantaloni a tubo.97 d’argento, d’oro o di filo. I ricami a moti-
vi geometrici sulla tela arricciata e sul
Berrette da notte colletto sono realizzati con filati in
Usate soprattutto in ambienti agiati non differiscono dal- bianco o a colori. Questo modello
le cuffie e dai camauri già descritti se non per l’uso di di tipo arcaico è ancora diffuso nei
tessuti modesti di cotone. Così come per le cuffie da primi decenni del Novecento in
notte femminili il loro scarso valore economico ne ha
determinato la totale dispersione; a tutt’oggi, infatti, nes-
sun reperto d’epoca è stato da noi rinvenuto.

386-387. Camicia festiva, camìsa,


Pula, inizio sec. XX
384. Teulada, anni Venti, foto d’epoca.
Nuoro, Museo della Vita e delle
385. Teulada, anni Cinquanta, foto d’epoca. 385 Tradizioni Popolari Sarde.
387

238
388 390

388. Camicia festiva, camìsa, Atzara, prima metà sec. XX


Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
389-390. Camicia, camìsa, Orosei, inizio sec. XIX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
391. Camicia festiva, camìsa, Samugheo, 1930
389 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 391

240 241
buona parte della Sardegna centrale ed è straordinaria- di insiemi festivi o propri della classe agiata residente
mente simile agli esemplari in uso in Italia tra la secon- nel Cagliaritano e nel Sassarese. Tra la fine dell’Ottocen-
CORPETTI E GILET
da metà del XV e la prima metà del XVI secolo, sia per to e il primo dopoguerra, nei centri in cui si utilizza an-
la struttura sia per i ricami a colori o in bianco, realiz- cora l’insieme tradizionale, le camicie, come gli altri ca-
zati in corrispondenza del collo e dei polsi.99
La camicia più moderna è influenzata dai modelli otto-
centeschi e presenta apertura anteriore completa o par-
pi, vengono arricchite di ricami e guarnite di pizzi ad
uncinetto del tutto sconosciuti per tutto l’Ottocento,
vengono inoltre notevolmente dilatate le parti sulle qua-
I due termini distinguono i gruppi che rac-
colgono le più importanti tipologie di indu-
menti smanicati dell’abbigliamento maschile.
ziale e dimensioni più contenute pur mantenendo nella li il ricamo può essere applicato, cioè il collo, i polsi e Corpetti e gilet sono presenti negli insiemi ve-
sostanza la struttura descritta. La parte anteriore può in qualche caso le pettorine. stimentari di tutta l’isola e vengono indossati
presentare una pettorina allungata, completamente rica- direttamente sulla camicia, sovrapponendo
mata negli esemplari festivi, o nervature verticali paral- ad essi giacche, giacconi o cappotti corti. Le
lele ai lati dell’abbottonatura, che in questo caso è del cuciture e le rifiniture sono realizzate più fre-
tipo moderno, con bottoncini in madreperla e occhielli. 392. N.B. Tiole, Tempiese, 1819, acquerello su cartoncino,
Cagliari, coll. Piloni. quentemente a mano che a macchina. Per le
I colletti diritti sono in genere piuttosto alti. Vengono
393. Anonimo, Majoli, inizio sec. XIX, acquerello su carta, occasioni di lutto, e comunque per le persone
spesso montati anche colletti ripiegati a punte diritte o Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria.
arrotondate. La varietà delle rifiniture è assai notevole, anziane e le attività lavorative, i tessuti sono
specie negli esemplari festivi che sono, di consueto,
394. Anonimo, Isolano di Carloforte, inizio sec. XIX, di colore e qualità più modesti.
acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca
quelli più conservati. L’iconografia del primo Ottocento Universitaria.
mostra camicie maschili con colli così alti da essere 395. Corpetto festivo, còsso, Samugheo, 1930 Corpetti
chiusi da due coppie di bottoni gemelli, specie nel caso Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
Nel gruppo dei corpetti (còsso, cossètte, corpètte,
groppètte, corìttu, ’oroppàdu, solopàu, soropàtu,
zustìllu) vengono compresi i capi ad ab-
bottonatura anteriore a petto semplice
o doppio, privi di colletti o ri-
svolti, che mostrano uno sti-
le “tradizionale” molto

FAZZOLETTI DA COLLO

D el tutto identici a quelli da testa sono i fazzoletti da collo, che vengono indossati soprattut-
to in area campidanese dove rimangono comunque relegati ad un ruolo accessorio di se-
condo piano.100 I numerosi esempi riportati dalle fonti iconografiche testimoniano d’altra parte
un’ampia diffusione di questi elementi già dall’inizio dell’Ottocento.

395

392 393 394

242
397

398

396. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Tertenia, 1878,


litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”,
in Il Buonumore, Cagliari 1878.
397. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Benestante di Ozieri, 1878,
litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”,
in Il Buonumore, Cagliari 1878.
398. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Bitti, 1878,
litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”,
in Il Buonumore, Cagliari 1878.
399. Corpetto festivo, còsso, Atzara, prima metà sec. XX
396 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 399

244
esclusivamente ornamentale. Per il lutto vedovile tutti i
tessuti e i filati impiegati per la confezione sono di colo-
re nero. I corpetti confezionati in panno sono in genere
sfoderati, quelli in velluto sono foderati con pesanti tele
di cotone o di lino sia color crudo sia in colori fantasia.
Talvolta la parte inferiore dell’indumento, che deve es-
sere indossata dentro i calzoni a gonnellino, e quella
posteriore, nascosta dal capospalla, sono realizzate con
tessuti fantasia, rigati o a quadri, anche a colori vivaci.
Le rifiniture sono sempre realizzate con grande cura,
specie nell’applicazione dei nastri di seta usati per le
bordure sottolineate frequentemente da linee di ricamo.
Raramente i corpetti sono capi utilizzabili a doppio dirit-
to dato che sono per lo più destinati ad essere indossati
sotto altri capispalla. Riguardo al fatto che il corpetto de-
ve essere indossato preferibilmente sotto altri indumenti
quali giacche, cappotti ecc., si osserva che il nome solo-
pattu, soropattu e soropau, usato a Bitti, Orune, Lula,
Orgosolo, sembra derivare dallo spagnolo solopado che
significa nascosto.101

400

preciso, sia per la foggia, che può derivare da modelli


cinquecenteschi, che per le ornamentazioni del tutto coe-
renti con lo stile vestimentario proprio della località di
appartenenza, riconoscibile anche nell’abbigliamento
femminile e infantile. Il tessuto più usato per la loro
confezione è il panno di lana in varie tonalità di
rosso e di azzurro; il velluto, in tinte piuttosto
scure, viene usato sia da solo sia in combinazio-
ne con il panno, creando particolari effetti cro-
matici. In molti esemplari festivi, specie del pri-
mo Novecento, si osservano estese applicazioni
di velluto operato a motivi floreali in due o tre
tonalità di colore. La parte anteriore presenta in
qualche caso asole ricamate con fili di seta a viva-
ci colori, in coppia con altrettanti occhielli rotondi
attraverso i quali vengono sospesi i bottoni in fili-
grana o lamina d’argento, a scopo funzionale o

400. Corpetto festivo, imbùstu, Dorgali, fine sec. XIX


Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
401. Gilet, corpéttu, Pula, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
402. Gilet, corpéttu, Sinnai, primo decennio sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

246 401
402
403. Gilet giornaliero, grompètte, Orgosolo,
seconda metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.
404. Gilet festivo, farséttu, Cagliari, seconda
metà sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari.

404

Gilet
Il gruppo dei gilet comprende i modelli derivati da al colore del tessuto di fondo. Su capi con abbottonatu-
quelli in voga nella moda maschile a partire dal secolo ra centrale il ricamo viene realizzato simmetricamente
XVIII, abbottonati a petto semplice o doppio, con ri- sulle due parti anteriori e sui risvolti bassi e arrotondati.
svolti. Essi mantengono quasi tutti le denominazioni I bottoni sono rivestiti in tessuto o sono realizzati in la-
usate per i corpetti, probabile testimonianza del fatto mina e filigrana d’argento; frequente è anche l’utilizza-
che possono avere sostituito modelli più antichi conser- zione di monete antiche opportunamente dotate di ap-
vandone comunque il nome. I tessuti impiegati sono i piccagnolo ad anella o a catenella. La parte posteriore
più disparati: velluti di cotone o seta sia in tinta unita dei gilet è quasi sempre realizzata con tessuti di tipolo-
che operati a motivi floreali, lampassi broccati a motivi gia e colore diverso rispetto alla parte anteriore; per ot-
floreali policromi, damaschi rigati o a motivi floreali, tenere una maggiore aderenza può anche essere appli-
pekin, taffettà operati, e tutta la gamma dei tessuti di co- cata una piccola martingala regolabile in corrispondenza
tone sia monocromi che fantasia da usare in combina- del punto vita. I gilet di questo tipo possono anche es-
zione con insiemi giornalieri e festivi.102 Alcuni gilet fe- sere confezionati con pesante panno o orbace di lana di
stivi sono ricamati secondo il gusto della prima metà colore nero e mostrano un taglio del tutto uguale ai mo-
dell’Ottocento con fili di seta in tonalità sobrie abbinate delli “continentali”.
403

249
Giubbetti hanno struttura geometrica e presentano maniche lunghe
Per un lungo arco di tempo, tra l’Ottocento e i primi anni aperte dall’ascella all’avambraccio o con spacchi più pic-
GIUBBETTI E GIACCHETTE del Novecento, tutta l’iconografia mostra un gusto cro- coli dai quali fuoriescono comunque le maniche delle
matico comune che caratterizza i giubbetti maschili del- camicie. In altri casi le maniche sono chiuse, ma il taglio
l’isola. La gamma dei rossi e dei blu del panno, dell’or- è sempre di tipo arcaico senza sagomature allo scalfo.
I capispalla maschili, al contrario di quelli femminili, presentano modelli dalle più disparate
lunghezze e tipologie. I giubbetti e le giacchette, di seguito descritti, sono indumenti struttura-
ti, di linea geometrica o sagomata, la cui lunghezza non oltrepassa la linea dei fianchi. Per il pe-
bace e del velluto viene proposta in una miriade di
varianti che distingue, come una divisa, località di prove-
La lunghezza arriva, di norma, alla vita; alcuni modelli
vengono indossati ben chiusi, anche a doppio petto, in-
nienza o attività professionali. Il colore nero è quello filati dentro i calzoni a gonnellino, altri vengono lasciati
riodo compreso tra la seconda metà del XIX e la prima metà del XX secolo le fonti iconografiche e proprio del lutto vedovile. Come i giubbetti femminili, ricadere sopra quest’ultimo indumento, con le falde par-
le informazioni raccolte sul campo concordano nell’assegnare a questo tipo di indumento una anche gli omonimi maschili sembrano derivare da fogge zialmente aperte, anche se le parti anteriori sono tagliate
funzione intermedia tra l’uso domestico e quello esterno. Solo in ambito familiare e nel corso di del Cinquecento e del Seicento. I giubbetti più arcaici per poter essere chiuse all’occorrenza.
attività lavorative, vengono indossati da soli; al di là di queste occasioni, quanti possono permet-
terselo sovrappongono a giubbetti e giacchette altri tipi di capispalla
di diversa lunghezza, con o senza maniche.

405. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Contadino


di Nuoro, 1878, litografia a colori, in “Galleria
di costumi sardi”, in Il Buonumore, Cagliari 1878.
406. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Oliena,
1878, litografia a colori, in “Galleria di costumi
sardi”, in Il Buonumore, Cagliari 1878.
407. Oliena, inizio sec. XX, foto d’epoca.
408. Giubbetto giornaliero, zippòne,
Tonara, fine sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari.

405 406 407

250
408
Questo modo di indossare il giubbetto, più adatto ad zioni anteriori alla fine dell’Ottocento, sono confezionati
un uso domestico e quotidiano, almeno nel primo Otto- in panno rosso, il cui uso, assai comune anche in periodi
cento, diventa comune anche nell’uso festivo e di gala precedenti, diviene generalizzato, sostituendo prima ne-
in molti paesi della Sardegna centrale dove l’abito tradi- gli esemplari festivi e poi anche in quelli giornalieri l’or-
zionale continua ad essere indossato fino ai primi de- bace rosso (Fonni, Tonara). Allo stesso tempo gli esem-
cenni del Novecento. I giubbetti vengono indossati so- plari festivi si arricchiscono di ricami ed
pra la camicia, raramente sopra un corpetto o un gilet e applicazioni estesi a larghe parti del-
di norma viene sovrapposto ad essi almeno un altro ca- l’indumento, bordato con
pospalla con o senza maniche, in molti casi anche altri
due o tre, come ampiamente documentato dall’iconogra-
fia antica prima e dalle fonti fotografiche poi. Gran parte
dei capi esaminati, che non hanno data-

409-410. Giubbetto festivo, gippòne,


Oliena, fine sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari.
409
410

252
411. Giubbetto festivo, corìttu, gippòni, Cagliari, fine sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
412. Giubbetto e corpetto, zippòne tancàu e soropàu,
Orgosolo, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
413. Giubbetto, zippòne, nell’abito festivo, Nuoro, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
414. Giubbetto, zippòne a mànicas apèrtas, nell’abito festivo,
Orgosolo, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
411

412
413
256 414
nastri in seta in sostituzione del più modesto soutache di ghese. Sono confezionati in panno di lana rosso o vellu-
lana. In alcune località sui giubbetti sono presenti, an- to di cotone sui quali vengono applicati, a scopo orna-
che se in forma minore, i pattern decorativi propri di mentale, tessuti di grande pregio quali lampassi o velluti
quelli femminili; in altre realtà si pensa di accentuare la di seta. Il ricamo è piuttosto raro, sottolinea lo stacco tra
mascolinità degli abiti, privandoli di qualunque civetteria diversi tipi di tessuto e orna le maniche in corrispon-
femminile in favore di una ricercata sobrietà di colori e denza dei polsi, chiusi con alcuni bottoni in lamina d’ar-
forme. Ornamento tipico del giubbetto sono i bottoni gento, passanti attraverso asole ricamate. Le denomina-
posti in serie a chiudere la manica in corrispondenza zioni sono identiche per le due fogge: zippòne, gippòni,
dell’avambraccio e lungo la zona anteriore; queste parti gippòne, corìttu, zamàrra sono termini ricorrenti in tutta
presentano pertanto occhielli rotondi e asole ricamate a l’isola, senza distinzione di modello.
punto occhiello con fili di seta policromi. Un tipo di
giubbetto molto particolare è quello usato ad Orgosolo, Giacchette
una sorta di coprispalle confezionato in orbace nero Il termine giacchetta è decisamente appropriato per de-
(zippòne tancàu) con maniche lunghe, che viene so- nominare il capospalla tipico del pescatore di Cagliari,
vrapposto ad un corpetto di taglio identico al zippò- confezionato in panno di lana blu tipo marina. Il taglio
ne tradizionale, ma meno ornato e privo di mani- di questo indumento è chiaramente derivato dalla corta
che al quale si dà il nome di soropàu, comune, giacchetta da marinaio, con piccoli risvolti e tasche oriz-
come si è visto, ad altri tipi di corpetti usati zontali nella parte anteriore chiusa con una serie di bot-
nella Sardegna centrale. toni metallici presenti anche sul polso. Il termine giac-
I giubbetti sagomati, con manica per chetta comprende anche le varianti in orbace o panno,
lo più chiusa o con piccoli spac- molto corte, a manica stretta, profilate con soutache di
chi, rappresentano una foggia lana e guarnite, nella parte anteriore, con alamari in cor-
più evoluta e sono diffusi doncino. I giubbetti di foggia più arcaica non presentano
soprattutto tra la fine del- fodere, ma sono accuratamente rifiniti per essere usati
l’Ottocento e i primi del anche a doppio diritto (Nuoro, Oliena, Orani, Orotelli,
Novecento in aree più Sarule); quelli di foggia più recente sono foderati con te-
esposte al gusto bor- le di cotone di medio peso sia in tinta unita che fantasia.

415. Giacchetta, gianchètta, Cagliari,


seconda metà sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari.
416. Giuseppe Cominotti, Costumes sardes
en serie, 1825, litografia a colori, in Atlas
de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora. 416

415

259
CINTURE

L e cinture (chintòrias, chintòrzas, carrighèras, lazzàdas, vrentèras) sono accessorio indispensabile del-
l’abbigliamento maschile e le fonti iconografiche ne rappresentano un gran numero di modelli. Sem-
brano mancare solo in alcuni insiemi che prevedono l’uso di un panciotto con risvolti e abbottonatura
Di tono più sobrio e comunque d’uso festivo o giornaliero, sono le cinture di pelle
nera lavorata a sbalzo con sottili profili in pelle rossa. In pelle di colore naturale so-
no le cinture con sacca portapolvere o portamonete applicata sulla parte anteriore;
centrale, ma potrebbero essere indossate al di sotto di esso e perciò non visibili. I numerosi esemplari con- anche queste possono essere intarsiate e ricamate e vengono indossate da sole o in
servati presso raccolte pubbliche e private corrispondono pienamente alle illustrazioni e confermano la abbinamento ad un altro tipo di cintura. Lo stesso dicasi per le cartucciere, sempre
grande varietà di modelli, la loro qualità e valenza estetica. Gran parte delle cinture sono in cuoio di co- in pelle naturale o colorata, dotate delle apposite piccole tasche cilindriche per l’al-
lore naturale o tinto, hanno altezze varie, tali, in qualche caso, da farle sembrare dei busti.103 La lun- loggiamento delle cartucce protette da un apposito lembo di cuoio.104 Le cinture
ghezza è ovviamente proporzionata alla taglia del proprietario, e può anche essere regolata con lacci molto alte, spesso colorate in rosso o verde, possono avere due o più affibbiature an-
passanti attraverso appositi forellini, come avviene negli esemplari diffusi nel centro-Sardegna dove non teriori che presentano interessanti lavorazioni artigianali. D’uso festivo sono anche
godono di grande favore le cinture con fibbie. Queste sono invece presentissime in tutto il resto dell’isola e le cinture di cuoio rivestito con lampassi policromi operati e broccati nelle più varie
in particolare nel Cagliaritano dove le cinture che completano gli insiemi festivi e comunque quelli delle fantasie. Le cinture in tessuto, a fusciacca, sono tipiche dell’abbigliamento dei pe-
classi agiate sono impreziosite da grandi fibbie in lamina d’argento. Sono diffuse ovunque cinture festive scatori cagliaritani; l’uso festivo prevede l’uso di fusciacche in tessuti di seta operati,
impunturate e ricamate con fili di seta policromi a motivi geometrici, talvolta con le iniziali o l’intero no- di chiara importazione nordafricana e levantina, quello giornaliero ricorre a sem-
417
me del proprietario, oppure intarsiate su un fondo di raso di seta a colori vivaci o lampasso policromo. plici fusciacche in tessuti di qualità inferiore.

418

419

417. Cintura festiva, chintòria, Orani, seconda metà sec. XIX


Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
Dalla cintura pende un acciarino metallico da usare con pietra focaia.
418. Fusciacca festiva, lazzàda, Cagliari, seconda metà sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
260 419. Cintura festiva, cìntu, Cagliari, seconda metà sec. XIX 261
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
425. Alessio Pittaluga, Proprietaire d’Iglesias
(Possidente di Iglesias), 1828 ca.,
litografia a colori, Cagliari, coll. Piloni.
426. Alessio Pittaluga, Vendeur de lait de
420 Cagliari (Venditore di latte di Cagliari), 1828
ca., litografia a colori, Cagliari, coll. Piloni.
427. Dorgali, inizio sec. XX, foto d’epoca.
420. Cintura con tasca portapolvere, brentèra,
Tonara, seconda metà sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
421. Cintura con tasca portapolvere, intórriu, Meana, seconda metà sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
422. Cintura festiva, chintòrza, Dorgali, seconda metà sec. XIX
425 426 427
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
423. Cintura festiva, intórriu, Meana, seconda metà sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
421
424. Cintura, cìntu, Oristano, prima metà sec. XX
Oristano, coll. Enrico Fiori.

422

423

424
CAPPOTTI LUNGHI

I n questa definizione sono compresi quei modelli di capispalla che coprono la figura almeno
fino a metà polpaccio e che vengono sempre indossati sopra altri indumenti quali gilet, giub-
betti o giacche. Vengono divisi in due tipologie sulla base del tessuto e del modello impiegati; al-
l’interno di tali tipologie saranno tracciate ulteriori distinzioni.

Serenìccu
Cappotto di origine levantina detto serenìccu e pilùr-
zu. Il termine serenìccu viene nel tempo attribuito
anche a cappottini corti, di orbace, descritti più avan-
ti, ma dovrebbe essere più precisamente destinato
soltanto ad un modello di cappotto lungo, caratteriz-
zato dall’uso di un particolare tipo di tessuto di lana,
di produzione greca, piuttosto morbido, di colore
marrone cioccolato, caratterizzato da un diritto piano
e un rovescio a pelo corto di fili ritorti. Già il La Mar-
mora aveva chiarito: «Non è fatto, come gli altri, di fu-
resi nero, ma è di un panno grosso di color cioccola-
ta che viene dal levante e dal regno di Napoli».105
Giuseppe della Maria aveva già rilevato questa carat-
teristica avendo esaminato due esemplari di cappotto
serenìccu conservati al Museo delle Arti e Tradizioni

428. Luciano Baldassarre, Uomo vestito del capottu serenicu, 1841,


litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841;
Cagliari, coll. Piloni.
429. U. Martelli, Pescatore cagliaritano, fine sec. XIX,
litografia a colori.
430-431. Cappotto lungo, serenìccu, Cagliari,
seconda metà sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
428 429

264
430
mezzo di scambi commerciali con i Maltesi, ben prima
che i cappottari greci iniziassero un’attività stabile e con-
tinueranno ad essere importati anche dopo questo mo-
mento. È pertanto naturale che siano capi assai ricercati,
costosi e dunque inizialmente riservati ai ceti più ricchi
della società campidanese. Gli esemplari di serenìccu
raccolti tra il 1905 e il 1911 per la Mostra di Etnografia
Italiana, inserita nell’Esposizione Internazionale di Roma
del 1911, costituiscono una fonte preziosa per la loro
descrizione e confermano le peculiarità e l’alta qualità
sartoriale di questi capi. Sono confezionati con il tessuto
di lana già descritto, lunghi fino al polpaccio, hanno ma-
niche lunghe e cappuccio. Un tono particolare è dato

dalle rifiniture e dalle guarnizioni in panno


rosso e bianco inserite lungo le linee di ta-
431 glio della parte anteriore, in corrisponden-
za degli angoli inferiori e delle tasche, do-
ve è anche applicata una frangia celeste.
Popolari di Roma: «Questo caratteristico indumento – di del Settecento, a rivolgere le loro energie nella produ- L’indumento non viene abbottonato, ma le
origine balcanica e lavorato a Cagliari da cappottari greci zione di altri tipi di cappotti di orbace e panno, modelli parti anteriori sono semplicemente acco-
– è presente in due preziosissimi capi, i soli sopravvissu- sardi, sollevando così le rimostranze del gremio dei sarti state, lasciando intravedere le falde interne
ti. Nella letteratura del costume sardo sono frequenti le cagliaritani. «La lunga causa che vide la comunità dei in panno rosso con fitta impuntura longi-
descrizioni del serenicu, spesso anche particolareggiate, greci difendersi contro le pretese del gremio dei sarti ca- tudinale. Davvero particolare è la minuta
ma non si riscontra in alcuna la indicazione della qualità gliaritani finì con la vittoria dei primi nella sentenza, ornamentazione inserita lungo il taglio
della stoffa – che qui si accerta corrispondere a rustica emessa nel novembre del 1826, che li assolveva dall’ac- delle maniche: minuscole spirali in panno
lana, che non è orbace – e in nessun testo si rileva la cusa di esercizio abusivo della professione, fino ad allo- rosso e bianco alternate tra loro a formare
presenza nell’interno del cappotto di una finta pelliccia ra esclusivo monopolio del gremio dei sarti di Cagliari. come un gioco di roselline. Il cappuccio
di lana scura, a filo ritorto, di lunghezza variabile da ca- La sentenza venne emessa dalla Reale udienza, la massi- presenta gli stessi motivi decorativi e la
po a capo, di cui sono dotati entrambi gli esemplari».106 ma magistratura dell’isola, e nasceva in un nuovo clima fodera in panno rosso. Cuciture e orna-
I cappotti prenderebbero il nome serenìccu dalla città di sociale e culturale, dopo un quindicennio di presenza mentazioni sono tutte realizzate a mano.108
Salonicco dalla quale venivano importati sia gli indu- continuativa della corte sabauda e di tutto il suo entura-
menti confezionati sia il particolare tessuto; il nome ge a Cagliari; quello fu il periodo di maggiore successo
pilùrzus, con cui sono anche conosciuti, sembra partico- dei maestri greci in città e nell’hinterland, al punto che i
larmente adatto a definire il tessuto peloso con il quale loro manufatti erano preferiti rispetto a quelli dei sarti
sono realizzati. Proprio la mancanza di questo tipo di del gremio cagliaritano».107
432. Cappotto lungo, piccinnàu o serenìccu,
tessuto a causa della guerra greco-ottomana costrinse i I cappotti del tipo serenìccu giungono a Cagliari già Quartu S. Elena, prima metà sec. XX
cappottari greci, attivi a Cagliari già nella seconda metà confezionati, attraverso i porti di Livorno e Napoli e per Oristano, coll. Enrico Fiori.

266 267
432
Gabbànu che termina appena sotto una martingala alta, chiusa da
Più fonti danno testimonianza di questo cappotto, confe- uno o due bottoni. Le persone agiate aggiungono spes-
zionato esclusivamente in orbace, certo il modello più so un colletto di pelliccia nera di agnellino (astrakan) o
antico tra quelli usati in Sardegna, che così viene descrit- di pelliccia finta o di tessuto in lana bouclé. Più raro è
to da La Marmora: «Quest’indumento è usato nella pro- il modello senza maniche, probabilmente derivato dal
vincia di Iglesias e in quasi tutta la parte settentrionale cappotto “da postiglione”, con mantella staccata, dotata
dell’isola. Il colore è sempre nero, non è foderato, né di cappuccio, abbastanza lunga da coprire le braccia.
guarnito di stoffa di altro colore, come il soprabito gre- Le raccolte pubbliche e private conservano ancora nu-
co». La descrizione, alla quale si deve aggiungere la pre- merosi capi di questo tipo provenienti per lo più dalla
senza del cappuccio, la mancanza di abbottonatura e Sardegna centrale dove sono stati utilizzati anche in as-
l’attaccatura della manica impostata ad angolo retto, cor- sociazione a completi di velluto o fustagno.
risponde perfettamente alle raffigurazioni dei primi de- Cappotti di orbace o panno, detti cappòtte de saiàle,
cenni dell’Ottocento109 nelle quali questo tipo di cappot- fiorètto, piccinnàu,110 sono stati a lungo oggetto di con-
to è ben distinto da quelli decorati. Molto interessante è tesa tra i cappottari greci e il gremio dei sarti di Cagliari
la tavola 27 della Collezione Luzzietti, Uomini del Mar- che accusavano i primi di non limitarsi a confezionare
ghine, che descrive un capospalla lungo, presumibilmen- solo i serenìccus, per i quali avevano apposita licen-
te di orbace, tutto nero, senza guarnizioni colorate, con za, ma di tagliare e cucire anche cappotti lunghi, di
lungo spacco posteriore. La figura mostra le due falde orbace o panno di lana di vario tipo. La contesa eb-
posteriori del cappotto rialzate simmetricamente: ciò fa be termine nel 1826 con la vittoria dei cappottari
supporre che questo sia dotato di fessure o di cordelle greci che così poterono confezionare tutti i mo-
433
mediante le quali è possibile, all’occasione, sollevare le delli di cappotto, anche quelli alla sarda, come
due parti laterali sia per cavalcare sia per evitare di in- nero, ma sono di concezione moderna, probabilmente evidentemente sono considerati questi ultimi.
fangarle. La funzione di questo capo, associato a insiemi derivati da modelli militari. Il taglio è a petto semplice o Possono essere ritenuti varianti dell’antica versio-
vestimentari di medio livello, non pare essere festiva co- doppio, con o senza risvolti, chiuso con bottoni moder- ne del gabbànu di cui sopra, un po’ più corti, e
sì come non lo è quella dei cappotti lunghi di orbace ni a due o a quattro fori. Il cappuccio, sagomato, è unito soprattutto caratterizzati da profili e guarnizioni
che li sostituiranno a partire dal primo Novecento. Tali con bottoni nascosti nella parte posteriore del colletto e in tessuto di colore contrastante e dotati di cap-
cappotti mantengono la stessa denominazione dei loro sagomate sono anche le maniche, tagliate a scalfo asim- puccio con nappina variopinta.111 Per alcuni
predecessori, vengono ancora confezionati con orbace metrico. La parte posteriore mantiene il lungo spacco aspetti sembrano essere un’imitazione a buon
mercato dei serenìccus, ma non si può esclu-
dere che forme di gabbànu ornate, destinate
ad un uso festivo o riservate ai ceti abbienti,
fossero già presenti in Sardegna e che l’in-
fluenza dei sarti greci abbia in qualche modo
alimentato il gusto per l’ornamentazione poli-
croma. Allo stato delle conoscenze non sem-
bra essersi conservato alcun cappotto di que-
sto tipo, né tra le collezioni pubbliche né
tra quelle private.

433. Anonimo, Uomini del Marghine, inizio sec. XIX,


acquerello su carta, Collezione Luzzietti,
Cagliari, Biblioteca Universitaria.
434. Giuseppe Cominotti, Costumes sardes en serie, 1825,
litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne
par De Lamarmora.
435. Giuseppe Cominotti, Costumes sardes en serie, 1825,
litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne
par De Lamarmora.
436. Anonimo, Majoli, inizio sec. XIX,
acquerello su carta, Collezione Luzzietti,
Cagliari, Biblioteca Universitaria.
437. Iglesias, foto d’epoca, inizio sec. XX.
438. Cappotto lungo, gabbànu, Bitti, inizio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
434 435 436 437

268 438
CAPPOTTI CORTI, GIACCONI E GIACCHE

S e i cappotti lunghi sembrano essere destinati soprattutto ad un uso invernale, non può dirsi
ugualmente per i capispalla di lunghezza media. Cappotti corti, giacconi e giacche, che rien-
trano in questa categoria, infatti, si utilizzano, indipendentemente dalla stagione, in tutti i mo-
menti della vita sociale fuori dalla cerchia familiare, ma non è raro un impiego anche in ambito
privato. Le occasioni ufficiali, di rappresentanza e cerimoniali, prescrivono l’uso di simili capi-
spalla quasi per mitigare il tono eccessivamente informale e intimo dei corpetti, gilet, giubbetti e
giacchette indossati sotto.

440 441
Cappotti corti
Gabbannèlla, cappottìnu, cappottìnu ’e coidèra, evidenti
diminutivi dei termini che sono propri dei cappotti lun-
ghi, sono attribuiti ad un particolare capospalla corto
diffuso in tutta l’isola. In qualche località gli esemplari
realizzati in orbace o panno con applicazioni di tessuti,
nastri e cordelle ornamentali, vengono anche chiamati
serenìccu forse proprio per la presenza di questi ele-
menti. La parte superiore è tagliata come i cappotti lun-

ghi, mentre le falde, di lunghezza pari a quella delle rà-


gas, sono sagomate e svasate per accompagnare il taglio
dei calzoni a gonnellino: ciò è particolarmente evidente
negli esemplari di Bitti, Fonni, Oliena, Orosei, Nuoro,
per citare qualche esempio. Sono capi molto diffusi sia
nelle varianti festive sia in quelle giornaliere, tutti pre-
sentano ornamentazioni di tessuto, passamanerie, souta-
che. La parte anteriore non viene chiusa e proprio per
questo motivo è foderata, con un largo bordo di velluto
di cotone o seta nei colori nero, blu, rosso o granato fi-
no all’interno del cappuccio; la realizzazione di questa
parte è molto curata e presenta fitte impunture longitu-
dinali parallele che possono essere in tinta col tessuto, o

439. Zappatore sassarese, 1850-63, litografia a colori


dal Journal Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni.
440. N.B. Tiole, Paysans de Samassi, 1819, acquerello su cartoncino,
Cagliari, coll. Piloni.
441. Giuseppe Cominotti, Costumes sardes en serie, 1825,
litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora.
442. Cappotto corto, gappòtte, Orosei, primo decennio sec. XIX
439 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

270 442
in contrasto cromatico. Tali impunture posso-
no essere realizzate a mano o a macchina con
cordoncini di seta. L’indumento viene indos-
sato aperto, tutt’al più affibbiato in corri-
spondenza del collo con fermagli e catenelle
d’argento; in qualche caso sono comunque
presenti alamari e bottoni anche a solo scopo
ornamentale. In corrispondenza dell’avam-
braccio e intorno alle tasche sono anche appli-
cate guarnizioni in velluto bordate con passa-
manerie e cordoncini. Nella Sardegna centrale e
settentrionale i cappottini sono quasi sempre or-
nati con tessuti in tinta, dunque nero su nero, in
un raffinato gioco di chiaroscuri determinato dalla
lucentezza del velluto in contrasto con l’orbace. Si
tratta di modelli in gran parte risalenti ai primi de-
cenni del Novecento e non è da escludere che
esemplari più antichi potessero mostrare una
policromia maggiormente accentuata, abbando-
nata in favore delle tonalità cupe che caratte-
rizzano la moda maschile a partire dalla se-
conda metà del XIX secolo. Da non trascurare
il fatto che le norme per il lutto prevedevano
che i vedovi indossassero sempre, fuori di
casa, il cappottino nero col cappuccio cala-
to sul volto e che in molti casi, dato l’alto
costo di questi indumenti, la variante in
nero può avere alla fine prevalso su
quella policroma anche fuori dalla con-
dizione di lutto. Tutti i cappottini pre-
sentano rifiniture estremamente accura-
te con fodere in rasatello di cotone
stampato a grandi fiori, pekin, o altri ti-
pi di tessuto rigato; le cuciture sono
spesso realizzate a macchina mentre
passamanerie e cordelle sono appli-
cate a mano. Il ricamo è raro e limita-
to a più corsi a punto catenella, erba
o motivi a punto festone scalato
(dentelle).

443. Cappotto corto festivo, cappottìnu


o serenìccu, Dorgali, fine sec. XIX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.
444. Cappotto corto giornaliero,
cappottìnu, Gavoi, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.
443

444
272
446
Giacconi
I giacconi, simili per lunghezza ai cappottini, o le
giacche, più corte, sono confezionati sia in pan-
no sia in orbace e sono denominati gianchètta,
zanchètta. Hanno taglio simile a quello di una
giacca moderna, con linea diritta, risvolti e abbot-
tonatura anteriore. Le tasche sono ad apertura
trasversale, con bordo piatto o, in qualche caso,
a battente. Il ricamo con cordoncini di seta o le
applicazioni di alamari e passamanerie sono piut-
tosto rari, mentre è frequente l’applicazione di un
profilo di soutache di lana di colore nero o mar-
ron. Le fodere sono di tessuto di cotone o di lana
in tinta unita o in fantasia, comunque di colore
scuro.112 In molte località questi indumenti sosti- 445. Giacca festiva, gianchètta, Pula, inizio sec. XX
tuiscono il cappotto corto e vengono indossati Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
sia sopra i corpetti di foggia tradizionale che so- 446. Giacca festiva, gianchètta, Sinnai, primo decennio sec. XX
445 pra gilet e panciotti di taglio più moderno. Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

275
MANTI

L’ unico mantello tradizionale usato in Sardegna, cono-


sciuto come sàccu o sàccu ’e cobèrri, è formato da due
teli di orbace uniti tra loro in senso longitudinale, sovrapposti
ad altri due, e poi cuciti tra loro per tutto il perimetro così da
formare un grande rettangolo.113 Su uno dei lati lunghi so-
no cuciti due grossi ganci che consentono di fermare
l’indumento sul petto se lo si posa sulle spalle, o sotto la
gola se lo si posa sul capo; per il resto le fonti orali non
dicono molto di più rispetto a quanto scritto da La
Marmora: «Questa veste, fatta di solito con due teli di
furesi nero applicati l’uno sull’altro e cuciti nel sen-
so della lunghezza, è ancora molto comoda per
viaggiare a cavallo, quando è un po’ ampia e allo-
ra copre il corpo, dietro, fin sotto le reni e, davan-
ti, le cosce e anche le gambe. Non è che una veste
per la pioggia e per l’inverno, ma è tanto più utile
in quanto tiene poco posto e in viaggio può servi-
re da letto, da coperta e persino da tappeto per
mangiare in aperta campagna. Questi sono,
per lo meno, i servizi che io ne ho avuti e che il
saccu offre ogni giorno ai pastori sardi».114
I mantelli esaminati non hanno datazioni
anteriori alla fine dell’Ottocento e mantengo-
no inalterato questo modello. È opportuno
precisare che spesso il lato lungo anteriore
ha angoli arrotondati e che in qualche caso
è applicato un cappuccio. L’orbace nero,
pesante e ben follato, è senz’altro il più
usato, ma di grande bellezza sono anche i
mantelli in orbace screziato ottenuto con
lana di colore naturale abbinata nelle to-
nalità del marrone/nero o del grigio/ne-
ro. Tutte le fonti concordano sull’origine
di questo mantello risalente, se non al
nuragico, almeno al periodo romano.
La funzionalità e la semplicità di rea-
lizzazione, anche in ambito familiare
non specializzato, ne ha decretato, nel
tempo, la fortuna. Il modello è così “riu-
scito” che ancora negli anni Settanta del
Novecento è parte importante del corredo
dei pastori dell’interno che per il resto
hanno da tempo abbandonato l’abbi-
gliamento tradizionale.

447. Mantello, sàccu, Orroli, inizio sec. XX


Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.
448-449. Mantello, sàccu, Nuoro, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.

448 449
276 447
450. Giuseppe Cominotti, Costumes sardes
en serie, 1825, litografia a colori, in Atlas
de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora.
SOPRAVESTI IN PELLE E PELLICCIA 451. Giovanni Marghinotti (attrib.),
Vaccajo di Cagliari, prima metà sec. XIX,
Indumenti in pelle e pelliccia, senza maniche, hanno caratterizzato l’abbigliamento maschile in acquerello su cartoncino, Cagliari, coll. Piloni.
Sardegna fin dalla più remota antichità. Non si riportano gli innumerevoli studi che hanno trat- 452. Luciano Baldassarre, Capo dei cavallanti,
1841, litografia a colori da Cenni sulla
tato questo tipo di vesti realizzate in pelle e pelliccia di pecora, capra, agnello o capretto cui si ac- Sardegna, Torino 1841;
compagna, altrettanto numerosa, la documentazione iconografica, né sarà il caso di riafferma- Cagliari, coll. Piloni.
re quanto questi elementi siano comuni a tutte le società pastorali e agricole del bacino del 453. Bosa, ante 1905,
Mediterraneo. Questa tipologia vestimentaria continua ad essere largamente utilizzata, soprat- fotografia di Giovanni Nurchi.
tutto nelle attività agricole e pastorali, fino alla prima metà dell’Ottocento, nei modelli arcaici 454. Coietto festivo, colléttu,
Oristano, seconda metà sec. XX
più semplici, a pelo lungo. Per i capi destinati ad un uso più formale possono essere seguite delle (riproduzione del modello usato
linee di evoluzione e trasformazione, in relazione alle occasioni di utilizzazione, nell’arco di dal gremio dei falegnami)
Oristano, coll. Enrico Fiori.
tempo al quale fa riferimento il presente studio.

Colléttu li».115 Già nella seconda metà dell’Ottocento dunque, la


“Coietto” è il nome italiano rinascimentale della più diffu- diffusione del colléttu è ovunque in calo e anche nella
sa e ricercata sopraveste in pelle, priva di maniche, chia- Sardegna centrale, in genere più conservativa, questi ca-
mata colléttu. Non a caso è tra gli indumenti più citati dal- pi sono già scomparsi o indossati da persone anziane.
le fonti antiche che ne documentano la presenza in tutta I reperti d’epoca, rarissimi e in mediocre stato di conser-
l’isola con particolare frequenza nel Sassarese, nell’Orista- vazione, sono tutti relativi ad un ambito di utilizzazione
nese e nel Cagliaritano, zone nelle quali si realizzano cerimoniale. L’ausilio delle fonti iconografiche, per for-
esemplari di grande pregio e dove l’uso si protrae, alme- tuna assai numerose, permette di descrivere sostanzial-
no nelle occasioni festive e cerimoniali, fino al primo mente due modelli di colléttu: uno aperto nella parte
Novecento. «L’uso del cojetto (sos corios) è mancato e anteriore e l’altro con aperture laterali, da indossare infi-
credono bene di supplire col cappotto e col gabbano»: landolo attraverso il capo; costituisce elemento di diffe-
così scrive l’Angius descrivendo l’abbigliamento degli uo- renziazione anche la profondità della scollatura che
mini di Oliena e poi in riferimento ad Orani scrive: «Spia- sembra essere maggiore nei capi festivi per dare risalto
ce che anche i vecchi abbiano con grave danno della loro alla parte anteriore del corpetto o del giubbetto, mentre
sanità dimesso l’uso del cojetto e di altre vesti naziona- nei capi associati ad insiemi vestimentari più modesti la

454

450 451 452 453

278
scollatura, quadrangolare, è molto ridotta. Cordelle di
cuoio e una cintura, di varia altezza e modello, chiudono
questo capo, mantenendolo ben aderente al busto. I col-
léttus festivi possono essere confezionati con morbide
pelli di capretto o cervo, quelli d’uso giornaliero con pel-
li di minor pregio, sempre di colore chiaro. In tutti i casi
il modello è sempre accuratissimo con taglio in corri-
spondenza del punto vita dove le pelli sono disposte ad
ampi gheroni in modo che la parte inferiore risulti larga
e scampanata e consenta la più ampia libertà di movi-
menti. Vale anche la pena di precisare che questo tipo di
sopraveste deve essere indossato sopra l’insieme com-
pleto di camicia, corpetto o gilet, giubbetto, calzone di
tela e calzone a gonnellino oltre, naturalmente, alle uo-
se, dunque la qualità di un capo morbido e ben sagoma-
to è anche quella di ricoprire, senza appiattirli, tutti i ca-
pi sottostanti. Soltanto raramente il colléttu sembra essere
usato senza i calzoni a gonnellino, con i soli calzoni
chiari, molto aderenti, come attesta una tempera di Ago-
stino Verani che mostra un uomo di Tempio con colléttu
corto e aperto su un fianco così da mostrare tutta la lun-
ghezza del calzone.116 Pellami di prima scelta e tagli ac-
curati sono poi completati da ricami e applicazioni di
tessuto, anche in tinta contrastante, disposti attorno alla
scollatura anteriore, che come si è detto è particolarmen-
te profonda nei capi festivi. La presenza di bottoniere
d’argento, fermagli e catene in lamina d’argento, persa la
funzione originale, mantiene evidentemente solo quella
ornamentale che dichiara anche il rango e la posizione
sociale del proprietario. Sopra il colléttu possono essere
indossati tutti i tipi di capispalla in tessuto o in pelliccia
455
in relazione alla stagione e ai momenti di utilizzazione.

Gilet di pelle e pelliccia


Gilet di pelle e pelliccia corti o lunghi sono diffusi in tut-
ta l’isola dove vengono chiamati bìst’’e péddi, èst’’e pèd-
de, pèddes. Sono capi di taglio diritto, di fattura piuttosto
semplice ed anche relativamente economici soprattutto
nella versione lunga – più comune, fatta con pelli di pe-
cora o capra, preferibilmente di colore scuro – che si
adatta alle varie esigenze climatiche e lavorative. Si in-
dossano comunemente con il pelo all’esterno, ma posso-
no anche essere indossati al contrario. Una bella tempe-
ra del Verani mostra un gruppo di mercanti di bestiame
che indossano sia le pellicce con il pelo all’esterno sia
quelle con il pelo all’interno; queste ultime, di colore
chiaro, appaiono particolarmente eleganti e presentano

455. Gilet di pelle, pèddes, Orani, primo decennio sec. XX


Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
456. Nuoro, fine sec. XIX, fotografia di Antonio Ballero.
457. Giovanni Marghinotti (attrib.), Viandante di Bosa,
venditore d’olio, prima metà sec. XIX, acquerello su cartoncino,
Cagliari, coll. Piloni.
458. Gilet di pelle, pèddes, Nuoro, inizio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
456 457

280
458
459. Villamar, 1906 ca., foto d’epoca.
460. Gilet di pelliccia, pèddes,
Tonara, inizio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.
461. Orgosolo, 1954, fotografia di Pablo Volta.

459 460 461

profili in tinta contrastante. Meno elegante, corto, ma niera e, grazie a dei successivi raffinamenti dovuti al pia- inferiore e un accorto impiego dei pellami. La parte in- bouclé ad imitazione della pelliccia; gli uni e gli altri
sempre di colore chiaro e con pelo all’interno, è il gilet cere degli ornamenti, la pelliccia ha perduto in questa terna mostra il cuoio accuratamente conciato o è fine- vengono denominati a Nuoro stracànnu con chiaro rife-
indossato da una figura maschile raffigurata nella Colle- zona il suo aspetto grossolano: essa costituisce ora un mente foderata in tessuto; spesso sono presenti tasche a rimento al termine “astrakan” che l’industria manifattu-
zione Luzzietti.117 Così scrive il La Marmora a proposito capo molto elegante nell’abbigliamento di questi contadi- battente impunturate con fili di seta policromi. Sul finire riera attribuisce, in quegli anni, anche ai tessuti che imi-
dei diversi modelli di pelliccia: «La forma di questa pel- ni».118 Le pellicce di questo genere rimangono a lungo in dell’Ottocento si producono anche capi in pelle ben tano la pelliccia. Nelle raccolte pubbliche e private gli
liccia è ovunque la stessa; benché abbia qualcosa di uso specie nelle zone dell’interno e in ambito pastorale, conciata con tasche esterne, del tipo a battente già de- esemplari di pellicce lunghe sono assai rari, sia per le
selvaggio e semibarbaro, essa è molto utile e comoda ma già nella seconda metà dell’Ottocento diviene più fre- scritto, e fodere in tessuto di cotone (fustagno, rasatello, oggettive difficoltà di conservazione, sia per la poca
perché, come il collettu, ripara dal sole, dal vento e dal- quente l’utilizzo di gilet di pelle di agnellino nero di for- tela spazzina), preferibilmente di colore scuro. Esemplari considerazione di cui godevano persino presso i colle-
la pioggia. Il modo comune di portarla è con il pelo al- ma sagomata e di tono più raffinato. Questi capi restano festivi o comunque di lusso in uso tra la fine dell’Otto- zionisti: capi di uso giornaliero e con scarsa valenza
l’esterno; tuttavia la si mette al contrario, secondo il tem- completamente aperti nella parte anteriore dove risulta in cento e i primi del Novecento vengono confezionati con estetica. Più numerosi sono i gilet del tipo corto e sago-
po e la stagione, soprattutto quando le pelli sono ben evidenza il giubbetto e coprono la parte posteriore della pellicce di agnellino persiano (astrakan). Nei primi de- mato, dei quali si conservano ancora diversi esemplari di
conciate e ben bianche. Gli abitanti del Campidano di figura fino alla lunghezza dei calzoni a gonnellino, così cenni del Novecento, capi di tono elegante e adatti alla datazione compresa tra la fine dell’Ottocento e i primi
Quartu sono quelli che più la usano in quest’ultima ma- da rendere necessaria una precisa sagomatura della parte stagione più calda vengono confezionati con tessuti decenni del Novecento.

282 283
CALZONI

I calzoni sono, per definizione classica, indumenti destinati a coprire il corpo dalla vita alle ca-
viglie, con funzione sia intima sia esterna. Essi, in Europa e nel bacino del Mediterraneo, pre-
sentano le forme e le origini più varie. Tra il XVIII e la prima metà del XX secolo, i calzoni esterni
usati in Sardegna corrispondono sostanzialmente a quattro gruppi: a gonnellino, a gamba diritta,
sagomati o a campana e quelli definiti come pantaloni a tubo, di foggia più moderna.

Calzoni a gonnellino 463


Possono essere considerati l’indumento più particolare
del sistema vestimentario maschile, quello che ha destato
il maggiore interesse tra gli studiosi di ogni tempo. La lo-
ro diffusione interessa tutta l’isola dove sono variamente
denominati (ràgas, fràcas, crazzònis de arròda, carzò-
nes de furési). Vengono definiti calzoni a gonnellino per-
ché tutte le varianti presenti nell’isola possono essere ri-
condotte al modello del corto gonnellino arricciato, in
orbace o panno di lana, i cui lembi inferiori sono uniti
da una striscia dello stesso tessuto. Da più parti si sono
fatte congetture sull’origine di tale indumento: alcuni lo
fanno rientrare nell’ampio gruppo dei calzoni corti a
gonnella che interessa tutta l’Europa, altri ne colgono la
diretta discendenza dall’abbigliamento dell’età nuragica o
romana, altri ancora li ritengono derivati dai calzoni co-
siddetti “alla Rhingrave” diffusi tra gli abiti di corte alla fi-
ne del XVII secolo. Va anche considerato che i calzoni a
gonnellino vengono sempre indossati in combinazione
con gli ampi e lunghi calzoni di tela, dei quali si dirà in
seguito, che sono una via di mezzo tra capo intimo ed
esterno: è dunque ipotizzabile che il gonnellino sardo
sia entrato in uso per soddisfare l’esigenza di coprire il
bacino in modo adeguato, necessità risolta altrove, in età
medievale e rinascimentale, con le falde lunghe, ampie e
arricciate delle casacche. Nella storia della moda euro-
pea, con l’abbandono delle vesti lunghe, si assiste infatti
a continue variazioni dell’insieme dei capi destinato a ri-
coprire la parte inferiore del tronco, con le più bizzarre
soluzioni che ora evidenziano, ora nascondono la zona
pubica e le natiche. È dunque possibile che in ambito
popolare sardo si sia consolidato l’uso di un gonnellino
– derivato dalla casacca di cui si è detto prima e che ha
assunto una propria fisionomia regionale – da indossare
in combinazione con i larghi calzoni, in una soluzione
flessibile e pertanto adattabile alle specifiche esigenze

462. U. Martelli, Rigattiere cagliaritano, fine sec. XIX,


litografia a colori.
463. Calzoni a gonnellino, carciòne de urési, Oliena,
primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
464. Calzoni a gonnellino, fràca, Dorgali, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 462

284
464
culturali e climatiche. In Sardegna questo indumento cordino di rinforzo in corrispondenza del bordo inferiore
mantiene evidentemente vivo un gusto tutto locale che, che può essere guarnito con un sottilissimo profilo di
come le acconciature a trecce, richiama pienamente quel- panno scarlatto. A Fonni questo dettaglio ha acquisito un
lo rappresentato dalla bronzistica nuragica.119 tale risalto che il gonnellino risulta fortemente scampana-
Quale che sia la loro vera origine, si possono comunque to. Cortissimi, quasi a fascia, sono i calzoni di Samugheo,
cogliere, anche se a grandi linee, dei veri mutamenti di Busachi, Laconi, Atzara, talmente succinti da arrivare ap-
moda dagli esemplari esaminati e dal confronto delle pena a coprire il bacino. L’orbace, accuratamente pie-
fonti iconografiche. I modelli anteriori alla seconda metà ghettato, forma, in questi esemplari, una banda compatta
dell’Ottocento si desumono solo sulla base dell’iconogra- intorno ai fianchi, ricamata a punto catenella a motivi
fia, non essendo giunto alla nostra conoscienza alcun re- curvilinei e rettilinei intersecati tra loro; la parte di tes-
465
perto d’epoca; essi sono presumibilmente di orbace, ge- suto risparmiata da tale lavoro si apre a volant, bordato
neralmente di colore nero, marrone o “foglia morta”, ma di velluto di cotone in tinta. Non esistono modelli spe-
anche giallo miele, fulvo o rosso.120 Non si può esclude- cifici per un uso festivo o giornaliero, o per fasce di età;
re che, in qualche parte dell’isola, già all’epoca, alcuni è la condizione del capo a segnare la differenza; si può
esemplari fossero confezionati in panno di lana, come è però notare che, laddove il calzone a gonnellino è di
accertato per il periodo successivo. È certo invece che in foggia molto corta, gli anziani ne indossano di più lun-
tutta la Sardegna centrale il panno non è mai utilizzato ghi: uno stile più modesto, dunque, paragonabile a
per la confezione dei calzoni e l’orbace mantiene il suo quanto accade anche per i pantaloni moderni. Alcuni
primato fino alla scomparsa dell’abito tradizionale. Venia- esemplari festivi campidanesi mostrano tasche bordate
mo dunque al periodo compreso tra la fine dell’Ottocen- con velluto in tinta contrastante e profili in cordoncino
to e il primo ventennio del Novecento quando, anche a o soutache, mentre quelli da lutto sono rigorosamente
seguito del primo conflitto mondiale, i giovani smettono neri. Le cuciture risultano realizzate a mano o a macchi-
completamente l’insieme tradizionale o sostituiscono i na, con ricami e rifiniture comunque realizzati a mano;
calzoni a gonnellino con quelli a tubo, di foggia moder- non sono presenti fodere, se non parziali, in corrispon-
na.121 In tutta l’isola il calzone a gonnellino è ampio e la denza dell’orlo inferiore.
lunghezza media arriva sino a mezza coscia. L’orbace o
il panno, vengono arricciati in minute pieghe all’altezza Calzoni
della vita, dove si applica un cinturino in tessuto di varia Confezionati in tela o diagonale di cotone o di lino, qual-
altezza, mentre l’ampiezza della falda ricade in pieghe che volta di sottile orbace o tela di lana, sempre di colore
466
sciolte o fitte plissettature. La parte anteriore presenta bianco, rappresentano, come si è visto, l’indispensabile
una brachetta longitudinale a fessura, con sottile orlo na-
scosto; talvolta la stessa apertura si ripete, perfettamente
simmetrica, anche nella parte posteriore. L’orlo inferiore
è spesso rinforzato con un profilo di tessuto (panno in
tinta o in colore contrastante) che lo tiene leggermente
rialzato; lo stesso profilo è anche applicato alla striscia di
tessuto che unisce al centro i lembi del gonnellino. In al-
cune località del Sassarese l’orbace viene accuratamente
plissettato e lo stesso accade nei capi di Dorgali dove al-
l’interno del bordo inferiore è applicata una striscia di
tessuto policromo. In alcune località dell’interno, a Nuo-
ro, Oliena, Fonni, Bitti, Orgosolo, per citare solo alcuni
esempi, la moda locale vuole gonnellini piuttosto corti e
ben svasati. Per ottenere ciò si inserisce un tessuto o un

465. Calzoni a gonnellino, crazzòni a ròda, Pula, inizio sec. XX


Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
466. Calzoni a gonnellino, ràgas, Tonara, primo decennio sec. XX
467
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
467. Calzoni a gonnellino, ràgas, Meana, primo decennio sec. XX
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
468. U. Martelli, Costume festivo di Nuoro, fine sec. XIX,
litografia a colori.
469. Villagrande, fine sec. XIX, foto d’epoca.
470. Bosa, ante 1905, fotografia di Giovanni Nurchi.
469 470

468
287
471 472

complemento dei calzoni a gonnellino. Il modello ha in genere realizzate a macchina. Alcuni capi festivi in li-
tale diffusione in Europa, presso le classi popolari, che no mostrano semplici ricami in corrispondenza delle
è davvero arduo fare ipotesi sulla sua origine. Quello cuciture laterali lungo le gambe; più spesso la differen-
sardo è realizzato unendo tra loro elementi di tessuto za tra i modelli festivi e quelli giornalieri è data soltanto
di forma rettangolare non sagomati, e presenta varianti dalla scelta di tessuti più sottili per i primi, più pesanti
determinate unicamente dall’ampiezza dell’inserto qua- per i secondi. Non è attestata nessuna variante cromati-
drato cucito all’altezza del cavallo. Tale inserto ha di- ca e anche negli insiemi da lutto il colore chiaro resta
mensioni medie di cm 20 x 20, ma raggiunge anche cm invariato.
40 x 40 negli esemplari più antichi del centro Sardegna.
Per il resto la confezione è piuttosto semplice: tutti gli Calzoni a campana
elementi vengono uniti tra loro con cuciture a costura Spesso confusi con i calzoni a gonnellino molto lunghi,
doppia, la brachetta è formata da una lunga apertura i calzoni a campana (carzònis, crazzònis) costituiscono
longitudinale con piccolo orlo, l’ampiezza del tessuto un modello a sé stante diffuso in prevalenza nel Sulcis
viene raccolta in vita con semplici arricciature o piccole Iglesiente, ma attestato anche in alcune località della
pieghe; lacci o semplici bottoni chiudono in vita l’indu- costa orientale.122 L’influenza iberica è chiarissima, le
mento. La lunghezza è di norma a metà polpaccio sia differenze tra i capi spagnoli e quelli sardi sono deter-
per i calzoni da raccogliere dentro le uose sia per quelli minate solo da piccoli dettagli. Si tratta sempre di cal-
ricadenti sulla gamba. Gli esemplari provenienti dai zoni sagomati, confezionati in pesante orbace o panno
paesi più freddi dell’interno hanno la parte inferiore di lana nero, con la parte superiore piuttosto ampia e
confezionata in pesante tessuto diagonale di cotone, leggermente arricciata in corrispondenza del punto vita,
quella superiore, che rimane coperta dai calzoni a gon- rifinita con cinturino in tessuto di varia altezza. La bra-
nellino, è di tela di cotone più sottile. La cuciture sono chetta è longitudinale con orlo sottile. La lunghezza ol-
trepassa il ginocchio e l’orlo inferiore, negli esemplari
festivi e di gala più recenti, è spesso guarnito di pizzo,
471. Calzoni a gonnellino, crazzòni a ròda, Pula, inizio sec. XIX memoria del fatto che questi calzoni a campana si in-
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. dossassero sopra quelli di tela, descritti in precedenza,
472. Calzoni a gonnellino, frà’a, Orgosolo, prima metà sec. XX il cui orlo sporgeva al di sotto per alcuni centimetri. In
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. prossimità dell’orlo, sul lato esterno della gamba, sono
473. Teulada, 1926 ca., foto d’epoca. talvolta presenti piccoli spacchi. 473

288
476 477

Pantaloni a tubo il La Marmora: «L’abbigliamento dei Sardi


La descrizione che segue prende in considerazione sol- perde qualcosa del suo carattere quando
tanto i modelli di pantalone lungo, indossati con cami- si lascia la classe dei contadini: il primo
cie, gilet, capispalla e copricapo di tipo tradizionale. cambiamento riguarda i carzones. Le per-
Compaiono nell’iconografia del primo Ottocento relati- sone agiate e non titolate che abitano nei
vamente ad alcune località della Sardegna settentrionale paesi e che nell’isola sono chiamati mus-
e meridionale, che più facilmente hanno subito l’influen- sara (messire francese, “messere” italia-
za della moda cittadina. Così scrive a questo proposito no), indossano a volte sul collettu un abi-
to elegante, fatto che mi ricorda lo strano
miscuglio d’abiti che fanno ancora certi
re negri dell’Africa. I nobili del paese
(cavalieri dei villaggi ) si distinguono dai
contadini esclusivamente per i pantaloni
e per un maggior numero di ghiande e
di bottoni sul loro serenicu o cabanu; in
genere usano, come i campagnoli, il ber-
retto. Gli abitanti di città seguono in tut-
to la moda francese o meglio quella del
Continente».123 I pantaloni più antichi ri-
salgono alla seconda metà dell’Ottocento
e non sembrano differenziarsi dai mo-
delli raffigurati nelle tavole a colori del
primo Ottocento.124 La tipologia rimane
quasi inalterata con differenze nella for-
ma delle tasche o nella brachetta che
può essere diritta, con bottoni in vista,
più spesso nascosta in una piega del tes-
suto, oppure a patta anteriore chiusa sui
due lati o solo su uno. I tessuti usati,
conformemente alla moda alla quale si ispirano, sono di bottoni a vista, e tasche verticali con bordo nello stesso
colore piuttosto scuro, in fustagno, panno e altri tipi di tessuto. Le due gambe si restringono considerevolmente
tessuti di lana. In qualche caso lunghi pantaloni a tubo verso l’orlo che è tagliato al vivo. La confezione è accu-
di colore scuro sono utilizzati anche sotto un corto cal- rata nel taglio e nelle cuciture e, in particolare, nell’ap-
zone a gonnellino. Il loro uso, insieme ai capi tradizio- plicazione del cinturino in vita e delle tasche rinforzate
nali, dura fino al secondo dopoguerra, poi, fatte salve le con ponticelli a punto occhiello per evitare strappi.
eccezioni, vengono abbinati a gilet e giacca di foggia
moderna confezionati nello stesso tessuto. Influenze
esterne, ma di antica data, sono anche quelle che hanno
portato all’introduzione dei pantaloni a tubo di colore
rosso tra i pescatori del Cagliaritano, particolarità che già
il La Marmora segnala: «I pescatori dello stagno di Ca- GREMBIULI DA LAVORO
gliari e alcuni marinai dei paraggi, sono i soli, tra la gen-
te del popolo, a portare i calzoni lunghi. Questi sono
sempre color garanza».125 Tali pantaloni devono essere
ritenuti festivi e, nell’uso giornaliero, durante la pesca,
N on si differenziano da quelli usati
ancora oggi, con o senza pettorina. I
materiali variano per le differenti profes-
comunque alternativi ai calzoni bianchi di tela come sioni: sono in gran parte in tela pesante,
quelli indossati sotto i calzoni a gonnellino. Il Museo anche incerata, per mugnai, casari, pesci-
Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma con- vendoli, in cuoio per macellai, fabbri, ma-
serva un raro esemplare di pantaloni di panno rosso ri-
niscalchi. Le informazioni si traggono dal-
salenti alla fine dell’Ottocento. Sono piuttosto ampi nella
parte superiore caratterizzata dall’apertura centrale, con le fonti antiche e dalle testimonianze orali
perché non se ne conserva alcun esempla-
474. Pantaloni a tubo festivi, carzònis, re come accade per tutti gli indumenti da
Cagliari, seconda metà sec. XIX lavoro e di poco pregio che si utilizzano fi-
Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari. 476. Costume di Ploaghe, 1898, litografia a colori, in E. Costa, no alla loro completa distruzione.
Costumi sardi, Cagliari 1913.
475. U. Martelli, Pescatore cagliaritano,
fine sec. XIX, litografia a colori. 474 475 477. Ozieri, seconda metà sec. XIX, foto d’epoca.

290 291
GHETTE E UOSE sulle gambe nude».127 Dalle stesse fonti pare si
deduca la predilezione dei modelli in pelle sotti-

L e ghette o uose sono indispensabile indumento dell’abbi-


gliamento maschile nell’insieme costituito da calzoni a
gonnellino e calzoni di tela, ma possono anche essere indos-
le, anche di daino, per l’estate o comunque
quando si voglia vestire in modo più elegan-
te.128 Sia le càrzas che i burzighìnos sono gam-
sate con pantaloni a tubo. Se ne conoscono modelli a gamba baletti ben sagomati per seguire la linea della
chiusa, da infilare, detti càrzas, e modelli a gamba aperta, caviglia e del polpaccio, dotati di una parte al-
da allacciare o chiudere con bottoni, che vengono chia- lungata che copre parzialmente la tomaia del-
mati burzighìnos. Entrambi possono essere in cuoio o la calzatura e che può essere munita o meno
orbace; in panno sono confezionati solo gli esem- di sottopiede in cuoio. In entrambi i modelli
plari più recenti. L’iconografia relativa a questi sembra essere più comune la lunghezza al gi-
capi è davvero sterminata126 e numerosi sono nocchio o a metà ginocchio, ma non mancano
anche i tipi risalenti alla fine dell’Ottocento e ai esemplari che arrivano alla coscia. La parte
primi del Novecento, soprattutto del modello superiore viene sempre fermata con lacci, na-
in orbace sia a gamba chiusa sia con lacci. stri allacciati o affibbiati che possono essere in
Rarissimi invece gli esemplari in cuoio, vista, anche a scopo ornamentale, o nascosti
noti soprattutto grazie alle fonti: «I borze- sotto la piega superiore della stessa uosa. Qual-
ghinos sono aderenti alla gamba, che esemplare in orbace mostra minuti ricami
spesso aperti e allacciati sul polpaccio, in cordoncino di cotone o di seta lungo le
di cuoio in alcune parti, in altre in fure- cuciture, altri hanno applicazioni di tes-
si nero. Questa calzatura, più comune nel suto, anche in contrasto cromatico, sul
settentrione, si mette in genere sopra le mu- bordo superiore; in altri casi lungo la
tande di tela di cui si è parlato. parte che copre la scarpa è presente
Nel Campidano, al contrario, e nei dintorni della un sottile bordino di panno rosso, 480

capitale, si usano di frequente le carzas, che si pos- nero, o comunque abbinato al colore
sono considerare come delle grandi ghette larghe, del giubbetto o del corpetto. Tutti gli esem-
senza lacci o bottoni, che si infilano come calze, plari, anche quelli cuciti a macchina, pre-
sono fatte di furesi nero e talvolta di cuoio molto sentano molte parti accuratamente rifinite a
sottile finemente pieghettato. Sono allora di una mano. Le fodere, dove presenti, riguardano
notevole eleganza. Le carzas si infilano, di solito, solo la parte interna della soprascarpa e sono
in pesante tessuto di cotone di colore scuro
(rasatello, fustagno, tela spazzina).

478. Uose, borzeghìnos, Cagliari, fine sec. XIX


Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
479. U. Martelli, Costume attuale di Bitti, fine sec. XIX,
litografia a colori.
480. Uose, càrzas, Atzara, inizio sec. XX
481
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
481. Uose, càrzas, Tonara, primo decennio sec. XX
478 Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

292 479
293
CALZATURE

C operte quasi totalmente dalle uose, le calzature sono rappresentate in modo approssimativo nell’icono-
grafia antica, ad eccezione di quelle dotate di grandi fibbie d’argento. Grazie alle fonti orali, alla con-
sultazione di fondi fotografici e all’esame delle raccolte pubbliche e private, prima fra tutte la raccolta del
Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, è possibile affermare che, tra la prima metà del-
l’Ottocento e i primi decenni del Novecento, le calzature più utilizzate sono gli scarponcini allacciati (bottì-
nos, cosìnzos) sia per un uso giornaliero che festivo.
Solo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, ma di rado, compaiono scarpe allacciate (iscàrpas,
iscàrpas de cròmo), più eleganti, da indossare con insiemi festivi e nuziali. Gli scarponcini allacciati sono
quasi sempre in pelle naturale, scurita per l’uso e l’applicazione di grasso; non mancano anche esemplari
più raffinati in pelle nera con tomaia alta, quasi a stivaletto, dotati di elastici ai lati. La gran parte di que-
ste calzature ha la suola in cuoio chiodato con bullette lisce o scanalate, talune di dimensioni davvero rag-
guardevoli, applicate anche sul tacco. Tutti gli scarponcini hanno tacco medio-alto, spesso sagomato e rien-
trante; la tomaia è sempre a punta rialzata e con allacciatura impostata in corrispondenza del collo del
piede. Uno scarponcino proveniente da Fonni presenta tomaia a punta particolarmente affilata con allac-
ciatura profonda e la solita suola con grandi bullette metalliche.
Di estremo interesse sono le scarpe basse, di chiara origine settecentesca, con tacco ridotto, che presentano
lacci e fibbia in lamina d’argento applicata in prossimità della punta. Questa tipologia di scarpa è spesso
rappresentata nelle illustrazioni del primo Ottocento, raffiguranti gli abiti festivi dei macellai e dei pesca-
tori di Cagliari o insiemi vestimentari dei ceti agiati. Un bellissimo paio di scarpe di questo genere comple-
ta l’insieme festivo del pescatore di Cagliari conservato presso il Museo di Roma sopracitato, mentre le sole
fibbie d’argento sono più frequentemente presenti nelle raccolte pubbliche e private.

483

483. Orgosolo, 1956, fotografia di Pablo Volta.


482. Scarpe, buttìnus, Cagliari,
seconda metà sec. XIX 484. Scarpe, bòttes, Orgosolo, fine sec. XIX
Roma, Museo Nazionale delle Arti Roma, Museo Nazionale delle Arti
e Tradizioni Popolari. e Tradizioni Popolari.

482

484

294 295
BIANCHERIA ACCESSORI VARI

D alla trattazione sulla biancheria sono escluse le camicie che vengono descritte come capo
esterno; per il resto il corredo minimo è costituito da maglie e mutande, rarissime nelle
raccolte pubbliche e private, data anche la diffusione relativamente recente di questo tipo di in-
I gioielli maschili definiti come ornamenti della persona sono meno numerosi di quelli femminili
e restano comunque fuori dalla presente trattazione tesa a esaminare, anche se brevemente, so-
lo gli accessori propri dell’abbigliamento che hanno importanza pari, se non maggiore, a quelli
dumenti, entrati in uso diffusamente solo a partire dalla prima metà del Novecento. femminili come risulta dallo studio delle fonti.131 I bottoni gemelli (buttònes) in lamina e filigrana
d’argento o d’oro, da usare con le camicie, sono diffusi in tutta l’isola e spesso vengono utilizzati
in doppia coppia per fermare i colli delle camicie festive e nuziali. Bottoni simili, dotati di catenelle
Maglie intime prattutto in ambiti agiati tra la fine dell’Ottocento e i pri- o barrette di sospensione, sono anche impiegati per chiudere l’apertura delle maniche di giubbetti o
Non si conosce nessun tipo di maglia intima di produ- mi del Novecento o comunque usato più frequentemen- vengono posti in una o due file sulla
zione artigianale o domestica; nel passato, infatti, la te da persone anziane. I modelli descritti, lunghi fino ai parte anteriore di giubbetti e corpet-
consuetudine di sovrapporre più indumenti per proteg- piedi, sono confezionati in pesante tela di cotone, anche ti. Ganci, fermagli e catene in lami-
gere e isolare il corpo era tale da renderne superfluo felpato, con o senza carré con abbottonatura centrale, na e filigrana d’argento (gancèras,
l’utilizzo. In tutti i casi solo a partire dalla fine dell’Otto- manica ampia, lunga, completa di polsino. Per il perio- cancèras), talvolta con pietre e vetri
cento sembra venissero utilizzate maglie intime in fla- do precedente si può supporre che la sua diffusione policromi, sono poi utilizzate per
nella o maglia di lana o cotone a manica lunga. L’unico fosse ancor più ristretta o del tutto sconosciuta tra le
chiudere la parte anteriore di giac-
modello conosciuto (màllia, franèlla, flanèlla), ricorda- classi più povere.
to dalle numerose testimonianze raccolte durante le ri-
che, cappotti, sia lunghi sia corti, e
cerche sul campo, è di colore bianco o beige, a manica Calze e pezze da piedi per ornare il colléttu.
lunga, a girocollo aperto, nella parte anteriore, con tre Le fonti iconografiche più antiche non sono di grande La presenza di tasche, nei calzoni a
o quattro bottoncini. aiuto per quanto riguarda questi indumenti, per la de- gonnellino e nei capispalla, rende
scrizione dei quali si deve piuttosto ricorrere a fonti meno necessario l’uso delle tasche
Mutande scritte e alla memoria di quanti, nel corso delle ricerche staccate (buzzàccas, busciàccas, buc-
Indumenti poco descritti dalle fonti e rarissimi nelle rac- sul campo, hanno potuto darne testimonianza. Nessun ciàccas) tipiche del vestiario femmi-
colte museali e private, sono senz’altro diffusi sul finire dubbio, perciò, sulla loro diffusione, con le differenze nile. Scarselle in cuoio, sospese alla
dell’Ottocento. Gli unici esemplari di mutande risalenti già rilevate tra le varie classi sociali, anche se rarissimi cintura, con la funzione di portapol-
con certezza al primo Novecento che si siano potuti esa- sono i capi anteriori agli anni Trenta del Novecento vere o portamonete, sono descritte
minare, sono conservate al Museo Nazionale delle Arti e conservati nelle raccolte pubbliche e private. È possibile
con una certa frequenza nell’icono-
Tradizioni Popolari di Roma nell’insieme maschile di che le calze siano state precedute dalle pezze da piedi
Fonni. Sono mutande lunghe confezionate in pesante co- (pèzz’’e pèi) delle quali si è poi rinnovato l’uso dopo il
grafia del primo Ottocento.132 Poco si
tone felpato di colore bianco, sagomate sulla gamba, primo conflitto mondiale. Per quanto le fonti dicano che conosce dei borsellini o portamonete
chiuse alla caviglia con due lacci. Le cuciture sono realiz- «le carzas si infilano, di solito, sulle gambe nude»,129 da tasca dei quali si conserva qual-
zate a macchina a costura semplice. Incerta è invece la non significa che il piede non fosse comunque protetto che esemplare in tessuto ricamato,
definizione di un secondo indumento proveniente da con pezze da piedi o con calze basse, ipotesi non chia- risalente al 1920, e alcuni modelli in
Bitti e conservato nello stesso Museo. Si tratta infatti di rita neppure dalle denominazioni più diffuse, mìzas, pelle impressa.
calzoni in grosso orbace bianco, a gamba diritta e lun- mìggias, peùncus, piùncos, riferite sia a calze basse che I fazzoletti da naso entrano nell’uso
ghezza al ginocchio, che, probabilmente, venivano in- a calzettoni. La produzione artigianale di calze non sem- comune tra la fine dell’Ottocento e i
dossati nella stagione invernale sotto i calzoni di tela, co- bra avere caratteristiche particolari, infatti, salvo l’uso di primi del Novecento e sono rara-
munque sovrapposti ad una mutanda vera e propria in filati di cotone o lino per gli esemplari festivi e di lana mente documentati nelle raccolte
un tessuto più adatto a stare a contatto con la pelle. sarda non tinta per tutti gli altri, i modelli sono a mezza pubbliche perché oggetti piuttosto co-
Dopo la prima guerra mondiale, le mutande (mudàn- gamba, lavorati con giro di ferri a maglia rasata nel pie-
das) diventano d’uso comune e si diffondono in tutta
muni, in tela di cotone di vario pre-
de e a coste sulla gamba.130 È invece interessante la
l’isola i modelli in maglia di lana o di cotone, flanella o continuità della produzione fino a tutti gli anni Sessanta gio e colore, talvolta cifrati su un
tela di cotone, lunghi fino alla caviglia; le forme sono del Novecento, a cui contribuisce anche la ripresa forza- angolo.
sagomate, di tipo moderno, con chiusura anteriore a ta dovuta alle ristrettezze economiche durante il secon-
bottoni o a semplice fessura; in questo secondo caso do conflitto mondiale; ciò ha portato ad una vitalità nel-
vengono chiuse in vita con una coppia di lacci. la produzione e nell’uso di questo genere di calze,
485. Giovanni Marghinotti,
soprattutto all’interno delle comunità a forte vocazione Miliziano di Cagliari o Rigattiere, 1842 ca.,
Camicie da notte pastorale dove, anche in insiemi non tradizionali, si è Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. 485

Solo le fonti orali danno testimonianza di questo capo continuato a utilizzare scarponi di pelle anch’essi di
di abbigliamento, chiamato camìsa ’e nòtte, diffuso so- confezione artigianale, eredi dei modelli ottocenteschi.

