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La Morte di Carlo XII di Svezia: un

caso irrisolto
[Articolo pubblicato su Zhistoria il 19 dicembre 2016]

È la sera del 30 novembre 1718, all’incirca le nove. Il re Carlo XII di Svezia sta
supervisionando lo scavo di una nuova linea di trincee, con lo scopo di avvicinare il suo
esercito alla fortezza di Friedrikshald.

È una serata buia e nebbiosa, ma le “bombe di luce” (la versione settecentesca delle star
shells) e le torce di pece sulle mura della fortezza illuminano abbastanza da permettere a
una sentinella qualunque di scorgere i movimenti all’interno delle trincee. La postazione
svedese è effettivamente nel raggio dei moschetti nemici, di Friedrikshald e forse delle
fortezze vicine di Mellembierg e Overbieg.

Lo scopo del re è solo uno: catturare la fortezza per invadere con successo la Norvegia, in
quel periodo parte del regno di Danimarca, e poter così ottenere una sorta di
compensazione alle perdite dei territori baltici, conquistati dai russi.
Re Carlo si trova a poco più di un metro di distanza dal luogo degli scavi, all’interno della
‘vecchia’ linea di trincee. Ha la testa sopra il parapetto, con il gomito sinistro sulla parte
superiore della struttura e la guancia appoggiata alla mano sinistra. Da lì assiste al
progredire dei lavori. È allora che viene colpito in testa da un proiettile, che lo uccide sul
colpo. Della natura e provenienza di questo proiettile avremo modo di parlare più avanti.

Alla scena assistono tre testimoni certi, tre ufficiali che stavano operando in prossimità del
re: il colonnello Philippe Maigret, un certo Friedrich von Kaulbars, di provenienza baltica ,
e il tenente Bengt Vilhelm Carlberg. Tutti e tre sono d’accordo sul da farsi, nascondere la
morte del re per non far crollare il morale dell’esercito. Così operano in collaborazione con
gli altri ufficiali di stato maggiore, e, per celarne l’identità, avvolgono il corpo di Carlo in
un mantello sul corpo di Carlo.

Presto a loro si aggiunge un altro ufficiale, l’aiutante-generale Andrè Sicre, francese come
Maigret. È lui a completare l’opera di occultamento, mettendo la sua parrucca e il suo
cappello sulla testa del sovrano. Celato in tal modo, il corpo viene trasferito al quartiere
generale di Tistedalen dagli uomini di Carlberg. Il vero cappello che indossava il re,
perforato dal proiettile, viene preso da Sicre. Qualche ora dopo, lo mostrerà a Federico di
Assia-Kassel, cognato di Carlo e futuro re di Svezia, come testimonianza dell’accaduto.

È così che ha inizio una controversia destinata a protrarsi fino al XX secolo in Svezia. Re
Carlo fu vittima di un’azione nemica o di un uomo del suo seguito?

Guardando la vicenda, sembra ci sia poco da discutere. Si trattò di un colpo sparato da un


difensore di Friedrikshald. O così pensavano gli ufficiali svedesi che servivano quel
giorno.

Dell’evento ci sono tre resoconti, uno ad opera del colonnello Maigret, un altro del tenente
Carlberg e un terzo anonimo. Su chi sia stato a scrivere il terzo resoconto si è molto
discusso, finché l’ipotesi che fosse di von Kaulbars venne sostenuta con buoni argomenti
da Nils Ahlund, il più grande storico svedese del XX secolo, nel 1941.

Tutte e tre le testimonianze non considerano nemmeno l’ipotesi di un omicidio.

Eppure:

‘La prova dei tre testimoni non fu conosciuta dai contemporanei: solo mezzo secolo dopo stralci
della storia di Carlberg divennero disponibili; quasi un centinaio d’anni dopo quella di Maigret fu
data alle stampe, mentre il resoconto dell’anonimo dovette attendere la pubblicazione fino al
tardo 1898. ‘ (ROBERTS, 1991, p.146)

