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C.

Soraci, Da Costantino ai Vandali: aspetti della visione orosiana della storia, in Fra Costantino
e i Vandali. Atti del convegno internazionale di studi per Enzo Aiello (1957-2013) (Messina, 29-30
ottobre 2014), a cura di L. De Salvo, E. Caliri, M. Casella, Bari 2016, pp. 499-514.

Da Costantino ai Vandali:
aspetti della visione orosiana della storia

La storiografia di matrice cristiana ebbe origine, com’è noto, in epoca


costantiniana e ciò non a caso: venute meno le persecuzioni, si profilavano tempi
più tranquilli per i seguaci della nuova religione che poterono così dedicarsi a
riflettere sul cammino fino ad allora compiuto. Il primo a scrivere «la storia dello
sviluppo lineare della chiesa», per utilizzare la felice traduzione-interpretazione che
diede Salvatore Calderone di un’espressione presente nell’Historia ecclesiastica1,
fu Eusebio, vescovo di Cesarea: la sua opera risente, come più volte è stato fatto
autorevolmente rilevare, del clima di entusiasmo che dovette permeare i cristiani in
quegli anni. Da superstitio, di volta in volta definita exitiabilis (Tacito), nova et
malefica (Svetonio), prava et immodica (Plinio), il cristianesimo era divenuto,
progressivamente e improvvisamente nello stesso tempo2, una religione
liberamente professata nello stato romano3; era comprensibile che, in tale temperie,
chi volesse guardare alla storia dei cristiani nei tre secoli appena trascorsi lo facesse
con un certo ottimismo4, derivante dalla fiducia nella conversione degli imperatori
all’eujaggevlion e dalla possibilità (tuttavia mai realizzata e difficilmente
realizzabile, secondo la lucida visione di Agostino5) di instaurare un imperium
christianum6.

* Non posso non ringraziare Lietta De Salvo ed Elena Caliri per avermi invitato a partecipare al
Convegno in ricordo del collega Vincenzo Aiello e per l’affettuosa accoglienza riservatami in
quell’occasione. Desidero, inoltre, esprimere la mia riconoscenza al prof. Bonamente per le utili
indicazioni offertemi, nel corso dello stesso convegno, sul tema del provvidenzialismo orosiano.
1
Eus. h.e. 1, 1, 8: th`~ ejkklesiastikh`~ uJfhghvsew~… hJ iJstoriva. Sul punto, vd. S. Calderone,
Questioni eusebiane, in La storiografia ecclesiastica nella tarda antichità. Atti del convegno tenuto
in Erice (3-8 XII 1978), Messina 1980, 147.
2
W. Kinzig, Novitas Christiana. Die Idee des Fortschitts in der Alten Kirche bis Eusebius, Göttingen
1994, 569-574.
3
Tac. ann. 15, 44, 3; Suet. Ner. 16, 3; Plin. epist. 10, 96; sulla libertà di culto accordata ai cristiani
cfr., in partic., Lact. mort. pers. 48 e Eus. h.e. 10, 5, 2.
4
Ottimismo che non equivaleva, tuttavia, a concepire la storia della Chiesa in senso necessariamente
progressivo (per una simile visione applicata ad Eusebio, vd., ad es., G.F. Chesnut, The first
Christian histories. Eusebius, Socrates, Sozomen, Theodoret and Evagrius, Macon 1986, 94-95;
Kinzig, Novitas Christiana, 541-568; cfr. ulteriore bibliografia in E. Prinzivalli, Storia ed
escatologia in Eusebio di Cesarea, Bizantinistica, ser. II, V, 2003, 98-99); illuminanti, in tal senso,
le osservazioni di S. Calderone, Storia e teologia in Eusebio di Cesarea, in Cristianesimo e
istituzioni politiche. Da Costantino a Giustiniano, a cura di E. Dal Covolo e R. Uglione, Roma 1997,
81-94, il quale insiste più sulla concezione teofanica della storia in Eusebio, che sull’idea di
“progresso metastorico” della Chiesa da diversi studiosi attribuita al vescovo di Cesarea; secondo lo
studioso, “l’evento-Costantino” sarebbe stato solo gradualmente compreso da Eusebio e, per qualche
aspetto, forse anche inteso come la più recente manifestazione dell’intervento di Dio sulla storia:
alcune reticenze dello scrittore rivelerebbero “la consapevolezza e insieme il turbamento per le
dimensioni cosmiche di questa sua idea, per la portata immensa di quella sua «storia teologica»”
(pp. 93-94).
5
S. D’Elia, Storia e teologia della storia nel De civitate Dei, in La storiografia ecclesiastica, 451-
453; V. Loi, Il De civitate Dei e la coscienza storiografica di Sant’Agostino, in La storiografia
ecclesiastica, 483-503.
6
Un’ottima sintesi della questione, corredata di precisi riferimenti bibliografici, in C. Giuffrida
Manmana, L’impero e gli imperatori nella storiografia ecclesiastica. La politicizzazione del
cavrisma, in Salvatore Calderone (1915-2000). La personalità scientifica. Atti del convegno
C. Soraci, Da Costantino ai Vandali: aspetti della visione orosiana della storia, in Fra Costantino
e i Vandali. Atti del convegno internazionale di studi per Enzo Aiello (1957-2013) (Messina, 29-30
ottobre 2014), a cura di L. De Salvo, E. Caliri, M. Casella, Bari 2016, pp. 499-514.

Di certo, erano iniziati i Christiana tempora7, in cui l’intervento di Dio sulla


storia appariva più tangibile che nel passato; tuttavia, nonostante gli eventi
successivi all’avvento di Costantino ponessero problemi interpretativi non
trascurabili8, nondimeno, sulla scorta dell’esempio offerto dalla Bibbia, che narra
però non la storia del popolo ebraico, bensì la storia della relazione tra Jahvé e il
suo popolo, alcuni scrittori cristiani successivi ad Eusebio provarono a rileggere gli
eventi accaduti dopo l’incarnazione del Messia cercando di intravedere le tracce
dell’intervento divino e di interpretarne il progetto sull’umanità, spesso applicando
linee metodologiche e categorie mentali proprie della storiografia classica pagana.
In effetti, com’è stato fatto opportunamente rilevare, Costantino è stato punto
d’incontro tra due concezioni della storia, “quella ‘ciclica’ e fisiologica dell’impero
di cui aveva le redini, e quella ‘rettilinea’… della salvezza”: la prima di matrice
pagana, la seconda giudaico-cristiana9.
Il tentativo di rileggere la storia in chiave provvidenzialistica lasciava,
tuttavia, irrisolte non poche questioni di varia natura e complessità; per gli studiosi
moderni, ad esempio, sussiste negli scrittori cristiani da un lato la difficoltà di
comprendere la dinamica storica in una prospettiva che non sia extra-temporale10,
dall’altro il rischio di vanificare implicitamente, nell’esaltare i Christiana tempora,
la dimensione escatologica della storia cristiana11. Naturalmente, come ha fatto
rilevare M. Pavan, una simile questione riguardava tutti coloro che avessero deciso
di trattare le vicende storiche del “dopo Costantino”, la cui figura ed opera “sono al
centro e chiave nel contempo dell’uscita del cristianesimo dalla prospezione
esclusivamente salvifica a quella della definizione del rapporto fra la storia e la
trascendenza”12.

internazionale di studi (Messina-Taormina, 19-21 febbraio 2002), a cura di V. Aiello e L. De Salvo,


Messina 2010, 365-394 e, in partic., 375.
7
Tale espressione si riscontra per la prima volta in Ambrogio (epist. 72, 10), poi in soprattutto in
Agostino (epist. 111, 2; vera relig. 3, 3; cons. euang. 1, 16, 24; 1, 23, 35; 1, 33, 51; sermo 81, 9;
105, 6, 8; 241, 7; 6D, 12; 23D, 16; cur.mort. 2, 3; civ. 1, 1 e 7, 15, 33; 3, 31; 13, 19, al singolare; c.
Faust. 5, 8; c. Petil. 2, 92, 205; c. Iulian. 5, 65, al singolare), Orosio (3, 8, 3; 4, 23, 10; 7, 8, 4; 7, 43,
16) e diversi altri autori successivi.
8
Circa il pensiero di Rufino in tal senso, vd. G. Zecchini, Barbari e Romani in Rufino di Concordia,
in Rufino di Concordia e il suo tempo, II, Udine 1987, in partic. 41. La diversa temperie storica in
cui si collocano le opere di Eusebio e di Orosio, ma nel contempo la loro profonda sintonia circa la
positività del mondo romano è ben messa in evidenza da F.P. Rizzo, Dalla christianitas eusebiana
alla antipaganitas orosiana, in Costantino il Grande dall’antichità all’illuminismo, a cura di G.
Bonamente e F. Fusco, II, Macerata 1993, 835.
9
G. Bonamente, La “svolta costantiniana”, in Cristianesimo e istituzioni politiche da Augusto a
Costantino, a cura di E. Dal Covolo e R. Uglione, Roma 1995, 91; A. Fear, Orosius and escaping
from the dance of doom, in P. Liddel-A. Fear (eds.), Historiae mundi. Studies in universal history,
London 2010, in partic. 179 e 182-185.
10
M. Mazza, Sulla teoria della storiografia cristiana: osservazioni sui proemi degli storici
ecclesiastici, in La storiografia ecclesiastica, 341-351 e 363-364.
11
Circa il rischio, presente nell’opera di Orosio, di vanificare la dimensione escatologica della storia
cristiana, cfr. F. Paschoud, La polemica provvidenzialistica di Orosio, in La storiografia
ecclesiastica, 113-133 e Rizzo, Dalla christianitas, 844. Ma se Paschoud accusa Orosio di svuotare
quasi completamente la dimensione escatologica della dottrina cristiana, A. Polichetti, Le Historiae
di Orosio e la storiografia ecclesiastica occidentale (311-417 d.C.), Napoli 2000, 135 osserva che
“Orosio […], dinanzi alla storia, recupera alla fine dell’opera il valore escatologico della gratia
Christi” e per J. Cobet, Orosius' Weltgeschichte: Tradition und Konstruktion, Hermes, 137, 1, 2009,
88, “die transzendente Instanz der Christen versöhnt Orosius’ Weltgeschichte mit der irdischen
Kaisergewalt”.
12
M. Pavan, Introduzione a Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo. Colloquio sul
cristianesimo nel mondo antico (Macerata, 18-20 dicembre 1990), I, a cura di G. Bonamente - F.
C. Soraci, Da Costantino ai Vandali: aspetti della visione orosiana della storia, in Fra Costantino
e i Vandali. Atti del convegno internazionale di studi per Enzo Aiello (1957-2013) (Messina, 29-30
ottobre 2014), a cura di L. De Salvo, E. Caliri, M. Casella, Bari 2016, pp. 499-514.

