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Quando viviamo situazioni problematiche, di conflitto o di sofferenza, il più delle volte tendiamo a
cercare un "colpevole": ci chiediamo chi ha sbagliato, chi è in torto, chi deve cambiare. Questo
accade specialmente nelle relazioni (in particolar modo quelle sentimentali), ma anche a livello
politico, religioso o internazionale.
Ma il fatto è che, molto spesso, in queste situazioni nessuno ha realmente torto o ragione,
nessuno ha sbagliato (almeno intenzionalmente): quello che succede è che ognuno è diverso, ha
esigenze diverse, o vede le cose in modo diverso dall'altro. Il conflitto quindi nasce dalle differenze,
non da un errore oggettivo o da un torto reale:
non ha senso cercare un colpevole, perché nessuno ha colpa (cioè, nessuno sta creando il
conflitto intenzionalmente);
non serve a nulla decidere chi ha torto o ragione, perché ciascuno ha le sue ragioni per agire
in quel modo;
è inutile individuare chi è sbagliato o deve cambiare, perché nessuno è giusto o sbagliato, e
nessuno dovrebbe cambiare (se non per propria libera scelta).
Oppure, a volte semplicemente qualcosa va storto, senza che che le persone coinvolte abbiano
alcuna colpa, perché la vita va così: un imprevisto, un incidente, un evento naturale avverso. La vita
non è equa, e il mondo non è fatto per renderci felici (è uno dei motivi per cui, a volte, la sofferenza
è inevitabile).
Le esigenze contrastanti
La maggior parte dei conflitti nasce da bisogni o esigenze contrastanti: siccome siamo tutti
diversi, è del tutto normale volere cose diverse (anche nelle coppie più affiatate, o nelle comunità
più strette). E siccome tutti tendiamo a credere di avere ragione (vedi paragrafo successivo),
svalutiamo le esigenze altrui, o ci appaiono prive di senso.
Ma questo atteggiamento è simile a quello di un bambino che pesta i piedi, e pretende che il mondo
giri a modo suo. Quando sono gli altri a farlo con noi, li troviamo irragionevoli e oltremodo
irritanti; proviamo a ricordarlo, quando siamo noi a fare altrettanto e vogliamo "dettar legge" (come
ci ricorda una canzone degli anni '80, "Tutti vogliono governare il mondo" - "Everybody wants to
rule the world", Tears for Fears).
Uno dei maggiori ostacoli all'avere una prospettiva aperta alle esigenze altrui, è l'umana tendenza
a credere che la nostra personale opinione sia la migliore possibile, e/o che sia oggettivamente
giusta. In realtà:
I fatti possono essere oggettivamente giusti oppure sbagliati, le opinioni no: preferire il rosso
al verde, le donne agli uomini, la sicurezza alla libertà, sono solo inclinazioni personali e
soggettive.
Sui fatti oggettivi e dimostrabili si può arrivare a una posizione unanime (per esempio nelle
verità scientifiche), sulle opinioni ci sarà sempre diversità e discordia.
Quindi nessuna opinione è "giusta" o migliore in assoluto, ma è solo uno dei tanti possibili
modi di vedere le cose; lo dimostra il fatto che quasi sempre esiste una pluralità di opinioni,
e che queste cambiano nel tempo e nelle diverse culture.
Inoltre, la nostra opinione agisce da "filtro" che "colora" la realtà a seconda di quello che
crediamo; pensiamo di vedere la realtà per come è, in modo oggettivo, ma invece la
interpretiamo a seconda delle nostre convinzioni.
Questo accade anche perché tendiamo a fidarci delle nostre emozioni: quando sentiamo qualcosa di
potente dentro di noi, crediamo che indichi qualcosa di reale; diciamo "Me lo sento!" come se fosse
una prova concreta, invece di una pura sensazione. Come spiega anche Daniel Gilbert nel suo
libro "Stumbling on happiness" (ediz. italiana "Felici si diventa"), le nostre emozioni spesso ci
fuorviano: ci fanno credere cose improbabili o non vere, ci portano a fare scelte sbagliate, e/o
rafforzano i nostri pregiudizi e convinzioni.
Gran parte delle convinzioni comuni - come "Le donne dovrebbero...", "Gli uomini sono...", "Il
vero amore è...", così come quelle su etnie, religioni o sistemi politici - che molte persone vedono
come verità indubitabili, sono in realtà opinioni soggettive e arbitrarie, tanto è vero che sono
sempre mutevoli nel tempo e fra le varie nazioni.
Credere che la propria opinione sia la migliore, o addirittura l'unica accettabile, è il (tragico) errore
alla base di molte violenze, atti di terrorismo e guerre. Si tende a dividere le persone in due campi
opposti, quelli che sono "con me" e quelli che sono "contro di me", senza possibilità intermedie.
Si aggredisce chi non la pensa come noi, perché non si riconosce che la sua opinione - ancorché
diversa - può valere quanto la nostra, e lo si vede come una minaccia, un nemico della (nostra)
verità.
Un'altra convinzione che contribuisce a questo problema, è credere che esista una normalità
oggettiva, e chi non vi rientra sia in qualche modo sbagliato. In realtà quella che chiamiamo
"normalità" è semplicemente il comportamento più comune, o quello più tradizionale; ma tutto
questo cambia col tempo e nelle varie culture, quindi non vi è nulla di oggettivo. Quello che a noi
può sembrare disgustoso (per esempio mangiare insetti) altrove risulta delizioso; quello che oggi
vediamo come inaccettabile (p.es. la schiavitù o il genocidio) un tempo era considerato normale.
In altre parole, la normalità non esiste realmente, è solo un'idea arbitraria, e le persone che ci
sembrano "normali" lo sono solo perché non le conosciamo a fondo (visto da vicino, ognuno è un
microcosmo unico di complessità e contraddizioni).
Infine, ricordiamoci che già i Latini dicevano "De gustibus non est disputandum" ("I gusti non sono
argomento su cui dibattere"). Nel senso che è inutile discutere (per far cambiare idea agli altri) su
argomenti di preferenze personali od opinioni soggettive: ognuno vede le cose a modo suo, e
opinioni diverse non cambieranno ciò. Nel caso migliore, si può confrontare le diverse opinioni per
comprendere le altre ed allargare la propria visione; ma discutere per imporre la propria, sarà solo
fonte di scontri ed incomprensioni.
Quindi, quando ci scontriamo con posizioni ed opinioni diverse dalla nostra, non facciamoci
sedurre dalla convinzione di essere "nel giusto" e potere (o dovere) prevalere sull'altro. Piuttosto,
ricordiamoci che l'altro ha sicuramente delle ragioni per sostenere la sua posizione (anche se magari
non le ha chiare in mente), e cerchiamo di capirle; una volta compresa la sua posizione,
potremo mediare le diverse esigenze e cercare una soluzione accettabile per tutti.
Nel caso peggiore potremmo arrivare a capire che non ci sono soluzioni possibili (almeno al
momento); ma lo faremmo riconoscendo ad entrambi il diritto alla propria posizione, vedendo
l'altro come nostro pari, invece di vederlo come un nemico da sottomettere o annientare.
E questa sarebbe già una grande vittoria. :-)