Il sospetto che re Carlo sia stato assassinato si diffonde molto presto nella Svezia del
tempo. Ne parlano i soldati svedesi tornati a casa, affermando che solo una circostanza
straordinaria avrebbe potuto strappare la vita a quel sovrano, che era scampato ad ogni
tipo di pericolo sui campi di battaglia. Quello dell’omicidio è un sospetto che aleggia
anche nell’orazione funebre di Olaus Rudbeckius il Giovane (1660-1740).
Il medico tedesco Melchior Neumann, a cui fu dato l’incarico di imbalsamare il corpo del
re, ebbe modo di annotare un sogno indicativo dei pensieri dell’epoca. Nel sogno, il re si
risvegliava dalla morte e diceva, al medico intento ad imbalsamarlo: “Sarai testimone di
come mi hanno sparato”. Alla domanda del dottore se il proiettile assassino fosse arrivato
o meno dalla fortezza, la risposta del re fu: ‘No, Neuman; qualcuno si è avvicinato
furtivamente a me”.

Il re defunto non aveva né moglie né tantomeno figli, così ad ereditarne il trono fu la


sorella, Ulrica Eleonora. La regina, due anni dopo, abdicò a favore del marito, Federico.
Nel frattempo il Paese stava andando incontro a profondi cambiamenti. La fine della
Grande guerra del nord nel 1721 ne sancì la fine come impero e grande potenza
internazionale. La morte del re inaugurò una nuova era della storia politica svedese,
l’epoca delle libertà (Frihetstiden in svedese), contraddistinta dalla perdita di quasi tutto il
potere della monarchia a favore del parlamento.

Prescindendo da quello che è comunque soltanto un sogno, Neuman credeva che l’unico
dato certo fosse che il proiettile proveniva da sinistra. La direzione d’origine del colpo è
uno dei punti chiave dell’intera vicenda. È stato infatti stabilito che, per l’allineamento
delle trincee in relazione alle difese nemiche e alla postura di Carlo al momento della
morte, uno sparo proveniente da destra sarebbe certamente arrivato dalle linee svedesi,
mentre uno da sinistra avrebbe lasciato aperte entrambe le possibilità, morte per mano di
un nemico o di un assassino. Fatta questa dovuta considerazione, è evidente come per
Neuman l’unica presunta certezza (proiettile da sinistra) non escludesse né l’una né l’altra.

Se accettiamo il presupposto che quello di Carlo fu un omicidio, quale potrebbe essere il


movente? E chi i sospettati?

Partiamo dal movente. Negli ultimi anni di vita di Carlo, la questione della successione
reale si era fatta sempre più accesa. Come detto sopra, non aveva moglie né figli.
Oltretutto, prendeva parte alle battaglie in modo temerario, cosa che autorizzava i più a
credere nella possibilità di una suo decesso sul campo.

Una tale eventualità lasciava aperta la successione di due parenti prossimi del re. Da una
parte Carlo Federico di Holstein, figlio della sorella maggiore di Carlo; dall’altra la sorella
minore, Ulrica Eleonora, sposata con Federico di Assia-Kassel. Il problema della
successione divise il mondo della politica svedese tra holsteniani, sostenitori di Carlo
Federico, e assiani, fedeli all’altro Federico.

La nomina a primo ministro del barone Görtz, holsteniano convinto, nel 1716, fu un duro
colpo per gli assiani. Görtz, nei mesi precedenti alla morte del re, stava abbozzando dei
negoziati di pace con la Russia, ancora in guerra con la Svezia. Negoziati che avrebbero
potuto essere sigillati con un matrimonio tra Carlo Federico e la figlia dello zar Pietro,
Anna. Inutile dire che gli assiani temevano enormemente, come conseguenza del possibile
matrimonio, il supporto russo alla causa holsteniana.

Nel novembre del 1718 i negoziati con la Russia, interrotti precedentemente, furono ripresi
sulle isole di Åland. Si sarebbe potuti arrivare ad una svolta, ma il barone Görtz fu
arrestato il 31 novembre, il giorno successivo alla morte del re, da Federico di Assia, e
giustiziato tre mesi dopo.

Un’altra prova interessante, che denota l’esigenza degli assiani di non farsi trovare
impreparati dinanzi all’evolversi della situazione, è un memorundum scritto nel maggio
del 1718. Fu redatto da un consigliere assiano, su richiesta di Federico, per Ulrica Eleonora.
Si proponeva di fornire un dettagliato piano nel caso di improvvisa morte di re Carlo.