Gli antichi, tuttavia, che non sempre ebbero piena consapevolezza di simili
questioni teoretiche13, si ponevano però in genere un problema più concreto: quello
di interpretare correttamente alcuni fenomeni storici e impulsi dell’agire umano.
Non potendo, in questa sede, offrire un quadro completo del modo in cui i
vari autori cercarono di affrontare tali questioni, abbiamo preferito focalizzare la
nostra attenzione su uno storico tardoantico molto noto, lo spagnolo Orosio;
attraverso l’analisi di due particolari episodi, intendiamo osservare come la visione
provvidenzialistica poneva delle difficoltà interpretative ed etiche che Orosio
risolse in maniera peculiare14.

Il presbitero spagnolo, a suo dire incaricato da Agostino di rispondere alle


accuse che i pagani muovevano ai cristiani15, scrisse sette libri di storia per
dimostrare come l’avvento del cristianesimo avesse contribuito alla felicità del
genere umano16. In quest’opera l’imperatore Costantino, che pur riveste un ruolo di
una discreta importanza, non viene particolarmente esaltato (e per questo Gaetano
Lettieri ha giustamente parlato di “opaco riscatto”); le ragioni sono molteplici, ma
certo Orosio risentiva delle critiche che pagani e cristiani muovevano, ancora ai
suoi tempi, al primo imperatore “cristiano”17. Già non molti anni dopo la sua morte,
infatti, la figura di Costantino è stata oggetto di numerosi tentativi di riflessione
incentrati su vari aspetti del suo impero, in primis la tanto controversa
“conversione” al cristianesimo e il favore successivamente accordato all’eresia
ariana. Non intendiamo, in questa sede, analizzare in dettaglio le espressioni di
reverenza o di condanna nei confronti di Costantino formulate dagli autori pagani e
cristiani di IV e V secolo; al tema, più volte approfondito, sono state dedicate, tra
l’altro, apposite voci nell’Enciclopedia Costantiniana di recente pubblicazione18.
Ci siano consentiti solo rapidi cenni.

Fusco, Macerata 1992, 1; cfr. anche M. Mazza, Costantino nella storiografia ecclesiastica (dopo
Eusebio), in Costantino il Grande, II, 692.
13
Cfr. lo stesso Mazza, Sulla teoria, 353.
14
Concordo con F. Fabbrini, Paolo Orosio, uno storico, Roma 1979, 7 e 46, quando ritiene che
l’opera storica di Orosio, con tutti i suoi limiti, “è la prima vera visione biblica della storia”, “leve
solo per le dimensioni, laddove è grave per la profondità dei concetti espressi”.
15
Fabbrini, Paolo Orosio, 72-75. Sul fatto che Agostino avrebbe affidato ad Orosio l’incarico di
rispondere alle accuse dei pagani scrivendo un’opera storica sono stati manifestati in passato non
pochi dubbi: si vd., ad es., E. Corsini, Introduzione alle Storie di Orosio, Torino 1968, 35-51 (circa
le differenze teoriche, speculative e metodologiche, tra i due autori vd. anche 193-215 e B. Lacroix,
Orose et ses idées, Montréal-Paris 1965, 61-62). Alcuni studiosi hanno, piuttosto, riconosciuto
nell’opera e nella visione orosiana l’influsso di Girolamo: G. Zecchini, La storiografia cristiana
latina del IV secolo (da Lattanzio ad Orosio), in I Cristiani e l’Impero nel IV secolo. Colloquio sul
Cristianesimo nel mondo antico, a cura di G. Bonamente e A. Nestori, Macerata 1988, 193-194;
Polichetti, Le Historiae, 56-57.
16
Oros. hist. prol. 13-14; 7, 43, 16.
17
Sulle critiche mosse a Costantino già dai successori di Eusebio vd. V. Neri, La figura di Costantino
negli scrittori latini cristiani dell’età di Onorio, Simblos, 1, 1995, 263-264; Circa la valutazione
‘moderata’ del governo costantiniano da parte di Orosio cfr. Fabbrini, Paolo Orosio, 275-279; H.-
W. Goetz, Die Geschichstheologie des Orosius, Darmstadt 1980, 96 e n. 425; V. Aiello, Costantino,
la lebbra e il battesimo di Silvestro, in Costantino il Grande, I, 47-48; G. Lettieri, Costantino nella
patristica latina tra IV e V secolo, in Enciclopedia Costantiniana, 2013
(http://www.treccani.it/enciclopedia/costantino-nella-patristica-latina-tra-iv-e-v-
secolo_(Enciclopedia_Costantiniana)/ ).
18
Per quanto concerne gli autori cristiani, cfr. ibidem; D. Dainese, «Dio da Dio». Costantino e la
patristica greca nei conflitti infraecclesiali del IV secolo, in Enciclopedia Costantiniana
(http://www.treccani.it/enciclopedia/dio-da-dio-costantino-e-la-patristica-greca-nei-conflitti-
infraecclesiali-del-iv-secolo_(Enciclopedia_Costantiniana)/); M. Simonetti, L'esegesi di Eusebio e
C. Soraci, Da Costantino ai Vandali: aspetti della visione orosiana della storia, in Fra Costantino
e i Vandali. Atti del convegno internazionale di studi per Enzo Aiello (1957-2013) (Messina, 29-30
ottobre 2014), a cura di L. De Salvo, E. Caliri, M. Casella, Bari 2016, pp. 499-514.

Dopo l’entusiastica esaltazione di Eusebio, gli autori patristici latini si


dividono essenzialmente in due correnti di pensiero: quelli che, con Rufino e
Lattanzio, obbedendo ad una visione caldeggiata dallo stesso Costantino19, vedono
nel successo terreno una dimostrazione del favore di Dio nei confronti di chi ha
abbracciato la fede cristiana e, dunque, celebrano le doti dell’imperatore
propugnando una “teologia della vittoria”, di matrice romano-pagana, più o meno
approfondita (Rufino, ad esempio, lo esalta per la pietas da lui dimostrata e per la
religiosità e l’umiltà che gli valsero la ricompensa terrena di Dio: quanto magis se
religiosius et humilius deo subiecerat, tanto amplius ei deus universa subdebat)20,
e quelli che, rimproverando a Costantino la finale adesione all’arianesimo, evitano
di menzionarlo (come Leone Magno), limitano le lodi alle singole iniziative di cui
il figlio di Costanzo si fece promotore (per Paolino di Nola la fondazione di
Costantinopoli, ad esempio, e la traslazione delle reliquie dei santi Andrea e
Timoteo)21 o, addirittura, riferendosi unicamente alla sua decisione di abbandonare
l’ortodossia, spendono per lui solo parole di biasimo (così Sulpicio Severo, che però
attribuisce gran parte della colpa ai cattivi consiglieri22). In alcuni autori la “teologia

la figura di Costantino, in Enciclopedia Costantiniana (http://www.treccani.it/enciclopedia/l-