296 297
L’abbigliamento
infantile

486
«Custu pizzinneddu non porta manteddu, nemmancu 486. Abito infantile festivo e di gala, Nuoro, inizio sec. XX
curittu, in dies de frittu non narat titia» (“Questo bambi- Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna.
nello non indossa fasce, né camicina, non si lamenta nel- 487-488. Copertine da neonato, mantèddos, Ollolai, inizio sec. XX
le giornate più fredde”). Con questi versi di un canto na- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
talizio, noto e diffuso mediante numerose varianti in tutta 489. Giuseppe Biasi, Battesimo a Nule, fine anni Dieci-inizio
la Sardegna, può avere inizio una breve analisi dell’abbi- anni Venti, tempera e pastello su carta.
gliamento infantile nella Sardegna tradizionale in un pe- 490-491. Completo da Battesimo, Capoterra, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
riodo di tempo compreso tra la prima metà dell’Ottocen-
to e gli anni Cinquanta del Novecento. Mantéddu e
corìttu dunque, corredo minimo necessario per vestire il
Bambino Gesù, al quale il canto fa riferimento, ma anche
corredo minimo di ogni altro neonato sardo. Mantéddu è
il termine con il quale si indica la copertina o piccolo
manto per il neonato, mantèddos sono anche dette le fa-
sce da cui è avvolto il corpo dei lattanti, altrimenti deno-
minate fàscas o zimùssas, termini che nel Sulcis indicano

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492. Abitino da passeggio e da visita, istiréddu ’ónu, Benetutti, 1926
Benetutti, coll. privata.
493. Abitino da passeggio e da visita, Capoterra, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
494-497. Cuffiette, Capoterra, prima metà sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
498. Abito da Battesimo, Berchidda, 1871 ca.
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
L’abitino, mai utilizzato, reca, lungo il bordo inferiore,
l’etichetta con la scritta: “Firenze, 1871”.
499. Nuoro, fine sec. XIX, foto d’epoca.

attività lavorativa. La fasciatura d’altra parte, modellando


artificialmente il corpo del bambino consente di omolo-
garne l’aspetto a determinati valori ideali ed estetici,
adornandolo secondo la tradizione e la classe sociale di
appartenenza. È indubbio che liberare il bambino dalla
stretta fasciatura consenta la possibilità di vivere i primi
momenti dell’infanzia in modo sicuramente più ricco se
si pensa soltanto agli stimoli derivanti dall’essere più fa-
cilmente accarezzato e coccolato, dall’entrare, insomma,
in un più stretto rapporto fisico con i genitori o con chi
lo accudisce. Bisognerà attendere il pieno Novecento
perché questo avvenga. Con tempi e modalità differenti
da zona a zona, alla fasciatura completa succede quella
parziale che riguarda il tronco, avvolgendo l’addome e
sostenendo la schiena. La parte superiore del corpo vie-
ne ricoperta con camiciole e coprifasce, quella inferiore
con panni stratificati e con sacchetti allacciati mediante
lunghi nastri. Si utilizzano anche vestine, la cui lunghez-
za supera di gran lunga l’altezza del bambino, confezio-
492 493 498 nate con materiali più o meno pregiati in relazione al
anche la fascia di tessuto, una sorta di marsupio, nella differenti, ed ha attraversato indenne i diversi momenti
quale le donne portavano i neonati.133 Corìttu, vocabolo storici per arrivare fino a tempi a noi prossimi. Proprio
anche questo ampiamente diffuso nell’isola per i capi la straordinaria diffusione di questa consuetudine ha at-
destinati agli adulti, indica, per l’abbigliamento infantile, tratto l’attenzione di numerosi studiosi che hanno pro-
una camicina, con o senza maniche, confezionata con posto le più varie spiegazioni. Motivazioni pratiche o
tessuti leggeri di cotone o di lana; lo stesso termine vale funzionali alla sopravvivenza dei bambini e simboliche
anche per definire un corpetto realizzato in panno di la- o magico-rituali sono state più volte messe in relazione
na variopinto, destinato a bambini un po’ più grandi, e tra loro, nel tentativo di dare una credibile spiegazione
per il quale sono note nell’isola diverse denominazioni di questa usanza. Per quanto riguarda le motivazioni
495 affini a quelle dei capi per adulti: cropéttu, cropìttu, còs- funzionali, queste erano determinate dalla necessità di
494
so e solopàttu. offrire protezione dal freddo, contenimento delle mem-
Tornando ai lattanti è corretto affermare che la pratica bra per permettere uno sviluppo armonico degli arti, un
della fasciatura doveva essere ampiamente diffusa. Va- controllo alle intemperanze del neonato, si badava a
lery, infatti, in un passo del Viaggio in Sardegna pubbli- non sollecitare il suo istinto, non permettendogli, ad
cato nel 1837, scrive: «Tra gli usi e i costumi del popolo esempio, la pratica del gattonare. Non trascurabile è an-
applicati ai neonati alcuni sembrano risalire agli antichi: i che la considerazione che la fasciatura protratta nel tem-
bambini vengono ancora cosparsi di vino, di sale, avvolti po sia stata anche un espediente per consentire alla ma-
nelle bende e non per questo sembrano poi stare tanto dre di dedicarsi con maggiore libertà ai lavori quotidiani
male». Lo stesso autore annota anche: «Un celebre ostetri- ai quali era richiamata dopo la breve pausa post partum
co parigino, Alphonse Leroy, ha anche lui raccomandato tanto più limitata quanto meno fortunate erano le sue
di incipriare i neonati con sale e di frizionarli con vi- condizioni economiche. Tale espediente si sarebbe poi
no».134 È noto che l’uso di fasciare i bambini non è natu- trasformato in una vera e propria pratica di puericultura
496 497
ralmente esclusivo dell’isola, ma è diffuso in tutto il mon- applicata anche in ambiti familiari agiati dove le madri
do, in paesi distanti geograficamente e culturalmente venivano comunque risparmiate da qualunque tipo di 499

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momento di utilizzazione. Per le occasioni che presup- nate in raso, taffettà e gros di seta che seguono i modelli
pongono una visibilità pubblica anche il neonato ed “alla moda” sia nel taglio con corpino corto e gonna lun-
eventualmente la sua balia devono confermare la posizio- ghissima, sia nelle applicazioni di pizzi a mano o mecca-
ne sociale della famiglia mediante una dotazione vesti- nici, di soutache o nei ricami realizzati soprattutto a pun-
mentaria adeguata. Le riviste di moda per signore, che fin to inglese, erba e pieno. Talvolta questi abitini sono
dalla seconda metà dell’Ottocento dedicano alcuni settori completati da copertina e cuscino coordinati. Superata
all’abbigliamento infantile, l’attività delle balie e l’uso di più o meno facilmente questa fase critica della loro esi-
passare gli abiti smessi alla servitù, contribuiscono alla stenza i bimbi vestono in modo più comodo in una
graduale diffusione di modelli che influiranno in maniera gamma di varianti coerenti con la foggia locale degli abi-
determinante sulla produzione vestimentaria infantile e fi- ti per adulti, adeguate al ceto sociale della famiglia. Dalla
niranno per sostituire del tutto le fogge tradizionali. fonti scritte e iconografiche si deduce che nel periodo
Fin dai primi giorni di vita la testa del piccolo viene co- compreso tra la prima metà dell’Ottocento e gli anni
perta con cuffie modellate di vario genere, in panno, tela Trenta del Novecento i bambini, dopo il primo anno di
di lino e cotone, raso o taffettà di seta, chiamate carètta, vita e fino all’età di tre o quattro anni, indossano abiti
cambùssu, iscòffia. Spesso consistono in esemplari mol- che possono essere ricondotti a due grandi gruppi.
to elaborati e dai cromatismi accesi, ornati di ricami poli- Abitini con breve carré e gonna a pieghe o arricciature,
cromi, passamanerie e frange in uno stile coerente con modello indifferenziato per entrambi i sessi e di lun-
quello dell’insieme vestimentario tradizionale degli adul- ghezza variabile, talvolta eccessiva; a ciò fa riferimento
ti, in altri casi si tratta di modelli più comuni e non di- il termine incoeddàdu, usato in area logudorese per in-
stinguibili rispetto a quanto comunemente usato a livello dicare il bambino che, così vestito, è impacciato nei mo-
popolare. Un capitolo a sé stante meritano gli abitini da vimenti proprio per l’eccessiva lunghezza dell’abito che
battesimo. Fin dalla seconda metà dell’Ottocento inizia a può formare una sorta di strascico (coèdda).135 Questi
scomparire l’uso degli insiemi tradizionali caratterizzati abitini hanno varie denominazioni, le più comuni sono:
da colori squillanti, soprattutto per le copertine in panno
rosso bordate con nastri colorati, e si attesta gradualmen- 500. Abitino, istiréddu, Bitti, inizio sec. XX
te l’impiego dei lunghi abiti bianchi comuni, anche fuori Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 504
dall’isola, in area italiana ed europea. 501-502. Camicine, camisèddas, Capoterra, prima metà sec. XX
Gli insiemi tradizionali sono raramente conservati e si Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
deve ricorrere alle fonti iconografiche e alla ricerca sul 503. Giacchino coprifasce, corìttu, Bitti, seconda metà sec. XIX
campo per averne una migliore conoscenza. Nelle rac- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
colte pubbliche e private è invece presente una grande 504. Gonnellina, mantéddu puzzonàdu, Bitti, fine sec. XIX
varietà di cuffiette e vestine battesimali lunghe, confezio- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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istiréddu, èste, bèste, estèdda ecc.; più raro il termine Più interessanti sono gli insiemi vestimentari maggior- adulti. Si tratta ovviamente di schematizzazioni utili per
cavardìna usato nel Goceano e in una vasta parte del mente complessi di chiara impronta locale adatti a bimbi un approccio generale con l’argomento, ma che posso-
Logudoro, per definire un abito di tela per ragazzi ricon- molto piccoli, ma realizzati con tessuti, taglio e ornamen- no essere soggette a notevoli revisioni quando si analiz-
ducibile all’antico termine italiano “gavardina” che è un tazioni che sono rappresentativi e distintivi del gruppo zano in dettaglio gli usi propri delle diverse comunità.
tipo di veste da casa. Questi abiti sono confezionati con culturale che li ha prodotti. L’abito di una bambina di Tra i cinque e gli undici anni, dunque, maschietti e fem-
505. Camicia, camìsa, Bitti, inizio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
i tessuti più disparati, anche in funzione della stagione, Ollolai di due anni è perciò assolutamente distinguibile minucce indossano abiti molto simili a quelli dei loro
e non presentano particolari segni distintivi che consen- da quello delle coetanee di Bitti o Desulo. genitori, con le gradualità di pregio che le condizioni
506. Camicia, provenienza sconosciuta, inizio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. tano di ricondurli ad un preciso luogo della Sardegna Questi abiti vengono indossati per un lasso di tempo sociali consentono, e con qualche differenza anche per
senza altri dati di contesto, e precorrono, in un certo abbastanza breve prima del passaggio alla fase successi- l’uso festivo o giornaliero non tanto nel modello quanto
507-508. Camicia e gonnellina, ’amìsa e vestèdda,
Ollolai, inizio sec. XX senso, l’omologazione dei modelli infantili usati dopo i va, compresa tra i cinque e gli undici anni, per la quale nell’ornamentazione e nelle condizioni di usura dell’abi-
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. primi decenni del XX secolo. si ricorre a varianti semplificate dell’abbigliamento degli to stesso. La documentazione sull’abbigliamento infantile

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per questa fascia di età non è vasta, né lo sono i capi differiscono dai modelli giornalieri delle donne adulte;
d’epoca arrivati sino a noi, destinati, infatti, a passare dove le condizioni climatiche lo consentono si utilizzano
di fratello in fratello fino alla loro distruzione. Si rin- zoccoli di legno o si va del tutto scalze.
tracciano però notizie interessanti anche attraverso L’abbigliamento dei maschietti di pari età è anch’esso
fonti inaspettate: nel mese di maggio del 1911 morì una versione semplificata di quello degli adulti, compo-
improvvisamente ad Orosei una bimba di cinque sto da calzoni e camicia di tela di cotone o lino con o
anni; una lettera anonima accusò il patrigno di aver senza l’uso del calzone a gonnellino di orbace. L’insieme
causato la morte della piccola per avvelena- di base è ovunque costituito dai calzoni di tela bianca e
mento mentre la moglie, all’alba, lavava i dalla camicia di tela sulla quale può essere sovrapposto
panni al fiume. Ne derivò un procedimento un corpetto o un giubbetto; in questo caso le calzature
penale al termine del quale il patrigno ri- sono spesso assenti. I bambini più grandetti o i figli dei
sultò essere innocente. Lo studio degli atti possidenti completano l’insieme con gonnellino di orba-
processuali si è rivelato prezioso per la pre- ce, cintura e uose e, in questo caso, indossano sempre
cisa descrizione dell’abbigliamento della scarponcini di pelle con suola chiodata. I copricapo so-
piccola. Fu infatti ordinata l’esumazione della no simili a quelli degli adulti sia nei modelli a sacco sia
salma, ma essendo stato esumato per errore il nelle fogge basse rotondeggianti. Per qualità e originalità
cadavere di un’altra bimba, morta nello stesso spiccano i modelli detti zizzìa o giggìa con i relativi di-
periodo, fu chiesto alla madre della piccola di minutivi zizziéddu o cicciéddu; si tratta di berretti bassi,
riferire dettagliatamente sugli indumenti che sua rotondi, confezionati in panno di lana, velluti di cotone e
511
figlia indossava al momento del decesso e dell’inu- seta, decorati con ricami, applicazioni di vetrini e lustrini,
mazione, proprio per fugare ogni dubbio sul rico-
noscimento del corpo. Nella dolorosa deposizione
della madre troviamo pertanto sia la descrizione del-
l’abbigliamento giornaliero generalmente usato da
tutte le coetanee del paese, sia degli abiti che costitui-
scono l’insieme tipico dell’abbigliamento festivo. La
madre informa anche della qualità e dello stato di con-
servazione dei vari indumenti e precisa che alcuni capi
509
e i gioielli furono rimossi prima dell’inumazione.136

Si può dunque affermare che, nella gran parte dei


casi, l’abbigliamento delle bambine compren-
deva capi analoghi a quelli delle giovani
donne realizzati con tessuti più modesti e
con scarso ricorso a ricami e altre orna-
mentazioni. L’impiego dell’orbace per le
gonne infantili scompare rapidamente
sostituito dalle indiane, più a lungo però
resiste nelle zone montane. L’insieme
costituito da corpetto e camicia bianca è
comune ancora nel primo ventennio del
Novecento quando inizia ad essere sosti-
tuito dalla camicia o blusa di cotone a
piccoli decori, tagliata nei modelli alla mo-
da. Le calzature, che sono assai costose, non

509. Corpetto festivo, solopàttu, Bitti, inizio sec. XX


Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni
Popolari Sarde.
510. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta,
prima metà sec. XX, Sassari, coll. privata.
511. Corpetto festivo e di gala, pàla a sùpra,
Nuoro, inizio sec. XX, Nuoro, coll. privata.
512. Gonna festiva e di gala, tùnica, 512
Nuoro, prima metà sec. XX, Nuoro, coll. privata.

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bambini più piccoli portano sulle vestine dei bottoni o femminucce. Molti sono i casi in cui lo stato di indigenza
dei nastri neri; quelli più grandi indossano abiti neri o di gran parte delle famiglie non permette di osservare
scuri per un periodo di tempo che varia dai sei mesi ad queste regole se non ricorrendo alla carità di vicini di ca-
alcuni anni; la prescrizione del nero riguarda soprattutto sa e parenti; in mancanza di questi aiuti i bimbi conti-
le bambine, mentre per i bambini è sufficiente l’uso di nuano ad indossare i loro abiti giornalieri, spesso mal-
abiti scuri. Seguire le prescrizioni vestimentarie per il lut- conci, che nello stato di usura, piuttosto che nel colore,
to costituisce un impegno economico rilevante: è pertan- mostrano il segno della loro dolorosa condizione di orfa-
to naturale che la pratica più diffusa sia quella di tingere ni. Lo stato di mezzo lutto o di lutto leggero interessa so-
di nero gli abiti solitamente usati, ottenendo spesso colo- prattutto le bambine che, in caso di morte di fratelli,
ri scuri, ma non il nero assoluto, o di riciclare indumenti nonni o zii, aggiungono all’abito giornaliero un fazzolet-
neri da adulto. Al lutto stretto segue almeno un anno di to scuro, mentre i maschietti portano una fascia di tessu-
lutto intermedio o mezzo lutto segnato da abiti dalle tin- to nero o bruno sul braccio o su uno degli indumenti
te sobrie e dall’uso di un fazzoletto giallo o nero per le che coprono il tronco.

513. Luciano Baldassarre, Ortolana sassarese, 1841, canutiglia, talvolta ornati anche con nappe e cordoncini
litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841;
Cagliari, coll. Piloni.
o semplicemente percorsi da impunture policrome;
questa foggia è comune a tutta l’isola, ma gli esemplari
514. Ottana, inizio sec. XX, foto d’epoca.
conservati provengono soprattutto dalla Sardegna cen-
515. Bitti, inizio sec. XX, foto d’epoca. trale e da Bitti anche se le fonti iconografiche, fotografi-
516. Nuoro, fine sec. XIX, fotografia di Antonio Ballero. che e orali ne documentano un uso molto più esteso.
Le due ragazze indossano l’abito di Oliena. Anche per i maschietti, dopo gli anni Venti del Nove-
517. Desulo, 1955, fotografia di Mario De Biasi. cento si assiste alla graduale introduzione di calzoncini,
camicie e copricapo di foggia moderna, che finiranno
per soppiantare l’insieme appena descritto.
La quotidianità e la festa prevedono una qualità vesti-
mentaria differenziata anche per l’abbigliamento infanti-
le; è stato già detto che il primo requisito dell’abito festi-
vo è quello di essere in buono stato e non sembri cosa
da poco in una società nella quale procurare anche una
minima dotazione vestimentaria per tutta la famiglia ri-
chiede una attenta gestione delle risorse e frequentissi-
mo è l’adattamento di capi smessi. La biancheria intima è
generalmente inesistente o ridotta all’essenziale ad ecce-
zione delle sottogonne, dei copribusto, delle sottovestine
e delle maglie intime che non differiscono da quelle de-
gli adulti. Le sole fonti orali testimoniano l’uso diffuso
delle mutande, per le bambine, a partire dal primo No-
vecento, con le solite eccezioni per le classi disagiate o
per comunità particolarmente conservative; al contrario
nelle famiglie agiate, soprattutto cittadine e di estrazione
borghese, il corredo intimo deve ritenersi assai più con-
sistente. Per i maschietti vale la stessa osservazione, an-
che considerato che i calzoni di tela dell’insieme tradi-
zionale fungevano al contempo da capo intimo e che
solo con l’introduzione dei calzoni di foggia moderna si
diffonde l’uso delle mutande. La condizione di lutto inte-
516 ressa anche i bambini. In caso di morte dei genitori i 517

310 311
Note

519

1. Il dibattito sul termine “costume” è in atto lucchese, l’uso delle bende par che sia ricor- 22. Sono di dimensioni notevolmente più
518 da diversi anni sia in ambito regionale che na- dato soltanto per indicare il passaggio dall’in- grandi dei precedenti; le dimensioni del lato
zionale. Non è possibile rappresentare in nota fanzia all’età adulta, là dove è scritto … “femi- variano da cm 83 a cm 160, ma i più comuni
i contributi dei numerosi studiosi per i quali si na è nata, e non porta ancor benda” (Dante, sono quelli con misure medie di cm 120 circa,
518. Cuffia festiva, carètta, Bitti, inizio sec. XX rimanda, pertanto, alla bibliografia generale di Purgatorio, XXIV, 43)». per lato.
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni questo volume. 13. Il giallo è il colore riservato ai copricapo da 23. La gran parte degli scialli in tibet vengono
Popolari Sarde. 2. G. Deledda 1972, pp. 103-104. Vedi anche lutto il cui uso è attestato, almeno fino al primo importati dalla Toscana, dalla Lombardia e dal
E. Delitala 1964. decennio del Novecento, in gran parte della Veneto dove sono diffusi a livello popolare, so-
519. Copricapo festivo maschile, ciccìa, Bitti, 3. M. Carosso 1984. Sardegna e in particolare a Busachi, Nuoro, prattutto a Venezia, fin dalla seconda metà del-
inizio sec. XX Mamoiada, Sorgono e Meana, per citare solo l’Ottocento. La diffusione in Sardegna, dove si
4. E. Vittorini 1952. utilizzano come copricapo soprattutto nella ver-
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni qualche esempio. Ciò conferma la regola, dif-
Popolari Sarde. 5. F. Alziator 1963, Luzzietti, tavv. 21, 39. fusa ampiamente in area europea, di riservare sione ricamata, aumenta sensibilmente dopo gli
6. F. Alziator 1963, Luzzietti, tavv. 21-22, 40. questo colore agli “esclusi”: musulmani, ebrei, anni Venti del Novecento quando se ne intensi-
520. Cappottino festivo, cappottéddu, prostitute, boia, vagabondi, segnalando la loro fica la produzione e il loro prezzo di mercato li
Nuoro, 1924 7. Nicola Tiole 1990, tavv. 87-88.
diversità con un nastro, un simbolo o un indu- rende evidentemente accessibili ad una larga
Nuoro, Museo della Vita e delle 8. Un vivo ringraziamento per la cortese colla- mento obbligatoriamente giallo. Il giallo viene utenza. La variante in tinta unita di tibet di
Tradizioni Popolari Sarde. borazione va al personale del Museo Naziona- caricato di significati negativi a partire dal Me- grandi dimensioni (cm 180x180) e quella di la-
le delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma e a dioevo e non è da escludere che, proprio da na bouclé con frange tubolari diventerà capo
quello del Museo della Vita e delle Tradizioni un passato così lontano, provenga l’uso di que- caratterizzante dell’abbigliamento popolare di
Popolari Sarde di Nuoro. Non potendo farlo sto colore per il copricapo femminile da lutto; “transizione” costituito da fazzoletto di tibet,
singolarmente si ringraziano tutti coloro che, la condizione di lutto comporta infatti un tale scialle, blusa, gonna lunga e grembiule.
nel corso delle ricerche sul campo, hanno ge- numero di restrizioni e proibizioni che, a ben
nerosamente offerto informazioni e suggeri- 24. Le dimensioni medie sono di cm 150x150
guardare, fanno della donna, e della vedova in nelle forme quadrate, cm 100x120 in quelle
menti; importanti momenti di approfondi- particolare, una sorta di reietta. Se si considera
mento e riflessione sono anche derivati rettangolari.
che la produzione serica è già affermata ad Or- 25. È costituito da un elemento trapezoidale
dall’incontro con appassionati e stu-
gosolo nella seconda metà del XVIII secolo e con lato maggiore di circa cm 185, minore di
diosi locali nell’ambito delle attività
che da sempre si allevano esclusivamente ba- cm 73 e lati obliqui di cm 137 ciascuno. Lungo
svolte dall’autrice presso l’Istituto
Superiore Regionale Etnografico chi a bozzolo giallo, è possibile ipotizzare che il lato breve è unito ad un altro elemento di
di Nuoro. il colore del copricapo femminile giornaliero e forma rettangolare di cm 73x96; questo ele-
di gala fosse in origine di colore giallo pallido mento è fatto in tessuto doppio. Lungo i lati
9. Cfr. la vasta iconografia relati- dovuto al colore naturale del filato. Nel tempo,
va alla prima metà dell’Otto- obliqui del trapezio e nel punto di unione con
ormai persa la memoria del simbolismo negati- il telo rettangolare sono applicate, a distanza
cento: A. della Marmora 1826; vo del giallo, al pari di altre modifiche introdot-
F. Alziator 1963, Cominotti; regolare, 44 anelline in metallo o asole a pon-
te nel vestiario, anche il copricapo può aver te. Attraverso tali anelle si infila un nastro che
F. Alziator 1963, Luzzietti; subito una sorta di restiling cromatico tramite
Nicola Tiole 1990. Nella arriccia l’indumento e lo fissa al punto vita. La
l’utilizzo dello zafferano col quale si tinge la parte rettangolare doppia ricade sulla parte po-
collezione Piloni di Ca- trama prima della tessitura per ottenere un gial-
gliari sono conservati im- steriore della gonna, quella trapezoidale viene
lo più intenso e dorato. Anche ad Orgosolo il rialzata sulla testa, per questa ragione, lungo il
portanti documenti ico- lutto vedovile prescrive l’uso di bende di seta
nografici del secolo XIX. lato maggiore è presente un alto bordo che dà
tinte di nero ben serrate attorno al volto. più consistenza all’indumento.
10. Il Casu riporta una 14. Per la produzione serica in Sardegna e in
notizia curiosa al lem- 26. P. Casu 2002, lemma cappìtta: Bunneddha
particolare ad Orgosolo vedi G. Carta Manti- a cappitta gonna che si metteva sul capo e
ma carètta, scrive glia, A. Tavera 1992.
infatti: «Siccome an- scendeva sulle spalle e la schiena come uno
ticamente i cadaveri 15. Le dimensioni del lato variano da cm 70 a scialle o un mantello.
si seppellivano col cm 90-100. 27. A. della Marmora 1826; vedi anche A. Usai
capo coperto da 16. I più grandi misurano cm 175x175, la mi- 1977 dove invece il termine suncurinu sta per
una cuffia, si dice sura media è di cm 100 per lato. “giustacuore”.
per ischerzo: ancu 17. “I Mezzari tra oriente e occidente” 1988. 28. Per i modelli tempiesi raffigurati dal Tiole
sias in carètta! possa vedi E. Delitala in Nicola Tiole 1990, pp. 33-34.
avere in testa la cuffia dei de- 18. Le dimensioni del lato arrivano ad un mas-
funti! Forse si vuole anche significare: simo di cm 90 per gli esemplari più antichi, 29. A. della Marmora 1826.
possa essere come i bimbi in cuffietta». P. Ca- mentre in quelli più recenti le dimensioni del 30. Copricapo ornati di fiori e piume, indossati
su 2002. lato si riducono fino a cm 50. in insiemi di gala con casacchini del tutto simili
11. Le bende hanno dimensioni assai variabi- 19. Le dimensioni medie sono di cm 50-60 a quelli sardi, sono usati in Spagna. Per l’uso di
li, comprese tra cm 160 di lunghezza e cm 40 per lato. copricapo piumati di tradizione cinquecente-
di larghezza. 20. È ancora in corso lo studio di copricapo di sca, in ambito popolare, vedi G. Butazzi 1981.
12. R.L. Pisetsky (1964-69, vol. II, p. 122) scri- questa foggia provenienti da Nuoro, Oliena, 31. F. Alziator 1963, Luzzietti.
ve, a proposito dell’uso di questo tipo di co- Fonni, Ollolai e da altre località della Sardegna 32. Così F. Alziator (1961) commenta: «Né la
pricapo: «Ma in Dante stesso, quando il poeta centrale. descrizione dell’Angius né quella del Della
si fa profetare dal rimatore Buonaggiunta de- 21. Le dimensioni di questo tipo di scialle va- Marmora fanno riferimento al copricapo raffi-
gli Orbicciani, il gentile amore di Gentucca riano da cm 83x85 a cm 98x98. gurato nella tavola. Il secondo Autore, tuttavia,

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rappresenta due donne di Sinnai nella tavola za, le vedove di condizione agiata indossano, finire una veste preziosa detta skaramaggivou si sia conservato in Sardegna, per indicare una 99. Le camicie sarde della fine dell’Ottocento 124. Cfr. nota 9.
VI della I e II edizione dell’“Atlante” con copri- alla fine dell’Ottocento, un giubbetto di panno crusoufavntou o scaramangum indossata dal- cuffia sagomata da utilizzarsi in ambito familia- presentano in molti casi ricami raffinatissimi 125. A. della Marmora 1826, Voyage.
capo duro, ma mentre quello di Oristano è a nero con la manica completamente chiusa, l’imperatore e dai dignitari in occasione della re. Dell’esistenza di un copricapo in disuso già anche se poco appariscenti e rifiniture ad ar-
cupola, questo è a cilindro». detto corìttu, che viene associato a tutti i capi nel primo ventennio dell’Ottocento, presumi- chetti a “punto in aria”. Per questo tipo di rifi- 126. Cfr. la bibliografia generale di questo vo-
Santa Pasqua e di altre solenni festività religio- lume.
33. M.L. Wagner 1960-64, lemma kamíṡa. prescritti per l’abito nuziale e di gala confezio- se. Tale indumento poteva essere una lunga bilmente proprio il camàulu, dà notizia il Del- nitura vedi R.L. Pisetzky 1964-69.
nati in nero e con ricami in tinta. Dopo il 1930 tunica di colore variabile a seconda del tipo di la Marmora 1826, Voyage, che così scrive: «Al- 100. Cfr. nota 9. 127. A. della Marmora 1826, Voyage.
34. Per il termine lìnza usato a Nuoro vedi il questo capo sembra completamente in disuso ricorrenza e con bordi ricamati e dorati ed era cuni abitanti del Campidano, vicino a Samassi, 128. «Usano i bonorvesi nel vestire maggior
confronto con il termine linja usato in Alba- e le vedove indossano il modello di giubbetto 101. Riguardo al fatto che il corpetto deve es-
riservato appunto all’imperatore e ai dignitari raccolgono i capelli in una borsa di tela sulla eleganza degli altri del dipartimento. Molti però
nia, Bosnia Erzegovina, Dalmazia e Montene- con la manica aperta, confezionato in nero. sere indossato preferibilmente sotto altri indu-
di corte. Per il clero era prescritto l’uso in oc- quale mettono una specie di calotta di panno; alle brache (sas ragas) sostituiscono i pantaloni
gro per indicare un elemento essenziale del- menti quali giacche, cappotti ecc., si segnala
l’abbigliamento femminile, cioè la camicia 48. A. della Marmora 1826. casione della morte dell’imperatore. Lo stesso ma è un uso che sta per finire e non lo si trova di panno ruvido. Nell’estate vestono gli usatti-
più che tra i vecchi». Vedi anche la descrizione che il nome solopàttu, soropàttu e soropàu,
lunga, munita di lunghe maniche. (“La chemi- 49. Valery 1996. nome veniva anche attribuito ad un abito d’u- ni, o borsacchini di pelle di daino, in vece del-
usato a Bitti, Orune, Lula, Orgosolo, sembra le calze di panno». V. Angius, in G. Casalis
se «Dalmatica» un élément paleochrétien”, in so militare. Vedi E. Manara, “Gli abiti di corte del copricapo di Armungia di V. Angius, in G.
50. Le fonti iconografiche più antiche e i re- derivare dallo spagnolo solopado che significa 1833-56.
Études et documents balkaniques et méditer- dal De Cerimonis di Costantino VII Porfiroge- Casalis 1833-56.
perti d’epoca ne attestano senz’altro l’uso a “nascosto”. Vedi M.L. Wagner 1960-64, lemma
ranéens, p. 31). Lo stesso termine linja è usato nito e i riferimenti ai costumi dei personaggi 80. Vedi F. Orlando 1998, p. 54. e F. Manconi solopáttu. 129. A. della Marmora 1826, Voyage.
Quartu Sant’Elena, Sinnai, Monserrato e Selar- raffigurati sui pannelli musivi del S. Vitale in
nei villaggi calabresi di origine albanese, Vena gius. La diffusione di questa foggia, riservata 1992. 130. L’abito festivo di Iglesias conservato al
Ravenna”, in Aspetti e problemi degli studi sui 102. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 2 (Majuoli).
di Maida e Caraffa per indicare camicie lun- ad una ristretta cerchia di possidenti, sembra 81. Tra i pochi copricapo d’epoca ancora esi- Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popo-
ghe, vedi M. De Fontanés, “Les vêtements tra- tessili antichi (II Convegno C.I.S.S.T., Firenze 103. Le dimensioni variano dai 5 ai 25 cm. lari di Roma comprende anche un paio di cal-
essere documentata anche in altri centri vicini. 1981), a cura di G. Chesne Dauphinè Griffo, stenti si segnala quello conservato al Museo
ditionelles de deux villages de Calabre (prov. Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di 104. Questa tipologia è chiaramente descritta ze in filo di cotone lavorato a maglia rasata.
De Catanzaro) d’origine albanaise, Vena et Ca- 51. Altri elementi dell’insieme di gala teuladi- Edizioni C.I.S.S.T., Firenze 1981. Sulla deno- in Nicola Tiole 1990, tavv. 91, 93, 95.
no, quali la gonna di panno rosso e il grem- minazione di skaramangia data ad abiti di Roma, relativo all’insieme vestimentario del 131. Sulla gioielleria tradizionale in Sardegna
raffa: Essai d’approche historique”, in Per una pescatore di Cagliari. 105. A. della Marmora 1826, Voyage. vedi la bibliografia generale di questo volume.
biule a ventaglio, lo avvicinano al modello ve- corte vedi anche G. Paulis 1983, p. 134.
storia del costume mediterraneo 1994.
stimentario in questione. 64. Nicola Tiole 1990, tav. 5 (Nouveaux Mariés- 82. Cfr. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 2 (Ma- 106. G. Della Maria, “Folklore sardo nel Mu- 132. Molto spesso, inoltre, alla cintura sono
35. G. Deledda 1972. juoli). seo delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma”, appesi acciarini per pietra focaia.
52. Nicola Tiole 1990, tavv. 5, 18, 55, 77; Dalsa- Cap de Cagliari); tav. 8 (Paysanne des environs
36. Le dimensioni variano da cm 2 a cm 5. ni, in Il Buonumore 1878, tav. 6; cfr. anche la de Cagliari); tav. 18 figura a sinistra (Paysan des 83. La berretta rossa rigida usata dai rigattieri in L’Unione Sarda, a. LXIX, n. 285, 30 novem- 133. M.L. Wagner 1960-64, lemma čimússa.
37. Per la diffusione del ricamo vedi P. Pique- fig. 159 a p. 110 di questo volume. environs de Cagliari aux jours de fête); tav. 35 è probabilmente un fez. bre 1957.
134. Valery 1996, p. 149.
reddu 1990, p. 333 sgg. 53. Si tratta di un raro esemplare conservato (Habitans du Campidano de Cagliari); tav. 77 84. Tale foggia, che è assai comune in tutta 107. Per lo studio del cappotto serenìccu vedi
l’importante lavoro di S. Pira 1993. 135. M.L. Wagner 1960-64; P. Casu 2002.
38. Per le caratteristiche del ricamo teuladino presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizio- (sposa con due figure) senza didascalia. F. Al- l’isola e potrebbe risalire ad età rinascimentale,
vedi C. Rapallo 1983. ni Popolari di Roma. ziator 1963, Luzzietti, tavv. 18, 20. è attestata in numerose illustrazioni della prima 108. Queste decorazioni sono presenti anche 136. «Spogliata degli abiti che indossava, consi-
metà dell’Ottocento, vedi F. Alziator 1963, Luz- nel secondo esemplare di serenìccu, non pub- stenti in un grembiulino di filo a fondo grigio
39. Le dimensioni di queste pieghe sono in 54. L’altezza dei polsini varia da cm 7 a cm 10. 65. Si evita di usare ganci o bottoni metallici a piccoli quadrettini di colore scuro e di una
media di cm 1 negli esemplari di Bitti, Dorgali, 55. F. Alziator 1963, Luzzietti. Questo tipo di perché l’operazione di candeggio effettuato zietti, tav. 37 (Uomo di Sassari), tav. 44 (Villa- blicato, e conservato nelle raccolte del Museo
ni d’Osilo). La stessa definizione a cécciu pare Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di maglia di lana bianca orlata ai bordi e all’incol-
Nuoro, Oliena, Orani, Orgosolo; stirature parti- gonna è indossato anche da una figura fem- con la lisciva poteva corrodere il metallo mac- latura, fu rivestita col costumino di Orosei e
colarmente raffinate prevedono anche pieghe minile della tavola Costumi sardi di Agostino chiando il tessuto. derivare dal cencio che è un cappello floscio Roma.
di tessuto morbido simile alla berretta sarda. cioè, conservando la maglia già notata le fu
di cm 0,5, quali quelle in voga a Orosei, Gal- Verani, nella collezione Piloni di Cagliari. 66. Cfr. in Nicola Tiole 1990 le tavole: n. 52 (De- 109. Vedi tavole in Nicola Tiole 1990, F. Alzia- fatta indossare una camicia di lana cabrik, or-
tellì, Irgoli. 56. La larghezza del punto vita è, in media, di sulo); n. 73 (Desulo e Sorgono); n. 76 (Meana) 85. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 15 (Uomini tor 1963, Luzzietti, e di Agostino Verani con- lata di pizzo con margini a linguette, l’orlo ri-
40. A. Bresciani (1850) spiega l’uso di questo cm 90 ed è compresa tra i cm 250 e 280 in e le tavole in A. della Marmora 1826, Atlas. di Bosa) la berretta nera, schiacciata, può es- servate alla collezione Piloni di Cagliari. camato a trapunta con dei ricami a forma di
fazzoletto copriseno con l’esigenza delle ra- corrispondenza dell’orlo inferiore. 67. M.L. Wagner 1960-64, lemma kamíṡa. sere una berretta corta o anche una specie di 110. M.L. Wagner 1960-64, lemma piččinnáu: cuoricini, abbottonata agli occhielli con due
gazze del circondario di Cagliari, che si reca- berretto a tamburello. «camp. “spezia de pannu po fai cappottus”, bottoncini … Inoltre un giustacuore o corpetto
57. Le ampiezze variano da cm 380 a cm 500. 68. M.L. Wagner 1960-64 e P. Casu 2002, lem-
vano in questa città, di nascondere agli occhi 86. Vedi di Raffaele Arui I macellai (metà sec. “fioretto di Spagna e di Napoli” (Porru, App.)». foderato all’interno di stoffa color limone e al-
dei forestieri le forme del seno troppo eviden- 58. A Quartu Sant’Elena e nei paesi vicini il ma cànsciu: In cànsciu in camicia. l’esterno con stoffe di due colori, uno bianca-
XIX), tavola conservata al Museo G.A. Sanna 111. Cfr. nota 9.
ziate dalle camicie senza dover rinunciare ai nome di questo tessuto ha dato il nome ad 69. Alcune fonti hanno riportato la consuetu- di Sassari. stro e l’altro che era giallastro. Il margine ante-
consueti corpetti. Il fazzoletto poteva tra l’altro uno degli insiemi vestimentari detto su bistìri dine della minzione in posizione accovacciata 112. F. Alziator 1963, Luzzietti, alla tav. 47 riore del lato foderato di stoffa color limone,
de abrodàu che sanciva il passaggio dalla fan- o eretta delle donne sarde, continuata, in casi 87. M.L. Wagner 1960-64, lemma čiččía. Il Ca- (Tempiesi).
essere tolto facilmente mentre si rientrava nel su (2002), che pure riporta il termine, lo tradu- cioè interno aveva una orlatura di colore rosso
proprio paese di origine dove l’insieme tradi- ciullezza alla giovinezza. sporadici, fino alla metà degli anni Cinquan- 113. Il mantello è lungo in media cm 300x140. a fiorami e dal lato esterno una orlatura di co-
ta; tali funzioni venivano svolte in pubblico, ce “copricapo, berretto”, senza alcuna descri-
zionale non creava né scalpore, né imbarazzo. 59. La larghezza del pannello anteriore corri- 114. A. della Marmora 1826, Voyage. lore celeste leggermente fiorata. L’orlatura infe-
senza spostare alcun capo di abbigliamento a zione. Il Wagner li descrive come berrettini riore del corpetto era di stoffa (di seta), di co-
Vera o no questa esigenza sembra comunque sponde all’altezza del telo d’orbace, vale a di-
conferma del fatto che le mutande non erano rotondi di panno, di fustagno o di orbace sen- 115. V. Angius, in G. Casalis 1833-56. lore rosa e pieghettata … Le due alette del
essere confermata dall’iconografia e l’inizio di re cm 50-60.
capi del tutto comuni neppure in quegli anni. za ala né visiera, senza dare alcuna informa- 116. Cfr. le tavole Costumi sardi e Tempio di corpetto erano tenute assieme da un nastro
questo uso non pare essere anteriore alla se- 60. «Un pittoresco uso delle donne nuoresi è il
conda metà dell’Ottocento. zione sul loro uso se non che il diminutivo in- Agostino Verani conservate alla collezione Pilo- pure di colore rosa … Inoltre una sottanina di
rigettarsi la tunica sulle spalle (“a tunica ghet- 70. Valery 1996, p. 204. dica il berrettino dei ragazzini.
41. Per lo studio dei busti rigidi vedi lo studio tada in coddos”). Ed ecco come: dopo averla ni di Cagliari. Simile a questa foggia anche tela bianca, liscia e allacciata in vita con un le-
71. Sulla gioielleria tradizionale in Sardegna 88. Vedi la tav. 27 (Uomini del Marghine) in quella raffigurata alla tav. 37 in F. Alziator 1963, gaccio di cotone, ed una gonnellina fondo blu
di G.M. Demartis 1998. indossata si piglia per i lembi del davanti e si vedi la bibliografia generale.
rigetta prima su una spalla e poi sull’altra in F. Alziator 1963, Luzzietti. Luzzietti. chiaro con delle righe parallele longitudinali
42. Così l’Angius descrive l’abito di Bitti: «Sopra 72. Vedi il ritratto di Maria Piras, e i giubbetti disposte a coppia, una scura e l’altra giallastra,
il giubboncino di scarlatto (su corìthu) hanno modo che la tunica copre tutto il davanti della 89. Ancora nel primo Novecento i laboratori 117. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 10.
persona e ricade dietro descrivendo un V, col raffigurati nelle tavole n. 14, 31, 35 in F. Alzia- tunisini alimentavano il commercio di questi senza calze né scarpe. In testa le fu messo un
la pala che consta di spalliera, e di antipetto, e tor 1963, Luzzietti, e in quelle n. 9, 35, 40 in 118. A. della Marmora 1826, Voyage. fazzoletto a fondo di colore granato scuro con
questo in una forma non dissimile alla sum- suo orlo colorito lungo il dorso. Quando fa copricapo in tutto il Mediterraneo.
Nicola Tiole 1990; cfr. inoltre le figg. 222-223 a 119. Calzoni a gonnellino o a girello di vario leggera fioritura … e nuovo di bottega. Aveva
mentovata caretta copre bene il petto», e quel- freddo e piove si getta in testa. Le nuoresi 90. A. della Marmora (1826, Voyage), ritiene
p. 150 di questo volume. tipo sono presenti nell’abbigliamento popola- i capelli di colore castagno chiari, leggermente
lo di Orune e il suo corpetto che pare essere hanno la mania dei fianchi prominenti. Perciò che questo modo di indossarlo non sia molto
indossano quante più tuniche hanno. Le spo- 73. Per i fazzoletti da mano e i ventagli vedi in re europeo per tutto il XVIII e parte del XIX ricci, abitualmente aveva le trecciuole, ma non
proprio uguale a quello bittese: «Le donne usa- antico. secolo. ricordo se nel momento in cui fu deposta nella
no la benda, come esse dicono, o il velo di li- se devono averne almeno tre in modo che particolare le tavole n. 5, 35, 38, 53, 55, 58, 77,
sotto l’orlo di una si scorga quello dell’altra». 82, 87, 88 in Nicola Tiole 1990 e quelle del Dal- 91. Dalsani, in Il Buonumore 1878, attesta di- 120. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 7 (Vendi- cassa le aveva ancora. Ricordo che io, prima
no gentile, il giubbetto (su corittu) tutto fodera- versi esempi di questa foggia di copricapo, di deporla nella cassa, le avevo messo una ro-
G. Deledda 1972, p. 122. sani, in Il Buonumore 1878, n. 10, 12, 14, 18. tor d’erba). Vedi anche G. Della Maria: «Il co-
to a velluto rosso o azzurro con vari ricami, oltre le tavole qui pubblicate vedi la tav. 40 sa infilata nello sparato della camicia … non
61. Per i modelli di gonne unite al corpetto co- 74. E. Vittorini 1952. lore nero delle ragas non era comune a tutti i
con maniche fesse in avanti, che vestesi sopra (Costume giornaliero di Pauli-Pirri). so se nella bara siano stati pure messi altri fio-
me lo scarramàgnu vedi gli esemplari pubbli- costumi sardi. Oltre la documentazione icono-
un busto (s’imbustu) il quale in avanti gonfiasi 75. A. della Marmora 1826, Atlas. ri. So che la stessa mia suocera nel deporla
cati in Il merletto nel folklore italiano 1990, pro- 92. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 9, 17, 19. grafica suddetta, comprova ciò il della Marmo-
a somiglianza d’un petto di gallo con la testa 76. A. Bresciani 1850. nella bara le mise sotto la testa un capezzalino
venienti da Spezzano Albanese, si tratta di 93. A. della Marmora 1826, Voyage. ra e, particolarmente il Floris, il quale indica
senza collo, sotto il quale portasi un corpetto di foderato di stoffa a righe bianche e grigie …
panno giallo, guarnito a velluto o nastro rosso gonne molto sottili, con fitta plissettatura, unite 77. Vedi, ad esempio, le tavole in F. Alziator che – nella seconda metà del ’700 – i cagliari-
94. V. Angius, in G. Casalis 1833-56. tani, sassaresi e bosani usano le braghe anche Ripeto ancora che quando tornai dal fiume
o in broccato». V. Angius, in G. Casalis 1833-56. ad un sottile corpetto con bretelle (XIX sec.), e 1963, Luzzietti: n. 1 (Macellari di Cagliari), n.
95. M.L. Wagner 1960-64, lemma montèra d’un panno color miele, cioè fulvo, ossia gial- trovai che detta mia figlia aveva ai polsi e alle
da Frascineto, con gonne a pieghe unite al cor- 37 (Uomo di Sassari), n. 44 (Villani d’Osilo).
43. Vedi anche A. della Marmora 1826, Atlas. log. “berretto di pelle”. lo rosso», in N.B.B.S. 1956. caviglie allacciati dei fili bluastri che le furono
petto (pp. 313-316). Vedi anche gli esemplari 78. A. della Marmora 1826, Voyage. messi non so se da mia suocera o da altre per-
44. Dalsani, in Il Buonumore 1878, tav. 32. di gonne in pesante tessuto di lana, con breve 96. Per l’abbigliamento dei gremi vedi C.A. 121. P. Piquereddu 1987, p. 74.
79. Resta incerto il modello del copricapo de- sone accorse, contro sos pipios cioè rimedio
45. J.C. Flügel 1987, p. 85 sgg. corpetto a fascia e bretelle in España: tipos y Sanna, Sassari: storia dei gremi e dei cande- 122. V. Angius (in G. Casalis 1833-56) eviden- contro le convulsioni dei bambini secondo il
nominato camàuru o camàulu che il Wagner lieri, Sassari 1992 e la figura n. 8 della tav. III
46. Tali combinazioni meriterebbero uno studio trajes por Jose Ortiz Echagüe 1957. zia l’uso nell’insieme di Posada: «I posadini ve- costume locale. Fornisco a maggiore chiari-
(1960-64) traduce “lungo berretto” (lemma dell’Atlas di A. della Marmora.
approfondito che può essere condotto soltanto 62. Vedi l’articolo di T. Putzu, G. Manca, “Iscar- kamáuru) e il Casu (2002) “berrettone” (lem- stono un cappotto di panno forese nero, lun- mento la foto di detta mia figlia, facendo però
all’interno di trattazioni di carattere monografico ramàgnu, l’antico costume di Orani”, in Sarde- ma camàulu); dato che sia l’uno sia l’altro au- 97. Ancora nel primo Novecento nei Grandi go sino a’ femori, guarnito di velluto nero o notare che degli abiti sopra descritti, al mo-
data la quantità di significati che esse comuni- gna Antica, a. IV, n. 7, 1° semestre 1995. tore ne evidenziano l’uso da parte di sacerdoti Magazzini Angelo Tomè a Sassari sono venduti azzurro, brache a campana, come dicono per mento in cui fu deposta nella cassa, aveva la
cano all’interno delle diverse comunità. 63. Il termine iscarramagnu non risulta essere e che il termine “camauro” indica comunemen- i cappelli a larga tesa fabbricati dalla ditta Bor- l’apertura vasta de’ cosciali, sopra i calzoni di camicia che figura di indossare nella fotografia
47. A Nuoro ad esempio, dove il giubbetto usato in altri paesi dell’isola per definire un te la cuffia papale di velluto o raso di seta ros- salino proprio per soddisfare la richiesta locale. lino con gambiere o borsacchini dello stesso stessa, ma non la sottana e il grembiulino, la
chiamato zippòne è di colore rosso scarlatto e indumento popolare, mentre proprio lo stesso so sagomata che scende fin sotto le orecchie, è 98. Per le tecniche di ricamo si rimanda al te- panno, berretto nero o di colore rosso oscuro». collana, gli orecchini e i bottoni della camicia
presenta la manica aperta per tutta la lunghez- termine è presente alla corte bizantina per de- probabile che il termine di origine medievale sto delle camicie femminili. 123. A. della Marmora 1826, Voyage. che figurano nella fotografia».

314 315
Tradizione e quotidianità. L’abbigliamento femminile a Ittiri
Giovanni Maria Demartis

Ancor oggi chi percorre le vie di Ittiri incontra con faci- Fra le diverse gonne quotidiane si possono distinguere
lità donne che indossano gli ultimi esiti dell’antico abbi- quelle da lavoro, munnedduzzas, che hanno il retro lavo-
gliamento tradizionale, nonostante il paese disti appena rato a semplici pieghe sciolte o ribattute, a pijas bettadas,
una ventina di chilometri da Sassari.1 e quelle più pregiate, utilizzate per recarsi in rioni diversi
Essendo scomparsa da qualche anno l’ultima ittirese che dal proprio, fittamente plissettate nel settore posteriore ed
portava quotidianamente il busto e la camicia, le fogge ai fianchi con pieghette larghe meno di cm 1 che percor-
di vestiario popolare che ancora sopravvivono nell’uso rono verticalmente tutta la superficie del tessuto.
non folcloristico evidenziano un ibridismo che accosta In entrambe le tipologie le gonne sono lunghe sin quasi
lunghe gonne, scialli, grembiuli e fazzoletti-copricapo a alle caviglie e vengono confezionate con sostenute tele
bluse e maglioni di tipo commerciale, introdotti progres- di cotone, un tempo fornite da manifatture dell’Italia
sivamente dopo il 1950. L’attuale sistema di abbiglia- settentrionale, caratterizzate da motivi a rigato, a scac-
mento, utilizzato da gran parte delle donne che hanno chiera e scozzesi con fili tinti – e non stampati – nei vari
superato i sessanta-settant’anni e che appartengono a fa- toni del grigio, dell’azzurro, del rosa, su fondo general-
miglie dedite per lo più ad attività agropastorali o di mente bianco.
piccolo artigianato, mostra una spiccata differenziazione La nomenclatura locale delle stoffe definisce tipologie di
fra gli abiti feriali e quelli specifici delle cerimonie. gonne ormai canoniche: munnedda a rigadinu è detta la
Al contrario, non esistono appariscenti variazioni volte sottana a righe verticali grigie o blu su bianco, a costas de
a manifestare i dislivelli socio economici, come avveni- appiu (a coste di sedano) quella simile, ma a rigato irre-
va, invece, in passato nel caso dei costumi di gala.2 golare, a mattones biaittos (a mattoni blu) quella a minuti
Le donne che hanno rinunciato a “cambiarsi” con vesti quadretti turchini e bianchi, a mattones quella con vari
alla moda, rifiutando una tendenza in auge nel paese decori scozzesi rossi, rosa e blu su fondo color crudo, a
soprattutto dal 1960 al 1970, continuano a portare gli petta ’e sorighe (a carne di topo) quella a piccoli quadrati
abiti tradizionali, sia perché per loro sono divenuti co- bianchi e rosa intervallati da righine grigie o celesti, ecc.
me una seconda pelle, ma anche, come confessano in Tutte le munneddas de teletta hanno il pannello anterio-
molte, perché sarebbe dispendioso, con una ridotta re, su cameddu ’e nanti, semplicemente ridotto in vita
aspettativa di vita, acquistare un guardaroba “moderno” da quattro larghe pieghe, e chiudono su un lato, com-
mentre si ha a disposizione un corredo di indumenti ti- pletamente aperto verticalmente, con bottoni a pressio-
pici che deve essere necessariamente sfruttato. ne, in modo che è possibile riporle arrotolate a tubo al
Infatti ormai vengono cuciti rari capi, dato che non si rovescio per preservarne la pieghettatura. Presso il punto
ritiene più indispensabile affrontare confezioni spesso vita, sottolineato da una striscia di teletta che trattiene le
lunghe e costose. Una notevole cura conservativa inte- pieghe, sa trinza, alla congiunzione del settore plissetta-
ressa, diversamente, gli indumenti “buoni”, destinati a to con il pannello anteriore, sono risparmiate due fendi-
seguire le proprietarie nella tomba ed i vecchi costumi ture verticali, sas mesas portas, una per lato, affinché si
di gala che verranno ereditati da figlie e nipoti e sono possa accedere alla tasca sottostante, sa busciacca falza,
sfoggiati nelle parate del folclore.3 cinta alla vita con nastri – oggi non più d’uso generale.
L’elemento che caratterizza maggiormente l’abito popola- Tali aperture fanno sì, inoltre, che spostando i gancetti
re feriale attuale di Ittiri – e con poche varianti della vici- metallici cuciti alla trinza le gonne possano essere adat-
na Uri – è certamente la gonna di teletta, sa munnedda tate ai cambiamenti di taglia della proprietaria.
de teletta. Le mesas portas, per impedire la rapida usura degli indu-
menti, sono sempre rinforzate con un rettangolo di tes-
521. Giuseppe Biasi, Sera a Ittiri, 1914-18, suto in genere uguale a quello impiegato per la balza.
pastello e tempera su carta (particolare). Le due donne in primo
piano indossano la gonna-copricapo, mentre la bambina sulla sinistra Questa è di norma più scura della teletta prevalente, ha
521 è avvolta nel grembiule-copricapo. un’altezza di cm 20-30 ed è orlata in basso con uno

317
stretto nastro nero di “lana e seta”. Anche le balze han-
no una tipologia quasi fissa e, oltre che nelle telette più
cupe già descritte, venivano confezionate con felpe riga-
te, peffas, o con una sorta di tela scozzese bianca e blu
detta tramagatta.
Si deve notare che mentre la stoffa-base delle gonne,
quando è a righe, le presenta sempre in senso verticale,
per la balza si preferisce la disposizione orizzontale.
La predilezione per questo genere di tessuti, ampia-
mente usati nel vestiario giornaliero di svariate zone
dell’Isola e su una vasta area europea dalla seconda
metà del 1800, grazie all’enorme disponibilità di
cotone proveniente dalle Indie, è data certamente
dal loro costo moderato, dalla discreta resistenza
all’usura e da motivi estetici – l’effetto conferito
dalla pieghettatura è molto gradevole – ma an-
che dal fatto che la griglia regolare delle deco-
razioni facilitava l’esecuzione di pieghe picco-
le e perfettamente uguali. La pieghettatura era
ottenuta a mano, tramite fitte e strette imba-
stiture orizzontali, praticate alla distanza di
circa cm 2 l’una dall’altra, con resistenti fili di
cotone che fermavano le pieghe. La gonna
così lavorata (infilada) veniva successiva-
mente bagnata con acqua calda perché i tes-
suti infeltrissero leggermente fissando le pie-
ghe e sovente soltanto dopo diversi anni si
rimuovevano i fili, per indossarla.
Quando l’indumento, per il lungo uso, per-
deva il regolare assetto delle pieghe, s’iscor-
riolaìada, era necessario procedere ad una
nuova imbastitura, così si faceva dopo i rari
lavaggi o se si decideva di tingerlo di colori
più scuri.
Le sottane di teletta ritenute più pregiate sono
quelle più ampie, che richiedevano otto teli lar-
ghi cm 50-60, otto cameddos, congiunti fra loro.
Le giunture dei teli, coincidenti con le cimose,
sono sempre cucite nel verso con la balza, al rove-
scio, perché in tempi anteriori le gonne erano double
face e fungevano anche da copricapo, come si dirà avanti.
Alle sottane appena descritte è sempre associato un
grembiule, su pannellu ’e falare, lungo quanto la gonna
ed appena increspato in vita. Viene confezionato con le
stoffe commerciali più disparate, dalle stesse telette, al ra-
so di cotone alle tele stampate o operate, con vari colori
e fantasie, quasi sempre scuri. Nei grembiuli da lavoro
sono applicate una o due tasche.
Il copricapo, muncaloru a corru, del quale oggi si fa a
meno in diverse occasioni (ma non in chiesa ed ai fu-
nerali), è un fazzoletto commerciale con decorazioni
stampate, piegato a triangolo e modellato a soggolo

522-523. Abito femminile giornaliero, Ittiri, prima metà sec. XX


Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
Le due immagini evidenziano i principali indumenti del vestiario
femminile quotidiano di Ittiri, come si presentava attorno al 1950.
La gonna di teletta è del tipo detto a mattònes.

522 523
318
524

524-527. Grembiule da testa giornaliero,


pannéllu ’e cugùddu, Ittiri, prima metà sec. XX
Sassari, coll. privata.
Solo il grembiule alla fig. 527 ha dei decori
stampati “in fabbrica”, gli altri sono realizzati
in loco; il colore è dato con il pennello,
“a tampone”, utilizzando delle mascherine.
528. Grembiule da testa giornaliero,
pannéllu ’e cugùddu, Ittiri, inizio sec. XX
Sassari, coll. privata.
Il settore più stretto del grembiule cadeva
sulle reni, mentre la parte larga, ribaltata,
poggiava sulla testa, fasciando il busto.

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526

528

527

sotto il mento. Lo si porta di lanetta in inverno e di co-
tone nelle altre stagioni, scegliendo colori e disegni al-
legros o serios, a seconda delle occasioni.
Quando si esce di casa con la gonna di teletta è uso so-
vrapporre al fazzoletto un grembiule – copricapo –, che
oggi alcune donne poggiano sugli omeri, detto pannel-
lu de cuguddare per distinguerlo da quello normale.
A differenza di questo, quello copricapo ha sagoma
quasi triangolare ottenuta da un rettangolo di stoffa
strettamente plissettato alla base: quando viene indossa-
to, il settore pieghettato, trinza, cade sulle reni ed il lato
opposto poggia sul capo, incorniciando il viso ed avvol-
gendo busto e braccia. Il tessuto è lavorato a larghe pie-
ghe, ben visibili quando l’accessorio è nuovo, e la trin-
za, orlata di terziopelo violaceo, evidenzia cordoncini di
seta policroma applicati, sos cordones,4 che la decorano
e nel contempo fissano le pieghette. Per la confezione
di questo copricapo si sceglievano più spesso stoffe ne- 531

re variamente stampate, soprattutto raso di cotone, ma


non sono assenti altri tessuti e colori, sempre scuri.
Numerose decorazioni sono ormai codificate dall’uso: È dato di sapere che la carta, prima della stampa sul tes-
budrones de ua, fiores indeorados, listrones, rosigheddas, suto, veniva pazientemente ritagliata con forbicine e la-
fozas de nughe, ecc. (grappoli d’uva, fiori dorati, bande, mette da barba e che con un ago venivano praticati fo-
roselline, foglie di noce, ecc.). Le ornamentazioni erano rellini per dare effetti di punteggiato. Successivamente
così radicate che, a seguito della cessazione della produ- con pennelli usati “a tampone” era applicato il colore
zione delle stoffe divenute tradizionali da parte delle puro (eventuali diluenti avrebbero creato aloni e sbava-
fabbriche continentali che le fornivano, negli anni at- ture) evitando spessori eccessivi. L’occhio addestrato
torno al 1925-30, alcune artigiane ittiresi le riprodus- dell’artigiana, sfruttando abilmente la ripetitività dei pic-
sero stampando in loco raso di cotone nero. È que- coli moduli ornamentali e la guida di righe tracciate sul
sto l’unico caso finora noto di stampa di tessuti a raso con il gesso, faceva sì che si producessero piccoli
livello popolare in Sardegna. capolavori che soltanto il tatto permetteva di distinguere
La “maestra” più rinomata di quest’arte era Rai- da quelli di fabbrica. Risulta, peraltro, che taluni pannel-
monda Ganduffu, scomparsa quasi centenaria los sono decorati mediante un’unica mascherina mentre
pochi anni or sono, alla quale la maggior per altri ne occorrevano sino a cinque, corrispondenti
parte degli informatori ne attribuisce l’inven- ad altrettanti passaggi di colore. Non di rado, oltre ai
zione, sebbene qualcuno asserisca che fu pigmenti ad olio, veniva applicata vernice dorata, anche
un pittore locale il primo a dipingere di- da sola, conferendo particolare preziosità ai manufatti.
rettamente ad olio un pannéllu per fare Dopo il 1960 fu Giuannina Soro a continuare l’arte dei
un dono originale. pannellos con ottimi risultati, ma non era raro che altre
Tia Remunda, invece, utilizzava sì donne tentassero la stampa, per se stesse o per una ri-
colori ad olio, ma stampava le stof- dotta committenza, con risultati sovente imperfetti, ma
fe mediante mascherine di carta gradevoli.
opportunamente traforate.5 Si deve porre l’accento sul fatto che le due artigiane so-
È probabile che l’intelligente pramenzionate, a cui l’esecuzione dei grembiuli, per
artigiana abbia tratto ispira- quanto alternata alle faccende domestiche, permise di
zione dalle tecniche usate contribuire non poco all’economia familiare, non si limita-
dai decoratori che in varie rono a riprodurre le vecchie decorazioni, ma ne crearono
case ittiresi, almeno dal di nuove, assecondando l’ansia di novità e di esclusiva di
1920, ornavano soffitti molte clienti.
e pareti tramite stam- A dispetto del costo relativamente modesto, l’effetto de-
pi di cartone. corativo dei pannellos de cuguddare era infatti notevole

529. Gonna, munnèdda, Ittiri, anni Cinquanta, Sassari, coll. privata.


530. Gonna, munnèdda, Ittiri, inizio sec. XX, Sassari, coll. privata.
Il tessuto della gonna è detto a mattònes, la balza di felpa a rigadìnu.
531. Gonna, su furési o sa munnèdda de furési, Ittiri, inizio sec. XX, Sassari, coll. privata.
530 L’antica gonna in orbace, su furési, con la balza di robusta tela azzurra.

323
529
ed il possesso di svariati esemplari consentiva di variare ne lo portavano color avorio). Tipico dello scialle ittire-
di volta in volta l’insieme ripetitivo del costume. Essi se è su biccu, una punta che sporge sopra la fronte,
permettevano, inoltre, di celare completamente gli indu- prosecuzione della piega mediana, impressa con il ferro
menti che vestivano il busto quando non erano in ordi- da stiro, che lo segna verticalmente lungo la schiena.
ne e di nascondere fagotti, bottiglie o derrate alimentari, L’abbigliamento appena descritto è in genere anche
sottraendoli agli occhi dei curiosi. quello funebre. Nel lutto stretto, che coinvolge le donne
È bene rammentare, comunque, che l’uso del grembiu- che perdono il marito, i figli, i genitori o i fratelli, sono
le-copricapo non è esclusivo di Ittiri e che, fermando banditi tutti i colori a favore del nero: tutti gli indumenti
l’attenzione soltanto sul circondario, lo si ritrova simile debbono essere inornati, si deve portare sempre il faz-
ad Uri, con decorazioni più modeste a Thiesi e Romana zoletto e, fuori di casa, lo scialle ben calato sulla fronte;
e, monocromo, ad Ossi. si indossano calze nere, non trasparenti.
A Ittiri, come in quei paesi, la leggerezza di questi ac- In circostanze luttuose che non le investono direttamen-
cessori motiva l’utilizzazione invernale di uno scialle pe- te, come nel caso del decesso di vicini di casa o lontani
sante, s’isciallu russu, nero o marrone, solitamente orla- parenti, molte donne si avvolgono in pubblico con il
to con grosse frange. grembiule-copricapo alla rovescia, mostrando il lato non
Pare quasi inutile insistere sul fatto che i ridotti lavaggi decorato.
possibili per gran parte dei capi descritti ne impone una L’attuale sistema vestimentario tradizionale ittirese è l’esi-
rotazione; per questo essi sono posseduti in discreto nu- to di uno più articolato e complesso, che ha subìto nel
mero da ogni donna, alla quale sin dalla giovinezza la corso dell’800 e del ’900 lente modificazioni, sino all’in-
famiglia forniva un corredo (sei gonne, sei pannellos, troduzione, dopo gli anni Cinquanta del 1900, di bluse
ecc., in quelli più modesti) da utilizzare lungo tutto il cittadine, di borse e borsette signorili e di “permanenti”.
corso della vita. Di queste variazioni, segno di vitalità e di capacità di
Ciò avviene anche per il vestiario indossato attualmente adattarsi a nuove situazioni, possono essere seguite le
nelle ricorrenze festive, che non si discosta molto da principali scansioni sin dalla fine del 1800.
quello del lutto, visto che adotta cromatismi scuri, sino La documentazione che è stato possibile raccogliere fa
al nero. Si consideri che la condizione di femina in lut- emergere una foggia femminile che denuncia caratteri di
tu (donna in lutto), benché soggetta a minori restrizioni arcaicità e può essere ritenuta il “modello di base” di tut-
del passato, secondo la tradizione ittirese non consente to il vestiario popolare di Ittiri, compresi i costumi di ga-
di comparire in pubblico o di ricevere visite con vesti la. Se si prescinde da particolari accessori, da talune
sciatte o usurate, per cui il lutto spesso finisce per coin- scelte cromatiche e dalla qualità dei tessuti impiegati, la
cidere col lusso. struttura di tutti gli abiti femminili popolari ittiresi riman-
Le gonne festive sono strutturalmente identiche a quelle da, infatti, al costume con la gonna d’orbace.
di teletta. Sempre perfettamente pieghettate, possono Tale tipo d’abito era ancora indossato da anziane che
essere di consistente stoffa blu, munnedda calorina (dal vestivano “all’antica” negli anni a cavallo della prima
nome del tessuto: carolina) o grigio-scuro con quasi im- guerra mondiale.
percettibili righine orizzontali bianche o turchesi o, nelle Il copricapo di questa foggia era formato da tre elementi
forme più lussuose, di spesse stoffe di cotone nero, sa sovrapposti, su una pettinatura che prevedeva i capelli
munnedda niedda. In esse la balza ha poco risalto es- raccolti in due trecce, avvolte a crocchia sopra la nuca, e
sendo della medesima stoffa-base. Anche il tipo del fronte perfettamente libera. Prima si indossava s’iscoffia,
grembiule festivo non si discosta da quelli feriali nelle una cuffia a sacco, grosso modo a forma di tre quarti di
dimensioni e nella forma, però è confezionato con raso, sfera, che conteneva le chiome lasciandone in vista una
damasco, pizzo, sete con inserti laminati o stampate a stretta striscia sopra la fronte. La cuffia adottava tessuti di
fiorami, velluti operati, scelti in un’ampia gamma com- cotone scuro a fiorami stampati o calancà e talvolta lam-
merciale e di norma a fondo nero, viola, blu, marrone o passo di seta; sulla sommità recava una coccarda di na-
comunque scuro. stro o una corolla rigida tempestata di paillettes, s’istella
Anche il fazzoletto dell’abito cerimoniale, simile a quello lustrinata; un nastro legato a fiocco sotto la nuca faceva
feriale, è preferibilmente scuro, con decorazioni, opera- in modo che l’accessorio restasse fermo, tenendo in ordi-
te o stampate, piuttosto sobrie e sovente è di seta o altri ne i capelli.6
tessuti pregiati. Sopra si fasciava a soggolo su muncaloru a corru, come
Quando si esce di casa è uso sovrapporre al fazzoletto quello attualmente in uso, ma con decorazioni su fondo
uno scialle, isciallu, di “lana e seta” fine, che la tradizione avorio o chiaro (oggi introvabili in commercio): pumas de
vuole incornici il viso ed avvolga completamente omeri, paone, angheleddos, pira e mela, rosas siccas, colovuros e
schiena, busto e braccia fin sotto la vita (oggi, se non si pansé, puzoneddos, faghefarinas, ecc. (piume di pavone, 532. Busto, imbùstu, Ittiri, inizio sec. XX
sta in chiesa, è portato anche soltanto sulle spalle). angioletti, pera e mela, rose appassite, garofani e viole, Sassari, coll. privata.
S’isciallu, importato quasi sempre da fabbriche lombar- uccellini, farfalle, ecc.), oltre che disegni geometrici. La fitta allacciatura di nastro viola è fissa. Attraverso gli occhielli
circolari ai lati passava il nastro che lo stringeva sotto il seno.
de, è rettangolare con corte frange e per lo più è nero, Ancora, veniva steso un ulteriore fazzoletto, legato sotto L’indumento è realizzato con velluto di seta liscio e operato ed è
ma anche marrone o color cachi (nel passato le signori- il mento a fiocco e fluente a drappo sul dorso; il settore decorato da cordoncini si seta applicati, cordònes.