Ipotizzando quindi Federico e Ulrica Eleonora come possibili mandanti dell’omicidio,


risulta comprensibile la candidatura di Andrè Sicre a regicida. Questo perché Sicre era un
agente assiano, un uomo che operava al servizio di Federico. Chi meglio di lui avrebbe
potuto svolgere il ruolo di sicario?

Eppure non è soltanto la logica a supportare il sospetto su Sicre. Nella primavera del 1723,
il francese si ammalò seriamente a Stoccolma; caduto in uno stato di delirium tremens,
aprì la finestra della sua stanza e dichiarò ad alta voce di essere stato lui ad assassinare il
re. Confessione o delirio?

Cinque anni dopo, Olof Dagström, un ex soldato svedese caduto in disgrazia e divenuto
un fanatico religioso, asserì che il re fu ucciso da Sicre per ordine di Federico. Egli dichiarò
di aver visto una lettera del segretario francese dell’ambasciata di Stoccolma, dove era
scritto che re Carlo fu colpito da distanza ravvicinata. Tali dichiarazioni furono pressoché
ignorate dalla commissione incaricata di giudicarlo, che lo spedì in un manicomio.

Ancora prima della “vicenda Dagström”, re Federico chiese a Maigret un resoconto sulla
morte di Carlo. Questa richiesta, a giudicare dalle risposte del francese, verteva su due
domande principali: date le circostanze, la possibilità o meno di un omicidio e l’opinione
dell’ufficiale sui sospetti riguardo a Sicre.

Secondo Maigret non c’era possibilità che si fosse trattato di omicidio: il proiettile, valutato
delle dimensioni di un grosso uovo di piccione, non poteva provenire da un’arma
portatile. Per quanto riguarda Sicre, egli credeva che il suo connazionale fosse stato
vittima di una campagna diffamatoria.

A Federico bastò la risposta di Maigret per chiudere la vicenda. Il problema è che


quest’ultima rimase confidenziale fino al 1817, così voci e sospetti su Sicre continuarono a
susseguirsi nel corso dei decenni.

A questo punto qualcuno potrebbe pure pensare che re Federico avesse tutto l’interesse ad
insabbiare la vicenda, legato com’era il nome di Sicre al proprio. Nel 1940 lo storico Carl-
Fredrik Palmstierna sostenne la tesi che gli agenti di Federico, durante il processo contro
Dagström, fecero di tutto per insabbiarne le dichiarazioni circa la distanza ravvicinata del
colpo che stroncò la vita del re. Tale tesi fu confutata da Nils Ahlund, che rivelò come
quelle di Palmstierna fossero tutto congetture senza prove.

In verità, molte delle accuse rivolte a Federico, a Sicre e agli assiani, le aveva già trattate un
altro storico svedese, Stig Jägerskiöld, qualche anno prima di Palmstierna. Jägerskiöld,
servendosi di materiale proveniente dagli archivi assiani, dimostrò come Federico e il suo
‘partito’ considerassero tutt’altro che favorevole la possibilità della morte di Carlo. Anzi,
tra di loro circolava il sospetto che il barone Görtz incoraggiasse la campagna norvegese
del re, nella speranza che cadesse sul campo di battaglia.

Il memorandum redatto nel 1718 per Ulrica Eleonora non era stato l’unico: nel 1715 ne era
già stato compilato uno. La redazione di tali documenti sembra legarsi ad una sola
esigenza: la preparazione ad un possibile evento negativo per la causa di Federico. Gli
assiani infatti temevano un attacco del partito costituzionalista all’assolutismo
monarchico.

Come abbiamo già visto, la minaccia divenne realtà, e, insieme a Carlo XII morì anche la
monarchia assoluta. Fin dagli inizi della sua storia, la Svezia ebbe una solida base
costituzionalista: le azioni del monarca venivano controllate e spesso consigliate dai
rappresentati degli stati, su cui spiccava naturalmente quello dei nobili, riuniti nel riksdag
(il parlamento svedese). Questo equilibrio tra la figura del monarca, del riksdag e del
consiglio di stato – un altro organo inteso a sostenere e a controllare le azioni del re – fu
compromesso nel 1680, quando il padre di Carlo XII, Carlo XI, emancipò la corona da
quasi ogni dovere nei confronti di dette istituzioni. Ebbe così inizio il periodo
dell’assolutismo monarchico e l’opposizione costituzionale non poté che tacere, giacché in
un primo momento questo coincise con un periodo di ritrovata prosperità per la Svezia.