esegesi-di-eusebio-e-la-figura-di-costantino_(Enciclopedia_Costantiniana)/). Vd. anche Neri, La
figura di Costantino, 229-264. Il giudizio degli scrittori pagani sulla figura di Costantino è stato ben
illustrato da V. Neri, Medius princeps. Storia e immagine di Costantino nella storiografia latina
pagana, Bologna 1992; F. Paschoud, Un altro Costantino: la testimonianza della storiografia
profana, in Enciclopedia Costantiniana (http://www.treccani.it/enciclopedia/un-altro-costantino-la-
testimonianza-della-storiografia-profana_(Enciclopedia_Costantiniana)/).
19
Cfr. l’Oratio ad sanctorum coetum, 22-26; circa la paternità costantiniana dell’opera vd. U.
Pizzani, Costantino e l’Oratio ad sanctorum coetum, in Costantino il Grande, 791-822; R. Cristofoli,
Costantino e l’Oratio ad sanctorum coetum, Napoli 2005, 11-17. Tale visione di Costantino era
legata, come ebbe modo di evidenziare già H. Berkhof, Kirche und Kaiser. Eine Untersuchung der
Entstehung der byzantinischen und der theokratischen Staatsauffassung im vierten Jahrhundert,
trad. ted., Zürich 1947, 58-60 (in tal senso, vd. altresì Kinzig, Novitas Christiana, 568), alla
concezione romana (ma non solo!) della religione, fondata sul do ut des, peraltro riscontrabile anche
nel pensiero di Orosio: P. Siniscalco, Le sacré et l’expérience de l’histoire: Ammien Marcellin et
Paul Orose, in Id., Il senso della storia. Studi sulla storiografia cristiana antica, Soveria Mannelli
(CZ) 2003 (articolo già apparso in Les écrivains et le sacrè. Actes du XIIe congrès de l’Association
Guillaume Budé [Bordeaux, 17-21 août 1988], Paris 1989, 355-366), 341. Sul tema, cfr. le acute
osservazioni di M. Pavan, Cristiani, ebrei e imperatori romani nella storia provvidenzialistica di
Orosio, in Chiesa e società dal secolo IV ai nostri giorni. Studi storici in onore di P. Ilarino da
Milano, I, Roma 1979, 45 (ora in M. Pavan, Tra classicità e cristianesimo. Scritti raccolti in
memoria, Roma 1995, 497-532).
20
Rufin. hist. 10, 8, 13; vd. anche Prud. c.Symm. 1, vv. 465-488 (grazie alla croce Costantino è
divenuto invincibile: hoc signo inuictus) e l’ideologia sottesa a tutto il de mortibus persecutorum di
Lattanzio, che non indulge ad una entusiastica esaltazione di Costantino (ibid. 44), ma si limita a
riportarne il successo in battaglia.
21
Paul.Nol. carm. 19, vv. 329-341: nam Constantinus proprii cum conderet urbem / nominis et
primus Romano in nomine regum / christicolam gereret, diuinum mente recepit / consilium, ut
quoniam Romanae moenibus urbis / aemula magnificis strueret tunc moenia coeptis, / his quoque
Romuleam sequeretur dotibus urbem, / ut sua apostolicis muniret moenia laetus / corporibus tunc
Andream deuexit Achiuis / Timotheum que Asia; geminis ita turribus extat / Constantinopolis,
magnae caput aemula Romae,/ uerius hoc similis Romanis culmine muris, / quod Petrum Paulum
que pari deus ambitione/ conpensauit ei, meruit quae sumere Pauli / discipulum cum fratre Petri.
La traslazione delle reliquie di Andrea e Timoteo è stata erroneamente attribuita a Costantino,
essendo avvenuta all’epoca di Costanzo, tra il 356 e il 357: G.D. Gordini, s.v. Andrea, apostolo, in
Biblioteca sanctorum, 1, 1961, col. 1097; G. Lucchesi, s.v. Timoteo di Efeso, in Biblioteca
sanctorum, 12, 1969, col. 486.
22
Sulp. Sev. chron. 2, 35, 1: etenim duobus Arriis acerrimis perfidiae huius auctoribus imperator
etiam deprauatus, dum sibi religionis officium uidetur implere, uim persecutionis exercuit (ed. De
Senneville-Grave).
C. Soraci, Da Costantino ai Vandali: aspetti della visione orosiana della storia, in Fra Costantino
e i Vandali. Atti del convegno internazionale di studi per Enzo Aiello (1957-2013) (Messina, 29-30
ottobre 2014), a cura di L. De Salvo, E. Caliri, M. Casella, Bari 2016, pp. 499-514.

della vittoria” può anche essere contestata (Lucifero di Cagliari presenta esempi
biblici di sovrani empi, ma longevi23) o, meglio ancora, cristianamente ribaltata:
Agostino (cui dobbiamo il primo tentativo di rileggere la storia in un’ottica
veramente cristiana, ossia interpretata alla luce della morte e risurrezione del figlio
di Dio), osserva che, sebbene alcuni imperatori come Costantino abbiano ricevuto
da Dio tanti favori terreni (terrena munera), non per questo devono essere
considerati felici; la felicità, intesa in senso cristiano, sta nell’esercitare il potere a
servizio dei sudditi e nell’amministrare sapientemente la giustizia, ma la vera
ricompensa attesa dal sovrano cristiano è la vita eterna; Costantino fu ricolmato di
favori terreni unicamente perché gli uomini non pensassero che questi venissero
concessi solo agli adoratori dei demoni. La storia successiva, osserva Agostino, con
la morte prematura del cristiano Gioviano e il relativamente più lungo regno di
Giuliano, con la morte di Graziano per mano di un usurpatore, mise in guardia gli
imperatori dall’aderire al cristianesimo ut felicitatem Constantini mereretur, cum
propter vitam aeternam quisque debeat esse Christianus: Teodosio, più di
Costantino, rappresenta il modello dell’imperatore cristiano, esempio di giustizia e
di umiltà, che, per le sue virtù, ottenne in premio la felicità eterna24.
Le problematiche relative alla “teologia della vittoria” si intersecano, nel caso
di Costantino, con quelle relative alla visione provvidenzialistica della storia, che
considerava, appunto, provvidenziale nell’economia della salvezza l’avvento al
potere di un imperatore il quale, mediante alcuni provvedimenti, tra cui la decisione
di porre fine alle persecuzioni, contribuì alla diffusione del cristianesimo. Ma, se la
“teologia della vittoria” presentava alcuni punti di debolezza, ancora di più la
visione provvidenzialistica della storia poteva essere messa in discussione
semplicemente variando la prospettiva di riferimento: per Girolamo, ad esempio, il
favore accordato in punto di morte da Costantino alla dottrina ariana, lungi dal
segnare l’inizio di un’epoca di prosperità e pace, avrebbe contribuito alla rovina
delle chiese ed alla disunità dell’orbe intero25; il vescovo d’Ippona, dal canto suo,
non credeva al ruolo provvidenziale rivestito dall’impero nella diffusione del
cristianesimo e, in quest’ottica, non aveva motivo di esaltare neppure Costantino,
che è stato, invece, una volta citato per polemizzare contro quanti erano tentati di
interpretare alcuni avvenimenti storici in senso provvidenziale: il vescovo d’Ippona,
infatti, mise in guardia i donatisti dal ritenere che la morte dei loro nemici fosse,
appunto, “provvidenziale” e, quindi, dovuta all’ostilità nei loro confronti,

23
Lucif. reg. apost. 6.
24
Aug. civ. 5, 24-25. Cfr. P. Courcelle, Jugements de Rufin et de saint Augustin sur les empereurs
du IVe siècle et la défaite suprême du paganisme, REA, 71, 1-2 (1969), 100-130; Siniscalco, Le
sacré, 343-344; J. Szidat, Constantin bei Augustin, REAug, 36 (1990), 243-256; Neri, La figura di
Costantino, 248-250; sul tema vd. anche il volume di F. Heim, La théologie de la victoire: de
Constantin à Théodose, Paris 1992 e, da ultimo, il contributo di C. Molè, Osservazione sui cosiddetti
elogi agostiniani di Costantino e Teodosio, apparso in questo stesso volume, ove ulteriore
bibliografia. È pur vero, tuttavia, che anche Agostino non evitò di ricorrere alla “teologia della
vittoria”, ricordando il favore che il Signore avrebbe accordato a Teodosio nel corso della battaglia
contro Eugenio, durante la quale un forte vento avrebbe contribuito alla vittoria dell’esercito
imperiale: civ. 5, 26, 1 (cfr. Oros. hist. 7, 35, 17-18), su cui vd. Courcelle, Jugements, 112-125.
25
Girolamo non solo accusa Costantino di aver mostrato apertamente il suo favore nei confronti
dell’arianesimo (chron. Ol. 279w: Costantinus estremo vitae suae tempore ab Eusebio Nicomedensi
episcopo baptizatus in Arrianum dogma declinat. A quo usque in praesens tempus ecclesiarum
rapinae et totius orbis est secuta discordia), ma mostra la mancata stima verso quell’imperatore
precisandone la nascita da una concubina (chron. Ol. 271h: ex concubina Helena procreatus), e
l’uccisione, avvenuta crudelissime, del figlio Crispo e del nipote Licinio (Ol. 276k, per cui vd. infra,
n. 34).
C. Soraci, Da Costantino ai Vandali: aspetti della visione orosiana della storia, in Fra Costantino
e i Vandali. Atti del convegno internazionale di studi per Enzo Aiello (1957-2013) (Messina, 29-30
ottobre 2014), a cura di L. De Salvo, E. Caliri, M. Casella, Bari 2016, pp. 499-514.

ricordando il caso di Costantino, il quale, pur avendo per primo preso diversi
provvedimenti contro i donatisti, visse a lungo e felicemente (…si non in tam longo
imperio Constantinus, et tam longa felicitate vixisset…), mentre Giuliano, che
aveva concesso loro delle basiliche, morì prematuramente26.
Ma anche Orosio, che non può non scorgere nei provvedimenti costantiniani
a favore del cristianesimo un segno della Provvidenza divina, mostra, come
abbiamo già osservato, un certo distacco nei confronti di questo imperatore: pur
riconoscendogli il merito di aver contribuito alla causa cristiana e pur non
menzionandone, diversamente da quanto farà poi nel caso di Costanzo II,
l’adesione, benché avvenuta in fin di vita, all’arianesimo, non solo si guarda bene
dall’esaltare entusiasticamente Costantino, ma non tace neppure un episodio
passato sotto silenzio da diversi autori cristiani (come Eusebio, Rufino e
Ambrogio), ossia il fatto che lo stesso imperatore ordinò nel 326 d.C. di uccidere il
primogenito Crispo, la seconda moglie Fausta e il nipote Liciniano Licinio.
Crispo viene definito da Eusebio «imperatore clementissimo» nell’Historia
ecclesiastica (che si chiude con la sconfitta di Licinio, avvenuta nel 324 d.C.), ma
non è affatto citato nella Vita Constantini, anche se probabilmente occorre scorgere
un riferimento alla sua persona allorché il vescovo di Cesarea asserisce che, dopo
Massimiano,

anche altri personaggi della famiglia imperiale, che tramavano di


nascosto contro Costantino, furono scoperti in flagrante, perché Dio, in modo
veramente straordinario, svelò con dei prodigi al suo servitore i propositi di
tutti costoro27.