324 532
533. Busto, imbùstu, Ittiri, prima metà sec. XX L’unico indumento frequentemente lavato dell’antico ta da un fazzoletto bianco di tela o batista, su muncaloru
Sassari, coll. privata.
Il busto è realizzato con velluto di seta operato, adorno di nastri e
guardaroba era la camicia, sa camija, perché stava diret- ’e coddos, che si disponeva sul petto come il fichu della
trine dorate, in alternativa ai più diffusi cordònes. La chiusura non tamente a contatto con il corpo e fungeva anche da moda settecentesca. Si indossava quindi s’imbustu, un
presenta nastri passanti ma un settore rigido ove i nastri appaiono biancheria da notte. La camicia ittirese è per lo più di bustino irrigidito con bacchette metalliche, bastonettes, e
cuciti orizzontalmente costituendo su pettìgliu bàsciu. tela di cotone candido, più o meno fine, ma sempre più foglie di palma nana, sa pramma, contenute entro una
compatta e sottile nella parte superiore, dossu, e grosso- fodera di “tela cruda” o lino locale, accuratamente im-
lana nella sottogonna, su cansciu, cucita al punto vita e punturata.
facilmente staccabile in caso di usura. L’ampio volume Come quelli del circondario, il busto ittirese è costituito
del tessuto è ridotto allo scollo e ai polsini, inornati, a da due metà simmetriche munite di sottili bretelle e di
fascia, con fitte pieghette. L’indumento è piuttosto so- spacchi nella parte inferiore, alettas, che lo fanno aderi-
brio ad eccezione del collarittu, una striscia di tela alta re perfettamente e sostengono la gonna alla vita. In cor-
poco più di cm 1 che ferma le pieghe lungo lo scollo, rispondenza della schiena le due parti sono unite con
generoso, “a barca”. Nell’esiguo spazio di questa trinet- un’allacciatura fissa di nastro di lana (frisu) o di seta
ta, entro due linee ricamate a spina di pesce si stendono (fetta) solitamente rossi, ma anche verdi, azzurri, rosa,
minute decorazioni “a punto nodo”, bianco su bianco; viola o cremisi.
sono schemi codificati: spirali e onde (caragolos e ba- Il busto feriale (che non poche donne indigenti portava-
randiglias), cerchietti (lorighittas), rombi (limones), ret- no anche nelle feste) è ricoperto all’esterno di tessuti se-
tangoli (su quadru), microscopici pallini (pibirinos), zig rici: terziopelo (velluto di seta) operato o liscio a fondo
zag (ancas de musca), ecc. viola, verde, cremisi, cannella o azzurro oppure lampas-
Il collarittu è sempre rifinito con file di piccolissimi archet- so o broccato a fiorami con sfondo giallo, bianco o vio-
ti “a punto festone” detti baghiglias. la. In non pochi busti sono accostate stoffe diverse, rita-
Si sa che per eseguire questi ricami, la tela era fissata gli o avanzi.
ad un cuscino e che non era rara la lavorazione da par- Le decorazioni peculiari sono quei cordones descritti per
te di adolescenti o bimbe, perché era una lavorazione il grembiule-copricapo, fissati in senso leggermente
che richiedeva soltanto attenzione e pazienza, e la con- obliquo per far aderire le sete al supporto e mascherar-
ta delle trame, copiando un collarittu precedente. ne le giunture. L’allacciatura del bustino avveniva con
È interessante notare che il taglio delle camicie fa in mo- poche passate sotto il seno di un nastro di lana, frisu,
do che possano essere indossate anche orientando il lato per lo più rosso, entro asole circolari praticate lungo i
della schiena sul petto, perché in entrambi i versi è aper- lati anteriori dell’indumento, dette lorighittas. Il busto, la
to uno sparato mediano e sullo scollo sono praticate due cui origine signorile tardo rinascimentale è nota, veniva
asole (per inserire “bottoni sardi” o un laccetto) sia sul confezionato da mastras de imbustos (maestre di busti)
davanti che sul settore opposto. L’espediente facilita- ed era portato sin da piccine (dall’età di cinque o sei
va la stiratura e permetteva di mettere in vista il anni) e dalle adulte anche durante la gravidanza7 ed i
lato più pulito quando non era possibile la- pesanti lavori agricoli e domestici.
vare e asciugare rapidamente l’indu- Il giubbetto, su corittu, in ambito domestico ed in estate
mento oppure di scegliere il verso non veniva indossato, ma era richiesto per intervenire
festivo (con le asole grandi). alle funzioni religiose o per le visite. Si tratta di una sor-
La vistosa scollatura della ta di attillato bolero che lascia scoperto il petto e, sulla
camicia a memoria d’uo- schiena, la parte inferiore del bustino. Le maniche, unite
mo era opportuna- sulle spalle con una sottile striscia, sono strette e sago-
mente dissimula- mate, squartate inferiormente lungo l’avambraccio e con
due aperture all’incavo del gomito, da cui sbuffa la ca-
micia. Di solito il corittu feriale era di velluto nero o
viola oppure di panno nero o rosso; i cordones di seta
multicolore, peculiari del costume ittirese, ne seguono
le linee di taglio ed i cuciti con contrasti cromatici forti
soprattutto in quelli di scarlatto. Dieci o più finte asole
di grandi dimensioni, traucchera, ornano ciascuna ma-
nica dal gomito al polso. In genere solo due asole sono
533
aperte per ospitare altrettanti bottoni sferoidali d’argen-
to, muniti di ganci a T, in lamina traforata o in filigrana.
sopra la fronte, inamidato, era perfettamente semicirco- to, poteva essere sostituito, tuttavia, soprattutto da parte Le maniche della giacchetta feriale, comunque, poteva-
lare. Le donne più austere preferivano il fazzoletto di delle giovani donne, con fazzoletti stampati, identici a no essere arrotolate, prive di bottoni, assieme alla cami-
semplice tela bianca, muncaloru biancu o muncaloru quello a corru, detti muncaloros ispartos. cia fin sopra i gomiti, a corittu pijadu, per assicurare li-
’e ciaffara, che era tipico anche del lutto stretto, caso in Decaduta la cuffia, assieme al fazzoletto bianco, attorno al bertà di movimenti; del resto anche la camicia, quando
cui veniva fermato con uno spillo sotto il mento, agu- 1920, il duplice copricapo formato da muncaloru a corru non si portava il corittu, veniva spesso piegata in quel
zadu, e ingiallito con il fumo. Questo telo, fuori del lut- e ispartu perdurerà sino agli anni a cavallo del 1940. modo (in tal caso gli avambracci erano sovente coperti

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per quel che concerne l’architettura generale, sono dif- capillarmente dalla scuola fascista, fecero mettere da
fuse su una vasta area isolana, con notevole concentra- parte, in ambito feriale, gli attillati giubbetti, a causa del-
zione nel Settentrione, ed in ambito europeo (Spagna, la loro scarsa lavabilità.
Corsica, Malta, Calabria, ecc.). La studiosa veneziana Alcune sarte crearono, così, i manighiles, che ricalcano
534
Doretta Davanzo Poli ne rintraccia la prima attestazione la linea del corittu, ma hanno maniche “a palloncino”
in un dipinto del Bellini (1450 ca), in cui riconosce le dal gomito in su e sono confezionati con stoffe lavabili,
con le maniche della maglia di flanella che si portava gnificativo che in due liste dotali ittiresi del 18409 siano premesse delle tonde venete ricorrenti nelle successive facili da stirare e di costo contenuto, nei colori e nelle
sotto e d’estate con le manighittas ritagliate da una vec- elencate per ciascuna ben quattro gonne d’orbace e opere di Cesare Vecellio, dei Tiepolo e del Longhi. fantasie più varie. Non poche donne, parallelamente,
chia maglia di lana). nessuna di teletta, il che fa intuire l’introduzione di que- In Sardegna è del più alto interesse un documento, cita- fanno a meno della camicia, altre continuano ad indos-
La gonna del “costume antico”, su furesi o sa munnedda ste ultime in fasi successive. to dal Costa, che riferisce dell’abitudine delle donne sas- sarla ma con maniche corte.
de furesi, come suggerisce la denominazione, era d’orba- Il gusto per i fianchi pronunciati, enfatizzati dallo stretto saresi di intervenire ai funerali avvolte nella gonnella In quegli anni, al posto del fazzoletto copriseno viene in-
ce; di un tipo non finissimo a superficie villosa, tessuto e bustino, secondo alcune testimonianze orali, portava (1527).11 Tuttavia pare percorribile l’ipotesi che vede trodotta la pettiera,14 una sciarpetta sagomata che le po-
tinto nel paese. non solo a stratificare le sottane, ma ad indossare sotto l’impulso maggiore all’acquisizione di copricapo tanto polane più eleganti fanno confezionare spesso nel me-
I colori più comuni erano il fulvo, il marrone, il granato una sorta di corta gonna d’orbace impunturata, detta ra- caratteristici nella moda egemone del 1600, quando l’a- desimo tessuto dei manighiles. In questa tappa evolutiva
(ma non era assente il nero) ottenuti con infusi vegetali guzza, o due cuscinetti, sos cabidaleddos. bito femminile “elegante” constava di almeno due gonne è evidente il desiderio di uniformare gli indumenti che
(dafne, robbia, campeggio). Anche le gonne d’orbace I grembiuli, nella fase d’uso di su furesi, erano molto si- stratificate con la superiore aperta anteriormente, come coprono il busto in un insieme accordato, come nella
sono plissettate sul retro, ma con pieghe larghe circa cm mili a quelli utilizzati come copricapo sui quali ci si è una sorta di “grembiule posteriore” e come la gonna ne- moda corrente nelle città; è la premessa all’acquisizione
2, in diversi casi più strette nella metà superiore. La bal- soffermati, a riprova dell’esistenza in passato di un’unica ra detta capitta che, secondo la Deledda, faceva parte di quelle bluse e di quei maglioni che conferiscono ca-
za più usata è detta sa forra de su furesi ed è di norma tipologia di pannellos, che potevano essere indossati ora del costume da vedova nuorese nel 1800. rattere ibrido alle fogge che ancora resistono.
di consistente tela turchina, alta da cm 15 a 20, utilizzata sulla gonna ora per coprire la testa. Su pannellu, infatti, Non è improbabile infatti, che la modestia imposta alle
anche come rinforzo delle mesas portas. Per la confezio- sino al 1920 circa era più ampio e corto dell’attuale, di donne nell’abito per la chiesa ed ancor di più quella sor-
ne di queste sottane sono necessari 5-6 teli d’orbace lar- profilo quasi triangolare, utilizzava spesso tessuti com- ta di annullamento del corpo femminile previsto nel lut-
ghi circa cm 60, le cui giunture in tutti gli esemplari esa- merciali scuri stampati e presentava passamanerie seri- to, abbia spinto ad utilizzare le sopragonne ed i grem-
minati sono evidenti sul lato della balza.8 Sa trinza alla che o cordones nel settore vicino alla vita, strettamente biuli aldilà della loro funzione primaria, come elemento
vita è per lo più di panno rosso o velluto nero oppure pieghettato. moralizzatore (non esente da “civetterie”), in una società,
viola; lo spacco laterale tipico delle gonne attuali in te- Qualche indizio fa immaginare che alla fine del 1800 il come quella sarda, ove le ben note condizioni di indi-
letta non è presente. pannellu potesse anche essere poggiato sulla testa, con genza non consentivano il possesso di un guardaroba ar- Note
Per quanto diverse informatrici attestino che verso gli i nastri che lo cingevano normalmente alla vita abban- ticolato.12
inizi del 1900 su furesi veniva associato ad una gonna di donati lungo la schiena, quasi come avveniva a Osilo o L’abito con la gonna d’orbace sul quale ci si è soffermati
teletta (che stava sopra d’inverno e sotto d’estate) è si- a Ossi, ove resta testimonianza di una sorta di grembiu- rientra in una tipologia ben attestata da svariate fonti ico- 1. Altri studi sul costume d’Ittiri: P. Piquereddu 1987; G.M. Demartis 1990.
le posteriore, legato alla vita e ribaltato sul capo. nografiche del 180013 per il circondario di Sassari. Que- 2. È noto che nelle cerimonie più importanti e nelle nozze, a Ittiri, era-
no usate due diverse fogge, il fastoso bestire ruju ed il sobrio bestire
Il copricapo “antico” più usato, comunque, era una gonna sto fatto ne conferma l’interesse e ne attesta l’arcaicità. nieddu, rispettivamente dalle donne abbienti e dalle contadine povere.
di teletta, sa munnedda de cuguddu, indossata quando ci Come si è accennato a proposito del fazzoletto coprica- 3. Cfr. nota precedente. I costumi di gala non vengono usati dalle an-
si recava lontano da casa o in chiesa (lo scialle venne in- po bianco, il particolare abito ed i suoi accessori a Ittiri ziane che attualmente vestono nella vita normale abiti tradizionali, ma
trodotto attorno al 1935). erano usati anche per il lutto stretto (fu attorno al 1930 sono sfoggiati da giovani donne, che vestono normalmente “alla mo-
da”, in occasione di parate folcloristiche o di qualche cerimonia locale.
La gonnella, pressoché identica a quelle già descritte,10 che si adottarono le attuali fogge nere).
4. Questa tipica decorazione può essere forse accostata alla finitura
era disposta a trinza, poggiando il settore normalmente I soli segni che, sul comune vestiario, informavano del detta cordone de cojuados, citata da G. Calvia 1897.
coincidente con la vita sopra la fronte, facendo cadere il lutto stretto di chi lo indossava, infatti erano il copricapo 5. Dalle ricerche effettuate risulta che veniva utilizzata qualsiasi carta
resto, come una cappa, sulla schiena e tenendola stretta e la camicia ingialliti col fumo ed il fazzoletto copriseno consistente, dalla carta straccia al foglio di protocollo alla stagnola.
al petto con le mani; così il pannello liscio restava all’in- nero. Da questo si può forse intuire la rinuncia, anche 6. La forma della cuffia feriale non pare discostarsi da quelle delle cuf-
terno e si evidenziava la pieghettatura. per motivi economici, non solo a provvedersi di abiti fie festive, ancora confezionate.
In alternativa la gonna di teletta, indossata sopra le altre, nuovi per il lutto ma persino a tingere quelli già possedu- 7. Durante la gravidanza venivano allentati i nastri di chiusura del busto.
veniva ribaltata sul capo, a munnedda bestida e cugud- ti. Alcune informatrici ricordano, comunque, che la gon- 8. Vedi in queste pagine quanto osservato per le gonne di teletta.
dada, sì da incorniciare chi la indossava in una sugge- na bestida e cuguddada era di rigore per le vedove e che 9. F. Orlando 1998, p. 223.
stiva sagoma a mandorla. si poneva notevole attenzione nella scelta di indumenti 10. Le gonne in teletta del primo Novecento non presentano in genere
Entrambi i copricapo perdurarono sino al 1935 circa, an- sobri nelle decorazioni e esenti da colori sgargianti. l’apertura laterale ed hanno la balza sovente meno alta.
che quando, decaduta la gonna d’orbace, venivano ab- Il sistema vestimentario ittirese subisce le più importanti 11. D. Davanzo Poli 1990, p. 107; E. Costa 1909, p. 321.
La più antica attestazione della gonna copricapo per quel che concerne
binati alle comuni sottane di teletta. trasformazioni dopo il Primo Conflitto Mondiale. Dimen- Ittiri risale alla prima metà dell’Ottocento e si deve all’Angius, che riferi-
Le tre tipologie di copricapo descritte, evidentemente ticata la gonna d’orbace, permangono quelle di teletta, sce dell’uso di “gittarsi” sul capo le gonne nere durante i funerali. Evi-
dentemente in quell’epoca esistevano segni più eclatanti volti a definire
collegate fra loro strutturalmente, non esclusive di Ittiri indossate sovrapposte sino a sette-dieci; l’allacciatura di il lutto rispetto a quanto attestato dalla fine del 1800. V. Angius, voce It-
nastro che stringeva anteriormente il bustino viene sosti- tiri, in G. Casalis 1833-56. Si noti che in Sardegna la gonna copricapo
tuita da su pettigliu, un elemento trapezoidale rigido non compare mai nelle vesti di gala.
534. Maniche, manighìles, Ittiri, 1930 ca.
Sassari, coll. privata. con nastri cuciti paralleli, non più solo rossi ma anche 12. L’argomento è stato trattato in particolare in G.M. Demartis 2000.
rosa o verdi o celesti, fermato con ganci metallici (man 13. Basti citare, fra le tante, la “Donna di Codrongianos” riprodotta in
535. Pettiera, pettièra, Ittiri, 1930 ca. un’incisione di Baldassarre Luciano. B. Luciano, Torino 1841.
Sassari, coll. privata. mano che ci si avvicina al 1940 il pettigliu, diventa sem-
14. Alcune di queste innovazioni, come l’introduzione del pettigliu e
535 I due elementi, realizzati in tessuti commerciali, soppiantarono pre più alto, rendendo il busto scomodo e opprimente). della pettiera, investono anche il costume di gala ittirese e gli conferi-
rispettivamente il giubbetto ed il fazzoletto-copriseno. Negli anni ’30, nuove abitudini igieniche, propagandate scono caratteri distintivi rispetto a quelli del circondario.

328 329
I costumi femminili di gala di Osilo e Ploaghe
Giovanni Maria Demartis

I costumi femminili di gala d’Osilo e Ploaghe (SS), cen- e che si macchiava se esposto all’umido o ad una legge-
tri logudoresi vicinissimi fra loro, sono molto noti. Al- ra pioggia e costringeva a manutenzioni accurate e com-
cune caratteristiche che li rendono inconfondibili han- plesse.2
no avuto ampia eco nelle parate folcloristiche, sin dalla Altrettanti metri di raso candido alto cm 30-40, ricamato
“Prima Cavalcata Sarda” di Sassari del 1899 ed ancor da artigiane specializzate a motivi floreali con fili di se-
prima, nel corso di tutto il 1800, hanno attirato l’atten- ta, di ciniglia policroma e laminette dorate e argentate,
zione di viaggiatori e studiosi, che li hanno descritti e erano indispensabili per l’orlatura della gonna e del co-
riprodotti in un vasto repertorio iconografico. pricapo.
Le due fogge, come risultano attestate dai manufatti ela- I ricami si ispirano evidentemente a quelli dei paramenti
borati negli anni a cavallo del primo Novecento, ap- ecclesiastici sette-ottocenteschi, ma non sono esenti da
paiono assai dissimili, a dispetto della vicinanza geogra- influssi Liberty. L’indumento più caratteristico dell’intero
fica dei paesi a cui appartengono. abbigliamento è sa capitta, una mantellina semicircolare
Se si prescinde dalla qualità dei tessuti, dai cromatismi e che inquadra come in una nicchia, dalla testa sin quasi
dai dettagli dell’ornamentazione, comunque, sono evi- alla vita, chi la indossa.
denti alcune non secondarie analogie strutturali, quali il Questo accessorio viene poggiato sulla testa, sapiente-
copricapo “a mantellina”, il busto rigido portato sopra il mente avvolta da un soggolo di tulle bianco o “azzurra-
giubbetto, che giunge sino alla vita, e l’assenza del grem- to” ricamato a fiorami in tono.
biule. Il terziopelo cremisi, oltre che per la cappa, è impiegato
L’analisi di numerosi documenti a disposizione, ascrivibili per il giubbetto, gropittu, ermeticamente chiuso sul pet-
ad un arco temporale che va dalla fine del 1700 sino al to, tanto che spesso non viene indossata la camicia,3 e
1950, infatti, evidenzia interessanti linee evolutive che con maniche aderenti, chiuse su ciascun avambraccio
rendono non solo meno forte l’impressione di scelte da 10-12 bottoni di filigrana d’argento (eccezionalmente
esclusivamente irrazionali nella creazione degli abiti, ma d’oro) che, mediante ganci a T, passano entro altrettante
fanno individuare significative costanti nei fenomeni di lunghe asole.
modificazione, comparabili con quelle che hanno subito Sulla giacchetta viene cinto il busto rigido, rivestito di
la gran parte dei costumi femminili di gala di tutta l’Isola.1 broccati policromi, percorsi da passamanerie metalli-
che, o di raso finemente ricamato, che chiude anterior-
Osilo mente con ganci d’acciaio.4
Il costume femminile d’Osilo che ammiriamo nelle sfila- La gonna, faldetta, tutta di velluto granato, ha il pannel-
te del folclore, ha assunto i caratteri che lo connotano lo anteriore staccabile e sul retro è abilmente composta
agli inizi del 1900. in larghe pieghe, acannonada, sino alla balza candida
Si tratta di un abito esclusivo delle donne abbienti, che di raso ricamato, identica a quella della capitta.
“l’etichetta osilese” riservava alle grandi cerimonie religio- Caratteristica della foggia è l’insolito accordo cromatico
se ed alle nozze, tantoché è denominato ’estire ’e cheja. di tutti gli indumenti, sostanzialmente limitato al bianco
La veste è molto preziosa perché ha come tessuti pre- ed al cremisi.
valenti il costoso terziopelo liscio (velluto di seta) ed il
raso di seta ed è arricchita da elaborati ed estesi ricami. Ploaghe
Per l’esecuzione del costume occorrevano oltre m 7 di Anche il costume femminile ploaghese è generalmente
velluto di seta, tanto delicato, come affermano alcune conosciuto nella forma assunta attorno al 1900-20, ma si
informatrici, che si poteva sciupare in fase di confezione presenta in due tipi principali; l’uno, riconoscibile per la
presenza del terziopelo (velluto di seta) liscio granato,
536. Simone Manca di Mores, Danza accompagnata dalla chitarra, per fastosi ricami di canutiglia d’oro e per l’esteso uso
536 1870 ca., litografia a colori (particolare). di terziopelo fioradu (velluto di seta operato a fiorami)

331
a fondo blu, è esclusivo del ceto benestante (sa ’este ’e
velludu) mentre l’altro, destinato alle donne meno ab-
bienti, è caratterizzato da applicazioni di scarlatto e, in
genere, da decorazioni e tessuti più modesti (sa ’este de
iscrallatta).5
Entrambi gli abiti, identici nella struttura complessiva, si
indossavano nelle più importanti ricorrenze festive e
nelle nozze. Si deve sottolineare che, a differenza di
Osilo, ove il costume di gala era ben differenziato da
quelli feriali, a Ploaghe sino al 1920 gli abiti della quoti-
dianità non si discostavano da quelli cerimoniali neppu-
re cromaticamente, ma solo per la qualità delle stoffe.6
L’elemento più tipico del costume è senza dubbio la
cappa-copricapo detta mantéddu, ottenuta da un rettan-
golo di panno giallo-senape rivestivo all’esterno di vel-
luto di seta, raso o damasco blu sì da risparmiare un
settore a forma di croce latina del tessuto di base, spie-
gata localmente con la leggenda di un antico voto per
la fine di una pestilenza.
Il giubbetto, corìttu, di scarlatto o velluto cremisi, è
chiuso a ciascun polso da due soli “bottoni sardi” e la-
scia sbuffare attraverso ampi squarti le maniche della
camicia di tela bianchissima, finemente pieghettate “a
fisarmonica”, afozittadas. L’indumento è frunidu, cioè
rivestito di sete preziose, più spesso chiare, anche rica-
mate in oro, ed evidenzia sulle maniche le ribattiture
della stoffa principale sui cuciti, segno che in origine
era double face.7
Sul petto spicca un fazzoletto morigeratore e più comu-
nemente una sciarpetta, istòla, ricamata variamente a
fiori stilizzati.
La gonna, tuniga, di panno nero, è composta sul retro a
pieghe più o meno larghe ed ha un’alta balza, su fruni-
mentu, per lo più di velluto o seta blu oppure di dama-
sco chiaro; due vistose applicazioni di panno rosso o
velluto granato, masculas, si stendono sulla metà supe-
riore dell’indumento, ai lati, risparmiando anteriormente
un piccolo triangolo nero. La caratteristica più singolare
della gonna ploaghese, però, è sa groppa, una sporgen-
za posteriore di circa cm 5-8 alla vita, determinata da
una rigida ribattitura delle pieghe e da una semiluna di
tessuto imbottito cinta sotto.
Da diversi autori è stata ribadita l’origine aristocratica
secentesca di quest’uso, volto ad enfatizzare l’ampiezza
della sottana sotto il rigido bustino ed a celare le forme
femminili.
La croce del mantéddu, la stola copriseno, la tipologia
dei ricami, esemplati su quelli dei paramenti sacri, ma-
nifestano la forte influenza esercitata dalla chiesa sul co-
stume ploaghese.

537. Abito di gala, Osilo, fine sec. XIX


Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
La gonna e la cappa sono in scarlatto.
538. Abito di gala, Osilo, 1930 ca.
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna.
Il panno rosso è ormai sostituito dal velluto di seta cremisi.

537
538
539. Giubbetto festivo, corìttu,
Ploaghe, fine sec. XIX
Nuoro, Museo della Vita e delle 541
Tradizioni Popolari Sarde.
L’indumento veniva utilizzato
double face. I processi di trasformazione
540. Gonna festiva, tùniga, I due abiti appena descritti sono la risultante di
Ploaghe, fine sec. XIX progressivi e lenti processi di modificazione e
Nuoro, Museo della Vita e delle
Tradizioni Popolari Sarde. di arricchimenti avvenuti nel corso del 1800, co-
Al periodo cui risale la gonna le me è ampiamente comprovato da numerosi do-
applicazioni, masculas, non cumenti (stampe, fotografie, acquerelli, fonti
raggiungevano la balza.
539
letterarie ed archivistiche).
541. Manticello festivo e di gala, Queste attestazioni, opportunamente compa-
mantéddu,
Ploaghe, fine sec. XIX rate, evidenziano che, grosso modo tra la fine
Roma, Museo Nazionale Arti e del 1700 e la metà dell’800, presso entrambe le
Tradizioni Popolari. comunità erano in uso abiti non eccessivamente
542. Abito femminile festivo, dissimili, che impiegavano soprattutto tele bian-
Ploaghe, anni Cinquanta che e pesanti stoffe rosse o nere sia di importa-
Nuoro, Museo della Vita e delle
Tradizioni Popolari Sarde. zione (lino, cotone, saia, mezza saia, scarlatto,
Si osservino i ricami dorati alle maniche panno) sia locali (orbace e tela di lino) con un uso li-
del giubbetto e la groppa della gonna mitato di tessuti preziosi (sete, velluti, damaschi, brocca-
che enfatizza i fianchi.
ti) utilizzati soprattutto per busti e guarnizioni. In questa
fase non si rileva una significativa presenza di ricami,
ma l’applicazione di galloni e passamanerie.8
Ad Osilo, secondo una norma che pare avere attraver-
sato i secoli sin quasi ai giorni nostri, gli indumenti ros-
si, particolarmente di scarlatto, segnavano occasioni fe-
stive e status socio-economici privilegiati mentre il nero
connotava la quotidianità ed i ceti inferiori.
Significativi mutamenti, testimoniati fra gli altri dal Tolu
Liperi,9 avvennero verso il 1860, relativamente all’abito
cerimoniale delle donne benestanti.
Allora il fine scarlatto soppiantò del tutto la saia e l’or-
bace, e venne utilizzato per la capitta, la gonna ed il
giubbetto, che non presenta più lo squarto dall’ascel-
la al polso nelle maniche, ormai strette e sagomate
ed adorne sempre più spesso di bottoni in filigrana
d’argento anziché di quelli, prima più comuni, in la-
mina (a buccia). In quella fase il soggolo non viene
più confezionato con il lino tessuto in casa ma con
giacconetta 10 o bisso trasparenti.
Molte gonne e capitte sono ornate, invece che con
i tradizionali stretti nastri bianchi o rosa, con larghi
galloni commerciali di seta candida a fiorami (sos
gallones de peri sa idda).
Già attorno al 1880 queste orlature subiscono arric-
540
chimenti: diventano più alte e recano graziosi rica-
mi floreali policromi eseguiti in loco. Nello stesso
periodo si rinuncia spesso al vecchio sistema di

334
542
chiusura del busto con nastri, sostituito da due appen- Note
dici triangolari munite di ganci metallici.
È verso i primi del 1900 che il costume di gala assume
tutti i caratteri noti: lo scarlatto, infatti, viene soppiantato
dal terziopelo, il velo è di tulle, le balze delle sottane,
1. Non è questa la sede per elencare le numerosissime fonti riguar-
non più fittamente plissate, ma acannonadas,11 ancora danti i due costumi in argomento, certo fra i più documentati dell’inte-
più alte, si ornano di vistosi fiorami che, grazie al sa- ra Isola. Si citano soltanto i più significativi.
piente impiego dei punti “pieno e raso”, appaiono fine- Per Osilo: A. della Marmora 1826, Voyage; V. Angius, voce Osilo, in G.
Casalis 1833-56; A. Bresciani 1850; E. Costa 1913; F. Tolu Liperi 1913.
mente sfumati tanto da dare l’impressione di profondità. Fonti iconografiche: F. Alziator 1963, Luzzietti ; F. Alziator 1963, Comi-
Anche la capitta è circondata dalla medesima balza, notti; L. Piloni, E. Putzulu 1976.
Per Ploaghe: V. Angius, voce Ploaghe, in G. Casalis 1833-56; E. Costa 1913.
sottolineata da ruches di organza, tanto che il terziope- Fonti iconografiche: oltre a immagini contenute nelle opere sopracitate,
lo è visibile in un esiguo settore e l’indumento, rispetto risultano molto interessanti due dipinti conservati nella parrocchiale di
ai precedenti esemplari in panno, è ormai quasi rigido. Ploaghe, pubblicati in: G. Spanedda, Giustizia e Comunità nella Baro-
nia di Ploaghe, Roma 1995. Per i documenti d’archivio vedi alla nota 8.
Il Tolu Liperi individua giustamente fra le cause dei mu-
2. Ad Osilo si può agevolmente osservare la grande cura che viene ri-
tamenti del costume la volontà delle fanciulle agiate di servata alla conservazione dei costumi. La gonna di velluto viene spes-
distinguersi dal resto della popolazione femminile ed il so riposta, con le pieghe ben sistemate interponendo carta di giornale
progressivo abbandono delle antiche attività di tessitura arrotolata entro un’apposita cassa lignea, utilizzata anche per traspor-
tarla. Una sagoma rigida rivestita di tessuto serve per adagiare la capit-
e di filatura che consentì alle donne d’Osilo di “gingil- ta affinché non si sformi.
larsi” con l’ago. A questi fattori bisogna senza dubbio 3. Nel paese è possibile trovare antiche camicie, di proprietà privata,
aggiungere la massiccia offerta di tessuti serici di impor- ascrivibili alla metà del 1800, non dissimili da quelle di Ittiri descritte in
tazione presso le comunità isolane, avvenuta a partire questo volume, ma confezionate in lino. Ad epoca più recente risalgo-
no esemplari in cotone, con scollo ricamato in rosso, a mezzo punto o
dalla metà del 1800, la creazione di scuole di ricamo punto croce, con motivi di cuori, croci, calici, fiori stilizzati. Oggi, talo-
presso gli asili di suore aperti nel paese e la spinta al- ra, sotto il costume viene indossata una sottoveste di cotone, priva di
maniche, di modello cittadino.
l’arricchimento delle fogge determinata dalla ribalta del-
le parate folcloristiche e dai premi per i costumi più bel- 4. Alcuni busti recenti sono privi di bretelle.
li e pittoreschi, in voga già alla fine del 1800. 5. Naturalmente esistono soluzioni per così dire “intermedie” fra le
due fogge: ad esempio non sono insoliti abiti di scarlatto con ricami
Per quanto attiene Ploaghe, è evidente il netto cambia- in oro ed accostamenti di giubbetti di velluto con la gonna ornata di
mento della gamma cromatica dei costumi segnato dal- panno rosso (su mesu velludu).
l’abbandono, nella metà del 1800, dell’antico “abito ric- 6. Attorno al 1920 si afferma a Ploaghe la foggia feriale moderna, con blu-
se, gonne pieghettate scure che giungono al polpaccio e scialli frangiati.
co”, denominato ’este a sa tadaja (veste alla balia),12 che
comprendeva la classica gonna scarlatta, il velo bianco 7. Ritengo probabile che nell’800 il giubbetto indossato quotidianamen-
te, in occasioni festive venisse rovesciato evidenziando il lato interno
ed il giubbetto con buttonera del comune vestito festivo più pulito.
logudorese, in forme non troppo distanti da quelle coe- 8. Tutto questo si attinge ampiamente dagli atti d’archivio pubblicati dal
543 544
ve d’Osilo. compianto F. Orlando 1998.
La foggia che tutti conosciamo, in effetti, sembra trarre rire non prima del 1880, così come i ricami floreali.16 Dalle vicende dei due costumi, in sintesi, emerge come 9. F. Tolu Liperi 1913.
verosimilmente origine da un abito non festivo e non Le ulteriori alterazioni subite dal costume ploaghese ven- da vesti sette-ottocentesche nelle quali aveva spicco il 10. Veniva denominata giacconetta o ciacconetta una sottilissima tela di
esclusivo del ceto egemone.13 Agli inizi del 1800 tale ve- gono stigmatizzate dalla giuria della Cavalcata del 1899: rosso, attraverso successive scelte di tessuti e cromatismi cotone.
ste conviveva con quella “di alta gala” rossa ed eviden- la croce del copricapo è quasi invisibile ed ormai giallo diversi (cremisi e bianco ad Osilo e tinte scure a Ploa- 11. Il terziopelo mal si adattava alla fitta pieghettatura, tipica delle gon-
ne di panno, perciò veniva lavorato a larghe pieghe stondate, desinenti
ziava un copricapo formato da un lungo telo giallo ap- arancio anziché, come era prima, giallo-oro ed il celeste ghe) siano stati elaborati abiti cerimoniali esclusivi delle da una bassa banda increspata alla vita, per prevenire la rapida rottura
pena orlato agli angoli di celeste ed una gonna d’orbace che la contornava si è trasformato in blu; la gonna non è località di appartenenza. della delicata stoffa lungo pieghe a sezione acuta. Perciò la lavorazione
del terziopelo avveniva interponendo fra le pieghe strisce rigide otte-
nero con bassa balza turchina e con le due aperture ver- più conclusa dalla tipica balza turchina ma da stoffe va- Linee comuni di entrambi i percorsi evolutivi, comun- nute arrotolando fogli di giornale, per pressione, e tenendole per alme-
ticali ai lati del pannello anteriore, presso la vita, rinfor- riamente operate, in tutti i toni scuri dell’azzurro, del blu que, sono la rinuncia ai tessuti locali, la crescente impor- no un anno.
zate con panno rosso. e del violetto.17 L’abito ha ormai assunto le caratteristiche tanza assunta dalle sete, il significato di distinzione della 12. La denominazione deriverebbe dal fatto che nell’antica cerimonia
Una ricca serie di immagini consente di seguire le pro- note, ma sarà negli anni posteriori alla I Guerra Mondia- classe benestante attribuito al velluto cremisi, l’affermarsi del trasporto del corredo nuziale, le donne che sostituivano ritualmen-
te le madri degli sposi portavano quel costume. Non è escluso però
gressive trasformazioni del mantéddu, nel quale la ban- le che si arricchirà di quei ricami d’oro che segnano la di ricami sempre più elaborati dopo il 1880 e la ricerca che il costume ricco logudorese fosse imposto alle balie paesane dalle
da celeste diviene sempre più larga sino a delimitare foggia del ceto dominante. di una linea sempre più snella nella sagoma degli abiti, famiglie abbienti sassaresi che le tenevano a servizio.
una grande croce gialla, che dalla metà del 1800 ridurrà Le motivazioni dei cambiamenti appena sintetizzati sono che nell’800 erano caratterizzati dalla stratificazione di 13. La destinazione non festiva pare emergere dal fatto che la gonna
in maniera crescente le sue dimensioni.14 le medesime segnalate per Osilo, ma vanno ricercate più sottane e da gonne con ampi profili a campana. era più spesso d’orbace e che talora il costume non comprendeva il
giubbetto.
Analogamente, nella gonna, che ormai adotta preferibil- anche nella tendenza a differenziare decisamente il co-
14. Questo pone seri dubbi sull’attendibilità della presunta origine del-
mente panno nero anziché orbace, la balza aumenta di stume da quello dei paesi circostanti e nella voga della la croce sul mantéddu a seguito del voto per una pestilenza.
anno in anno in altezza e le masculas rosse divengono moda cittadina che imponeva l’eleganza dei colori scuri 15. Vedi le descrizioni di V. Angius e le immagini del Cominotti. Cfr.
progressivamente più ampie. e del nero opponendosi a quelli sgargianti del 1700. 543. Luciano Baldassarre, Donna d’Osilo, 1841, litografia a colori alla nota 1.
Si deve tener conto che, mentre l’esistenza della groppa Questo potrebbe spiegare il rifiuto della foggia comune da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni. 16. La prima immagine datata che conosco della ’este ’e velludu è con-
e l’uso dello scarlatto per il giubbetto e le finiture della logudorese con gonna rossa, ma non si possono scarta- 544. Femme de Ploaghe, 1850-63, litografia a colori dal Journal tenuta in: G. Voltan, Lo sport in Sardegna, Torino 1882, p. 90. Nel me-
Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni. desimo volume è riprodotto un costume da giovinetta di Ploaghe, di
gonna sono attestati almeno dal primo venticinquennio re possibili rivoluzioni nella scala sociale della comunità tipo meno evoluto, erroneamente attribuito a Nuoro (p. 96) ed un co-
Molte delle caratteristiche reali dell’abito di Ploaghe appaiono
del 1800,15 l’introduzione del velluto cremisi e del ter- ploaghese ed il decadere delle famiglie di prinzipales male interpretate dall’autore della stampa, che ci restituisce un stume femminile d’Osilo, ancora in scarlatto e con balze già ricamate.
ziopelo a fiori per l’abito delle “ricche” sembra compa- che riservavano per sé quegli abiti. “modello” di costume poco credibile. 17. E. Costa 1913, p. 210.

336 337
L’invenzione del corpo arcaico.
L’abito tradizionale sardo nella cultura visiva tra Otto e Novecento
Giuliana Altea

Abiti, corpi, immagini tamorfosi. Secondo Anne Hollander, la cultura visiva


Le immagini delle arti visive costituiscono una fonte rico- delle varie epoche ci mostra «non come i vestiti erano
nosciuta per la storia del costume, disciplina che – d’altro fatti, ma come ci si aspettava e si credeva che essi e i
canto – deve non poco alla storia dell’arte e alla sua corpi dentro di essi apparissero».4 Ogni civiltà produttri-
preoccupazione per la datazione dei dipinti. Accomunate ce di immagini elabora una propria idea circa l’aspetto
in origine da un pronunciato interesse per l’analisi e la più “naturale” e desiderabile dei corpi, nudi o vestiti,
classificazione formale, negli ultimi decenni la storia del ed è dalle immagini che gli individui imparano ad at-
costume e la storia dell’arte hanno entrambe imboccato teggiarsi, a muoversi dentro gli abiti.
una strada che le ha portate a incrociare le loro prospet- Questo discorso, avverte Hollander, vale soltanto per
tive con quelle della storia sociale, della sociologia e dei l’abbigliamento di moda, mentre la non-moda, l’abbi-
“cultural studies”.1 Ecco perché questo scritto, che consi- gliamento tradizionale, pertiene a società generalmente
dera da un punto di vista storico-artistico le rappresenta- prive di una forte cultura figurativa, anche se provviste
zioni dell’abito tradizionale della Sardegna, non si propo- di un ricco patrimonio di artigianato; l’apparenza del
ne tanto di esaminare l’abbigliamento popolare attraverso corpo etnico o popolare è stata quindi originariamente
i documenti delle arti visive, né di osservarne le rappre- costruita senza riferimento alle immagini,5 a quelle del-
sentazioni sotto il profilo estetico, quanto di considerarle l’arte come a quelle riflesse dagli specchi.6 La moda è
alla luce delle complesse e stratificate relazioni tra le im- autoriflessiva, la non-moda non lo è. I corpi etnici, mo-
magini e i loro significati culturali. dellati dalla consuetudine con l’abito tradizionale, han-
Non si vorrebbe, in altre parole, cercare nelle opere no una coscienza di sé che non deriva dall’assimilazio-
d’arte testimonianze della formazione e dello sviluppo ne di codici visuali e dal costante confronto con essi.
del costume popolare,2 servirsene quale supporto per «Noi non sappiamo neppure portare il vestito moderno
una descrizione del sistema vestimentario sardo,3 ma come si deve», dice una delle donne di Desulo intervista-
interrogarsi invece sui rapporti tra le rappresentazioni te da Marinella Carosso nell’ambito di uno studio sull’uso
(artistiche e d’altro genere) dei costumi e i contenuti dell’abito tradizionale in quel paese.7 «L’indossare l’abito
ideologici di cui esse sono ad un tempo prodotti e pro- tradizionale – commenta Carosso – diventa una maniera
duttrici. In particolare, interessa qui vedere come la di vivere il rapporto col proprio corpo, così come deter-
rappresentazione (e la percezione) del costume sia in- mina un certo comportamento. In effetti, l’abito indossa-
separabile da quella del corpo che lo indossa, e come to implica un modo di tenersi ritte; le tasche della gonna
questa a sua volta dipenda da un insieme variabile di sulle anche (nésigas) determinano una maniera di tenere
assunti culturali. Se nelle immagini ottocentesche e pri- le braccia staccate dal corpo e di camminare ‘a mani lar-
monovecentesche il vestiario tradizionale sardo è con- ghe’ manos iskappas. Gli elementi appoggiati sulla testa
traddistinto da elementi relativamente stabili, cambia limitano i movimenti del busto e conducono lo sguardo
però l’apparenza degli abiti, il profilo che disegnano e a dirigersi davanti a sé». Non si tratta, peraltro, di un con-
con cui tagliano lo spazio, la maniera in cui cadono le dizionamento di carattere esclusivamente pratico e mate-
stoffe; ugualmente, il corpo che essi rivestono cambia riale, determinato dalla forma e dalla consistenza degli
nelle proporzioni, nei gesti, nelle posture. indumenti (a Desulo, le donne che vestivano il costume
Il corpo, in effetti, è un costrutto culturale alla cui defi- abitualmente avevano un portamento e un modo di
nizione concorrono idee, propositi e miti collettivi con- muoversi diverso da quelle che lo indossavano solo in
tinuamente rinnovati; le immagini di moda offrono la circostanze particolari, matrimoni, processioni, sfilate);8
visualizzazione più clamorosa di queste successive me- piuttosto, la pesantezza e rigidezza di questi, i vincoli
che impongono al movimento fisico sono interiorizzati
545. Mario Mossa De Murtas, Sposa del Campidano, 1918-22 ca., come altrettanti vincoli morali, condivisi con la comunità
545 olio su tela, Cagliari, coll. Piloni. locale e derivanti dall’identificazione con essa.

339
Posti di fronte al compito di raffigurare dei corpi etnici,
gli artisti di ambito non popolare lasciano filtrare nella
rappresentazione i modelli della propria cultura visiva,
e dunque della propria cultura tout court. Per mezzo di
una serie di impercettibili aggiustamenti e correzioni di
forme e di linee, i documenti visivi ci mostrano come
anche nelle immagini dei costumi emerga la nozione di
un corpo “contemporaneo”, di volta in volta plasmato
dalle predilezioni estetiche proprie a ciascun momento
storico. Quando non hanno visto in questa circostanza
un limite all’attendibilità dei materiali iconografici ai fini
della propria indagine,9 gli studiosi che si sono occupa-
ti dell’abbigliamento sardo l’hanno attribuita a un pre-
meditato intento degli artisti di adeguare il loro lavoro
al gusto del pubblico borghese;10 se si dà credito alle
tesi di Hollander, si deve invece pensare che si tratti in
buona parte del riflesso spontaneo di schemi inconsa-
pevolmente assimilati.

546. Giuseppe Cominotti, Batia (vedova) d’Ossi, 1825, acquerello


su carta, Cagliari, Biblioteca Universitaria (particolare).
547. Giuseppe Cominotti, Taille parfaite, 1826, acquerello su carta,
Cagliari, Biblioteca Universitaria (particolare).
Busto di linea triangolare, seni alti e ben distanziati, punto vita
leggermente rialzato: la vedova contadina ha nelle tavole di Cominotti
la stessa silhouette della signorina elegante.

548 551

ci informa sulle usanze dell’acconciatura dei capelli e grembiule, ha il busto dalla forma a triangolo, i seni alti
sui copricapi maschili (Fisionomie sassaresi ), registra e il punto vita leggermente rialzato e nettamente sottoli-
travestimenti carnevaleschi oggi scomparsi (Li studianti neato che ritroviamo nei figurini del momento. Se la
in mascara), e così via. mettiamo vicino a una delle due eleganti raffigurate da
Malgrado ciò, i corpi che Cominotti immagina sotto i ve- Cominotti nella tavola Taille parfaite (fig. 547) (inserita
stiti popolari sono quelli costruiti dalla moda: la Batia nella raccolta anche se priva di ogni riferimento all’abito
(vedova) d’Ossi della tavola n. 4 (fig. 546), col suo dop- tradizionale), ci accorgiamo di come le sagome delle
pio soggolo bianco e nero, il corsetto a stringhe e il due figure siano quasi perfettamente sovrapponibili: la
taille della vedova, sebbene appena modificata dal lieve
547
gonfiarsi della gonna sui fianchi, non è meno parfaite
Abiti etnici e corpi di moda: l’Ottocento secondo i criteri della moda di quella dell’azzimata si-
Quando Giuseppe Cominotti, architetto piemontese gnorina. Nelle figure maschili, nelle quali l’analogia con
giunto in Sardegna negli anni Venti dell’Ottocento co- la silhouette contemporanea è meno evidente, un con-
me funzionario dell’amministrazione sabauda, disegna fronto simile si può proporre tra il Pizzinnu vindendi
la sua Raccolta di trenta costumi sardi particolarmente
di Sassari e suoi dintorni, ha cura di specificare sul
frontespizio: disegnati dal vero negli anni 1825 e 1826. 548. Joseph Trentsensky, Sarabus aus Sardinien, prima metà sec. XIX,
Le tavole ad acquarello, ricche di notazioni pungenti e litografia, Cagliari, coll. Piloni.
di particolari curiosi, non danno motivo di dubitare dei 549. Costume Parisien, 1814. Figurino dal Journal des Dames
propositi realistici dell’autore. Con uno stile fresco, spi- et des Modes, Parigi.
gliato, ma attento alla resa del dettaglio, Cominotti ci 550. Costume Parisien, 1817. Figurino dal Journal des Dames
et des Modes, Parigi.
consegna un’immagine tutt’altro che stereotipa della vi-
ta sarda:11 descrive i popolani nel loro abbigliamento I costumi del Sarrabus visti col filtro della moda del primo Ottocento:
foggia aderente che rivela la struttura del corpo per lui, taglio a vita
quotidiano (La filugnana-Costumi di Tissi ), documenta alta per lei, non troppo diversi dai contemporanei figurini delle riviste
le fogge di transizione di quest’ultimo dal vestito tradi- illustrate.
zionale all’abito borghese (Venditrici di pane sassaresi, 551. Luciano Baldassarre, Pastora della Gallura, 1841, litografia a
546 Cucina sassarese, Le donne al Rosello in Sassari, ecc.), colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni.
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finociu (ragazzo che vende finocchi) e il giovane spasi-


mante di Li studenti innamorati a Sassari: nel primo, il
taglio attillato del giubbetto, la linea delle brache e dei
borzacchini echeggia l’effetto creato nel secondo dal pa-
strano e dai pantaloni. Ora, quando si sa, come in que-
sto caso, che un pittore non intendeva idealizzare i suoi
soggetti, e tuttavia raffigura abiti e corpi in modo analo-
go a quello che si osserva in immagini idealizzate, «si
può concludere che essi rappresentino non l’ideale ma
la verità secondo la percezione generale».12 Cominotti di-
pinge quindi effettivamente ciò che vede, ma lo vede at-
traverso il filtro di un complesso di aspettative culturali.
Quanto si è detto per Cominotti vale anche per la mag-
gior parte degli autori ottocenteschi di tavole raffiguranti
costumi sardi. Pochi anni prima dell’architetto piemonte-
se, Joseph Trentsensky, elegante disegnatore neoclassi-
co, offre un’altra testimonianza dell’intrusione della mo-
da nella resa dell’abbigliamento e del corpo popolari.
Nell’incisione di Trentsensky che ritrae una coppia del
Sarrabus (fig. 548), la donna indossa un costume curio- dell’ideale femminile, che ha adesso il busto più allunga- combinano a formare una rappresentazione che, pur es-
samente altocinto, la cui linea, non documentata altri- to, la linea delle spalle arrotondata e cadente (qualità sendo ricca di particolari osservati dal vero (la descrizio-
menti tra le fogge sarde, riporta alle vesti Impero taglia- destinata a rimanere in auge sino alla fine degli anni Ot- ne del ballo tondo, il suonatore di piffero e tamburo,20
te sotto il seno diffuse fino al principio degli anni Venti tanta),15 la gonna morbidamente espansa (fig. 551). Un perfino la chiesa sullo sfondo, recentemente identificata
(figg. 549-550); nel rappresentare il suo compagno, l’ar- ideale rispecchiato anche, a un diverso livello di qualità con quella di S. Lussorio a Selargius),21 colpisce oggi co-
tista ha fatto del proprio meglio per lasciar trasparire, artistica, da Giovanni Marghinotti, il maggior pittore sar- me complessivamente inattendibile. Memore – come la
sotto gli strati di tessuto, la ben proporzionata anatomia do di epoca romantica,16 nella cosiddetta Panettera,17 un critica ha unanimemente notato – del Goya dei cartoni
classica richiesta dalla moda maschile dei primi decenni dipinto pressoché coevo alle illustrazioni di Baldassarre per le arazzerie reali, Marghinotti ci mostra villani e foro-
del secolo, quando il taglio degli abiti da uomo puntava Luciano. La Panettera (fig. 552) mostra infatti un punto sette, atteggiati con garbo un po’ lezioso, mentre balla-
a creare, attraverso spalle discretamente imbottite e pan- vita leggermente ribassato, nonché quel segno di “aristo- no, amoreggiano e banchettano sull’aia. Se i loro abiti
taloni collanti, una sorta di «nudo classico fatto intera- crazia fisica” di cui D’Annunzio avrebbe lamentato l’estin- sono identificabili, con maggiore o minor precisione, co-
mente di lana, pelle e lino».13 zione a fine secolo,18 le spalle cadenti, qui sottolineate me costumi soprattutto del Campidano, le gonne delle
Nel 1841, le litografie che ornano i Cenni sulla Sarde- dalla profonda scollatura e dall’incrocio del fazzoletto. contadine sedute a terra, apparentemente fatte di seta e
552 gna di Baldassarre Luciano14 registrano il mutamento Lo stesso tipo femminile ritorna nell’olio Festa campestre non di pesante orbace, si allargano con un’abbondanza
in Sardegna (fig. 553), dipinto da Marghinotti circa venti di tessuto che fa pensare alle nuove proporzioni assunte
anni più tardi (1861). Nel quadro, giustamente indicato, dalla crinolina; un tratto di moda echeggiato anche, nel-
insieme al suo pendant Partenza per la festa (1862), co- lo stesso periodo (1850-63), dalle tavole di costumi sardi
me un “caposaldo iconografico” per l’arte locale,19 le pubblicate dal Journal Amusant nel contesto del suo
convenzioni pittoriche, il riflesso del canone estetico “Musée Cosmopolite” (figg. 555-556).22 Certo, a differen-
contemporaneo circa l’apparenza del corpo e una pro- za dei contadini e dei pastori ritratti nella maggior parte
babile volontà di idealizzazione da parte dell’autore si delle illustrazioni etnografiche, quelli dipinti da Marghi-
notti non sono dei semplici manichini, hanno una vita-
552. Giovanni Marghinotti, Panettera, 1842 ca., olio su tela, Sassari, lità e una carica emozionale che rispecchiano la simpatia
Museo Nazionale G.A. Sanna. con cui il pittore guarda alla gente della propria terra.23
Nella popolana dipinta da Marghinotti come nelle tavole di costumi Uomini e donne si muovono però con una scioltezza e
di Baldassarre Luciano, la linea cadente delle spalle e l’ampiezza disinvoltura inaspettate, e con gesti che non stonerebbe-
della gonna rispecchiano le linee della moda degli anni Quaranta ro in un salotto borghese, assecondati dalla morbidezza
dell’Ottocento.
di stoffe leggere e permeabili alla luce.
553. Giovanni Marghinotti, Festa campestre in Sardegna, 1861, Nella seconda metà del secolo, con l’affermarsi delle
olio su tela, Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna.
poetiche realistiche e la diffusione della fotografia, le im-
554. Carriage & Morning visiting dresses, figurini inglesi degli anni magini dei popolani sardi consegnateci dalle illustrazioni
Quaranta dell’Ottocento.
dei libri di viaggio o dalle stampe etnografiche si fanno
555. Femme d’Osilo, 1850-63, litografia a colori dal Journal Amusant,
Parigi; Cagliari, coll. Piloni.
meno schematiche, acquistano un aspetto più naturale.
Tanto le litografie di Giorgio Ansaldi (Dalsani) apparse
556. Femme de Sinnai, 1850-63, litografia a colori, dal Journal
Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni. nel 1878 sul periodico cagliaritano Buonumore (fig. 557),
quanto le incisioni di cui lo scrittore e pittore Gaston
Nelle illustrazioni di metà Ottocento, il volume delle gonne dei
costumi sardi aumenta in proporzione al gonfiarsi delle crinoline Vuillier correda nel 1891 le sue cronache di viaggio in
553 nella couture dell’epoca. Sardegna24 risentono meno di altre della suggestione del

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corpo contemporaneo; quelle di Vuillier si direbbero al- associato a quel tipo di abbigliamento le vuole invece della Provincia di Sassari, un Ingresso trionfale a Sassari di ogni caratterizzazione etnica riguardo al portamento.
meno in parte elaborate sulla base di materiali fotografi- appoggiate alla cintura),27 la ragazza che porta il Costu- di Giommaria Angioy (1879) (fig. 1) in cui gli abiti tradi- Gesti e atteggiamenti sono pensati in funzione della cal-
ci.25 Tuttavia in entrambe le serie si coglie, nelle immagi- me ricco di Dorgali regge tra le dita un fiore sollevando zionali della folla festante hanno numericamente e visi- colata regia dell’insieme; se, invece che costumi popola-
ni femminili, una tendenza a sostituire, al torso con i seni il mignolo con gesto di studiata ricercatezza (fig. 558); in vamente il sopravvento sui panni borghesi e le vesti tala- ri, i personaggi indossassero abiti alla moda, non note-
alti e ben divisi comune nei disegni degli anni Venti- Le canefore d’Aritzo di Vuillier (fig. 560), la portatrice ri;29 il piemontese Giovanni Battista Quadrone, chiamato remmo alcuna differenza. Le scene sarde di Quadrone
Trenta e alle più modeste scollature degli anni Quaranta, d’acqua a destra cammina reggendo con la mano un in Sardegna dalla passione per la caccia, comincia negli hanno una verità di resa che le stacca dal tono aneddoti-
un indistinto ma abbondante rigonfiamento pettorale, lembo della gonna, gesto che, entrato nell’uso negli ulti- anni Ottanta a trarre spunti pittorici dai propri soggiorni co di molti suoi lavori precedenti, tanto che la critica ha
che da un lato corrisponde all’effetto creato dalle camicie mi decenni dell’Ottocento, consentiva alle donne di go- nell’Isola.30 attribuito a questa “scoperta” della Sardegna la svolta
sarde, con la loro ricchezza di pieghe, dall’altro fa pensa- vernare l’eccesso di stoffa dello strascico, mostrando al Sciuti – fedele al noto precetto morelliano di rappresen- dell’artista verso un fare meno manierato e più schietto.31
re al busto voluminoso e senza visibile separazione di tempo stesso il piede e un barlume di caviglia,28 come si tare cose «non viste, ma immaginate e vere ad un tem- I suoi contadini (seppure occasionalmente non immuni
seni caratteristico dell’ultimo quarto del secolo.26 Eviden- può vedere in vari dipinti dell’epoca (fig. 559). po» – mette in scena paesani sardi che, per quanto pun- da stereotipi sentimentali, come la coppia di innamorati
temente, il modo particolare in cui la camicia dell’abito Nell’ultimo quarto del secolo, sul mondo popolare sardo tigliosamente descritti nei dettagli del vestito, mancano in riva al mare di Idillio in Sardegna, del 1884)32 sono ri-
tradizionale riveste il corpo comincia ad essere percepito comincia a posarsi lo sguardo dei pittori. Alla fine degli tratti con una cura lenticolare che indugia volentieri sulla
con esattezza nel momento in cui viene a coincidere con anni Settanta il siciliano Giuseppe Sciuti inserisce, nel descrizione di vesti lacere, rammendate e sporche.
559. Giovanni Boldini, Madame Max, 1896, olio su tela,
la silhouette divulgata dalla moda. programma decorativo del Salone Consiliare del Palazzo Parigi, Musée d’Orsay.
L’aria straccionesca, da “pitocchi” che l’artista conferisce
Accade inoltre che Ansaldi e Vuillier, come già i loro non di rado ai suoi modelli è specchio fedele di una
560. Gaston Vuillier, Le canefore d’Aritzo, 1891,
predecessori, attribuiscano ai contadini gesti dalla chiara 557. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Lanusei, 1878, litografia da Les îles oubliées … la Sardaigne, Parigi 1893.
realtà di stenti e di miseria, ed è d’altronde un dato at-
connotazione non popolare. Nelle tavole di Ansaldi, il litografia a colori da Il Buonumore, Cagliari 1878; Cagliari, coll. Piloni. testato dall’abbondante materiale fotografico giunto fino
Costume popolare e gesti non popolari: la camminata con la gonna
giovane in Costume di Fonni tiene le mani in tasca con 558. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume ricco di Dorgali, 1878, raccolta a mostrare la caviglia accomuna la contadina sarda descritta a noi; tuttavia nelle foto questo aspetto finisce per no-
la nonchalance di un cittadino (l’atteggiamento canonico litografia a colori da Il Buonumore, Cagliari 1878; Cagliari, coll. Piloni. da Gaston Vuillier e la dama elegante ritratta da Boldini. tarsi appena, relegato in secondo piano dalla dignità e

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dalla fermezza dei gesti, che riassumono il corpo en-


tro contorni netti e sembrano come ridurre a sintesi
anche i cenci e la sporcizia (fig. 562). Proprio quei ge-
sti fermi e sintetici, però, non entrano nell’orizzonte
del pittore, così attento a registrare i particolari; il suo
occhio si fissa invece su pose e movenze che colpi-
scono per la loro freschezza e naturalezza (fig. 561),
ma che proprio per la stessa ragione non colgono la
tipicità di un portamento altamente formalizzato qual
era quello delle popolazioni rurali sarde. Il diverso è
da lui ricondotto automaticamente al già noto: la don-
na e la bambina di Cortile campidanese (fig. 563) col-
te in un atto così spontaneo ed efficace, sembra di ve-
derle vestite alla moda degli anni Ottanta, o, perché
no, addobbate in uno dei travestimenti storici dei qua-
li l’artista amava paludare le sue modelle per poi ri-
trarle in pose squisitamente contemporanee.33 Sembra
quindi una forzatura insistere, come si è fatto recente-
mente, su un Quadrone primitivista, preda del fascino
solenne e misterioso di una cultura arcaica e volto ad
esaltarne la specificità.34 Cronista scrupoloso e attento
del mondo popolare sardo, il pittore non ne percepi-
sce l’alterità se non per riportarla entro i limiti rassicu-
ranti di una realtà conosciuta.

561. Giovanni Battista Quadrone, Il guado, 1884, olio su tavola.


562. Visioni di Sardegna, cartolina illustrata, prima metà sec. XX.
Editore Giuseppe Dessì, fotografia di Alfredo Ferri.
563. Giovanni Battista Quadrone, Cortile campidanese, 1884,
562 olio su tela. 563

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L’abito tradizionale da marchio di subalternità la Sardegna non può che rimanere stupito dalla fascina- che «i sardi non hanno amato molto l’abito tradizionale, dell’Unione Sarda 41 descrive le reazioni provocate dalla
a simbolo identitario zione, potremmo dire quasi l’ossessione, per il costume sentito non come emblema di una etnia ma come spec- vista di una bella ragazza in costume di Osilo: «Gli am-
Come si è visto dagli esempi citati, per tutto l’Ottocento popolare rispecchiata dalla produzione dei suoi artisti chio di una situazione di soggezione ed arretratezza»,39 è miratori che sul principio s’accontentavano di voltarsi,
è principalmente alla curiosità dei viaggiatori che dob- tra i primi del Novecento e gli anni Quaranta. Nei dipin- anche vero che la rivalutazione del costume, innalzato a poi di fermarsi, finirono per seguire, da uno diventar
biamo le raffigurazioni dei costumi della Sardegna: diari, ti, nelle sculture, nei lavori d’arte applicata l’immagine vessillo di un’identità faticosamente inseguita, gioca un dieci, da dieci cinquanta, da cinquanta cento»; le frasi
memorie, cronache e reportage dall’Isola, arricchiti da il- dell’abito tradizionale ricorre senza sosta; messi da parte ruolo importante nella cultura sarda della prima metà salaci, la «gazzarra indecorosa, indecente», strappano al
lustrazioni che ritraggono con spirito documentario le generi consolidati come la natura morta o il nudo, gli del secolo scorso. giornalista parole indignate: «Eppure a Roma di costumi
fogge dell’abito locale.35 Molto più rare sono le opere di artisti trovano il proprio tema prevalente, quando non Con lo splendore dei suoi colori, la bizzarra eleganza strani, di fogge curiose … se ne vedono ogni giorno:
pittura e, per quel che si sa, addirittura inesistenti quelle esclusivo, nelle scene di vita paesana animate dal colore delle linee, lo sfarzo dei tessuti, il costume si presentava africani, siamesi, persiani, beduini, montenegrini, india-
di scultura. Quando si aggiungano ai dipinti di Marghi- dei costumi. Amorosamente descritti, i corpetti ricamati, come un segno ambivalente: era immagine ancestrale di ni, polacchi, russi, cinesi, americani, svizzeri, borghesi,
notti, di Quadrone e di Sciuti le decorazioni di Domeni- i giubbini di velluto, le gonne d’orbace non di rado per- bellezza ma anche di povertà e di sottomissione, e non militari, ecclesiastici, d’ogni forma, d’ogni colore … ep-
co Bruschi nel Palazzo Viceregio di Cagliari,36 l’elenco si dono il ruolo di elementi accessori per diventare il vero di rado bersaglio – nei contatti dei sardi con il mondo pure mai ho osservato un agglomerato così … cretino di
può dire esaurito. Dei quattro, solo il primo è sardo: centro dell’immagine. esterno – di odiosi episodi di razzismo. All’inizio del gente intorno a un costume che era bello, che non ave-
nella pittura come nell’illustrazione a carattere etnografi- Questo interesse per l’abito tradizionale, prolungatosi Novecento, non era infrequente assistere, per le vie di va nulla di ridicolo e che, per giunta, era italiano! Ah,
co, sono quasi sempre gli osservatori esterni a registrare ben oltre i limiti di durata del clima culturale che in Roma, allo spettacolo degli scherni e dell’ilarità suscitati vivaddio, non i barbari siamo noi di Sardegna!».
la pittoresca varietà dell’abbigliamento tradizionale. epoca romantica ne aveva stimolato il sorgere in tutta dal passaggio di gruppi di sardi in visita alla Capitale. Quando non sono «le miserande torme di pellegrini» a
Nel Novecento, la situazione appare rovesciata: alla pe- Europa,37 si lega al diffondersi nella regione, negli anni Gli abiti tradizionali – a quell’epoca ancora comune- «deliziare questo popolo scettico di Roma, a dar materia
nuria di rappresentazioni pittoriche del secolo prece- a cavallo tra Otto e Novecento, di ideali di riscatto poli- mente indossati nell’Isola fuori dalle città maggiori – atti- di caricature e di arguzie ai giornali umoristici della
dente fa riscontro un diluvio di immagini, in gran parte tico, economico e sociale. Impegnati nella costruzione ravano l’attenzione degli sfaccendati: «Mentre scappavo città»,42 tocca ai commercianti di bestiame in trasferta di
opera di autori isolani. Chi non conosca o conosca poco di un’identità “nazionale” sarda, gli intellettuali isolani da una conferenza e camminavo … per il corso Vittorio lavoro. All’ingresso, nel vagone di un treno, di una co-
ne cercano il fondamento nel mondo pastorale e conta- Emanuele – racconta il poeta sassarese Salvator Ruju –, mitiva di logudoresi con le bisacce di lana in spalla e le
564. Costume di Samugheo (Sardegna), cartolina illustrata, dino: un mondo che sino a poco prima era stato visto ecco, appare un gruppo di pellegrini sardi seguiti, direi berrittas in capo, «si ride, si grida, si sente dire: Sono
primo decennio sec. XX. Fotografia ritoccata. quale sinonimo di fame, miseria e subalternità culturale, quasi oppressi, da una folla di curiosi attratti dalla stra- sardignoli. Zulù! Che portate dentro quelle bisacce?
565. Giuseppe Biasi, Grande festa campestre, 1910-11, e del quale il costume era il simbolo immediatamente ri- nezza e dalla stravaganza teatrale di certi nostri costumi Guarda un po’ che zucche sulla testa! E i sardi zitti, e i
olio su tela, coll. Regione Sardegna. conoscibile.38 Se è vero quanto scrive Enrica Delitala, della parte meridionale dell’isola».40 Un corrispondente sardi pazienti … vogliono entrare, ma sono respinti,

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scacciati, insultati … Qui non c’è posto, non si sale, qui! sfruttamento del folklore ai fini dell’industria turistica.46
Andate nei treni merci!».43 Biasi, s’intende, non è meno lontano di Marghinotti dal-
Il disprezzo razzista del costume sardo s’incontra anche le preoccupazioni etnografiche degli illustratori dell’Ot-
nel ceto colto e fra gli stessi artisti. Nel 1914 il pittore tocento, ma al tempo stesso è attento a restituire una
“continentale” Carlo Mazza, vedendo, nel concorso per realtà attentamente osservata e fissata non di rado a
la decorazione del Palazzo Civico di Cagliari, il proprio mezzo di fotografie: gli abiti che vediamo nei suoi qua-
bozzetto superato da quello, folto di costumi e di scene dri sono quelli di un uso quotidiano che aveva regole
paesane, del sardo Filippo Figari, dà sfogo al proprio molto più fluide di quanto oggi sia dato ricostruire a po-
disgusto per i pastori avvolti in «laide e fetide pelli», e steriori (fig. 564).
inveisce contro «questi negri della Sardegna, che (atteg- Ciò non toglie che, come Marghinotti, anche Biasi rein-
giandosi ) ad intenditori d’arte» vogliono «a tutti i costi venti i suoi contadini: solo che, mentre il primo li ri-
fare del palazzo municipale tutta una magnificazione e modella in base a stereotipi di freschezza e innocenza
una glorificazione del callo, della mastrucca e del ballo arcadica risalenti al Settecento e rivisti alla luce del po-
sardo … Come se la loro sfera intellettuale non potesse pulismo romantico, Biasi lo fa a partire da una visione
allargarsi al di là della cerchia dei ricordi di schiavitù, di primitivista che scorge in loro gli eredi fieri e incorrotti
servaggio e di tripudio belluino».44 di un’antichissima civiltà. È questo che lo porta a sco-
Ma se agli occhi degli italiani il costume popolare iden- prirne le forme statiche e bloccate, condensate nella
tifica l’altro, l’elemento estraneo che va espulso dalla semplicità di schemi quasi geometrici. In Grande festa
compagine sociale per garantirne l’integrità, la borghesia campestre, contadine, pastori e venditori ambulanti fan-
intellettuale sarda ne fa la propria bandiera, trasforman- no tutt’uno con le loro vesti, che ne modellano le figure
do, grazie al filtro primitivista, quella disprezzata alterità attraverso profili netti e decisamente stagliati. Incornicia-
in una differenza seducente. Assunto a tramite per una ti dalle bende o incoronati dai berretti, i volti si incasto-
visualizzazione dei fermenti politici e culturali che attra- nano entro campiture di tinte omogenee, prive di risalti
versano la società isolana, l’abito tradizionale – rappre- plastici. Le gonne delle due ragazze a sinistra sono cilin-
sentato in immagini o, come vedremo, indossato fuori dri scuri su cui poggia il cilindro bianco dei torsi; quella
dal suo contesto abituale da individui non appartenenti della donna a destra è una macchia compatta dall’orlo
alle classi popolari – non si limita ad esprimere le nuove curvilineo; altrettanto unite e senza movimento cadono
idee identitarie, ma in qualche misura contribuisce esso le brache degli uomini. Tranne minimi accenni nelle ca-
stesso al cambiamento in atto.45 micie, gli abiti ignorano ogni panneggio, e non c’è da
stupirsene, perché il panneggio – che è la stoffa reinter-
L’invenzione del corpo arcaico pretata e rimodellata dall’arte, così come il nudo reinter-
Da questo ribaltamento di prospettiva, l’apparenza dei preta e rimodella il corpo spogliato – è un simbolo di
costumi e dei corpi che rivestono esce profondamente civilizzazione e di “alta” cultura,47 carico di associazioni
trasformata. Basta confrontare i quadri “sardi” di Mar- classiche che nulla hanno a che vedere con l’“arcaico”
ghinotti con quelli del protagonista del movimento arti- popolo sardo.
stico primonovecentesco nell’Isola, Giuseppe Biasi, per Alla rigidezza dei tessuti corrisponde quella del porta-
rendersi conto di come l’umanità descritta dal primo mento: tutti, perfino i bambini, sono eretti nella perso-
non abbia niente in comune con quella rappresentata na, gravi nel passo, parchi nei gesti delle mani – posate
dal secondo. sulla bisaccia o sul vincastro, chiuse intorno al rosario –
Abbiamo già visto come in Festa campestre in Sardegna e delle braccia, tenute strettamente aderenti al busto.
di Marghinotti la tipicità etnica suggerita dall’abbiglia- Sono questi gli uomini di cui si legge negli scritti degli
mento venga smentita dai corpi e dalle movenze: l’artista artisti e letterati sardi del primo Novecento: «Figure rudi
raffigura i popolani sardi avendo in mente un’immagine di montanari, [profilate] sul cielo come se fossero ger-
precostituita di corpo e un campionario di atteggiamenti mogliate dagli sterpi dei lentischi»,48 «uomini che ricorda-
fornitigli dalla propria quotidiana esperienza di vita bor- no, nelle linee dure e severe del viso, nell’atteggiamento
ghese; le convenzioni pittoriche e un probabile intento fiero … gli antichi padri mastrucati degli storici romani e
idealizzante fanno il resto. Circa cinquant’anni dopo il medioevali»;49 donne che incedono «con un passo che
collega cagliaritano, Biasi dipinge a sua volta una Gran- non è il passo di una contadina» e il cui «gesto, la grazia
de festa campestre (1910-11) (fig. 565). A prima vista, … vengono da lontano»,50 «donne di sangue e di fuoco
verrebbe da credere che, al pari di Marghinotti, anche dai profili orientali, voluttuose e ridenti nei corpetti di
lui pecchi di una certa genericità nella descrizione dei
costumi, dato che le fogge e la combinazione dei singoli 566. Francesco Ciusa, La filatrice, 1908-09, gesso,
indumenti spesso non corrispondono a quelle richieste Cagliari, Galleria Comunale d’Arte.
dai codici vestimentari che oggi ci appaiono normativi, 567. Filippo Figari, Cagliari baluardo di casa Savoia, 1916-24,
ma che sarebbero divenuti tali solo più tardi, a seguito olio su tela, Cagliari, Palazzo Civico, Salone del Consiglio.
del processo di cristallizzazione messo in moto da mani- 568. Antonio Ortiz Echagüe, La festa della confraternita di Atzara,
festazioni come la “Cavalcata Sarda” e in genere dallo 566 1908-09, olio su tela, San Sebastiano, Museo de San Telmo. 567

350
riveste appare loro come una sorprendente scultura co-
lorata, il corpo etnico è percepito quale vivente incarna-
zione dell’ideale arcaico della statua, un ideale centrale,
come ha mostrato Maria Grazia Messina, per la definizio-
ne delle poetiche primitiviste nell’arte a cavallo tra Otto
e Novecento.52
Nelle sculture di Ciusa, i rigidi contorni del costume det-
tano le linee della composizione, semplificando e asciu-
gando il classicismo rinascimentale, assimilato dall’artista
nei suoi anni formativi: qui è il cono di un mantello, là
il doppio cerchio creato dalle maniche rigonfie di una
camicia a definire il gioco dei volumi (fig. 566). I corpi
dei contadini e dei pastori, accademicamente concepiti
e veristicamente descritti, sono costretti a obbedire a
secche cadenze geometriche che li congelano in una fis-
sità arcaica (e può accadere, come in L’anfora sarda del
1928,53 che il contrasto tra il naturalismo dell’anatomia e
la stilizzazione del costume esploda in modo stridente).
Classici e accademici – di un classicismo tanto sopra le
righe da sfiorare talvolta l’autoparodia –, ma non per
questo meno statici e solenni, sono i paesani di Figari, di
cui il costume non nasconde la potente muscolatura: la
celebrata fierezza del popolo sardo fonde abiti e corpi in
una sorta di armatura bronzea, segno esteriore di un’in-
tegrità morale altrettanto salda e incrollabile (fig. 567).
Ci vorrà un osservatore incline alla trasfigurazione mitica
come D.H. Lawrence per cogliere nell’abito tradizionale
sardo la stessa nota di indomita virilità: «E vedo il mio
primo contadino in costume … come è bello e splendi-
damente maschio! Cammina con le mani appoggiate die-
tro la schiena, lentamente, eretto, distaccato. La splendi-
da inaccessibilità, indomabile … Come è bella la virilità,
se trova la sua giusta espressione! E come è resa ridicola
dagli abiti moderni! … Com’è affascinante, dopo gli ita- 570 571
liani morbidi, vedere queste gambe nei loro aderenti cal-
zoni stretti sotto il ginocchio, così definite, così maschie, e, da un punto di vista documentario probabilmente fe- di analoghi riferimenti culturali: è il caso di Anselmo
con ancora tutta la loro antica fierezza».54 In Lawrence dele, della vita paesana. Bucci, che, giungendo da Parigi dove ha messo a punto
come in Figari, l’abito-corazza che aderisce alle membra Mentre è innegabile che l’esempio di Ortiz e Chicharro la propria formazione postimpressionista e sintetista, visi-
rivelandone il turgore, e la berritta, il lungo copricapo di abbia contribuito ad alimentare l’interesse degli artisti ta la Sardegna nel 1912.57 In uno dei quadri che ne ripor-
volta in volta pendulo o eretto, diventano chiari traslati sardi per la realtà contadina della loro terra, è anche ta, Il sindaco di Dorgali e l’assessore anziano (fig. 573)
569
simbolici di una «mascolinità non piegata dai tempi».55 vero però che la prospettiva in cui questi ultimi si pon- – due ruvidi totem intagliati in una pasta di colore
porpora e d’oro, severe e composte nell’abbigliamento Aiutando a far scivolare nel mito una rappresentazione gono è diversa. Al corpo etnico dipinto dagli spagnoli spesso e senza finezze –, coglie alla perfezione l’accor-
delle bende claustrali, bianchissime».51 altrimenti realistica, l’insistenza sulla rigidezza delle pose sostituiscono un corpo arcaico, che ne esaspera le carat- do tra l’astratta pezzatura di tinte del costume e l’impe-
Queste presenze fascinose e solenni non popolano sol- e sull’orgogliosa baldanza degli atteggiamenti stacca Fi- teristiche di gravità, solennità, staticità e fiera eleganza. netrabile e imperturbabile fermezza dei notabili di pae-
tanto i quadri di Biasi: le ritroviamo, tra il secondo e il gari da un precedente pittorico che pure non ha manca- Una ieratica immobilità contraddistingue i contadini di se, seduti ritti con le mani conserte o saldamente posate
quarto decennio del Novecento, nelle opere di uno scul- to di esercitare su di lui una certa suggestione, quello Carmelo Floris (fig. 570), quelli raffigurati con ossessiva sulle cosce.
tore come Francesco Ciusa, di pittori come Filippo Figa- costituito dagli spagnoli Ortiz Echagüe e Chicharro. minuzia da Cesare Cabras (fig. 569), quelli di Melkiorre Se l’interesse di Bucci si arresta prevedibilmente alla
ri, Carmelo Floris e Cesare Cabras, di illustratori, decora- Giunti in Sardegna all’inizio del secolo, Eduardo Chi- Melis (fig. 572) e di suo fratello Federico (fig. 571), in- suggestione formale del corpo etnico (trasformato dal
tori e ceramisti come Edina Altara, Federico, Melkiorre e charro e Antonio Ortiz Echagüe hanno raffigurato il gabbiati entro spigolose geometrie decorative; veri e costume in un mosaico di bianchi, neri e rossi),58 da
Pino Melis, di creatori di arti applicate come Anfossi e mondo popolare isolano nei termini realisti cari alla tra- propri feticci tribali sono i pupazzi in legno e tessuto di Biasi e dagli altri artisti sardi d’inizio secolo la semplicità
Tavolara, e di altri ancora. In varia misura e con diverse dizione del costumbrismo iberico.56 Nei loro quadri ro- Anfossi e Tavolara (fig. 574), nei quali convivono stiliz-
inflessioni stilistiche, questi artisti traspongono nei loro bustamente costruiti, illuminati da un colore pastoso e zazione astratta ed esattezza nella trascrizione delle for- 570. Carmelo Floris, Sposa in chiesa, 1932 ca.,
lavori l’impressione di staticità, rigidità e compattezza brillante, l’architettura stessa della composizione trova il me del costume. olio su tela, Nuoro, MAN.
suggerita dal corpo etnico. Se l’abito tradizionale che lo suo perno nell’abito tradizionale, rappresentato con dovi- Una cultura sensibile al fascino del primitivo ha prepa- 571. Federico Melis, Sposa antica, 1930, terraglia dipinta e invetriata,
zia di dettagli (fig. 568). La loro ricerca di scioltezza e na- rato gli artisti sardi a ricercarlo nella realtà che hanno Cagliari, Rettorato dell’Università.
turalezza, combinata con un’attenta resa delle movenze sotto gli occhi e ad intensificarne i tratti nelle loro ope- La figura della sposa contadina, fissata in una posa frontale e statica,
569. Cesare Cabras, La sposa, 1923, olio su tela. del corpo etnico, riesce a darci un’immagine persuasiva, re. Lo stesso accade a quanti arrivano nell’Isola provvisti incarna il corpo arcaico in tutta la sua rigidezza cerimoniale.

