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VI.

Non era ancora ben desto quando l'orologio di S. Luca suonò le sette e mezzo. Subito
dopo suonarono anche le campane poichè don Rocco aveva, il giorno innanzi,
avvertito il ragazzo solito a servirgli la messa, che l'avrebbe detta verso le otto. Balzò
dal letto e andò a prendersi gli abiti che la Lucia gli doveva aver posti fuori dell'uscio.
Niente. Chiamò una, due, tre volte. Nessuno rispose. Tornò perplesso in stanza e
chiamò dalla finestra: Lucia! Lucia! Silenzio perfetto. Finalmente comparve il piccolo
sagrestano. Non aveva veduto la Lucia. Era venuto a prender le chiavi della chiesa,
aveva trovato aperto il portello del cortile, aperto l'uscio di casa; nessuno in [292]cucina,
nessuno in salotto. Non rinvenendo le chiavi era entrato in chiesa per il corridoio
interno. Don Rocco lo mandò in salotto a pigliargli gli abiti, poichè era lì che la Lucia
soleva lavorare di sera. Il ragazzo tornò a riferire che non c'erano abiti. Come non ci
sono abiti? Don Rocco gli ordina di far la guardia davanti all'uscio di casa e scende a
cercarli egli stesso, in camicia. A mezza scala si ferma e fiuta. Che abbominevole
odor di pipa è questo? Don Rocco, molto buio in fronte, procede. Va diritto in salotto,
cerca, fruga; niente. Torna in cucina con un certo battito di cuore. Puzzo orrendo, ma
niente abiti. Sì, sotto la tavola v'è un mucchietto di roba sucida; una giacca, un paio di
calzoni, un cappello da contadino. Don Rocco raccoglie, spiega, esamina col cipiglio
più minaccioso. Gli pare averla veduta ancora, [293]quella roba. Il suo cervello non
capisce ancora niente ma il cuore comincia a capire e batte più forte di prima. Egli si
prende il mento e le guancie con la sinistra, stringe, stringe, cerca spremersi fuori il
dove, il come, il quando. Ed ecco che gli occhi suoi fermi sulla parete si accorgono
finalmente di qualche cosa che il giorno prima non v'era. Vi stava scritto col carbone,
a destra: «Tanti saluti». E a sinistra:
«Buono il vino
Buona la serva
Buono il gabano
E buono don Rocho».

Lesse, si recò la mano alla nuca, rilesse, gli parve di smarrir la vista, sentì un freddo,
un torpore diffonderglisi dal petto a tutta la persona. Qualcuno gridò [294]nel cortile:
«dov'è questo don Rocco?». Egli risalì a fatica nella sua camera, si ripose a letto senza
quasi sapere che si facesse, senza pensiero, quasi, nè senso.
Abbasso lo cercavano, lo chiamavano. C'era il professore Marin e poche altre persone,
venute per la messa. Nessuno capiva come la porta della chiesa fosse tuttavia chiusa.
Il professore entrò in casa, chiamò la Lucia, chiamò don Rocco senza che anima viva
gli rispondesse. Capitò finalmente in camera del prete e si fermò sulla soglia,
sbalordito di vederlo a letto.
— Ohe! — diss'egli. — Don Rocco! A letto? E la messa?
— Non posso — rispose sotto voce don Rocco, supino, immobile come una mummia.
— Ma cosa? — replicò l'altro accostandosi [295]al letto con sincero sgomento. — Che
avete?
Quel viso turbato, quell'accento affettuoso ammollirono al povero don Rocco il cuore
pietrificato dal dolore e dalla sorpresa. Stravolta dalle palpebre inquiete spicciarono
due vere lagrime. La bocca serrata si torceva, tremava, ma resisteva ancora. Vedendo
che non rispondeva parola, il professore corse alla scala, gridò giù d'andar a chiamare
il medico.
— No, no — si sforzò a dire don Rocco, senza muoversi. La voce era soffocata dai
singhiozzi. Lo udì solo il professore tornando a letto.
— No? — diss'egli. — Ma cos'avete, dunque? Parlate!
Intanto tre donnicciuole e un vecchio accattone ch'eran venuti per udire la messa,
entrarono spaventati in camera circondando il letto, interrogando don [296]Rocco alla
loro volta. Egli taceva come il santo Giobbe, cercando padroneggiarsi. Forse la
seccatura di tutte quelle faccie curiose, pendenti sopra la sua, lo aiutò.
— Andate — diss'egli, finalmente, agli ultimi venuti. — Non occorre medico, non
occorre niente, andate!
Le quattro faccie si ritirarono alquanto, ma guardandolo sempre fisso con una
espressione forse di accresciuto sgomento.
— Andate, vi dico! — replicò don Rocco.
Uscirono piano e si fermarono fuori ad origliare, a spiare.
— Dunque? — fece il professore. — Cosa vi sentite?
— Niente.
— E perchè state a letto, allora?
Don Rocco si voltò con la faccia al muro. Le lagrime tornavano, adesso. Non poteva
parlare.
[297]