L’assenza di Crispo in quest’opera, scritta nel 337 d.C., e precisamente nella


parte dedicata ai figli di Costantino, da un lato conferma la damnatio memoriae cui
fu soggetta la sua persona, dall’altro rivela il preciso intento di tralasciare un
particolare che non poteva costituire motivo di vanto per l’imperatore28.
Analogamente, l’affermazione di Ambrogio, a detta del quale i peccati di
Costantino sarebbero stati cancellati dal battesimo, mira ad omettere qualsiasi
dettaglio poco edificante relativo all’imperatore che per primo «credette e lasciò ai
suoi successori l’eredità della fede»29.
Circa i motivi che portarono all’uccisione di Crispo e Fausta (diverso il caso
del figlio di Licinio, per cui era chiara la volontà di eliminare un concorrente al
trono)30 molto si è discusso; alcuni studiosi moderni, seguendo il filone
26
Aug. c. Petil. 2, 92, 208. Szidat, Constantin, 245-246 e 252. Per H.I. Marrou, Saint Augustin,
Orose et l’augustinisme historique, in La storiografia altomedievale. XVII settimana di studio del
Centro italiano di studi sull’alto medioevo, I, Spoleto 1970, 60, solo la polemica antidonatista offrì
ad Agostino, la cui Geschichtstheologie era peraltro “si respectueuse du mystère de l’histoire” (p.
80), l’occasione di accostarsi al “travail véritablement historique”.
27
Eus. h.e. 10, 9, 4; v.Const. 1, 47, 2. Neri, Medius princeps, 46.
28
Eus. h.e. 4, 40, 1-2. Sulla damnatio memoriae di Crispo vd. Neri, Medius princeps, 275-279; G.
Marasco, Costantino e le uccisioni di Crispo e Fausta (326 d.C.), RFIC, 121 (1993), 299; D. Woods,
On the death of the empress Fausta, G&R, ser. II, 45, 1 (1998), 72. È interessante notare come i
ritratti di Crispo e Fausta scompaiano progressivamente dalla monetazione: P. M. Bruun,
Constantine and Licinius, A.D. 313-337 (The Roman Imperial Coinage, edd. C.H.V. Sutherland and
R.A.G. Carson, vol. VII), London 1966, 71-72 n. 10; sul tema, vd. V. Aiello, I silenzi su Costantino,
Bizantinistica, ser. II, 5 (2003), 297 n. 106.
29
Ambr. obit. Theod. 40: cui licet baptismatis gratia in ultimis constituto omnia peccata dimiserit,
tamen quod primus imperatorum credidit et post se hereditatem fidei principibus dereliquit, magni
meriti locum repperit.
30
Marasco, Costantino, 313 n. 2.
C. Soraci, Da Costantino ai Vandali: aspetti della visione orosiana della storia, in Fra Costantino
e i Vandali. Atti del convegno internazionale di studi per Enzo Aiello (1957-2013) (Messina, 29-30
ottobre 2014), a cura di L. De Salvo, E. Caliri, M. Casella, Bari 2016, pp. 499-514.

interpretativo maggiormente diffuso nel mondo antico, ritengono che essi siano da
individuare nell’adulterina e incestuosa relazione tra la matrigna e il figliastro,
mentre secondo altri, tra cui il nostro collega Aiello, l’imperatore avrebbe voluto
soffocare sul nascere le eccessive ambizioni dinastiche di Crispo31.
Qualunque siano le reali motivazioni del delitto, in questa sede ci preme
sottolineare piuttosto la posizione di Orosio; il presbitero spagnolo, che pure
attribuisce ad un intervento del diavolo (diaboli insectatio) la nascita dell’eresia
ariana e il favore che questa incontrò presso l’imperatore Costanzo II32, non riesce
a trovare una spiegazione per la morte di Crispo, Fausta e Licinio:

in tutto questo resta oscuro (latent causae) perché mai l’imperatore


Costantino guidasse la spada vendicatrice e la punizione destinata agli empi
anche contro i suoi cari. Fece infatti uccidere suo figlio Crispo e Licinio, figlio
di sua sorella33.

L’assenza di spiegazioni sulle motivazioni di queste uccisioni ha fatto


accostare Orosio alle altre fonti (Ammiano Marcellino, Aurelio Vittore, Sidonio
Apollinare e Girolamo) che non forniscono alcuna giustificazione del misfatto; ma,
se Girolamo si limitò a registrare la morte di Crispo per ordine del padre,
connotandola nella sola Cronaca, dell’aggettivo crudelissime, e se Ammiano

31
Sulla base di quanto racconta Zos. 2, 29, 2 (cfr. il riferimento indiretto di Ps. Aur. Vict. epit. 41,
11: At Constantinus obtento totius Romani imperii mira bellorum felicitate regimine Fausta coniuge,
ut putant, suggerente Crispum filium necari iubet), si schierano a favore della prima ipotesi: H.
Pohlsander, Crispus. Brilliant career and tragic end, Historia, 33 (1984), 79-106; Marasco,
Costantino, 297-317 (a detta del quale sarebbe stata ancor più determinante, ai fini della duplice
uccisione, l’accusa di incesto tra Crispo e Fausta); Woods, On the death, 79-80 (il quale ritiene,
tuttavia, che, dopo essere stato esiliato con l’accusa di adulterio, Crispo si sarebbe avvelenato per
prevenire una sua successiva eliminazione dettata da ragioni di natura politica). La seconda ipotesi
è stata sostenuta, tra gli altri, da P. Guthrie, The execution of Crispus, Phoenix, 20, 4 (1966), 325-
331; Aiello, I silenzi, 277-307; una variante a questa ipotesi è rappresentata dalla teoria di N.J.E.
Austin, Constantine and Crispus, A.D. 326, AClass, 23 (1980), 133-138, a detta del quale Crispo
sarebbe stato assassinato perché ritenuto, su istigazione di Fausta, parte di un complotto. Focalizzano
l’attenzione in particolare sull’assassinio di Fausta J. Rougé, Fausta, femme de Constantin:
criminelle ou victime?, CH, 25 (1980), 3-15; J.L. Desnier, Zosime II, 29 et la mort de Fausta, BAGB
(1987), 299-309; J.W. Drijvers, Flavia Maxima Fausta: some remarks, Historia, 41 (1992), 500-
506; Woods, On the death, 70-80. La questione rimaneva aperta per J. Vogt, Pagani e cristiani nella
famiglia di Costantino il Grande, in Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV. Saggi
a cura di A. Momigliano, trad. it., Torino 1968, 57 e riteniamo che lo sia tuttora; secondo F.
Paschoud, Zosime 2, 29 et la version païenne de la conversion de Constantin, Historia, 20, 2/3
(1971), 341 gli stessi contemporanei avrebbero ignorato i motivi delle uccisioni.
32
Oros. hist. 7, 29, in partic. 2-4; la colpa dell’adesione di Costanzo all’eresia ariana sarebbe, invece,
attribuibile a cattivi consiglieri secondo Thdt. h.e. 2, 3 e Rufin. hist. 10, 16. Forse per non urtare la
sensibilità di eventuali lettori pagani (di cui, dal canto suo, ovviamente criticava le credenze: A.
Lippold, Orosius, christlicher Apologet und römischer Bürger, Philologus, 113 (1969), 92-105; Id.,
Orosius und seine Gegner, in Studi tardoantichi, I, 1986, Messina 1988, 163-182) Orosio evita di
menzionare il diavolo nella sua Historia; lo fa solo qui e, incidentalmente, in 4, 6, 39. Sull’intervento
del diavolo nella rilettura cristiana della storia cfr. gli studi contenuti in Il demonio e i suoi complici:
dottrine e credenze demonologiche nella tarda antichità, Soveria Mannelli (CZ) 1995.
33
Oros. hist. 7, 28, 26: sed inter haec latent causae, cur vindicem gladium et destinatam in impios
punitionem Constantinus imperator etiam in proprios egit affectus. Nam Crispum filium suum et
Licinium sororis filium interfecit (la traduzione dei passi orosiani è di G. Chiarini). È da escludere,
a mio giudizio, l’ipotesi di Guthrie, The execution of Crispus, 329, secondo cui Orosio avrebbe
individuato come movente dell’uccisione l’adesione di Crispo all’eresia ariana: il nam, infatti, lungi
dal collegare le notizie sul concilio di Nicea con quella relativa alla morte di Crispo, intende spiegare
quali familiari siano stati uccisi da Costantino.
C. Soraci, Da Costantino ai Vandali: aspetti della visione orosiana della storia, in Fra Costantino
e i Vandali. Atti del convegno internazionale di studi per Enzo Aiello (1957-2013) (Messina, 29-30
ottobre 2014), a cura di L. De Salvo, E. Caliri, M. Casella, Bari 2016, pp. 499-514.

