Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
italianizzato come Chenia o Kenia[5], è uno Stato dell'Africa orientale, confinante a nord
con Etiopia e Sudan del Sud, a sud con la Tanzania, a ovest con l'Uganda, a nord-est con
la Somalia e bagnato ad est dall'oceano Indiano. Nairobi ne è la capitale e la città più grande.
Numerose città costiere del Kenya furono fondate dagli arabi che, a partire dal XII secolo d.C.,
intrattennero intensi rapporti commerciali con i gruppi indigeni. Dall'incontro tra i due popoli
nacque la cultura swahili, contraddistinta da due elementi di unificazione: la lingua kiswahili e
la religione islamica.
Gli agricoltori kĩkũyũ, etnia del gruppo bantu, rappresentarono subito il gruppo più potente e
numeroso del territorio; la loro supremazia non fu mai messa in discussione dai masai come
vorrebbe la tradizione popolare. I Masai sono un popolo nilota che arrivò nell'odierno Kenya
nel XVII secolo, per occupare il loro territorio attuale verso il 1750. Questa data è ottenuta
contando a ritroso i gruppi di iniziazione, i cui nomi sono ricordati oralmente senza eccezioni da
tutti i clan Masai. Furono i kamba, popolazione agricola interposta tra la costa e il centro del
paese, ad utilizzare storie sulla presunta ferocia dei Masai per evitare che troppe carovane di
mercanti raggiungessero l'interno, togliendo loro il ruolo di mediatori nei commerci tra la costa e
le regioni interne.
In quel periodo i portoghesi occuparono alcune località della costa, ma in seguito vennero
soppiantati dai sultani omaniti di Zanzibar. La presenza degli europei si intensificò alla fine del
XIX secolo, quando il Kenya divenne una colonia britannica. I bianchi scacciarono gli indigeni dai
fertili altopiani dell'interno, avviando l'agricoltura di piantagione. I kĩkũyũ vennero impiegati nelle
belle fattorie disseminate sul territorio e diedero un importante contributo alla crescita economica
del Paese. I kamba vennero spinti ad arruolarsi e dar vita al nascente esercito. I luya vennero
solitamente impiegati in lavori domestici e artigianato. Dando ad ogni etnia un ruolo diverso, i
coloni inglesi applicarono la legge del divide et impera usata in tutti i paesi africani sotto il loro
dominio. Questa divisione è visibile ancor oggi nella società keniota.
Nel secondo dopoguerra i kĩkũyũ lottarono aspramente per conquistare l'indipendenza (molti di
loro parteciparono alla celebre rivolta dei Mau-Mau). L'indipendenza fu ottenuta il 12
dicembre 1963 e le elezioni di quell'anno portarono Jomo Kenyatta, uno dei leader
indipendentisti, alla presidenza del paese. Kenyatta promosse una politica moderata e
filoccidentale, realizzando importanti riforme economiche e politiche che permisero la
modernizzazione e l'industrializzazione del paese; inoltre rimase in buoni rapporti con la Gran
Bretagna e con le nazioni confinanti.
Nel 1978, alla morte di Kenyatta, fu eletto presidente Daniel Arap Moi che proseguì la politica del
suo predecessore; nel 1982 approfittando di un fallito golpe da parte dell'esercito, Moi riuscì a
consolidare il proprio potere, perseguitando come traditori i suoi oppositori politici e introducendo
nel paese il monopartitismo.
Con la fine della guerra fredda, il mondo occidentale cominciò a condannare i metodi dispotici e
polizieschi del governo di Moi, che, messo alle strette dalla minaccia di sospendere gli aiuti
economici, reintrodusse nel paese il multipartitismo: tuttavia, grazie alla disorganizzazione delle
forze d'opposizione, che non riuscirono a trovare un accordo sul proprio candidato, Moi fu
confermato alla presidenza sia nelle elezioni generali del 1992 sia in quelle del 1997.
Alle elezioni generali del 2002 Moi non si presentò come candidato perché costituzionalmente
proibito, segnando di fatto il crollo del proprio regime dopo 24 anni di dominio: il nuovo
presidente fu Mwai Kibaki che avrebbe avuto l'incarico di risollevare le sorti del Kenya.