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delle movenze, la rude eleganza del portamento che lo 572. Melkiorre Melis, Donna con velo
e spighe, 1930, terracotta dipinta e
connotano vengono lette come indizi di nobiltà ancestra- invetriata, Nuoro, Archivio per le Arti
le: ai loro occhi sono segni di appartenenza a una razza Applicate.
eletta («perché se l’abito del lavoratore è sporco, il gesto 573. Anselmo Bucci, Il sindaco di
lo tradisce»),59 di cui fame e miseria non sono riusciti a Dorgali e l’assessore anziano, 1912,
piegare la dignità innata. Lo stesso abito tradizionale è olio su tavola.
visto come prova di una naturale raffinatezza di gusto; le A chi è sensibile al fascino del primitivo
contadine che ne tessono e cuciono le stoffe sono altret- non sfugge la rigidezza del corpo
etnico. Anselmo Bucci, reduce da
tante artiste. Il costume popolare isolano è «una compo- Parigi, coglie alla perfezione il
sizione astratta di colori … una vera completa pittura, portamento impettito e fiero dei due
una sicura opera d’Arte, alla quale il pittore ultimo arri- notabili di paese.
vato non avrebbe potuto aggiungere che la propria ine- 574. Casa ATTE, Uomo di Teulada
sperienza … ogni piccolo villaggio poteva essere una e Donna di Sennori, 1925-29,
corpi in legno intagliato e policromato,
buona accademia, purché il pittore avesse avuto occhio vesti in feltro e tela,
per imparare. Chi non conosce quel piccolo capolavoro bottoni in filigrana d’argento.
che è il grembiule delle donne di Orgosolo?».60

Corpi arcaici, moda e modernità


Per quanto sottoposte a una forzatura in senso primitivi-
sta (o forse proprio per questo motivo), le rappresenta-
zioni della vita sarda di Biasi e dei suoi colleghi isolani
dovevano apparire agli occhi dei contemporanei note-
volmente più efficaci e convincenti di tutte quelle che le
avevano precedute: non stupisce che nel 1910 si pen-
sasse all’artista sassarese come al più adatto per dise-
gnare dei manichini destinati all’esposizione di costumi
sardi nella Mostra Etnografica in seno all’Esposizione di
Roma dell’anno dopo.61
Ma, se Biasi e compagni “vedono” per la prima volta il
574
572
corpo etnico dei sardi, che l’abitudine al corpo costruito
dalla moda sottraeva allo sguardo degli illustratori e dei
pittori dell’Ottocento, non per questo li si può dire im- dei contorni, la stessa stilizzazione vagamente esotica dei modelle di questi quadri hanno tutta l’aria di essere si-
muni dall’influsso del loro tempo. La filatrice di Ciusa, visi. Nella xilografia Giovinette (1912-15) (fig. 577), Biasi gnore della buona società vestite da paesane, e a volte
per esempio, trova una coincidenza con le linee asciutte manipola i contorni delle gonne in modo da evocare la lo sono davvero: così Javotte Bocconi Manca di Villaher-
della silhouette femminile della seconda metà del primo jupe-culotte lanciata da Poiret nel pieno della sua ispira- mosa e sua sorella Anna posano impassibili e distaccate
decennio grazie all’espediente della gonna trattenuta fra zione orientalista;62 in Visi di donne,63 lo scialle incorni- in sontuosi – e abbastanza improbabili – costumi di Nu-
le ginocchia (fig. 566). I corpi dipinti da Biasi, poi, ri- cia il volto triangolare con un effetto simile a quello pro- le color verde acqua e giallo senape.66 Qui Biasi tiene
sentono inequivocabilmente delle immagini suggerite dotto dal turbante in una nota illustrazione dell’album presenti esempi iconografici di Zuloaga, pittore da lui
dalla moda d’inizio secolo, in particolare di quelle crea- Les Choses de Paul Poiret.64 Qui, probabilmente, non è il molto guardato, ma sembra anche rispondere in qual-
te da un grande couturier come Paul Poiret e divulgate caso di parlare di schemi e forme inconsciamente interio- che modo alla voga della robe de style, un tipo di abito
attraverso le tavole di Georges Lepape, Paul Iribe e rizzati: il glamour della moda è uno degli strumenti di cui dal corpetto attillato e dall’ampia gonna alla caviglia,
Georges Barbier. Mentre Poiret trasforma la figura fem- Biasi – lettore della Gazette du Bon Ton, rivista d’avan- che a cavallo tra gli anni Dieci e i Venti costituì per
minile in una svelta sagoma adorna di esotici turbanti, guardia in questo campo e una delle principali testate qualche tempo un’alternativa conservatrice ai semplici e
inguainata in abiti quasi tubolari a vita alta o coperta da che contribuiscono alla diffusione del nuovo look di Poi- corti abiti a tubo venuti di moda nel dopoguerra. In ge-
pantaloni da odalisca, Lepape e Iribe operano un deciso ret – si serve consapevolmente per condurre a termine il nere rappresentata nelle illustrazioni con immagini fron-
cambiamento nell’illustrazione di moda, introducendo proprio progetto di valorizzazione della Sardegna, della tali a figura intera, di grande effetto decorativo, la robe
disegni semplici e compatti, privi di dettagli ma capaci sua cultura e della sua tradizione. Stabilire un’analogia de style aveva in sé un elemento di travestimento (ri-
di restituire l’essenza dello chic contemporaneo con la visiva tra gli abiti delle contadine sarde e le creazioni specchiato anche dal nome) che si accordava bene con
stessa immediatezza degli scatti di pionieri della fotogra- della couture parigina significava infatti rovesciare un se- lo spirito dei dipinti di cui parliamo.
fia moderna come Lartigue o Steichen (fig. 575). Moda, gno di rozzezza, arretratezza e miseria in uno di elegan- Per chi accettava o chiedeva di essere ritratta in questo
illustrazione di moda e fotografia si alleano all’arte pri- za cosmopolita, far coincidere l’idea dell’arcaico con modo, la scelta di un abito tradizionale non doveva es-
mitivista degli anni Dieci nel definire la nuova sensibilità quella della più sofisticata modernità. sere priva di significato. È da credere che questo sia il
verso una forma astratta e sintetica. È una strategia cui il pittore si atterrà anche in seguito, caso di Javotte e Anna di Villahermosa, aristocratiche ca-
Mettendo accanto alle illustrazioni di Lepape (fig. 576) le in una serie di immagini femminili a figura intera, con- gliaritane trapiantate a Milano, spinte verosimilmente da
tavole e le xilografie di Biasi, si ritrovano nelle une e nel- cepite come ritratti “in costume”. Raffigurate con indos- un sentimento “nazionale” a segnalare la loro apparte-
le altre le stesse figurine eleganti stagliate a coppie con- so abiti tradizionali piuttosto scenografici, apparente- nenza sarda, tanto più in un momento in cui l’Isola, in-
573 tro sfondi dall’orizzonte basso, la stessa semplificazione mente rielaborati dall’artista nelle fogge e nel colore,65 le nalzata agli onori delle cronache di guerra dall’eroismo

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575 576 577

eccentricità e spirito di contraddizione, lo stesso che


spinge l’artista a partecipare in abiti da equitazione a
una sfilata folkloristica, rispondendo, a chi gli domanda-
va di quale paese fosse il suo costume, «io partecipo alla
cavalcata vestito da Sardo comune…».71 L’aneddoto ac-
quista sapore se si tiene conto del fatto che buona parte
dell’aristocrazia sarda indossava, in atto di omaggio al re
in visita nell’Isola, i panni tradizionali dei vari paesi.72
La mise da teuladino suscita sensazione nel 1921, al Gran
Ballo delle Nazioni all’Hotel Excelsior di Roma, dove
Mossa si lancia in scatenati fox-trot con la nota cantante
Gabriella Besanzoni, vestita di un costume di Orgosolo
(fig. 581).73 Ben conscio della carica simbolica espressa
dall’abbigliamento, il pittore non si perita di attribuire
quasi una coloritura politica al successo riscosso in que-
sta occasione dai costumi sardi, dandogli il senso di un
della Brigata “Sassari”, godeva agli occhi degli italiani di del Salone Consiliare del Palazzo Civico di Cagliari;67 atto diplomatico di avvicinamento della Sardegna allo
una popolarità senza precedenti. nel 1916, Mario Mossa De Murtas espone nella Mostra stato italiano: «Perché talvolta ci si affiata e ci si intende
All’incirca negli stessi anni, l’uso dell’abito tradizionale dell’Autoritratto alla Famiglia Artistica di Milano la pro- di più ballando lo jazz, al suono di un’orchestra diaboli-
come simbolo identitario è documentato da parte di di- pria effigie in «un abito sgargiante di contadino cagliari- camente sincopata, anziché affliggendo il prossimo con
versi artisti. Figari non esita a vestire i panni di uno dei tano» (fig. 580),68 gesto le cui implicazioni ideologiche la eterna questione del pecorino che ha reso tanto temuti 582
suoi maschi e impettiti miliziani (fig. 567) nei dipinti sfuggono ai critici, che vi scorgono solo una delle tante e famosi i nostri parlamentari fra i loro colleghi».74
«eccentricità» e «stranezze, non sempre di ottima lega» Verso il 1929, il costume è adottato come divisa quoti- 582. Edina Altara, illustrazione per il racconto di G. Fernando,
575. Edward Steichen, Bakou et Pâtre. American, in Art e Décoration, presenti nella rassegna.69 diana dal pittore Brancaleone Cugusi,75 in un momento L’acqua muta, in Il giornalino della Domenica, 1 agosto 1920.
Parigi 1911. L’abito in questione è quello di Teulada, prediletto dagli in cui il fervore identitario d’inizio secolo, dopo aver 583. Mario Mossa De Murtas, Carnevale, copertina de Il giornalino
576. Georges Lepape, illustrazione per Paul Cornu, L’Art de la robe, artisti per il suo stravagante garbo spagnolesco. Questi trovato uno sbocco politico nel sardismo del dopoguer- della Domenica, 1920.
in Art e Décoration, Parigi 1911.
non si accontentano di esibirlo in ritratti e autoritratti, ra, è ormai entrato in fase discendente con il consolidar- Il corpo arcaico si dinamizza al ritmo sincopato della musica
577. Giuseppe Biasi, Giovinette, 1912-15, xilografia. ma in qualche caso arrivano ad indossarlo nella quoti- si del regime fascista. Anche Cugusi è un dandy eccen- degli Anni Ruggenti.
La Sardegna vista dal salotto: la linea asciutta dei figurini di Lepape dianità: mentre il pittore Stanis Dessy (fig. 578) e l’illu- trico e sofisticato: «Personaggio strano e misterioso del
e delle foto di Steichen ritorna nelle figure femminili di Biasi. stratore Tarquinio Sini (fig. 579) lo mettono per posare
Le contadinelle sarde vestono Poiret.
quale nessuno sapeva nulla»,76 colpisce la fantasia del
davanti al fotografo (e il secondo se ne fregia in un’au- giovane Costantino Nivola. «Di nobile nascita, egli era
578. Stanis Dessy in costume di Teulada, 1920.
Fotografia di Alfredo Ferri.
tocaricatura), Mossa De Murtas ne disegna per sé uno giovane, distinto e raffinato. Estremamente magro e pal-
che fa eseguire da un sarto di grido, e che porta con lido … il costume sardo che indossava sempre, autenti-
579. Tarquinio Sini, Autocaricatura, in T. Sini, A quel Paese,
Cagliari 1929. noncuranza per le vie di Roma. «Un giorno me lo vidi co o di sua invenzione, gli stava alla perfezione. Passeg-
arrivare in casa vestito da teuladino, – ricorda un cono- giava in piazza da solo o in mia compagnia. Il sarcasmo
580. Mario Mossa De Murtas, Autoritratto, 1916. Foto d’epoca.
scente – con tanto di sombrero, di collo alto ricamato, della gente di Sassari non lo toccava…».77
L’abito tradizionale sardo come contrassegno di identità: l’eleganza
spagnolesca del costume di Teulada, col grande sombrero e il colletto
di larghe brache sulle uose nere e bottoniera sul corset-
bianco inamidato, seduce tra gli anni Dieci e i Venti più di un artista. to. Era di una eleganza sopraffina».70 Portare gli abiti tra- I sardi ballano il fox-trot: la dinamizzazione
581. I sardi ballano il fox-trot, illustrazione da Il Giornale d’Italia, dizionali è da un lato una dichiarazione identitaria, dal- del corpo etnico
Roma 1921. l’altro un segno di paradossale dandismo, personale Quella della coppia di ballerini che, coperti di ruvido
orbace, si dimenano seguendo i ritmi alla moda è
un’immagine che sembra ironicamente prefigurare la
trasformazione del corpo etnico – e del corpo arcaico
che ne costituisce il riflesso primitivista nell’arte – per
effetto dei processi di modernizzazione del dopoguerra.
Prima ancora che l’incalzare dei mutamenti sociali e cul-
turali porti in vaste aree dell’Isola all’abbandono dell’a-
bito tradizionale, questo comincia ad acquistare nuovi
caratteri nelle opere di alcuni artisti sardi, resi più ricetti-
vi ai temi della modernità dal contatto diretto con l’in-
dustria culturale e dall’esperienza della vita urbana in
centri come Milano, Roma, Torino.
Tarquinio Sini, Edina Altara e lo stesso Mario Mossa De
Murtas sono tra i primi a sciogliere, nelle loro opere,
l’esasperata rigidezza del corpo arcaico (figg. 582-583).
Si tratta non a caso di artisti look-conscious, attenti alla
loro apparenza, e nella cui attività la moda occupa un 583
578 579 580 581

358 359
posto non secondario.78 Lavorando come illustratori per prorompente fisicità del nudo urta contro l’astratta geo- precedenti nella grafica primonovecentesca, e che in ri-
le riviste, come cartellonisti pubblicitari, bazzicando in metria del costume, mentre l’accenno alla maternità ferimento alla Sardegna era stato toccato qualche anno
vario modo gli ambienti dello schermo, sono divenuti smussa, senza eliminarla, l’antitesi ideologica tra sardità prima da Mossa in una copertina (fig. 585), verrà repli-
più acutamente partecipi della nuova consapevolezza dei e sensualità femminile. Restando in tema di anfore, il ri- cato dall’artista instancabilmente in successive serie di
corpi in movimento provocata dal diffondersi del cinema fiuto del nudo associato alla sardità è superato con di- cartoline.82 Nelle sue vignette, il mondo urbano è im-
e dell’istantanea fotografica.79 L’occhio meccanico, ormai sinvoltura da un allievo di Ciusa, il ceramista Ciriaco Pi- personato quasi esclusivamente da piccanti fanciulle
onnipresente nella vita quotidiana, ha familiarizzato la ras, che verso il 1924 modella due morbidi nudini in scollate e in calze di seta: una femminilizzazione che ri-
gente con la propria immagine e l’ha abituata ad avere cuffietta di Desulo come anse per una delle sue broc- specchia l’identificazione, diffusa nella cultura del mo-
coscienza dei propri gesti; questi si sono fatti via via più che in terracotta (fig. 584); ma il tabù si dimostrerà co- mento, tra moda, consumo, donna e modernità.83 La
fluidi, liberandosi da quella sorta di impaccio da cui in munque duro a morire. Ne è ancora condizionato, nel metropoli frivola, sensuale e prona alle seduzioni della
precedenza apparivano intralciati nelle rappresentazioni 1930, Stanis Dessy, che dopo aver dipinto due Bagnan- merce è confrontata con una Sardegna ipervirilizzata,
fotografiche, e per constatare il quale è sufficiente para- ti contadine in atto di spogliarsi sulla spiaggia ci ripensa simboleggiata da irsuti e satireschi paesani di Teulada
gonare l’elegante naturalezza delle mannequin nelle illu- e taglia il quadro in due, sopprimendo ogni riferimento (fig. 586): e non si fatica a immaginare quali fantasie
strazioni di moda d’inizio secolo con l’aria infagottata e a al costume.81 avrà suggerito un simile accostamento, già ricco di sot-
disagio delle donne in carne e ossa riprese dal fotografo. Nessuna pruderie ingombra invece il lavoro di Sini, che tintesi sessuali, in «altre suites di immagini più osé »,84
Chi guarda ai corpi rivelati dalla moda, animati dalla dan- sulla contrapposizione tra gli abiti castigatissimi della oggi irreperibili ma citate dalla stampa dell’epoca. (Non
za e plasmati dallo sport, a corpi magri ed atletici, ab- contadina sarda e quelli rivelatori della garçonne, la era la prima volta, va detto, che le possibili implicazioni
bronzati e cosmetizzati, non può più coltivare come giovane donna disinibita dai capelli e dalle gonne corte erotiche del rapporto tra la donna cittadina alla ricerca
ideale la ieratica staticità dell’idolo primitivo, e nemmeno che è come un’epitome del clima degli anni ruggenti, e di sensazioni forti e il rude, primitivo maschio sardo
può concepire l’annullamento del corpo, la sua identifi- sul contrasto tra i rispettivi stili di vita, imbastisce un solleticavano l’immaginazione degli illustratori: si veda-
cazione totale con gli indumenti creata dall’abito tradizio- fortunato ciclo di vignette (figg. 632-634). Il tema dei no, nel 1914, le peraltro caste tavole di Renato Ferrac-
nale. Il primitivismo statico del corpo arcaico è distrutto Contrasti tra città e campagna, che non mancava di ciù per il racconto La cena tragica di Nino Frongia).85

585

da un nuovo primitivismo ritmico e dinamico, quello del


jazz, dell’art nègre, dei vari balli moderni che impazzano
tra la gioventù degli anni Venti; l’acquisita abitudine alla
semi-nudità, all’esposizione di porzioni più o meno vaste
di epidermide (sulle spiagge, sulla scena e sullo scher-
mo, ma anche in contesti ordinari grazie a fogge di ve-
stiario sempre più succinte) frantuma l’identità corpo-co-
stume, rende possibile per gli artisti pensare all’esistenza
del corpo sotto il costume. Ad una delle sue contadine
Mossa addirittura toglie la gonna (coprendola con una
foglia di fico) nella copertina di un romanzo, una paro-
dia della letteratura deleddiana del giornalista Pasquale
Marica;80 le attraenti donnine in abiti sardi che popolano
le illustrazioni di Sini hanno anch’esse evidentemente un
corpo, delle membra agili e tornite: non sono diverse da
quelle che in altri suoi disegni ritroviamo in vaporosi e
audaci déshabillé.
In queste illustrazioni, il registro ironico e scanzonato
risolve l’opposizione tra nudità e abiti tradizionali mani-
festata da opere come L’anfora sarda di Ciusa, in cui la

584. Ciriaco Piras, Anfora con nudini ai manici, 1924 ca., terracotta
da stampo dipinta “a freddo”, Nuoro, Archivio per le Arti Applicate.
Nel clima più disinvolto degli anni Venti, gli artisti sardi arrivano
a conciliare identità etnica e fascino del corpo femminile.
585. Mario Mossa De Murtas, Contrasti, copertina de Il giornalino
della Domenica, 1920.
584
586. Tarquinio Sini, Mondanità, 1928 ca., tempera su carta. 586

360 361
590 591 592

La garçonne e il suo corrispettivo maschile, il dandy


vagamente effeminato, vestono l’abito tradizionale nelle
rare illustrazioni di soggetto sardo di Loris Riccio, dise-
gnatore di moda di Lidel e quindi, a Parigi, di Vogue e
di Modes et Travaux. In ossequio all’imperativo della
magrezza imposto dai codici dell’eleganza anni Venti,
Riccio rimuove qualsiasi accenno di seno o fianchi dal-
la figura delle sue sofisticatissime contadine. Magri so-
no anche gli improbabili paesani imbrillantinati dipinti
sulle ceramiche di Edina Altara, nelle quali il costume
sardo acquista le linee dell’ultima couture.
Il corpo arcaico si dissolve insomma sotto l’azione con-
giunta della moda e dell’ironia, elementi d’altronde inse-
parabili. Incline al pastiche, alle mescolanze, all’accosta-
mento irriverente, la moda tende sempre a presentare
una visione ironica di tutto ciò che è stato consacrato
dal tempo, della storia come della politica o della reli-
gione; l’abito tradizionale, per converso, presuppone la
fede in un insieme di valori stabili, che non è concesso
prendere alla leggera. Quando l’abito tradizionale si co-
lora d’ironia, come accade con Sini, Mossa, Altara o Pi-
ras, vuol dire che è stato già intaccato dai fluidi corrosivi
della moda.
587

Il tramonto dell’abito tradizionale entro villaggi appositamente ricostruiti, e come docu- col rossetto sulle labbra, gli occhi e le guance ritoccati schile di velluto, si può dire che – a riscontro dell’asim-
Con la fine della guerra, la moda ha cominciato a pene- menti del passato, in un museo etnografico di cui si au- dal make-up; invece dei rustici zoccoli calzati dalle mo- metria dei ruoli sessuali (la mobilità dell’uomo, evocata
trare nei paesi della Sardegna, portandovi la sua pro- spica l’istituzione (seppure alcuni obiettino che alla Sar- delle dei quadri giovanili dell’artista, le gonne corte alla in absentia dagli indumenti vuoti, contrapposta alla
messa di cambiamento, di evasione dai ruoli prefissati, degna servirebbe di più una mostra delle toilette di caviglia espongono scarpette col tacco alto, e quel poco staticità della donna) – la tela riassuma la diversa evo-
di nuove occasioni e di possibilità alternative. È a parti- Gloria Swanson che un’esposizione di mastruche e ber- di capigliatura che si affaccia dagli scialli ha tutta l’aria luzione dell’abbigliamento maschile e femminile nel
re da questo periodo che l’abito tradizionale comincia a rittas); allo stesso modo, l’eterna cuffietta di Desulo de- di essere passata per le forbici e i ferri del parrucchiere. corso degli anni Trenta, il primo ormai sensibilmente
venir modificato dalle donne con l’introduzione di ac- ve cessare di infestare la letteratura e la pittura isolane.88 Coperti di maquillage sono anche i volti delle donne staccato dai codici tradizionali, il secondo ancora lega-
cessori moderni (le scarpe sono tra le prime a essere so- I proclami del Lunedì hanno ovviamente scarse possibi- raffigurate nelle ceramiche di Federico e Melkiorre Me- to ad essi.
stituite), e quindi via via trasformato nelle fogge di tran- lità di influire sulle usanze vestimentarie dei sardi, ma lis, immagini (ovviamente da non intendersi come regi- Un contadino in abito di fustagno appariva già in un
sizione del “mezzocostume”,86 mentre dagli uomini è non si può dire neppure che riescano a modificare in strazioni della realtà popolare, ma comunque sintomati- quadro del 1932 di Antonio Mura,92 artista privo delle
gradualmente abbandonato per il completo in fustagno misura apprezzabile il corso dell’arte locale. Pittori e che di un cambiamento in atto) di contadine che sotto i qualità pittoriche di Cugusi e del suo occhio per i parti-
o in velluto, “abito etnico” destinato a lunga vita87 (sarà scultori continuano imperterriti a fare dell’abito tradizio- cappucci, le cuffie e i veli tradizionali esibiscono gli oc- colari. Ma ancora prima, nel 1930, Il vecchio Elia di Car-
questo abbigliamento di transizione ad ereditare nel se- nale il motivo centrale delle loro opere; alcuni di essi chi pesantemente bistrati e il trucco da maschera tragica melo Floris (fig. 590) aveva deposto la berritta per il
condo dopoguerra le valenze identitarie già proprie del però non mancano di coglierne puntualmente le tra- delle dive del muto (figg. 588-589). La somiglianza tra i cappello a visiera e mostrava, sotto il mantello da pasto-
costume: negli anni Cinquanta, a New York, Costantino sformazioni. Tra questi è Biasi, che pure lamenta la «mi- soggetti di alcune mattonelle di Melkiorre Melis, in par- re, giacca e calzoni di foggia cittadina; nelle tele di Biasi
Nivola (fig. 592) poserà spavaldo in velluto e gambales seria striminzita» di quei villaggi dell’Isola «dove il rullo ticolare, e le foto dell’attrice Rina De Liguoro, gloria iso- per la Stazione di Tempio, del 1932, «con le gabbanelle
davanti a una fontana di tubi metallici. compressore della civilizzazione standardizzata ha di- lana dello schermo, è tale da far pensare a un richiamo … nella parte superiore, i bei corpetti di pelle o di vel-
Benché negli anni Venti l’uso dell’abito tradizionale ab- strutto le tradizioni … e la gente è divenuta miserabile, premeditato. luto, i pantaloni si erano fatti stretti e lunghi, europei».93
bia già iniziato a diradarsi, c’è chi, non pago dei mecca- indossando definitivamente la divisa della povera gen- In altre opere, sono gli uomini a mostrare i segni del Così li ritroviamo in molte opere tarde del pittore, che
nismi di modernizzazione in atto, vorrebbe affrettare la te».89 Ragazze di Osilo (fig. 587), un grande olio da lui nuovo che avanza. Brancaleone Cugusi ci offre, nel verso la fine degli anni Trenta doveva registrare anche il
naturale opera del tempo: secondo i giovani intellettuali esposto nel 1930 alla Biennale di Venezia, sciorina da- 1936, la più attenta e convincente descrizione dell’abi- diffondersi di forme più compiute dell’abito “di transi-
fascisti raccolti a Cagliari intorno alla redazione del Lu- vanti allo spettatore un quintetto di bellezze paesane to di velluto (fig. 591): ampia camicia senza colletto, zione”. Si può dire insomma che Biasi non avesse torto
nedì dell’Unione, i costumi sporchi e maleodoranti, «case gilet slacciato e pantaloni sdruciti nel colore verde do- quando, nel 1935, affermava che «la Sardegna che viene
popolari per le pulci», devono sparire; possono soprav- rato prediletto dai contadini,90 il tutto portato con ruvi- descritta dagli artisti sardi non è affatto la Sardegna di
vivere tutt’al più come strumento di attrazione turistica, do aplomb di marca tradizionale. Un’analoga camicia trent’anni fa. È la Sardegna di oggi».94
bianca, dispiegata con lusso di panneggi, forma il mo-
587. Giuseppe Biasi, Ragazze di Osilo, 1929 ca., tivo centrale di un altro quadro di Cugusi, La cucitrice 590. Carmelo Floris, Il vecchio Elia, 1930, olio su compensato.
olio su tela (particolare). (fig. 27),91 affascinante sintesi di realismo quasi docu- 591. Brancaleone Cugusi, Contadino in verde, 1936, olio su tela.
588. Rina De Liguoro, foto d’epoca. mentario (nella registrazione della posa e dell’abito da
592. Costantino Nivola nel giardino della sua casa ad East Hampton,
589. Melkiorre Melis, Donna di Oliena, 1925-30, lavoro delle due donne, in dettagli di sapore etnografi- anni Cinquanta.
terracotta dipinta e invetriata. co come i due cesti intrecciati) e di straniata, atempora-
Dai contadini in posa per gli artisti all’artista che posa da contadino:
Rina De Liguoro, gloria isolana del cinema muto, diventa una paesana le sospensione. Se quella posata sul panchetto a sinistra col tramonto dell’abito tradizionale, è il completo di velluto a
sarda nelle ceramiche di Melkiorre Melis. della rammendatrice è, come sembra, una giacca ma- ereditarne il valore di simbolo identitario.
588 589

362 363
E, potremmo aggiungere noi, sarebbe rimasta la Sarde- Le desulesi imperversano con stucchevole ostinazione
gna di domani, almeno per un’altra buona ventina d’an- nei cataloghi delle ditte ceramiche: sempre la Lenci
ni, per quanto profonde e sconvolgenti fossero le tra- (marchio già prestigioso, ma negli anni Trenta ormai in
sformazioni sociali e culturali attraversate dalla regione. decadenza e non restio ad appaltare su base regionale,
Messe accanto ai quadri del pittore sassarese, le foto- ad artisti di secondo piano, il disegno dei modelli),97 la
grafie scattate nell’Isola a partire dal 1955 dal suo quasi Essevì e la C.I.A. di Sandro Vacchetti ne sfornano in
omonimo, Mario De Biasi,95 mostrano infatti una realtà quantità. Nella loro produzione si coglie un progressi-
ancora sorprendentemente simile: le desulesi inginoc- vo sfocarsi dei tratti del costume, rappresentato in mo-
chiate in preghiera, le processioni con i confratelli bian- do via via più generico e indifferenziato, finché da ulti-
covestiti, le donne di ritorno dalla fonte con l’anfora in mo a “fare Sardegna” basterà la linea di un qualsivoglia
capo. Certo, in altre foto il sapore dei tempi mutati si fa grembiule o velo con un accenno di bottone sardo. La
sentire con prepotenza, generando “contrasti” non me- genericità della descrizione – riscontrabile anche nelle
no acuti di quelli tratteggiati nelle vignette di Tarquinio immagini della pubblicità a partire dagli stessi anni
Sini: la benzinaia di Desulo che manovra la pompa del (fig. 599) – va di pari passo con l’affermarsi di icono-
distributore (fig. 593) è un’immagine altrettanto icastica grafie di un “blando esotismo”,98 in una serie di statui-
del brusco urto tra modernità e tradizione, soltanto che ne-soprammobili in cui sorridenti acquaiole e portatrici
ormai – incredibilmente, siamo alla metà degli anni Set- di cesti sono colte in movimento, toccate da una brezza
tanta – la prima è penetrata fin nel cuore della seconda. birichina che solleva loro le gonne e i veli (fig. 598).
Con le movenze sinuose di una statuina di Cacciapuoti,
Banalizzazione commerciale e cristallizzazione siamo in pieno musical anni Quaranta: il cestino, com-
folkloristica pleto di casco di banane tanto per aggiungere un tocco
595
Gli artisti che fra gli anni Dieci e i Venti costruiscono di esotismo in più, echeggia un copricapo alla Carmen
l’iconografia della “sardità” contribuiscono anche, indi- Miranda (fig. 597). Generalmente malvisto nell’arte, il costume viene riso-
rettamente, ad affrettare il declino dell’abito tradizionale. Va da sé che neppure l’ombra del corpo etnico o del spinto nell’ambito degli studi demologici, e, nel clima di
Se da un lato ci tramandano la memoria di fogge e usi corpo arcaico sopravvive in queste leziose figurine. Di- attenzione per il folklore regionale alimentato dal regi-
vestimentari non più esistenti, dall’altro operano una se- stribuite e vendute sul mercato nazionale, devono aver me, conosce un ritorno d’interesse da parte degli illu-
lezione di tipi che non sarà senza effetto, negli anni a fatto la loro parte nel rimuovere dall’idea di Sardegna stratori. Fra le duecento tavole del volume Il costume
593
venire, sulla riduzione e l’irrigidimento normativo della ogni fastidiosa connotazione di orgoglio identitario, per popolare in Italia, pubblicato da Emma Calderini nel
straordinaria varietà del vestiario tradizionale, provocati 593. Desulo 1974, fotografia di Mario De Biasi. consegnarla definitivamente al limbo zuccheroso del 1934, sono quelle dedicate alla Sardegna, legate alla tra-
dall’organizzazione del folklore a scopo turistico. La benzinaia in costume di Desulo è un efficace emblema folklore, di quel mondo agreste sterilizzato e addome- dizione del figurino teatrale ancor più che a quella del-
Gli abiti più spesso raffigurati sono quelli di Desulo, del contrasto tra modernità e tradizione. sticato che la cultura del ruralismo fascista veniva ormai l’illustrazione etnografica, mostrano gli abiti tradizionali,
Fonni, Ollolai, Atzara, Teulada, Sorso, Sennori: i costu- 594. Melkiorre Melis, Desulese, 1925 ca., terracotta dipinta e invetriata. propagandando. efficacemente stilizzati, indosso a
mi delle zone interne, dai volumi nettamente scanditi e Oltre che nelle arti applicate, l’abito sardo comincia, personaggi che sono neutri ed
profilati geometricamente, soddisfano il gusto secessio- col procedere degli anni Trenta, a perdere i propri eleganti manichini.
ne-Déco, nel quale la maggior parte degli artisti sardi contorni anche nell’arte “pura”, per effetto da un lato Da un’esperienza diretta del-
si sono formati, più dei pizzi vaporosi del Campidano, della lenta diffusione dei nuovi linguaggi, che portano la realtà sarda nasce inve-
cari invece agli illustratori dell’Ottocento. Se Biasi, pur a privilegiare l’elemento pittorico o plastico a svantag- ce l’album di acquaforti
raccogliendo materiale per le sue opere un po’ in tutta gio di quello descrittivo, dall’altro delle rampogne del- acquerellate di Guido
l’Isola, dimostra in gioventù – come l’amico Mossa – la critica italiana, che esorta assiduamente i pittori sardi Colucci, conservato nelle
una decisa predilezione per Teulada, Figari si concen- ad accantonare i soggetti regionalisti, considerati un in- collezioni del Museo del-
tra su Atzara, Floris su Ollolai, Delitala sui centri della quinante elemento illustrativo, o perlomeno a sfumar- le Arti e Tradizioni Popo-
Barbagia. ne i tratti più appariscenti.99 Mentre gli artisti isolani lari di Roma. Portata a ter-
L’abito tradizionale femminile di Desulo, particolarmen- tendono a minimizzare, da un certo punto in poi, il mine nel 1936, sulla base
te accattivante nel suo accordo di rossi, gialli e blu e re- contenuto folkloristico delle loro opere, a metà decen- di materiali raccolti nel
so più aggraziato dalla caratteristica cuffia ricamata, è nio accade che i costumi sardi conoscano una qualche 1928 durante un viaggio
comunque il più popolare in assoluto. Il tema della inattesa popolarità sulla Penisola: alcuni pittori, deside- nell’Isola di circa un mese e
“cuffietta di Desulo” conosce, tra gli anni Venti e i Qua- rosi di ingraziarsi Cipriano Efisio Oppo, potente segre- di successivi studi al Museo
ranta (e oltre), variazioni senza numero in dipinti, og- tario della Quadriennale romana, rendono omaggio al- di Villa d’Este a Tivoli,101 la rac-
getti d’arte applicata e illustrazioni (figg. 594-596), incre- la sua origine sarda dipingendo figure graziosamente colta rivela lo sforzo di restitui-
mentando una voga che finisce per varcare i confini edulcorate, vestite di costumi che sono puri pretesti fi- re, accanto all’apparenza dei
della regione, se è vero che, come riferisce Emma Cal- gurativi. (I colleghi isolani, abbastanza naturalmente,
derini, nella Penisola si diffonde negli anni Trenta «l’uso non vedono di buon occhio questa incursione nel pro-
del cappottino e della cuffietta desulese come eleganza prio territorio; alludendo alla Donna di Sardegna di 595. Pino Melis, Uscita dalla
chiesa, metà anni Venti,
infantile assai ricercata per l’originalità e la vivacità della Salietti esposta alla II Quadriennale, il solito Biasi la- terracotta dipinta e invetriata.
foggia e del colore».96 Anche la Lenci mette in commer- scia cadere commenti sprezzanti su quel «paludamento
596. Federico Melis, Testina di
cio la sua brava bambola in costume di Desulo, incon- sardo indossato da una donna lombarda. Opera di un desulese, 1928 ca., Nuoro,
gruamente bionda. 594 pittore lombardo»).100 Archivio per le Arti Applicate. 596

364 365
599 600

vestiti, qualcosa della specificità antropologica di coloro 597. Manifattura Cacciapuoti,


Donna sarda, anni Quaranta,
che li indossano; non solo movenze e atteggiamenti (le porcellana policroma.
mani infilate sotto il grembiule o nella cintura, un dato
598. Essevì, Acquaiola, seconda
modo di sedere a terra con le gambe incrociate, ecc.), metà anni Trenta,
ma anche quella rigidezza del portamento sulla quale terraglia a colaggio maiolicata
tanto avevano insistito gli artisti sardi d’inizio secolo. Di dipinta a mano e all’aerografo.
questi ultimi, Colucci dovette probabilmente vedere le 599. Mario Caffaro Rore,
opere (sappiamo che nel corso del suo viaggio entrò in La Littorina sulla ferrovia
del Sulcis, 1935, manifesto,
contatto con pittori quali Delitala e Figari), e l’eco se ne Genova, coll. Wolfson.
avverte nella decisa geometrizzazione delle figure, sulla
600. Fresca, freschissima
quale incide però, in qualche misura, anche una certa Sardegna, 1997. Campagna
imperizia grafica dell’autore, particolarmente evidente pubblicitaria.
nei disegni preparatori. La sineddoche pubblicitaria:
velo e corsetto al posto
dell’intero abito tradizionale.
Da segno identitario forte, il
costume diventa riferimento
giocoso a un’idea di
“tradizione” tanto generica
quanto immediatamente
riconoscibile.

Epilogo: l’abito tradizionale nella cultura di massa identico costume femminile di Busachi. Nel sovrappor-
Assecondato inizialmente dal clima ruralista degli anni re, all’ironia sul Kitsch turistico, un disincantato com-
Trenta, il processo di banalizzazione dell’abito tradizio- mento sulla costruzione dell’identità etnica e di quella
nale, assunto a emblema di una rassicurante Arcadia sessuale, Tilocca recupera le pose e l’allure del corpo
paesana, subisce un’accelerazione nel dopoguerra, con arcaico, e addirittura trova, nel proprio autoritratto, ina-
le crescenti fortune del turismo. spettate assonanze con Il Cainita di Ciusa, modellato
Nel diluvio di immagini e di oggetti prodotti tra gli anni circa novant’anni prima.
Quaranta ed oggi dall’industria del souvenir e da quella
pubblicitaria, il costume sardo va incontro a bizzarre e
spesso esilaranti trasformazioni. La biondina che sotto il
velo e il corsetto vagamente tradizionali esibisce le
gambe nude e i piedi calzati di tacchi a spillo per la
pubblicità di un condizionatore (fig. 600) non è che
uno dei tanti esiti delle peripezie attraversate da quello
che fu una volta l’espressione coerente ed organica di
una cultura. Seguirne le metamorfosi sarebbe lavoro af-
fascinante, ma impossibile da svolgere in questa sede, 601. Aldo Tilocca, Real Good Time n. 3, 1999,
così come impossibile (e poco utile al nostro discorso) proiezione di diapositive. Collezione dell’artista.
sarebbe osservare gli sviluppi di quell’estremo filone – All’insegna dell’ironia sul Kitsch turistico e della riflessione sull’identità
ormai dilettantesco – di pittura regionalista che soprav- etnica, personale e sessuale, il costume sardo riappare nell’arte degli
anni Novanta.
vive fino ai nostri giorni, alimentando un mercato loca-
le di piccolo cabotaggio.
Ridotto a parodia di se stesso nella cultura di massa,
espulso ormai da tempo dall’arte ambiziosa, l’abito tra-
dizionale può occasionalmente riemergere nel lavoro di
qualche artista, nel clima di rinnovato interesse per il
tema identitario sorto con gli anni Novanta: così in
Real Good Time n. 3 (1999) Aldo Tilocca (fig. 601) al-
terna a una foto della statua nuorese del Redentore
(soggetto ricorrente nella locale iconografia da cartoli-
na) tre ritratti che raffigurano, in una eroicizzante ripre-
597 598 sa dal basso, lui stesso, la moglie e il figlio vestiti di un 601

366 367
in Modern Art and Fashion, Cambridge, MA -
Note 43. S. Ruju, “La Sardegna che non piace”, in
La Nuova Sardegna, 26-27 luglio 1905. London 2003, pp. 124-126.
T. Gronberg, “Paris 1925: Consuming Moder-
nity”, in Ch. Benton, T. Benton, G. Wood, Art
44. Lettera di Carlo Mazza all’Unione Sarda, 63. Fig. 112, in G. Altea, M. Magnani 1998. Deco 1910-1939, London 2003, pp. 157-163.
Cagliari, 21-22 marzo 1914. 64. Les Choses de Paul Poiret, VI, Paris 1911. 84. P. Pallottino 1998, p. 18.
45. Sul ruolo delle pratiche di vestiario e di 65. Lo fanno pensare l’eccessiva ampiezza del- 85. Pubblicate in Sardegna, Milano, marzo-
adornamento come strumento di trasformazio- le gonne e la totale monocromia degli abiti aprile 1914.
ne sociale e politica, cfr. Fashioning the Body raffigurati in questa serie di dipinti, elementi 86. Consistente in una gonna pieghettata nera,
Politic 2002. insoliti nell’abbigliamento tradizionale sardo. marrone o blu, portata con una camicia non
46. Devo queste indicazioni alla cortesia di 66. Ritratto di Javotte Bocconi Manca di Vil- tradizionale, un fazzoletto e talvolta uno scial-
Franca Rosa Contu, che ringrazio. le. Cfr. M. Carosso 1984, p. 76.
lahermosa (1918 ca.), collezione Banco di Sar-
47. G. Doy 2002. degna, Sassari. Tetesedda (1918 ca.), collezio- 87. Cfr. U. Cocco, G. Marras 2000.
48. F. Figari, “La civiltà di un popolo barbaro” ne privata, Sassari. Si deve alla famiglia Manca 88. Cfr., sulla campagna di modernizzazione
(1921), in Il Nuraghe, Cagliari, a. II, n. 17, di Villahermosa l’identificazione di Tetesedda lanciata dal Lunedì dell’Unione, G. Altea, M.
giugno-luglio 1924; ora in G. Murtas 1996, con il ritratto di Anna Manca di Villahermosa. Magnani 2000, p. 280 sgg.
pp. 194-199. 67. I dipinti del Salone Consiliare furono co- 89. G. Biasi 1935, p. 41.
49. S. Ruju, “Tipi e paesaggi sardi di Grazia minciati nel 1916 e portati a termine dopo la
guerra. 90. I pastori preferivano il marrone. Cfr. U. Coc-
1. Cfr. J. Entwistle, E. Wilson 2001. lo agli omeri cadeva giù alquanto», «quella ca- te alle novità del “progresso”. Deledda”, in La Nuova Sardegna, 11 gennaio co, G. Marras 2000, p. 124.
dente grazia che è un segno d’aristocrazia fi- 1902. 68. G. Marangoni, “Le ultime esposizioni. L’au-
2. Ci serviamo, qui e altrove nel testo, del ter- 28. A. Hollander 1978, p. 340. Hollander lega 91. G. Altea, M. Magnani 2000, pp. 163-165.
sica divenuto ormai rarissimo». 50. G. Biasi 1935, p. 40. toritratto. La mostra degli alleati”, in La Cultu-
mine “costume” per brevità, pur non dimenti- il diffondersi del gesto alla nuova consapevo-
ra Moderna, Milano, a. XXVI, n. 2, 15 dicem- 92. Antonio Mura, Contadino, 1932, collezione
cando che, come ha giustamente rilevato G. 19. S. Naitza, Arte in Sardegna tra realismo e lezza delle gambe femminili creata dall’abitudi- 51. S. Ruju, “Tipi e paesaggi sardi di Grazia De- bre 1916, p. 70. privata, Cagliari. Cfr. M.L. Frongia, Catalogo
Carta Mantiglia (1982) si tratta di definizione folklore, cat., Nuoro 1977. ne della bicicletta. ledda”, in La Nuova Sardegna, 11 gennaio 1902.
inappropriata perché segnata da forti connota- 69. G. Marangoni, “Le ultime esposizioni” cit. della collezione del Man, Nuoro 1999; Antonio
20. Si tratta di strumenti musicali il cui uso si- 29. Su Sciuti, cfr. M. Calvesi, A. Corsi, Giuseppe 52. M.G. Messina 1994. Mura, cat. a cura di M.G. Scano, Nuoro 1999.
zioni culturali. Su questi temi cfr. P. Piquered- L’autoritratto di Mossa, noto da fotografie, sem-
multaneo fu presto abbandonato: cfr. la sche- Sciuti, Nuoro 1989; sulla decorazione del Pa-
du 1987. 53. Galleria Comunale d’Arte di Cagliari. bra sia andato smarrito nel 1927, dopo essere 93. U. Cocco, G. Marras 2000, p. 132.
da di Festa campestre in Sardegna di G. Dore lazzo della Provincia, cfr. M. Magnani, “Il Pa-
stato inviato ad una mostra a Firenze.
3. In questo quadro di interessi si collocano (n. 112) in M.G. Scano 1997. lazzo”, in AA.VV., Il Palazzo della Provincia 54. D.H. Lawrence 2000, pp. 104-105. Il tema 94. G. Biasi 1935, p. 33.
contribuiti di ambito storico-artistico come di Sassari, Sassari 1986, pp. 88-96; M.G. Scano della virilità primordiale espressa dall’abito 70. P. Marica, “Sardi e battaglie d’altri tempi a
21. Cfr. R. Serra, “La chiesa di San Lussorio a Roma”, in Frontiera, Sassari, a. I, n. 1, gennaio 95. Il fotografo Mario De Biasi si recò in Sar-
quelli di W. Paris, “Moda del passato e costumi 1997, p. 221 sgg. sardo è efficacemente sottolineato nella prefa-
Selargius. Considerazioni in merito alla que- 1968, p. 27. degna per la prima volta nel 1955, insieme ad
popolari”, in Insularità 1996, pp. 85-90, e, per 30. M.G. Scano 1997, p. 265 sgg.; Giovanni zione di Luciano Marrocu. Alfonso Gatto, come inviato della rivista Epo-
stione sul prospetto romanico del San Lucifero
quanto riguarda i gioielli, A. Sari, “La gioielleria Battista Quadrone 2002. 71. A. Simon Mossa, “Ritratto di famiglia: zio ca. Cfr. Mario De Biasi 2002.
di Cagliari”, in Sardegna, Mediterraneo e Atlan- 55. L. Marrocu, “Prefazione”, in D.H. Lawrence
dal Medioevo all’età moderna”, in Gli orna- Mario”, in Frontiera, Sassari, a. IX, n. 101, 1976,
tico tra Medioevo ed Età Moderna. Studi storici 31. Cfr. G.L. Marini, “La colpa di essere troppo 2000, p. 19. 96. E. Calderini 1934, p. 66.
menti preziosi dei Sardi, a cura di E. Atzori, p. 158.
in memoria di Alberto Boscolo, a cura di L. bravo”, in Giovanni Battista Quadrone 2002, 56. Cfr. M.L. Frongia 1995.
Sassari 2000, pp. 141-219. 97. A. Cuccu 2000, p. 101.
D’Arienzo, vol. I, Roma 1993, pp. 177-188. pp. 11-35. 72. L’episodio si riferisce alla cavalcata tenuta-
4. A. Hollander 1978, p. XII; più di recente, la 57. Cfr. Anselmo Bucci 1887-1955, cat. a cura si nel 1921 in occasione dell’arrivo a Sassari 98. A. Cuccu 2000.
Hollander è tornata sull’argomento con una 22. Fa eccezione la Dame de Sassari, ma solo 32. Cfr. G.L. Marini, “La colpa di essere troppo di E. Pontiggia, Milano 2003.
perché desunta da una litografia della raccol- bravo” cit., p. 24. del re Vittorio Emanuele III; tra i mille cavalie- 99. G. Altea, M. Magnani 2000, pp. 24-25.
mostra alla National Gallery e col relativo ca- 58. Ecco come Bucci descrive l’abito tradizio- ri che sfilarono vi erano anche diversi membri
talogo: Fabric of Vision. Dress and Drapery in ta di A. Pittaluga, Costumi della Sardegna –
Royaume di Sardaigne, incise da Levilly e 33. Si veda ad esempio Annoiata (1874), in nale di Nuoro: «Mastruca irsuta, già nera; cami- dell’aristocrazia locale, vestiti in abiti tradiziona- 100. G. Biasi 1935, p. 8.
Painting, London 2002. G.L. Marini, “La colpa di essere troppo bravo” cia di tela, già bianca; gran cintura che regge- li. Cfr. M. Riccio, “Le cavalcate in Sardegna in
Vittesse e stampate a Parigi nei primi decenni 101. Per le vicende dell’esecuzione e la suc-
5. A. Hollander 1995, pp. 17-24. del secolo. Dalla stessa fonte deriva anche la cit., p. 51, n. 13. va infilata una cote che sembrava uno stiletto; onore del Re”, in Noi e il Mondo, Roma, a. XI, cessiva storia delle acquaforti del Colucci, cfr.
Dama di Sassari di Baldassarre Luciano. 34. Nel recente catalogo Giovanni Battista brache di tela, già bianche; ghette di orbace, n. 9, settembre 1921, pp. 653-657. Nel 1939, F. Orlando 1998.
6. M. Carosso 1984. Carosso ricorda che «nelle
Quadrone (2002), i brani del testo di G.L. Ma- già nero» (A. Bucci, Pane e luna, Urbino 1977, per festeggiare l’arrivo dei Principi di Piemon-
case tradizionali, gli specchi sono rari», e che a 23. Cfr. M.G. Scano 1997, pp. 49-50.
rini (“La colpa di essere troppo bravo”) dedi- p. 85; poi in Anselmo Bucci cit., p. 62). te, i nobili sardi avrebbero ugualmente indos-
Desulo «le donne che vestono in modo tradizio- sato il costume al ballo tenuto nella villa al-
nale non se ne servono per pettinarsi» (p. 91). 24. G. Vuillier 1893. La parte del testo relativa cati al rapporto dell’artista con la Sardegna 59. G. Biasi 1935.
alla Sardegna apparve dapprima nella rivista Le riecheggiano con puntualità sorprendente un gherese dei conti S. Elia.
7. M. Carosso 1984, p. 79. Tour du Monde, a partire dal settembre 1891 altro studio dedicato a un diverso artista, Giu- 60. F. Figari, “La civiltà di un popolo barbaro”
cit., p. 196. 73. Cfr. G. Altea, M. Magnani 1990, p. 131.
8. M. Carosso 1984, p. 77. (cfr. la traduzione Le isole dimenticate. La Sarde- seppe Biasi, questo sì autore, alcuni decenni
gna, pref. di A. Romagnino, trad. di M. Maulu, dopo, di una “scoperta della Sardegna” conce- 61. In una lettera a Lamberto Loria conservata 74. Il Sardo in frak (M. Mossa De Murtas), “La
9. G. Carta Mantiglia 1982, p. 159. Nuoro 2002). Le 65 tavole che illustrano il testo, Sardegna al Gran Ballo delle Nazioni”, in Il
pita in termini di genuino primitivismo (cfr. G. nell’archivio del Museo delle Arti e Tradizioni
10. F. Orlando 1998, pp. 51-52. disegnate dall’autore, furono incise da Barbant. Altea, M. Magnani 2001. Per un riscontro fra i Popolari di Roma, Gavino Clemente, responsa- Giornale d’Italia, Roma, 20 aprile 1921.
11. Cfr. F. Alziator 1963, Cominotti. Cfr. anche 25. Un’incisione come Donna di Desulo (n. 58), due testi, si vedano le pp. 12, 13 e 16 di Al- bile della raccolta dei materiali relativi alla Sar- 75. Pochissimo si sa di Cugusi (Romana 1903-
le schede n. 97a-97m di M.G. Cossu Pinna, in ad esempio, sembrerebbe derivare da una fo- tea-Magnani accanto alle pp. 25-27 di Marini). degna, propone di affidare a Biasi, appena tor- Milano 1942), artista di notevoli qualità vissuto
Insularità 1996, pp. 193-196. tografia; la si confronti con la molto più idealiz- 35. Per una rassegna più ampia di questi mate- nato da un viaggio nell’interno dell’Isola, il tra Sassari, Milano e Roma. Cfr. G. Altea, M.
zata figura del Costume della festa (n. 46). riali (dei quali abbiamo qui considerato solo gli disegno dei manichini per l’esposizione degli Magnani 2000, pp. 163-165.
12. A. Hollander 1978, p. 327. abiti tradizionali sardi. La realizzazione sarebbe
26. Cfr. H. Koda 2001, pp. 53, 63. La preferen- esempi direttamente funzionali al nostro discor- 76. C. Nivola, dattiloscritto inedito. Ringrazio
13. A. Hollander 1995, p. 95. so), si rimanda a F. Orlando 1998, pp. 43-52. stata poi affidata a uno scultore. Clemente di- Ruth Guggenheim per avermi consentito di
za per un busto voluminoso dai seni non visi- ceva Biasi «disposto ad eseguire tutti i tipi più
14. O Luciano Baldassarre. Non è chiaro se si bilmente separati sarebbe giunta poi all’apice 36. Per una ricostruzione del panorama artisti- citare il testo prima della pubblicazione.
caratteristici, almeno una ventina, al prezzo di
tratti dell’autore del testo (il cui titolo completo verso il 1900, col trionfo del “monopetto”, co sardo nell’Ottocento, cfr. M.G. Scano 1997. lire 15 per testa» (G. Clemente a L. Loria, Sas- 77. C. Nivola, dattiloscritto inedito.
è Cenni sulla Sardegna ovvero usi e costumi, contrappeso anteriore al sedere prominente sari, 2 agosto 1910), e allegava due bozzetti di
amministrazione, industrie e prodotti dell’isola 37. Il gusto revivalistico determinato in molti 78. Sini nel 1914 lavorò come grafico a Parigi
richiesto dalla silhouette a “s” in voga nella paesi europei dal National Romantic Move- prova, oggi scomparsi. Malgrado il prezzo più per una ditta di cosmetici, in seguito divenne,
ornati di 26 tavole miniate, Torino 1841) o se Belle Epoque. che modesto, Loria optava invece per delle fo-
sia solo l’autore delle illustrazioni, siglate con ment si protrasse generalmente fino ai primi come Mossa, ritrattista di dive e divette; Altara
27. Quelle presenti nell’abito tradizionale sardo anni del Novecento. tografie (L. Loria a G. Clemente, Roma, 6 ago- è stata attiva quale illustratrice di moda e negli
le sue iniziali. Cfr. A. Gutierrez, scheda n. 46, sto 1910). Anche queste sembrerebbe venisse-
in Insularità 1996, pp. 165-166. maschile sono in effetti “finte” tasche, in cui è 38. Per un esame dello sforzo identitario del anni Trenta per qualche tempo anche come
impossibile riporre qualcosa. Nelle foto dell’Ot- ro in un primo momento richieste al pittore, creatrice di moda a Milano.
15. Cfr. H. Koda 2001, pp. 17, 33. movimento intellettuale e artistico sardo del pri- solito a fotografare i suoi soggetti e a conser-
tocento e del primo Novecento, la posa con le mo Novecento, cfr. G. Altea, M. Magnani 1995. 79. Cfr. A. Hollander 1978, p. 332 sgg.
mani in tasca non appare quasi mai (fa ecce- vare le immagini come documentazione; ma
16. Su Marghinotti cfr. M.G. Scano 1997; G. Do- alla fine si decise di assegnare l’incarico al fo-
re, Giovanni Marghinotti nel Museo Sanna, Sas- zione una delle tavole di M.L. Wagner 2001, 39. E. Delitala 1981. 80. P. Marica, Perché gli uomini a Tiulé porta-
fig. 5; il volume riunisce degli articoli pubblicati tografo cagliaritano Renzo Larco. Ringrazio An- no le mutande, Roma 1922.
sari 1998. 40. S. Ruju, “Note romane”, in La Nuova Sar- na Pau per avermi segnalato questi documenti,
tra il 1907 e il 1914). La si ritrova invece, alla fi- degna, 23 maggio 1902. 81. Cfr. G. Altea, M. Magnani 2002, pp. 71-72.
17. Sul dipinto, cfr. M.G. Scano 1997, p. 117 e ne degli anni Venti, nelle illustrazioni umoristi- da lei rintracciati nel corso delle ricerche effet-
scheda n. 82 di G. Dore, p. 119; Insularità 1996, che di Tarquinio Sini, giocate sul contrasto tra 41. C. Mariotti, “Barbari… ma chi?”, in L’Unione tuate per questo volume. 82. Cfr. P. Pallottino 1998, pp. 68-101, con
scheda n. 96 di C. Limentani Virdis, p. 193. la Sardegna paesana e le usanze moderne; ma Sarda, 2 settembre 1902. 62. Sulle jupes-culottes o jupes-sultanes e la lo- scheda di A. Pau.
18. In Il piacere (1889) Maria Ferres ha la li- l’intento è in questo caso attribuire ai contadini 42. P. Mureddu, “Note romane”, in La Nuova ro ricezione da parte della società degli anni 83. Questo aspetto è sottolineato da Tag Gron-
nea delle spalle che «dall’appiccatura del col- sardi un atteggiamento di nonchalance di fron- Sardegna, 5 giugno 1902. Dieci, cfr. N. Troy, Couture Culture. A Study berg a proposito dell’Expo di Parigi del 1925:

368 369
Un tipico costume sardo: editare i costumi in cartolina
Enrico Sturani

602

Siti e tipi e la propria terra come una sorta di ossimoro iconografi-


603 Le cartoline regionali appartengono a due grandi tipo- co: un paese al tempo stesso aperto al futuro (nel Ricor-
logie: “siti” e “tipi”. Essi sono compresenti solo nelle do di Cagliari spicca l’illuminazione pubblica coi fanali a
cartoline con cui si inaugurò a fine ’800 questo tipo di gas) e radicato nel passato. Insomma, la Sardegna come
supporto postale illustrato; poiché esse nacquero nelle sintesi di antico e moderno, di staticità e dinamismo.
zone turistiche dell’oltralpe di lingua tedesca, sono tut- Vedremo poi come, negli anni ’20, questo contrasto fu
tora note come “Gruss aus”; da noi questa formula suo- al centro di alcune serie di cartoline di gusto umoristico
na “Saluti da…” o “Ricordo di…”. dell’illustratore Sini, mentre, nel secondo dopoguerra,
Ricordo di Cagliari (fig. 602), qui edita e da qui spedita analoghe cartoline-ricordo composite di siti e tipi mute-
nel 1899, ne è un buon esempio: essa riproduce insie- ranno di immagine e significato. Ora soffermiamoci sui
me tre piccole fotografie, con angoli accartocciati e om- “tipi” presenti in questi “Ricordi”.
bra portata, a trompe l’oeil, come fossero appoggiate
sulla cartolina, più che riprodotte su essa; sono coordi- C’è costume e costume
nate tra loro da fiori e dal cartiglio con la scritta che s’è “Costume d’Iglesias”, riferendosi a tre signori perfetta-
detto. Una mostra via Roma a volo d’uccello, un’altra è mente impalati dinanzi al fotografo e identicamente ve-
una veduta ravvicinata del monumento a Carlo Felice; stiti, non può che indicare l’abito tradizionale del luogo.
infine, con effetto zoomata, si passa alla figura in piedi Il tipo cagliaritano in Ricordo di Cagliari, altrettanto im-
di un “Rigattiere”; al tempo stesso ci siamo spostati dal- palato, viene invece indicato come “Rigattiere”, lascian-
l’esterno all’interno, nello studio stesso del fotografo- do intendere che l’abito che indossa sia tipico del suo
editore. Se con una lente guardiamo i personaggi che mestiere (svolgibile solo in un grande centro), ancor più
compaiono nei due spazi pubblici, ci rendiamo conto che della città in cui lo svolge. Numerose cartoline, an-
che dall’abito da città, borghese o moderno che dir si che edite in serie, esplicitamente titolate “Costumi sardi”
605 voglia, si è passati al costume tradizionale. mostrano però dei mestieri (o, meglio, le fasi salienti del
Un’altra cartolina di impostazione simile, Ricordo d’Igle- loro svolgimento) a cui si attende senza necessariamen-
sias (fig. 603), accoppia tre uomini impalati in studio te indossare l’abito tradizionale (oppure usandone solo
(“Costume d’Iglesias”) con la veduta di fumanti ciminie- alcune sue parti, in modo incompleto e casual ).
604
re della “Miniera di Monteponi”. Per citare solo alcuni casi, ecco, nel primo ’900, un Co-
Appare dunque chiaro che, agli albori della cartolina, gli stume sardo (fig. 604) mostrante una ragazza che, in
editori sardi intendevano caratterizzare il proprio popolo gonna tradizionale e scialle e foulard correnti, rammen-
da usando dei rocchetti cucirini importati dal continente
602. Ricordo di Cagliari. Editore Giuseppe Dessì, Cagliari, 1899. tenuti entro un cesto di produzione locale. Negli stessi
Stampa in fototipia. anni, anche in Tempio (Sardegna). Costume: alla fonte
603. Ricordo d’Iglesias. Editore Fratelli Centos, Iglesias, 1899; (fig. 605) si può notare una certa coincidenza fra il co-
spedita nel 1901. Stampa in fototipia. stume di andare ad attingere acqua e l’indossare, magari
604. Costume sardo. Editore non indicato, in modo non filologicamente ineccepibile, il costume.
1902 ca.; spedita nel 1905. Stampa in fototipia. Dei primi anni ’10 è la cartolina Costume di Orzulei (sic)
605. Tempio (Sardegna). Costume: alla fonte. Editore Stengel, (fig. 606): essa mostra un gruppo di uomini colti dal vi-
Lipsia, 1902 ca.; spedita nel 1905. Stampa in fototipia.
vo, all’esterno, in costumi che conoscono tutte le varian-
606. Costume di Orzulei (sic). Editore Casa Editrice Cartoline Illustrate ti e le incertezze proprie del caso e del casual, della mi-
Dallay, Sassari, 1910 ca. Stampa fotografica.
seria e del tocco personale, compreso l’uso assortito di
607. Costumi sardi. La trebbiatura nel Nuorese. Editore Alterocca, pipa, sigaro toscano e sigaretta.
Terni, 1908 ca. Stampa in fototipia. Esiste anche una identica
cartolina edita dalla SAT e spedita alla fine degli anni ’10 in fototipia A partire dai primi anni ’10, prima per conto di commit-
607
606 colorata a mano. tenti locali, poi in proprio, la torinese SAT edita vari

371
608 609

612
608. Costumi sardi. Bono: l’arcolaio. Editore SAT, Torino, 612. Scavi di Congiaus. Miniera Monteponi. Editore Giuseppe Dessì,
da foto S. Guiso, Nuoro, 1914 ca. Cagliari, 1900. Stampa in fototipia.
609. Costumi sardi. Il balletto in Gallura. Editore Alterocca, 613. Sassari. Gara poetica fra improvvisatori Contini, Pirastru,
Terni, 1920 ca. Fototipia colorata manualmente. Cubeddu, Testoni, Farina. Editore Tabaccheria Salvatore Porcu,
Sassari, 1910 ca. Stampa in fototipia.
610. Costumi sardi. S. Antioco: suonatore di launeddas.
Editore SAT, Torino, da foto Alinari, 1919 ca. 614. Sassari. Rinomato venditore di spugne. Editore A.C.,
Fotografia dipinta, rifotografata e stampata in fototipia. spedita nel 1904. Stampa retinata a colori.
611. Costume di Nuoro. Editore G. Modiano, Milano, 1925 ca.
Da acquerello di Giacinto Satta. Quadricromia.

613 614

soggetti che, dopo la Grande Guerra riprenderà nella attività e mestieri edite con relativa abbondanza sin dal
serie “Costumi sardi”: ecco La trebbiatura nel Nuorese primo ’900: i minatori di Monteponi (fig. 612) o i pesca-
(fig. 607) con contadino etno-casual; mentre Bono: l’ar- tori di tonno all’Isola Piana mostrano gente del popolo
colaio (fig. 608) mostra delle donne in abito tradizionale in tenuta di lavoro che hanno il sapore della praticità (e
mentre svolgono un’attività tradizionale (essendo seden- della miseria) quotidiana più che quello dell’esibizione
taria, il costume inteso come folk way e quello inteso festiva di una tradizione; e lo stesso vale per il Ritorno
come vestito coincidono). Analoga coincidenza si regi- dalla caccia (edita da Dessì senza località), mostrante
stra per S. Antioco: suonatore di launeddas (fig. 610) e dei borghesi e dei nobili in una tenuta che allora, più
per Il balletto in Gallura (fig. 609) (che nella prima edi- che “da caccia”, era definita “sportiva”.
zione per conto di Dettori della Maddalena era più cor- In queste cartoline l’aspetto documentario prevale sulla
rettamente indicato come La Maddalena, concorso di tipizzazione, spingendosi a volte sino all’individuazione
costumi sardi alle feste patronali di S.M. Maddalena: il dei singoli personaggi ritratti: Sassari. Gara poetica fra
balletto). improvvisatori (fig. 613) precisa i cognomi di ognuno
Dei primi anni ’20 è la cartolina-quadretto di genere dei cinque competitori (di cui solo un paio con berretta
Costume di Nuoro (fig. 611) mostrante degli uomini in e lacerti di costume); sempre per Sassari, il Rinomato
costume alle prese con un cinghiale sgozzato. venditore di spugne (fig. 614) è gratificato dal mittente
In tutti questi casi (scelti solo tra quelli esplicitamente con uno “Spero che lo conoscerà…” seguito, ad ogni
titolati “costume”) la persona è colta preferibilmente in buon conto, da nome e cognome del raffigurato.
esterno, mentre svolge un’attività “onde siccome suole”, In tutti questi casi ci si avvicina al ritratto e alla foto do-
in un contesto sociale e urbano più o meno ampio e cumentaria; il singolo individuo rappresentato non è
specifico; posa e sceneggiata permangono, ma non so- dunque sublimato nella generica idealità del tipo; non
no dominanti; il costume-veste, non essendo il fulcro lo si presume un esempio perfetto; lo si prende per
dell’attenzione, è quello che è. quello che è e non ci si stupisce né scandalizza se il suo
Ovviamente gli esempi si moltiplicherebbero se pren- modo di vestire segue criteri personali o casuali piutto-
610 611 dessimo in considerazione le altre numerose cartoline di sto che attenersi alla norma di un modello locale.