Inutile dire che la situazione era totalmente cambiata nel 1718, con una guerra che
perdurava da 18 anni e aveva privato la Svezia di gran parte delle risorse, economiche e
umane. Re Carlo e il barone Görtz erano così divenuti l’emblema di un ‘regime’ tirannico,
che non soltanto aveva soffocato le vecchie libertà costituzionali, ma aveva pure permesso
che la catastrofe si abbattesse sul Paese.

È lecito pensare che i veri mandanti dell’omicidio di Carlo non fossero tanto Federico e i
suoi sostenitori, quanto i costituzionalisti, desiderosi di abbattere il ‘tiranno’ e porre fine
alla monarchia assoluta. In fondo furono loro a trionfare e fu proprio il parlamento a
ritrovare il potere perduto, mentre a Federico fu riservata una carica che era stata spogliata
di quasi ogni autorità effettiva, portatrice più d’onore che non di autorità.

L’opinione di Jägerskiöld, ma anche di altri storici svedesi, è che il movente


costituzionalista sia quello più probabile, prendendo sempre per certo che Carlo sia stato
assassinato.

Sicre, aldilà di tutto, non è stato il solo ‘sospettato’ dell’omicidio. Dalla metà del XVIII
secolo cominciò a girare un nuovo nome sospetto: quello del maggior generale Carl
Cronstedt, non un soldato di ventura straniero, bensì uno svedese che aveva partecipato
praticamente a tutte le guerre di re Carlo. Tra il 1751 e il 1759 Fredrik Axel von Fersen,
scrittore del prezioso Historiska Skrifter (pubblicato postumo nel 1867), udì una voce
secondo cui Cronstedt in punto di morte avrebbe confessato ad un famoso teologo pietista,
Tollstadius, di aver assoldato un soldato di nome Magnus Stierneroos per uccidere il re.
Lo stesso Fersen in seguito si confrontò con Tollstadius, che smentì tutto categoricamente.
Nonostante la smentita del teologo, la storia della confessione di Cronstedt si diffuse e
assunse man mano varie mutazioni. Tutti aneddoti e nessuna prova scritta, almeno fino al
1837. Quell’anno Per Wieselgren, alle prese con i vasti archivi della famiglia De La Gardie,
ritrovò una nota scritta nell’agosto 1799 da Jacob De La Gardie, che riportava la storia
della confessione di Cronstedt.

Ciò che differenzia tale versione da tutte le altre è la pretesa di riportare un documento
attribuito al Tollstadius stesso, ritrovato tra le sue cose dopo la morte. Il documento, prima
di finire perduto per sempre, sarebbe stato visto dal barone Balte Ramel, che ne avrebbe
fatto un riassunto. Quest’ultimo sarebbe stato copiato da Jacob De La Gardie e inserito
negli archivi di famiglia.

La ‘prova’ di Wieselgren fu privata di ogni valore da C. Paludan-Muller, uno storico


danese, nel 1846. Egli espose a una serrata critica il documento, dimostrando come fosse
soltanto un falso.

Un altro punto che contribuì ad acuire i sospetti su Cronstedt fu la sua appartenenza al


partito assiano. Appartenenza che, come abbiamo visto prima seguendo gli studi di
Jägerskiöld, significava poco e nulla.

In questa prima parte abbiamo fatto un po’ di luce sui moventi del possibile omicidio di re
Carlo, riportando anche parte della documentazione sui due personaggi sospettati del
misfatto. Ci sembra utile ricordare che tale documentazione contiene nulla di più che
sospetti, giacché nessuno di questi documenti, se utilizzato come prova definitiva sulla
morte di Carlo XII, ha retto alla critica degli storici.

Ora ci concentreremo sulla parte tecnica e esporremo i risultati delle ricerche scientifiche
per offrire un quadro più completo della situazione. Che re Carlo sia stato assassinato o
meno rimane una questione aperta, ma se non altro i dati che forniremo ci aiuteranno a
rendere un po’meno nebulose le circostanze della sua morte.