— Ma in nome del cielo — insistè il professore — cosa c'è?


— Mi passa, mi passa — singhiozzò don Rocco.
Il professore non sapeva che fare nè che pensare. Gli chiese se volesse acqua e il
vecchio accattone scese tosto a pigliarne un bicchiere, lo pose al Marin. Don Rocco
non ne aveva la menoma voglia, ma ripeteva: «grazie, grazie, mi passa» e bevve
ossequiosamente.
— Dunque? — domandò ancora il professore.
— Aveva ragione Lei — rispose don Rocco.
— Di cosa?
— Della femmina.
— La Lucia? Bravo, a proposito; dov'è la Lucia? Non c'è? Scappata?
Don Rocco accennò di sì. Il Marin guardava stupefatto, ripeteva
«Scappata? [298]Scappata?» I quattro tornarono in camera, fecero eco. «Scappata?
Scappata?»
— Ma sentite — disse il professore. — State a letto per questo, voi? Volete avvilirvi
così? Via, vestitevi!
Don Rocco lo guardò, diventò rosso fino al sommo del cranio, e strinse gli occhietti
umidi in un sorriso che significava: adesso riderà, Lei!
— Non ho abiti — diss'egli.
— Cosa?
Il professore aggiunse alle parole un gesto per dire: «Li ha portati via lei?» Don Rocco
rispose pure con un cenno muto del capo; e, veduto che l'altro frenava a stento uno
scoppio di riso, si sforzò di sorridere anche lui.
— Povero don Rocco — disse il professore, e aggiunse, sempre col riso alla gola,
parole afflitte, parole di pietà, di [299]conforto, chiese ogni ragguaglio dell'accaduto. —
Ah se mi aveste dato retta!... — concluse. — Se l'aveste mandata via!
— Sì — fece don Rocco, pigliandosi mansuetamente anche questa. — Aveva ragione
Lei. E adesso, cosa dirà la signora?
Il professore sospirò.
— Cosa volete che dica, figliuolo? Non dirà niente. Accade anche questo che il vostro
successore ha scritto ieri di essersi sciolto definitivamente dagl'impegni suoi attuali e
di trovarsi a disposizione della contessa.
Don Rocco tacque, accorato.
— Guardo — diss'egli, dopo un'istante di silenzio — che alle nove e mezzo saranno
qui col cavallo a prendermi! Bisognerebbe che l'arciprete o il cappellano potessero
prestarmi un abito.
[300]

— Io, io! — esclamò il professore, pieno di zelo. — Vado a casa e ve lo mando


subito. Me lo restituirete con comodo, quando potrete.
Una viva gratitudine colorò il viso e agitò le palpebre di don Rocco.
— Grazie! — diss'egli guardandosi umilmente il naso. — Grazie tante!
— Corpo di bacco! — soggiunse fra sè, mentre il professore scendeva le scale. — È
una spanna più alto di me. Adesso mi viene in mente!
Ma non gli venne certo in mente di richiamarlo.

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