Le elezioni generali del 2007, però, furono segnate da un'esplosione di violenza etnica che
proseguì anche dopo la proclamazione di stretta misura della vittoria del partito del presidente
uscente: solo grazie alla mediazione di Kofi Annan[6] si giunse ad un armistizio tra le fazioni, con
l'intesa che il presidente Kibaki ed il suo principale rivale Odinga governassero insieme:
quest'ultimo è stato quindi nominato primo ministro, carica neoistituita e successivamente
abolita.
Le successive elezioni generali del 2013 sono state vinte da Uhuru Kenyatta, figlio di Jomo
Kenyatta. Il 2 aprile 2015 è avvenuta la Strage di Garissa, per mano del gruppo islamista di Al-
Shabaab.
Nelle elezioni dell'8 Agosto 2017 Uhuru Kenyatta sconfigge nuovamente Odinga[7] suscitando
proteste dall'opposizione che denunciano brogli. Il 1 settembre la Corte Suprema riscontrando
irregolarità nel voto ordinato una nuova consultazione entro 60 giorni[8]. Le elezioni si sono svolte
il 26 Ottobre 2017 e sono risultate nella vittoria di Kenyatta con il 98% dei voti.
La popolazione del Kenya (41.609.700 nel 2015) continua a crescere a ritmi elevati: nel giro di
vent'anni è pressoché raddoppiata e molto alta è la quota di popolazione giovane, con meno di
quindici anni. La densità demografica è elevata nella regione interna degli altopiani, mentre la
fascia costiera è poco abitata, fatta eccezione per la zona di Mombasa. Il tasso
di urbanizzazione è alto, con il 45% della popolazione radunata in zone urbane che si stanno
estendendo. La popolazione urbana si addensa soprattutto nelle città di Nairobi, la capitale, e di
Mombasa, città araba sulla costa.
Lingue niger-kordofaniane
Bantu
Kikuyu 8 milioni
Kamba 3.9 milioni
Ekegusii 2.12 milioni
Meru 1.74 milioni
Luhya
Pokomo
Kigiryama 0.62 milioni
Kiembu 0.43 milioni
Lingue nilo-sahariane
Lingue nilotiche
Luo 4.27 milioni
Nandi 1.6 milioni
Masai 0.59 milioni
Turkana 0.45 milioni
Prima della riforma costituzionale del 2010, l'organizzazione territoriale del Paese era basata su
una struttura a 5 livelli. La suddivisione di primo livello era costituita da
8 province(province in inglese); queste erano a loro volta suddivise in 71 distretti (district in
inglese, wilaya in swahili), suddivisi in 262 divisioni (division in inglese, tarafa in swahili), e le
divisioni suddivise in 2427 località (location in inglese, kata in swahili) suddivise ulteriormente in
6.612 sottolocalità (sublocation in inglese, kata ndogo in swahili).
La riforma costituzionale approvata nel 2010 ha invece disposto, al capitolo 11 ("Devolved
Government"), che l'unità amministrativa di primo livello sia contea (inglese county,
plurale counties). La riforma ha avuto pieno effetto con il County Governments Act nº 17 del
2012 e le successive elezioni generali del 2013; le 47 contee sono venute a coincidere, dal punto
di vista territoriale, con le subcontee. Ulteriori suddivisioni sono infine le aree urbane, i Ward, i
villaggi e le altre unità territoriali eventualmente disposte dal governo della contea[11].
1. Centrale 5. Nordorientale
2. Costiera 6. Nyanza
3. Orientale 7. Rift Valley
4. Nairobi 8. Occidentale
Le province, ancora usate come riferimento geografico, hanno perso i propri poteri amministrativi
a favore delle contee, che corrispondono a accorpamenti degli ex distretti.
I trasporti kenioti sono abbastanza sviluppati in tutte le zone abitate del Kenya, tramite mezzi di
trasporto pubblici e privati. La metropolitana è assente, mentre i filobus sono inesistenti in tutta
l'Africa. Discreta è la rete ferroviaria.