I vari sospetti sulla natura della morte di re Carlo portarono ad una prima riesumazione e
autopsia del corpo nel 1746. Pare che l’iniziativa fosse dovuta alla regina Lovisa Ulrika,
assertrice convinta della teoria dell’omicidio. L’autopsia fu condotta in maniera
superficiale e senza grande perizia, eppure sembrò giungere ad un punto certo: la
provenienza del colpo fatale da destra.

A tale affermazione si giunse dalla constatazione che il foro sulla parte destra del cranio
era più piccolo di quello sulla parte sinistra. Al tempo era un fatto accettato che il foro
d’uscita di un proiettile fosse più grande del foro d’entrata. Insomma, le conclusioni
dell’autopsia del 1746 davano a intendere che re Carlo fosse stato assassinato.

Una seconda esumazione avvenne nel 1799, ma per un motivo piuttosto bizzarro e poco
attinente al nostro tema: soddisfare la curiosità di re Gustavo Adolfo IV sulla presunta
verosimiglianza o meno del ritratto di Carlo fatto da David Kraft.
Nonostante la superficialità con cui condotta, le conclusioni dell’autopsia del 1746 furono
accettate per quasi un secolo. Fu soltanto nel 1859 che ne fu svolta una seconda, su
richiesta dello storico Anders Fryxell. A condurla, nella giornata del 31 agosto, furono un
chirurgo, un anatomista e un medico di corte. Essi stabilirono che il re fu colpito dalla
lunga distanza, da un proiettile di moschetto o di un colpo a mitraglia proveniente da
sinistra. Praticamente un verdetto che ribaltava totalmente quello del 1746.

Sta di fatto che il modo con cui venne condotta l’autopsia fu quantomeno discutibile, come
molti contemporanei non mancarono di segnalare. Il rapporto finale differiva dalle note
prese sul posto al tempo dell’esaminazione. Senza contare che, nel calcolare la grandezza
della ferita mortale, si era fatta grande confusione tra misure decimali e non decimali.

Qualche maligno ipotizzò che i risultati fossero stati pilotati. In realtà è facile immaginare
che i medici che la condussero fossero stati inconsciamente condizionati dall’opinione
generale del tempo. Proprio nel 1859 era salito al trono Carlo XV, un uomo dai tratti
cavallereschi e dalle notevoli abilità, idoneo, secondo l’opinione pubblica, a vendicare la
disfatta svedese nella Grande guerra del Nord. La sua incoronazione risvegliò un diffuso
sentimento patriotico e anti-russo. Conseguenza di tale sentimento fu la rivalutazione
della figura di Carlo XII: non più tiranno o artefice della rovina, ma eroe morto per
difendere la patria.

D’altronde ogni epoca storica ha una propria misura delle cose. Gli uomini dell’Età delle
libertà avevano una visione contrastante nei confronti di Carlo: aborrivano di certo il suo
assolutismo, ma d’altra parte non potevano negare come avesse combattuto fino alla
morte da eroe. Gli hattarne (i ‘cappelli’), filo-francesi e anti-russi, lo ammiravano molto.
Oltretutto, in quanto diretti discendenti degli holsteniani, non mancavano di rispolverare
la teoria del regicidio per mano degli assiani. I mössorna (i ‘berretti’), convinti assertori di
una politica pacifista con la Russia, lo valutavano con molto più distacco e freddezza.

Gustavo III, il re che reinstaurò l’assolutismo nel 1772, lo considerava un modello. Non è
difficile capirne il motivo: il colpo di stato incruento del 1772 rappresentava una sorta di
vendetta per il 1719. Gustavo si riteneva erede diretto di Carlo nella lotta contro le forze
costituzionaliste e con quest’ultimo condivise la fine violenta. Che Carlo fosse caduto per
mano di una cospirazione aristocratica, come nel caso accertato di Gustavo, fu invero una
suggestione condivisa da molti degli uomini della tarda epoca gustaviana.

