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Beppe Fenoglio
La pioggia e la sposa
Il racconto è ambientato nel mondo delle Langhe, di cui lo scrittore vuole
evidenziare una realtà di miseria e di duro lavoro. Anche i sentimenti risentono di
questa prospettiva “economica”, per cui l’invito a un pranzo di nozze diventa, per
chi è abituato alla miseria, un’occasione insperata per poter finalmente consumare
un pasto abbondante, almeno per una volta. Purtroppo le condizioni meteorologiche
non sono delle migliori: una pioggia torrenziale si abbatte sui malcapitati invitati
che però non vogliono rinunciare al ricco pranzo nuziale…
Fu la peggior alzata di tutti i secoli della mia infanzia. Quando la zia salì alla mia
camera sottotetto1 e mi svegliò, io mi sentivo come se avessi chiusi gli occhi solo un
attimo prima, e non c’è risveglio peggiore di questo per un bambino che non abbia
davanti a sé una sua festa o un bel viaggio promesso.
La pioggia scrosciava sul nostro tetto e sul fogliame degli alberi vicini, la mia stanza
era scura come all’alba del giorno.
Abbasso2, mio cugino stava abbottonandosi la tonaca sul buffo costume che i preti
portano sotto la vesta nera e la sua faccia era tale che ancor oggi è la prima cosa che
mi viene in mente quando debbo pensare a nausea maligna. Mia zia, lei stava
sull’uscio, con le mani sui fianchi, a guardar fuori, ora al cielo ora in terra. Andai
semisvestito dietro di lei a guardar fuori anch’io e vidi, in terra, acqua bruna lambire
il primo scalino della nostra porta e in cielo, dietro la pioggia, nubi nere e gonfie
come dirigibili ormeggiati agli alberi sulla cresta della collina dirimpetto. Mi ritirai
con le mani sulle spalle e la zia venne ad aiutarmi a vestirmi con movimenti decisi.
Ricordo che non mi fece lavare la faccia.
Adesso mio cugino prete stava girandosi tra le mani il suo cappello e dava fuori
sguardate furtive, si sarebbe detto che non voleva che sua madre lo sorprendesse a
guardar fuori in quella maniera. Ma lei ce lo sorprese e gli disse con la sua voce per
me indimenticabile: – Mettiti pure il cappello in testa, ché andiamo. Credi che per un
po’ d’acqua voglio perdere un pranzo di sposa?
– Madre, questo non è un po’ d’acqua, questo è tutta l’acqua che il cielo può versare
in una volta. Non vorrei che l’acqua c’entrasse in casa con tutti i danni che può fare,
mentre noi siamo seduti a un pranzo di sposa. Lei disse: – Chiuderò bene.
– Non vale chiuder bene con l’acqua, o madre!
– Non è l’acqua che mi fa paura e non è per lei che voglio chiudere bene. Chiuderò
bene perché ci sono gli zingari fermi coi loro cavalli sotto il portico del Santuario. E
anche per qualcun altro che zingaro non è, ma cristiano.
Allora il prete con tutt’e due le mani si mise in testa il suo cappello nero.
8. proda: sponda.
9. rogazioni: litanie che si cantano durante le processioni per propiziare il raccolto.
10. il mio cuore... greve: il mio cuore non si era alleggerito, non era diminuito il mio timore.
11. non reggendoci più: non riuscendo più a reggere.
mettiglielo tu bene in testa.
Era chiaro che lui non voleva, e nemmeno io volevo, ma la zia disse ancora: –
Mettigli il tuo cappello, la sua testa è la più debole e ho paura che l’acqua arrivi a
toccargli il cervello. – Doveva ancor finir di parlare che io vidi tutto nero, perché il
cappello m’era sceso fin sulle orecchie, per la larghezza e per il gesto maligno del
prete. Me lo rialzai sulla fronte e mi misi a guardar nascostamente mio cugino: si
ostinava a ravviarsi i capelli che la pioggia continuamente gli scomponeva, poi
l’acqua dovette dargli un particolare fastidio sul nudo della chierica12 perché trasportò
là una mano e ce la tenne.
Diceva: – A quanto vedo, siamo noi soli per strada. Non vorrei che lassù trovassimo
che noi soli ci siamo mossi in quest’acqua per il pranzo, e la famiglia della sposa
andasse poi a dire in giro che il prete e sua madre hanno una fame da sfidare il
diluvio.
E la zia, calma: – Siamo soli per questa strada perché del paese hanno invitato noi
soli. Gli altri vanno a Cadilù dalle loro case sulle colline. Ricordati che dovrai
benedire il cibo.
Gli ultimi lampi, io li avvertivo per il riflesso giallo che si accendeva prima che
altrove sotto l’ala nera del cappello del prete, ma erano lampi ormai lontani e li
seguiva un tuono come un borborigmo13 del cielo. Invece la pioggia durava forte.
Poi la zia disse che c’eravamo, che là era Cadilù, e io guardai alzando gli occhi e il
cappello. Vidi una sola casa su tutta la nuda collina. Bassa e storta, era di pietre
annerite dall’intemperie, coi tetti di lavagna caricati di sassi14 perché non li strappi il
vento delle colline, con un angolo tutto guastato da un antico incendio, con un’unica
finestra e da quella spioveva foraggio15. Chi era l’uomo che di là dentro traeva la sua
sposa? E quale poteva essere il pranzo nuziale che avremmo consumato fra quelle
mura?
Ci avvicinavamo e alla porta si fece una bambina a osservar meglio chi veniva per
dare poi dentro l’avviso: stava all’asciutto e rise forte quando vide il bambino vestito
da città arrivare con in testa il cappello del prete. Fu la prima e la più cocente
vergogna della mia vita quella che provai per la risata della bambina di Cadilù, e mi
strappai di testa il cappello, anche se così facendo scoprivo intero il mio rossore, e
malamente lo restituii al prete.
Pioggia e la sposa: non altro che questo mi balzò dalla memoria il giorno ormai
lontano in cui da una voce sgomenta seppi che mio cugino, il vescovo avendolo
destinato a una chiesa in pianura e sua madre non potendovelo seguire, una volta solo
e lontano dagli occhi di lei, s’era spretato, e lassù in collina mia zia era subito morta
per lo sdegno.
Beppe Fenoglio, I ventitre giorni della città di Alba, Einaudi
12. chierica: la rasatura rotonda dei capelli sulla parte alta della testa, che veniva fatta ai giovani
sacerdoti.
13. borborigmo: gorgoglio addominale, dovuto ai movimenti di gas nell’intestino.
14. tetti... sassi: i tetti ricoperti da lastre di lavagna (una pietra scura) coperti di sassi per tener
ferme le lastre.
15. spioveva foraggio: sporgeva del fieno.