372 373
615 616 619 620

615. Ulassai (Sardegna). Editore Stengel, Dresda, 1901 ca.


Stampa in fototipia.
Si noti lo sfondo con cortecce di quercia da sughero
che danno un tocco di esotismo locale.
616. Cacciatore Sardo di Fonni con muflone ferito.
Editore Giuseppe Dessì, Cagliari, 1902 ca. Stampa
tipografica a retino colorata a mano.
Si noti la funzione del muro di sfondo a far spiccare
la figura e il suo costume.
617. Costume di Busachi (Sardegna). Editore Marietta Saba,
spedita nel 1935. Stampa in fototipia.
Si noterà che la coppia in posa è costituita da due uomini,
Eraldo in costume da donna.
618. Orani (Sardegna). Editore Tabaccheria Salvatore
Porcu, Sassari, spedita nel 1930.
Si noterà che la coppia in posa è costituita da due donne,
quella di destra con costume da uomo.
619. Costume di Sennori (Sassari). Editore A. Zonini,
Sassari, 1904 ca. Stampa in fototipia.
Si noterà come nello studio del fotografo lo sfondo sia stato
azzerato ad arte (salvo la punta delle foglie di una palmetta
che sbucano sulla destra).
620. Costume di Monserrato (Sardegna).
Editore non indicato, 1905 ca.
Stampa in fototipia colorata manualmente.
Notare il poggiabraccio in carattere con le altre decorazioni
riccamente borghesi dello studio fotografico.
621. Costume di Codrongianus (Sardegna).
Editore Pietro Valdes, Cagliari, 1902 ca.
Stampa in fototipia colorata manualmente.
Notare il mostruoso accrocco ornamentale in stile
617 618 oltraggioso ancor più che neobarocco. 621

374 375
golo centro, anche piccolo, anche distante pochi chilo- realtà dei costumi attraverso un immaginario condiviso
metri dall’altro, abbia il proprio costume, sin dal primo dal fotografo-editore, dai committenti-rivenditori, e da-
’900 si scatenò fra gli editori di cartoline la nobile gara a gli utenti-acquirenti. E questi ultimi non sono necessa-
documentare l’esistente; unendo l’ideologia illuminista e riamente i personaggi fotografati in costume, né i loro
positivista, si fece trapassare il gusto enciclopedico nella compaesani per lo più analfabeti e comunque affatto
mania tassonomica, sposando la molla della concorren- alieni dall’uso (borghese e costoso) di spedire cartoline
za commerciale con la richiesta collezionistica del mer- e soprattutto (almeno sino al 1905) di collezionarle.
cato. Ma questa tendenza, caratterizzante allora i produt- La verità di queste cartoline (direi delle cartoline in gene-
tori di cartoline del mondo intero, assunse in Sardegna rale) non va dunque necessariamente posta in rapporto
una forma particolare. Se in altre regioni italiane o in al- alla realtà raffigurata, ma alle attese del loro pubblico.
tri Paesi si moltiplicavano i soggetti relativi ai piccoli Nel nostro caso, la verità di queste cartoline di costumi
mestieri in via di sparizione (Sicilia, Turchia, Nordafrica) sardi, non è leggibile in ognuna di esse, prese singolar-
o alle ultime mode (Parigi), se a Napoli prevale la ten- mente; essa sta nella loro realtà editoriale e collezionisti-
622 denza al ritratto di genere, in Sardegna dominano le se- 623 ca di formare una serie. Una per una, esse possono an-
rie composte anche un centinaio di costumi locali diver- che essere prese in castagna, smascherate come false,
Paese che vai, costume che trovi si. Non che questi siano assenti per le altre regioni imperfette, fantasiose (ma proprio così esse documenta-
Completamente diverse sono invece le numerosissime d’Italia, ma la curiosa cartolina che accoppia la Conta- no la realtà della prassi degli studi fotografici del tempo);
cartoline dedicate ognuna a un differente costume (ma- dina di Varallo (con ombrello e scarponcini) al Costu- nel loro insieme esse ci comunicano una verità più gene-
schile e femminile) di una diversa località. Anche se l’ar- me di Osilo (fig. 622) è un esempio di scambio ineguale: rale: che ogni singola località sarda ha il proprio costu-
tista Maria Lai ha potuto riconoscere suo nonno in uno la serie avrebbe potuto continuare quasi all’infinito con me; esse testimoniano globalmente la varietà specificata
di tali personaggi – Ulassai (fig. 615) –, come a teatro, la altri costumi sardi, mentre per il Piemonte non si sareb- del popolo sardo; esse forniscono il ritratto psicologico e
persona serve solo a mostrare il personaggio; il valore be andati molto oltre quel reperto valsesiano. sociale di un popolo che, più che nell’immagine articola-
documentario legato all’hic et nunc cede al valore esem- tamente composta dell’affresco o della sinfonia, si rico-
plare; il singolo sparisce per lasciare apparire il tipo. Non Croce e delizia per l’etnografo nosce (o accetta di essere riconosciuto) in quella atonale
a caso, come ai tempi di Shakespeare, a volte troviamo Chi pratica l’etnografia con spirito positivistico-entomolo- di un quadro puntinista o di un mosaico.
dei costumi femminili indossati con grande nonchalance gico non può che rallegrarsi per questa abbondanza di
da uomini (sbarbati per l’occasione) (figg. 617-618). costumi sardi raffigurati nella loro ideale purezza. Ma non Il lento evolversi dell’immutabile
Quest’opera di transustanziazione dall’individuo al tipo, può che scandalizzarsi quando scopre una inesatta indi- Al Museo d’Arte Greca di Atene rimasi affascinato dal fat-
624
dal piano della realtà fattuale a quello ideale dei mo- cazione di località, che un costume locale è assemblato to che, di sala in sala, i soggetti erano immutabili, conge-
delli, è compiuto dal fotografo attraverso le varie tecni- con pezzi di origine geografica diversa, che è incompleto lati nella stereotipicità dell’icona; ma, poiché ogni sala
che di studio: anzitutto la posa assolutamente statica e o che è stato completato con parti posticce e di fantasia corrisponde a un secolo, in corrispondenza del Rinasci-
stereotipata; essa spicca su uno sfondo che può essere: (magari aggiunte a disegno sulla base fotografica). mento si poteva notare sui volti sacri un vago sospetto di
a) neutro o azzerato dal ritocco (con effetto metafisico) Osservazioni di questo tipo sono state fatte per quanto ritratto, mentre in corrispondenza del barocco le punte
(fig. 619); b) convenzionale (la presenza di una palmetta concerne un’altra area geografica, l’Algeria; esse sono dei cipressi sullo sfondo sembravano mosse dal vento.
crea un effetto distanziante di sapore esotista); c) bor- sfociate nella demonizzazione della cartolina tout court, Che cosa capita per le cartoline dei costumi sardi, an-
ghese (questi popolani nel costume della festa sono fatti bollata come perverso veicolo di false apparenze, merce ch’esse autentiche icone? Ricordiamo alcune tappe del-
assurgere alla stessa dignità dei signori posando appog- dozzinale destinata a compiacere il facile gusto di coloni la specifica storia della cartolina e vediamo quali legge-
giati, con incongruo effetto surreal-grottesco, a sedie, ta- tanto ignoranti quanto arroganti; altri autori, più cauti, re, ma significative varianti, presentino i costumi sardi
volinetti e ciarpame arredatorio di stile neobarocco) prendono viceversa queste cartoline di donne in costu- su esse raffigurati.
(figg. 620-621). Le tecniche di stampa fanno poi il resto, me per quello che sono: composizioni, se non proprio Il periodo d’oro delle cartoline illustrate inizia alla fine
grazie al ritocco e a un abbozzo di colorazione che atte- di fantasia, composte all’insegna di un esotismo che usa ’800, quando esplose a livello mondiale il boom mania-
nuano o cancellano i particolari inutili, oppure enfatizza- persone e capi di vestiario veri per costruire una foto- cale del loro collezionismo; esso termina attorno al
no quelli ritenuti significativi. grafia rispondente all’immaginario orientalista dei desti- 625 1905, quando il raddoppio della tariffa di spedizione (i
La fissità estatica, la sospensione dell’azione, l’azzeramen- natari; allora, una volta applicato il beneficio d’inventa- più le collezionavano “viaggiate”) si aggiunge allo sca-
to temporale, lo spaesamento, la decontestualizzazione, rio, essi si rallegrano di trovare documentate, malgrado 622. Contadina di Varallo. Costume di Osilo (Sardegna). dere di una moda che, diffondendosi socialmente, ave-
l’isolamento del singolo (anche la coppia o i gruppi fini- l’eventuale inaffidabilità dell’insieme, dei tatuaggi, dei Editore A. Guarneri, Milano, spedita nel 1902. Cromolitografia. va cessato di costituire un segno distintivo per i ceti ele-
scono per risultare semplici somme di singoli) garantisco- gioielli, delle stoffe che sono realmente esistiti e che al- 623. Costumi sardi. Lanusei. Editore SAT, Torino, 1919 ca. vati. In questo breve periodo la cartolina rispose a una
no l’effetto irreale. Ma, proprio in tal modo, ognuno dei trimenti non avrebbero lasciato traccia di sé. Stampa in fototipia. sete di sapere, di vedere, di documentarsi, di sognare a
costumi esibiti, perde sia la sua casualità di indumento Non so se e in che misura le cartoline dei costumi sardi 624. Costumi sardi. Lanusei. Editore SAT, Torino, 1923 ca. cui non rispondevano ancora il turismo, la stampa pe-
Fotografia ritoccata, dipinta e stampata in fototipia. riodica illustrata fotograficamente, la TV. Poiché la stam-
reale usato nel presente, sia il suo carattere storico di fos- siano affidabili. Per queste, come per ogni altro tipo di
sile vivente, di sopravvivenza segnata dal tempo; esso ac- documento iconografico, dovrebbe comunque valere la 625. Costumi sardi. Campagna di Laerru. Editore SAT, Torino, 1923 ca. pa in fototipia (e più raramente in vera fotografia) era
Fotografia ritoccata, dipinta e stampata in fototipia.
quista allora il valore eterno di un simbolo, non altrimen- pregiudiziale metodologica formulata da Magritte: “Ceci commercialmente redditizia a partire da tirature di an-
ti che se fosse uno stemma, una bandiera locale o un n’est pas une pipe ”. Queste cartoline non vanno prese 626. Sardegna. Costume di Teulada. Editore Fotocelere, che solo 200 pezzi per tipo (e quindi pure con i piccoli
Torino, 1925 ca. Stampa fotografica colorata manualmente.
celebre monumento (la Mole “è” Torino così come la come uno specchio della realtà; la realtà che mostrano, impianti locali), si moltiplicò ogni genere di imprese: lo-
Torre Pendente “è” Pisa e il Duomo “è” Milano). prima di quella dei costumi esibiti, è anzitutto la pro- 627. Sardegna. Costume di Ittiri. Editore Fotocelere, cali, provinciali, regionali, nazionali, internazionali.
Torino, 1925 ca. Stampa fotografica colorata manualmente.
E, poiché ciò che è proprio della Sardegna non è avere pria, quella di un particolare tipo di merce prodotto in Le cartoline di questa serie furono annualmente ristampate sino ai primi Per le cartoline di costumi sardi prevalse su tutti Pietro
un proprio costume regionale, ma il fatto che ogni sin- un certo modo e per un certo pubblico. Esse filtrano la anni ’40, anche per conto della cartoleria Giuseppe Dessì di Cagliari. Valdes di Cagliari; ma in questa città operavano anche

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626 627
Evaristo Mauri e Giuseppe Dessì. A Sassari spiccavano i (dagli anni ’20) la Fotocelere, entrambe di Torino; non
nomi di G.B. Briasco e di Antonio Zonini. In questo pe- mancano l’Alterocca di Terni, la Marzari di Schio, la
riodo precedente il 1905 (identificabile dal dorso “unito” Fratelli Pagno di Genova, la Grazzini & Pezzini, la Bro-
destinato al solo indirizzo), fanno la loro apparizione ra- mofoto e la Cecami di Milano. Per tutte la mutazione
ri editori del continente e anche alcuni stranieri come la stilistica è simile.
NPG (Neue Photographische Geselschaft del berlinese Si è già visto come con la serie “Costumi sardi” della SAT,
Reutlinger con filiale a Parigi) e soprattutto Stengel (con negli anni a cavallo della Grande Guerra, la fissità iconi-
sede a Dresda e Berlino). ca del costume-vestito è scossa e dinamizzata dalle esi-
In questa girandola di editori, spesso lo stesso cliché genze documentarie del costume come mestiere e come
edito da uno veniva ripreso da un altro (sia che fosse usanza; ivi compresa l’usanza di svolgere le proprie atti-
piratato, scambiato o ceduto), con tutti i rischi che, in vità in costume o di esibirsi in costume in occasione di
questo passaggio di mani, andasse compromessa l’esat- feste. I personaggi in costume cessano insomma di fare
tezza filologica della didascalia di accompagno. le belle statuine, escono dallo studio e ritrovano all’ester-
Le cartoline di costumi, nei due sensi del termine, allora no, dinanzi o dentro le loro abitazioni, una realtà conte-
edite sono comunque quelle sinora descritte. stuale; la quotidianità dell’ambiente finisce per dare un
Dopo la crisi, molti editori locali spariscono oppure si tocco di verismo realistico in cui il costume mantiene a
ridimensionano nettamente. Il fenomeno è verificabile stento la propria purezza esemplare.
su scala mondiale: molti editori sopravvivono limitan- Gli editori del continente non spingono certo in questa
dosi a ristampare i pochi soggetti più richiesti da parte direzione documentaristica, ma piuttosto verso il pittore-
di un pubblico socialmente sempre più esteso, ma me- sco, sottolineato dall’introduzione via via più spinta del- 629 630
no colto e raffinato; l’origine della banalizzazione delle l’uso del colore. Ciò è particolarmente evidente in due
cartoline, che vedono aumentare le tirature e ridursi la diverse edizioni di identici “Costumi sardi” da parte del- briganteschi, limita i propri abiti locali alle belle ragazze 628. Costume sardo. Pula (Cagliari). Editore VAL-VIT, Roma, 1960 ca.
varietà dei soggetti, sta proprio in questo fenomeno di la SAT; la prima edizione si presenta come una normale in costume; il vestito sarà pure quello ereditato dalla Prodotta in Spagna. Stampa a retino con ricamo e appliques in tessuto.
crisi commerciale e di mutamento del mercato. cartolina con il colore dato qua e là a grandi macchie e nonna, ma il modo di atteggiarsi posando è ormai det- 629. Costumi sardi. Editore Bromofoto, Milano, 1953 ca.
A partire dagli anni ’10 il mercato sardo è sempre più lo sfondo ritoccato all’ingrosso per non disturbare le fi- Stampa in “vera fotografia” con forte smaltatura
tato da un’altra, differente tradizione, quella delle foto (donde il nome corrente di “Cartolina lucida”).
in mano a grandi ditte nazionali; prima la SAT e poi gure che devono spiccare su esso; la seconda edizione glamour dello spettacolo: un braccio è poggiato ad
630. Costumi sardi. Editore Bromofoto, Milano, 1953 ca.
presenta gli stessi identici soggetti (alcuni costumi di un anfora sul fianco, la bocca ben delineata dal rossetto si Stampa in “vera fotografia”.
tipo e alcuni dell’altro) interamente ridipinti a vivaci co- schiude al sorriso, lo sguardo è malizioso o spavaldo,
lori e poi rifotografati; in questo modo il soggetto non riccioli tirabaci sfuggono dal foulard, scarpe col tacco
viene solo colorato, ma ne viene ridelineato il volto e alto sporgono da sotto la gonna (fig. 627). Questa serie (fig. 629); questa non ha più nulla a che fare con la mo-
l’espressione; lo sfondo è soprattutto oggetto di inter- sarà ristampata sino ai primi anni ’40, anche per conto dernità: è un nuraghe; a conferma che le radici della tra-
venti pittorici: esso viene ridipinto di sana pianta, in cer- di Giuseppe Dessì, ora ridotto al ruolo di rivenditore. dizione sarda non sono solo antiche, ma antichissime (e
ti casi azzerando un muro scrostato, sostituito con un Ormai la persona che posa in costume ha cessato di es- anche un poco misteriose).
fondo azzurro unito su cui spicca un ramo fiorito, a da- sere una sorta di manichino indifferente; l’accento si
re profondità e allegria all’immagine. posa su di lei e il costume diviene un suo abbellimen- Dalla fotografia all’illustrazione
Anche se la didascalia resta inalterata (Costumi sardi. to. Negli anni ’50 certe ditte di Milano o di Spagna si Non è qui il caso di ripercorrere la storia delle “matite
Lanusei, oppure Costumi sardi della Baronia, Costumi spingono ancor oltre, costruendo il costume sul sup- di un popolo barbaro”; ma, poiché gli illustratori sardi
sardi. Campagna di Laerru), l’edizione ridipinta a colori porto stesso: con ricami, appliques di stoffa, spolveratu- hanno largamente fatto coincidere la propria attività
ha valore di quadretto di genere più che di documento re di pelo di feltro, questo diviene un semplice abbelli- con la raffigurazione dei costumi della loro terra, occor-
fotografico (figg. 623-625); il pittoresco, il recupero no- mento della cartolina stessa (fig. 628). re rilevare alcuni casi.
stalgico della tradizione, l’aura romantica conferiscono A partire dagli anni ’50 la rivitalizzazione del folklore a Le prime cartoline documentanti graficamente dei costu-
un tono poetico-artistico che esula dal valore documen- opera degli Enti Turistici in funzione del nascente turi- mi sardi sono quelle edite tra fine ’800 e primissimo ’900
tario e mantiene queste immagini fuori dal tempo, ma smo, sia interno che dal continente, porta alla contem- da G. Dessì di Sassari come Album di costumi sardi; si
con una sfasatura rispetto all’ideale eternità iconica dei poranea ripresa sia delle feste tradizionali (con i relativi tratta spesso di riprese grafico-tipografiche di fotografie,
costumi-emblemi. balli e cavalcate) sia dei costumi; le cartoline “lucide”, secondo l’abitudine invalsa prima dell’avvento della fo-
Noteremo poi che i costumi-vestiti non sono più inqua- in “vera fotografia” allora edite da varie ditte del nord totipia di “tradurre” le fotografie con sistemi manuali al
drati a piena cartolina, ma con un mezzo busto abbon- Italia, più che le singole persone in costume, documen- tratto; rispetto alle foto stampate che succederanno loro,
dante (sino alla coscia) o ristretto (sino al seno). Questa tano ormai maggiormente dinamiche scene di ridenti esse hanno un’incisività e una leggibilità che ne esalta al
tendenza al ritratto, un tempo quasi ignota, andrà affer- bellezze in costume e a cavallo, bimbetti che, sempre a tempo stesso il valore documentario (si distingue perfet-
mandosi nell’ultimo dopoguerra, quando a poco a po- cavallo e infagottati in un costume su misura copiato da tamente ogni particolare del costume) e la forza espres-
co spariscono i costumi maschili e le belle ragazze sar- quello del nonno, fingono di fumare la pipa (fig. 630), siva dei volti, ripresi anche in primo piano (Paesano di
de in costume cominciano ad allargare nel sorriso la sfilate per le vie cittadine, balli. Sorso firmata da Gaston Vuillier) (fig. 631).
bocca truccata. Sempre alla metà degli anni ’50, la Bromofoto di Milano Questa tradizione, interrotta dall’avvento della fototipia
Anche là dove si resta in studio, con i personaggi in co- riprende l’antica tradizione delle cartoline “polittiche”; il (ben più impastata e incerta, ma con il fascino della “ve-
stume a figura intera e senza interventi pittorici prevari- titolo non è più “Ricordo di…”, ma “Costumi sardi”: rità” fotografica), riprende oltre trent’anni dopo (1936)
canti, possiamo notare una mutazione. Negli anni ’20, quattro piccole foto mostrano a mezzo busto altrettante nella serie di xilografie e bianchi e neri edita dal Comi-
628 la Fotocelere di Torino, escludendo gli anziani e i ceffi ridenti belle ragazze, una per paese, più una veduta tato Nuorese Onoranze a Grazia Deledda; è significativo

380 381
631 632
grafica specifica, Sini coglie con arguzia, nelle sue più 635. Costumi sardi. La danza.
Autore Bakis Figus. Editore Garami,
varie articolazioni, il grande tema dell’incontro-scontro Milano, 1928 ca. Stampa a retino.
tra modernità e tradizione che caratterizza la Sardegna
636. Costumi sardi. Desulese.
in quanto tale e che sarà destinato a segnarne il futuro. Autore Bakis Figus. Editore
Questo è lo stesso tema che già abbiamo visto emergere Stabilimento Arti Grafiche Bertarelli,
nelle primissime cartoline di “Ricordo di…”; esso è pre- Milano, 1928 ca. Stampa a retino.
sente, qua e là, anche in altre cartoline fotografiche del
primo periodo centrate su una coppia-contrasto formata
da una persona in costume che si rapporta ad una sen-
za costume: Giovinetta di Sennori (fig. 638), in costume,
serve compostamente da bere a un borghese in camicia
e gambe accavallate; il Costume di Tempio è quello del-
le ragazze che girano per strada con un recipiente tenu-
to in equilibrio sulla testa, servendo da bere ai passanti,
nel nostro caso un giovanotto in giacchetta a quattro ta-
sche e paglietta. La situazione pare invertirsi nella carto-
lina pubblicitaria L’Amaro Felsina Ramazzotti in Sarde-
che i personaggi raffigurati non siano indicati come sim- gna (fig. 637): a mescere sono due signori in abito di
boli locali, ma come specifiche persone (per esempio città davanti a un gruppo di ragazze in costume.
Ziu brazzos de ferru di Mario Delitala, xilografia più no- Sini coglie queste e altre simili situazioni, sottolinea le arie 635
ta con il titolo Ziu brancas de ferru) oppure come gene- impacciate degli uni e quelle smaliziate degli altri, rileva
rici emblemi romantico-poetici (Il re della Montagna di la comicità insita nel contrasto (figg. 632-634); egli mostra Splendide nella loro curiosa impaginazione (stilizzatissi-
Francesco Congiu Pes). lo stupore dei sardi dinanzi all’irruzione della modernità me figurette alte appena pochi centimetri al centro della
Di gran lunga le serie più interessanti – sia sul piano sti- portata dalle primissime turiste, l’imbarazzo di queste a cartolina bianca) sono le nove litografie a due o a tre
listico che dei contenuti – sono quelle create negli anni adattarsi a certe situazioni. Con humour leggero, con colori di Battista Ardau Cannas di Sassari. Più che esem-
’20 da Tarquinio Sini per le edizioni G. Ledda di Cagliari buona dose di autoironia, egli rivela un problema di sem- plificazioni geograficamente precise, questi personaggi-
e per G. Dessì della stessa città, entrambe di dieci sog- pre: come l’incontro tra genti diverse (per sesso, origini, ideogrammi sono una sorta di variazione formale sul te-
getti. Liberatosi dall’impaccio di una identificazione geo- tradizioni, vestiario) sia spesso un dialogo fra sordi in cui ma che dà il titolo alla serie: “Costumi sardi”.
ad avere ragione è a volte solo quello che urla di più. Il Altri illustratori, come Giacinto Satta, Lety Loy, Perrotti e
contrasto è tanto più evidente – e ridicolo – quanto più un tardivo Primo Sinopico, con più o meno grande pro-
Sini carica i tratti distintivi dei due elementi della coppia: lificità e riuscita, tra gli anni ’20 e ’50, hanno creato car-
lo scostumato costume della turista e quello rigido, serio, toline di tipi sardi in costume.
mummificante dei sardi. La verità colta da Sini in questo Assolutamente eccezionali per bellezza decorativa sono
costume non sta nella sua resa filologica, ma nel suo es- le numerose serie ricavate da splendenti bozzetti a tem-
sere considerato in modo comparato e differenziale. pera dedicati da Bakis Figus soprattutto ai costumi fem-
Senza troppe pretese artistiche è la serie bamboccesca minili; se una serie è dedicata ai costumi di specifiche
firmata Griso, con una cartolina per località e priva di località, altre tre hanno invece carattere più generico
ogni specificità sia nel soggetto (Meditazione, Pane quo- (come rivelano titoli come Maternità, Alla fonte, Sull’aia,
tidiano, Fichi d’India ecc.), sia nel costume che, più che Primavera, Ninna Nanna, La danza (figg. 635-636)
stilizzato, risulta abborracciato. ecc.). La sua capacità di stilizzare lo porta a rispettare la
specificità e leggibilità del soggetto trattato, facendone al
631. Paesano di Sorso (Sassari). Album di costumi sardi. Editore tempo stesso una autentica sinfonia coloristica e compo-
633 Giuseppe Dessì, Cagliari. Stampa tipografica. sitiva. Queste sue cartoline, edite sia per Garami di Mila-
L’autore, Gaston Vuillier, realizzò questo e altri ritratti di tipi sardi
attorno al 1891; spesso si avvalse di una base fotografica. L’editore no che in proprio, ed anche come pubblicità dell’Amaro
Dessì li trasformò in cartoline operando spesso dei tagli per riquadrarli Felsina Ramazzotti, vanno dalla fine degli anni ’20 sino ai
sul nuovo formato. ’40; esse accendono di squillanti colori mediterranei la
632. Le gambine nude. Autore Tarquinio Sini. Editore Giuseppe Dessì, stilizzazione di Cambellotti; in certo qual modo traghetta-
Cagliari, 1925 ca. Stampa in quadricromia da originale a tempera.
Tra le due ragazze, la più vergognosa non è la più “scostumata”,
no il déco entro una luce solare. In questo modo egli è
ma proprio quella che indossa il costume tradizionale, forse conscia fedele alla tradizione dei costumi sardi, non tanto perché
della propria arretratezza. li rappresenta fedelmente, ma perché ne fa rivivere in
633-634. Istantanea strapaesana e Istantanea stracittadina. modo personale e moderno i colori violenti e le linee
Autore Tarquinio Sini. Editore G. Ledda, Cagliari, 1927 ca. geometriche.
Stampa in quadricromia da originale a tempera.
Fanno parte di una serie di 10 soggetti esistente anche con la Assolutamente banale, con risvolti kitsch, è poi, nell’ul-
sovrastampa dei “Vini tipici sardi” per le Cantine Sociali di Quartu timo dopoguerra, la stampa impastata di abborracciati
(Cagliari). I sardi non sono qui solo “tipi da cartolina”, ma soggetti costumi su foglio di sughero, come se una curiosità
pittoreschi per le istantanee dei nuovi turisti; e ad essi, a loro volta,
guardano con altrettanto curioso interesse. L’alterità, per una volta, merceologica potesse vivificare usanze ridotte alla so-
634 è costituita da una coppia dialettica il cui rapporto è reciproco. pravvivenza ad uso turistico. 636

382 383
Tre casi esemplari
Torniamo alle cartoline fotografiche edite a cavallo del-
l’ultima guerra.
La prima, stampata verso la fine degli anni ’50, docu-
menta la realtà di un centro minore, seppure in un
giorno eccezionale: Bitti. Festa del Miracolo (fig. 640).
Fotografo, editore e paese coincidono: M. Bitti. Essendo
ripresa un po’ dall’alto, mostra ampiamente uno di quei
luoghi attrezzati di botteghe e cappelle, sorte di caravan-
serragli, ove i sardi si radunano anche per più giorni
fuori del paese in occasione delle feste principali. La ri-
presa coglie sul fatto una folla eterogenea in cui si me-
scolano persone e mezzi di trasporto, banchetti di vendi-
637
ta di cibo e apparecchi radio, sacro e profano, tradizione
637. L’Amaro Felsina Ramazzotti in Sardegna, 1920 ca. e modernità. I due chierichetti che vanno a toccare la
Stampa tipografica colorata manualmente. grossa motocicletta stanno accanto, ma senza degnarli
d’attenzione, a due bimbi borghesi in fiammante costu-
me tradizionale; un carro tirato da vacche, guidate da un
uomo in tabarro e berretta sta pericolosamente mano-
vrando fra un 1100 e una 600 da cui è appena scesa 639 640

un’intera famigliola (forse 8 persone, infanti compresi).


638. Giovinetta di Sennori. Editore A. Zonini, Sassari, 1903 ca.
Vediamo uomini in doppiopetto e altri in camicia; donne
Stampa tipografica. in nero che si stanno meglio coprendo la testa con il
foulard e altre a capo nudo e gonna a quadretti; quelli
in costume tradizionale sono issati sui loro cavalli; i ca-
rabinieri, in costume d’ordinanza, fanno crocchio. Chi
chiacchiera in gruppo, chi vende, chi compra, chi si esi-
bisce e chi sta a guardare; perfettamente al centro della
scena è un fotografo; uno solo; fra pochi anni, invaso il
campo, faticheranno a escludersi a vicenda dall’inqua-
dratura. La struttura paratattica, priva del filo conduttore
di una messinscena o sceneggiatura, è quella di un qua-
dro fiammingo che possiamo descrivere ma non raccon-
tare; c’è di tutto, ma manca un senso che distribuisca i 639. Saluti da Oristano. Editore Cecami,
vari elementi secondo un criterio gerarchico. Milano, 1942 ca. Stampa in fototipia.
La Sardegna si mostra qui, anche vestimentariamente, 640. Bitti. Festa del Miracolo.
per quello che di fatto è: una realtà composita. Ma, nel- Editore e foto M. Bitti, spedita nel 1959.
la testa di tutte queste persone c’è forse una comunanza Stampa in “vera fotografia”.
di attese, di aspettative, un immaginario collettivo condi- 641. C’è per gli occhi la grande gioia
viso; o, perlomeno, questa ipotesi fa comodo ai com- dell’abbigliamento. Editore Bromofoto,
Milano, spedita nel 1957. Stampa in “vera
mercianti di cartoline che devono produrre merci desti- fotografia” con forte smaltatura. 641
nate a piacere a un mercato quantomeno abbastanza
esteso da assorbirne la tiratura. cassetto il costume che sarà ormai riesumato una volta Enti per lo sviluppo locale, vacanzieri e sardi in cerca di
Saluti da Oristano (fig. 639) è di almeno dieci anni pre- l’anno, il dì di festa, questo è il modello cui aspirano le facili radici.
cedente, ma mostra una mutazione antropologica ormai ragazze sarde di città (e tutte vorrebbero andare a vive- Il carattere documentario ha ormai ceduto alla sceneg-
compiuta: questa scritta tipicamente localizzante mar- re in città). Questa immagine riassume un immaginario giata di genere: i sardi, a forza di raffigurarsi in costu-
chia il ritratto di una biondona sorridente (forse la tori- ormai nazionale, già diffuso prima che si dovesse demo- me, hanno finito per divenire dei sardi di maniera, per
nese Marisa Canavero, allora la più ricercata modella nizzare la TV. “sardizzarsi”; come tanti altri popoli che hanno trovato
per cartoline); il capo è scoperto a mostrare la vaporosa Possibile che l’immaginario sardo abbia per solo esito nelle proprie tradizioni folkloriche una risorsa turistica,
messa in piega, le sopracciglia sono depilate ad arte, il una perdita di identità? La nostra terza cartolina (fig. 641) anch’essi finiscono per autoproporsi e autorappresen-
sorriso è abbozzato, per non “siupare” il trucco, gli mostra una realtà più complessa. Raffigura una coppia tarsi come attori di una sceneggiata in costume.
orecchini sono di false perle nello stile che i romani di giovani sposi in costume “montata” su cavallo bianco Di quale costume si tratti, poco importa, purché sia pit-
chiamano “generone”, del vestito si vede solo – semico- (già prima di Lawrence d’Arabia i cavallini sardi poteva- toresco. La didascalia deve allora finalmente rinunciare a
perto da rose – una spallina imbottita e un girocollo… no andare a nascondersi), stagliati su uno sfondo per qualsiasi pretesa localizzante; non raffigurando un luogo
Grand Hotel assieme ai film strappacore con Yvonne metà di mare e per metà di nuraghe. L’incongruo foto- della realtà, ma uno stato d’animo, essa suona: C’è per
Sanson e Amedeo Nazzari hanno diffuso a scala nazio- montaggio, ancor più che vero, è “ben trovato”, perfetta- gli occhi la grande gioia dell’abbigliamento. Anche se la
638 nale un unico modello con cui identificarsi; lasciato nel mente consono con l’immaginario di promoter turistici, cartolina è in bianco e nero, possiamo sognare.

384 385
“Sa veste”
Bachisio Bandinu

L’abito dei pastori, composto da bonette, gianchetta e La moda è nel gioco del tempo, nel ritmo del suo varia-
pantalones a s’isporta, gambales e iscarpones, ha un re. Nella cultura pastorale il verbo variare è riferito alla
forte carattere identitario, sino a porsi come metafora malattia mentale, variatu de conca, indica comunque
stessa dell’essere pastore. Definito da un’appartenenza leggerezza, leggeri de cherveddu, e inconsistenza. Apre
e rigorosamente caratterizzato per stoffa, colore e fog- il tempo alla novità e all’arbitrio, alla mutevolezza e al-
gia. Obbligata la relazione tra i capi che lo costituisco- l’ostentazione. Insomma, la moda è una maniera di ve-
no. È un modello istituzionale e sociale. È un’immagine stire esposta all’invenzione e alla meraviglia: come al
psichica dell’identificazione profonda. Est pro sa vita, vento della novità, senza fermezza. Sa ’este istituisce il
non è soggetto al variare delle stagioni e degli anni, non tempo lungo della tradizione nella riconferma de su
appartiene al sistema mutevole della moda. Sa ’este est connotu.
semper ipsa, comente s’homine. Proprio come l’uomo ri- L’abito, proprio perché è l’interpretazione personale di
conferma se stesso nel tempo. un’istituzione sociale, deve essere caratterizzato da uno
Il primo approccio con l’abito è un rito di iniziazione. stile: c’è una grazia, un decoro, unu ghettu, che non in-
Su pitzinnu devet essire a campu, bisonzat de li picare dica soltanto un portamento, il modo con cui cade ad-
sas misuras. Il ragazzo, finite le scuole elementari, va dosso alla persona, ma esprime anche una vicendevole
all’ovile per diventare pastore: occorre prendergli le mi- corrispondenza tra corpo e vestiario. Segna una diffe-
sure. Le misure sono quelle del vestito e degli scarponi. renza fondamentale tra l’uomo e il pagliaccio, tra iden-
La madre lo accompagna dal sarto e dal calzolaio per- tità e mascheramento. Il giudizio si fa severo: gli hanno
ché si tratta di misurare il corpo in senso fisico e simbo- messo addosso unu battile, uno straccio (battileddu è
lico. Si stabilisce una forte relazione tra ’este e corpus. Il una maschera arcaica del paese di Lula). Vuol dire che
vestito è personale e identitario. Quando tutto è pronto una persona non è se stessa, subisce una conformazio-
c’è la vestizione che opera una metamorfosi: su pitzin- ne esterna nell’ordine del comico, del farsesco, del ca-
nu diventat homine. Est zovanu fattu, fatto improvvisa- muffamento. Dechet, decet è il termine che indica una
mente giovane, pronto per l’ovile. C’è stato un fare e un pertinenza e una connotazione stilistica.
farsi per diventare homine de campu. Su bonette è la metafora de sa conca. Il berretto è la te-
Quell’abito segna un distacco dalla madre, dalla casa, dal sta. Chentu concas, chentu berritas viene tradotto alla
paese. Si entra nel regno del padre, si frequenta “l’univer- lettera con “cento teste, cento berretti”, in verità riman-
sità dell’ovile” pro si fachere homine. È un cambiamento da ad un altro detto: “a ciascuna testa il suo berretto”.
radicale: il passaggio dal cotto al crudo, dal molle al du- Non si vuole indicare tanto la disparità delle opinioni
ro, dal dolce al salato. Nell’ovile non c’è letto, non c’è ta- quanto la corrispondenza tra berretto e testa. Non esi-
volo né cucina. Quell’abito in campu indurisce il corpo e stono teste in serie e neppure berretti standard.
anche l’animo per non temere i fantasmi, per non avere Bisogna affidarsi al racconto per registrare la scena ve-
paura né dei vivi né dei morti. Dormire a costas a terra stiaria.
vuol dire abituarsi a una vigilanza inconscia, a una psi- Giovanni mandava la sorella in tre negozi diversi per por-
cologia dello stare all’erta. Di notte non ci si spoglia del- tare in casa una ventina di bonettes. Davanti allo specchio
l’abito. Di giorno e di notte, d’estate e d’inverno, sa ’este iniziava la cerimonia delle prove. Mano a mano che in-
è una seconda pelle che definisce, conforma e difende. dossava un berretto commentava: “custa no est sa conca
Dà la forma al tempo che corre come il vento e lo defini- mea” e così di seguito continuava l’esercizio della prova.
sce nell’eterno ritorno della scansione festa-lavoro. Infine ne selezionava due per verificare con maggior cura
la pertinenza all’abito. Il giudizio definitivo veniva dato in
relazione alla figura totale dell’abito-corpo, dagli scarponi
642. Orgosolo, dicembre 1954, fotografia di Pablo Volta.
C’è una corrispondenza tra scarpone, gambale e bonette. alla testa. Il rito aveva fine quando mormorava: “sono io,
642 L’abito risponde a uno stile di forma, linea, colore. mi ci vedo, mi ci trovo, ci siamo”. Ma non sempre le cose

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effettuava un processo di accomodamento. Si trattava uno nudo scattava subito l’aggressione: “tenelu, ca nos
appunto di renderlo domestico in modo che stesse sul lu coddamus ” e non certo mossi da una tensione eroti-
capo come in domo sua. ca quanto invece animati da una istanza punitiva. La nu-
La giusta postura indicava equilibrio e giustezza esteti- dità è perturbante, ha a che fare col domestico e con
ca: non troppo rialzato sulla testa e non troppo incar- l’estraneo: lo sguardo è nella proiezione dell’horribile
catu dentro, a volte con un leggero abbassamento della visu, il monstrum. Visione soggetta a tabù.
visiera sulla fronte. Ogni variazione della postura indi- Non meno rilevante è il rapporto tra il nudo e il senti-
cava un mutamento dell’animo. Girare la visiera all’in- mento di vergogna: “cuati sa irgonza”, nascondi il ses-
dietro, su bonette a s’ala mala, esprimeva un rovescia- so. Lo sguardo mette in atto processi violenti: denudare,
mento delle emozioni, una tensione ludico-agonistica o ispilire, scoprire, svelare. Questa forza di denudamento
uno stato di ebbrezza alcolica. Metterlo di traverso indi- dello sguardo opera a livello inconscio, basti pensare ai
cava un atteggiamento di sfida o di spavalderia, per numerosi sogni di vedersi svestita in chiesa o anche so-
esempio nel gioco della morra o comunque in una for- lo con il capo o con i piedi nudi ed essere osservati con
te concitazione emotiva. sorriso beffardo e con atteggiamenti di giudizio severo.
Ma certamente il segnale più distintivo era legato ai mo- Nella cultura sarda il complesso di vergogna è molto più
643
menti e situazioni in cui bisognava togliersi il berretto. forte del complesso di colpa. Quest’ultimo è più dispo-
Questo gesto di grande valore simbolico era giustificato sto ad una elaborazione attraverso la reciproca distribu-
andavano per il verso giusto. A volte l’unico berretto scel- soltanto in due occasioni: il passaggio della bara durante zione della colpa nel gioco vendicativo, invece l’espe-
to serviva come modello per una ricerca ulteriore presso il funerale e la processione in onore del santo nelle feste rienza di vergogna non ha rimedio e richiama il fantasma
altri negozi. Poteva infatti capitare una differenza minima comandate. La presenza perturbante della morte e il mi- di sparizione e di sotterramento: per non sopportare l’af-
della tonalità del colore o una non precisa ampiezza del stero della divinità. Scappellarsi, dunque, non aveva un fronto è preferibile stare “tre palmi sotto terra”. La nudità
cerchio del berretto per continuare l’investigazione. Se la carattere sociale in riferimento al ceto, allo status o al è legata al sentimento della vergogna. Coprirsi in senso
sorella, ormai provata dall’andirivieni inconcludente, con- ruolo di una persona e neppure alla differenza di genere reale e simbolico rivela nell’inconscio sardo una costella-
sigliava di andare egli stesso nel negozio per provare e come gesto di deferenza verso la donna. Non rientrava zione dinamica di obblighi e divieti. Il nascondimento è
misurare, le veniva duramente obiettato che nel negozio negli atti di rispetto e di saluto. Da questo punto di vista inseparabile dal senso di vergogna. La nudità è un segre-
egli non era libero di provare a lungo e di atteggiare il la società pastorale era strutturata sul fantasma di parità: to protetto: è una parte vulnerabile del sé. La vergogna
corpo, e che non gli andava di recitare in un luogo pub- semus paris, tu non sei migliore di me né io pretendo di protettiva ha la funzione di serbare l’identità, il mondo
blico, oltre al fatto che il negoziante avrebbe frettolosa- esserlo. Certo, c’erano le differenze sociali ed economi- dei valori condivisi dalla comunità. Freud ha scritto che 644
mente approvato che quel determinato berretto gli anda- che, ma nella psicologia più profonda emergeva il senti- la vergogna è una forma di resistenza contro la libido:
va a pennello, per quel che gli importava, tanto la testa mento di uguaglianza. Al di là di ogni classificazione di una limitazione del suo investimento. Chi non prova ver- rapporto tra corpo e abito, un altro psichico che riman-
non è la sua. valore aggiunto, vigeva un diritto naturale di parità che gogna non ha dignità sessuale. Il nudo richiama la ca- da a s’ispiritu che anima la dote della grazia stilistica.
Il colore è un indicatore di identità e di riconoscimento si esprimeva nel detto: “che cosa hai tu più di me?”. strazione e il tabù della “natura femminile”. Il massimo Avere s’ispiritu nel portare l’abito vuol dire possedere
paesano. Vietati l’azzurro, il rosso, il giallo, l’arancione, Quando qualcuno distratto tardava un attimo nel rimet- della vergogna è l’esposizione sessuale: essere messo in coscienza estetica dell’indossare.
il viola, il bianco e in genere i chiari. Preferito è il grigio tersi il berretto veniva subito redarguito: “a ti lu pones su scena, al centro della derisione sociale. È delicata e problematica la linea che divide il serio dal
nei suoi toni oscuri, con difficili concessioni in qualche bonette”. Essere a conca nuda è la metafora della nu- Saper portare l’abito implica una coscienza di sé. Lo sti- faceto, il sublime dal farsesco, il volto dalla maschera,
paese al marrone e al verde cupo. L’identificazione cro- dità. Senza difesa, la testa scoperta è esposta allo sguar- le è il buon portamento. Bragare è l’autostima di vestire l’uomo dal pagliaccio. Custode di questo confine è il
matica è così forte da esprimersi nella frase “custu est su do che è sempre critico e persecutorio. Nell’antropologia l’abito in perfetta sintonia con il corpo secondo una visi- sentimento di vergogna, un super-io giudicante che non
colore naturale ”, quello vero, quello che non si nota. sarda è complesso il rapporto tra nascondimento e svela- bilità calcolata e sapiente. Al contrario sa creita è darsi permette debordamenti ma è anche una linea divisoria
L’immaginario è strutturato nell’ordine del nascondimen- mento. La prima difesa è costituita dalla pelle che deve un credito estetico senza la giusta misura e senza la che discrimina i codici etici ed estetici dall’approssimati-
to, contro la visibilità manifesta. ispessire, accogliare, diventare scorza dura e resistente. qualità confermata dal giudizio della gente. Est ’ocande vo e dall’imparaticcio. Saper portare l’abito non è riferito
Non meno importante è l’ampiezza del berretto che con- Di un uomo debole e malaticcio si dice che è a una pi- creita, sta tirando fuori un credito arbitrario; cusse no tanto a un’alta o bassa statura quanto alla grazia del
nota specificatamente identità paesane o di zona: il for- tza, ha un solo strato di copertura e di difesa. Il bimbo istat ritzu de sa creita, atteggia cioè il corpo in movenze portamento: una persona alta può non avere garbo così
mato piccolo è quello di Orgosolo, quello medio è di appena nato est in pedde de mama, proprio perché nudo ostentate e non giustificate. come una di bassa statura può sembrare goffa. E tutta-
Bitti, Orune e Santu Lussurgiu, quello più largo è riferito è esposto a mille insidie. È indifeso e può essere colpito La differenza tra braga e creita sta nell’attribuzione e via spesso nei paesi una persona di media-bassa statura
alla Baronia e alle località centro-meridionali dell’Isola. dal malocchio e persino dai complimenti che gli si rivol- nel riconoscimento sociale. In una comunità ipercritica poteva eccellere per grazie ed eleganza proprio per la
Una volta scelto, su bonette, bisognava domarlo affin- gono. Ecco perché bisogna subito avvolgerlo con le fa- bisogna dosare il modo e il tempo del mostrarsi per capacità di governare corpo e abito. Dallo stile promana
ché si adattasse perfettamente alla testa. Si prendeva sce che tengono il corpo stretto e tengono unite le mem- controllare i rischi dell’esposizione. Nessuna ostentazio- l’eros del corpo e dell’abito.
una spazzola bagnata e la si passava ai bordi affinché bra che rischiano la disarticolazione. Le giunture sono i ne: bragare secondo uno stile è sancito dalla dimensio- Il detto “essire foras de sa ’este ” indica compiutamente
la stoffa perdesse la rigidità e si abbassasse ai lati per punti deboli attraverso cui penetrano sguardi e parole ne festiva. È la gente stessa che riconosce alla persona i l’identità tra vestito e corpo simbolico, stato personale,
fare tutt’uno con il capo. D’altro canto la fabbrica li malefiche. La nudità è umanità senza difesa. tratti eccellenti del portamento. appartenenza, condizione d’equilibrio, codice sociale.
produceva in serie e dunque bisognava personalizzarli. Naturalità senza cultura. È rischioso il passaggio dalla La valutazione stilistica si condensa in una frase: “cusse “Come me lo immagino e me lo vedo il vestito?”. Questa
La domatura indicava un intervento attivo e artistico, protezione e dal nascondimento del ventre materno al- ja nche la pesat sa ’este ”. Il verbo pesare in sardo copre è la domanda che indica la partecipazione dell’individuo
la nudità disarmata. La visione del nudo è insostenibile e un ricco campo semantico: alzare e alzarsi, lievitare rife- nell’ideazione e nella fattura del vestito. Quando si va
richiama immediatamente la copertura, il vestimento. Es- rito al pane, valutare il peso di una cosa, dare il nome
643. Famiglia di Escalaplano, 1921, fotografia di Max Leopold Wagner, sere esposto allo sguardo significa correre il rischio di in- del nonno o di un parente a un bambino: una pluralità
Berna, Istituto di Filologia Romanza “Karl Jaberg”. 644. Orgosolo, 1955, fotografia di Mario De Biasi.
La famiglia è una declinazione di abiti, nella differenza sessuale trospezione, di uno svelamento, di una caduta in posses- di senso che richiama i verbi pensare e crescere. Pesare Il rito di iniziazione avveniva attraverso un vestiario:
e nella differenza di età. so dell’altro. Tra i ragazzi quando capitava di scorgerne sa ’este ha un duplice significato: uno fisico, riferito al rito di passaggio da pitzinnu a homine.

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dal sarto per le misure si insiste nelle raccomandazioni: ta sullo scarpone e la distanza dalla piega del ginocchio.
s’isporta de sos pantalones non deve essere troppo larga Era più facile ottenere questi requisiti dai gambali a cor-
ché risulterebbe sgraziata e vistosa ma neppure appena rias regolabili in larghezza e meno vistosi; quelli a butto-
pronunciata ché connoterebbe una maniera alla cavalle- nes risultavano più eleganti ma non regolabili. Lucidare i
rizza. Il cavallo dei pantaloni non deve essere troppo bas- gambali era un impegno tutt’altro che ovvio: occorreva
so ma neppure deve evidenziare le forme del corpo. La un lavoro insistente e quasi ossessivo per renderli lucidi.
giacca, precisa sulle spalle, deve stringere lievemente sul- La stoffa dei pantaloni è di velluto liscio. Il colore più
la vita. La giacca deve essere né lunga né corta: un’indica- diffuso è il marrone scuro ma anche il nero e il verde
zione nient’affatto generica perché misura rigorosamente oliva, vietati il rosso, il giallo, l’azzurro, il viola, l’arancio-
un modello ideale, ma lo stesso sarto possiede il prototi- ne, raro il grigio.
po immaginario rispondente alla moda del proprio paese, La giacca è a un petto con due bottoni, con o senza mar-
che può avere tratti minimi distintivi rispetto ad altri paesi. tingala. Alla camicia tradizionale in tessuto bianco di lino
Tra gamba e gambale ci deve essere una rispondenza as- o di cotone, a colletto basso, succede ben presto la cami-
soluta. Obbligata l’aderenza al polpaccio, la giusta cadu- cia col colletto dell’abito a sa civile. Negli anni Cinquanta

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si cominciò a usare anche il maglione a collo alto di co- L’alternativa al vestito pastorale era l’abito di panno con
lore preferibilmente grigio. Gli scarponi di pelle poteva- giacca e calzoni lunghi: lo si usava in occasioni partico-
no avere il fondo di gomma o di suola con i chiodi. lari, alla cerimonia del matrimonio o in un viaggio a Ca-
Il modello è canonico, sia per la festa che per il lavoro. gliari o in Continente, ma non si smette il bonette che ri-
La distinzione tra ’este de campu ed ’este de bidda, ’este mane a garanzia dell’appartenenza e dell’identità. È un
de arribu ed ’este de fitianu, ’este de festa o de diatoglia abito sostanzialmente estraneo che connota un momen-
riguarda soltanto lo stato d’uso del vestito e può essere to particolare della vita ma non mette in atto un investi-
ricondotta a ’este nova / ’este vetza. È un abito che occu- mento estetico ed erotico.
pa un tempo totale, per esempio è impensabile l’uso di Negli anni Sessanta avviene in Sardegna una mutazione
una tuta per particolari momenti di lavoro come la mun- antropologica: trasformazione del sistema degli oggetti,
gitura o la tosatura delle pecore o l’uccisione del maiale. contaminazione linguistica, crisi delle forme tradizionali
Un abito per tutte le stagioni: non c’è scansione tra tem- del ballo e del canto, affievolirsi degli usi e costumi tra-
po di lavoro e tempo libero. Il lavoro del pastore non è dizionali. Il mutamento di mentalità, di comportamento
un mestiere, come quello del fabbro o del falegname o e di valori è in riferimento ai nuovi sistemi di comunica-
del calzolaio, anzi non è un lavoro, è un modo di vive- zione, televisione, pubblicità, alla nuova merceologia
re, è la vita. consumistica (seppure nella forma impoverita di perife-
La variante a sos pantalones a s’isporta era l’abito lungo ria), all’industrializzazione, al turismo e all’incremento
di velluto a coste. In molti paesi pastorali convivevano del terziario. Una mutazione di gusti, di orientamenti e
indifferentemente, per esempio a Fonni, a Lula, a Ma- di scelte che, con termine a un tempo generico e preci-
moiada, mentre a Bitti e a Orune e Orgosolo i pastori so, viene chiamata modernitate. Tutti questi fattori nella
usavano soltanto sos gambales. loro segreta e manifesta tessitura hanno determinato un
cambiamento della scena tradizionale: lingua e linguag-
gi, vestiario e alimentazione, espressioni della festa e
645. Orgosolo, agosto 1955, fotografia di Pablo Volta.
Su bonette fa la testa, l’abito fa il monaco. del lutto, forme della delinquenza e della conflittualità
L’abito gioca tra il chiaro e lo scuro. sociale, tipologia del divertimento. Si può affermare che
646. Sardegna, 1968, fotografia di Gianni Berengo Gardin. l’abito attraversi con filo distintivo tutta la tramatura del
645 L’abito è un rapporto con lo spazio e col tempo. cambiamento. La civiltà pastorale entra in crisi, l’ovile

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muore come universo culturale, non è più centro di for- nicazioni culturali che seppure confusamente pervado- privilegiando la dimensione erotica del bragare. Tradi- coinvolto anche personaggi pubblici della politica, del
mazione e di sapere, cessa di essere il polo alternativo e no l’intera comunità paesana. D’altronde bisogna pur fa- zionalmente, nel vestiario femminile c’era una ricca op- giornalismo, dell’arte e dell’imprenditoria e che ha tro-
corrispettivo del paese. Il pastore diventa mungitore, re i conti con la modernitate, anche nelle forme di ibri- zione di colori. La gonna finemente plissettata poteva vato in molti stilisti la consacrazione di “abito etnico”
versa il latte alla cooperativa e rientra in paese. Il mon- dazione, di compromesso e di disagio. essere blu (biaita), marrone (colore de caffè), bordeaux come lo definisce Marras nel libro scritto con Cocco,
do femminile, più aperto alle nuove sollecitazioni, non L’abito tradizionale perde spessore e peso, spazio privato (colore de granata), grigia, beige, il nero che indicava Una moda fuori legge.
vede più nel pastore un referente affettivo. e pubblico. Si cambia col rischio di una difficile imitazio- vedovanza divenne poi indice di eleganza. Significativo è il recupero (ma per molti è una conti-
La società tradizionale considera l’industria come tecnica ne, ma sono arrivati i tempi in cui occorre far fronte al La camicetta era in sintonia cromatica con la gonna, blu, nuità) dei pantaloni, soprattutto neri, dei giovani pastori
della riproducibilità degli oggetti. Ciascun abito è assolu- nuovo. Non c’è più una sintassi dell’abito, c’è una libera- marrone bruciato, molto elegante il golfino nero. Le scar- come segno di appartenenza e di riconoscimento.
tamente originale, non c’è copia. Se fosse riproducibile lizzazione: un nuovo modo di vestire più che un nuovo pe erano blu, marrone, grigio, nero e poi anche bianche. Questo fenomeno vestiario, sia quello pastorale sia quel-
metterebbe in crisi l’identità, la specificità della persona. abito. Il nuovo vestire è nel segno della variabilità, della La prima rivoluzione fu l’accorciamento della gonna, lo “borghese”, è rilevante come rivalutazione e rilancio
L’opera artigiana inventa ciascuna volta il manufatto: il mutevolezza e della leggerezza. Come se l’abito avesse dalla caviglia ad appena sotto il polpaccio. Un ulteriore dei caratteri identitari della tradizione vissuti in un rap-
tentativo dell’uguale produce la ripetizione del diverso. un basso grado di realtà e di definizione. Diverso il rap- accorciamento al polpaccio o appena sopra fu subito porto arricchente con la molteplicità delle identità con-
Ebbene questa trasformazione antropologica può essere porto col tempo. Una babele dei segni, delle fogge, del- abbandonato perché “non corrispondeva al corpo”. La temporanee. Specificità e globalità.
osservata attraverso la destrutturazione dell’abito. Il pri- le mode. critica era “sembrano ballerine”, tre centimetri assoluta- Habitus come abitare: in domo propria e nella casa del
mo a entrare in crisi è il pezzo del vestiario più connota- Il cambiamento vestiario potrebbe narrare mille storie di mente antiestestici. Lo scialle di tibet a frunzas (frange) mondo.
to in senso pastorale: sos gambales e sos pantalones a timori e di speranze, di attaccamento al passato e di nuo- de seta è blu, marrone, grigio.
s’isporta. Si usano più spesso i pantaloni lunghi di fusta- ve acquisizioni identitarie, di atteggiamenti autoironici e Per le donne barbaricine il passaggio all’abito moderno
gno e di velluto, e ben presto i giovani pastori passano di tentativi d’integrazione. Basti pensare all’esperienza è stato certamente una perdita di stile e di coscienza
al blue-jeans. In questo passaggio si perde il rapporto at- della donna nel passaggio dalla brusa, funnedda (fardet- estetica ed etica. Purtroppo non c’è stata un’elaborazio-
tivo e profondo con l’abito tradizionale. Viene meno la ta), scialle al tailleur e al soprabito. Il commento era rigo- ne moderna del vestiario tradizionale ma bene auguranti
competenza del codice vestiario. Gradualmente la giacca roso: “no li dechet, s’idet chi non b’est naschita”, “si vede sono alcune proposte di modiste e stilisti, per esempio il
viene sostituita dal pullover e dal giubbotto, la camicia che col nuovo completino non c’è nata”. Proprio perché recupero dello scialle, un’elaborazione della gonna e
dalla maglietta, le scarpe si acquistano nel negozio. nell’abito ci si nasce. Cambiando vestiario su corpus per- della brusa. Sarebbe una variante singolare nella molte-
La perdita dell’abito esprime disagio, disadattamento e det su zeniu, perde identità, grazia e consapevolezza. plicità delle mode. 647. Desulo, 1958, fotografia di Henri Cartier-Bresson.
L’abito sollecita lo sguardo: vedere ed essere visto.
una caduta di autostima vestiaria e più in generale una Nell’abito femminile tradizionale il primo pezzo a cade- Un fenomeno interessante è la riproposta moderna del- Il segreto di una corrispondenza.
perdita di personalità. Il passaggio dal gambale al blue- re è su mucatore, il copricapo, a mucatore chintu (le- l’abito tradizionale maschile, giacca, pantaloni lunghi di
648. Sardegna, 1968, fotografia di Gianni Berengo Gardin.
jeans rimarca un salto culturale notevole, il jeans veicola gato sotto il mento) esprimeva la forma più arcaica del- velluto a coste ma anche liscio, spesso con l’antica ca- L’esodo e il ritorno pongono l’abito tra conservazione e mutamento.
una costellazione di atteggiamenti, di relazioni, di comu- la tradizione. Lo scialle rinforza la sua funzione estetica, micia a collo basso. Una vera e propria moda che ha Su bonette e sa fardetta sono segni di identità.

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Le mode del vestire sardo
Michela De Giorgio

Esiste il racconto che in ordinata cronologia mostra l’ac- Il racconto del tramonto delle “coronitas” è di un anoni-
celerazione delle mode, il gioco sociale dei conflitti d’ap- mo autore piemontese. Grazie a lui (era probabilmente
parenza, la valenza simbolica di un capo di vestiario, la un ufficiale che soggiornò in Sardegna dal 1755 al 1759)
velocità dell’imitazione che ne fa un oggetto di desiderio, l’isola remota gioca per la prima volta un piccolo ruolo
un polimorfo segno di distinzione con tanti poteri: diffe- dinamico nel riassetto delle sensibilités collettive e nelle
renziare le età, esaltare lo status sociale? Questo è esem- profonde trasformazioni delle abitudini vestimentarie,
plare: «Sino alla fine circa dell’anno 1753 non sapevano che dalla metà del Settecento toccarono soprattutto la
le Dame Sarde cosa fosse il porta Cuffia, ed usavano Francia prerivoluzionaria e, in misura minore, tutti i pae-
d’andare col Capo scoperto, e senza altra acconciatura si dell’Europa occidentale. L’eloquenza sociale di questo
che quella della Coronata[s]. Ma alcuni Uffiziali Piemon- tipo di racconti che assegna al tramonto di un accessorio
tesi avendo cominciato ad ottenere da una Dama giova- (o di un vestito) una fine rigorosamente datata ha un vi-
ne di lasciarsi acconciar li Capelli alla piemontese, a po- zio di metodo di molte storie di costume, che non sfuggì
co, a poco tutte le altre di Cagliari la imitarono e gli stessi – quasi mezzo secolo fa – al geniale intuito di Roland
Uffiziali essendo andati nell’anno 1755 in Sassari ottenne- Barthes: sono storie affascinate dal prestigio cronologico
ro la stessa riforma nelle Dame Sassaresi di maniera che del regno e del sovrano, considerato «par essence le Por-
nelle dette due Città non si vede più Coronita nelle Da- teur du Vêtement».3
me giovani, e portano cuffie di ottimo gusto, che si fan- Oltre che sabaudizzare, attraverso i mediatori galanti, la
no mandare da Torino, ed amano le mode nelle medesi- leadership aristocratica della moda nella Sardegna pas-
me, tanto quanto le nostre Dame».1 sata da poco ai Savoia, l’“anonimo piemontese” rileva
Gli storici della moda (o piuttosto gli storici che si oc- l’esistenza di ceti che rispondono all’impulso accelerato-
cupano di vestiti) sanno che dalla penna di un uomo re delle mode anche nell’isola gravata da un passato ata-
del Settecento il racconto di una nuova moda può esse- vico e immobile. Nelle società di antico regime le donne
re enfatico, perfino bugiardo, mai futile. La moda – o degli ambienti aristocratici urbani sono state le più dutti-
meglio le mode, e soprattutto le mode dei vestiti – dal li nell’accogliere mode che innovano e distinguono, le
Settecento non è più la pietra di paragone per misurare più veloci nel promuovere una cultura delle apparenze.
l’adattamento dei costumi agli imperativi della morale In condizioni di ipoconsumo vestimentario (come erano
religiosa. Sul vestito gli economisti del tempo comincia- quelle della Sardegna settecentesca), se la cima della pi-
no a misurare il potere sociale di un prodotto che cam- ramide sociale dà qualche segnale mobile ed evidente, la
bia la qualità della vita e stimola i consumi. Non è un base indossa l’uniforme della povertà: a Cagliari – scrive
caso che nel XVIII secolo appaiano i primi libri sui ve- l’“anonimo piemontese” – l’abito delle donne del popolo
stiti, non più semplici descrizioni ma codificazioni dei «è generalmente miserabile, ed appena sono coperte.
diversi tipi di abbigliamento in correlazione ai mestieri, Vanno scalze anche nell’Inverno, ed in Capo, o non han-
alle classi sociali, le città, le regioni.2 Da questa base no niente o portano un straccio di tela od un pezzo di
descrittiva prende forma il discorso degli esegeti sette- forese».4
centeschi che nel dettaglio di un vestito, nella scelta di La repentina sparizione delle “coronitas” sembra un’ec-
un accessorio o di un colore, nel modo di allacciare un cezione nella storia dell’abbigliamento delle sarde. Le
nastro, scovano, oltre la materialità dei tessuti e degli caratteristiche geografiche della Sardegna che per secoli
ornamenti, la sostanza sociale della moda, il suo im- la precludono al confronto con altre culture, l’arretratez-
menso potere di esaltare il desiderio dei privilegiati di za della sua economia rurale e delle forze sociali che la
distinguersi rispetto a chi sta più in basso. rappresentano hanno determinato l’immobilità dell’abbi-
gliamento dei sardi, il legame duraturo con la loro tradi-
649. Edina Altara, Figura femminile in costume, anni Venti, zione vestimentaria. C’è un tempo sociale – un tempo a
649 collage di carte colorate. mille lentezze e a mille velocità – anche nella storia dei

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vestiti, affermava Fernand Braudel nelle Strutture del «più alto rango [che] adottano usualmente le mode italia- la moda come volontà di distinzione sociale, sono parte cento Paolo Mantegazza, antropologo, viaggiatore, divul-
quotidiano. Tra due mondi, le mobili società dell’Occi- ne», c’è la base allargata della piramide sociale costituita integrante della cultura delle apparenze delle élites pa- gatore d’eccezione, non ne avesse decantato la spettaco-
dente, trascinate dalle “follie della moda”, e le stabili so- dalle donne dei paesi, divise per ceto – «Dama, Signora, rigine della prima metà dell’Ottocento a cui Valery ap- larità. Nel febbraio del 1869, come componente della
cietà dell’Oriente, conservatrici nelle abitudini e nelle Nostrada, Contadina principale, Artegiana, Contadina partiene. Ma il cappello, simbolo infranciosato di uno Commissione Depretis, il deputato Mantegazza viaggiò
fogge dei vestiti, c’è, anche in Europa, un “Oriente di rustica» –, tutte fedeli «al costume delle loro rispettive statuto sociale, se si “sardizza”, è la piuma del ridicolo, per più di un mese in lungo e in largo per la Sardegna,
calma e di stabilità” – gli ambienti rurali, dei contadini e divise».7 un’estetica del vestiario separata dal contesto della cul- curiosus naturae e di sardi e sarde. Nacque dal viaggio il
dei poveri – dove i vestiti sono quasi immutabili.5 Più o meno degli stessi anni – è il 1834 – un colto viag- tura materiale. racconto antropologico Profili e paesaggi della Sardegna.
La Sardegna del Settecento e dell’Ottocento appartiene giatore francese, Valery, pseudonimo di Antoine-Claude Qualche decennio dopo, Grazia Deledda racconterà un Nell’Italia immediatamente postunitaria lo scienziato pio-
all’Oriente della stabilità vestimentaria. Una stabilità che Pasquin, restò incantato dalle contadine di Selargius ab- cappello che diventa accessorio iniziatico, il simbolo am- niere dell’antropologia (che insegna dal 1870 nell’Uni-
si prolunga nel Novecento, fino alla prima guerra mon- bigliate a festa in onore della Madonna dell’Odegistria. bito del rito di passaggio dallo stato di “rustiche” – ovve- versità di Firenze)11 era stato il primo a tracciare mappe
diale. I racconti di viaggio ottocenteschi, che testimonia- Quei vestiti sontuosi erano l’antidoto al turbinare delle ro «le donne vestite in costume, di civil condizione» – a comparate della bellezza femminile. Nel cupo orizzonte
no la lunga durata dei vestiti tradizionali, sono anche le mode: «Durano molto a lungo e senza mai variare, sono quello di “signore”. È un «uso strano e barbaro», secondo delle malattie sociali (pellagra, rachitismo, malaria, cole-
prime fonti della loro visibilità. «I vestiti fanno impres- economici nonostante l’alto costo. Quelle che li portano la scrittrice, quello che dispone che «le fanciulle signorili ra, ecc.) dell’Italia appena unificata, aveva diffuso la fede
sione, creano la differenza, ma anche corrispondono al- sfuggono ai capricci continui e dispotici della moda». Il di una certa condizione, o che hanno la madre vestita in ostinata nel risorgimento dei corpi, piedestallo fisiologico
le attese», ha osservato Daniel Roche di fronte agli abiti loro primato di bellezza era indiscutibile – «i cappelli pa- costume, non possono portare il cappello. Hanno invece per la costruzione del nuovo stato nazionale. Il suo Fi-
spettacolari di cui già pullulavano i racconti di viaggio rigini e i vestiti di tela indiana delle signore di Cagliari in fazzoletti di seta, che sfigurano il volto e il vestito, anche siologia della donna (1893), che proclamava le pratiche
settecenteschi.6 In realtà, eliminato un po’ di invadente mezzo alla folla sembravano proprio ordinari al confron- se bellissimo. Andando però a marito possono adornarsi e i diletti della cultura del self-help (diffusa già dagli anni
“colore locale”, i racconti di viaggio possono essere con- to dei nobili e brillanti costumi delle contadine tutte in del cappello».9 “Maritata” è una parola magica nell’Italia Settanta),12 divenne il manuale più credibile del “volere è
siderati delle vere e proprie prove proto-etnografiche. ghingheri» –8 ma non era ferrea la frontiera che separava di fine Ottocento, dischiude le porte di molte libertà potere” femminile dell’Italia di fine secolo. La più realista
Dall’Ottocento, i viaggiatori hanno occhi più acuti, per- i vestiti autoprotetti dalle dinamiche del cambiamento comportamentali e di apparenza. Sul canto del cuculo le (e più nota) cartografia di corpi perfettibili. Darwinista
cepiscono anche la trama nascosta dei vestiti, il loro vo- perché prodotti da un’economia statica da quelli obbe- ragazze nuoresi contavano il tempo che le separava dal eterodosso, Mantegazza profanò la stilizzazione agiogra-
ler essere segno di distinzione sociale, di appartenenza dienti alle leggi della moda. Il sovraconsumo di vestiario, matrimonio e dal cappello, segno di distinzione sociale, fica della bellezza femminile che il moralismo formalisti-
di classe, di funzione professionale o di mestiere. Im- emblema di un ruolo molto desiderato.10 co ottocentesco rappresentava come effetto della benefi-
peccabile è lo schema delle abitudini vestimentarie delle 650. Gaston Vuillier, Il ritmo sardo e la danza del duru-duru, 1891, Sarebbe rimasta poco eloquente la rappresentazione dei ca “virtù plasmatica” dell’anima sul viso e sul corpo delle
sarde tracciato dal capitano inglese William Henry Smyth acquaforte, da Les îles oublieés. La Sardaigne, Parigi 1891. vestiti tradizionali dei sardi e delle sarde, chiusa nei reso- donne.13
nel suo Sketch of the present state of the Island of Sardi- 651. Gaston Vuillier, Le lavandaie d’Osilo, 1891, conti di viaggio (spesso non tradotti e rivolti ad un cer- Esercitato allo studio del dettaglio anatomico, indovinò
nia, pubblicato a Londra nel 1828. Dietro le donne di acquaforte, da Les îles oublieés. La Sardaigne, Parigi 1891. chio ristretto di lettori), se nella seconda metà dell’Otto- nelle sarde corpi eleganti e sottili, crani dolicocefali, visi

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ovali e pallidi, occhi orizzontali, spesso grandi, «ricchis- no del pudore femminile, virtù individuale e sociale,
simo seno», «linee posteriori di Venere Callipigia».14 Nel- con tempi regolati dalla “civiltà” che in Sardegna avan-
l’abbagliante dovizia di colori dei loro vestiti («la tavo- zava a passi troppo piccoli per liberare le donne da
lozza più tizianesca del mondo») vide le schermaglie del “un’ipocrisia” e sottrarle alla “tirannide” dei loro mariti.
desiderio e deliberate volontà di seduzione. Due erano La civiltà, ovvero il progresso, per Mantegazza era il
le caratteristiche della disciplina vestimentaria delle don- «concorso mirabile, armonico di cento movimenti», il ri-
ne sarde: «molta copertura del capo e una grazia infinita sultato di «cento processi di affinamento, di elaborazio-
per lasciar indovinare il più che si può le bellissime bel- ne, di transustanziazione».17
lezze del seno. Più di una volta vedete intorno a quel Come è compatibile questa fede nell’“indefinita perfetti-
nido d’amore un duplice, un triplice, un quadruplice si- bilità” del progresso con lo spettacolo della “moda im-
stema di baluardi, cortine, fossi, contrafforti e contraffos- mobile” a cui l’antropologo assiste nella Cattedrale di
si: tutta una strategia di fascie, fascette, e camicie e mer- Nuoro durante la messa della Domenica delle Palme?
letti; un arsenale strategico che dovrebbe esser fatto alla Un «gruppo di ben cento donne colla gonna bruna e
difesa, ed è invece un’offesa continua, formidabile; tutto l’orlo rosso nel fondo; con una giacchetta scarlatta che
un esercizio di parapetti attraverso a cui gli occhi profa- copriva una fascetta azzurra quasi aperta e colle punte
ni non dovrebbero neppure gettare uno sguardo; e do- rivolte all’infuori, una camicia a merletti e una pezzuola
ve invece e occhi e sguardi si ostinano ad entrare; tutto o bianca o gialla sul capo». Lo sfoggio degli “acconcia-
un artificio di grazia che vuol molto nascondere e riesce menti femminili”, il repertorio dei modelli armoniosa-
invece a mostrare assai; tutto un sistema di graziosissi- mente sgargianti, si chiama Natura. È effetto di ispirazio-
ma, castissima e provocantissima ipocrisia».15 ne “naturale”, di imitazione con un orizzonte fisso, il
Erano vestiti di “dissimulazione”, indiretti nell’erotismo paesaggio circostante. Mantegazza ne è entusiasta: «Co-
come tutti gli abiti femminili ottocenteschi. La connota- m’eran graziosamente montanare! Com’era artistica quel-
zione sessuale delle pratiche legate al modo di indossa- l’interpretazione dei monti! Il bruno maritato allo scarlat-
re la camicia o di stringere il corsetto, poteva a buon di- to; un bosco di pini con una chiesuola ornata di terra
ritto far parte della “psicologia ed etnografia dell’amore” cotta: un castagno indorato dal rosso d’un tramonto alpi- 655 656
che Mantegazza nel 1884 avrebbe fatto oggetto di un no!».18 Gli abiti “paesaggistici” delle nuoresi aggiungono
corso universitario. Una disciplina dai confini elastici che un tassello (finora inedito) alla rappresentazione ottocen- indossato da poche signore locali. Che isterilisce le bel- ma della “nazionalità” della moda riprese ardimento nel-
analizzava i mutamenti dei rapporti reali e simbolici fra i tesca del legame donna-natura. La Donna intesa come lezze – «bionde e nere, alte e basse» –, tutte sotto «lo stu- le testate di moda italiane.21
sessi, delle coercizioni normative che ne regolavano le alterità profonda, elemento cosmico che può farsi fiore, pido giogo di un sarto parigino».20 I vestiti tradizionali delle sarde e dei sardi avevano un
condotte relazionali, gli stili di corteggiamento e di sedu- sangue, terra feconda, sempre «uno stato superlativo del- La voracità della moda francese rosicchia dove può, fino numero limitato e quantificabile di forme, di scansioni
zione, le norme vestimentarie. la materia», come la definiva Jules Michelet. Quando si a Nuoro. Battistrada come sempre, Mantegazza è il pri- volumetriche, di colori e tessuti che variavano di villag-
Nell’isola lontana molte delle donne visibili a cielo aper- veste la donna sarda è in intima continuità con la natura, mo a confrontare il vestito tradizionale delle sarde con il gio in villaggio senza infrangere la tradizione originaria:
to avevano il viso coperto («in molti paesi della Sarde- come lo erano le dame d’Oriente «prima di adottare le famigerato “figurino”. Miracolo della moda di Parigi, pro- appartenevano al folclore, erano la moda immobile, l’an-
gna le donne si coprono oltre il capo anche la metà in- sciocche mode d’Occidente» (che il grande storico france- va inimitabile di disegnatori e incisori insuperabili nell’e- timoda. La “moda parigina” era sempre “l’ultima moda”.
feriore della faccia; od anche tutta la faccia meno gli se detestava).19 Specchio cromatico delle montagne, l’abi- videnziare con grazia gli elementi strutturali degli abiti, il Mutevole, futile, irrequieta, un trionfo inesauribile di tes-
occhi»).16 Sul saliscendi dei fazzoletti si misurava il desti- to tradizionale vince in bellezza il vestito “alla parigina” figurino è, dalla fine del Settecento, il contrassegno del- suti, guarnizioni infinite, colori inediti, rinati ogni volta
l’egemonia della moda francese in Europa. Nella fase di dalla sfumatura precedente, come li raccontava, sotto vo-
ostilità politiche e culturali dei primi anni Settanta del- lubili pseudonimi femminili, Stéphane Mallarmé («l’avana
l’Ottocento, quando la Francia veniva rappresentata in detta ieri cachou e oggi gyzèle»).22 La moda è lo spetta-
preda alle mollezze e alla degenerazione dei costumi, il colo di un “immenso desiderio di spendere”, uno dei
figurino d’oltralpe fu particolarmente strapazzato e il te- tanti effetti della “democratizzazione delle apparenze”, i
cui motori, imitazione e mobilità sociale, erano stati ac-
cesi in modo irreversibile dalla rivoluzione francese (do-
652. Donna in costume sardo, Sassari, 1865 ca., po il 1789 «non c’era più modo di distinguere attraverso
fotografia di Adolphe Peuchet. l’abbigliamento, le classi», notava J. Quicherat, autore di
L’improbabile abbigliamento è sintomatico dell’interesse ottocentesco
soddisfatto della sola e bastante “aria” esotica della modella: una fondamentale Histoire du costume français, pubbli-
genericamente cipriota, turca, balcanica, calabrese o sarda, cata nel 1879).23 La “vita elegante” della prima metà del-
incredibilmente identificata dal solo titolo. l’Ottocento, quella che Balzac teorizzava e raccontava
653. Donna di Samugheo, fotografia di Renzo Larco, (soprattutto attraverso i vestiti),24 era nata dal «movimen-
in Le vie d’Italia, marzo 1934. to stesso della nostra rivoluzione», che era stata anche
654. Donna di Teulada, in Le vie d’Italia, gennaio 1939. una questione di moda, «una lotta tra il panno e la seta».
La didascalia originale su questa bellezza femminile autarchica, nitido
esempio di “pulizia” provinciale da riscoprire, riportava come in un
Si chiamava L’Ultima moda. Messaggero dell’Eleganza il
cinegiornale: «Un aperto sorriso e una fronte spianata, indici sicuri di periodico illustrato a cui Grazia Deledda cominciò a col-
sanità fisica e morale». laborare da Nuoro, nei primi anni Novanta. Era diretto
655. Donne di Mamoiada, fine sec. XIX, da Epaminonda Provaglio, disinvolto editore piemontese
fotografia di Antonio Ballero. trapiantato a Roma, che, travestito à la Mallarmé da con-
656. Donna di Desulo, fine anni Venti, foto d’epoca. tessa Elda di Montedoro, si vantava di offrire alle lettrici
652 653 654

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monianze di viaggio degli anni ’60-’80 raccontano le me-
tamorfosi del vestiario e l’abbandono progressivo del
“costume sardesco” maschile e femminile tra lentezze, re-
sistenze o veloce adeguamento. Il passaggio al vestire se-
condo “l’usanza corrente d’Italia” fu un processo a chiaz-
ze, non omogeneo.28 Il barone tedesco Heinrich von
Maltzan, “infaticato e sagace viaggiatore” che percorse la
Sardegna nel 1868, fu loquace sul “pittoresco” dei costu-
mi che andava perdendosi. A Sassari, lavoranti, facchini,
conduttori d’asini, «tutti gli uomini dell’infimo ceto», si ve-
stivano ormai come gli «ordinari proletari europei, cioè
in un vestimento che non si distingue da quello del ceto
migliore se non perché è logoro e stracciato». Von Malt-
zan racconta di aver visto «neri capannelli di uomini ve-
stire il loro cupo vestiario moderno, con in testa la ber-
retta ancor più scura della notte».29 La conformità del
nero, scelta cromatica che dà orgoglio e potenza alla vi-
657
rilità borghese, avanzava verso il basso della società.
il meglio dei «più reputati periodici francesi congeneri», Gli storici che si occupano di vestiti hanno in Sardegna
ovvero, plagio di figurini.25 Da quei disegni accattivanti un campo di lavoro vergine. Chi farà questa storia del
al servizio della moda dalle mille facce, la ventiduenne vestiario non potrà accontentarsi dell’impiego di opposi-
scrittrice apprese il linguaggio della cultura delle appa- zioni comode ma inadeguate: colto/popolare, ricco/po-
renze, lo statuto della descrizione delle riposte corrispon- vero, città/campagna, creazione/consumo, reale/immagi-
denze fra corpo e vestito, scoprì la loro specifica forza di nario. Le forme di acquisto e di possesso dei vestiti sono
persuasione letteraria rispetto alle pervasive descrizioni anche lotte simboliche e il vestiario instaura una lingua
di paesaggio. Nel bozzetto La donna in Sardegna, pub- comune parlata da chi sta in fondo alla piramide sociale
blicato dalla rivista Natura ed arte nel marzo 1893, la come da chi sta in cima. Daniel Roche ricorda che «la di-
rappresentazione della versatilità dei vestiti tradizionali namica della distinzione e dell’imitazione non coincide
delle sarde sembra aver assorbito la lezione mantegaz- necessariamente con una cultura del sottosviluppo: sep-
ziana: anche Deledda racconta “vestiti-paesaggio”: in pure con materiali frustri e con mezzi limitati, con acces-
Barbagia, ad Orune e a Bitti, «le vesti donnesche sono sori ridotti e all’insegna dell’economia dei dettagli, la
ruvide, strane, di orbace e di panno giallo … lassù la competizione sociale e individuale si fa aperta».30 Le fron-
donna è l’incarnazione perfetta del paesaggio». L’etnolo- tiere che separano il vestito della tradizione da quello
ga debuttante interpreta con acume la funzione sociale “alla moda” sono dunque porose e di difficile individua-
del vestiario, dalla nascita alla pubertà, dal matrimonio zione. Il circuito delle fiere e dei mercati, la presenza di
alla morte. Individua l’opposizione fra la modestia (tal- venditori ambulanti, possono aver determinato l’ampiez-
volta ridicola e barbara, come a Tonara) dell’abito di tut- za, la cronologia, le variabili locali di un processo di tra-
ti i giorni e quello della ritualità e dello sfoggio festivo. sformazione che è ancora tutto da verificare.
Il suo racconto dei vestiti della donna sarda evita gli ste- Nei paesi la moda non stende le sue ali, ma quelle del-
reotipi della trionfante folclorizzazione tardottocentesca. l’ideologia volano e ne preparano l’avvento. Il deside-
Grazia Deledda, scrittrice e lettrice dell’Ultima moda, ha rio di abbandonare il vestito tradizionale, il gusto della
l’occhio addestrato alla teatralizzazione delle apparenze moda, come nasce a Seui, in piena Barbagia, alla fine
di cui i giornali di moda sono maestri narratori. Sa che dell’Ottocento? Charles Edwardes, l’ultimo degli scrittori-
ne esistono di buone e di cattive: educata alle linearità viaggiatori inglesi dell’Ottocento che visitò l’isola nel
dei figurini, nei vestiti delle conterranee vede un’unifor- 1888, racconta di aver incontrato proprio a Seui una pic-
mità che non abbellisce – «La donna stretta nei ruvidi cola avanguardia vestimentaria di ragazze «emancipate da
giubboncelli di orbace, sotto le lunghe e ridicole cuffie, ogni residuo di rustichezza». Vestite «alla cittadina, mette-
sotto gli immensi e oscuri fazzoletti neri, nelle gonne vano in ridicolo la vita paesana, e vagheggiavano il Con-
strette e ridicole sembra brutta anche se è bella».26 La tra- tinente».31 Madre e figlie emancipate gestivano una botte-
dizione sfigura, l’orbace è un peso, un ostacolo alla mo- ga, un miscuglio di merci, spilli ed aghi, carne in scatola
dernità: «la donna sarda comincia a incivilirsi, nel linguag- e verdura fresca (modestissima mercanzia che fa delle
gio, nei tratti e nel vestire»,27 è il tramonto del secolo: nel esercenti un gruppo socialmente “intermediario” con il
cammino dell’incivilimento c’è anche una silhouette che mondo produttivo d’oltre Barbagia). Oltre l’abbigliamento
si affina.
Dell’“isolana tenacità”, virtù conservatrice che secondo
Mantegazza tenne i sardi e le sarde fedeli agli “inalterati” 657. Scolarette di Desulo, fine anni Venti, fotografia di Enrico Costa.
vestiti tradizionali, è difficile scandire la durata. Le testi- 658. Donne di Iglesias, 1914, fotografia di Vittorio Alinari. 658