Nel 1859 le cose erano molto cambiate: non era più questione di partiti opposti, il
sentimento nazionale accomunava praticamente tutti. Re Carlo non poteva essere stato
vittima di un altro svedese. Non un assiano né un costituzionalista, solo un nemico poteva
aver posto fine alla vita del grande eroe nazionale.

La terza e ultima autopsia sul corpo di re Carlo fu fatta nel 1917. Venne svolta con le
maggiori tecnologie del tempo e fu presieduta dal medico e professore Adolf Henrik Algot
Key-Åberg. Il team di scienziati coordinato da quest’ultimo lavorò senza sosta e alla fine
stabilì un verdetto. Decretò che il proiettile fatale era sferico, di ferro o piombo, tra i 18 e i
20 mm, dimensione che escludeva un proiettile di pistola, ma non di moschetto. Per
quanto riguarda la provenienza, il colpo era senza dubbio arrivato da sinistra, colpendo il
re alla massima velocità. Nulla di quanto analizzato suggeriva la possibilità che fosse stato
esploso da breve distanza.
Il team di esperti si fermò qui e non si azzardò a dare un giudizio sulle modalità della
morte di re Carlo, anche perché i dati raccolti di fatto non escludevano nessuna delle
possibilità e lasciavano la questione quanto mai aperta. Negli anni successivi vennero
portarti avanti nuovi tipi di studi, nella speranza che potessero dare una risposta certa o
quasi certa sulla questione.

Negli anni 30 del ‘900 gli studi topografico-balistici arrivarono ad una svolta grazie al
lavoro del generale norvegese Bruusgaard. Di stanza a Friedrikshald egli, con ogni
probabilità, riuscì ad individuare il punto in cui erano ubicate le trincee svedesi nel 1718.
Le sue conclusioni furono che, nel punto in cui trovava, re Carlo era a perfettamente a
portata di moschetto nemico. Dunque, la possibilità di un colpo di moschetto non era
necessariamente legata a quella di un omicidio.

Nello stesso periodo il dottore Gustaf Hultkvist svolse delle ricerche specifiche sulla
natura della ferita sul cranio del re. Egli giunse alla conclusione che, dall’entità del danno,
un colpo di moschetto nel raggio di 25 metri dall’obiettivo era praticamente impossibile.

I dati emersi nelle ricerche degli anni ’30 sembravano poter chiudere una volta per tutte la
vicenda, togliendo quasi ogni appiglio alla teoria dell’omicidio. Sembravano, perché
proprio in quegli anni delle nuove ricerche, condotte dal dottor Albert Sandklef, portarono
la controversia ad un punto mai raggiunto fino ad allora.

Albert Sandklef era intendente del Varberg Folk Museum, un museo specializzato nella
raccolta e riproduzione di racconti e memorie della regione. Nel corso della vita egli aveva
raccolto vari tradizioni concernenti la figura e la morte di Carlo XII. Alcune di queste si
concentravano sul fatto che il sovrano fosse praticamente invulnerabile a ogni tipo di
proiettile ordinario. Altre asserivano che il re fu colpito e ucciso da un proiettile ‘speciale’,
variabilmente descritto come una pallottola d’argento o un bottone proveniente da un suo
soprabito.

La prima cosa che ebbe da notare Sandklef è che gran parte di tali tradizioni si
concentravano nelle province che i soldati svedesi avevano attraversato per tornare a casa,
in seguito alla morte di re Carlo. Ricorrevano per lo più nei paesi di Öxnevalla e Horred
nel Västergötland. In particolare le versioni di Öxnevalla presentavano un curioso seguito.
Narravano come, dopo aver colpito a morte il re, il proiettile speciale fosse stato raccolto e
custodito da un soldato originario del villaggio.

Nel 1922 un tale di nome August Carlson rivelò a Sandklef ulteriori particolari sulla
tradizione. Egli affermò che il soldato, una volta ritornato al villaggio, avrebbe mostrato
orgogliosamente il proiettile al parroco locale. Reguardito da costui, lo avrebbe in seguito
gettato in una cava di ghiaia di Deragård. Un altro signore intervistato da Sandklef
affermò che tale soldato si chiamava Nordstierna.

