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Giovanni Miccoli
* Storia della Shoah. La crisi dell'Europa e lo sterminio degli ebrei, a cura di M. Cattaruzza,
M. Flores, S. Levis Sullam, E. Traverso, Torino, Utet, 2005, pp. 1188.
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589 Una nuova <<Storia della Shoah>
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I non c'e per i popoli che un genere di grandi prove temporali, che sono le guerre
[...] Quando scoppia una grande guerra, una grande rivoluzione, una guerra di que
sto tipo, e che qualche grande razza ha bisogno di espandersi, ne ha abbastanza; in
particolare ne ha abbastanza delle pace. E che una grande massa prova un bisogno
violento, un bisogno misterioso di un grande movimento [...] un assalto di desiderio,
un profondissimo bisogno di gloria, di guerra, di storia che a un dato momento pren
de tutto un popolo, tutta una razza, e lo spinge a un'esplosione, a un'eruzione. Un mi
sterioso bisogno di fecondita storica. Un misterioso bisogno di iscrizione storica. Un
bisogno di iscrivere una grande storia nella storia universale [...] un bisogno di eroi
smo che ha preso tutta una generazione, la nostra, un bisogno di guerra, di guerra mi
litare, di gloria militare, un bisogno di sacrificio e perfino di martirio, forse, senza dub
bio, un bisogno di santita (p. 234).
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sioni>>, offerte dal contesto internazionale (e piu che mai si avverte a questo
riguardo la mancanza di un saggio specificamente dedicato alla conferenza di
Evian) e dalle condizioni di guerra. Entrambi gli aspetti sono messi in luce da
un passo famoso del diario di Goebbels del 27 marzo 1942:
[...] il Fiihrer e l'irremovibile propugnatore e interprete di una soluzione radicale (ri
guardo agli ebrei) che ci e offerta dalle circostanze e che percio appare inevitabile.
Grazie a Dio abbiamo ora durante le guerra una serie di possibilita che in tempo di
pace ci sarebbero precluse. Dobbiamo sfruttarle. I ghetti del Governatorato generale
che stanno rendendosi liberi verranno ora riempiti con gli ebrei deportati dal Reich,
e qui dopo un certo tempo il processo dovra ripetersi (cfr. p. 544).
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tico era stato avviato carica i loro capi di una pesante responsabilita, non vi e
dubbio d'altra parte che, nei piu, le scelte allora compiute corrispondevano
anche ad un tentativo di salvare il salvabile, realizzando forme di collabora
zione con le autorita tedesche che rendessero per dir cosi necessaria la so
pravvivenza di una parte almeno degli ebrei (tipica in questo senso la ?poli
tica produttivistica>> realizzata nel ghetto di Lodz, non a caso, forse anche per
questo, l'ultimo ad essere distrutto con i suoi abitanti nell'estate del 1944).
Credo in ogni caso che nell'affrontare tale questione valgano come premessa
dell'atteggiamento da assumere da parte di chi intende studiarne i diversi,
complessi aspetti, le considerazioni, opportunamente ricordate da Angrick,
che Gershom Scholem opponeva alle pesanti accuse mosse ai componenti di
quei consigli:
In alcuni Judenrdte v'erano persone spregevoli, in altri dei santi. Ho letto moltissimo
sugli uni e sugli altri. Vi appartenevano anche molte persone del tutto simili a noi, co
strette a prendere decisioni terribili in circostanze difficilmente ricostruibili a poste
riori. Non so se avessero ragione o torto. Ne ho la pretesa di giudicare. lo non c'ero
(p. 986).
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Resta comunque un saggio, questo sulla resistenza ebraica, che il suo stesso
oggetto rende di singolare spessore. Furono insurrezioni e rivolte infatti che
sapevano di non poter aspirare ad alcuna vittoria, cosi come i loro compo
nenti si sapevano votati quasi certamente alla morte. Le parole di Yitzhak
Zukermann, vicecomandante dell'insurrezione del ghetto di Varsavia, ne of
frono il significato profondo:
Non credo proprio sia necessario analizzare l'insurrezione in termini militari. Si trat
tava di una battaglia tra meno di un migliaio di persone e un esercito potente e bene
armato e nessuno nutriva il minimo dubbio su come sarebbe finita [...] Piuttosto, se
c'e qualcuno che vuol studiare I'animo umano, quegli eventi dovrebbero essere il suo
oggetto di studio ideale. La cosa veramente importante fu la forza dimostrata dai gio
vani ebrei, i quali dopo anni di sottomissione, sfidarono i loro carnefici e invece di mo
rire a Treblinka scelsero di morire nell'insurrezione. Non so se vi sia un metro per mi
surare tutto questo (p. 1031).
Tra i tanti aspetti e le molte questioni affrontate e discusse nel volume mi sof
fermero brevemente ancora su tre sohtanto: la questione dei luoghi che furo
no teatro della Shoah e dell'atteggiamento delle popolazioni tra le quali essa
fu messa in atto; il fatto della sua ?unicita>> tra i massacri e le tragedie che
punteggiano la storia degli uomini, cui nel volume viene agganciato il pro
blema del significato universale che essa assume (o dovrebbe assumere) nella
memoria dell'umanita; le ragioni infine e i termini per cui la Shoah costitui
sce un problema profondamente vivo anche nel nostro presente, non solo co
me memoria e monito ma anche per piu impellenti motivi.