Marcellino e Sidonio riportano incidentalmente l’evento34, diverso è il caso di


Aurelio Vittore ed Orosio: per quanto concerne il primo, è stato evidenziato come
il silenzio sulle motivazioni della strage familiare sia stato dovuto alla posizione di
rilievo che quegli occupava alla corte di Costanzo II, figlio di Costantino e Fausta,
posizione che gli suggeriva l’opportunità di tralasciare particolari imbarazzanti;
Vittore, non volendo ledere l’immagine del suo sovrano, si esprime perciò in
termini che definiremmo “asettici”: «quando il figlio maggiore -è incerto per quale
motivo (incertum qua causa)- fu ucciso a discrezione del padre…»35.
Orosio, invece, non volle tanto, a nostro avviso, tacere le motivazioni, che
comunque forse non conosceva (Girolamo ed Eutropio, sue fonti per gli eventi di
questo periodo, non ne fanno menzione)36, volle rilevare l’assurdità dal punto vista
umano, prima ancora che cristiano, di simili gesti e l’impossibilità di trovare una
motivazione: «ma in tutto questo resta oscuro perché mai l’imperatore Costantino
guidasse la spada vendicatrice e la punizione destinata agli empi anche contro i suoi
cari»37. Tale notizia, pur “inquadrata in un contesto indiscutibilmente positivo”38
(come appare evidente dall’impiego della congiunzione con valore avversativo sed:
sed inter haec), infatti, viene non semplicemente riportata, ma anche commentata:
Orosio manifesta la sua sincera riprovazione nei confronti dell’efferato delitto
aggiungendo l’aggettivo vindex riferito a gladium e precisando che una simile
punizione normalmente dovesse essere destinata in impios39. Del resto, anche

34
Hier. vir. ill. 80: qui postea a patre interfectus est; chron. Ol. 276k (231 Helm): Crispus filius
Constantini et Licinius iunior Constantiae Constantini sororis et Licini filius crudelissime
interficitur; si vd. l’ancor più laconica versione dei Cons. Const. a. 326 (ed. R.W. Burgess): occisus
est Crispus. Amm. 14, 11, 20: quondam peremptum Constantini filium accepimus Crispum. Sidon.
epist. 5.8.2: quia scilicet praedictus Augustus isdem fere temporibus extinxerat coniugem Faustam
calore balnei, filium Crispum frigore veneni. La laconicità con cui Ammiano riporta la notizia
potrebbe essere, tuttavia, controbilanciata dal contesto in cui essa viene inserita, ossia la morte di
Gallo nella stessa città, Pola: tale parallelo “può suggerire l’impressione di un fato ostile che
orchestra le cupe vicende famigliari dei Costantinidi” (Neri, Medius princeps, 189 e 202). Non
sappiamo se e cosa lo storico abbia scritto sulla morte di Crispo nella parte della sua opera dedicata
all’epoca di Costantino, a noi non pervenuta.
35
Aur. Vict. Caes. 41, 11: Quorum cum natu grandior, incertum qua causa, patris iudicio
occidisset… Marasco, Costantino, 297. Secondo Neri, Medius princeps, 46, invece, una simile
reticenza “potrebbe essere espressione dell’effettiva impressione di oscurità che Aurelio Vittore
aveva sulle cause dell’episodio”; in tal senso vd. già O. Seeck, s.v. Crispus, nr. 9, in RE, IV2, 1901,
col. 1723.
36
Per Girolamo, vd. n. 34. Eutr. 10, 6, 3: verum insolentia rerum secundarum aliquantum
Constantinus ex illa favorabili animi docilitate mutavit. primum necessitudines persecutus,
egregium virum filium et sororis filium, commodae indolis iuvenem, interfecit, mox uxorem, post
numerosos amicos. Significativo il riferimento alle necessitudines, non meglio precisate, che
avrebbero spinto Costantino ad uccidere Crispo e Licinio: Marasco, Costantino, 313. Neri, Medius
princeps, 101-102 (cfr. anche 18) insiste, invece, sull’insolentia che avrebbe caratterizzato, a detta
di Eutropio, questo periodo di Costantino e che si sarebbe concretizzata anche nella fondazione di
una nuova città, chiaro segno della “volontà di rottura con la tradizione” nel “desiderio di un potere
senza restrizioni”.
37
Proprio nel fatto che Orosio non riesce a spiegare le uccisioni dei parenti da parte di Costantino
Pavan, Cristiani, 51 riconosce il motivo per il quale il presbitero spagnolo evitò “di cercare nel suo
caso alcun nesso fra i meriti verso i cristiani e successi militari e politici”.
38
Neri, La figura di Costantino, 237.
39
Fabbrini, Paolo Orosio, 278: “quanto ai delitti commessi da Costantino contro i suoi familiari,
Orosio non è disposto a passarli sotto silenzio, e si chiede perché mai Costantino li abbia compiuti
e come mai possano giustapporsi le due immagini compresenti del Costantino vindice della fede e
giudice degli iniqui, e del Costantino parricida”.
C. Soraci, Da Costantino ai Vandali: aspetti della visione orosiana della storia, in Fra Costantino
e i Vandali. Atti del convegno internazionale di studi per Enzo Aiello (1957-2013) (Messina, 29-30
ottobre 2014), a cura di L. De Salvo, E. Caliri, M. Casella, Bari 2016, pp. 499-514.

l’ariano Filostorgio (ma solo nell’estratto della passio Artemii) e il pagano Zosimo
fecero rilevare come l’assassinio di un figlio fosse contrario alle leggi di natura40.
Per Orosio, dunque, ammettere che vi sia un disegno di Dio sulla storia e
vedere in alcuni uomini lo strumento della Provvidenza divina non significa non
riconoscere le colpe cui può condurre l’uso sconsiderato del libero arbitrio anche in
quegli uomini che Dio sceglie per guidare il Suo popolo41. Mentre spesso, negli
scrittori ecclesiastici, il motore del processo storico appare essere l’intervento del
diavolo o di terze persone42, in questo caso Orosio, il quale comunque non
rifuggiva, come abbiamo visto, dal fornire simili spiegazioni, intende sottolineare
il fatto che anche la mente umana, per motivi che non possono che rimanere oscuri,
ossia incomprensibili, può compiere azioni non in linea con il progetto di Dio.
Del resto, già la Bibbia, ben nota ad Orosio e impiegata anche quale fonte per
la conoscenza di taluni eventi, offriva diversi esempi di regnanti e profeti eletti dal
Signore e poi macchiatisi di qualche colpa: non si può, in particolare, non pensare
a Davide, il più importante sovrano d’Israele, scelto da Dio ma caduto in disgrazia
ai Suoi occhi per aver desiderato la moglie di Urìa e per aver ordinato l’uccisione
di quest’ultimo; Davide rappresenta il peccatore per eccellenza, che però non
nasconde le sue colpe e per esse non smette di chiedere perdono al Signore: «pietà
di me, o Dio, nel tuo amore; / nella tua grande misericordia / cancella la mia
iniquità»43. Davide non aveva alcun ragionevole motivo per desiderare la moglie
altrui, benché ella fosse bellissima e benché egli, da re, potesse tutto; allo stesso
modo, Costantino non aveva, sul piano etico-religioso, nessun valido motivo per

40
Philostorg. 2, 4b: kata; tou;~ th`~ fuvsew~ novmou~; Zos. 2, 29, 2: tou` th`~ fuvsew~ qesmou` mhdevna
lovgon poihsavmeno~. Marasco, Costantino, 315. Indicativa, a tal proposito, la notizia riportata da
Sidon. epist. 5, 8, 2, secondo cui il prefetto del pretorio Ablabio, in carica dal 326 al 337 d.C.,
avrebbe composto per l’occasione un distico in cui assimilava gli omicidi della sua epoca a quelli
neroniani: Saturni aurea saecla quis requirat? / Sunt haec gemmea, sed Neroniana. Neri, Medius
princeps, 101-102 n. 123. Il passo di Filostorgio tratto dalla passio Artemii accenna,
significativamente, al paragone con la vicenda di Fedra e Ippolito (ejkei'no" de; th;n gunai'ka
Fau'stan kai; pavnu dikaivw" ajpevkteinen, wJ" mimhsamevnhn th;n pavlai Faivdran kai;
diabalou'san to;n touvtou uiJo;n Privskon wJ" ejrwtikw'" aujth'/ diakeivmenon kaiv ti pro;" bivan
ejpiceirou'nta, kaqavper kajkeivnh to;n tou' Qhsevw" ÔIppovluton: kai; dh; kata; tou;" th'" fuvsew"
novmou" wJ" path;r to;n uiJo;n hjmuvnato. u{steron mevntoi maqw;n th;n ajlhvqeian kai; aujth;n
prosapevkteine, divkhn ejp˘ aujth'/ dikavsa" pasw'n dikaiotavthn); sul tema vd., in particolare, G.
Forestier, Mythe, histoire et tragédie: de Crispus à la mort de Crispe, in Mythe et histoire dans le
théâtre classique. Hommage à Christian Delmas, Paris 2002, 360-361 e, soprattutto, la lucida
rilettura che del modello interpretativo mitico ha recentemente offerto F. Paschoud, Fausta en
nouvelle Phèdre. Étude d’une modèle interprétatif, in Eunape, Olympiodore, Zosime. Scripta
minora, Bari 2006, 459-472. M. Amerise, Filostorgio e la morte di Costantino il Grande, Historia,
55, 3 (2006), 328-333 focalizza l’attenzione in particolare sulle motivazioni sottese al racconto di
Filostorgio, il quale volle dimostrare che la condanna dell’arianesimo, di cui si rese colpevole
l’imperatore, era collegata con i delitti familiari.
41
Costantino sarebbe stato, secondo Eusebio (h.e. 10, 9, 4), «guidato dalla mano di Dio»; P.
Siniscalco, Il cammino di Cristo nell’Impero romano, Roma-Bari 1987, 167-168. Sul problema del
libero arbitrio in Orosio vd. A. Antonaci, Sant’Agostino maestro di Orosio sul problema della grazia
e del libero arbitrio, in L’umanesimo di Sant’Agostino. Atti del congresso internazionale (Bari, 28-
30 settembre 1986), a cura di M. Fabris, Bari 1988, 395-401.
42
Ad es., i cattivi consiglieri di cui parla Sulp. Sev. chron. 2, 35, 1 (vd. n. 22) o cui allude Thdt. 1,
33, 1. Circa l’intervento del diavolo in Orosio vd. supra, n. 32.
43
Sal. 51, 3; cfr. 2Sam. 11-12 e Sal. 32. La figura di Davide era, d’altronde, ben presente agli scrittori
ecclesiastici (lo paragona proprio a Costantino Thdt. 2, 3, 2) e allo stesso Orosio, che lo menziona
due volte nelle Historiae (7, 10, 6, a proposito della stirpe di Davide), ma ben quindici nel Liber
apologeticus contra Pelagianos: apol. 2, 6; 3, 1-2 (su cui vd. Fabbrini, Paolo Orosio, 67 n. 97); 11,
4; 13, 3; 14, 2; 15, 3 e 6; 23, 1 e 4; 24, 2-3 e 5; 25, 1; 29, 7.
C. Soraci, Da Costantino ai Vandali: aspetti della visione orosiana della storia, in Fra Costantino
e i Vandali. Atti del convegno internazionale di studi per Enzo Aiello (1957-2013) (Messina, 29-30
ottobre 2014), a cura di L. De Salvo, E. Caliri, M. Casella, Bari 2016, pp. 499-514.