Il 25 maggio 1932 il dottor Sandklef ricevette al museo una visita molto importante, da un
certo Carl Hj.Andersson, il maniscalco di Horred. Egli portò con sé un oggetto di sfera
metallica, fatto di due semisfere di rame riempite di piombo e saldate insieme. Munito di
quella che sembrava una cruna, presentava su un lato i segni di un impatto con una roccia.
Andersson asserì di averlo trovarlo nel vialetto del giardino di casa, dopo averci sparso la
ghiaia. E, caso incredibile, quest’ultima proveniva dalla cava di Deragård. Il maniscalco
era convinto di aver ritrovato il bottone-proiettile descritto dalle tradizioni inerenti alla
morte di re Carlo. Pure Sandklef lo era, talmente tanto che sul bottone di Andersson basò
tutta la sua ricerca.

In primis, lo studioso di folclore indagò sulla natura del bottone, un oggetto piuttosto
inusuale per la Svezia del tempo. Mostrandolo a vari studiosi, ottenne l’impressione che
fosse di origine turca. Tale impressione risultò significativa, dato che un disegno di re
Carlo ad opera di Axel Löwen, eseguito durante la ‘cattività turca’, lo mostrava con dei
bottoni sul panciotto molto simili all’oggetto di Andersson. Non è tutto. Consultando i
ruolini reggimentali del tempo, Sandklef scoprì che il soldato stanziato nella zona si
chiamava proprio Nordstierna.

Il caso sembrava davvero chiuso e Sandklef, il 20 aprile 1940, poté annunciare in radio la
scoperta al pubblico. Ben presto i suoi studi divennero il centro di gravità attorno a cui si
riunirono altri studiosi nel novero degli scettici sulle conclusioni delle ricerche di
Brusgaard e Hultkvist. Fu così che, nell’autunno del 1940, fu pubblicato Carl XII:s död,
un’opera nata dai loro sforzi congiunti. Ogni studioso ne aveva scritto una sezione,
dedicata ad un particolare argomento. Oltre naturalmente a Sandklef, ad argomentare le
proprie ricerche e critiche ai predecessori c’erano lo storico Carl-Fredrik Palmstierna, il
tenente Nils Strömbom e il dottor Sam Clason.

Tra i vari contributi risultò molto interessante quello di Clason. In seguito ad alcuni
esperimenti fatti con i moschetti dell’epoca, egli scoprì che i proiettili di questi lasciavano
sempre tracce di piombo sulla ferita, cosa non riscontrata nell’autopsia del 1917.
Rimanevano così solo due possibili tipi di proiettile: di ferro (di un colpo a mitraglia o di
falconetto) o altrimenti un esemplare ‘speciale’, qualcosa di fuori dall’ordinario. Facendo
altri esperimenti, Clason arrivò ad affermare che l’impossibilità di un proiettile di ferro.
Ma quest’ultima affermazione, a differenza della prima, fu contestata. Motivo della
contestazione fu l’uso nelle dimostrazioni di cartucce con grammi inferiori a quella
regolamentare da 16.

Al tempo le tesi di Sandklef riscossero molto successo, ma anche non poco scetticismo.
Quest’ultimo fu incarnato alla perfezione da Nils Ahnlund. Egli, pur rispettando molto il
folclore, non credeva nella validità della tesi sul bottone-proiettile ed ebbe occasione di
confutarla quasi totalmente, quando la Karolinska Förbundet, un’associazione di studi
dedicata al periodo carolino della storia svedese (1654-1718), gli commissionò un volume
sul tema (uscito nel 1941 con il titolo ‘Sanning och sägen om Karl XII:s död’).

Affiancato nella stesura dai già citati Jägerskiöld e Hultkvist, lo storico svedese, con
un’accurata critica delle fonti, provvide a mettere la pietra tombale su molte questioni
parzialmente ancora aperte. Riprendendo gli argomenti di Jägerskiöld e C. Paludan-
Muller, confutò in maniera definitiva le teorie che circolavano su Sicre e Clason, riprese su
Karl XII:s död da Palmstierna.
Sciolti quei nodi, poté dedicarsi alla tesi di Sandklef. Iniziò raccogliendo le tradizioni
popolari usate da quest’ultimo e le divise in due tipi. Quelle del primo, legate alla
presunta invulnerabilità di re Carlo e all’uso del proiettile magico, erano molto comuni
non solo a Öxnevalla e Horred, ma anche in altre regioni della Svezia. Invece quelle del
secondo, inerenti alla raccolta del proiettile e alle vicende successivo, risultavano solo da
Carl Hj.Andersson. Ahnlund infatti scoprì che il signore il quale aveva fatto a Sandklef il
nome di Nordstierna nel 1939, nel 1935 gli aveva raccontato una versione totalmente
differente della storia. Non sarebbe un fatto così sconcertante, se non fosse che costui
ricevette una visita di Andersson il giorno prima di venire intervistato per la seconda
volta.