Su cio che per I'attuazione e le modalita dello sterminio rappresenta il fatto
che esso si sia svolto in grandissima parte nei territori dell'Europa orientale
(Polonia, Paesi baltici, Ucraina, Bielorussia) si sofferma a lungo, e in pagine
per lo pi di grande efficacia, Omer Bartov della Brown University. Le con
dizioni e le situazioni che egli mette in luce corrispondono su scala piu am
pia e allargata a quanto gia Jan Gross, ne I carnefici della porta accanto, ave
va riscontrato rispetto alla cittadina polacca di Jedwabne: il fatto cioe che
azioni di sistematico massacro di comunita ebraiche videro la popolazione lo
cale talvolta precedere, spesso accompagnare e sostenere l'opera delle forze
di polizia tedesche e collaborazioniste, in forme di coinvolgimento e di par
tecipazione che ridimensionano drasticamente il concetto di <<spettatori pas
sivi>>. Si tratta di un campo di ricerca ancora largamente aperto, non solo sul
versante delle modalita di svolgimento e di attuazione di tali massacri, ma an
che in relazione alle profonde ripercussioni che tali modalita ebbero sulla me
moria, sull'assetto socio-economico e sul costume morale di quanti ne furono
in vario modo protagonisti, e tanto piu se si considera che circa meta delle
vittime della Shoah ebbero in varia misura le popolazioni locali partecipi o al
meno direttamente spettatrici. Ne deriva sin d'ora un quadro maggiormente
articolato, che senza attenuare le responsabilit'a primarie dei nazisti, attesta il
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Non riesco a seguire del tutto i due autori su questa strada: nel senso che so
no proprio tali constatazioni che costringono a riproporre in primo luogo,
prioritariamente rispetto ad ogni altra considerazione, quelle domanda capi
tale sulle motivazioni e sui criteri che, per i nazisti, fecero dello sterminio de
gil ebrei un'impresa prioritaria, il compito piu urgente rispetto ad ogni altro.
Sui principi e i caratteri razzistici della visione del mondo e della storia ela
borata dall'ideologia nazista, principi e caratteri che rendevano gli ebrei i lo
ro nemici per eccellenza, molto e stato scritto. Meno, mi pare, ci si e soffer
mati sul fatto che per i nazisti gli ebrei e la tradizione religiosa dell'ebraismo
si configuravano come i portatori di una concezione religiosa ed etica del
l'uomo e dell'universo antitetica alla loro. E stato in particolare il recente vo
lume di Jean Dujardin, L'Eglise catholique et le peuple juif Un autre regard
(Paris, Calmann-Levy, 2003), a soffermarsi ampiamente e a insistere con ra
gione su questi aspetti.
f1 principio di un Dio unico, di fronte al quale tutti gli uomini sono uguali in
dignita, il rispetto della vita considerata un principio sacro, l'idea che e la giu
stizia e non la forza la regola suprema dei rapporti umani, il posto dato alla
misericordia, rappresentano concetti, principi, criteri di azione e di compor
tamento, dei quali l'ebraismo era stato il primo testimone nella storia degli
uomini. Ed erano tutti principi e criteri di azione e di comportamento che i
nazisti volevano distruggere, perche li consideravano esiziali per la compat
tezza razziale del popolo, quella Volksgemeischaft il cui destino e i cui suc
cessi soltanto dovevano offrire i criteri del bene del male, del giusto e del
l'ingiusto, obliterando cosi ogni carattere di oggettivita alle norme morali. Ma
per distruggere quelle idee bisognava distruggere anche i loro portatori, can
cellare la loro presenza e la memoria della loro presenza nella societa. Hitler
l'aveva gia scritto a chiare lettere nel Mein Kampf: non si affermano certe idee
senza che vi siano uomini tenaci nel diffonderle, cosi come non si distruggo
no certe idee senza annientare quanti ne sono i portatori.
Da cio, quando se ne offerse l'occasione, la distruzione fisica degli ebrei, che
voleva essere insieme una distruzione di principi e di idee morali, di un'etica
e di una visione del mondo. Da cio la degradazione disumanizzante cui si vo
leva costringere le proprie vittime, da cio il parallelo impegno alla distruzio
ne della loro memoria e deRle tracce della loro presenza: sinagoghe, libri, ci
miteri ne costituirono gil scontati obiettivi. Di tale nesso e delle stretta corre
lazione di questi due aspetti sembra essersi reso conto l'arcivescovo di Fri
burgo, mons. Gr6ber, che nel giugno del 1942 ne scrisse a Pio XII cosi: la
teoria e la prassi del nazionalsocialismo ?si caratterizzano ormai come il piu
radicale antisemitismo fino all'annientamento dell'ebraismo, non solo nel suo
atteggiamento spirituale ma anche nei suoi membri>> (p. 1095).
E l'innesto di tali motivazioni nella visione razzista dei nazisti a conferire al
loro antisemitismo una qualita nuova e diversa. Cio che impedisce, mi pare,
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mente innervate nella nostra storia. Ma impongono una riflessione anche sul
nostro presente, una riflessione che non puo prescindere da cio che il nazi
smo con la Shoah avrebbe voluto realizzare: la distruzione degli ebrei e in
sieme la distruzione dei valori, dei principi e dei criteri di comportamento
etici di cui essi erano i lontani progenitori. Non per nulla l'ideologia nazista
era anche profondamente avversa al cristianesimo e alla tradizione umanisti
ca, largamente debitori, per la loro visione dell'uomo e della morale, della
tradizione ebraica. Ma da questo punto di vista non si puo sfuggire alla do
manda: e tale riflessione in corso? segna in qualche modo un mutamento nei
grandi orientamenti della politica, nei modelli e nei valori presenti agli uo
mini del nostro tempo, nei criteri di comportamento cui si ispirano? La ri
sposta, credo, non puo che essere negativa, quasi che l'onda lunga delle fe
rite e dei guasti gravissimi prodotti dalla Shoah sui caratteri e la consistenza
complessiva della vita civile europea e della cultura di matrice europea con
tinui ancora a lambire il nostro presente, continui a incidere sulle idee e i
comportamenti collettivi.
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