uccidere suo figlio, qualunque fosse la motivazione, sia pure di ordine legalistico44,
che lo spinse a compiere un simile gesto45.
L’assassinio di Crispo e Fausta, alla stregua di quello di Urìa nel libro di
Samuele, viene, dunque, presentato da Orosio come una nefanda e inspiegabile
deviazione, che non per questo inficia, tuttavia, la valutazione nel complesso
positiva del regno costantiniano.

D’altro canto, anche un momento storico considerato per eccellenza negativo,


quello delle invasioni barbariche, e una stirpe più volte denigrata, come quella dei
Vandali (Orosio la definisce inbellis, avara, perfida et dolosa)46, potevano essere
rivalutati se visti dalla prospettiva cristiana. Orosio stesso mette in guardia
dall’attribuire ai nostri nemici solo azioni negative (nihil non pravum, nihil non

44
Per Vogt, Pagani e cristiani, 58, “è possibile che l’imperatore stesso si sia sentito tranquillo, nella
coscienza di aver obbedito ai dettami della legge; più probabile ancora è che si sia sentito prigioniero
delle proprie leggi contro l’adulterio, promulgate solo poco tempo prima”. Secondo Forestier,
Mythe, 359, Zosimo avrebbe voluto motivare il duplice assassinio col tradimento per indicare che
Costantino, se da un lato volle comportarsi come un marito che applicava strettamente la legge
facendo morire l’amante di sua moglie, dall’altro oltrepassò la medesima legge, che non prevedeva
un’identica punizione per la donna. Una tale interpretazione, tuttavia, a nostro avviso non coglie nel
vero, se si considera che, certamente a partire da Costantino (cfr., in partic., CTh. 9, 40, 1, del 313 o
314 d.C. = CI. 9, 47, 16), ma forse anche prima, la capitalis poena venne comminata sia all’amante
di una donna sposata sia all’adultera (CI. 5, 17, 7, del 337 d.C., la quale esclude solo a determinate
condizioni le donne dalla pena capitale): F. Goria, Studi sul matrimonio dell’adultera nel diritto
giustinianeo e bizantino, Torino 1975, 28-31 n. 27, con una dettagliata sintesi della questione, non
aliena da difficoltà interpretative, e 124 n. 97; J. Beaucamp, Le statut de la femme à Byzance (4e-7e
siècle). I. Le droit impérial, Paris 1990, 168 e n. 170; M. Albana, Imperatrici, donne d’alto ragno e
popolane nel IV sec. d.C.: osservazioni in margine ad Ammiano Marcellino, QC, IV-V, 1992-1993,
306-317, ove sistematica rassegna della casistica ammianea; come rileva, da ultimo, V. Neri, I
Cristiani e la legislazione imperale su adulterio e divorzio (IV-V sec. d.C.), in Ravenna Capitale.
Permanenze del mondo giuridico romano in Occidente nei secoli V-VIII. Instrumenta, civitates,
collegia, studium iuris, Santarcangelo di Romagna 2014, 199-202, una punizione così drastica quale
la pena di morte non poteva naturalmente essere accettata di buon grado dai cristiani.
45
Come Davide, anche Costantino era ben conscio dei propri errori, al punto che la storiografia di
matrice pagana attribuì la sua conversione al desiderio di espiare i peccati: Zos. 2, 29; Soz. h.e. 1, 5;
Paschoud, Zosime 2, 29, 334-353; Mazza, Costantino, 683-684; G. Fowden, The last days of
Constantine: oppositional versions and their influence, JRS, 84 (1994), 153-170; G. Marasco,
Giuliano e la tradizione pagana sulla conversione di Costantino, RFIC, 122, 3 (1994), 340-354;
Bonamente, La “svolta costantiniana”, 97-98; E. Livrea, Costantino nella storiografia ecclesiastica
del V secolo. Alcuni sogni e visioni, Bizantinistica, ser. II, 5 (2003), 171-179; K. Rosen, Qui nigrum
in candida vertunt. Die Zeitgenössische Auseinandersetzung um Constantins Familientragödie und
Bekehrung, Bizantinistica, ser. II, 5 (2003), 113-140. È certo, comunque, che l’imperatore volle
essere battezzato in punto di morte (Hier. chron. Ol. 279w) per poter cancellare ogni macchia e
presentarsi puro al cospetto di Dio (in epoche successive, gli stessi crimini di Costantino vennero
inquadrati in un’ottica provvidenzialistica: Forestier, Mythe, 363-370): Eus. v.Const. 4, 61, 2.
Dell’abbondante bibliografia sul tema citiamo, tra gli studi più recenti, Aiello, Costantino, 17-58;
E.Y. Yarnold, The baptism of Constantine, Studia Patristica, 26, 1993, 95-101; M. Amerise, Il
battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda eredità, Stuttgart 2005; P. Maraval,
Battesimo di Costantino, in Enciclopedia Costantiniana
(http://www.treccani.it/enciclopedia/battesimo-di-costantino_(Enciclopedia_Costantiniana)/).
Secondo Salvatore Calderone, invece, l’imperatore volle essere battezzato in punto di morte per
procrastinare il più possibile la sua soggezione ufficiale alla disciplina ecclesiastica e al vescovo: S.
Calderone, Costantino e il cattolicesimo, Firenze 1962, XXXV-XXXVIII. Su questo ed altri aspetti
della rilettura della figura di Costantino operata da Calderone vd. G. Bonamente, Sulla conversione
di Costantino, in Salvatore Calderone (1915-2000). La personalità scientifica. Atti del convegno
internazionale di studi (Messina-Taormina, 19-21 febbraio 2002), a cura di V. Aiello e L. De Salvo,
Messina 2010, 455-469.
46
Oros. hist. 7, 38, 1.
C. Soraci, Da Costantino ai Vandali: aspetti della visione orosiana della storia, in Fra Costantino
e i Vandali. Atti del convegno internazionale di studi per Enzo Aiello (1957-2013) (Messina, 29-30
ottobre 2014), a cura di L. De Salvo, E. Caliri, M. Casella, Bari 2016, pp. 499-514.

subsicivum, nihil non in vulnus suum dicto factove agere), perché il nostro cuore è
talmente condizionato dall’odio che la natura non riesce a vedere il giusto47. Ma se,
come abbiamo visto, il presbitero spagnolo riuscì abbastanza agilmente a
commentare, in poche e acute parole, un atto commesso da altri in un passato
abbastanza remoto, non con lo stesso distacco poté affrontare un problema che lo
toccava in prima persona.
Sono ben note le riletture in chiave provvidenzialistica del sacco di Roma
perpetrato dai Goti di Alarico48, ma qui ci preme sottolineare come i barbari nel loro
complesso furono oggetto di ammirazione da parte di alcuni cristiani, secondo una
visione del resto già cara allo storico Tacito49. Scrive Orosio:

Senza indugio i barbari, maledette le spade, si sono convertiti all’aratro


e trattano i romani superstiti come alleati ed amici, al punto che si possono
trovare in mezzo a loro dei Romani i quali preferiscono sopportare tra i barbari
una libertà povera, piuttosto che tra i Romani una continua richiesta di
tributi50.