È lecito pensare che anche August Carlson, l’altro informatore di Sandklef, fosse stato
vittima dell’opera di convincimento di Andersson. D’altronde, una ricerca svolta nel 1941
da Stina Christensson, nativa di Öxnevalla, rivelò che su 28 abitanti del paese tra i 51 e gli
87 anni, soltanto due avevano udito della vicenda del soldato di Öxnevalla e nessuno
quella del bottone-proiettile gettato nella cava. Questo prima che Andersson portasse a
Sandklef l’oggetto in questione.

Lo stesso maniscalco di Horred, secondo la ricostruzione di Ahnlund, avrebbe più volte


dato versioni contraddittorie circa la data della scoperta e il luogo di ritrovamento. Inoltre
lo storico svedese scoprì che Nordstierna non era che il cognome affibbiato per
convenzione ai soldati che si susseguirono stanziati nella zona di Öxnevalla, un cognome
tutt’altro facile da dimenticare.

Insomma, Ahnlund nelle pagine del volume della Karolinska Förbundet tolse quasi ogni
appiglio e credibilità alla tesi del bottone-proiettile. Dopo di lui, l’oramai secolare diatriba
sulla morte di re Carlo andò man mano scemando. D’altronde la controversia andava
avanti da tre secoli, senza che nessuno fosse riuscito a dare un giudizio definitivo.

Certo, diatribe di vario tipo, come quella tra Hultkvist e Clason, continuarono ad esserci,
ma rimasero confinate ad un campo strettamente scientifico, senza tra l’altro che ne
uscissero dati certi. Al tempo la storiografia svedese stava profondamente cambiando;
dalla prospettica sulle personalità si stava passando progressivamente alla prospettica sul
periodo. Senza contare che si era fatta finalmente una scelta: accettare di non poter dare un
giudizio definitivo sulla vicenda della morte di re Carlo. Così gli sforzi degli storici
andarono a concentrarsi su altri argomenti.

Soltanto negli ultimi anni è riaffiorato interesse nei confronti della secolare controversia.
Risulta molto interessante a questo proposito uno studio intrapreso nel 2001 dalla
dottoressa Marie Allen dell’università di Uppsala. Oggetto della ricerca fu il famoso
bottone di Andersson. La studiosa recuperò dall’oggetto due tracce di DNA, una delle
quali è presente soltanto nell’uno per cento della popolazione svedese. Quest’ultima aveva
la stessa e identica sequenza di un’altra ritrovata nei guanti insanguinati che il re
indossava al momento della morte.

Quella della Allen è una scoperta molto interessante che, oltre a ridare nuova linfa alle tesi
di Sandklef, apre un dibattito sulla possibilità di una nuova autopsia sul corpo di re Carlo.
È pensabile che i mezzi scientifici sviluppatisi dalla metà del secolo scorso possano
chiarire alcuni aspetti mai risolti. Così le analisi sopracitate potrebbero aprire la strada ad
un nuovo tipo di ricerche sulla controversia. Se sarà così, non ci faremo scrupoli a
rispolverare questo articolo e a integrarlo con nuove informazioni.

L’augurio è che un giorno nuove ricerche possano gettare luce su quello che è uno dei più
grandi, se non il più grande, mistero della storia svedese.

Bibliografia
Michael Roberts, From Oxenstierna to Charles XII: Four studies, Cambridge University
CUP 1991.

Michael Roberts, The Swedish Imperial Experience 1560-1718. Cambridge CUP 1984.

Stig Jägerskiöld, Nils Ahnlund, Gustaf Hultkvist Barbro Göthberg Edlund, Sanning och
sägen om Karl XII:S död. Stoccolma 1941.

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