400
che le distingue dalle compaesane (che «si coprono la te- viaggiatori ottocenteschi. Mantegazza (al solito, apripista)
sta con fazzoletti di seta oppure di seta rossa, così che il si era chiesto se non fosse in quella essenzialità arcaica il
copricapo scende ad angolo retto sulle scapole; le gonne punto più alto della libertà vestimentaria, quella per cui
son color porpora con ampie guarnizioni color cremisi»), «ognuno può farsi sarto di sé stesso» (a questo serve lo
le ragazze manifestano apertamente la loro fede anticleri- sguardo antropologico, a misurare la distanza tra il natu-
cale (si fanno beffe del prete, non vanno a messa, dissua- rale e l’artificiale, il “selvaggio” e il “civilizzato”, l’isola e il
dono il viaggiatore dal visitare la chiesa del paese). Dalla continente, l’Oriente e l’Occidente).33
sfera delle idee a quella delle cose e viceversa: nasce dal- Verso la fine del secolo cominciavano ad intrecciarsi pro-
la dinamica culturale del progresso un’estetica morale al- getti e teorie sul vestito utopico, il vestito che avrebbe
ternativa fondata sulla consapevolezza che anche i vestiti realizzato la perfetta affinità fra abito e figura, un conti-
sono colpevolmente figli della tradizione. nuum tra panno e tessuto organico. I progetti di riforma
Di volta in volta, gli storici dell’abbigliamento hanno cer- del vestire moderno – Mr. Oscar Wilde On Dress è del
cato di misurare le rispettive posizioni di forza dei gruppi 1884 – si moltiplicarono di lì a pochi anni. Non si tratta
di individui che nell’ambito delle proprie gerarchie socia- di un «revival antiquario di un costume antico», sosteneva
li hanno dettato il tono dei gusti: notabili di paese, spose Oscar Wilde, ma della ricerca di una nuova regola del
di contadini, ambulanti, merciaie, ragazze da marito, mo- vestire «dettata dall’arte, non dall’archeologia».34 Erano
gli di nobilucci e rispettivi domestici. In tutte le categorie riformismi d’avanguardia da cui l’Italia fra i due secoli re-
sociali sono le donne che si impegnano maggiormente stava esclusa. All’Esposizione Internazionale di Milano
nel far circolare i nuovi oggetti e i nuovi valori dettati del 1906, prima occasione per fare il punto sullo stato
dalla diffusione delle mode. Maestre di civetteria, le ne- della moda italiana, la sarta milanese Rosa Genoni mise
gozianti di Seui potrebbero essere state creatrici a credito insieme Rinascimento, tradizione folclorica, sete e velluto.
di nuovi bisogni cercando di far guadagnar terreno alle L’abito da ballo ispirato alla Primavera di Botticelli, quel-
gonne nere o marroni del “costume di transizione”. lo da visita che rievocava la Santa Cecilia di Raffaello at-
Charles Edwardes osservava che il vento del cambiamen- tingevano direttamente dalla tradizione artistica quattro e
to aveva travolto per prima la mastruca, la «gran pelliccia cinquecentesca. Molte decorazioni erano riprese dai co-
nera di pecora che portano i Sardi sulle spalle, fatta di stumi regionali. È il risultato più appariscente del “nazio-
quattro pelli di montone o di capra»,32 descritta da tutti i nalismo quotidiano” dei comitati di moda antifrancesi,35
nell’aria orgogliosa dell’“Italia nova” giolittiana, politica-
mente e economicamente rispettabile.
Pochi anni dopo, il Padiglione sardo, allestito per la Mo-
stra Etnografica delle Regioni d’Italia in occasione della
grande Esposizione di Roma per il cinquantenario del-
l’Unità d’Italia, fu per la Sardegna una vetrina di visibilità
660
nazionale. Amplificata anche dal prestigioso periodico
torinese La Donna che dedicò alla “dimenticata” Sarde- sul ventre le mani, senza intrecciare le dita, senza strin- mezzo e chiusi da un nastro azzurro, abbiano davvero
gna quattro pagine con fotografie dei vestiti tradizionali gere la carne, ma superficialmente, con un’inerzia indo- coperto i capelli ribelli di Maria José del Belgio, princi-
femminili: «È una sorpresa fantastica; un godimento este- lente, così come gli scultori quattrocentisti atteggiavano pessa di Piemonte dopo il matrimonio con Umberto di
tico, una meraviglia per la ricchezza di tanti abiti di po- le mani alle nobili sulle pietre sepolcrali nelle chiese». Savoia, nel 1930. Per incarnare le molteplici quintessenze
vera gente», scriveva Renzo Larco, l’etnologo amateur Sullo scarto di giovinezza, effetto della bellezza di classe, regionali dello spirito nazionale la principessa ereditaria
che ebbe l’incarico di fotografare i paesi più pittoreschi i fisiologi coevi avrebbero chiamato in causa povertà, fa- si assoggetterà a molti travestimenti con costumi locali.
della Sardegna per documentare l’ambientazione che sa- tica, ingiustizia sociale. Qui la rugosità delle mani è solo Le mode di corte, è noto, hanno sempre avuto potenzia-
rebbe servita all’allestimento della mostra. Oltre la descri- objet d’art di arcaica e dura concretezza. Objet d’art, co- lità unificanti, e il busto di ceramica di Essevì che la raffi-
zione delle minute differenze fra i costumi più ricchi del- me i “costumi” che hanno una corporeità autonoma da gura adolescente desulese è certamente il punto sommo
l’isola, Fonni, Osilo, Sennori, Bono, Quartu Sant’Elena, chi li indossa – la gonnella che «ricade giù per le spalle della “nazionalizzazione” della cuffia. L’impronta princi-
Larco racconta le diverse modalità di indossarli secondo come un sacco piegato»; una balza scarlatta, che «guizza pesca ne avvia la riproducibilità sino alla trasformazione
stato civile e condizione sociale. Vestiti, ma anche volto come una fiamma»; «viste di dietro le fonnesi pare che più ambita in panno Lenci, su trecce bionde inequivoca-
e mani, le uniche parti che la moda del tempo consenti- indossino una coda di rondine rossa con ornamenti az- bilmente nordiche.
va di lasciar scoperte: «Certe mani rugose, secche, che zurri». Un oggetto alla moda: soltanto alla cuffia del co- Più modesto fu il destino della cuffia del costume di Isili,
sembrano staccarsi da qualche antica tela, sono in con- stume di Desulo (ma infantilizzata, mentre è indossata anch’essa omaggiata dalle pagine del periodico torinese
trasto colla freschezza della restante persona. Le donne dalle nubili e dalle coniugate) toccherà in sorte, unico insieme a tappetti e passatoie, frutto dell’“umile lavoro”
della Sardegna nei momenti d’ozio incrociano sempre accessorio proveniente dall’ampio corpus vestimentario delle artigiane isilesi, ruskiniane osservanti sotto la guida
tradizionale sardo, il balzo fra le novità esposte in vetri- della “buona signora” Filomena Piras Calamida. Le tessi-
na. La Donna ne esalta il successo commerciale in Italia trici sarde – «non più estranee lavoratrici ma sorelle ca-
659. Grazia Deledda in costume di Nuoro, anni Dieci,
cartolina postale. e all’estero («andranno a ricoprire civettuolamente la te- re, voi coll’offerta del vostro lavoro, noi coll’accoglienza
stina di eleganti bambini»), dopo le mostre organizzate onesta e lieta» – entrano nel cerchio allargato “femminil-
660. Sardegna, 1927, fotografia di August Sander, Archivio A. Sander.
Gli edifici retrostanti, l’aratro e soprattutto l’abbigliamento indentificano dalle “Industrie femminili italiane”.36 Non sappiamo se i femminista” che la redazione de La Donna anima con
659 la scena prossima all’area agricola dei Campidani di Oristano. due spicchi rotondeggianti di stoffa scarlatta cuciti nel benemeriti resoconti delle “nobili imprese” del lavoro

402 403
zante “nazionalizzazione” delle apparenze: «Gli abbiglia- rossiccio, color pulce, marrone robbia (nell’esattezza flo- indossa il «cimiero su-
menti caratteristici delle regioni sono scomparsi comple- realcromatica è riconoscibile la cultura dei fiori anglo- perbo», tre hanno il
tamente dalle città, persistono ed indugiano tra la gente sassone) –44 è parte integrante dello statuto della narra- cappello, cinque il
montanina, e la Sardegna deve, al suo isolamento, i ri- zione, spesso prevalente rispetto alle descrizioni del berretto (su bonet-
cordi fenici e greci ch’essa conserva nelle sue fogge», af- paesaggio.45 te), il più vecchio
ferma, nel 1914, Emanuele Gallo, autore de Il valore so- L’antropologo, il filosofo, il romanziere, il saggista-viag- è in ragas e calzo-
ciale dell’abbigliamento.39 giatore, il poeta sanno bene che la fine dei vestiti “ar- ni bianchi, rattop-
Il giudizio era condiviso dalla Guida della Sardegna del caici” è ineluttabile: «Si può dire che la tendenza dello pi evidenti. La leg-
Touring Club Italiano che nel 1918 assicurava che «in spirito moderno – aveva scritto Giacomo Leopardi nello gibilità dei valori
nessuna regione d’Italia i tradizionali costumi popolari Zibaldone – è di ridurre tutto il mondo una nazione, e egualitari dell’av-
sono conservati quanto in Sardegna. Se nelle città e spe- tutte le nazioni una sola persona. Non c’è più vestito venuta democratiz-
cialmente nel mezzogiorno dell’Isola si vanno perdendo proprio di nessun popolo, e le mode in vece d’esser na- zazione delle
(e si nota a questo proposito l’influenza del servizio mi- zionali, sono europee»:46 distinguersi per maggior somi- apparenze sta
litare: gli uomini al ritorno abbandonano il costume e lo glianza, è il tratto moderno della moda che Leopardi è il in quei banali co-
indossano solo nelle feste e nelle cerimonie), se ivi i co- primo a individuare. La moda che detta legge al senti- pricapo. Ogni pae-
stumi si perdono anche per il costo e la poca praticità, mento, alla pratica del bello, all’emulazione sociale (l’«im- se potrebbe raccon-
nelle parti di più scarsa penetrazione del movimento, il pulso moderno di uguagliare ogni cosa»), la moda che tare la retroguardia
costume si è conservato largamente ed è usato dalla ge- decreta l’opinione dominante in materia di costume, la vestimentaria locale: a
neralità dei locali». I mercati, le cerimonie di famiglia – moda polimorfa e dittatrice, avanzava a piccoli passi an- Desulo, nei primi anni Settanta
nascite, matrimoni, funerali –, le feste locali, le ordinarie che nei paesi della Sardegna. Dalle trincee del ’15-’18 del Novecento, l’ultimo vecchio
funzioni religiose domenicali («Non si saprebbe consiglia- molti reduci tornano in grigioverde (D.H. Lawrence ne ri- vestito con l’abito tradizionale
re a sufficienza di assistere a qualcuna», raccomandava la corda la detestabile invadenza: «Ovunque andiate, do- era già un personaggio nella
Guida) raccoglievano «folle completamente in costume vunque vi troviate, vedete questo cachi, questo abbiglia- storia orale della comunità.49
che ridipingono altri tempi, anche nei loro comporta- mento da guerra grigio-verde … È il simbolo di quella La scomparsa nell’uso corren-
menti caratteristici».40 universale foschia grigia che si è posata sugli uomini, te del vestito tradizionale
Forse era in tasca di D.H. Lawrence, rude viaggiatore che dell’estinzione di tutta la luminosa individualità, la distru- femminile è segnata da un
scoprì sulla sua pelle quello che la Guida metteva nero zione di ogni selvaggia unicità»).47 I vestiti tradizionali ritmo più moderato di rin-
su bianco: l’isola «non è sito per il viaggiatore che ami i d’uso quotidiano che, rattoppati alla bene meglio, sareb- novo che è stato osserva-
propri comodi; … il viaggio non è adatto né a ragazzi, né bero stati usati fino a consumarsi, interpretano parti im- to con attenzione dalle et-
a vecchi, né a uomini molto bisognosi di cure, ed è an- previste: a Pattada (nei primissimi anni Venti) i ragazzi nologhe (in Barbagia, a
che poco adatto per signore».41 Lo scrittore inglese, in indossano l’antico costume (su costumene antigu) per Desulo, quasi tutte le
viaggio nell’isola nell’inverno del 1921, si entusiasmò dei mascherarsi a Carnevale, ormai donne appartenenti alla fa-
lunghi berretti dei sardi, «cimieri superbi», artificiali e anti- nel paese sono solo tre o scia d’età fra i cinquanta e
661
funzionali come un cilindro. Più di un copricapo, un pro- quattro gli uomini che lo gli ottanta anni hanno indossa- 663

femminile. Dal medagliere della solidarietà di sesso sem- lungamento psicofisico della testa, una parte del «loro indossano quotidiana- to il vestito tradizionale fino ai pri-
bra esclusa Grazia Deledda. Un’ignota “Donna Maria” ac- ineluttabile io». «È un segno di tenacia ostinata e potente. mente. 48 Dobbiamo ac- mi anni Ottanta).50
cusa l’eroina culturale della Sardegna di aver privilegiato Non hanno nessuna intenzione di farsi domare dalla con- contentarci di ipotesi sulle Dobbiamo ricordare alcune funzioni inedite del vestito
banditi e pastori a discapito delle opere delle donne: «Se sapevolezza del mondo. Non vogliono indossare i banali fasi di apprendistato e tradizionale, in circostanze impreviste. La moda moderna
avesse consacrato un poco del suo tempo e del suo in- abiti del mondo. Rozzi, vigorosi, decisi, persevereranno sui tempi di diffusio- degli anni Venti, la più moderna di tutte le mode (quella
gegno fervidissimo ad illustrare i meravigliosi lavori del- nella loro rozza, oscura stupidità e lasceranno che il ne effettiva delle che Tarquinio Sini esemplificò nel faccia a faccia fra la
l’arte muliebre, lasciati dalle bisnonne, e che l’invenzione grande mondo trovi la sua strada per il suo illuminato in- abitudini vesti- giovane, non a caso, desulese, in postura di religiosa
della macchina ha portato via, oggi, chi scrive, avrebbe ferno. Il loro inferno è solo loro e lo preferiscono non il- mentarie post- sorpresa, e la Signorina con gesti e vesti canonici del
buon giuoco, chè tutte le simpatie sarebbero già guada- luminato», scriveva Lawrence.42 Lo sconquasso postbelli- belliche. August garçonnismo cosmopolita) nascondeva nell’incontenibi-
gnate alla causa del lavoro sardo femminile».37 co autorizzava tutte le profezie, soprattutto vestimentarie. Sander nel 1927 fo- le baldanza femminile gusci di riservatezza. L’enfasi del-
Mentre gli abiti immaginati da Oscar Wilde cercavano Il risultato comune dell’assimilazione capitalistica mondia- tografa un campione la stampa fascista che esortava le “novelle figlie d’Italia”
nuove regole del bello, mentre la moda italiana era an- le o della grigia omogeneità proletaria, quell’uniformità che non è detto sia ad emulare le antenate dell’“Alma Roma” in vista delle
cora un’utopia,38 la Sardegna del primo Novecento re- delle apparenze che D.H. Lawrence paventava, sembra indicativo: vicino Olimpiadi di Amsterdam del 1928 (le prime con parteci-
stava la roccaforte della fedeltà ai vestiti locali tradizio- approdare anche in Sardegna. ad Abbasanta, ot- pazione femminile) si scontrava con la scarsissima diffu-
nali. Una delle rarissime indagini italiane sulle onorate La Grande Guerra era stata la cesura. Lo scrittore aveva in- to contadini alli- sione dello sport fra le donne, denunciata dalla stampa
virtù della moda, la moda che adora ciò che è strano, contrato molte paesane diventate eleganti. Si davano delle neati, nessuno femminile più illuminata. La mancanza di confidenza con
anormale, inatteso, «senza preoccupazioni di euritmia», arie «con l’abito da città e scialli di seta nera sulla testa».43
descrive la Sardegna come l’isolata eccezione nell’avan- Ma i “costumi” resistevano. La performatività dei vestiti 662. Lenci, Bambola in costume di Desulo, anni Trenta.
delle sarde è interna alla scrittura di D.H. Lawrence, spec- Giocattolo significativo perché destinato senza pregiudizio
alle bambine di Venezia come a quelle di Firenze
chio dell’anima dei personaggi e dei loro caratteri morali. (difficilmente a quelle sarde), facilitato in questo dalle inverosimili
661. Ballo in casa San’Elia, Cagliari, 28 marzo 1925, foto d’epoca. La descrizione delle stoffe e dei colori – rosso scarlatto, trecce bionde e dal faccino anonimo quanto caramelloso.
L’abito tradizionale, dismesso da tempo dalle classi abbienti sarde
e in particolare da quelle cittadine, è divenuto “travestimento” già vermiglio, geranio intenso, papavero, rosa malva, lavanda, 663. Essevì, Maria José di Savoia in costume di Desulo,
a questa data. verde smeraldo, malachite, blu cielo, blu savoia, marrone seconda metà anni Trenta, terraglia a colaggio maiolicata.
662

404 405
lo sport agonistico era testimoniata dalle tenute ginniche Note
delle italiane, infagottate, anche nelle gare internazionali
e nazionali, in un abbigliamento «antiquato e pesante e
impiccioso». Il punto estremo dell’arretratezza estetica
delle squadre italiane è testimoniato dalla «piccola schie-
ra di sarde» che al concorso ginnico internazionale di Fi-
renze si presenta vestita «con i ricchi costumi sardi … Fa-
cevano pena a vederle saltellare sul ripiano di legno con
quelle sottanone larghe non so quanti metri e lunghe fi-
no ai piedi, sollevando polvere e ilarità insieme».51
Un tournant, quello degli anni Venti, che le élites sarde
vivono all’insegna di una mondanità più movimentata,
tè danzanti, merende all’aperto, balli mascherati, espor-
tati sulla scena nazionale da Lidel (il raffinato periodico
1. Anonimo piemontese 1985, p. 41. 27. G. Deledda 1995, p. 255. Desulo, durante la prima messa domenicale
fondato nel 1918 da Rina de Liguoro) che ha il monopo- nella chiesa parrocchiale, contò fra le ottanta e
2. R. Barthes 2001, p. 113. 28. G. Deledda 1995, pp. 85-89.
lio del racconto dettagliato, da Aosta a Messina, delle cento donne che indossavano il vestito tradi-
3. R. Barthes, “Histoire et sociologie du vête- 29. H. von Maltzan 1973, p. 311. zionale; cfr. M. Carosso 1984, p. 78.
eleganze araldiche italiane. È difficile interpretare con ment. Quelques observations méthodologi- 30. D. Roche 1991, p. 506. 51. M. De Giorgio 1992, pp. 251-252.
chiarezza il sentimento di appartenenza alle tradizioni ques”, in Annales, n. 3, Juillet-Septembres
locali dell’aristocrazia sassarese paludata nei costumi di 1957; ora in R. Barthes 2001, p. 31. 31. C. Edwardes, La Sardegna e i sardi, trad. e 52. “Gazzettino”, in Lidel, 1925, aprile, fasc. 4,
cura di L. Artizzu, Nuoro, Ilisso, 2000, p. 180. pp. 10-11; maggio, p. 19.
Sennori, Dorgali, Bitti, Desulo per il ballo organizzato 4. Anonimo piemontese 1985, p. 49. Sui viaggiatori inglesi in Sardegna, cfr. M. Ca- 53. “Gazzettino”, in Lidel, 15 giugno 1928, p. 20.
dal conte Gaspare di Sant’Elia in omaggio al Duca di Pi- 5. F. Braudel, Civiltà materiale, economia e biddu, La Sardegna vista dagli Inglesi (I viag-
664
capitalismo (sec. XV-XVIII), vol. I: Le Struttu- giatori dell’800), Quartu 1982. 54. M. Praz 1959, pp. 509-513.
stoia o al Conte di Torino, in visita in città nella prima- re del quotidiano, Torino, Einaudi, 1982.
vera del 1925.52 Berrittas e corittos, credenziali dell’anti- Anglista, storico delle arti decorative, del gusto, delle 32. C. Edwardes, La Sardegna e i sardi cit., p. 47.
6. D. Roche 1991, p. 14. 33. P. Mantegazza 1973, p. 365.
ca fedeltà dell’aristocrazia sarda alla monarchia sabauda, apparenze, vide il primo ed ultimo esercizio di “moda
7. W.H. Smyth 1998, pp. 165-166. 34. O. Wilde, “More Radical Ideas upon Dress
rinnovano la memoria della “perfetta fusione” sardopie- regionalista”. Le «figurazioni stilizzate e simmetriche del-
8. Valery 1996, pp. 166-167. Reform”, in Miscellanies, citato in Cartamodel-
montese settecentesca. Ancora berrittas e corittos (mes- le stoffe inserite nelle fogge moderne» erano state una lo. Antologia di scrittori e scritture sulla moda, a
proposta di Maria Foschini, direttrice dell’ESVAM (Ente 9. G. Deledda 1995, p. 210.
sinscena immutata, ballo in casa Sant’Elia, senza principi cura di P. Colaiacomo e M.V. Caratozzolo, Ro-
Sardo Valorizzazione Artigianato Moda). Giacconi sporti- 10. M. De Giorgio, “Raccontare un matrimonio ma, Luca Sossella Editore, 2000, p. 94.
di Casa reale da riverire). Inidonei ai charleston e ai fox moderno”, in M. De Giorgio, C. Klapisch-Zu-
della socialità aristocratica, i costumi sardi dismettono il vi, completi da spiaggia in stile caprese, ecc., accolsero 35. R. Carrarini 2003, p. 810.
ber, Storia del matrimonio, Roma-Bari, Laterza,
valore emblematico della fedeltà. Della scelta fra orbace, duttili gli innesti ispirati alle produzioni tessili sarde: 1996, pp. 307-311. 36. R. Larco 11 maggio 1911, pp. 20-21; R. Lar-
co marzo 1934, pp. 161-176. La diffusione fino
panno, lamé argento e oro è arbitro il gusto individuale. avevano, peraltro, nobili antecedenti, come «nelle prime 11. Su Paolo Mantegazza è ancora una guida
agli anni Trenta della cuffietta desulese (e del
Il poter pescare così facilmente dal guardaroba folclori- basiliche cristiane si incastonavano frammenti di roma- essenziale G. Landucci, Darwinismo a Firenze
cappottino assortito) è confermata da E. Calde-
tra scienza e ideologia (1860-1900), Firenze,
co un “vestito da maschera” prova, oltre che l’abbon- nità», scrisse Praz magnanimo. Allora l’isola era “povera rini 1934, p. 60.
Olschki, 1977.
danza di costumi tradizionali, le solide relazioni gerar- e intatta” e ai viaggiatori come Praz il suo passato non si 12. Cfr. S. Lanaro, Nazione e lavoro. Saggio
37. Donna Maria, “Sorelle nostre. Per una no-
bile impresa di lavoro femminile in Sardegna”,
chiche con i paesi del contado che offrono i panni del presentava sfacciatamente «come qualcosa di artificiale». sulla cultura borghese in Italia 1870-1925, Ve-
in La Donna, 20 maggio 1911, n. 154, pp. 22-
travestimento. I veri raduni di eleganza dell’alta società Tappeti, cestini d’asfodelo, perfino i vestiti “sardizzati”, nezia, Marsilio, 1979.
23; sulle vicende del periodico torinese, cfr.
aristocratica testimoniati da Lidel non ammettono nei sa- non sapevano di art-and-crafty tenuto in vita per attira- 13. Cfr. M. De Giorgio 1992, pp. 147-149. D. Alesi, “«La Donna» 1904-1915. Un progetto
14. P. Mantegazza 1973, p. 357. giornalistico femminile di primo Novecento”,
lotti i vestiti tradizionali regionali. Fra danze a tema (pa- re il turista, ma «ancora penetrato d’anima, ancora vissu- in Italia contemporanea, marzo 2001, p. 222.
stor fidi, gitani, pirati, ecc.) e tableaux vivant laboriosi e to d’istinto». Mezzo secolo fa nel paesaggio sardo «che 15. P. Mantegazza 1973, p. 367.
38. N.G. Caimi, “L’utopia della moda italiana”,
spettacolari che il bel mondo produce negli instancabili odora di sempre» il critico letterario dai cento occhi e 16. P. Mantegazza 1973, p. 367. in La Donna, 5 agosto 1909.
anni Venti, è una rarità la Marianna Sirca “incontinenta- dalle curiosità sterminate vide un’incantata solitudine. 17. Citato in G. Landucci, Darwinismo a Fi- 39. E. Gallo 1914, pp. 310-313.
ta”, quadro-vivente interpretato da una gentildonna fio- Gli ospiti sardi gli mettevano in mano «cartoline vistose, renze cit., p. 152.
40. L.V. Bertarelli 1918, pp. 19-20.
rentina secondo una voga mondano-letteraria (ma l’abi- di sapore moderno», con allettanti didascalie, “Sardegna 18. P. Mantegazza 1973, p. 369.
41. L.V. Bertarelli 1918, pp. 15-16.
to tradizionale nuorese ha subito interventi arbitrari).53 pastorale”, “Silenzi primitivi”, ed altre con gli “splendidi 19. Citato in R. Barthes, Michelet, Napoli, Gui-
da Editori, 1973, p. 112. 42. D.H. Lawrence 2000.
Negli anni fra le due guerre, l’entusiasmo per le tradizio- costumi sardi”. Verosimilmente ebbe sotto gli occhi an- 43. D.H. Lawrence 2000.
20. P. Mantegazza 1973, p. 369.
ni locali si manifestò anche nell’arredamento. L’infatua- che la Pampanini, procace maggiorata di cui si avvan- 44. Cfr. J. Goody, La cultura dei fiori, Torino,
taggiò il costume di Sennori, nell’inventiva nuova serie 21. S. Franchini, Editori, lettrici e stampa di mo-
zione della borghesia per i mobili in “stile sardo”, deriva da. Giornali di moda e di famiglia a Milano Einaudi, 1993.
regionalista dello stile “umbertino” (salotti, sale da pran- di cartoline turistiche. Basta poco per scompaginare il dal “Corriere delle Dame” agli editori dell’Italia 45. A. Hollander 1978.
zo e “da studio”), ricorse al panno colorato delle gonne tempo, «la stagione fissa delle cose semplici e eterne», unita, Milano, Angeli, 2002, p. 253. 46. G. Leopardi, Zibaldone, vol. I, Firenze,
(camiseddas) con galloni giallo o azzurro per foderare i che sembrava antica per sempre.54 22. S. Mallarmé, La Dernière Mode. Gazzetta Sansoni, 1969, p. 100.
del Bel Mondo e della Famiglia, Milano, Edi-
cuscini che fiammeggiavano sul noce annerito dei diva- zioni delle Donne, 1979, p. 87.
47. D.H. Lawrence 2000.
ni prodotti dai fratelli Clemente. 48. P. Gaias, Sa Meliagra. (L’agrodolce del ri-
23. Citato in D. Roche 1991, p. 33. cordo), Sassari, EDES, 2001, pp. 133-134.
Quando finì l’“antichità” della Sardegna? Si potrebbe sug-
24. F. Boucher, Le vêtement chez Balzac. Ex- 49. M. Carosso 1984, p. 77.
gerire, come data limite, anche una particolare contingen- traits de la Comédie humaine, Paris, Editions
za, interna all’evoluzione delle fogge del vestire. La sfila- de l’Institut français de la Mode, 2000. 50. M. Carosso individua tre modalità di scelta
nell’indossare il vestito tradizionale: “perma-
ta di moda del 1957 al Padiglione dell’Artigianato sardo 664. Silvana Pampanini in costume di Sennori, in Artigianato Sardo, 25. Cfr. M. Giordano 1983, pp. 154-156. nente”, “parziale”, “circostanziale”; tra il 1981 e
a Sassari ebbe in Mario Praz un testimone eccezionale. Cagliari 1957. 26. G. Deledda 1995, p. 260. il 1983, gli anni della sua ricerca sul campo a

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Moda e tradizione.
Sardegna: una realtà da cui attingere
Bonizza Giordani Aragno

La moda vive di rimandi, di sentimenti carichi di nostal- La moda è al centro del cambiamento delle tendenze,
gia, produce richieste, accende desideri, alimenta il bi- segue le leggi della “ripetizione”, scadendo poi nell’imi-
sogno etico di produrre manufatti “deperibili” nati per tazione. Per dare nuove idee modifica il corpo mediante
assurgere a simboli effimeri dell’essere umano. forme, lunghezze, ampiezze: la costante di tutti gli stili-
Nella nostra società globalizzata vale ancora quello che sti. La moda vive per la sua diffusione planetaria, capa-
sosteneva Simmel: «Quanto più rapidamente cambia la ce di sintonia tra l’essere e l’apparire in quanto terreno
moda, tanto più gli oggetti devono diventare economi- di ricerca del sé.
ci, tanto più invitano i consumatori e costringono i pro- Al suo interno esistono eccezioni, differenti figure che
duttori a un rapido cambiamento».1 rappresentano una realtà distinta per cronologia e ruolo
La trasformazione è rapida ed efficace, fatta di “segni” sociale; personalità che hanno in comune la terra d’origi-
usati con i codici giusti che si mescolano attingendo a ne, la Sardegna, e assieme un interesse nella ricerca, l’au-
“culture e tradizioni” dimenticate dai più, ma che assu- dacia, l’anticipazione, la tecnica, la conoscenza, l’intuizio-
mono con l’uso indiscriminato del “taglia-cuci” una va- ne nel “dare forma” a ciò che si vuole rappresentare.
lenza contemporanea, ambita da tutti perché velata dal- Analizzando l’abito-costume, vi si può notare l’evoluzio-
la “nostalgia”, riducendo il passato a ruolo d’ispirazione. ne storica del modello vestimentario, icona fortemente
La moda, oltre ad essere immagine che si democraticiz- identificabile nella cultura di provenienza ma che pre-
za nel quotidiano, è anche forma. Essa appartiene alla senta un’accentuazione di caratteri modali presi da una
parte visibile del reale ma come ogni codice estetico coscienza che trae alimento dalla profonda radice esi-
«travalica la forma e si trasforma in sostanza», diventan- stenziale. E sono diverse le interpretazioni suggerite dal-
do artificio e poesia. le atmosfere e dalle soluzioni stilistiche più note, quelle
Come non ammettere l’importanza di un capo che in- che la globalizzazione produce con il “tritar tutto”.
dossato riesce ad avere un suo linguaggio, una sua Diviene interessante rileggere gli stili in una dimensione
identità? Come scegliere allora i simbolismi inconsci re- irta di accentuate differenze, attraverso l’opera creativa
lativi alle forme, al colore, al tessuto e quant’altro, cam- di designers per la moda che hanno in comune l’identità
biando contesto, cambiando i significati? È questo il mi- territoriale, messi insieme dalla radice storica dell’abito,
stero che avvolge la moda? Il perché una tendenza si per un desiderio comune di contenuti da tramandare.
dice di moda? Forse perché l’interpretazione suscita de- Un filone, quello del costume, che alimenta da sempre
sideri irrefrenabili? il rinnovamento dei canoni modali, nel quale risulta im-
Non vi sono mai segni uguali, la moda riorganizza di portante la fase della scomposizione, fonte del vissuto e
continuo nuovi codici soltanto perché ne esistono di pre- dello stratificato.
cedenti, essa è in realtà il supporto visivo dei fenomeni Applicarsi all’impiego obsoleto di un tessuto, di una pie-
che interessano il sociale. Non si può infatti relegarla solo ga, di una camicia, di un orlo, oppure di una determina-
ad evento mondano: vuol dire avere una concezione ot- ta foggia, per creare una nuova silhouette che esige un
tusa del sistema. La moda va inglobata in campi diversi costante rinnovamento, per poi partecipare allo spetta-
del sociale: quelli che trattano i temi della vita. colo della vita nei tempi giusti della moda, equivale a
tracciare un percorso a ritroso nei luoghi della diffusio-
ne di uno stile, in cui i riferimenti alla tradizione sarto-
665. Umba (Umberto Giacopazzi), 1956 ca., modelli ESVAM, riale e all’inventiva stilistica sono l’itinerario.
Sassari, archivio ISOLA.
Gli inserti in tessuto sardo a motivi geometrici, selezionati
da Maria Foschini, direttore artistico dell’ESVAM, erano Siglienti: uno stilista ante litteram
disegnati da Eugenio Tavolara. Perno e motore del progetto La città leader della Sardegna all’inizio del secolo XX fu
dell’Ente, che stabiliva un’apertura del tessile sardo verso la moda,
tali inserti diverranno una costante riconoscibile nelle collezioni Sassari, polo d’interessi artistici e culturali al di fuori de-
665 firmate da Umba. gli schemi creati dall’immagine da cartolina dell’isola.

409
dei disegni “primitivi” in cui il racconto, dato dal colo- a stuoia, ad erba, che abbelliva le vesti nei giorni di fe-
re, dalla linea e dalla forma, allude agli antichi splendo- sta e quello, più prezioso e di forma rettangolare, in tul-
ri regionali. Nei suoi progetti il colore, oltre che il dise- le bianco-avorio, leggero e impalpabile, fittamente rica-
gno, sarà determinante. mato e simile ad una mantiglia, da indossare intorno
È soprattutto la forma dello scialle ad attrarre il suo in- alla scollatura della camisa. Nella sua visione, il grafismo
teresse, vista come «le ali fruscianti, che rivelano dispo- decorativo popolare si trasforma in una sontuosa decora-
sizione erotica e tendenza all’intrigo amoroso». zione dalle linee sinuose cariche di fiori e fronde, in per-
Lo scialle ha avuto nella storia un lungo percorso di cui si fetta sintonia con il linearismo Déco.8 La forma geometri-
perdono le tracce: dai Fenici all’Oriente per poi riemer- ca si ripete nella funzione strutturale del capo nato per
gere nel suo splendore sensuale in Catalogna. Molto po- coprire, proteggere ed avvolgere. Gli scialli di Siglienti,
polare in Occidente nel XIX e XX secolo, ha avuto una ricamati da COSARIVE (Cooperativa Sarte Ricamatrici Ve-
diffusione paragonabile a quella del kimono in Oriente neziane), furono anche esposti, nel dicembre 1928,9 alla
(importato in Europa all’inizio del XX sec.). Era conside- I Biennale d’Arte Sarda a Sassari e venduti a costo eleva-
rato un capo-base dell’abbigliamento popolare, accesso- to10 insieme a cuscini, tende, tessuti per arredamento e
rio di gran lusso per le donne alla moda. Lo scialle fu l’in- tappeti ricamati; “sguardo complessivo” nello spirito di
dumento più in voga,4 che permise all’abito una valenza un alto artigianato proposto dalla Wiener Werkstätte,
maggiore proprio per la decorazione che ne accentuava movimento d’oltralpe che influenzò non poco l’iter pro-
lo stile, esaltando la sovrapposizione delle forme. Scialle gettuale del giovane artista sardo. Orientamento radicato
dunque quale indumento eclettico a carattere autonomo, nei soggiorni a Milano che, «nell’ardente desiderio del fa-
metafora di un’appendice decorativa che Siglienti poté re», lascia intuire le peculiarità di quell’eclettica professio-
666 668
assorbire dalle suggestioni pittoriche del capofila fra gli ne, allora sconosciuta, dello “stilista”.
Viveva e lavorava nella città un gruppo di artisti e intel- artisti sardi, quel Giuseppe Biasi suo concittadino. un rigore formale essenziale: «La candida teoria di arcate
lettuali che credettero in un rinnovamento culturale gra- Nino Siglienti, a metà anni Venti, decise di lasciare Sas- a tutto sesto che cinge le pareti della sala rivela uno spiri- Il dopoguerra: ESVAM, ISOLA, OECE
zie alle istanze moderniste di inizio Novecento, che portò sari per Milano. Il pretesto sarebbe stato la frequenza to non troppo lontano, nella sua semplicità di ascenden- Nell’immediato dopoguerra, in pieno risveglio della Mo-
l’unificazione dei linguaggi regionali a vantaggio di un’ar- della Scuola Superiore di Agricoltura: entrerà in realtà za metafisica»,5 da un nitore protorazionalista. Il damier da Italiana, abiti e accessori d’ispirazione sarda tornaro-
te, una cultura nazionale e italiana. come figurinista nel prestigioso atelier di Luigi Sapelli, del pavimento, l’uso del manichino-stampella da lui dise- no ad interessare quelli che facevano moda. Capi in
Fu vitale la tendenza ad abbandonare il regionalismo in arte Caramba, importante figura manageriale e diret- gnato rimandano agli interni della scuola “La Martine” di piena tendenza – firmati anche da prestigiose sartorie
per avviarsi verso “un’industrializzazione del folclore”.2 tore degli allestimenti per il Teatro alla Scala. Parigi, diretta da Raul Dufy e creata dal coutourier Paul d’Alta Moda come le Sorelle Fontana a Roma o Nobera-
Esempi straordinari furono i ricami antichi eseguiti dalla La terza Biennale Internazionale delle Arti Decorative a Poiret. Il senso dell’artigianato come strumento didattico sko a Milano ecc. – elaborati nei tessuti e nei ricami per
Sardiniae Ars, nata per riaffermare stile e qualità alle Monza, nel 1927, segnò il suo successo. Vi presentò i per fare moda è ben chiaro nell’operare di Siglienti. una valorizzazione di un artigianato forte di “preziosi”
lavorazioni industriali oramai invasive del mercato, sul- propri lavori come espressione della sua “bottega d’arte”, Considerato un artista ben inserito nell’ambiente lom- tessuti rustici, merletti, ricami.
la scia del successo dell’omologa società Aemilia Ars, ambiente allestito al pia- bardo, la sua attività spaziava dalla grafica pubblicitaria, Nasceranno una serie di attività istituzionali, tra le quali
fondata nel 1898 con il contributo della regione Emilia. noterra della Villa Reale, al figurino teatrale, ai giocattoli in legno, ai mobili, alle una delle più importanti in Sardegna sarà costituita dal-
Nel ricco panorama culturale sassarese degli anni Dieci e sede della prestigiosa mattonelle in ceramica, ai disegni per ricami e soprat- l’ESVAM (Ente Sardo Valorizzazione Artigianato Moda),
Venti del Novecento, si distingue un giovane, figlio della esposizione, vicino ad tutto alla già menzionata produzione di scialli in seta, sostenuto dall’Assessorato al Lavoro e Artigianato della
borghesia illuminata, Nino Siglienti (Sassari, 1903-1929),3 altri di noti artisti piemontesi. in cui si coniugano quei richiami al Déco di gusto inter- Regione Autonoma. L’idea per un Ente sifatto si formerà
dimostrando subito una profonda predisposizione al di- Colpì il pubblico e la critica nazionale che definiranno il suo come uno stile antici- tra il 1951 e il 1952, inizialmente per volontà privata, cal-
segno, accompagnata da una forte attenzione a quegli l’allestimento dal carattere patore degli anni Trenta,6 sviluppo purtroppo precoce- deggiata tra gli altri dall’allora sindaco di Cagliari Luigi
oggetti e a quelle cose “artigianali fatte in casa” che ri- moderno, fuori dagli schemi mente interrotto nel 1929 con la morte. Crespellani, il segretario regionale della Confartigianato
mandano ad una solida radice storica legata alla terra scenografici di Ca- Dei suoi scialli di ampie dimensioni, guarniti al fondo Giorgio Meli,11 il mobiliere Marino Cao e la signora Laura
d’origine. Curioso e attento a tutti i mutamenti culturali, ramba, capace di da un lunga frangia di seta, se ne conosce l’esistenza Migliavacca, amica “cordeliana” della intelligente e bril-
Siglienti s’interessò al filone di ricerca nato proprio allo- creare tra spazi e per una serie di testimonianze orali, e se ne ammira la lante giornalista esperta di moda Maria Foschini. Corri-
ra, in cui la tradizione regionale, e soprattutto il costume, volumi suggeriti composizione stilistica attraverso i documenti fotografici spondente per Cordelia e residente nella capitale, Maria
costituiva una scelta all’interno della cultura vestimenta- in bianconero che rimandano per il colore alle tavole e Foschini è incaricata della direzione artistica dell’ESVAM.
ria, orientamento che aveva radici antiche e allo stesso ai disegni dei figurini.7 I motivi decorativi erano ispirati Sarà la coppia Meli-Foschini a visitare i vari laboratori
tempo sollecitazioni moderne: il costume cambia, si ade- a tralci fioriti, che si dipanavano intorno al bordo, inva- dell’isola per la selezione dei tessuti da impiegare nei ca-
gua alle esigenze delle mode, alle necessità pratiche. dendo talvolta anche il centro. Una rivisitazione del pre- pi sartoriali. Con Maria Foschini e l’ESVAM si attua un
Colpito dall’evolversi degli stili e dalla mobilità di un’iden- zioso indumento tradizionale, in un misto tra quello so- esperimento “suscettibile di notevoli sviluppi” nel settore
tità che andava perdendo i suoi connotati linguistici, Si- brio e ingenuo di lana ricamata con filo a punto pieno, della haute couture. «I motivi del costume sardo assumo-
glienti volle affermare attraverso il proprio lavoro l’at- no il ruolo di un utile suggerimento» dove lo scopo è «di
tualità fra tradizione e contemporaneo. Affascinato dalla 666. Nino Siglienti, Bottega Siglienti, 1927, allestimento impiegare la materia prima e la manodopera isolana met-
dicotomia di una società antica (rurale) e la nuova realtà per la III Biennale Internazionale delle Arti Decorative, tendole al servizio dei creatori della moda».12 In quest’otti-
Monza, Villa Reale, foto d’epoca.
pre-industriale, che poi con l’andar del tempo diventerà ca, nel 1951, in un momento decisivo che prepara l’istitu-
667. Nino Siglienti, scialle ricamato, 1927, foto d’epoca.
sempre più tecnologica e post-moderna, ne intuì la tra- Anche il manichino-portascialle è stato realizzato su disegno
zionalizzazione dell’ESVAM, era stato coinvolto l’allora
sformazione epocale, carica di conflitti e di lusinghe. dell’autore. giovanissimo Roberto Capucci, collaboratore nel laborato-
Nei suoi bozzetti di moda si evince quello stile che 668. Nino Siglienti, indossatrice con scialle ricamato, 1927 ca., rio Foschini appositamente attrezzato a Roma in via Bon-
guardava al Déco internazionale, trattato alla maniera foto d’epoca. compagni. Nasce una prima collezione di circa 70 abiti,

410 411
667
proposti in una sfilata cagliaritana allestita presso la Grot-
ta Marcello in piazza Jenne, occasione il cui intento ha
più un senso dimostrativo che la consacrazione di un fi-
lone di ricerca “sardo”, ancora da mettere a fuoco.13
All’esperimento, subentrando a Capucci, partecipa più
tardi il disegnatore Umberto Giacopazzi (Umba era il
suo pseudonimo) le cui creazioni, fotografate nel 1954
da Scrimali (alcune locations saranno ambientate presso
le Saline di Cagliari), vengono indossate, come già per
Capucci, dalla celebre modella di Dior, Ivy Nicholson.
Lo spirito dell’operazione, centrata sull’abito moderno a
partire dal reimpiego di tessuti artigianali, è ribadito nelle
parole di Pasquale Marica che, nel suo libro Orgosolo,14
riportando l’immagine di un modello disegnato da Um-
ba, descrive il progetto portato avanti da Maria Foschini
669 (della quale pubblica uno scritto) come «uno dei mezzi
pratici coi quali si può saldare l’anello rotto che non
669. Sfilata “Grotta Marcello”, Cagliari, 1951, foto d’epoca.
Al centro, fra le modelle, l’esordiente sarto d’alta moda Roberto
consente alla Sardegna di ancorarsi del tutto all’Italia».15
Capucci mentre raccoglie gli applausi del pubblico al termine L’operato dell’ESVAM sarà ereditato dal nuovo Ente re-
674
della sfilata. Capucci aveva disegnato e realizzato per l’occasione gionale ISOLA (Istituto Sardo Organizzazione Lavoro Ar- 673
circa 70 modelli. tigiano, ufficialmente varato nel 1957) che ne acquisisce
670. Umba (Umberto Giacopazzi), 1956 ca., modello ESVAM, in i modelli, proponendoli nel corso di una sfilata l’anno
Artigianato sardo, Cagliari 1957.
successivo a quello inaugurale del Padiglione sassarese, sulla moda (l’ISOLA organizzerà altre occasioni di sfilata collaborando soprattutto col Consorzio Costa Smeralda.
671. Umba (Umberto Giacopazzi), 1956, modello ESVAM, in Novità, vetrina istituzionale aperta dal novembre 1956. Evento
n. 68, Milano, giugno 1956. sino agli anni Settanta), impegnandosi a far conoscere il Sulas disegna intorno alla fine degli anni Cinquanta e i
che tuttavia posticipa quello di Napoli nel quale gli ele- prodotto artigianale regionale che, grazie ad un’econo- primi Sessanta, su committenza del Progetto Sardegna
672. Umba (Umberto Giacopazzi), 1954 ca., modello ESVAM, ganti abiti d’ispirazione sarda erano stati presentati il 18
in P. Marica, Orgosolo, Roma 1954. mia interna, non aveva mai cessato di esistere. Questo finanziato dall’OECE (Organisation for European Econo-
febbraio 1956 al Palazzo dei Congressi nell’ambito della ambito sperimentale avrebbe dovuto vigilare e valorizza- mic Cooperation), una collezione composta da sciarpe,
673-674. Giovanni Antonio Sulas, gonna, 1959 ca., modello OECE, Mostra d’Oltremare, accanto alle collezioni di sarti d’alta
carta con decori a inchiostro, Nuoro, Archivio per le Arti Applicate. re il lavoro delle donne dedite al ricamo o alla tessitura, acconciature da sposa e soprattutto gonne femminili.
moda italiana già affermati: erano presenti con i loro complessivamente intente a costruire con la paglia o Per queste ultime progetta su carta i modelli in scala, in
675-676. Giovanni Antonio Sulas, decoro per calzatura femminile,
1959 ca., modello OECE, tempera e pastello su carta, Nuoro, Archivio
abiti Schubert, Mingolini-Guggenheim, Ferdinandi, Gio- palma nana la cestineria, ad annodare il refe dei filet e modo da poter essere realizzate dalle donne-ricamatrici
per le Arti Applicate. vanelli-Sciarra da Roma, Bellenghi e Pucci da Firenze, del macramè frangiato. Programma dell’ISOLA che sul di vari paesi: Oliena, innanzitutto, ma anche Samugheo,
Queste tomaie, progettate in seta elasticizzata colore nero o oro, Germana Marucelli da Milano, e come giovani promesse fronte maschile vedeva pure orafi, incisori del legno, bu- Santu Lussurgiu, Borore. I motivi decorativi, nella loro
presentano motivi sardeschi da Sulas riletti in piena adesione furono premiati per i loro abiti Fausto Sarli e Umba.16
al gusto anni ’50. Alla realizzazione erano chiamate le ricamatrici linatori del cuoio e ceramisti. grafia essenziale, rispecchiano una cultura che rielabora
di Oliena, esperte nell’uso dei fili policromi. I preziosi manufatti Sarà il fondatore e ideologo dell’ISOLA, Eugenio Tavolara È ancora nel clima di ripresa e riorganizzazione che segni primitivi circoscritti in un geometrismo arcaico,
finali erano destinati al mercato nordamericano. (Sassari, 1901-1963),17 a sostenere in Sardegna l’attenzione Giovanni Antonio Sulas (Nuoro, 1911),18 quasi scono- quasi caratteri di alfabeti non traducibili (forme e atmo-
sciuto a quelli del settore, realizza opere da sarto d’alta sfere che non a caso influenzeranno il pittore Giuseppe
moda. Sarà designer per l’artigianato e l’arredo d’interni, Capogrossi, più volte ospite in quegli anni a Stintino).

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Interessanti sono pure i disegni di Sulas ispirati al primi- terranea con preferenza per la Sardegna. “Un figlio del-
tivo popolare (legno, ceramica, tessitura, oreficeria) della la sua terra”, un isolano del secondo millennio.
Sardegna, sorta di figurativo arcaico, destinati alle tomaie Antonio Marras ha modificato e ampliato ogni forma di
per calzature femminili, realizzate in seta elasticizzata. comunicazione come scelta semiotica, all’interno di quel
I ricami delle artigiane di Oliena, spostati dai bellissimi patrimonio culturale non solo del costume ma dell’arte,
scialli tradizionali alle scarpe, erano destinati a un vasto della letteratura, della mitologia arcaica dell’isola, dei sim-
mercato il cui termine definitivo era l’America. boli antichi e dei materiali tradizionali alfabetizzati come
Una cultura della tomaia, in cuoio o altro materiale de- sapiente simulatore di battaglie già vissute, in una visione
corato, che troviamo già presente nelle scarpe tradizio- narrativa in cui la violenza della storia si veste di glamour.
nali della festa, con motivi creati da fili colorati e migrati È stata una necessità tra il tempo della tradizione, le ten-
di volta in volta dalle scarpe femminili sino ai capispalla denze internazionali del fare moda e il rapporto con l’ar-
dei pastori indossati nella giornata “buona”. te che hanno permesso a Marras quella indipendenza
Lo stile sardo, lungo il percorso dagli anni Sessanta ad linguistica che ha caratterizzato la sua ricerca. Si è servito
oggi, perderà molta della sua identità, ridotto a decoro delle nuove tecnologie e della contemporaneità dei mes-
per l’indumento o per l’oggetto “rustico”, deprivato della saggi, alternate all’antico modo di fare artigianato, per
sua funzione pratica. alimentare quell’universo di segni tra l’onirico e il lettera-
rio, evocando volta per volta magiche presenze.
Gli anni Settanta e la riscoperta della tradizione È una cerimonia antica e sacra quella della vestizione che
In un periodo di dispersione (ma immediatamente ante- Marras propone ogni volta nelle sue performances. Vero
cedente al movimento di recupero degli anni Ottanta) è rifiuto ultraconsumista della moda a favore di un’ance-
importante segnalare il lavoro di ricerca, catalogazione strale tradizione vestimentaria pensata per una donna
ed elaborazione condotto dallo stilista cagliaritano Lucia- quale parte centrale di una società matriarcale.
no Bonino (Carbonia, 1951) che, a partire dagli anni Set- I gioielli in filigrana, gli amuleti, le trine, le tele ricamate
tanta, per primo fra i moderni, legge e propaganda un’at- per lui dalle donne di Ittiri, gli intarsi di tessuti preziosi
tenzione verso il “geometrismo architettonico” riposto e poveri assemblati da mani artigiane sono i frammenti
nella costruzione dell’abito tradizionale. Bonino esordi- di un discorso tra storia e contemporaneità che lo stilista
sce nel 1972 come stilista nelle collezioni di Alta Moda non ha mai interrotto. Il tutto recuperato, studiato nelle
per la maison Genova-Roma di Sergio Soldano, appli- varie soluzioni sempre diverse tra loro ma stilisticamen-
cando elaborati ricami di matrice turca ai giubbini in te precise. L’abito-costume nella sua struttura compositi-
pelliccia. L’anno seguente apre il suo primo atelier a Ca- va è ripetitivo nei secoli, si trasforma con Marras in un
gliari, varando un’attività che prova a radicare nell’isola serbatoio di suggestioni.
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alcune dinamiche della moda: utilizza per i suoi modelli Marras si presenta in maniera diversa dal solito look
un tipo di jersey prodotto dalla ditta locale “Nuova Quir- è stata penalizzata (oltre che coperta e bloccata dal pre- interessante per gli orientamenti di gusto che esso se- prevedibile e crea da subito un interesse curioso. Il suo
ra” di Assemini. Verso la fine degli anni Settanta, nella giudizio, appena stemperato nell’ambito dei grandi cen- gnala, dovuti a tutti quei gruppi folcloristici, soprattutto messaggio ha travalicato i confini dell’élite ed ha con-
boutique aperta a Cagliari dal 1975, compie con succes- tri: Cagliari produrrà in ogni modo negli anni Novanta quelli di recente formazione, che, come sostiene l’etno- quistato i giovani.
so l’interessante esperimento di tagliare gli scialli tradi- la figura di Alessandro Lai, attivo e apprezzato costumi- antropologo Paolo Piquereddu in questa stessa pubbli- I costumi hanno preservato una serie di dettagli preziosi
zionali in bouclé (colori nero, blu, marrone) per ottener- sta cinematografico e teatrale, di formazione internazio- cazione, hanno assicurato continuità vitale all’abito tra- che messi insieme danno una visione particolareggiata
ne delle giacche-cardigan. Dal 1977 la confezione dei nale) dalla fondamentale assenza della filiera, prassi che dizionale, pur apportandovi vistose modificazioni. di un’antica società rurale che viveva di pastorizia nelle
capi da lui disegnati è affidata a laboratori esterni. È del si potrebbe definire latitante a tutt’oggi. Non solo sono aree interne montuose, di agricoltura nelle distese pia-
1982, sponsorizzata dall’ISOLA, la sua partecipazione al mancate le botteghe o le scuole,20 ma bisogna sottoli- Antonio Marras: fare moda dalla Sardegna neggianti e di pesca sul mare; ovunque le donne erano
prêt-à-porter di Parigi, alla quale seguono Milano, Düs- neare come nell’isola fosse allora difficile superare le I riferimenti alla grande pittura di Giuseppe Biasi, alla attive nell’abitudine industriosa del lavoro artigiano.
seldorf, New York. La figura di Luciano Bonino, dai con- mille esigenze che investono l’ambito della moda: con- tradizione artigianale delle donne di Ittiri, alle fotografie L’abito-costume sardo, come si può constatare (si veda-
torni oggi ben definiti, propone in modelli unici, assor- fezioni, trasporti, comunicazioni, diffusione, reperimen- ingiallite, traccia e ricordo di volti sbiaditi, di corpi ve- no quelli nella raccolta del Museo Nazionale delle Arti e
biti da una ristretta committenza privata o proposti in to di mano d’opera specializzata, ecc. Prassi oggi forse stiti di anonimi emigranti, alle storie-leggenda di figure Tradizioni Popolari, a Roma, o altri presso il Museo della
mostre temporanee (spesso accompagnate da quegli in via di superamento. femminili eroiche e umane, presenze nelle sere d’inver- Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde, a Nuoro), non ha
stessi abiti tradizionali all’origine dei suoi ragionamenti Basti pensare inoltre che la prima pubblicazione specifi- no nelle tradizioni contadine, ricompaiono intense e subito radicali cambiamenti in questi ultimi tempi. Esso è
compositivi), il costante tentativo di recupero della parte ca sull’abito tradizionale, al di là del gran parlare sull’ar- aggiornate dopo tanti anni nelle collezioni di Antonio rimasto fedele alla tradizione, si è ossidato nei musei ed
“moderna” e astratta contenuta nell’abbigliamento tradi- gomento, è databile solo al 1981. Firmato da una foto- Marras (Alghero, 1961).22 è forte nella memoria degli isolani, presentandosi gene-
zionale, da lui rintracciata soprattutto nelle lavorazioni grafa, Chiara Samugheo, e arricchito da un saggio della Con lui rinasce vigoroso il filone costante e continuo di ralmente integro da contaminazioni immediate.24
insistite delle pieghe a fisarmonica, nella magia delle studiosa Enrica Delitala,21 è il testo iniziatico e ancor oggi ricerca nella tradizione sarda, non solo però quella stret- Questa immobilità, quest’orgoglio di esistere, questo in-
simmetrie, nella sobria e raffinata eleganza del colore, tamente legata al taglio degli abiti ma soprattutto (forza tendere un vivere fatto di lavoro è il rituale che ha per-
nel misurato inserto di sontuoso ricamo, nel ricorso al- 677. Luciano Bonino, Trame di luce, collezione 1990, dettaglio di un e novità di Marras) alle atmosfere, alle storie, alle perce- messo ad Antonio Marras di esprimersi con nuovi e anti-
l’accessorio prezioso in filigrana, divenuto pretesto per modello femminile, fotografia di Daniela Zedda. zioni e suggestioni ad essi intrinseche o legate; ricerca chi canoni fuori dal coro, forte di una vastità di soluzioni
Interessante la riproposizione del bottone sardo, accessorio che
microsculture di grande libertà creativa, spesso reinven- costantemente ha attratto l’interesse dello stilista, qui, in un chiaro
improntata sulla «primitività, ingenuità, e schiettezza».23 innovative.
tate anche nella sostanza materica.19 riferimento agli orecchini di tradizione mediterranea in oro e corallo Sarà proprio l’algherese Marras a risvegliare con la sua Marras, che non ha mai frequentato scuole di stile, si è
Tuttavia la situazione sarda negli anni Ottanta, per (racàles). arte in ambito internazionale un forte sentimento di ri- impadronito, da buon isolano, di questa cultura che per
quanti desiderassero cimentarsi nel campo della moda, 678. Luciano Bonino, camicia, 1992, foto archivio Bonino. scoperta di antiche culture legate alla tradizione medi- nascita gli appartiene, ha celebrato con la sua moda una

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rinnovata identità culturale e dalla sua terra d’origine ha cati che si scontrano con la rude realtà materica. Creare
preso spunto per narrare le sue collezioni d’Alta Moda nuove immagini evocative con la complicità degli stili,
che nascono dall’«idea di una tradizione etnica estetizza- contaminando l’informale e il formale in un fantastico
ta e primitivizzata». segno d’equilibrio in cui il riferimento al costume sardo
Il percorso di questo singolare stilista non è mai fine a se per immagini e per materie è costante. Marras lo tratta
stesso. È un appuntamento stagionale in cui vengono pre- alla stessa maniera sacrale di come Yohji Yamamoto ha
sentate “cose da indossare” che si arricchiscono volta per usato il kimono, ma per il giapponese tutto è ridotto al-
volta d’interventi sartoriali, di intuizioni stilistiche, di sto- l’essenzialità della forma, per Marras è dettaglio, è fran-
rie, di racconti che ogni volta stupiscono in un crescendo. tumazione, è racconto.
Collezioni che segnano nell’iter creativo una ricerca “tor- L’abito-costume, sia maschile sia femminile, ha nella ca-
mentata” da cui lo stilista parte “per mai arrivare”. micia di lino, di cotone o di canapa un elemento “basi-
Nella sua prima collezione, presentata a Roma nel 1996, co”. La camicia può essere allungata, larga o corta, con
fu importante il contrasto tra barbarico e sontuoso per o senza collo, spesso ricamata, pieghettata, fornita di
dare alle forme uno spessore. Il tutto sottolineato dalle asole, guarnita talvolta da accessori in argento (gemelli);
trasparenze, dalle leggerezze e dalle fragilità in contra- i polsini per la donna spesso sono sapientemente rica-
sto a forme che drappeggiavano i corpi in tessuti lavo- mati in tinta. Non a caso Marras ha scelto questo indu-
rati a mano. Fu l’anno in cui la stilista giapponese Rei mento da cannibalizzare, facendolo protagonista di due
Kawakubo sbalordì Parigi con l’uso crudele delle prote- collezioni presentate a Milano per Sans titre. La camicia
si che modificavano la figura femminile, rendendola è un indumento che per lo stilista non presenta sostan-
“deforme”, cercando nell’innaturalità una frattura con lo ziali differenze tra femminile e maschile. Costruita di co-
stereotipo di bellezza edulcorata e commerciale in auge tone dai diversi pesi, lino o canapa, essa è presente nel-
da troppo tempo. l’abito-costume e s’indossa quasi sempre direttamente
Un’operazione di rottura che Marras intuì e che inter- sul corpo. Essa diviene per Marras pretesto per un fanta-
pretò alla sua maniera, guardando verso il patrimonio stico esercizio di stile. La camicia, visibile, vive di piccoli
679 mitico e leggendario della sua terra: donne come fate accorgimenti (le differenze sono dovute al tessuto, come
gigantesche con abiti che per la loro forma non permet- nei cotoni classici da uomo) assumendo forme che si al-
tevano un atteggiamento banale. Abiti non solo di lusso lungano a tunica da educanda, sopra grembiuli a piego-
per donne esclusive ma indumenti nati per vestire anti- ni e gilet nei toni del grigio come indumenti da lavoro.
che leggende, mescolate a realtà urbane, stratificate dal Il tutto prodotto in Sardegna, tessuto e confezione arti-
tempo e dalla memoria per il recupero dell’autentico. gianale, dalla griffe emblematica Sans titre.
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Eppure Marras non si accontentò di sole citazioni del Un esperimento interessante che mette in luce il rapporto
passato né di soli dettagli, bensì analizzò le esigenze L’usato ha dato accesso ad una miriade di stili, livellan- tra imprenditoria locale e stile, un metodo promozionale
della vita quotidiana, servendosi d’interventi preziosi, do in maniera impressionante le scelte, alimentando il che aveva avuto un precedente regionale con l’ESVAM.
alternati a manipolazioni come bruciature, slabbrature a vasto mondo del consumo. Anche per difficoltà gestionali, l’esperimento finirà ma la
vivo sul tessuto. Marras, abituato a guardare gli abiti della sua gente, camicia sarà presente nelle successive collezioni di Anto-
Importante fu l’apporto di Maria Lai,25 straordinaria arti- nell’usato cerca i contrasti e le forme trattando gli ele- nio Marras, il filo conduttore nel primo prêt-à-porter, col-
sta e musa ispiratrice, che seppe idealmente dare alla menti base dei capi come parti vitali della propria emo- lezione autunno-inverno 1999-2000, a Milano, dedicata
collezione il suo contributo concettuale: la moda guar- tività. E il costume sardo è usato come spartiacque fra alla poetessa Annemarie Schwarzenbach. L’emancipazio-
da l’arte visiva e viceversa. passato e presente. ne femminile si tutelava all’inzio del Novecento sotto le
Gli anni Novanta, per una forte connotazione democra- Con la collezione primavera-estate 1998, lo stilista arriva spoglie dell’androginia. La camisa, uno dei pezzi “arcaici”
tica, hanno segnato un vestire diverso con la scoperta all’abito destrutturalizzato, riletto attraverso una visione del costume stesso,26 viene presentata da Marras in una
dell’usato (vintage), inteso non come bisogno economi- interdisciplinare dei linguaggi. Gli indumenti vengono serie realizzata in candido popelin, abbinato a morbidi
co ma come ricerca per un mercato saturo di moda. trasformati, frantumati, ripresi e slabbrati da interventi tweed mescolati a sete indiane, velluti e preziosismi e
artigianali fatti d’intarsi di pizzo; si aggiungono alle lane morbidezze alternate a linee severe dai caratteri maschili;
ruvide maschili i broccati e i nastri con ricami in filo e i colori severi vivono nel gioco dei rossi, segnali forti e
679. Antonio Marras, Adelasia di Torres, collezione Alta Moda paillettes, alla stessa maniera con cui le donne sarde de- decisi come i bordi delle cimose, in una mescolanza di
autunno-inverno 1998-1999, foto archivio Marras.
Marras costruisce le sue collezioni mediante il racconto: la grande coravano lo zippone da festa. tessuti pregiati (panno, velluto liscio o operato, broccato).
cappa rigida dalla quale emerge la testa della modella-regina, Ancora per l’Alta Moda, collezione autunno-inverno 1998- Una citazione che ritroviamo negli abiti femminili regio-
ricoperta di ornamenti e simboli, costituisce l’eco formale della rocca 1999 (Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma), la pro- nali, per la festa, al fondo delle pesanti vesti pieghettate
di Burgos o piuttosto di monte Gonare in Sardegna: Montagna sacra,
metafora dell’universo femminile. E i fianchi della “montagna” sono tagonista è la regina medievale Adelasia di Torres, morta o nel doppio petto dei corsetti (imbustu, cosso). Altere
campi arati realizzati con i tessuti dei quali è pervasa l’intera rinchiusa nella torre dove era stata segregata. Colpisce la composizioni minimali, decostruite, che narrano di un
collezione, per la quale questo modello, in sfilata, ha costituito costruzione del mantello-icona dalla forma grandiosa: nomadismo urbano. Piccoli segni di un passato da op-
apertura e riassunto.
montagna, tessuti giustapposti come campi arati, cono porre al consumismo degli abiti griffati, per una moda
680. Antonio Marras, Adelasia di Torres, collezione Alta Moda
autunno-inverno 1998-1999, foto archivio Marras.
rigonfio, rigido e avvolgente, simile a sale, simbolo di democratica.
La gorgiera è ricavata da una gonna plissettata del costume di Ittiri. ricchezza per una società arcaica, “statua” che nasce dal Per il prêt-à-porter primavera-estate 2000 che sfila a Mila-
681. Antonio Marras, Il sogno di andare restando, lago di Baratz alle porte di Alghero. Sale, acqua, per no le cose cambiano, il pubblico è diverso, diventa im-
680 collezione autunno-inverno 2000-2001, foto archivio Marras. una regina che indossa preziosi cristalli, ricami pietrifi- portante il prodotto. La moda, frutto di necessità sociali e

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formali, non è più distinzione di classe. I vestiti si espri- Per Figus è stato fondamentale l’incontro stimolante le con cui è ricoperto il sofà e delle piume con cui è fat-
mono quali linguaggi in cui il sociale vive solo come ci- con Linda Loppa, la direttrice del Dipartimento di Moda to l’interno dei cuscini: l’erotico, il materico, in una con-
tazione. Non è il nuovo o il vecchio il motore di una di- dell’Accademia Reale di Belle Arti ad Anversa, che con centrazione spirituale di purezza. Bisogno di spaziare tra
versificazione ma è il desiderio che spinge a scegliere di grande sensibilità e competenza ha seguito i suoi studi. forme inusuali, versione di un tecnocorpo che cita corpi
indossare gli abiti. E Marras narra di un parco all’inglese Alla fine del corso, Figus presenta il suo Graduate Col- in forme rinascimentali, apportando protesi visibili, son-
fiorito, creato nell’arida Sardegna da una esule. Un con- letion (1999), dal titolo Quore di cane. Un lavoro di tuosità di larghi cannelli, di buioné, di pieghe e volute
trasto di desideri, un bisogno di contaminazioni. moda maschile ispirato al nonno pastore, un omaggio dettate da un’esigenza di travestimento, per il bisogno di
A Marras sono permessi tutti i codici estetici, purché sia- alla sua terra d’origine attraverso il mantello-capuccio. storicizzazione dei racconti e dei luoghi con una precisa-
no rispettati gli “estremi”. La moda s’inserisce nell’arte, Il suo stile asciutto interagisce con l’abito, il corpo e le zione senza senso, coinvolgendo in una performance
reinventando i ruoli, rendendola popolare. Per Eleonora, forme che vi gravitano intorno. Lo spazio è elemento funzionale la moda che diviene opera d’arte.
judicessa d’Arborea, Marras disegna la collezione prima- coagulante, materia forte ed arcaica, creata da lui con la Decisivo in questo è l’intreccio tra mobilità intellettuale
vera-estate 2002. Sono abiti illustrati da acconciature in- manipolazione del materiale che sembra feltro o orba- e globalizzazione degli stili. Performance come seduta
credibili, create da “pezze vintage” come giacche arroto- ce; la forma ricorda il gabbanu ma è più avvolgente, alchemica, rito e cerimonia terapeutica, fase preparato-
late cosparse di metallo alla maniera di una preziosa ha il colore naturale del cuoio, ma è feltro. ria, intorno ad una figura centrale femminile tra danza
filigrana, oppure bisacce di feltro con puntali e bottoni fi- Interpreta la Sardegna come la terra del futuro, madre cerimoniale e rituale.
ligranati, immagini suggestive che ricordano i ritratti di di forme pulite e primordiali che definisce “lecorbusie- Scansione ossessiva nell’attuale processo di omologazione
Biasi dedicati a Teresita e a Tetesedda. riane”, forti come il nuraghe: stile essenziale tra archi- culturale, è l’arcaico e il primordiale che diventa e si tra-
Ogni singola parte dell’abbigliamento vive una sua iden- tettura e natura che gli suggerisce forme scarne, prive sforma in un racconto fatto d’incubi e di autodistruzione.
tità, architetture che s’incastrano con abile sapienza nel di bellurie. Simbolo-totem di una cultura rupestre. L’ultima collezione autunno-inverno 2002-2003 è più
gioco delle proporzioni in cui la bellezza corporea si Nascono allora forme simili ad architetture “razionali e or- moda, una ricerca ironica e surreale delle forme, che
abbina all’abito razionalmente studiato: le lunghezze va- ganiche” allo stesso tempo, scolpite per un corpo nudo e presenta nei dettagli camicie, gonne, giacche, cappelli e
riabili del gonnellino nero (ragas o carzones), indossato con drappeggi complessi, volumi e vuoti per restituire al- scarpe; una voluta citazione alle stravaganze del Nove-
sopra i pantaloni, si prestano ad ogni trasformismo dei l’individuo la sua primordiale natura priva di stagioni, cento, secolo della moda. In una summa di “fatto a ma-
generi tra allegorie, citazioni e memorie. senza tendenze, fuori tempo e astorica, priva di feticci in no”, ogni pezzo è un total look nella ricerca del comuni-
Anche il mantello vive il suo momento, presentandosi una sintesi scultorea nella quale il corpo diventa arte. care emozioni. Le vesti sono da indossare a strati in una
nella sua fattura semplice: due rettangoli cuciti fra di loro Il tirocinio per la costruzione di questa collezione in fel- sorta di confidenziale rapporto con il corpo; il soprabito
su due lati consecutivi, e sul petto lacci come fermagli: tro lavorato a mano, trattato con la cardatura e poi la fila- senza maniche è di pelle conciata, oppure è veste senza
Marras cerca di abbattere le barriere fra tradizione e con- tura (tecniche per arrivare al “panno”), è l’operazione ul- maniche in pelli d’agnello o di pecora come quelli in
temporaneità, tra forma e materia, tra ruolo e personag- tima di una manipolazione effettuata sul tessuto grezzo. uso tra i pastori; le scarpe, fatte a mano alla maniera dei
gio, tra scena e racconto in una visione atemporale. Le L’abito-involucro ha il colore caldo della lana non tinta, calzolai sardi, hanno un verso solo, il tacco di cuoio e la
modelle delle sue performances non sono “qualsiasi” ma materia scelta da Angelo Figus come segno, simbolo di tomaia battuta, con le stringhe, di colore naturale.31
scelte, vestite, truccate con una professionalità da pièce 682
calore, matrice e madre dal generoso grembo. Si privilegia la donna-icona, tra seduzione mondana e
teatrale. I capi risaltano su questi corpi gracili e dai volti Egli sceglie il ruolo difficile di viaggiatore cosmico, ela- universo grandioso.
severi che interpretano l’idea registica dello stilista. Un bana contemporanea e il ricordo lontano di un paese bora l’esercizio delle acquisizioni di memorie per espri- Il teatro affascina Figus nel 2000: nascono i costumi per
fenomeno glam con connotazioni biografiche. Importan- ancora vivo nel suo orgoglio isolano. mere il disagio di un’epoca ipertecnologica che ha pro- Ugo Rondine a Gand, in Belgio, ad Amsterdam per Clau-
te è il luogo di svolgimento della storia, che va disegnato curato solo disastri. de Vivier, in Rêves d’un Marco Polo, e per il Lohengrin
con elementi scenografici che definiscono la poetica del- Il futuro da esplorare Ha successo ed è invitato a Parigi per l’haute couture. di Wagner nel 2002. Ultimo appuntamento è l’allesti-
la collezione. Da Anversa, città antica del Nord Europa, arriva un altro Critico per gli eccessi d’informazione, dice che «bisogna mento concettuale per la mostra dal titolo Genovan-
È ancora il trip, il leitmotiv della prima collezione uo- aspetto della Sardegna.29 Questa volta è un nomade che esserci nati con l’abito-involucro. Questo permette di versaeviceversa.
mo, primavera-estate 2003, a Firenze. ha scelto di vivere lontano dalla sua terra, sublimandola comporre quel filo diretto tra fisicità corporea e mate- La moda per Angelo Figus è importante ma è solo una
Il personaggio è Costantino Nivola, artista noto e auto- attraverso i contrasti e le provocazioni. Un giovane ta- ria, per arrivare ad una finalità estetica. E il tutto nasce parte del suo iter creativo, il futuro è tutto da esplorare.
revole che “emigrò” a New York e che soffrì come tutti lento che lavora intorno ai temi della ricerca in cui l’ori- specificamente per “un’esigenza di corporalità”». Indubbiamente, essere figlio della Sardegna è una realtà
gli isolani di “nostalgia”.27 L’invito alla sfilata era un faz- gine antica è il riscatto per l’individualità. Angelo Figus La prima collezione autunno-inverno 2000-2001 di prêt-à- da cui attingere.
zoletto maschile che racchiudeva un pugno di terra sar- (Cagliari, 1975) è figlio di una madre sarta; «tutte le porter, presentata in marzo a Parigi, è un coinvolgimento
da e i versi finali di una bellissima poesia di Nivola: donne della famiglia materna sono sarte», da loro ha totale “oltre il corpo”, una progettualità oltre la fisicità
«Anch’io come te non ero nato per vedere il mare». appreso l’arte del cucire, mentre suo padre, figlio di un multifunzionale, interfacciata con sistemi di riproduzione
Sfilano uomini che indossano abiti in velluto dai tagli pastore, scegliendo il mestiere del macellaio, gli ha tra- tecnologica estrema. Coraggioso, è intenzionato a con-
sartoriali e con la berretta in testa, una tradizione nell’ab- smesso, dice Figus con ironia, «l’amore per il taglio».30 frontarsi con mezzi evoluti della propria storia. Sfilano
bigliamento dell’uomo sardo ancora presente ad Orune fanciulle accompagnate dalla voce di Maria Callas che
con il sarto Giovanni Porcu, detto Papassedda, e ad Ora- canta “son giunta” nei panni di Eleonora ne La Forza del
ni con Paolo Modolo.28 682. Angelo Figus, Quore di cane, giugno 1999, destino. Indossano abiti in lana, feltro e velluto, in una
fotografia di Étienne Tordoir.
Un passaggio epocale tra strapese e stracittà: sfilano in- L’abito-involucro, memoria di ataviche stratificazioni culturali, rivisitazione post-moderna. L’ispirazione è costituita dalle
sieme uomini che indossano il gabbanu e la mastruca evidenzia la fragilità dell’essere umano che lo indossa. forme dei mobili di una casa vissuta da donne, ibridazio-
accompagnati dai suoni duri dei mamuthones, maschere 683. Angelo Figus, Abracadabra (Su pilloni ’e ferru), collezione ne tra contemporaneità e passato, il sofà come curva
popolari con campanacci, ricoperti di pelli di pecora in primavera-estate 2001, fotografia di Marleen Daniels. femminile, corpo come silhouette, per una dimensione
La stessa formula magica accomuna queste scarpe affusolate, che
contrasto con operai che vestono panni ruvidi e T-shirt Figus immagina in grado di trasformarsi in “ali per i piedi”, e l’aereo nuova. Una dimostrazione simbiotica tra forme inanima-
colorate, scritte e slabbrate. Un’evocazione di realtà ur- (l’“uccello di metallo”). te e forme umane. La natura che si riappropria della pel- 683