Si è molto discusso sull’atteggiamento orosiano di fronte alle invasioni


barbariche: alcuni (ed è questa l’interpretazione storiografica più recente) hanno
sottolineato il desiderio, espresso dal presbitero spagnolo, che i barbari fossero
integrati all’interno dell’impero, altri hanno piuttosto insistito sull’aspirazione ad
un loro totale annientamento. In realtà, entrambe le componenti sono presenti
nell’opera storica di Orosio51; egli, infatti, risente certamente del suo tempo e aveva

47
Oros. hist. 4, 6, 36.
48
Su Alarico, esecutore del castigo di Dio, e sull’utilità della tribolazione, vd. ad es. Oros. hist. 7,
38-39 (in partic. 39, 2: quo magis illa Urbis inruptio indignatione Dei acta quam hostis fortitudine
probarentur…); Aug. civ. 5, 23; Id. urb. exc. 8 = sermo 397; Pall. h. Laus. 54, 7. E. Demougeot, De
l’unité à la division de l’empire romain (395-410). Essai sur le gouvernement impérial, Paris 1951,
478-479 n. 213; P. Courcelle, Histoire littéraire des grandes invasions germaniques, Paris 19643,
52-53; Pavan, Cristiani, 60-62; Siniscalco, Il cammino, 258-261; R. Marino, Alarico nella
letteratura pagana e cristiana, Pan, 18-19 (2001), 377-390.
49
Per un paragone tra i due autori vd., da ultimo, C.C. Berardi, Il mondo barbarico nei giudizi di
Tacito e Orosio, Auctores nostri, 4 (2007), 211-228; M.E. Consoli, La percezione dei Germani in
Tacito e nei Tardoantichi: Paolo Orosio e Ammiano Marcellino, Koinonia, 35 (2011), 91-104. Cfr.
anche Salv. gub. 4, 61: i Romani sono peggiori rispetto ai barbari quantum ad vitam ac vitae actus;
ma circa il parere complessivo dell’autore sui barbari vd. M. Pellegrino, Salviano di Marsiglia,
Roma 1940, 178-179; F. Paschoud, Roma aeterna. Étude sur le patriotisme romain dans l’Occident
latin à l’époque des grandes invasions, Rome 1967, 297-302; D. Lambert, The barbarians in
Salvian’s De gubernatione Dei, in Ethnicity and culture in Late Antiquity, Swansea 2000, 103-115;
E. Piazza, I barbari, punizione di Dio: una nota su Salviano di Marsiglia, Vittore di Vita e Gildas,
Annali della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli studi di Catania, 7 (2008),
139-149.
50
Oros. hist. 7, 41, 7. Siniscalco, Il cammino, 266; Polichetti, Le Historiae, 130; C.C. Berardi,
Barbari esecrati gladios suos ad aratra conversi sunt (Oros. adv. pag. 7, 41, 7): il tema della
pacificazione dei barbari tra IV e V sec. d.C., Auctores nostri, 5 (2007), 17-37. Il motivo non era
nuovo, né frutto di retorica, come osservava già S. Mazzarino, La fine del mondo antico, Milano
1988, 68-69, a detta del quale, tuttavia, “solo la concezione storiografica iniziata da Orosio,
illuminata dalla agostiniana Città di Dio, poteva gettar un ponte tra Cristianesimo e barbari”. I
barbari, d’altro canto, desideravano integrarsi nell’impero e si offrivano di difenderlo: Oros. hist. 1,
16, 3; 1, 17, 3.
51
A. Lippold, Rom und die Barbaren in der Beurteilung des Orosius, Diss., Erlangen 1952, in partic.
65-87 giustamente osserva come il giudizio orosiano variasse in relazione alla religione professata
dai barbari oggetto del suo esame; vd. anche H.-J. Diesner, Orosius und Augustinus, AAntHung, 11
(1963), 97-102; Goetz, Die Geschichtstheologie des Orosius, 126-135; Id., Orosius und die
Barbaren: Zu den umstrittenen Vorstellungen eines spätantiken Geschichtstheologen, Historia, 29,
C. Soraci, Da Costantino ai Vandali: aspetti della visione orosiana della storia, in Fra Costantino
e i Vandali. Atti del convegno internazionale di studi per Enzo Aiello (1957-2013) (Messina, 29-30
ottobre 2014), a cura di L. De Salvo, E. Caliri, M. Casella, Bari 2016, pp. 499-514.

timore dei barbari, come molti suoi contemporanei; Paschoud, pur nella
convinzione che la complessità dei rapporti tra Romani e barbari renda impossibili
dei giudizi onnicomprensivi, ha giustamente insistito sulla profonda ambiguità del
Romano vissuto intorno all’anno 400 verso il barbaro: “d’une part, il le craint
comme un ennemi qui va le détruire, d’autre part il espère l’assimiler et en faire son
défenseur”52. In questo, pagani e cristiani la pensavano allo stesso modo; con la
differenza, però, che mentre i primi consideravano i barbari eccellenti difensori
dell’impero se aderivano alla cultura e alla religione tradizionale, i secondi ne
parlavano in termini positivi soprattutto quando potevano vantarne la conversione
al Vangelo. Illuminanti, a tal proposito, le parole che Gregorio di Nazianzo rivolge
ad un barbaro e che, mutatis mutandis, anche un pagano avrebbe potuto proferire:

Ci ha unito la fede (eujsevbeia) e anche la ben nota virtù che noi abbiamo
trovato in te, tu che mostri chiaramente che essere greco o barbaro è una
differenza di corpi, non di anime, è una distanza di luoghi, ma non di costumi
né di volontà53.

Orosio, tuttavia, si spinge oltre:

se anche i barbari fossero stati immessi nel territorio romano al solo


scopo che in Oriente e in Occidente le chiese di Cristo si riempissero di Unni,
di Svevi, di Vandali, di Burgundi e di diverse innumeri popolazioni di
credenti, la misericordia di Dio sarebbe da lodare e da magnificare, dal
momento che, sia pure a prezzo del cedimento nostro (etiam cum labefactione
nostri), così grandi popoli ebbero conoscenza della verità, che senza dubbio
non avrebbero potuto trovare se non in quella occasione54.

Questo passo, più che rappresentare una manifestazione di filobarbarismo55


(ravvisabile, piuttosto, nelle righe precedenti, sopra citate), tradisce il dramma
vissuto da Orosio; mentre cerca di giustificare, in senso provvidenzialistico,
l’irruzione dei barbari nei territori soggetti al dominio romano56, egli sa bene che,

3 (1980), 356-376. Per un’interpretazione “positiva” delle invasioni barbariche nel pensiero di
Orosio vd., da ultimo, Berardi, Barbari, 17-20 e 36-37; G. Clark, Augustine and the merciful
barbarians, in Romans, barbarians and the transformation of the Roman world, edd. R.W.
Mathisen- D. Shanzer, Farnham-Burlington 2011, 36-38.
52
F. Paschoud, Romains et barbares au debut du Ve siècle après J.-C.: le témoignage d’Eunape,
d’Olympiodore et de Zosime, in La nozione di “romano” tra cittadinanza e universalità. Atti del II
seminario internazionale di studi storici “Da Roma alla terza Roma” (21-23 aprile 1982), 362-363.
53
Greg. Naz. epist. 136, 1: ÔH ga;r eujsevbeia sunh'yen hJma'" kai; to; th'" ajreth'" eujdovkimon, h}n ejn
soi; katemavqomen deivxanti safw'" o{ti to; eJllhniko;n kai; to; bavrbaron swmavtwn, ouj yucw'n ejsti
diaforav, kai; tovpwn diavstasi", ajll∆ ouj trovpwn oujde; proairevsew. Cfr. Paschoud, Romains,
359.
54
Oros. hist. 7, 41, 8; cfr. J. Vogt, Il declino di Roma. Metamorfosi della civiltà antica dal 200 al
500, trad. F. Codino, Milano 1965, 255-256; Lacroix, Orose, 158-160; Pavan, Cristiani, 63-64;
Cobet, Orosius' Weltgeschichte, 83-84; Clark, Augustine, 38. Paschoud, Romains, 359 e Siniscalco,
Il cammino, 266, fanno opportunamente osservare come Orosio ed altri autori omettano di dire che
la maggior parte dei barbari convertiti erano eretici. Non così Salv. gub. 5, 14, il quale attribuisce
alla Chiesa stessa, nel cui seno le controversie dottrinarie hanno avuto origine, la colpa dell’eresia
dei barbari: è «nostra colpa che i popoli dei barbari abbiano cominciato ad essere eretici».
55
Zecchini, Barbari e Romani, 51 n. 77.
56
Non si tratta propriamente di quella “giustificazione della migrazione germanica” attribuita da
Diesner, Orosius, 99 al brano sopra citato (Oros. 7, 41,7); in effetti, l’impiego di “une période
hypothétique irréelle du présent” mostra, come osserva Paschoud, Roma aeterna, 286-287, che lo
storico manifesta dei dubbi circa la possibilità che la Provvidenza divina abbia concepito l’invasione
C. Soraci, Da Costantino ai Vandali: aspetti della visione orosiana della storia, in Fra Costantino
e i Vandali. Atti del convegno internazionale di studi per Enzo Aiello (1957-2013) (Messina, 29-30
ottobre 2014), a cura di L. De Salvo, E. Caliri, M. Casella, Bari 2016, pp. 499-514.

nel concreto, la vittoria di quelli avrebbe portato rovina e morte agli abitanti
dell’impero, ma riconosce che, in un’ottica cristiana, bisogna essere pronti anche a
dare la vita, ad imitazione del Figlio di Dio morto sulla croce, perché altri incontrino
la luce della Verità57. Spostando la questione sul piano escatologico, Orosio
continua aggiungendo che la morte non deve fare paura al cristiano, perché
quest’ultimo sa di aspirare alla vita eterna; al contrario, quand’anche l’impero
resistesse all’irruzione dei barbari e ciascuno avesse maggiore speranza di vita, i
pagani, cui desperata conversio est, dovrebbero temere la morte molto di più:

quale danno, infatti, può essere per un cristiano che aspira alla vita
eterna essere sottratto a questa vita in un qualsiasi tempo e modo? E d’altro
canto quale guadagno può essere per un pagano che, vissuto tra cristiani, si sia
incallito contro la fede, protrarre di poco la vita (egli che deve pur morire) se
non c’è per lui speranza di conversione?58.