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Note 23. G. Altea, M. Magnani 1998, p. 19.
24. All’inizio del secolo, fino agli anni Cin-
ancora la mancanza: stampa specializzata, foto-
grafi, documentaristi, grafici, editori, ecc., oltre
quanta, ci fu una vera e propria mobilitazione che del più agevole consenso da parte del lar-
popolare che chiedeva di preservare, conser- go pubblico.
vare e garantire una serie di esemplari d’abiti 30. Angelo Figus frequenta il Liceo Scientifico
come testimonianza di un patrimonio tradizio- ad Oristano. Vuole fare l’architetto e decide
nale di manufatti. Questo interesse, alimentato d’iscriversi al Politecnico di Milano, frequen-
da un insieme di iniziative istituzionali e da tando (con poco entusiasmo) i corsi di Archi-
studiosi, ha formato una coscienza e una co- tettura. Sfogliando i giornali conosce i “Sei
noscenza del valore non solo delle fogge, ma d’Anversa” e stabilisce definitivamente di fre-
anche della ricerca sull’uso delle materie, del- quentare, a partire dal 1996, il Dipartimento di
le tinture, dei ricami, degli interventi e delle Moda presso l’Accademia Reale di Belle Arti.
stratificazioni che il tempo ci ha tramandato. Scopre con gioia che in questa città di trecen-
La posizione geografica dell’isola, il suo esse- tomila abitanti si può vivere e studiare con
re circondata dal mare, se da un lato ha limi- poca spesa e con serenità. Si getta a capofitto
tato o ha reso difficile i contatti, ha per altri in “quattro anni indimenticabili”. L’Accademia
versi preservato integra la sua tradizione, che offre la possibilità di una sperimentazione co-
1. G. Simmel 1985, p. 49. seppe imprimere un rinnovamento a quelle mente. Alcune sfumavano da tutti i grigi al ne- abbraccia oltre al costume anche il folclore, stante e allargata. Si può lavorare in laborato-
istanze regionalistiche, prima che la creatività ro, altre dal verde cupo al grigio-verde, altre la lingua e le strutture socio-economiche. rio, oltre alla frequentazione delle lezioni teo-
2. Seguono la scia di un artigianato artistico di La scelta di tanti giovani stilisti di ispirarsi al- riche, e soprattutto si possono concretizzare le
grande valore, le ceramiche Déco di Federico isolana si trasformasse in “stile sardo”. ancora da tutti i toni del marrone. Ebbi, credo,
la stessa sensazione della moglie di Lawrence l’iconografia attinta ad una salda ed orgogliosa individuali elaborazioni in piena libertà, con il
Melis e i giocattoli di legno e stoffa dalle for- 10. G. Altea, M. Magnani 1989, scheda p. 181, tradizione è la dimostrazione di come le forme supporto intelligente dei docenti. Qui Figus
me cubiste della casa ATTE, di Tosino Anfossi fig. 41. durante il suo viaggio in Sardegna, nello sco-
scelte nelle varie tipologie vestimentarie di di- completa la sua formazione mediante lo stu-
ed Eugenio Tavolara. Anche l’arte figurativa di- vare in un magazzino una pezza di “bordau”.
11. Nostro cortese informatore in questa oc- verse classi sociali, di paesi differenti, abbiano dio delle materie di Arte, Figura dal Vero e
mostrò gli stessi interessi, cercò nella propria Finirono tutte nel mio “studio” di Castello. Di-
casione. in comune l’abito: immagine sobria ed austera Storia del Costume.
cultura d’origine spunti per esaltarne i conte- ventarono le prime gonne, sciarpe, stole di
per l’uomo, elegante e preziosa per la donna. 31. Le calzature tradizionali della Sardegna, di
nuti. In ambito sassarese furono alcuni pittori 12. M. Foschini 1957, p. 55. ispirazione sarda. Cominciarono ad uscire in-
L’iconografia legata in particolare allo studio difficile reperimento, sono ampiamente docu-
a raccontare la propria terra con magica poe- dossate dalle amiche e dalle prime sparute
13. È da questa congiuntura che alcune signo- della forma nella tradizione del costume sardo mentate, sia nella variante maschile che fem-
sia, come Giuseppe Biasi e Mario Delitala. clienti. Fu poi la volta de “s’isciallu de ispu-
re cagliaritane vestiranno in quegli anni abiti rivela un’autonomia di linguaggi da sempre minile, nella straordinaria raccolta di abiti tradi-
gna”, scialle di lana: nero, blu, marrone, che le
3. Per Siglienti cfr. il volume monografico a Capucci, anche in particolari occasioni come sentita e sottolineata dai piccoli dettagli che zionali sardi del Museo Nazionale delle Arti e
donne sarde indossavano e ancora portano tut- permettono una sostanziale diversificazione.
lui dedicato di G. Altea, M. Magnani 1989. quelle legate al matrimonio. È il caso dell’abito ti i giorni. Divenne una sorta di giacca-cardigan Tradizioni Popolari di Roma.
Nel 1922, l’anno in cui terminò gli studi all’Isti- da sposa e di un altro da ricevimento non solo che finiva con le frange di lana, ritorte, dello 25. Maria Lai è nata a Ulassai (NU) nel 1919; al-
tuto Tecnico “La Marmora”, Nino Siglienti fu disegnati ma anche “cuciti” (testimonianza di- stesso scialle. Da allora ogni tessuto, passama- lieva di Arturo Martini, ha sviluppato dal 1958
preso totalmente dalle “arti applicate” e visse retta della proprietaria), verso la fine degli an- neria, bottone, ricamo ed altro è fonte di ispira- a Roma la sua ricerca. Trasferitasi in Sardegna
con partecipazione attiva il clima artistico sas- ni Cinquanta, dal celebre sarto d’alta moda, zione per le mie creazioni alla “sardesca”. Sono nel 1994 vive e lavora a Cardedu (NU).
sarese. All’inizio lo troviamo coinvolto dai sog- unici superstiti di un più vasto guardaroba, in state inoltre: “trame di luce”, “pieghe del pre- 26. P. Toschi 1963, p. 49, nota.
getti isolani, s’interessò agli ornati, alle decora- collezione privata cagliaritana; la stessa dalla sente”, “segni del tempo”. Hanno rappresentato
zioni in ceramica tra il rustico e il fiabesco; quale provengono due interessanti fotografie la Sardegna all’Expò di Siviglia, alla Galleria 27. Costantino Nivola nasce a Orani (NU) nel
grande amico di Eugenio Tavolara e Mario della sfilata 1951, ambientata nella Grotta Mar- Comunale d’Arte e Villa Satta di Cagliari, inse- 1911, luogo che oggi ospita un Museo e una
Onofaro, formarono insieme un vivace trio, so- cello (fig. 669); l’immagine non pubblicata ri- Fondazione a suo nome. Muore a East Hamp-
guendo l’idea di un “bello quotidiano”. Vanno
gnando d’imporre nel Continente “uno stile prende il solo Capucci a figura intera mentre, ton, Long Island, New York, nel 1988.
in giro portate con orgoglio da ogni tipo di
sardo” attraverso il filone popolare delle arti tra gli applausi del pubblico cagliaritano, attra- donna; ringrazio le più coraggiose che le han- 28. Sono queste, tra le tante sparse nei vari
decorative. Tavolara e Anfossi emergeranno versa la passerella. no spavaldamente indossate in tempi in cui centri, le sartorie più conosciute anche perché
con i pupazzi, mentre Siglienti con la sua “bot- 14. P. Marica 1954. non erano ancora di moda. Continuo ad affian- vantano tra i loro clienti molti personaggi noti
tega” milanese. Il soggiorno a Milano fu un care questa ricerca ad altre nello stesso settore, dello spettacolo, dello sport e del mondo poli-
“periodo d’oro” per il giovane che si cimentò 15. P. Marica 1954, p. 241. tico nazionale e internazionale. Questo aspetto
certo che il connubio tra arte-cultura-moda e
su vari fronti delle arti decorative non ultimo la 16. B. Giordani, Fausto Sarli, cinquant’anni tradizione possa essere l’anello di congiunzione rende evidente come, da una decina d’anni a
moda. Apprezzamento confermato con la III di stile italiano, Roma 2002. tra la nostra isola ed il resto del mondo». questa parte, si possa realmente parlare di fe-
Biennale Internazionale delle Arti Decorative nomeno circa il risveglio d’interesse verso l’abi-
17. Per un approfondimento dell’opera di Tavo- 20. La prima scuola sarda che dedica attenzio-
di Monza alla quale furono invitati, dopo una to in velluto (per questo argomento si rimanda
lara, massimo designer sardo per l’artigianato, si ne all’insegnamento di materie inerenti la mo-
severa selezione, solo due artisti sardi: Melkior- al saggio di Bachisio Bandinu e a quello di
veda il volume di G. Altea, M. Magnani 1994. da è l’Istituto Europeo di Design a Cagliari,
re Melis con opere in ceramica e Nino Siglienti Marco Vannini in questo volume), che esce
con la “bottega”. Per un approfondimento sul 18. Per un approfondimento sulla figura di Gio- che apre un Dipartimento di Moda; luogo fe- dall’ambito agro-pastorale per divenire simbolo
clima artistico della Sardegna del primo Nove- vanni Antonio Sulas cfr. G. Altea, M. Magnani condo (oggi soppresso) a cui toccò il difficile distintivo di eleganza (esito analogamente por-
cento si veda, G. Altea, M. Magnani 1995. 2000, pp. 155, 165, figg. 160a-b. ruolo del battistrada e che resistette, fino a che tato alla ribalta da Dolce & Gabbana per l’abito
fu possibile, al “nulla” intorno. Tra i suoi inse- in velluto e coppola di matrice siciliana).
4. Non a caso la nota ditta Carlo Piatti, nel 1925, 19. In uno scritto introduttivo a scopo didattico, gnanti vi troviamo Luciano Bonino, docente di
bandì un concorso nazionale per disegni di composto per descrivere il proprio lavoro e so- Storia del costume cinematografico. 29. Nella Sardegna contemporanea, anche sulla
“gusto moderno” destinati al tema dello scialle prattutto gli esordi di esso, inserito nella mostra scia di un riconoscimento e di una attenzione
in seta (G.R. Fanelli 1986). del 2001 titolata Le pieghe del presente, da lui al- 21. C. Samugheo 1981. mai riscontrati prima per la moda sarda all’in-
lestita nello spazio comunale del Lazzaretto di 22. Antonio Marras nasce nel 1961 ad Alghero terno di quella italiana, si assiste ad appunta-
5. G. Altea, M. Magnani 1989, p. 57.
Cagliari, Luciano Bonino scrive: «Il colpo di ful- (SS), antica fortezza regia sul mare. Città, la menti oramai cadenzati e costanti: Monte Go-
6. G.R. Fanelli 1986. mine avvenne nei primissimi anni ’70. All’inter- più catalana della Sardegna, che domina con nare (Orani), Scalinata di Bonaria (Cagliari),
7. Archivio Siglienti, Grottaferrata, Roma. no di uno di quei grandi magazzini al centro di il suo golfo una parte del Mediterraneo pro- Piazza Eleonora (Oristano), Moda Mare (Porto
Cagliari con dentro ogni tipo di merce. Là arri- prio dirimpetto a Barcellona. È il centro nel Cervo), sostenuti da figure molto attive, re-
8. G. Altea, M. Magnani 1989, p. 61, fig. 44. vavano una volta alla settimana da tutti i paesi quale Marras ha scelto di vivere e lavorare. Da sponsabili di altrettanti atelier sartoriali, quali
9. L’anno successivo, nel 1929, la Sardegna vi- della Sardegna con le macchine a nolo, le pro- qui ha mosso i primi passi verso la moda, da Paolo Modolo, Francesca Pilotto (nota per ave-
de lo svolgimento di un importante evento: la prietarie degli “Empori”. Vestite ormai del loro lui affrontati fin da piccolo tra le “pezze”, un re messo a punto un tessuto composto dal su-
Mostra dell’Artigianato. Questa fu un riepilogo “mezzo costume”, gonna a pieghe, camicetta o commercio avviato dal padre Efisio (titolare ghero, risorsa locale), le Sorelle Piredda, recen-
di quella bella stagione del Déco di cui fecero golfino e scialle di tutti i giorni. Rientravano ca- dell’omonimo negozio algherese) che ha in- temente presenti alle sfilate di prêt-à-porter di
parte Nino Siglienti, i fratelli Melis, Tarquinio riche dei loro pacchi gialli legati con lo spago a dotto Antonio ad usarle in maniera creativa e Milano. Questa indubbia vivacità regionale, ol-
Sini, Tosino Anfossi, Eugenio Tavolara, Edina riempire i loro: “al paradiso delle signore”. Era- quale mezzo espressivo per la comunicazio- tre che tenere viva l’attenzione dei media sul
Altara, Loris Riccio e le sorelle Coroneo, un no là, allineate sugli alti scaffali di legno, delle ne. Per un approfondimento sul lavoro di An- settore, ha avviato la formazione e il consolida-
“drappello” che animò un filone artistico che grosse pezze di tessuto di lana plissettato fine- tonio Marras cfr. G. Altea, A. Borgogelli 2003. mento di quella filiera della quale l’isola soffre

420 421
Sul concetto “sistema di vestiario”. Due etnografie a confronto
Marinella Carosso

Il problema è insolubile finché non si sia definito Analizzare un “sistema vestiario” in Sardegna
il sistema in base a criteri interni Perplessa sull’uso improprio che si fa del concetto “si-
(Roland Barthes) stema vestiario” e visto che continua ad essere “inutiliz-
zabile”, come direbbe Jeanne Favret-Saada, mi sembra
opportuno proporre in questa occasione alcuni chiari-
Nei miei percorsi di ricerca etnografica ho avuto modo menti su tale concetto a seguito delle riflessioni antro-
di analizzare numerosi capi di vestiario ricamati, situati pologiche maturate attraverso le mie ricerche.
in due contesti culturali diversi. In Italia, in ambito rura- Visto che in questo ultimo decennio si osserva una ten-
le, ho colto, attraverso la configurazione dei valori fem- denza generalizzata ad usare il termine “analisi” come si-
minili, il funzionamento di un sistema vestiario tradizio- nonimo generico di “studio”, devo precisare che sia nel
nale. In Francia, in contesto urbano, ho identificato, caso sardo che in quello parigino si è trattato di una ve-
attraverso il mestiere artigianale dei ricamatori, materia- ra e propria analisi: ho scomposto teoricamente oggetti
li, tecniche, stili di abiti ricamati dell’alta moda. – in questo caso capi di vestiario – nei loro elementi es-
Le due unità di ricerca sono situate una in Sardegna, a senziali e nei loro particolari al fine di coglierne le rela-
Desulo, paese della provincia di Nuoro; l’altra a Parigi. zioni di abbinamento o di esclusione fra gli elementi
Esse hanno in comune un fatto curioso, la superficie stessi o di identificarne materiali e tecniche.
territoriale: i 7.472 ettari di Desulo sono quasi gli stessi In francese il termine vestimentaire è abbastanza recen-
della città di Parigi intra muros. te e si usa infatti soltanto dalla fine del XIX secolo, non
In entrambi i casi i capi di vestiario analizzati sono fem- lo traduco quindi letteralmente con il neologismo “vesti-
minili e, in entrambi i casi, le fonti orali, visive, materia- mentario”. La traduzione in italiano del concetto système
li sono state raccolte a viva voce attraverso la ricerca et- vestimentaire utilizzato nelle pubblicazioni in francese è
nografica sul campo. Tuttavia, ciò che differenzia le “sistema vestiario”. Inoltre il termine italiano “vestiario”
due ricerche è l’impostazione teorica che le sottintende. si rivela particolarmente adeguato in quanto ingloba nel
In Sardegna le fonti orali hanno fatto emergere delle suo campo semantico sia il “costume” inteso come fatto
preoccupazioni di definizione di ciò che è un sistema sociale normativo che l’“abbigliamento” inteso come fat-
di vestiario ad un dato momento. Mentre a Parigi, fin to individuale.
dall’inizio della ricerca, si è imposta una problematica Detto ciò riprendo il filo conduttore del concetto “siste-
focalizzata sulla nozione di stile proprio ad ogni “mae- ma vestiario”. Come sottolinea Barthes, gli studi consa-
stro-ricamatore”. Ne consegue che le diverse imposta- crati al costume, siano essi storici o psicologici, non
zioni teoriche si iscrivono, per quanto concerne l’analisi hanno mai veramente considerato il vestiario come un
del sistema di vestiario sardo, nell’ambito dell’Antropo- “sistema”, cioè «come una struttura i cui elementi non
logia dell’Arte, mentre lo studio del mestiere di ricama- hanno mai un valore proprio, ma sono significanti solo
tore parigino in quello della Tecnologia Culturale. in quanto legati da un complesso di norme collettive».2
Tenendo conto che una vera e propria Antropologia del Anche se Barthes non fa riferimento all’Antropologia, la
Vestiario o delle Arti del Corpo ha difficoltà ad emergere sua definizione risulta molto appropriata in ambito et-
– mentre la Storia del Tessile si sta sempre più affer- nografico. Ci si può chiedere come mai una proposta di
mando –, propongo di esaminare in questo saggio alcu- metodo così chiara non abbia trovato utilizzazioni ade-
ni nodi teorici relativi a tali difficoltà, in modo particola- guate. Come si possono spiegare le difficoltà a servirsi
re il concetto “sistema vestiario”.1 della definizione teorica proposta da Barthes?
Si può riaffermare nel 2003 ciò che Barthes sosteneva già
cinquanta anni fa: «Nessuna storia del costume si è preoc-
684. Abito femminile festivo, Desulo, prima metà sec. XX cupata di definire quel che potrebbe essere a un dato
684 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. momento un sistema di vestiario». Per definire un sistema

423
vestiario – la stessa cosa si può dire anche per il concet- Queste quattro personalità non sono da interpretare co-
to più generale di sistema di oggetti etnografici – non è me permanenti, ma flessibili. La possibilità di portare al
sufficiente individuare gli elementi materiali che lo diritto o al rovescio certi capi oppure certi tessuti, certi
compongono ma è indispensabile cogliere i nessi nor- ornamenti, permettono ad ogni donna di comporre e di
mativi immateriali che ne regolano il funzionamento. sfumare la sua personalità tramite i capi di vestiario che
Sono questi ultimi che permettono di elaborare i com- indossa. Anche se il registro di base è fondato sulla
plessi significativi del sistema e di collegarli alla configu- “buona padrona di casa”, il sistema offre la possibilità di
razione dei valori che Barthes indica come “ordine as- oscillare – ad esempio – fra una “buona padrona piutto-
siologico”. sto seria” oppure una “buona padrona di casa felice”.
Fra le principali difficoltà inerenti a questo insieme di Questa possibilità di oscillazione è indispensabile sia per
operazioni teoriche, la confusione creata dalla diacronia l’interpretazione d’insieme del sistema e sia per la lettura
e, in conseguenza, la necessità di distinguere il piano dei ricami che a loro volta offrono la possibilità di co-
sincronico da quello diacronico è stata, nel mio proces- gliere la nozione di sfumature. Se in un primo tempo il
so di elaborazione teorica, determinante. Senza questa sistema può sembrare rigido, man mano che si penetra
precauzione di metodo non sarebbe stato possibile arri- al suo interno ci si rende conto che ha un certa elasticità.
vare ai risultati ottenuti. Inoltre l’interpretazione dei ricami fa emergere dei “fatti
Tenendo conto che gli antropologi dell’area europea indiziali” di sensibilità che sfuggono al sistema.4
vanno abbastanza facilmente dal sincronico al diacronico L’interpretazione delle quattro personalità ideali femmi-
ci si può chiedere: come sono arrivata a formulare chia- nili che modellano il funzionamento del sistema di ve-
ramente questa distinzione – che ha in seguito totalmen- stiario tradizionale di Desulo è collegata all’aspetto più
te modificato il mio rapporto con il passato anche per gli saliente del sistema stesso: la possibilità di portare un
altri argomenti studiati3 – e ad applicarla alle ricerche sul certo numero di capi al diritto o al rovescio.
vestiario tradizionale locale in Sardegna? Riflettei sul rap- Il sistema si costruisce e si definisce attraverso:
porto fra l’Antropologia e la Storia e sulla distinzione fra a) i capi di vestiario che ne sono alla base;
i metodi di lavoro della Storia delle Tradizioni Popolari e b) gli insiemi o unità d’uso;
quelli dell’Antropologia Sociale, in seguito ad una pre- c) la loro tipologia;
ziosa critica rivolta da Isac Chiva al mio progetto di Dot- d) la reversibilità di certi capi;
torato. Isac Chiva mi rimproverò di “flirtare” con gli sto- e) le unità di significato;
rici e mi invitò a non integrare in modo acritico le fonti f) i modi di abbinare capi al diritto con capi al rovescio;
di archivio in un testo etnografico; mi sfidò per vedere g) le personalità ideali femminili che reggono l’ordine
se, in area europea, avrei trovato un argomento adatto assiologico interno.
ad essere studiato in modo sincronico, attraverso le sole Come dicevo è stata l’interpretazione dei ricami a per-
fonti orali, visive, materiali, raccolte sul campo secondo mettere di cogliere le sfumature del sistema. I ricami co-
il metodo classico che caratterizza l’impostazione resa stituiscono più sottosistemi, o sistemi parziali, del siste-
prestigiosa da Malinowski. Sul momento ritenni queste ma principale. I motivi dei ricami sono una ventina: con
osservazioni un po’ troppo dure… ma accettai. Fra i te- un solo punto si formano più motivi. I colori del cor-
mi di ricerca che ho avuto modo di approfondire nel- doncino di seta o di cotone (perlé o mouliné ) utilizzato
l’ambito degli studi in Sardegna, quello del vestiario si è per ricamare sono a numero chiuso: sette. Il punto di ri-
rivelato il più adeguato a mettere in pratica le critiche e camo dominante è un punto pieno la cui esecuzione fa
le sfide di Isac Chiva. sí che l’ago trapassi interamente il tessuto e in conse-
guenza il motivo è visibile sia al diritto che al rovescio.
Definire il sistema vestiario tradizionale femminile Nel loro insieme e a prescindere da un certo numero di
di Desulo fattori su cui non entrerò in merito, i ricami si suddivi-
685
È stato lo studio dei valori femminili locali a permetter- dono in obbligatori e facoltativi. Detto ciò, non si deve
mi, attraverso un processo di reificazione, nell’accezione pensare che il sistema vestimentario sardo, di cui ho fatto emergere sottosistemi del sistema principale. Ad no “la buona padrona di casa in armonia con se stessa e
data da Francesco Remotti, di entrare, progressivamente, enucleato i tratti essenziali che lo costituiscono e lo fanno esempio, l’interpretazione dei ricami a nido d’ape bian- felice”.
nel complesso funzionamento del sistema del vestiario funzionare, sia un corpo coerente di significati che aspet- co su bianco della camicia è molto sottile e richiede
tradizionale e a isolare gli elementi che mi hanno con- tavano soltanto di essere scoperti. Fra le principali diffi- precise competenze tecniche. È soltanto a qualche me- Identificare dei materiali da ricamo a Parigi
sentito di definirlo. I valori femminili, riconosciuti sia coltà: molta opacità nella percezione del funzionamento tro di distanza che si può fare una lettura dei ricami dei A Parigi ciò che caratterizza il sapere di un “maestro-ri-
dalle donne che indossano regolarmente il vestito tradi- implicito del sistema da parte degli attori sociali; la diffici- polsini. I ricami bianco su bianco permettono un’espres- camatore” è il suo stile inteso come risultato di esecu-
zionale (una minoranza), sia dalle altre che lo indossano le connessione tra le diverse fonti; il groviglio e la com- sione creativa personalizzata, un modo delicato e ap- zione che consente di individuarne, anche in sua assen-
parzialmente o saltuariamente e sia dagli uomini, si mo- plessità cognitiva delle unità di significato. prezzato di comunicare fra donne. Ogni donna può mo- za, la composizione e l’impronta creativa. L’oggetto di
dellano su quattro personalità ideali la cui traduzione Il sistema vestiario tradizionale femminile di Desulo, dulare la sua felicità o la sua serietà attraverso i motivi a vestiario ricamato prodotto in un dato atelier artigianale
letterale in italiano è da considerarsi, per ora, provviso- scomposto secondo l’insieme di procedure teoriche par- punti contati del nido d’ape: si valuta, in primo luogo, su criteri come: i materiali con
ria: la donna seria (“seria”); la donna massaya (“buona zialmente esaminate in questa sede, ha permesso più a) motivi corti e aperti: dai 3 ai 60 fili che traducono la
padrona di casa”); la donna briosa (“felice”); la donna possibilità di interpretazione in funzione dei livelli di donna “seria”;
macca tutta (“pazzerella”). descrizione adottati. Approfondire i livelli descrittivi ha b) motivi larghi e chiusi: dai 60 agli 81 fili che traduco- 685. Desulo, 1955, fotografia di Mario De Biasi.

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damento, la biancheria per la casa o quella intima, il con cordoncino lionese. In tale ambito, l’impostazione Alcune ipotesi conclusive
problema del numero dei materiali è molto più limitato, della tecnologia culturale consente di seguire trasmissio- Sarebbe creativo se chi studia il vestiario, ad esempio in
trattandosi principalmente di fili. Mentre per il ricamo ni di saperi fra le culture. Ma sono state le perle e le per- Trentino, si interessasse anche a quello della Sardegna,
couture, tanto per fare un esempio concreto, una ditta line storicamente prodotte a Venezia e in questi ultimi se chi lo studia in Africa lo confrontasse anche a quello
francese che produce paillettes di qualità propone un secoli in area alpina, dal Jura alla Boemia passando per dell’Asia in modo da creare situazioni di ricerca dialogica
catalogo di duemila forme che a loro volta si possono ri- il Tirolo, a permettermi di constatare come i materiali da fra culture attraverso le arti del corpo. Sarebbe euristico
chiedere in cinquecento tinte differenti. Oltre a queste ricamo prodotti in Europa siano stati oggetto di scambio se chi svolge ricerche su fonti d’archivio, iconografiche,
cinquecento tinte, la ditta accetta di fare delle gamme privilegiato con le civilizzazioni degli altri continenti. In su collezioni di tessili, accessori, ornamenti di epoche di-
particolari di colori soltanto per gli atelier che sono fra i effetti le stesse perle che ho identificato su abiti da sera verse, le comparasse con i risultati delle ricerche sul
suoi migliori clienti e con cui ha affinità di stile. dell’alta moda parigina o italiana si ritrovano utilizzate campo; ciò consentirebbe di sbanalizzare stereotipi come
Il ricamo couture è il regno delle sfumature dei colori. per ricami o collane delle popolazioni della Nuova Gui- “costume popolare”, “costume tradizionale”, e offrirebbe
Come dicevo le sfumature ottenute svolgono un ruolo nea o dell’Amazzonia.5 nuovi spunti per immaginare in altri termini i corpi ve-
importante nella definizione dei saperi del mestiere e stiti e calzati di donne e uomini del passato. Attraverso
nella percezione dello stile che caratterizza ogni atelier. Confronto fra i due contesti etnografici: tali ottiche si creerebbero le condizioni di un aggiorna-
La ricchezza delle possibilità di sfumature (nuances, dé- Desulo e Parigi mento epistemologico che dimostrerà come certi studi
gradés), di “effetti monocromatici chiaro/scuri tono su to- Mentre in Sardegna i livelli di interpretazione si sono via sul vestiario condotti in area europea costituiscano dei
no” (camaïeu) che materiali come paillettes, pietre non via approfonditi – quasi incapsulati – sempre più all’in- contributi inevitabili per l’antropologia contemporanea.
sfaccettate (cabochons), strass, perle, fili metallici, cor- terno della configurazione dei valori, a Parigi le piste di
doncini offrono è enorme. Esistono delle sottili differen- ricerca si sono dilatate conducendomi non soltanto in
ze di effetto cromatico fra pietre perforate che si cuciono altre regioni francesi ma anche di là dell’area europea.
direttamente sul supporto (pierres à coudre) e pietre in- In effetti i capi del vestiario Made in France disegnati a
castonate (bijoux). A queste innumerevoli sfumature di Parigi, ricamati parzialmente in India con materiali pro-
colori si aggiungono gli effetti luminosi delle molteplici venienti dall’Europa, si inseriscono nei meandri della
forme di sfaccettatura degli strass, gli accostamenti opa- globalizzazione. Per i ricamatori artigianali parigini non
chi o brillanti degli “ori”, che possono essere “veri”, “fan- si può parlare di “sistema” ma di altri concetti come “re-
tasia”, “soffiati”, “ritorti”, e altri effetti speciali. Ad esem- ti”, “stili”, “trasmissioni”. A Parigi il sistema, anche se ci
pio, su un ricamo per un vestito di Chanel, collezione fosse, sfuggirebbe alla definizione. Nello studio del ve-
estate 1986, le sfumature delle paillettes sono state ritoc- stiario non tutto fa sistema.
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cate a ricamo ultimato con un verniciatore a spruzzo usa- A Desulo, i valori che fanno funzionare il sistema di ve-
cui è stato ricamato, le sfumature dei colori, la perfezio- to da certi pittori contemporanei e dai carrozzieri. stiario attestano il potere creativo della società su se
ne del disegno. L’esecuzione tecnica manuale non è fra i Questa padronanza delle sfumature costituisce uno degli stessa.
primi criteri. Tale gerarchia interna dei saperi del mestie- aspetti fondamentali dei saperi del “maestro-ricamatore”. A Parigi, l’assenza dei valori fa sí che il sistema non esi-
re mi ha condotta a identificare i numerosissimi materiali Il quale è anche un ricercatore attento a scoprire mate- sta. Gli oggetti di vestiario ricamati hanno soltanto un
usati nei laboratori di ricamo artigianale couture, che la- riali nuovi che possono essere di produzione artigianale, valore economico proprio, sfuggono alle norme collet-
vorano esclusivamente per l’alta moda dei sarti e il prêt- industriale o di recupero. Per questi ultimi deve frequen- tive e passano attraverso mani anonime che non comu-
à-porter degli stilisti. Al fine di evitare che il termine tare regolarmente i mercati delle pulci, le vendite all’asta nicano direttamente fra loro.
“identificare” passi inosservato, mi pare utile sottolinea- di abiti vecchi, oppure cercare di procurarsi i materiali Il concetto di “sistema vestiario” non si dovrebbe utiliz-
re che su un campione di ricamo del 1989, collezione dai suoi colleghi. Esiste una circolazione di vecchie scor- zare in modo confuso e ambiguo senza porre in luce i
estate, richiesto dal sarto Lacroix al “maestro-ricamato- te di materiali di atelier di ricamatori che sono andati in processi di costruzione e le dinamiche che lo sottinten-
re” Lesage, di una dimensione di cm 39 di altezza e cm pensione o hanno dichiarato fallimento. Fino agli anni dono. Le due ricerche dimostrano che non tutte le fonti
43 di larghezza, ho identificato ventidue materiali rica- Cinquanta c’è stata nello Jura una produzione francese di consentono di definire un sistema.
mati a mano (a ago o a uncinetto da ricamo) su quattro strass di qualità. Attualmente la provenienza dei materiali Ciò che accomuna le due ricerche è la nozione di sfuma-
supporti di tessuti diversi a loro volta già ricamati a fa sí che il mestiere di ricamatore sia situato al crocevia tura. Nel caso sardo le sfumature hanno permesso di far
macchina. di più culture; essa segue principalmente l’asse Parigi, respirare il sistema e di inserirlo nella sfera delle emozio-
Note
In effetti fra le principali difficoltà con cui mi sono con- Lione, Milano, Tirolo, Boemia, Germania per quanto ri- ni. Nel caso parigino le sfumature costituiscono un crite-
frontata nel corso delle ricerche a Parigi ci sono state l’i- guarda l’Europa. Negli anni Novanta un ricamatore ha rio importante per la definizione del sapere e per carat- 1. L’autrice ringrazia le donne di Desulo, soprattutto Sebastiana Gioi,
dentificazione, la classificazione, la distinzione fra “gam- scoperto delle decalcomanie dorate prodotte negli Stati terizzare lo stile di un “maestro-ricamatore”. Francesca Pranteddu e Tomasa Zanda; i “maestri-ricamatori” di Parigi,
mes” e “fantaisie” di centinaia e centinaia di materiali Uniti e delle boules in vero oro prodotte in Giappone Visto che per quanto riguarda le analisi del vestiario tradi- fra cui François Lesage e Annie Trussart, e il personale dei loro atelier
che sono stati i suoi interlocutori nell’ambito delle ricerche sul campo.
utilizzati per il ricamo couture. Preciso che per gli altri che hanno suscitato l’interesse di altri suoi colleghi, con- zionale femminile di Desulo le ricerche si sono ristrette Un ringraziamento particolare a Giuliana Sellan e a Vanessa Maher del-
settori professionali del ricamo, come ad esempio l’arre- tribuito a mettere in discussione il segreto professionale nell’ambito del Musée de l’Homme (Département Techno- l’Università di Verona che hanno incoraggiato le ricerche sull’antropo-
e sottratto il lavoro al doratore parigino a cui normal- logie Comparée e Département Europe) e per quanto ri- logia del vestiario e dei mestieri della moda, favorito la realizzazione di
questo saggio di sintesi comparativa e ne hanno permesso la ristampa.
mente si ricorreva per ritoccare le sfumature dorate. guarda lo studio del mestiere artigianale di ricamatore a
686. Réné Bégué detto Rébé, “maestro-ricamatore” parigino, 2. R. Barthes 1974, pp. 136-152.
nel suo atelier con una ouvrière, “operaia”, al telaio da ricamo. Sempre in merito ai materiali, allargando le ricerche sul Parigi al Musée des Arts et Traditions Populaires (sono
3. M. Carosso, “La généalogie muette”, in Annales ESC, 4, 1991, pp. 761-
Parigi, marzo 1961. campo a Lione presso i produttori di cordoncino metal- stata uno dei curatori della mostra Artisans de l’Élégan- 769.
Parigi, Bibliothèque Nationale de France, Cabinet des Estampes. lizzato dorato (Lione si caratterizza per gli “ori”’), ho avu- ce), trovo che la nozione di sfumature di un sistema ve-
Nell’ambito professionale dei mestieri del ricamo artigianale, il genere 4. R. Barthes 1974, pp. 136-152.
femminile “ricamatrice” non è utilizzato per definire l’esecuzione del to modo di constatare che i ricami di numerosi vestiti stiario o degli stili di un mestiere potrebbe essere utile a 5. C. Lévi-Strauss, Tristes Tropiques, Paris 1995; Ph. Descola, Les lances
lavoro manuale. tradizionali dell’Asia e dell’Estremo Oriente sono eseguiti ripensare la museografia. du crépuscules. Relations Jivaros, Haute-Hamazonie, Paris 1993.

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Roma 1911. L’avvio di una raccolta museale nazionale
Stefania Massari

La collezione di abiti sardi conservati nel Museo Nazio- milioni stanziati, saranno ad ogni modo sufficienti a
nale delle Arti e Tradizioni Popolari si costituisce tra il contenere anche quelle poche collezioni che sarà pos-
1906 e il 1911 nell’ambito della Esposizione Internazio- sibile mettere insieme».3 Per comprendere la particola-
nale tenutasi a Roma nel 1911 grazie al lavoro svolto rità della raccolta, bisogna ricordare che gli abiti espo-
dall’etnografo Lamberto Loria (1855-1913) che, con l’aiu- sti nella Mostra Etnografica rappresentano quanto di
to economico del conte Giovannangelo Bastogi (1850- meglio era stato prodotto in Italia. Con l’occasione erano
1915), aveva fondato a Firenze il Museo di Etnografia stati infatti raccolti, sul territorio nazionale, circa cinque-
Italiana, inaugurato in data 20 settembre 1906. L’Istituto cento costumi regionali oltre a centocinquanta maschere
da poco fondato si era arricchito presto di notevoli colle- «la parte più preziosa dell’intera collezione … di massi-
zioni, tanto che quando si penserà di preparare a Roma mo pregio sia per il suo valore pecuniario che scientifico
la Mostra di Etnografia italiana per celebrare il Cin- … basti osservare che gli usi e i costumi propri delle va-
quantenario dell’Unità d’Italia, il Comitato Esecutivo si ri- rie regioni italiane vanno uguagliandosi ogni giorno di
volgerà proprio alla Direzione del Museo per l’organiz- più: sempre più rari diventano quindi gli oggetti e gli in-
zazione. Al Loria viene infatti affidato l’incarico di dumenti caratteristici, e il loro valore aumenta di conse-
raccogliere il materiale scientifico per l’esposizione e con guenza con singolare rapidità».4 La raccolta si inserisce
l’occasione viene stabilito un accordo tra l’etnologo e il dunque in quella corrente di studi di etnografia italiana
Presidente del Comitato per il quale le collezioni già esi- che dedica particolare attenzione all’abito per le sue ca-
stenti nel Museo fiorentino avrebbero costituito il nucleo ratteristiche identitarie, ritenute essenziali per compren-
principale dell’esposizione romana, assieme agli oggetti dere gli usi della nazione. Infatti nel catalogo compilato
che il Comitato avesse acquistato o fossero stati offerti, nel 1906 dal Loria e da Aldobrandino Mochi (1874-1931),
per l’occasione, da privati. Tale collezione sarebbe stata relativo al Museo fiorentino, il vestiario e gli ornamenti,
donata, dopo il 1911, allo Stato, insieme alla raccolta di gli abiti originali di uso quotidiano, festivo, cerimoniale,
proprietà Loria, a patto che il Governo, accettando il do- integri nelle stoffe e negli ornamenti come collane, brac-
no, avesse costituito un Museo Nazionale di Etnografia, cialetti, anelli, spilloni, monili ecc., costituiscono un ap-
come si legge nel documento d’archivio del 17 luglio posito paragrafo.5
1911 risalente all’epoca in cui il materiale era ancora si- Per la Mostra Etnografica, di fatto, il Loria aveva raccolto
tuato nel Palazzo delle Scuole in Piazza d’Armi, sede sul campo, grazie al suo lavoro e a quello svolto dai suoi
dell’esposizione, dove, inizialmente, si prevedeva di col- collaboratori, centinaia di abiti tradizionali che verranno
locare il costituendo Museo.1 esposti nel Palazzo delle Scuole e nel Palazzo delle Ma-
Secondo il progetto che l’architetto Cesare Bazzani2 ave- schere e dei Costumi (già Palazzo dei Cimeli) in Piazza
va preparato per tale edificio il costo complessivo del- d’Armi, oggi quartiere Prati.6
l’operazione ammontava a circa due milioni di lire, ed Come viene indicato dallo stesso Loria nel suo fonda-
era comprensivo di eventuali ampliamenti in considera- mentale articolo, apparso sul primo numero di Lares,7
zione del fatto che «l’Istituto, per la sua stessa natura, per la raccolta di oggetti legati a usi e costumi della Sar-
potrà avere una notevole espansione solo durante alcu- degna l’etnologo si era avvalso in particolare dell’aiuto di
ni decenni: poi l’opera livellatrice della civiltà e il conse- Domenico Lovisato, dell’allora Ministro di Agricoltura, In-
guente sparire dei costumi propri delle varie regioni, dustria e Commercio Cocco Ortu, di Raffele Meloni, del
renderanno sempre più difficili e rari gli acquisti del prof. Pietro d’Achiardi e del prof. Dino Provenzal. Tutta-
nuovo materiale scientifico e i locali costruiti coi due via la maggior parte della collezione sarda esposta nel
1911 si deve a Gavino Clemente, che acquisisce a Sassari
numerosi costumi della sua provincia, oltre a un’interes-
687. Corpetto festivo
Atzara, primo decennio sec. XX santissima collezione di merletti e stoffe relativi agli abiti
687 Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. tradizionali di Iglesias, Dorgali, Fonni, Bitti, Oliena, Sarule,

429
nel caso dei costumi, di una collezione importantissima in corteo, al suono della musica, dalla villa fino alla fon-
che comprende abiti all’epoca già introvabili o andati in tana dell’Ovato per disporsi a semicerchio lungo tutta la
disuso, che resteranno per decenni piegati nelle casse di balconata in occasione della loro “prima” presentazione
legno le quali avranno tuttavia il vantaggio di preserva- al pubblico al ritmo della Canzone di maggio in risposta
re, fino ad oggi, quasi intatto lo stato di conservazione a quella esigenza di un ritorno alla tradizione avvertita
dei tessuti, siano essi di origine vegetale o animale. Villa persino dalla Principessa di Piemonte che, nell’estate del
d’Este è stata dunque un rifugio “di fortuna”, provvisorio 1933, si era fatta fotografare con indosso costumi regio-
ma provvidenziale, per la raccolta la cui destinazione fi- nali italiani. Nella villa estense la Sardegna è il secondo
nale non poteva essere, come proposto, la villa dei fasti dei cinque gruppi di costumi e segue il Piemonte scelto
rinascimentali del Cardinale Ippolito d’Este (1509-1572), per primo in relazione alle feste del Centenario svoltesi
certo non adatta ad esporre il lascito del Loria.10 nel 1948 nella Regione, sede ufficiale delle celebrazioni,
Di fatto, come si legge negli Atti del III Congresso Na- come designato dal Capo dello Stato. Ragioni storiche e
zionale di Arti e Tradizioni popolari del 1934, pubblicati ideali ricollegano dunque il Piemonte alla Sardegna che
nel 1936, la sezione di Antropologia nella XXI Riunione per «varietà, originalità e bellezza delle sue fogge» rico-
della Società Italiana per il Progresso delle Scienze, par- pre uno dei primi posti «non solo fra le regioni d’Italia,
tendo dalla considerazione che in quasi tutti i paesi “ci- ma anche a confronto dei costumi popolari di tutta Euro-
vili” esistano musei dedicati all’“antropologia nazionale”, pa. La fedeltà agli antichi usi, propria dell’isola generosa,
si era espressa a favore del trasferimento a Roma del ha fatto sì che alcuni elementi del vestire sardo siano
Regio Museo di Etnografia, proponendo una sede degna conservati attraverso non solo i secoli ma i millenni, am-
e consona all’importanza dell’istituzione che veniva vista mirabile sopravvivere di quella che fu la grande civiltà
come un centro di ricerca e laboratorio di studi di etno- mediterranea. Così nel costume maschile, la mastruca o
grafia. Tuttavia, nonostante l’ordine del giorno venisse beste ’e pedde, pellicciotto senza maniche rivoltabile a se-
presentato dal Direttore dell’Istituto di Antropologia del- conda delle stagioni, è già ricordata negli antichi classici,
l’Università di Roma, Sergio Sergi (1878-1972), in accordo e le ragas, specie di sottanella bianca, che ricorda le fu-
con Raffaele Corso (1883-1965) e fosse approvato all’u- stanelle balcaniche e i kilts scozzesi, perpetuano la fog-
nanimità dall’assemblea plenaria, la collezione conti- gia della balza sottostante alla lorica dei legionari roma-
nuerà a giacere ancora per molti anni nelle casse tanto ni. Nel costume femminile invece, è dato riscontrare il
che Giuseppe Ceccarelli (1889-1959), nella sua relazione ricordo di elementi orientali e medioevali, o spagnoli.
del 2 febbraio del 1945, lamenta che la sezione più inte-
688 ressante del Museo, «quella che costituisce forse il suo
principale centro d’attrattiva dei costumi delle varie re-
gioni d’Italia» – circa 1000 esemplari –, continui a
Gavoi, Orani, Sennori, Mamoiada, Orgosolo, Osilo, Ollo- le vere e antiche cinture paesane, dette “carrighera”, pa- permanere nei depositi di Villa d’Este dove nel
lai e Nuoro. Diversamente Luigi Caocci di Aritzo si ado- rola che deve corrispondere all’italiano “cartucciera” 1948, si terrà la Maggiolata del Costume
pera, tra il 1908 e il 1909, per la raccolta di costumi, oltre perché, sebbene allora non usassero le attuali cartucce, popolare italiano. Festa in costume
che della sua città, di Desulo e di Tonara; da Antonio pure in quella venivano riposte, entro piccoli cilindri di dove saranno presentati gli abiti
Costa provengono invece gli abiti di Sorgono, di Atzara, latta, le quantità di polvere occorrenti carica per carica, tradizionali delle varie re-
di Samugheo e di Busachi, acquisiti nel 1909-10, anno e da ciò la parola “carrighera” da “corrige” che vuol dire gioni che scenderanno
in cui si data l’acquisizione fatta da Giovanni Mura Agus carica. Volendosi usare i cinti tutte e due, contempora-
relativa ai costumi di Meana. Si tratta nel complesso di neamente ai nuovi i vecchi cinti, si potrebbero applica-
una fantasmagoria di costumi dai colori incredibili, dai re quegli agli abiti da festa e questi all’abito da lavoro».8
bordi ricamati, dagli accostamenti arditi, la cui caratteri- Come è noto a conclusione della Mostra Etnografica tut-
stica principale è la decorazione “arcaica” che delinea le to il materiale verrà imballato e chiuso in casse deposi-
cuciture appiattite e rinforzate per sostenere la trama tate prima negli scantinati di Palazzo Bazan a Valle Giu-
pesante dell’orbace che negli abiti femminili segnano lia e poi trasferite nel sottosuolo di Villa Mills al Palatino
l’attaccatura dei nastri o dei velluti e delimitano le orla- e quindi a Tivoli dove vi rimarranno per decenni nono-
ture delle tasche o gli spacchi. Diversamente i costumi stante venga costituito ufficialmente il Regio Museo di
maschili, da quelli di Silanus, Bortigali a quelli del Cam- Etnografia italiana con Regio Decreto n. 2111 del 10 set-
pidano, presentano nel complesso colori più scuri e so- tembre 1923 (art. 1).9
no per lo più costituiti da calzoncini stretti, sempre in L’art. 1 del Decreto stabilisce infatti che tutto il materiale
orbace, con un corpetto di velluto aderentissimo, chiuso raccolto per la Mostra Etnografica che era stato imballa-
da bottoncini, e una giacchetta corta. to nel 1912, doveva essere trasferito nei locali di Villa
Molti sono gli abiti originali ma troviamo anche fantasio- d’Este mentre all’art. 2 viene precisato che il museo «sarà 688. Grembiule festivo e di gala
Nuoro, primo decennio sec. XX
se ricostruzioni come documenta la lettera di Mura Agus formato dalla raccolta etnografica che lo Stato possiede Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
al Loria del 27 dicembre del 1910 in cui, in aggiunta agli e dagli oggetti provenienti da doni, da acquisti o da de-
689. Giubbetto festivo
abiti già inviati, scrive: «Ho creduto necessario, oltre a positi, e che possono, per qualsiasi modo, illustrare la Ploaghe, primo decennio sec. XX
cinti di uso moderno e di impostazione nuorese, inviarle storia, i costumi e le arti della nazione italiana». Si tratta, Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

430 431
689
Specialmente a questi ultimi si deve Toschi, titolare all’epoca della cattedra di Storia delle Note
l’intensità cromatica, la ricchezza e Tradizioni popolari dell’Università di Roma, tenutasi per
la fastosità che rendono famosi i l’Esposizione Internazionale dell’Agricoltura (EA53) nel
costumi delle donne di Sardegna, Palazzo dei Congressi dell’EUR.13
e ne fanno risaltare la naturale La settima sala dell’esposizione, dedicata interamente al 1. Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari (MAT), Archivio
Storico, f. 783.
bellezza. Grande varietà di fog- costume popolare italiano, presenta diversi costumi sar-
2. Cfr. G. Piantoni, Roma 1911, Roma 1980, pp. 27-38.
ge presenta anche il coprica- di e singoli elementi come la caratteristica mastruca del
3. MAT, Archivio Storico, f. 783.
po, sia con panni da testa o pastore sardo.
veli ricamati coi quali le A conclusione della mostra, sempre nel 1953, il materiale 4. MAT, Archivio Storico, f. 783.
donne usano coprire la etnografico verrà collocato nei magazzini dell’attuale pa- 5. L. Loria, A. Mochi 1906, p. 25; cfr. C. Cucinotta 1956.
bocca qualche volta fin lazzo situato in piazza Marconi (già piazza Imperiale), se- 6. Catalogo della Mostra di Etnografia Italiana 1911, p. 16 sgg.
sopra al naso: caratte- de definitiva del Museo dove negli anni successivi con- 7. L. Loria, “Due parole di programma”, in Lares, I, 1912, p. 14 sgg.
ristica, specialmente fluirà il resto della collezione come risulta dal documento 8. MAT, Archivio Storico, f. 779, doc. 41.
nelle bimbe, la cuf- dell’8 novembre 1955 che si riferisce al trasporto della 9. Archivio Centrale dello Stato (ACS), Raccolta ufficiale delle leggi e de-
creti, R.D. n. 2111. Atti del Governo, Registro 217, f. 11; cfr. G. Ceccarel-
fietta, che riprende raccolta da Villa d’Este e dai sotterranei della Galleria Na- li, “Per il Museo Etnografico Nazionale”, in Atti del III Congresso Nazio-
nei diversi colori, i zionale d’Arte Moderna, altra sede provvisoria della colle- nale di Arti e Tradizioni popolari (1934), Roma 1936, pp. 577-585.
motivi cromatici del zione,14 nella sede definitiva del Museo. All’atto della sua 10. Cfr. sull’argomento D. Faccenna, S. Massari, T. Tentori, L’abito la-
vestito o ne costituisce inaugurazione, avvenuta nel 1956, l’istituzione reca la de- ziale e il donativo Attilio Rossi, Roma 2001, pp. 5-19.
un indovinato comple- nominazione di Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni 11. MAT, Archivio Storico Museo di Etnografia Italiana, Tivoli, AXT, II
Segretariato dep. 6. Mostra Maggiolata del Costume italiano.
mento».11 Già l’anno pri- popolari – come da Decreto n. 1673 del Presidente della
12. Cfr. S. Massari 2000, pp. 286-287.
ma vi erano stati segnali di Repubblica dello stesso anno –; in essa un’intera sezione
13. P. Toschi, Mostra del Folklore, Roma 1953, pp. 30-34.
interesse su questa impor- è dedicata al costume, secondo quanto stabilito dall’ap-
tante collezione, prodotto posita Commissione, nominata due anni prima, con il 14. ACS, AA. BB. AA.; Div. III, 1929-1960, 445; per un’analisi particola-
reggiata M. Calvesi, E. Guidoni, S. Lux, E42. Utopia e scenario del Regi-
di un artigianato specializza- compito di stabilire il programma espositivo del Museo. me, II, Roma 1987, pp. 385-402.
to o di un’attività domestica, La Commissione, sotto la presidenza di Toschi, è compo- 15. A. Toschi 1956, pp. 59-61.
in occasione della Mostra di sta da Paolo Dalla Torre, Pier Silverio Leicht (1874-1956), 16. S. Massari 2000, pp. 268-280.
Stampe popolari e iconografia Giuseppe Ceccarelli, Roberto Almagìa (1884-1962), Giu- 17. Allo stato attuale presso il MAT si conservano sessantanove costu-
del costume organizzata nel seppe Cocchiara (1904-1965), Felice Rimondini, Giorgio mi completi acquisiti prima del 1911 (inv. 23170-23843), a cui si ag-
1947 da Paolo Toschi (1893- Rosi direttore, Gaetano Perugini (1910-1977), Giuseppe giungono, dopo il 1964, altri tredici costumi e circa cinquanta pezzi
singoli.
1974), in collaborazione con la Vidossi (1878-1969), Aldo Grillo (1921-2003) a cui si ag-
Società di Etnografia Italiana, a giunge, con Decreto del 31 marzo 1955, Tullio Tentori
Palazzo Venezia a Roma con il (1920-2003) con l’incarico di seguire l’ordinamento della
materiale della Raccolta Loria a collezione. Ordinamento che vede la sesta sala dedicata
cui farà seguito la sezione dedi- interamente all’esposizione dei costumi ed un’apposita
cata all’arte popolare nella mostra vetrina con gli abiti sardi collocati accanto agli austeri co-
su L’Arte nella vita del Mezzogior- stumi pugliesi e ai costumi da sposa di Piana degli Alba-
no d’Italia tenutasi nella sede ro- nesi (Sicilia). In particolare, nella tredicesima vetrina ven-
mana dal marzo al maggio 1953. gono esposti gli abiti di Osilo, Busachi, Bitti, Sorgono,
Bisogna inoltre ricordare che già Atzara. Allo scopo di movimentare l’allestimento, prossi-
nel gennaio del 1938 il Ministro mi alla parete d’uscita, si decide di collocare due cavalli
dell’Educazione Nazionale, Giusep- sardi montati da uomini con i costumi di Meana o Sen-
pe Bottai (1895-1959), aveva nomi- nori e due donne con gli abiti di Samugheo e Sennori.15
nato un Comitato direttivo del Re- Nell’attuale sistemazione abbiamo dedicato, all’interno
gio Museo di Etnografia italiana della sezione “Riti, Feste e Cerimonie”, una sala, allestita
presieduto dal Ceccarelli e compo- 690
in maniera estremamente flessibile, agli abiti e ai loro or-
sto dal Toschi e da Guglielmo De namenti per permettere, sul tema, la sequenza di mostre
Angelis d’Ossat (1907-1992) con temporanee,16 convinti che il costume tradizionale, da la-
l’incarico di sistemare la raccolta Loria in occasione della voro o da festa, sia l’espressione migliore per illustrare
prevista Esposizione Universale di Roma del 1942 (E42) “usi e saperi” e fonte inesauribile di ispirazione per le ge-
approvata con legge n. 2174 del 26 dicembre 1936. Con nerazioni future come dimostrano gli abiti dei giovani sti-
l’occasione il Ministro aveva anche proposto di costituire listi analizzati da Bonizza Giordani Aragno al cui testo, in
(grazie alla raccolta Loria) un Museo del Costume italiano questo volume, si rinvia. Immagini del presente ma anche
nel quartiere dell’EUR nell’edificio destinato al Museo di di un passato prossimo che rivive nelle forme e nei tessu-
Etnografia collocato tra i “Musei d’Arte e di Scienza” pre- ti degli abiti sardi che ricoprono, ancor oggi, una parte
visti per la piazza Imperiale.12 Tuttavia la raccolta Loria importante nel definire l’“identità” locale, giacché si ricol-
690. Corpetto festivo
verrà definitivamente trasferita da Tivoli a Roma in occa- Sorgono, primo decennio sec. XX legano al modo che ha l’uomo moderno di pensarsi e
sione della mostra dedicata al folklore italiano a cura di Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. rappresentarsi in rapporto con la realtà che lo circonda.17

432 433
Musei e costumi
Paolo Piquereddu

«Le ferrovie hanno in pochi anni trasformato l’aspetto queste testimonianze prima che «la civiltà continentale
della Sardegna; e sebbene ciò abbia portato seco la pie- del tutto le cancelli»; la nascita del mercato di abiti tradi-
na distruzione dei boschi e molte cattive abitudini del zionali, e dunque di un interesse collezionistico, che se-
Continente, è tuttavia nel complesso un grande bene. Sa- gnala come questi oggetti siano ormai usciti dall’ambito
rebbe però utile raccogliere le ultime vestigia del passato d’uso; la fiducia nella fotografia quale strumento di do-
prima che la civiltà continentale del tutto le cancelli. cumentazione oggettiva della realtà, e nel contempo la
Nel 1882 quando mi recai a Cagliari per dirigervi il Mu- consapevolezza che per l’uso di questo straordinario
seo Nazionale di antichità, io aveva da poco visitato i mezzo fosse necessaria una correttezza metodologica.
maggiori Musei etnografici d’Europa. Compresi quindi Temi che, peraltro, informano le iniziative museali e in
l’immenso vantaggio che sarebbe venuto alla Sardegna generale di documentazione e ricerca d’ambito etnoan-
ed agli studi, se anche a Cagliari si fosse costituito un tropologico dell’ultimo ventennio dell’Ottocento e ali-
museo di tal natura. La speculazione delle antichità in mentano la crescita del fenomeno delle esposizioni
Sardegna era allora del tutto ignota. Queste si donava- che, oltre alle innovazioni dell’industria, alle novità arti-
no; e, data la grande generosità ed ospitalità degli abi- stiche e alle culture coloniali, riservano dei settori alla
tanti, sarebbe stato assai facile ottenere da ogni comune presentazione e illustrazione comparative delle partico-
dell’Isola vesti, mobili antichi, che ora scarseggiano e si larità culturali regionali del giovane Stato italiano.
vendono a prezzo assai caro. In fondo le esposizioni temporanee di questo scorcio
La persona alla quale esposi il mio progetto (alla quale dell’Ottocento appaiono come prove generali delle ini-
spettava nel caso appoggiarlo) non aveva la cultura ne- ziative museali che di lì a poco avrebbero avuto il loro
cessaria per comprenderlo. Auguro ad altri conseguire avvio nel territorio nazionale.
ciò che a me non fu dato compiere. Nel 1881 si tenne a Milano l’Esposizione Industriale Na-
Sarebbe pure utile fare una raccolta scientifica di fotogra- zionale che comprese anche una sezione dedicata a 140
fie di tipi sardi. Dovrebbe esser fatta da persona pruden- costumi provenienti da tutta l’Italia, tra i quali alcuni sar-
te, accorta, che si assicurasse delle vere origini etniche di. La loro partecipazione è documentata dall’album fo-
delle persone di cui raccogliesse e facesse le fotografie. tografico di Giovanni Battista Ganzini: le immagini mo-
Altrimenti si correrebbe il rischio (ciò che è di recente strano gli abiti indossati da manichini nel sommario
avvenuto ad un distinto antropologo italiano) di giudica- contesto scenografico dello studio, come se fossero den-
re del tipo etnico dei Sardi prendendo a base fotografie tro una vetrina museale.
di Italiani della Penisola, che vollero farsi fotografare in Secondo le intenzioni degli organizzatori, gli abiti inviati
costume sardo».1 per l’esposizione avrebbero dovuto costituire il primo
In queste parole del grande storico Ettore Pais sono rias- nucleo di un Museo Etnografico Italiano a Milano. L’idea
sunte le tematiche intorno alle quali nelle prime decadi non ebbe seguito e i costumi vennero in parte dispersi.
del Novecento si sviluppò il dibattito per la creazione di Già da qualche anno prima, peraltro, immagini di costu-
un grande museo di etnografia sarda, e di costumi in mi sardi venivano presentate da fotografi locali o operan-
particolare: la trasformazione sociale dell’isola – rappre- ti nell’isola in esposizioni nazionali e internazionali; in
sentata dal Pais attraverso un simbolo dinamico ed effi- particolare si ricordano due fotografi attivi a Cagliari:
cace come la ferrovia –, che minaccia le testimonianze di Agostino Lay Rodriguez, che prese parte alla Prima Espo-
un’antica civiltà; la necessità e l’urgenza di preservare sizione Sarda del 1871 e all’Esposizione Universale di
Vienna del 1873, e Giuseppe Luigi Cocco che, sempre
691. Gruppo di abiti femminili su manichini degli anni Settanta; con fotografie di costumi, partecipò alla stessa Esposizio-
da sinistra verso destra si individuano i costumi di Quartu S. Elena, ne viennese e all’Esposizione di Parigi del 1878.
Macomer, Nuoro, Samugheo, Cabras, e ancora Nuoro nel manichino
seduto. Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde, Ma i costumi sardi sono anche al centro delle grandi ma-
691 fotografia di Virgilio Piras. nifestazioni di Sassari del 1899 in onore della visita dei

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Reali, e in particolare della cavalcata che segna la nascita e corpetti, moderni: non passeranno, ahimè, molti anni attengono al vestiario popolare; sostanzialmente, dun-
di uno dei grandi eventi folcloristici isolani e nel contem- che, smesso ormai del tutto per fatalità della vita umana que, gli abiti che attualmente costituiscono la raccolta ve-
po, per le riprese che ne fece un operatore inviato dai l’uso dell’antico costume, i pochi autentici abiti di gala stimentaria del museo sono quelli donati da Gavino Cle-
Lumière, la nascita del cinematografo in Sardegna.2 ancora rimanenti, quelli delle nozze e delle grandi feste, mente. Risalenti per la gran parte alla fine del XIX secolo
Nel 1911 cinquantotto abiti e un gran numero di altri saranno discesi, per l’ultimo rito solenne, nelle tombe dei e ai primi del Novecento, più della metà degli indumenti
manufatti tradizionali dell’isola si uniscono a Roma agli vecchi di oggi. Ecco perché per la Sardegna è più urgen- della collezione Clemente provengono dalle Barbagie e
oltre trentamila oggetti raccolti in tutta l’Italia, sotto la te e più doverosa che per qualsiasi altra regione d’Italia dal Nuorese, ma risulta ben rappresentata anche l’area
direzione di Lamberto Loria, per la grande Mostra di Et- l’attuazione di quella impresa, che è certamente il voto centro-settentrionale dell’isola; per quanto attiene alla ti-
nografia Italiana che avrebbe dovuto porre le basi del comune e ripetuto da tutti gli organizzatori delle Mostre pologia si tratta prevalentemente di abiti femminili festivi,
Museo Nazionale di Etnografia. Per una serie di vicende d’arti popolari d’Italia: la creazione d’un Museo dedicato con una buona percentuale del tipo vedovile.
negative, in primis la morte di Loria nel 1913, il progetto a tali arti; qui far presto significa cogliere ancora in vita La raccolta è stata oggetto di uno studio di Gerolama
non ha un pronto sviluppo; dopo una prima permanen- quello che domani bisognerà riscavare, disseccato e sco- Carta Mantiglia che in forma catalografica ha descritto
za nei magazzini di diversi musei, i materiali, dopo il lorito nei ricordi e negli archivi».5 97 capi di vestiario e accessori maschili, e ben 327 fem-
1923, sono ospitati a Villa d’Este a Tivoli e infine, con In questo scenario culturale si inscrive la pubblicazione minili, per un totale di 424 oggetti.
l’apertura del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni di un’opera quale Arte Sarda (1935) di Giulio Ulisse Ara- «La collezione Clemente … presenta caratteristiche analo-
Popolari nel 1956, trasferiti nel palazzo dell’EUR, sede ta e Giuseppe Biasi, vero manifesto della concezione del ghe … alle raccolte italiane dei primi decenni del secolo,
dell’importante struttura museale.3 folclore nella Sardegna degli anni Trenta, mantenutasi con prevalenza di certi materiali, di certe zone di prove-
Per quanto attiene all’auspicio di Ettore Pais relativo al- sostanzialmente uguale fino agli anni Cinquanta del No- nienza e nell’ambito di una medesima classe oggettuale,
la costituzione di un museo di etnografia della Sarde- vecento.6 di materiali estremamente elaborati quanto a decorazio-
gna, negli ultimi anni Venti e negli anni Trenta l’idea A parte l’episodio fondamentale della mostra del 1911, è ni, forme e materia di costruzione. Preoccupazione co-
viene ripresa in numerosi articoli di studiosi e appassio- solo negli anni Cinquanta del Novecento che gli abiti tra- stante e grave del Clemente fu quella di raccogliere og-
nati di cose sarde, che sottolineano in particolare l’ur- dizionali della Sardegna fanno il loro ingresso nelle strut- getti “non inquinati” da elementi recenti e da prodotti di
genza di salvaguardare i costumi popolari. ture museali. Ancor prima della citata apertura (1956) del tipo industriale: anzi, in casi limite, per fortuna abbastan-
Marcello Vinelli, nel 1927, dopo aver segnalato la progres- Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Ro- za rari, il Clemente giungerà a far preparare su commis-
siva sparizione delle tradizionali tipologie di abbigliamen- ma, nel 1950 si inaugura la sezione etnografica “Gavino sione oggetti che dovevano rispondere ai requisiti stabili-
to maschile e femminile ed effettuato una documentata Clemente” del Museo Nazionale Giovanni Antonio Sanna ti – non sappiamo su che base – dallo stesso Clemente».9
rassegna delle sue varietà e delle cause della decadenza, di Sassari, che viene associata alle ricche raccolte archeo- Ancora agli anni Cinquanta risale la raccolta di abiti con-
concludeva: «Se [in] un Museo cui si adunassero questi logiche e d’arte che formavano la collezione del munifico servata nel Museo Sardo di Antropologia ed Etnografia,
esemplari dei nostri bei costumi sia ancora possibile sal- mecenate cui il museo è dedicato, e ai reperti mano a sorto nel 1953 a Cagliari per iniziativa del professor Carlo
vare o si ricostituissero quelli che non son più, dai più an- mano acquisiti a partire dal 1880, anno della sua inaugu- Maxia nell’edificio dell’Istituto di Anatomia Umana Nor-
tichi agli ultimi sopravvissuti negli elementi essenziali ed razione ufficiale come Regio Museo Antiquario di Sassari.7 male, dove fu ospitato per circa 45 anni.
accessori; una raccolta in cui si accogliesse tutto quanto La collezione di abiti tradizionali e di oggetti vari d’inte- Attualmente il museo, che afferisce al Centro Interdiparti-
possa giovare a loro illustrazione non avrebbe minor nu- resse etnografico fu donata al museo con atto notarile mentale dei Musei e dell’Archivio Storico dell’Università
mero di visitatori di quelle altre raccolte pur esse degnissi- del 20 agosto del 1947: «Il Signor Clemente Comm. Gavi- di Cagliari, ha sede nella Cittadella Universitaria di Mon-
me di rispetto, in cui si custodiscono altri più freddi e me- no, allo scopo di lasciare duratura testimonianza del suo serrato. Nato allo scopo di documentare sia le caratteristi-
no estetici documenti della nostra vita passata».4 affetto filiale per la Sardegna e di incrementare il suo pa- che fisiche dei sardi sia le componenti culturali, dispone
Il tema dell’abbandono generalizzato del vestiario tradi- trimonio etnografico … dona allo Stato e per esso alla di una raccolta di reperti scheletrici umani dal neolitico
zionale, del collezionismo degli abiti e dell’urgenza della Soprintendenza alle Antichità della Sardegna, la propria ai nostri tempi, calchi di ominidi fossili, due mummie,
creazione di un museo vengono ulteriormente trattati da collezione a condizione che venga costruito … non oltre una collezione di vasellame e di utensili d’epoca proto-
Doro Levi in occasione della manifestazione inaugurale l’anno 1950, nel parco circostante il Museo Nazionale storica. A questa si unisce la collezione di interesse etno-
della Mostra delle Arti Popolari della Sardegna tenutasi a G.A. Sanna un fabbricato da destinare all’esposizione del grafico; dislocata in una grande sala, comprende oggetti
Cagliari nel 1937: «Già i limiti delle zone circoscritte nel materiale etnografico, nel quale la collezione venga de- del lavoro pastorale, strumenti musicali popolari e ordi-
centro dell’Isola tra le sue montagne, in cui l’attaccamen- corosamente collocata ed esposta in sale separate e con- gni sonori vari, un’importante raccolta di ex voto, costi-
to al costume ancora si mantiene, si vanno restringendo traddistinta dalla speciale dicitura: “Museo Gavino Cle- tuita da 56 reperti quasi tutti provenienti dalle Chiese di
sempre più; già la maggior parte delle popolazioni in- mente”. La collezione è composta di 428 oggetti».8 San Palmerio e di San Serafino di Ghilarza e la citata col-
dossa solamente l’abito di gala, e veste panni comuni nei L’interesse della collezione risiede proprio nella figura lezione di costumi. La collezione, solo in parte esposta
giorni feriali; già rifiutano di indossarlo del tutto i giova- del donatore, che ebbe un ruolo preminente nell’atti- nelle vetrine del nuovo allestimento, consta di 34 abiti
ni, che per un motivo o l’altro, per la guerra o per gli vità di reperimento e musealizzazione dei documenti di tradizionali, quasi tutti femminili, e 4 da miliziano, risa-
studi, sono vissuti qualche tempo sul Continente o nelle arte popolare sarda nella prima metà del Novecento. lenti al periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e i
grandi città dell’Isola. E la caccia ai costumi, come a tutti Gavino Clemente, originale figura di imprenditore che, primi anni del Novecento e derivanti da acquisizioni ef-
gli altri oggetti di arte popolare sarda, da parte di incetta- partendo da motivi e stilemi della tradizione sarda, sep- fettuate dal professor Maxia nei primi anni di costituzione
tori e collezionisti si fa sempre più accanita; i costumi au- pe produrre mobili e arredi con esiti talvolta di sor- del museo. La gran parte dei capi attiene alla Sardegna
tentici si fanno sempre più rari, si usano solo dei singoli prendente qualità e originalità, fu il principale collabo- centrale; ciò è da attribuire al fatto che furono venduti al
pezzi dell’antico costume in mezzo a indumenti, sottane ratore di Lamberto Loria nell’opera di reperimento dei museo dalla signora Caterina Zoroddu di Bosa, all’epoca
manufatti sardi per l’esposizione romana del 1911. impegnata in un’intensa attività di intermediazione com-
692. Abito maschile di area campidanese, anni Venti
692
Dagli anni Cinquanta ad oggi il Museo Sanna ha acquisito merciale nel campo del vestiario tradizionale del Nuorese
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna, fotografia di Raimondo Santucci. molti altri reperti d’interesse etnografico, ma pochi di essi e delle regioni più vicine.10

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visitatore, così come per i quadri e le sculture nei musei
d’arte. Questo avviene mentre nel resto d’Italia il Conve-
gno Nazionale di Museografia Agricola di Bologna e San
Marino di Bentivoglio (gennaio 1975) e la pubblicazione
di Alberto Mario Cirese, Oggetti, segni, musei,14 pongono
al centro del dibattito le forme, le tecniche e l’organizza-
zione del lavoro contadino.
«La rappresentazione del lavoro basata sulle tecniche da-
va vita a impegni comuni di museografia scientifica che
sostituivano al modello per tipi d’oggetti ancora ricono-
scibile nell’antico Museo Pitrè, o per ricostruzione di
ambienti (Casa-museo di Palazzolo Acreide e altri) con-
siderati ingenui e non scientifici, una sorta di geometria
della rappresentazione, in piccoli spazi, di grandi pro-
cessi produttivi e sociali, quasi “radiografati”, colti cioè
in quella che ne appariva l’essenza storicamente specifi-
ca (le forme del lavoro), e che forse configurava il mo-
do che gli intellettuali non organici a quel mondo ave-
vano di sentire la pietas verso qualcosa di immaginato
astrattamente e non vissuto.
Basata sul presupposto “metalinguistico” (ricostruire at-
traverso gli oggetti la conoscenza delle relazioni della
vita passata), questa museografia intendeva anche avvi-
cinare il pubblico di musei e mostre a convenzioni co-
muni della statistica, del disegno tecnico, della relazione
modellistica, delle scritture delle relazioni di parentela,
693
dell’ergonomia, democratizzando così gli strumenti del-
Sebbene collocato all’interno di un Istituto universitario, dentore. A seguito della costituzione, nel 1972, dell’Isti- l’analisi scientifica».15
il museo è costantemente meta di visitatori, anche gra- tuto Superiore Regionale Etnografico, il Museo del Co- In un simile contesto teorico un museo come quello
zie alla sua organica collaborazione con le amministra- stume assume la denominazione di Museo della Vita e nuorese, che trovava il suo elemento unificatore nella
zioni locali e le scuole, per mostre temporanee e inizia- delle Tradizioni Popolari Sarde, e viene incorporato nel- qualità dei reperti, esempi di arte, ancorché popolare,
tive didattiche. l’Istituto quale essenziale strumento di conoscenza e di- appariva un po’ come un organismo alieno. Non a caso
Agli anni Cinquanta del Novecento risale infine la co- vulgazione del patrimonio etnografico e della vita socia- il testo di Cirese sottolineava come «la maggior parte de-
struzione del Museo del Costume e delle Arti Popolari le e popolare della Sardegna. gli oggetti che essi [i musei folclorici] devono riunire non
di Nuoro, monumento alle tradizioni vestimentarie della Ancor prima che alla nuova denominazione possa far aveva per destinazione normale le pareti, i piedistalli, le
Sardegna in forma di «ambiente sardo immaginario, un seguito un rinnovamento dei contenuti e dei significati, bacheche o l’esposizione. Un attrezzo è nato per l’uso in
“paese fantastico” che vuole rappresentare il “paese-iso- il museo viene aperto al pubblico nell’agosto del 1976: certe condizioni ambientali che non sono certamente
la” ricomposto per frammenti e memorie di luoghi di- pur in assenza di un’organica sistemazione espositiva, quelle delle sale dei musei. Un costume o un’acconcia-
versi, rivissute dal progettista in termini personali, in appare urgente far conoscere alla collettività i numerosi tura sono fatti per il corpo che agisce e vive, in contesti
una dimensione “colta” per “citazioni”, moduli stilistici, materiali accantonati da tanti anni. L’Istituto Etnografico reali, e non per il falso movimento (e la falsa staticità) di
riferimenti formali fondati su di una interpretazione re- avvia, nel contempo, una metodica attività di acquisizio-
gionale-vernacolare dell’esistente architettonico sardo».11 ne di nuove collezioni nonché del loro studio e catalo-
All’originale museo, disegnato dall’architetto Antonio Si- gazione. 693. Interno del Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde, Nuoro,
fotografia di Virgilio Piras.
mon Mossa su incarico della Regione Sarda, vengono Al di là della denominazione, presagio di tematiche af- Gli abiti montati su manichini sono collocati in vetrine in grado di
assegnate in dote le collezioni all’uopo acquistate dalla ferenti all’intero universo del mondo popolare sardo, di ospitarne fino a un massimo di quattro; ai reperti non viene associata
stessa Regione.12 fatto il museo trova ancora oggi la sua connotazione nel- alcuna scenografia o apparato di contestualizzazione storico-culturale.
Questa impostazione risale al 1976, anno dell’apertura definitiva del museo.
Per quanto riguarda in specifico l’abbigliamento, che l’esposizione di una grande raccolta di abiti e gioielli tra-
ovviamente costituisce la parte più significativa dei ma- dizionali, originata dagli assunti del clima culturale degli 694. Abito femminile festivo e di gala di Aritzo, primo decennio sec. XX
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
teriali, vengono trasferiti nella nuova sede una cinquan- anni Venti e Trenta del secolo scorso, che classificavano
tina di costumi più una serie di indumenti vari. Tra i tali materiali come documenti d’arte popolare, meritevoli 695. Abito femminile festivo e di gala di Settimo S. Pietro,
fine sec. XIX-inizio XX
materiali sono compresi 7 abiti di proprietà del Museo dunque di tutela e conservazione in quanto connotati Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, pro- esteticamente. 696. Abito femminile festivo di Tonara, 1956
venienti dalla mostra del 1911, il cui prestito viene di- L’allestimento che negli anni Settanta dà corpo a tale in- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
sposto dal professor Paolo Toschi.13 tendimento riflette quell’assunto di base: gli abiti sono 697. Abito femminile festivo e di gala di Orune, primo decennio sec. XX
L’attività del museo, tuttavia, non riesce ad andare oltre esposti in vetrine isolate, privi di apparati informativi sulla Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.
l’episodica realizzazione di mostre temporanee, spesso provenienza, funzione e contesto di utilizzo degli stessi: 698. Abito femminile giornaliero di Busachi, primo decennio sec. XX
concomitanti con i festeggiamenti di fine agosto del Re- basta mostrarli per giustificarne la funzione e appagare il Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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quei manichini contro il cui impiego nei musei di tradi- dell’Ottocento e a quello iniziale del Novecento, con
zioni popolari ha giustamente polemizzato Paolo To- qualche escursione alla fine del Settecento e, all’estremo
schi».16 E, ancora: «È evidente che il compito dei musei temporale opposto, agli anni Settanta del secolo scorso.
della vita popolare non può essere solo quello di riunire Nel frattempo acquisisce una popolarità e un gradimento
gli oggetti classificabili come artistici».17 «Ma l’opera vera sorprendenti per un museo etnografico che, con cifre
del museo sta poi nella ricerca a livello museografico comprese tra le 40.000 e le 60.000 presenze annue, divie-
delle connessioni più profonde. E qui viene di nuovo in ne, a quanto è dato di sapere, il più frequentato della
campo il compito dei musei folclorici come centri di ri- Sardegna, nonché la struttura di riferimento per le attività
cerca e di propulsione della ricerca».18 di assistenza e consulenza a musei e associazioni locali
Di fatto, grazie alla struttura operativa e alle risorse com- in materia di abbigliamento popolare, e per le relazioni e
plessive dell’ISRE, il museo nuorese, direttamente o indi- scambi con istituzioni museali italiane e straniere; in que-
rettamente, può portare avanti quelle attività di studio e sto ambito s’inscrive la recente donazione (2000) di un
di ricerca indicate da Cirese come fondamentali. Per quan- costume femminile nuziale di Orgosolo al Museo delle
to attiene in particolare all’abbigliamento esse si esplicano Trame mediterranee di Gibellina (Sicilia).
sia con indagini sul campo relative alle tecniche e ai con- Abiti sardi sono approdati con vicende e motivi diversi
testi d’uso, sia attraverso lo studio dei materiali e delle in vari musei esteri, compresi due dei più importanti al
metodologie di conservazione e di allestimento. mondo: il Metropolitan Museum of Art di New York e il
Quest’attività determina nuove acquisizioni di materiali, Musée de l’Homme di Parigi.
dei quali si cerca di sapere il più possibile (età, proprie- Il Metropolitan, museo di carattere enciclopedico nato
tari, ragioni della vendita, costi e modalità di confezio- nel 1870, dispone di più di 2 milioni di opere d’arte di
namento), e nuove competenze museografiche. Delle tutto il mondo, dall’antichità ad oggi, compreso uno
vetrine si apprezza la loro funzione protettiva e di evi- straordinario patrimonio tessile e vestimentario. Il suo
denziazione dei materiali; dei manichini, umiliati quali Costume Institute possiede più di 75.000 abiti e accessori
esempi di allestimenti posticci, viene confermata l’insosti- provenienti dai cinque continenti e relativi a sette secoli
tuibilità per la buona conservazione degli indumenti, per di storia, da lussuosi costumi di corte a costumi regionali
la loro corretta esposizione e per la migliore compren- popolari di tutto il mondo; non ha una sua esposizione
sione del modo d’uso, spesso non così ovvio e intuitivo permanente ma è accessibile a studiosi, designer, studen-
come potrebbe sembrare; essi assumono dimensioni più ti e ogni anno realizza tre mostre temporanee tratte dalla
adeguate, spesso con adattamenti e modifiche alla taglia collezione.
degli abiti; questi vengono curati, puliti, stirati, rispettati, Il museo possiede due costumi femminili della Sarde-
amati. Rispettati e amati perché talvolta ceduti al museo gna, uno di Sennori, l’altro di Desulo.
da donne e uomini costretti a privarsene per ragioni La scheda descrittiva del primo informa che si tratta di un
economiche, o perché doni di persone, spesso neppure «costume femminile contadino, di gala o di nozze, di Sen-
agiate, che attraverso di essi manifestano sentimenti di nori risalente al XIX e al XX secolo, formato da 10 pez-
appartenenza e di affezione al museo e alla sua missio- zi: un giubbetto di velluto color magenta con maniche
ne. Un atteggiamento nei confronti delle cose affatto in- aperte decorate con ricami d’oro; gonna di lana plisset-
concepibile per la museografia demoantropologica italia- tata con larga banda ricamata; corsetto ricamato in oro e
na degli anni Settanta e Ottanta; riprendendo le parole argento; grembiule di seta blu chiaro, ricamato; camicet-
di Pietro Clemente che, partito dalla lezione del suo ta bianca di cotone, fazzoletto blu chiaro; copricapo di
maestro Cirese, sviluppa un’originale riflessione attraver- lino bianco e pizzo écru; collana in filigrana d’oro e ce-
so la quale supera «l’illusione museografica razionalista», stino di paglia intrecciata. Il corsetto è probabilmente
apparsagli precocemente una «museografia impossibile»: del 19º secolo; il resto del 20º secolo».
«Chi di noi museografi razionalisti d’allora amava gli og- L’abito è stato donato al museo dall’onorevole Claire
getti? Amavamo le nostre idee, con le quali venivamo Boothe Luce il primo marzo del 1956. In nota la scheda
scoprendo mondi, ma amare gli oggetti! Gli oggetti sono precisa che venne offerto alla signora Luce nel 1954 nel
“documenti”, i documenti non si amano, si studiano».19 corso di una visita ufficiale in Sardegna. Claire Boothe
Amando gli abiti, dai poco più di 400 capi di vestiario Luce, nata a New York nel 1903, giornalista e scrittrice,
della fine degli anni Settanta, il museo ha raggiunto gli fu molto nota negli Stati Uniti quale editor, a partire dal
attuali 1850, quadruplicando quindi la dotazione iniziale 1933, della rivista di moda e costume Vanity Fair e per
e formando la più ampia e qualificata collezione di abbi- aver sposato il magnate della carta stampata Henry R.
gliamento tradizionale sardo; un repertorio che compren- Luce (Time, Life, Fortune). Membro del Congresso sta-
de prevalentemente reperti risalenti all’ultimo ventennio tunitense dal 1943 al 1947, fu ambasciatore americano
in Italia dal 1953 al 1957.
699. Abito femminile festivo e di gala di Oliena, prima metà sec. XX La scheda del secondo abito riporta:20 «Regionale, Sar-
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. do, tardo 19º-inizi del 20º secolo. Completo femminile,
700. Abito femminile festivo di Orani, fine sec. XIX 5 pezzi di lana rossa con applicazioni di pannelli di se-
Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. ta blu, tratti di ricami gialli lungo le giunture e linee

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diagonali ornamentali»; segue un’accurata descrizione Un’analisi della missione sarda di Jacques Millot e delle sulla camicia chiusa al collo da bottoni d’oro, giubbetti
dei diversi pezzi. Circa la provenienza, la scheda infor- scelte del suo itinerario sarebbe estremamente indicativa con spalle, maniche e dorso impreziositi da grandi ricami
ma che si tratta di un acquisto effettuato nel 1967 da per una ricostruzione degli interessi degli studiosi di et- a motivi floreali, bottoni in filigrana d’argento alle mani-
Irene Lewisohn Bequest presso il signor Ermanno De nologia europea afferenti al Musée de l’Homme nei pri- che, uose profilate di rosso o di trine multicolori – corri-
Notti di Roma. La presenza di questo costume al Metro- mi anni Sessanta. I luoghi di provenienza dei reperti in- spondono all’abito un poco vistoso di una moderna stel-
politan si deve dunque a Irene Lewisohn Bequest, l’e- dicano comunque con chiarezza la centralità pressoché la del rock. In genere con risultati meno apprezzabili per
rudita filantropa che, ritenendo gli abiti una autonoma esclusiva della Barbagia e del Nuorese. Viene da chie- le troppe scorciatoie sulla qualità e per la preminenza
e universale forma d’arte, con le sue donazioni permise dersi se una così forte presenza di Orgosolo, ma anche dell’invenzione rispetto ai modelli originari di foggia otto-
la nascita nel 1937 del Museum of Costume Art, le cui di Nuoro e Oliena, non sia da connettere allo straordina- centesca, questa moda dell’iperornativismo sarà seguita
collezioni vennero incorporate dal Costume Institute rio successo riscosso nell’ambiente antropologico france- da diversi singoli artisti e da numerosi gruppi folcloristici.
del Metropolitan nel 1946.21 se, e del Musée de l’Homme in particolare per la presen- È questo uno dei musei privati che la mano pubblica
L’approdo al Metropolitan di un abito di Sennori e di za di Jean Rouch, dal film di Vittorio De Seta Banditi a dovrebbe aiutare ad uscire non tanto dalla dimensione
un altro di Desulo non può essere casuale: il primo è Orgosolo (1961) e naturalmente dalla famosa inchiesta di affettiva di luogo dedicato a moderni Lari domestici, il
uno degli abiti più noti dell’isola, sempre presente nelle Franco Cagnetta,25 che ne costituì la base di partenza. che costituisce per l’onesta visibilità il maggior pregio
grandi manifestazioni tradizionali; lo stesso vale anche La presenza di Desulo conferma invece un dato già noto, del museo, quanto dalla precarietà del contesto espositi-
per quello di Desulo, probabilmente reperito sul mer- più volte sottolineato anche in questo testo, e cioè che il vo che può pregiudicare nel tempo la conservazione di
cato antiquario della capitale. suo costume era quello che più diffusamente rappresen- questi significativi documenti dell’abbigliamento e della
Il costume femminile di Desulo è presente anche al Mu- tava l’immagine della Sardegna all’esterno dell’isola, un musica tradizionale e insieme della mentalità e dell’im-
sée de l’Homme di Parigi,22 insieme a due di Orgosolo, ruolo favorito dalle prime campagne di promozione turi- maginario popolare dell’isola nel secondo dopoguerra.
uno femminile, l’altro da ragazzo.23 Furono acquistati nel stica che nell’abito di Desulo, così fortemente connotato Nel caso di Desulo, a prescindere da ogni considerazione
1963 dall’allora direttore del museo Jacques Millot, nel da tonalità solari e primarie, trovavano un veicolo di im- sulle modalità espositive, impressiona la marginalità dei Alcune recenti decisioni governative in materia di beni
corso di una missione in Sardegna finalizzata all’arricchi- mediata ed efficace riconoscibilità geografica e culturale. pochi abiti (tre femminili e uno maschile) riuniti nel mu- culturali annunciano la costituzione del Museo della
mento delle collezioni europee: «Intraprese in occasione Ritornando alle collezioni indumentarie dei musei dell’iso- seo, soprattutto se si considera l’importanza del suo abbi- Moda italiana, una struttura policentrica con sedi a Mi-
delle Esposizioni universali del secolo scorso, le collezio- la, si segnalano gli abiti inseriti in alcuni musei locali di gliamento femminile che fa parte del paesaggio culturale lano, Roma, Torino, Firenze e Napoli. Nelle comunica-
ni europee sono state continuamente arricchite; esse si recente costituzione: l’etnografico della Casa Montanaru e dell’immaginario tradizionale dell’isola. Vero simbolo zioni ufficiali viene sottolineato che le creazioni di mo-
compongono di circa 50.000 pezzi e conoscono ancora di Desulo (1995), della lavorazione del lino di Busachi, indumentario della Sardegna, celebrato in un’infinità di da che tale iniziativa intende tutelare e valorizzare sono,
una crescita costante. A partire dagli anni Cinquanta le il Museo Unico Regionale dell’Arte Tessile di Samugheo stampe, pitture, cartoline, fotografie e filmati, per ciò che prima ancora che oggetti d’uso, delle opere d’arte: ana-
ricerche sul campo si sono moltiplicate assicurando una (2002) e il Museo Francesco Bande di Sassari. Per il se- esso rappresenta per tutti i Sardi, non solo per i Desulesi, logamente, negli anni Venti e Trenta del Novecento,
loro documentazione e arricchimento».24 condo e il terzo si tratta della naturale espansione delle meriterebbe da solo un museo. per giustificare l’ingresso del vestiario popolare nei mu-
Oltre a una serie di oggetti vari (timbri per il pane, pal- tematiche cui le raccolte sono primariamente dedicate; a Anche a Macomer, il Museo Arti Antiche, allestito in una sei se ne sottolineavano i requisiti artistici: il museo nel-
me intrecciate, launeddas, taglieri, forchette e cucchiai li- Busachi sono esposti alcuni abiti recentemente ricostrui- casa dell’Ottocento ove sono ricostruiti alcuni ambienti la sua accezione originaria di casa delle Muse ritorna
gnei da pastore, qualche dolce ricoperto di glassa, realiz- ti sulla base di fogge locali di fine Ottocento; a Samu- domestici e di lavoro della società tradizionale (fabbro, con forza d’attualità.
zato per S. Efisio, e altri in pasta di mandorla), nella gheo, accanto alla vasta collezione tessile, sono in mo- falegname, calzolaio), espone alcuni abiti tradizionali Pur senza le referenze autoriali che caratterizzeranno i
stessa collezione il museo comprende vari indumenti stra due abiti del paese, uno maschile, la cui datazione montati su manichino. In particolare appare interessante costituendi musei della moda, anche per quelli delle tra-
isolati e accessori dell’abbigliamento: un corpetto femmi- può essere attribuita alla prima metà del XIX secolo, e un abito maschile che alla berritta e al giubbetto associa dizioni vestimentarie il senso e il requisito primario di
nile di Orgosolo; una cuffia di Bitti; uno scialle di Oliena; uno femminile, databile ad un periodo compreso tra la i calzoni a tubo, indumento che in questo territorio eb- attrattività alla visita passa ancora attraverso i contenuti
un “copri cuffia” di Oliena e un altro di Bitti; una collana fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. be diffusione più precoce rispetto alle Barbagie e al me- estetico-artistici e una poetica affettiva: sono questi i primi
di corallo rosso e filigrana d’argento e un amuleto di Samugheo, Busachi e soprattutto Desulo, rispetto agli al- ridione dell’isola. stimolatori di un contatto tra oggetto esposto e visitatore.
Oliena; un anello di metallo dorato, pietre rosse e blu in tri paesi dell’isola, sono tra quelli che hanno mantenuto Il Museo Francesco Bande, iniziativa privata nata in un Perciò l’ormai avviato progetto di rinnovamento del Mu-
un castone di Orgosolo; fermagli e catenella d’argento più a lungo l’uso del vestiario tradizionale, e forse pro- contesto di carenza finanziaria ma col pregio di una for- seo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde/Museo
per tenere il grembiule e bottoni per maniche di camicia prio per tale motivo in queste comunità il processo di te motivazione affettiva, è un piccolo quanto originale del Costume, che modifica tutto dell’assetto espositivo
di Nuoro; dieci bottoni per la camicia di Orani. un loro riconoscimento come documenti da riporre in un monumento/documento intitolato al più famoso suona- da cui è stato caratterizzato per circa trent’anni, pur su-
museo è stato più recente. tore sardo di organetto degli anni Cinquanta-Ottanta del perando l’attuale frammentazione espositiva delle vetri-
Novecento.26 Oltre a una preziosa raccolta d’organetti ne, mantiene al centro del suo discorso la grande colle-
appartenuti al musicista, l’unica sala del museo, ove si zione di costumi popolari.
701. L’attuale allestimento del Museo Sardo di Antropologia ed
Etnografia, Monserrato, Cittadella Universitaria, fotografia Archivio tengono anche lezioni di musica sarda, espone su mani- A questi oggetti si affida il compito di introdurre il visita-
Museo Sardo di Antropologia ed Etnografia. Il Museo, che afferisce chini una quindicina d’abiti maschili e femminili e, in tore alla conoscenza del grande patrimonio tecnico e di
al Centro Interdipartimentale dei Musei e dell’Archivio Storico vetrina, vari indumenti isolati. Molti degli abiti apparte- significati simbolici del sistema vestimentario della Sarde-
dell’Università di Cagliari, è sorto nel 1953 per iniziativa del professor
Carlo Maxia nell’edificio dell’Istituto di Anatomia Umana Normale,
nevano ai familiari di Francesco Bande, come per esem- gna tradizionale. Allo stupore, che deriva dalla presenta-
dove è stato ospitato per circa quarantacinque anni. pio l’abito di nozze della madre Giuseppina, di Bultei, zione in sequenza delle tante varietà di fogge, colori e
702. Ritratto del fisarmonicista Francesco Bande, anni Ottanta. Sassari, donde provengono anche alcune altre vesti dell’Otto- materiali, si chiede di evocare volti, pensieri e sentimenti
Museo Francesco Bande, fotografia Archivio Museo Francesco Bande. cento, e alla vedova Bastianina Mannu, di Ossi. delle tante donne e uomini della Sardegna che li hanno
703. Costume di scena di Francesco Bande, 1950 ca. Sassari, Ma l’interesse maggiore deriva dal fatto che quelli ma- tagliati, cuciti, ornati, talvolta solo indossati, nella speran-
Museo Francesco Bande, fotografia Archivio Museo Francesco Bande. schili sono in sostanza gli abiti di scena dell’artista, con- za che possano far comprendere come, nella infinita po-
Si tratta dell’abito tradizionale di Bultei, paese d’origine di Bande, fezionati tra il 1950 e il 1970 e ricamati dalla sorella Ma- vertà della Sardegna di fine Ottocento, quelle donne e
indossato sul palco dal musicista, come si vede nell’immagine
precedente. In particolare si evidenzia la ricchezza dei ricami del rietta: si tratta di costumi completi di Bultei che per la quegli uomini siano stati comunque in grado di riservare
701 giubbetto, realizzati da Marietta Bande, sorella di Francesco. ricchezza dei particolari ornamentali – pizzi abbondanti alla propria vita elementi di grande grazia e dignità.

444 445
tions de costumes du sud-est du continent ac-
Note 6 “gonna” ou “uresi”: jupe en laine tissée “or-
bace” rouge, avec ruban de quises dans le cadre de la collection de Jacques
soie bleue & bande de drap fin rouge dans d’Aumale, qui témoignent des modes vestimen-
le bas, fronces dans le dos. taires de la fin du XIXème siècle en Méditer-
7 “grembiule”: tablier en drap fin rouge, orné ranée orientale», in Les Collections du Musée de
soie bleue, et broderie l’Homme. Nota redatta da un collettivo per il
jaune & multicolore; chainette & agrafes en rinnovamento del Musée de l’Homme, 22 juil-
argent avec pierres de let 1996. Presentata alla Commissione culturale
couleur pour attacher dans le dos. del Senato nel settembre 1997.
8 “grembiule”: tablier pour la tête, en laine tis- 25. F. Cagnetta, Banditi a Orgosolo, Nuoro
sée “orbace” rouge ornée 2002.
soie bleue, et broderie jaune & multicolore.
26. Sulla figura di Francesco Bande e sul suo
ITALIE. Sardaigne ruolo nella musica sarda del secondo dopo-
Orgosolo Costume de femme: guerra, nonché sul padre Mario, pure apprez-
1 “cuffia”: bonnet soie brochée multicolore a zato suonatore d’organetto e la figlia Inoria che
fleurs. continua a tener viva una tradizione musicale
2 “camisa”: chemise toile de coton blanc, lar- giunta alla terza generazione, si veda G. Sanna,
ge encolure plissée & brodée, manches lon- Sonadores e Cantadores, Mario, Francesco e
1. In E. Pais 1999, pp. 432-433. L’attivazione acquisti effettuati da collezionisti vari; dodici tonhole; armseye gusset; CF slit; top roughly
gues froncées à poignets brodés.
della linea ferroviaria effettivamente segnò un erano stati donati dai Comuni; sette derivava- pleated into (later?) narrower bottom of coar- Inoria Bande, Cagliari 2001.
3 gros boutons jumelés filigrane doré & pier-
cambiamento epocale; anche un giovane Max no dalla collezione del sacerdote nuorese Rai- ser-grade commercial cotton; machine stitched;
res rouges.
Leopold Wagner, chiudendo nel 1914 un suo mondo Calvisi; sette erano di proprietà del open at each side waist, with added narrow si-
4 “gipponi” ou “corittu”: gilet à manches lon-
articolo sulla Barbagia e paventando l’ulterio- Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popo- de panels below; full length; (d) short corset:
gues, drap rouge, ornée soie bleue & bro-
re sviluppo delle strade ferrate anche nelle lari di Roma, relativi cioè alla raccolta costitui- entirely pieced of several figured and unfigu-
deries multicolores.
zone più remote dell’isola, notava: «E come ta per la Mostra del 1911; infine sei proveniva- red silks and silver metal figured ribbons, em-
5 “corpetto” ou “solopattu”: gilet sans man-
queste antiche cassapanche, così scompariran- no da donazioni di privati. Oltre ai capi di cui broidered elaborately; sleeveless; notched CF
ches, soie noire bordée de drap rouge.
no gradualmente le suppellettili antiche, le sopra vennero trasferiti al Museo quaranta ca- opening, with single hook at hem; lining also
pi di vestiario vari (giubbetti, corsetti, scialli, 6 “gonna” ou “bunnedda”: jupe en laine tissée
tradizioni degli antenati, le usanze patriarcali pieced but with printed cottons and silk broca-
cuffie ecc.), provenienti da disparate località. “orbace” rouge brique plissée, ornée bande
per fare posto alla tanto lodata “civiltà”. Anco- des; (e) apron: long flat rectangle, tapering at
Pare opportuno ricordare come i dodici costu- de soie verte & drap rouge dans le bas.
ra pochi anni e la ferrovia – una società geno- bottom; red felt body with blue panels around
mi donati dalle amministrazioni comunali fos- 7 “grembiule”: tablier soie noire brodée soie
vese ha ormai elaborato il progetto – “renderà edges; yellow embroidery articulating edge of
sero il risultato di un appello che l’Assessorato body and corners, especially elaborate at upper multicolore, motif du lotus stylisé.
accessibili” anche queste regioni vergini, e 8 “fazzoletto” ou “velu”: couvre-tête en soie
commercio e traffico trionferanno sulla poesia al Turismo rivolse ai Sindaci dell’Isola, affin- corners; horizontal band across mid-center of
ché disponessero la donazione di una coppia blue silk with abstract and floral embroidery tissée jaune avec 3 épingles longues en mé-
e sull’arte. Così va il mondo!». M.L. Wagner tal doré.
2001, p. 167. di costumi dei rispettivi centri per esporli nel and metallic ribbon at edges; (f) fitted cap of
costituendo Museo». P. Piquereddu 1987, pp. red felt with blue silk edges and extensive yel- ITALIE. Sardaigne
2. Si veda G.G. Cau. Pionieri del cinemato- 78-79. low and multicolored embroidery articulating Orgosolo Costume de garçonnet:
grafo in Sardegna. 1897-1907, Sassari, 1995. joins and shape; orange ribbon ties (later ad- 1 “berritta”: coiffure, drap noir.
Con motivazioni convincenti l’autore avanza 14. A.M. Cirese 1977. Sull’influenza di questo
lavoro sulla museologia demoetnoantropolo- dition). Wool, silk, metal Class III». Reference: 2 “camisa” ou “bentone”: chemise toile de
l’ipotesi che le scene della cavalcata, le più Anna Maria Colombo, Giampiero Speziale, I coton blanc, encolure
belle della serie del viaggio dei Reali in Sarde- gica degli anni Settanta e Ottanta e in genera-
le sul dibattito in corso nel settore si vedano Costumi della Sardegna, Nuoro, 1983, pp. 116- ronde froncée & brodée, manches longues
gna, siano state riprese dall’operatore il giorno 124. Purchase: Irene Lewisohn Bequest. Ven- froncées à poignets brodés.
precedente la vera manifestazione, nel corso P. Clemente 1996; 1999.
dor: Mr. Ermanno de Notti, Rome, Italy, 1967. 3 “corittu”: veste courte, drap rouge orné de
delle prove generali. Si tratterebbe dunque di 15. In P. Clemente, “Il Museo che non è un Note: Probably from the town of Desulo, in the velours bleu foncé, broderies multicolores,
«una fiction: una minicavalcata di appena cin- Museo”, in Il Bosco delle cose. Il Museo Gua- province of Nuoro, east central Sardinia. Apron manches longues à crevé.
quanta secondi, girata con la consapevolezza telli di Ozzano Taro, Parma 1966, p. 19. can be worn over head for church or against 4 “calzonis” (1) ou “carzones”: pantalon en
e la complicità di dame e cavalieri». Ivi, p. 68. 16. A.M.Cirese 1977, p. 38. rain. Condition: Good; shirt collar smocking toile de coton blanc
3. Sulla storia del Museo Nazionale delle Arti torn in one place; general wear. avec une jupe courte “bragas” (2) en laine
17. A.M.Cirese 1977, p. 40.
e Tradizioni Popolari si veda il testo di Stefa- 21. Le schede catalografiche e le fotografie tissée “orbace” noire
nia Massari in questo volume. Cfr. inoltre La- 18. A.M.Cirese 1977, p. 49. cousue à fronces à la taille du pantalon.
degli abiti sardi al Metropolitan si devono al-
res, vol. I, 1912, pp. 9-55, con saggi di L. Lo- 19. P. Clemente, “Il Museo che non è un mu- l’amichevole disponibilità di Chris Paulocik e 5 “burzichinos”, ou “bozzochinos” ou “cam-
ria, A. Mochi, F. Baldasseroni. seo” cit., p. 21 Beth Alberty, Costume Institute Metropolitan bittas”: jambières en
Museum of Art, New York. laine tissée “orbace” noire, fenneture à agra-
4. M. Vinelli 1927, p. 530. 20. CI 67.29a-f REGIONAL Sardinian, late 19- fes.
5. D. Levi 1937, p. 175. early 20th c. 22. Devo tutte le informazioni e le schede sui
«Woman’s ensemble, 5 pieces, of red wool with reperti sardi al Musée de l’Homme alla corte- 24. «Les musées d’anthropologie culturelle eu-
6. G.U. Arata, G. Biasi 1935. applied panels of blue silk and lengths of yel- sia della signora Yvonne de Sike, Responsabi- ropéenne à travers le monde, même très riches,
7. Sulla storia e le collezioni del museo si veda low embroidery along seams and decorative le delle Collezioni europee del museo. ne possèdent le plus souvent que des collections
Il Museo Sanna in Sassari, Sassari 1986; E. diagonals: (a) short jacket of red wool felt de- à caractère régional, parfois national. Les col-
23. Si ritiene utile riportare qui di seguito le lections européennes du musée de l’Homme,
Contu, M.L. Frongia, Il Nuovo museo Nazionale corated as above, with especially elaborate em-
schede dei tre abiti qui proviennent de différentes cultures eu-
“Giovanni Antonio Sanna” di Sassari, Sassari broidery on the lower sleeves; collarless; CF ope-
ning; long sleeves with notch at ends; red velvet ITALIE. Sardaigne. ropéennes et se distinguent pour leur organi-
1976; G. Spano, Iniziazione ai miei studi, Ca-
interfacings; (b) skirt, the body of red wool Desulo Costume de femme: sation en ensembles significatifs et cohérents,
gliari 1997.
with deep hem band of red wool felt (probably 1 “cuffia”: bonnet, broderie jaune & multico- sont uniques au monde par leur étendue géo-
8. G. Carta Mantiglia 1979, p. 17. replacement) surmounted by band of blue silk lore, 2 rubans de soie rouge. graphique (tous les pays sont représentés, seu-
9. G. Carta Mantiglia 1979, pp. 17-18 and yellow embroidery; blue silk and embroi- 2 “camisa”: chemise toile de coton blanc, en- le l’Angleterre l’étant pauvrement) et chrono-
dery treatment around waist; CB body pleated colure ronde plissée & brodée, manches logique.
10. Alcuni reperti del museo furono riprodotti into waistband, the pleats partly sewn down; longues froncées à poignets brodés. Entreprises à l’occasion des Expositions uni-
in una pubblicazione che ebbe notevole riso- flat front, with some additional vertical em- 3 boutons jumelés dorés, filigrane & perles verselles du siècle dernier, les collections eu-
nanza, Vanità sarda 1986. broideries at sides and vertically across hem rouges. ropéennes n’ont jamais cessé de s’enrichir; el-
11. G. Lilliu 1987, p. 15. bands; crude slit pocket proper R seam; (c) 4 “gipponi” ou “corittu”: gilet à manches lon- les se composent de quelque 50 000 pièces et
white commercial cotton chemise; full bodied gues, soie brochée rouge, connaissent encore une croissance régulière. A
12. Si veda al riguardo, G. Tore 1976; P. Pi- broderie jaune & multicolore. partir des années 1950, les recherches de ter-
top gathered into high standing collar with fine
quereddu 1987, pp. 78-79; G. Lilliu. 1987, pp. geometric smocking; white embroidery on 5 “corpetto” ou “solopattu”: gilet sans man- rain se sont multipliées, assurant leur docu-
11-13. shoulder section; full sleeve finely-gathered into ches, soie brochée, broderie mentation et leur enrichissement.
13. Più precisamente: «Diciotto provenivano da shoulder section and smocked cuff with but- jaune & multicolore, galon argent. Elles ont été récemment enrichies des collec-

446 447
Profili economici del settore abbigliamento in Sardegna
Marco Vannini

Un comparto meritevole di attenzione indotti dalla crescita del reddito, che confermano l’ipo-
La presenza di un contributo di analisi economica po- tesi che il consumatore ama la varietà, ossia che al cre-
trebbe apparire fuori posto nel contesto di un volume scere dell’agiatezza tende ad allargare sistematicamente
dedicato prevalentemente all’abbigliamento tradizionale il proprio paniere di consumo per includervi beni diffe-
in Sardegna. Un tema, quest’ultimo, caro agli studiosi di renziati e personalizzati; sia quelli legati all’evoluzione
antropologia e tradizioni popolari, ma appena sfiorato dei valori etici, che portano gruppi consistenti di consu-
dagli economisti a causa della modesta incidenza quan- matori a considerare attributi finora inediti dei beni da
titativa del comparto. Tuttavia, allargando il discorso an- acquistare, come l’impronta ecologica o, più in generale,
che al cosiddetto “abito etnico” e alla confezione artigia- l’impatto sociale. La produzione standardizzata di massa
nale di capi di abbigliamento, si entra in un campo di incontra evidentemente notevoli difficoltà a soddisfare
sicuro interesse non solo sotto il profilo quantitativo ma questi nuovi bisogni; si aprono così nuove opportunità
anche qualitativo. Da alcuni anni, infatti, tanto la rifles- per molte produzioni tradizionali e per tutte quelle atti-
sione teorica sui fattori chiave dello sviluppo e sull’evo- vità che, a torto o a ragione, vengono considerate in sin-
luzione dei modelli di consumo nelle società ricche, tonia con i nuovi valori.2
quanto i riscontri empirici sull’emergere di iniziative pro- L’attuale risveglio d’interesse in seno al mainstream
duttive con forti connotazioni territoriali, fenomeno in- non deve far dimenticare il lavoro degli studiosi dello
spiegabile alla luce della visione classica dei processi di sviluppo locale, come Giacomo Becattini3 e Sebastiano
industrializzazione, hanno richiamato l’attenzione dell’a- Brusco,4 che con molto anticipo hanno riconosciuto nel
nalisi economica verso le attività tipiche. distretto industriale italiano un esempio di organizza-
Sul piano strettamente teorico merita ricordare almeno zione produttiva funzionale alla crescita delle compe-
due aspetti. Il primo, sottolineato da P. Romer,1 è il rico- tenze e alla diffusione delle idee generatrici di valore.
noscimento che l’arretratezza economica di un paese può Il comparto dell’abbigliamento in Sardegna è stato analiz-
dipendere non solo da un deficit di elementi materiali zato prevalentemente nell’ambito di ricerche più ampie
(impianti, strade, materie prime ecc.) ma anche da un de- incentrate sul settore tessile,5 che insieme alla chimica ha
ficit di idee, intendendo con ciò qualcosa di più ampio rappresentato uno degli assi portanti delle politiche pub-
del classico divario tecnologico. L’attenzione si sposta da bliche volte a modernizzare la base produttiva dell’isola.6
fattori quali il risparmio e l’accumulazione ai meccanismi A questo punto occorre precisare i termini impiegati, in
che favoriscono la diffusione delle idee capaci di genera- quanto espressioni quali abbigliamento, tessile-abbiglia-
re valore economico. Il secondo aspetto è rappresentato mento, moda, industria della moda, sistema moda ecc.
dall’evoluzione dei modelli formali impiegati dagli econo- possono assumere significati diversi a seconda del conte-
misti, all’interno dei quali è divenuto possibile studiare le sto e, soprattutto, non sempre individuano una contro-
implicazioni di ipotesi meno restrittive (e più realistiche) parte univoca fra gli aggregati delle statistiche ufficiali. In
rispetto al binomio convenzionale di mercati concorren- particolare, a partire dalla più recente classificazione del-
ziali e razionalità olimpica, come ad esempio l’esistenza le attività economiche dell’Istituto Centrale di Statistica, si
di prodotti differenziati, rendimenti crescenti, processi di definisce come “industria della moda” l’aggregato com-
apprendimento e dinamiche spaziali. prendente le sottosezioni “industrie tessili e dell’abbiglia-
Sotto il profilo empirico, invece, assumono particolare mento” e “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti
rilievo i mutamenti dei modelli di consumo: sia quelli in cuoio e pelli”.
Questo sottoinsieme, chiamato a volte TAC per ricordare
704. Modelli sartoriali in velluto, 2001, fotografia di Salvatore Ligios. la triade tessile-abbigliamento-calzature, può risultare a
L’abito in velluto, di pertinenza esclusiva di pastori e contadini, seconda dei casi troppo ristretto o troppo ampio. Se ad
dagli anni Ottanta – crescendo come fenomeno di moda (anche da
esportazione) fino all’attuale diffusione –, è divenuto l’abito elegante esempio si desidera misurare il peso economico del siste-
704 da indossare per la festa. ma moda, limitarsi al TAC sarebbe riduttivo,7 in quanto si

449
2001, vede ridursi la sua quota dall’11% al 7,2%. Sul ver- territorio nazionale in maniera significativamente più
sante delle importazioni, l’aggregato UE-USA-Giappone equilibrata rispetto al settore manifatturiero.
fa la parte del leone tanto per i prodotti dell’abbigliamen- Il settore TAC in Sardegna ha una tradizione artigianale
to (80%) quanto per i prodotti tessili (39,2). antica e molto spiccata.13 Oltre l’83% delle imprese sono
Secondo la ricostruzione effettuata dall’ISTAT col Censi- artigiane. Esso comprende fondamentalmente i laboratori
mento intermedio del 1996, l’industria della moda italia- di tessitura e realizzazione dei tappeti originali insieme
na occupava 927.000 addetti distribuiti in 105.840 azien- ad alcune medie imprese che si occupano di fibre e di
de. In base alle cifre dell’occupazione lo spessore del confezionamento di vestiti. Il settore, definito dalla classi-
TAC, in Italia, risulta doppio rispetto al settore alimentare ficazione ISTAT Ateco91 con i codici di ramo 17, 18 e 19,
e circa quattro volte maggiore di quello del settore chi- si articola nei seguenti sottosettori: preparazione e filatura
mico. In termini relativi, l’occupazione del TAC rappre- di fibre tessili; tessitura di materie tessili; finissaggio dei
senta il 19% dell’occupazione manifatturiera e il 6,7% di tessili; confezionamento di articoli in tessuto; fabbricazio-
quella totale dell’industria e dei servizi. Come sottolinea ne di maglierie, confezione di articoli di vestiario, prepa-
Hermes Lab9 questi rapporti crescono visibilmente se si razione e confezione di articoli in pelliccia, fabbricazione
usano le definizioni estese del settore, ma in ogni caso, di articoli da viaggio e borse, fabbricazione di calzature.
anche guardando al solo tessile-abbigliamento, mostrano Nel 2000 le imprese tessili, dell’abbigliamento e delle cal-
una specializzazione produttiva che nell’ambito dell’UE zature in Sardegna erano 967 e costituivano circa il 7%
si riscontra solo in Portogallo e Grecia. delle aziende dell’industria in senso stretto operanti sul
In termini di fatturato il valore stimato per fine 200310 è territorio regionale. Si ripartivano per forma giuridica
di 44 miliardi di euro. Questo risultato, che ci riporta a per l’85,8% come ditte individuali o società di persone
valori inferiori a quelli del 1999, riflette una riduzione (rispettivamente 76,1% e 9,7%), per il 7,5% come società
del saldo commerciale (esportazioni meno importazioni) di capitale e per il 6,6% come società cooperative.
con l’estero, che rimane comunque positivo e pari a po- Il settore raccoglieva nel 2000 il 6,5% degli addetti totali
co più di 12 milioni di euro, non compensato dalle fonti dell’industria in senso stretto (3.699 occupati), ponendo-
di domanda interne. La quota delle esportazioni sul fat- si al settimo posto nella graduatoria regionale. È costi-
turato continua a oscillare intorno al 60%. A guidare le tuito prevalentemente da piccole imprese (micro impre-
esportazioni nel settore sono la Lombardia (31,6%), il Ve- se secondo la classificazione UE), con una dimensione
neto (17,3%), la Toscana (17,2%) e il Piemonte (11,1%). media pari a 3,8 unità di lavoro. All’interno esistono delle
Con una quota dello 0,07% la Sardegna si colloca al differenze significative a seconda del tipo di produzione.
terz’ultimo posto della graduatoria regionale, seguita da La dimensione media nell’abbigliamento (2,4) e nelle cal-
705
Basilicata e Valle d’Aosta. zature (1,8) rispecchia un’organizzazione di tipo artigia-
lascerebbero fuori almeno tre importanti gruppi di atti- ni del sistema delle confezioni e si conclude con alcune Sul piano qualitativo è importante segnalare come i cedi- nale mentre nel tessile raggiunge un valore di 6,8 addetti
vità: quelle integrate col ciclo produttivo del tessile-ab- osservazione sulle politiche economiche rivolte al raffor- menti descritti siano da addebitare non solo alle debo- come riflesso della presenza delle uniche realtà industria-
bigliamento (produzione di bottoni, accessori, cerniere zamento degli elementi positivi emersi negli ultimi anni. lezze del quadro macroeconomico interno ed esterno, li del settore. Dal 1996 al 2000 il profilo complessivo del
ecc.) o affini a quest’ultimo (produzione di profumi, ma anche «all’apprezzamento dell’euro che ha ridotto la settore in termini di addetti è rimasto pressoché inaltera-
gioielli, occhiali); quelle riguardanti la distribuzione dei L’industria della moda in Sardegna: struttura competitività delle merci italiane in segmenti di mercato, to, mentre è aumentato leggermente il numero di impre-
prodotti del TAC; quelle relative alla congerie di iniziati- produttiva e analisi finanziaria anche di fascia media, ormai molto sensibili a fattori di se. Nel biennio 1997-98 al calo nel numero di imprese
ve che ruotano intorno al fenomeno moda (showroom, Prima di addentrarci nell’analisi riguardante la Sardegna, prezzo e sempre meglio presidiati dall’offerta dei paesi del comparto industriale del tessile si è accompagnato un
sfilate, editoria specializzata ecc.). Se invece l’analisi è opportuno riassumere gli elementi principali che carat- emergenti».11 I riflessi negativi sono stati più pronunciati incremento dell’occupazione nelle produzioni a carattere
vuole approfondire la situazione a valle della filiera tes- terizzano oggi il settore moda a livello internazionale e nell’industria tessile e nell’abbigliamento-maglieria-calzet- prevalentemente artigianale.
sile, come nell’interessante ricerca del CIRIEC per la Re- nazionale. Da un lato si registra un andamento congiun- teria, ma all’interno di ciascun comparto «le performance
gione Toscana,8 allora si possono omettere le imprese turale sfavorevole, con riduzione degli scambi commer- delle imprese terziste e, in generale, di quelle con le più 4000
produttrici di beni intermedi, le industrie tessili e quelle ciali internazionali, dovuto in gran parte alle vicende del- deboli relazioni di filiera sono risultate le peggiori».12 3500
conciarie. l’economia americana e ai suoi riflessi sulle economie dei Giova ricordare che nel Paese vi sono circa 15 distretti a 3.644 3.566 3.664 3.626 3.699
3000
Nel nostro caso l’obbiettivo è quello di documentare paesi collegati; dall’altro lato, come conseguenza dei pro- prevalente specializzazione nella filiera del tessile-abbi-
l’evoluzione del settore nel suo complesso, così da poter cessi di integrazione economica mondiale, si assiste alla gliamento. Alla loro omogeneità interna si contrappone 2500
disporre di una cornice di riferimento dentro la quale in- crescita impetuosa delle quote di mercato di alcuni paesi la diversità dei rispettivi sistemi produttivi, evidente an- 2000
terpretare il recente fermento che ha interessato più da in via di sviluppo e in particolare della Cina. Secondo la che a livello provinciale e regionale, in termini di pro- 1500
vicino il comparto dell’abbigliamento. Con ciò intendia- Banca Mondiale, quest’ultima vedrebbe salire la propria pensione all’export, presenza di grandi imprese e utilizzo 1000
mo sia l’affacciarsi sulla scena internazionale di alcuni quota complessiva di mercato dall’attuale 20% al 50% en- di marchi propri. Sul piano dimensionale, l’intero settore 500 897 885 864 898 967
stilisti il cui lavoro affonda le radici nella cultura locale, tro il 2010. A conferma di ciò le più recenti statistiche del è caratterizzato da una forte presenza di imprese micro
0
sia l’apparente maggiore dinamismo di un certo numero WTO relative alle quote mondiali di esportazioni nel set- (meno di 10 addetti) e piccole (10-50 addetti), con un’in- 1996 1997 1998 1999 2000
di laboratori che operano nel campo delle confezioni tore abbigliamento nel 2001 indicano per la Cina il 18,8% cidenza occupazionale, al Censimento intermedio 1996,
tradizionali. Il lavoro, pertanto, si apre con un’analisi del e per l’Unione Europea il 24,1%. L’Italia, fra il 1990 e il pari rispettivamente al 26% e al 44% del totale di settore. Imprese Addetti
TAC in Sardegna alla luce dei dati più aggiornati (il quin- Le stesse classi dimensionali nel settore manifatturiero in-
quennio 1996-2000), prosegue con un approfondimento cidono in misura pari al 24,9% e al 31,7%. È infine inte- Tav. 1 - Imprese e Addetti del TAC, 1996-2000 (fonte: Elaborazioni
riguardante una selezione ragionata di imprese e artigia- 705. Sartoria Modolo, interno del laboratorio, Orani, 2003. ressante notare che l’industria della moda è presente nel su dati Annuario Statistico 2003 - Osservatorio Industriale).

450 451
10,0
Il comparto tessile chiude mediamente i propri bilanci I primi due (a,b), in particolare nell’ultimo triennio, ci
80,0 72,6
in perdita. Il 21% del valore aggiunto è assorbito dai restituiscono un quadro preoccupante. L’impresa tipica
8,0 creditori, l’1,3% dallo Stato per imposte e tasse e circa il 60,0 stenta ad aumentare la propria presenza sul mercato
7,7
6,0 74,5% è utilizzato per la remunerazione degli addetti 40,0 (variazioni del fatturato modeste o negative), è scarsa-
20,3 25,5
4,0 del comparto. Una parte del valore aggiunto rientra sot- mente dinamica (valore aggiunto calante) e, stando al-
20,0
2,7 3,9 2,0 to forma di ammortamenti per circa il 26,1%. -19,4 1,0 l’indicatore relativo alla crescita globale del patrimonio
2,0 0,0 di proprietà degli azionisti, vive una fase di staziona-
0,0 -20,0 rietà/regresso. Il rapporto fra risultato netto e capitale
-1,3 74,5 Utile netto Interessi Ammortamenti Retribuzioni Imposte
-1,0 80,0 -40,0 proprio (ROE) e fra reddito operativo e capitale investi-
-2,0 d’esercizio passivi materiali e al personale e tasse
-2,1 -2,4 60,0 immateriali lorde to (ROI), che esprimono rispettivamente il grado di re-
-4,0 munerazione del rischio effettivamente sostenuto dal-
40,0 26,1
Imprese Addetti 21,0 l’imprenditore (da confrontare in equilibrio con un tasso
20,0
1,3 -22,9 TAV. 6 - INDICATORI DI BILANCIO MEDIANI (PANEL OSSERVATORIO INDUSTRIALE) privo di rischio) e la capacità di produrre reddito a pre-
Tav. 2 - Variazioni percentuali 1996-2000 (fonte: Elaborazioni 0,0 ANNI scindere dalla struttura finanziaria (da valutare alla luce
su dati Annuario Statistico 2003 - Osservatorio Industriale). INDICI MEDIANI 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
-20,0 del costo medio del danaro) assumono, anche tenendo
a) Sviluppo
-40,0 Oneri Imposte Costo del Ammortamenti Utile o conto di alcune peculiarità del contesto locale che com-
finanziari Lavoro perdita netta Variazione fatturato 13,0 7,3 -2,0 5,4 1,1 -10,6 0,1
Per valutare lo stato di salute del settore dal punto di vi- portano la sottostima degli utili contabili, valori estrema-
dell’esercizio Variazione valore aggiunto 11,1 9,1 -6,2 6,6 -1,0 -1,4 -3,1
sta economico e finanziario sarebbe necessario disporre Variazione Capitale Netto 2,9 0,6 0,0 3,6 0,0 0,4 -3,6
mente modesti. Dato che il ROI è influenzato dal margi-
dei bilanci di esercizio di tutte le imprese censite, ma b) Redditività ne sulle vendite (ROS) e dal volume di queste ultime
Tav. 4 - Distribuzione media del valore aggiunto tra i fattori primari
ciò non è possibile. Tuttavia, grazie alle informazioni 1994-2001 (fonte: Elaborazioni su dati Annuario Statistico 2003 - ROE (Return on Equity) 0,5 4,3 0,0 0,2 0,0 0,0 -1,2 (Turnover), non stupisce che anche questi indicatori as-
dell’Archivio Bilanci dell’Osservatorio Industriale, siamo Osservatorio Industriale). ROI (Return on Investment) 2,0 3,3 1,1 1,5 1,0 0,0 0,0 sumano valori molto contenuti.
in grado di ricostruire per gli anni 1994-2001 l’andamen- ROS (Return on Sales) 1,7 4,4 1,2 0,7 1,9 0,0 0,0 È interessante valutare gli indicatori di produttività (c),
to di un gruppo particolare di imprese appartenenti al I dati della tav. 5, relativi a fatturato e valore aggiunto, Turnover 0,8 0,8 0,7 0,7 0,6 0,6 0,5 che dipendono sia da scelte interne all’impresa sia da fat-
settore. Si tratta in pratica di 37 società di capitale con mostrano un andamento altalenante: con un picco nel Valore aggiunto su attività 26,7 27,4 23,0 23,0 21,9 15,7 15,5 tori ambientali che non ricadono sotto il suo controllo, in
Oneri Finanziari su Fatturato 3,0 3,5 3,6 4,3 3,8 3,1 3,1
l’obbligo del deposito di bilancio, 23 fra Srl ed Spa e 14 periodo 1996-97, un calo nei due anni successivi e un rapporto alla media regionale. Il valore aggiunto per ad-
c) Produttività
cooperative, per un totale medio di 1.251 addetti nel pe- accenno recente di ripresa. L’andamento a livello aggre- detto si attesta su valori inferiori a quelli relativi al siste-
Valore aggiunto su
riodo considerato, che figurano nella speciale graduato- gato è trainato dai risultati del settore del trattamento Costo del lavoro
1,2 1,4 1,2 1,1 1,3 1,2 1,1 ma, (8-15 migliaia di euro nel comparto tessile contro 25-
ria delle imprese guida operanti in Sardegna, ovvero di delle fibre tessili e nasconde un calo del settore abbi- Valore aggiunto per addetto
12,9 17,8 13,1 14,2 10,2 8,0 15,4
30 migliaia di euro per addetto del sistema Sardegna) così
quelle imprese che nella distribuzione statistica ordinata gliamento per tutto il periodo 1995-99, solo in parte (migliaia di euro) come il fatturato per addetto (17-42 migliaia di euro con-
Fatturato per addetto
in senso decrescente per fatturato e valore aggiunto si controbilanciato dai dati dell’ultimo triennio. (migliaia di euro)
33,1 42,0 24,5 28,0 20,9 17,1 31,3 tro 71-86 migliaia di euro per addetto per la Sardegna). Il
collocano fra il 100° e il 75° percentile. Costo del lavoro per addetto costo del lavoro per addetto è lievemente crescente dal
10,1 11,9 10,7 10,8 10,2 9,7 11,7
Sulla base del contributo al valore aggiunto dell’indu- (migliaia di euro) 1994 al 2000, mentre il cash flow per addetto mostra un
160.000 45.000
stria in senso stretto, il settore si colloca al quinto posto Cash flow per addetto
-0,3 1,3 0,3 -0,1 -0,2 -0,6 -1,6 andamento negativo tranne che nel 1995 e nel 1996.
140.000 40.000 (migliaia di euro)
della graduatoria regionale, con una media dell’8,9% ne- Infine, un rapido sguardo ad alcuni aspetti squisitamen-
120.000 35.000 d) Struttura dell’attivo e del passivo
gli 8 anni considerati. A questo risultato concorre preva- 30.000 Immobilizzazioni immateriali te finanziari, accanto a una certa rigidità della struttura
lentemente il trattamento delle fibre tessili (86,3%), men- 100.000 su Attivo
0,1 0,1 0,0 0,0 0,0 0,1 0,1
dell’attivo e alla quasi totale assenza di investimenti im-
25.000
tre l’abbigliamento partecipa per il restante 13,7%. 80.000 Immobilizzazioni materiali materiali, permette di evidenziare: un rapporto fra passi-
20.000 su Attivo
37,5 29,5 41,1 31,9 38,7 38,0 38,3
60.000 15.000 vità e capitale netto (leverage), indice del rischio finan-
Passività a BT su Passività 78,1 72,5 71,4 67,5 70,3 72,9 81,8
ABBIGLIAMENTO 13,7% 40.000 10.000 Passività a MLT su Passività 21,9 27,5 28,6 32,5 29,7 27,1 18,4
ziario dell’impresa, inferiore rispetto ai corrispondenti
20.000 5.000 e) Gestione circolante e liquidità valori regionali (dove le passività sono circa il triplo del
0 0 Disponibilità su Esigibilità 114,0 126,8 125,0 116,9 111,0 109,4 90,0 netto); un fragile equilibrio finanziario a breve, testimo-
1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 Rotazione crediti commerciali gg 73,9 73,0 75,1 66,9 81,8 162,3 136,6 niato dal cedimento del rapporto disponibilità ed esigi-
Valore aggiunto Fatturato Rotazione debiti commerciali gg 185,8 228,2 219,0 230,5 214,0 74,7 64,4 bilità (attività correnti/passività correnti); un andamento
Cash flow su Attività 5,0 9,9 3,6 0,0 1,1 -7,2 -0,4 molto variabile sia delle fonti di natura strutturale sia di
MOL su Oneri finanziari 2,9 2,5 1,9 2,2 2,2 2,1 2,1 quelle autogenerate.
Tav. 5 - Fatturato o valore aggiunto del Tessile e Abbigliamento f) Equilibrio delle fonti e degli impieghi - Liquidità

TRATTAMENTO FIBRE TESSILI 86,3% (fatturato scala di sinistra, v.a. scala di destra, milioni di Euro) Passività su Netto 1,9 1,8 2,3 1,8 1,9 1,3 1,4
(fonte: Elaborazioni su dati Annuario Statistico 2003 -
Tendenze attuali nel settore abbigliamento-moda
Cash flow su Totale fonti
Osservatorio Industriale). di liquidità
-0,8 6,4 0,7 -1,6 -1,2 -9,7 -2,9 Nelle sezioni precedenti abbiamo delineato lo scenario
Valore aggiunto ANNO Impieghi autogenerati CL
87,4 77,3 81,1 87,2 84,8 83,3 78,5
più ampio entro il quale, da alcuni anni a questa parte,
su Impieghi di liquidità
Contribuzione %
1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 media Rivolgendo ora l’attenzione agli equilibri economico-fi- si assiste in Sardegna a un evidente fermento nel campo
dei sottosettori Impieghi strutturali CL
nanziari, consideriamo gli indicatori riportati nella tav. 6, su Impieghi di liquidità
12,6 22,7 18,9 12,8 15,2 16,7 21,5 dell’abbigliamento/moda: una miscela di successi ecla-
ABBIGLIAMENTO 24,71 19,5 16,25 11,01 10,16 11,88 12,16 4,18 13,7
che fotografano l’impresa mediana (interpretabile come Fonti autogenerate CL tanti come quello dello stilista algherese Antonio Marras,
TRATT. FIBRE 89,5 87,5 83,5 85,2 87,9 63,5 79,2
TESSILI
75,29 80,4 83,75 88,99 89,84 88,12 87,84 95,82 86,3 l’impresa dal comportamento tipico in relazione all’uni- su Fonti di liquidità rilanci emblematici di attività sartoriali tradizionali come
verso considerato) sotto sei diversi profili. Inutile dire Fonti strutturali CL quella di Paolo Modolo, sviluppo di configurazioni di fi-
10,5 12,5 16,5 14,8 12,1 36,5 20,8
Totale 100 100 100 100 100 100 100 100 100 su Fonti di liquidità
che in un’analisi esaustiva questi andrebbero commentati liera come nell’area industriale di Tossilo-Macomer. Do-
Tav. 3 - Ripartizione del valore aggiunto fra i sottosettori (fonte: Elabo- in maniera coordinata. Qui possiamo darne solo una let- Tav. 6 - Indicatori di bilancio mediani (fonte: Elaborazioni su dati cumentare una congerie così eterogenea di casi è diffici-
razioni su dati Annuario Statistico 2003 - Osservatorio Industriale). tura veloce. Le imprese guida in Sardegna 2001 - Osservatorio Industriale). le sia perché mancano informazioni ufficiali sia per le

452 453
Tutti i sarti curano i propri capi nei dettagli per distin- riconoscendo che spesso sono i media a sottolineare
guerli dal prodotto di serie ed aumentarne il valore, e connotazioni etniche (vere o presunte) nelle collezioni
puntano su una clientela fedele che spesso necessita del degli stilisti sardi di successo. La “sardità” – insistono
capo su misura per problemi di vestibilità. Alcuni di loro molti operatori – è una cosa che abbiamo dentro e come
hanno fatto leva su questo segmento per attrarre anche tale non deve essere citata forzatamente, perché fa co-
una clientela che sceglie la moda su misura pur avendo munque parte di noi. Se in alcuni casi le loro creazioni
alternative di tutti i prezzi e qualità; altri ritengono che la non sembrano confermare questa visione del problema
concorrenza di prezzo delle collezioni di serie sia insoste- (il richiamo ai segni più conclamati della cultura locale è
nibile salvo che per i capi una tantum, come l’abito da piuttosto diffuso), in altri il legame con la tradizione si
sposa, o quelli meno impegnativi, come le camicie, e che fonda soprattutto sull’uso di modelli, tecniche e materiali
la produzione sartoriale sia quindi destinata a scomparire. che derivano dall’evoluzione novecentesca dell’abito tra-
Nelle sartorie più moderne la produzione, con fasi di la- dizionale (la riproposizione del completo di velluto in
vorazione tutte interne all’impresa, prevede taglie stan- quanto “abito etnico” dei sardi).16
dard, modificabili su richiesta nei dettagli. La confezione Il settore delle confezioni di serie ha vita difficile e le
su misura in senso stretto non supera il 40%. Tutti gli in- imprese solide che producono con proprio marchio si
tervistati ritengono che non sia ipotizzabile la creazione contano sulle dita di una mano. Circa 20 altre aziende –
di una filiera e di comparti specializzati in Sardegna, per- tra confezioni e maglieria – producono interamente in
ché i volumi di produzione non lo consentono. I materiali conto terzi.
– dai tessuti ai bottoni alle cerniere lampo – vengono
dall’esterno dell’isola, specialmente quelli più eccentrici LA PRODUZIONE INDUSTRIALE DI ABBIGLIAMENTO IN SARDEGNA
rispetto ai trend di moda correnti. Acquistando al di sot-
Settore Numero di imprese
to del volume minimo richiesto dai fornitori (in genere
25-30 metri di tessuto) si va incontro a una maggiorazio- Confezioni 10
ne di prezzo di circa il 20%, alla quale si aggiungono le
Maglieria 5
spese di trasporto; accade così che si tenda ad acquista-
re più materiali di quelli necessari al momento, con evi- Intimo, mare, calzetteria 17
706
denti inefficienze nella gestione del magazzino.
Abbigliamento tecnico, moquettes ecc. 69
peculiarità delle attività considerate. Abbiamo dunque ti: quello dei sarti e/o stilisti, dove troviamo essenzial- La maggior parte delle sartorie si rivolge al mercato loca-
optato per una serie di interviste, effettuate nell’ottobre mente microimprese artigiane totalmente dipendenti le e vende direttamente al cliente finale, con una base di TOTALE 101
2003, tramite un questionario strutturato (incentrato su dalla fama e personalità del titolare; quello dei confezio- vendita che va dai cento ai settecento clienti regolari. In
struttura aziendale, tecnologia, legami col territorio e con nisti dove operano imprese di dimensioni medie, carat- alcuni casi economicamente significativi, tuttavia, circa la (fonte: Consorzio 21, Officina Tessile Polaris).
la tradizione) somministrato a un sottoinsieme di trenta terizzato da strutture industriali più articolate. metà della produzione si divide fra Italia ed estero.
operatori rappresentativi dei comparti sartoria e confe- Il primo gruppo è presente in tutto il territorio, anche nei Il fatturato delle sartorie del capoluogo si inquadra me-
zione industriale. Non abbiamo invece considerato i casi villaggi più piccoli.15 Si tratta di artigiani della confezione diamente tra i 100-250 mila euro all’anno. Nelle sartorie La concorrenza dei distretti industriali italiani e stranieri
eccezionali e idiosincratici, per altri versi straordinaria- che operano su scala estremamente ridotta con la forma più piccole la reticenza a divulgare gli aspetti contabili non è facilmente sostenibile sia per la distanza dei mer-
mente importanti, di stilisti quali Antonio Marras e Angelo societaria prevalente di ditta individuale oppure di picco- non consente alcuna stima. cati sia per i limiti dell’organizzazione produttiva. Tutte
Figus, dei quali soltanto il primo mantiene un significati- la cooperativa. Alcuni sarti locali sono stati capaci di cre- Le sartorie utilizzano generalmente macchinari a basso le imprese contattate sottolineano il problema della fram-
vo rapporto economico col territorio, attraverso la realiz- scere professionalmente e rimanere innovativi, creando contenuto tecnologico, evitando le procedure compute- mentazione produttiva e dei fallimenti dei tentativi volti a
zazione – accanto alle collezioni disegnate per Kenzo aziende che impiegano intorno ai 10 dipendenti e che rizzate, salvo che per la gestione amministrativa e le re- conseguire una maggiore coesione. Poiché nel comparto
(Parigi) e per BVM (Bologna) – di una linea in serie limi- partecipano ad eventi di spicco regionali e nazionali. Al- lazioni esterne. I contatti personali e la partecipazione a gli impianti industriali sono più sofisticati, la produzione
tata prodotta ad Alghero con personale locale e tecniche tri hanno acquisito fama perché tramandano tecniche eventi di settore costituiscono ancora i principali mezzi totalmente standardizzata, la specializzazione intensa, è
semiartigianali.14 e/o fogge tradizionali che vanno scomparendo – è il ca- per estendere l’attività. evidente che il gap di idee (anche di quelle sottese alle
Preliminarmente ricordiamo che la produzione di capi so dei completi in velluto dei laboratori Modolo e Papas- Il comparto sartoria è molto attivo nella formazione: tutti politiche pubbliche) costituisce forse l’aspetto più pro-
di abbigliamento in Sardegna è una attività minoritaria, i sedda ma anche del macramè di Daniela Langione e dei gli intervistati sono impegnati in iniziative formative e di blematico. Fa eccezione il caso dell’area di Tossilo-Ma-
cui volumi di produzione sono molto bassi. Ciò impedi- ricami delle sorelle Piredda. La maggior parte dei sarti aggiornamento, la cui qualità è tuttavia universalmente comer, dove a parte le fasi di design e di progettazione
sce il formarsi di una filiera, di una rete densa e articola- continua un’attività classica di taglio e confezione su mi- criticata. Molti sottolineano come la formazione del per- – sviluppate all’esterno – esiste una significativa integra-
ta di rapporti di fornitura fra le imprese attive nel setto- sura. Quanti hanno scelto di utilizzare nel loro lavoro sonale avvenga comunque sempre nell’azienda, soprat- zione verticale nello svolgimento delle operazioni di
re. La tendenza prevalente è quella di svolgere in seno tessuti realizzati artigianalmente sul territorio hanno avu- tutto col ricorso ai contratti di formazione-lavoro. La du- campionatura e raccolta ordini, da una parte e di stiratu-
all’azienda tutte le fasi di produzione. Altra conseguenza to modo di constatare come gli artigiani (soprattutto le rata dei contratti, ritenuta insufficiente, e la suddivisione ra, confezione e imbustamento dall’altra.
dei bassi volumi è la scarsità di materiali nel mercato lo- donne) non attribuiscano un valore economico primario delle ore fra teoria e pratica al loro interno ostacolano Contrariamente ai sarti, i confezionisti usano le nuove
cale: i fornitori italiani non trovano conveniente battere alla propria attività: la produzione artigiana viene messa tuttavia una piena efficacia di questo strumento. tecnologie anche per la modellistica ed il taglio e utilizza-
la piazza sarda, in quanto gli acquisti tendono ad essere in secondo piano se gli impegni familiari lo domandano, Il richiamo a una generica “sardità” è stato indicato co- no internet per comunicare con fornitori e clienti. L’uso
inferiori al minimo richiesto per la vendita, e i cataloghi rendendo così difficile programmare i volumi di produ- me fonte di ispirazione primaria dalla maggior parte de- efficiente delle tecnologie trova però un grosso limite nel-
non vengono rinnovati se all’invio iniziale non fa segui- zione e sviluppare percorsi innovativi che richiedono im- gli intervistati; al tempo stesso, praticamente tutti si di- la mancanza, in loco, di figure professionali specializzate
to alcun acquisto. pegno costante. chiarano poco entusiasti di un recupero di temi e motivi (per esempio scarseggia la figura del modellista e dell’as-
In questo contesto è più accurato parlare di settore del- della tradizione sarda basato su stereotipi ricorrenti (cul- sistente tecnico ai macchinari). Ciò tende anche a mitiga-
l’abbigliamento in Sardegna avendo in mente due ambi- 706. Sartoria Papassedda, interno del laboratorio, Orune, 2003. tura agro-pastorale, ricordi della preistoria nuragica), pur re il reclutamento. Raramente le aziende superano i 60

454 455
impiegati. Molte di esse, inoltre, non hanno un incenti- moda da elementi culturali le cui dinamiche trascendo- Bibliografia
vo a lasciare lo status di aziende artigiane per quello di no la sfera di influenza degli operatori individuali.
imprese industriali: godono di maggiore flessibilità con- Affinché un settore costituito da monadi arroccate (ma
trattuale, hanno un migliore accesso agli incentivi pub- meritevole di attenzione, non foss’altro per la capacità
blici, e di conseguenza una gestione più leggera. Que- mostrata da alcune di esse di rispondere ai segnali del
sto porta a contenere il numero di addetti regolari entro mercato) possa crescere ed assumere un rilievo economi-
il limite di 15 previsto dalla normativa sull’artigianato. co significativo è dunque fondamentale un intervento
La maggior parte delle aziende sarde producono in conto pubblico lungimirante, non circoscritto a rimuovere i limi-
terzi, e non hanno perciò contatti diretti con la distribu- ti evidenziati dagli artigiani (per esempio formazione, co-
zione. Per i produttori a marca propria il controllo della sti di trasporto, trasmissione delle competenze ecc.) ma
distribuzione e dei punti vendita diventa importantissimo rivolto a rafforzare quegli elementi della cultura locale
proprio quando i mercati, come nell’attuale fase congiun- che da un lato ne promuovono l’immagine all’esterno,
turale, non sono in grado di sostenere le vendite. Come dall’altro ne salvaguardano gli aspetti meno banali e ste-
testimonia l’esperienza dei tre principali confezionisti a reotipi. Un precedente in questo senso è offerto, per il 1550 Statistico, Commerciale degli Stati di S.M. il Re Lipsia 1869; trad. it. di G. Prunas Tola, Il baro-
marca propria della Sardegna, la possibilità di controllare settore tessile come per altri comparti produttivi artigiana- S. Arquer, “Sardiniae brevis historta et descrip- di Sardegna, Torino 1833-56. ne di Maltzan in Sardegna, Milano 1886.
la distribuzione e spingere i propri prodotti mediante le li, dall’esperienza svolta dall’ISOLA sotto la guida di Eu- tio”, in Munster, Cosmographia, Basilea 1550.
giuste collocazioni in vetrina e in sala è cruciale. genio Tavolara a cavallo fra gli anni Cinquanta e i Sessan- 1841 1877
ta. Una felice combinazione di know-how artigianale e 1776 B. Luciano, Cenni sulla Sardegna, Torino 1841. C. Corbetta, Sardegna e Corsica, Milano 1877.
Conclusioni competenze progettuali di alto profilo riuscì in quegli an- F. Gemelli, Rifiorimento della Sardegna pro-
L’interrogativo principale cui questo lavoro intendeva ni a creare un’immagine della Sardegna ricca di spessore posto nel miglioramento della sua agricoltura, 1849 1878
Torino 1776.
dare risposta riguardava le cause dell’attuale fervore che culturale, ma anche di richiamo commerciale. Produzioni J.W. Tyndale, The Island of Sardinia including Il Buonumore, a. IV, Cagliari 1878.
caratterizza il comparto dell’abbigliamento-moda in Sar- a forte connotazione identitaria come quelle del settore pictures of the manners and customs of the
1780 Sardinians, and notes on the antiquities and
degna. A tal fine, dopo aver ricostruito il quadro econo- abbigliamento sentono oggi il bisogno di un retroterra di J. Fuos, Nachrichten aus Sardinien von der ge- modern objects in the island: to wich is added 1881
mico entro cui collocare il fenomeno, abbiamo svolto questo tipo, anche per contrastare l’immagine al momen- genwärtigen. Verfassung dieser Insel, Leipzig some account of the house of Savoy, London P.E. Guarnerio, “Le donne della Barbagia in
un’indagine riguardante quattro aspetti critici dell’attività to vincente di un paradiso balneare dorato quanto privo 1780; trad. it. di P. Gastaldi Millelire, La Sarde- 1849, voll. 3; trad. it. e cura di L. Artizzu, L’iso- Sardegna secondo Dante e i suoi commentato-
gna nel 1773-1776 descritta da un contempo- la di Sardegna, Nuoro 2002, voll. 2. ri”, in Nuovi Goliardi, a. I, Milano, 3 settembre
delle imprese operanti nei comparti della sartoria e della di caratterizzazione. Ma proprio il carattere indiretto e raneo, Cagliari 1899; riedito a cura di G. An- 1881.
confezione industriale. La ricerca ha messo in luce il fat- pervasivo di queste forme di intervento le rende partico- gioni, Notizie dalla Sardegna, Nuoro 2000.
1850
to che lo sviluppo osservato è il risultato di un adegua- larmente difficili da mettere in pratica. 1888
A. Bresciani, Dei costumi dell’isola di Sarde-
mento creativo alle trasformazioni della domanda cui 1792 gna comparati cogli antichissimi popoli orien- G. Serafino, Ricordi della Sardegna, Torino
però non corrisponde, oggi, un’evoluzione coerente del- M. Madao, Dissertazioni storiche, apologetiche, tali, voll. I-II, Napoli 1850; riedito a cura di B. 1888.
critiche delle sarde antichità, Cagliari 1792. Caltagirone, Nuoro 2001.
l’organizzazione produttiva. Ciò è tanto più importante
se si considera l’estrema volubilità della domanda e la 1889
1805 1855
sempre più breve vita commerciale dei prodotti in que- Note E. Delessert, Six semaines dans l’île de Sardai-
T. Bazzi, In Barbagia, Treviglio 1889.
sto settore. Sono pochi gli operatori che hanno mostrato G.M. Mameli de’ Mannelli, Le costituzioni di A. Cionini, “Ricordi di Sardegna: un viaggio in
Eleonora giudicessa d’Arborea intitolate “Carta gne, Paris 1855.
consapevolezza di ciò o che, avendola, sembrano deter- 1. P. Romer 1993. Ogliastra”, in L’Illustrazione Italiana, a. XVI,
de Logu”, Roma 1805. n. 46, 1889, pp. 321-324.
minati a perseguire i cambiamenti necessari, la cui at- 2. A. Sassu, S. Lodde 2003.
1864 G.L. De Villa, La Barbagia e i barbaricini in
tuazione non è peraltro agevole né scontata. Se infatti si 3. G. Becattini 1987. 1825 A. Murru, Istruzione sulla coltivazione del co- Sardegna, Cagliari 1889.
desidera mantenere quella prerogativa artigianale cui il 4. S. Brusco 1989. J.F. Mimaut, Histoire de Sardaigne sur le Sar- tone in Sardegna, Cagliari 1864.
prodotto deve il suo successo iniziale si deve rinunciare 5. Vedi: V. Dettori 1986; S. Domeneghetti 1997; L. Milani 1990. daigne ancienne et moderne considerée dans G. Spano, “Antichità della mastruca sarda”, in 1892
ad un rilevante sviluppo dei volumi di produzione. ses lois, sa topographie, ses productions et ses Bullettino Archeologico Sardo, Cagliari 1864,
6. Sugli esiti di tali interventi non possiamo soffermarci, per cui si riman- moeurs, Paris 1825, voll. 2. G. Deledda, “Gonare: usi e costumi sardi”, in
da, oltre che ai lavori appena citati, a L. Cannari, S. Chiri 2000; R. Paci, F. pp. 149-151.
Come indicano molte storie di successo in un settore Vita Sarda, vol. II, Cagliari 1892, n. 19, pp. 2-4;
Pigliaru e M. Vannini, Il ritardo economico della Sardegna. Ipotesi inter- n. 20, pp. 3-4; n. 22, p. 8; n. 23, p. 5.
solo apparentemente lontano da quello della moda, pretative e strategie di intervento, dattiloscritto, Regione Autonoma della 1826 1865
quello enologico, è possibile trovare un punto di equi- Sardegna, Cagliari 1995.
A. della Marmora, Atlas de Voyage en Sardai- A. Boullier, L’île de Sardaigne, description, hi- 1893
librio fra queste opposte esigenze solo attraverso una 7. H. Lab 2001. gne, Paris 1826. stoire, statistique, moeurs, état social, Paris 1865.
costante opera di diversificazione delle proposte e di 8. CIRIEC, Il Sistema Moda in Toscana: un’analisi comparata degli sce- A. della Marmora, Voyage en Sardaigne, Paris G. Chiesi, In Sardegna, Bergamo 1893.
miglioramento dei processi produttivi. Ciò può avvenire nari competitivi e della domanda di lavoro, 1998. 1826. G. Vuillier, Les îles oubliées: les Baleares, la Cor-
1867 se et la Sardaigne, impressions de voyage, Paris
in vari modi: reinventando vecchi processi, utilizzando 9. H. Lab 2001.
P. Dettori, Descrizione, usi e costumi di Pozzo- 1893; trad. it. di M. Maulu, Le isole dimenticate.
tecniche più sofisticate, intensificando la qualità della 10. Cfr. Sistema Moda Italia, “La filiera tessile-abbigliamento-moda ita- 1827 maggiore villaggio della Sardegna, Roma 1867. La Sardegna, prefazione di A. Romagnino,
liana”, in Nota Congiunturale, settembre 2003. Nuoro 2002.
formazione, ricercando forme inedite di collaborazione, S. De Saint-Severin, Souvenirs d’un séjour en E. Domenech, Bergers et bandits. Souvenirs
11. Sistema Moda Italia, “La filiera tessile-abbigliamento-moda italiana” Sardaigne pendant les années 1821 et 1822 ou d’un voyage en Sardaigne, Paris 1867; trad. it. di
ideando nuove strategie di marketing. In altre parole cit., p. 2. notice sur cette île, Lyon 1827. R. Carta Raspi, Pastori e banditi, Cagliari 1930. 1896
organizzandosi al meglio per cogliere le opportunità of- 12. Sistema Moda Italia, “La filiera tessile-abbigliamento-moda italiana”,
ferte dalle caratteristiche dei consumatori postindustria- A. Cionini, La Sardegna, Parma 1896.
cit., p. 3. 1828 1869
li. Chiedere all’artigiano di accollarsi da solo gli investi- 13. Per una ricostruzione di alcuni profili storico-economici vedi ad P. Pinelli, Raccolta di costumi italiani, i più in- A. De Gubernàtis, Storia comparata degli usi 1897
menti che questo obbiettivo richiede è velleitario (ma esempio: M.L di Felice, L. Sanna, G. Sapelli 1997; S. Ruju 1988. teressanti, Roma 1828. nuziali in Italia, Milano 1869.
può succedere, come è accaduto recentemente in altre 14. G. Altea, A. Borgogelli 2003. G. Calvia, “Fregi di lavori femminili in Sarde-
P. Mantegazza, Paesaggi e profili della Sarde- gna (Logudoro)”, in Archivio per lo Studio
aree del Meridione). Nel caso specifico della Sardegna, 15. Per una mappa dell’abito in velluto vedi: U. Cocco, G. Marras 2000. 1833 gna, Milano 1869. delle tradizioni popolari italiane, XVI, 1897,
inoltre, occorre riconoscere il ruolo cruciale svolto nella 16. U. Cocco, G. Marras 2000. G. Casalis, Dizionario Geografico, Storico, H. von Maltzan, Reise auf der Insel Sardinien, pp. 181-189.

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