Naturalmente, era difficile, nei fatti, non lasciarsi prendere dallo sconforto nel
vedere la devastazione di città e campagne, nel sentire in pericolo la propria vita
(come scrive Rufino,

quale spazio si può dedicare allo scrivere quando si temono i dardi


nemici, quando si ha davanti agli occhi la devastazione delle città e delle
campagne, quando si fugge attraverso i pericoli del mare e neppure l’esilio è
senza timore?»)59

e, per contro, non rallegrarsi, come fece più volte lo stesso Orosio, di fronte
agli insuccessi delle armate nemiche e agli scontri che vedevano opporsi tra loro
stirpi barbariche di diversa provenienza…60
Ma un’interpretazione veramente cristiana della storia non poteva non
esaltare l’unione di popoli e nazioni che, perseguita dai Romani sin dai tempi più
antichi, aveva raggiunto, sotto l’impero, il suo apogeo; come scrive Prudenzio, solo
l’unità di spiriti e pensieri tra genti diverse è gradita a Dio: nec enim fit copula
Cristo / digna, nisi inplicitas societ mens unica gentes. Una simile unione di popoli
può essere realizzata obbedendo alle stesse leggi, comparendo dinanzi ad un
tribunale comune, frequentando i medesimi luoghi commerciali, mescolando il
proprio sangue grazie alle nozze tra genti straniere. Per Prudenzio, però, i popoli
potevano essere uniti solo sotto un’unica insegna, quella romana: Deus undique
gentes/ inclinare caput docuit sub legibus hisdem, ossia, in ultima analisi,

in un disegno missionario: a ragione, Goetz, Die Geschichtstheologie des Orosius, 129-130 osserva
che l’uso del congiuntivo serve ad evidenziare che qui Orosio si spinge fino ad interpretare il
pensiero di Dio “und er ist sich keineswegs sicher, hier wirklich die richtige Deutung gegeben zu
haben”. Come ha ben osservato Pavan, Cristiani, 45, “misurata sull’ambivalenza della storia, anche
l’interpretazione provvidenzialistica è ambigua […] e, viceversa, l’ambivalenza della
provvidenzialità della storia si riversa nell’ambivalenza del giudizio storico”.
57
Cfr. Rom. 5, 1-11.
58
Oros. hist. 7, 41, 9.
59
Rufin. Orig. in num. prol. (trad. M. Veronese); cfr. Rufin. hist. prol., su cui vd. G. Zecchini,
Barbari e Romani in Rufino di Concordia, in Rufino di Concordia e il suo tempo, II, Udine 1987,
32. Anche Claudiano (Get. vv. 197-266) traccia un quadro a tinte fosche dell’invasione gotica
dell’Italia e del terrore di cui furono preda gli abitanti. Circa le diverse sfumature del problema in
autori quali Ambrogio, Ausonio, Girolamo, Claudiano, Idazio e Orosio vd. anche H. Labuske, Die
Barbarenproblematik in Ideologie und Propaganda der Spätantike, in Rom und Germanien, dem
Werken Werner Hartke gewidmet, Berlin 1982, 99-108.
60
Oros. hist. 6, 10, 21; 7, 35, 19; 7, 37.14 ss; 43, 10-16.
C. Soraci, Da Costantino ai Vandali: aspetti della visione orosiana della storia, in Fra Costantino
e i Vandali. Atti del convegno internazionale di studi per Enzo Aiello (1957-2013) (Messina, 29-30
ottobre 2014), a cura di L. De Salvo, E. Caliri, M. Casella, Bari 2016, pp. 499-514.

Romanosque omnes fieri61. Questa era anche la convinzione di buona parte dei
cristiani dell’epoca (tra cui, ed es., Orosio ma non Rufino o Agostino, il quale,
comunque, apprezzava almeno alcuni degli “aspetti positivi dell’unificazione
politica e culturale del mondo antico promossa dall’impero romano”62), che, come
i pagani, sbigottiti di fronte ai continui mutamenti cui era toccato loro di assistere,
difficilmente riuscivano ad immaginare un mondo diverso da quello in cui vivevano
ed erano cresciuti.
Anche alcuni autori cristiani, dunque, pur consapevoli degli errori commessi
dal popolo romano (Orosio mette in guardia dal ritenere felici solo i tempi in cui
Roma vinse, poiché tempora non uni tantum urbi adtributa sed Orbi universo
constat esse communia e quam feliciter Roma vincit tam infeliciter quidquid extra
Roma est vincitur), non possono fare a meno di pensare che il modello romano fosse
il migliore di tutti, scelto da Dio in quanto garante dell’unità terrena, prefigurazione
di quella celeste63.

Orosio non ha riscontrato in genere, presso gli studiosi moderni, grande


favore, anche se negli ultimi anni è stato da più parti rivalutato; paragonato ad un
Agostino, di cui egli stesso si proclamava discepolo, la sua visione storica risulta
limitata, elementare, troppo ideologizzata (di volta in volta in senso cristiano o
romano)64.
Eppure, come abbiamo cercato di far rilevare attraverso questi pochi cenni,
Orosio fu ben conscio di alcuni interrogativi cruciali che lo scrivere la storia dei
tempi cristiani poneva ad un cristiano; la visione provvidenzialistica e ottimistica
che lo caratterizzava e che lo portava talvolta, come ben osserva Marrou, a mettersi
“un peu trop facilement à la place de Dieu lui-même pour formuler des jugements

61
Prud. c.Symm. 2, vv. 578-622.
62
Sugli aspetti positivi dell’unificazione promossa dall’impero vd., ad es., Aug. civ. 5, 17, 1 (che
però non perde occasione per sottolineare come tale unificazione sia avvenuta al prezzo di ingens
strages bellorum), per cui cfr. Loi, Il De civitate dei, 499. Negli ultimi anni della sua vita il vescovo
d’Ippona avrebbe, secondo alcuni (cfr. ad es. Diesner, Orosius, 99-102), mutato in parte opinione
circa il ruolo dell’impero quale garante di pace; di parere opposto, invece, Corsini, Introduzione,
213-214: per quanto concerne il pensiero agostiniano, estremamente articolato e complesso (buona
sintesi del dibattito storiografico in G. Lettieri, Il senso della storia in Agostino d'Ippona: il saeculum
e la gloria nel De civitate Dei, Roma 1988, 309-312), non può non essere rilevata “la difficoltà di
formulare un giudizio globale”, come osserva P. Siniscalco, Roma e le concezioni cristiane del
tempo e della storia nei primi secoli della nostra era, in Id., Il senso della storia. Studi sulla
storiografia cristiana antica, Soveria Mannelli (CZ) 2003 (articolo già apparso in Roma
Costantinopoli Mosca. Da Roma alla Terza Roma, I, Napoli 1983, 31-62), 93-95, ove ulteriore
bibliografia. In merito alla funzione provvidenzialistica dell’impero romano in autori quali Eusebio,
Ambrogio, Gerolamo, Prudenzio, vd., invece, ivi, 83-89.
63
Oros. hist. 5, 1, 3-9; una simile visione, volta a condannare in parte la concezione imperialistica,
coincide con quella di Agostino (cfr. già Paschoud, Roma aeterna, 284-285 e 290-292, che accusa
Orosio di incoerenza su questi temi), per cui vd. Lettieri, Il senso della storia, 305-308. D’altro
canto, Orosio esaltava il ruolo unificante e universalistico dell’impero (ma biasimava la mancanza
di universalismo dei pagani: Lacroix, Orose, 122-128): Oros. hist. 6, 1, 5-8; A. Lippold, Introduzione
a Orosio, Le storie contro i pagani, I, Milano 20014, XXIII-XXIV; A. Marcone, Il sacco di Roma
del 410 nella riflessione di Agostino e di Orosio, RSI, 114, 3 (2002), 859-867.
64
Una sintesi dei giudizi negativi su Orosio è stata fatta da Fabbrini, Paolo Orosio, 5-45 e passim.
Da ultimo, cfr. anche Polichetti, Le Historiae, 131, secondo cui Orosio non sarebbe riuscito a
“reinterpretare la storia in senso cristiano”; Marcone, Il sacco di Roma, 859-860 e 866; M. Cesa, Le
historiae adversus paganos di Orosio nel contesto della storiografia tardoantica, in Forme letterarie
nella produzione latina di IV-V secolo con uno sguardo a Bisanzio, a cura di F.E. Consolino, Roma
2003, 29-30.
C. Soraci, Da Costantino ai Vandali: aspetti della visione orosiana della storia, in Fra Costantino
e i Vandali. Atti del convegno internazionale di studi per Enzo Aiello (1957-2013) (Messina, 29-30
ottobre 2014), a cura di L. De Salvo, E. Caliri, M. Casella, Bari 2016, pp. 499-514.

sur la signification des événements, des hommes et des temps”65, non gli impedì di
riflettere a fondo su alcuni eventi storici oggetto della sua analisi: nel chiedersi il
perché un imperatore cristiano dai tanti meriti possa uccidere addirittura un suo
consanguineo o nel tentativo, molto sofferto, di scorgere una volontà provvidenziale
nella rovina dell’impero, nel cui ruolo universalistico egli profondamente credeva,
si intravedono, al contempo, la capacità di comprendere la dinamica storica
all’interno di un processo in cui larga parte aveva il libero arbitrio dell’uomo, la
sofferta tensione tra il dover essere di ogni cristiano e la debolezza della natura
umana66, nonché il sostrato escatologico caratteristici della sua opera.

Cristina Soraci
Università degli studi di Catania

65
Marrou, Saint Augustin, 76. Vd. anche A. Marchetta, Aspetti della concezione orosiana della
storia, in Hispania terris omnibus felicior. Premesse ed esiti di un processo di integrazione. Atti del
convegno internazionale (Cividale del Friuli, 27-29 settembre 2001), Pisa 2002, 323-343.
66
Orosio era, del resto, ben cosciente della sua condizione di Romano, cristiano ed uomo come altri
(hist. 5, 2, 6: inter Romanos… Romanus, inter Christianos Christianus, inter homines homo legibus
inploro rempublicam, religione conscientiam, communione naturam): D. Diamantino Martins,
Paulo Orósio. Sentido universalista da sua Vida e da sua Obra, Revista portoguesa de filosofia, 11
(1955), 382-383.

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