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Il Dirigismo economico
Caduta della produzione e disoccupazione: il ripiegamento verso il mercato interno
In Italia le conseguenze della crisi furono aggravate dall'operazione “Quota 90”; con “Quota 90” infatti venne
confermato il modello di sviluppo tradizionale italiano basato sul rapporto tra stato, grandi gruppi industriali e banche;
tutti questi fenomeni determinarono quindi:
Ripercussioni sul mercato interno ed estero: i costi della crisi furono infatti riversati sui lavoratori dipendenti; gli
imprenditori, infatti, come reazione alla crisi cercarono di mantenere elevati i profitti; le conseguenze furono:
disoccupazione e diminuzione degli stipendi. Tutti questi aspetti diminuirono la domanda interna e la crisi
internazionale penalizzò i commerci con l'estero.
Il regime cercò di reagire a tutto questo per mezzo del Protezionismo, che ebbe per un breve periodo dei
moderatamente buoni risultati, ma poi causò:
Penalizzazione settore agricolo: l'agricoltura fu infatti ridimensionata per il mercato interno e perse gran parte del suo
potenziale economico, dato dalle esportazioni. Questo impedì la modernizzazione delle strutture; infine i pochi lavori
pubblici andarono a vantaggio dei soli latifondisti.
Dallo stato regolatore della vita economica allo stato imprenditore e banchiere
Nei settori legati al privato si ebbe una riorganizzazione industriale: le industrie tradizionali, come la pasta, vennero
penalizzate, quelle che avevano avuto grosse innovazioni tecnologiche, come quella cotoniera, ebbero un grande
sviluppo. Parallelamente la crisi accentuò il rapporto tra grandi industrie e i prestiti delle banche; la strada del
salvataggio classico con assorbimento dei debiti industriali da parte dello stato non era più praticabile a causa della
crisi. Si cercò quindi di trovare nuove soluzioni per agevolare tutto questo:
Fu smantellata la Banca mista: questa aveva due compiti: raccogliere i risparmi e finanziare le imprese con prestiti a
lungo termine; questi, se non venivano restituiti, erano saldati con l'acquisizione da parte della banca di quote
azionarie dell'impresa debitrice. Con i provvedimenti del '33 quest'ultimo compito fu affidato ad un ente pubblico:
l'IRI (istituto ricostruzione industriale).
Questo istituto in breve tempo ebbe a disposizione un vero e proprio impero industriale e finì per assorbire anche le tre
principali banche miste italiane. Fu così che in Italia alla figura dello stato come promotore e regolatore della vita
economica statale, venne sostituito lo stato “imprenditore” (aveva il più importante patrimonio industriale in Italia) e
“banchiere” (centro dell'intermediazione economica).
La scelta autarchica come coronamento della politica economica corporativa
L'elemento chiave della strategia dirigista del regime fu l'intensificazione del protezionismo. La scelta autarchica
(adottata da tutte le nazioni industriali) fu inaugurata ufficialmente nel '36, quando vennero emanate delle sanzioni
commerciali dalla Società delle Nazioni contro l'Italia per la sua aggressione ai danni dell'Etiopia. Essa significò il
coronamento della politica economica fascista, secondo la quale si sarebbe potuto rispondere alla crisi capitalista solo
con un controllo della concorrenza economica su tutti i livelli.
Nel '26, con le leggi sindacali di Alfredo Rocco, furono create le prime corporazioni;
Nel ’26 fu istituito il Ministero delle Corporazioni (Mussolini);
Nel '30 il Consiglio nazionale delle corporazioni assunse compito di elaborare la legislazione sul lavoro.
Solo nel '34 però nacquero le prime Corporazioni col compito di coordinare la produzione. Il sistema corporativo
(intervento dello stato nell’economia) mancò molti dei suoi obiettivi fondamentali (disciplinare il mercato ed
eliminare la concorrenza), ma determinò:
Il superamento della crisi salvaguardando rendite e profitti.
La mobilitazione di tutte le risorse finalizzandole allo sviluppo industriale (in nome degli “interessi della nazione”);
La concentrazione dei capitali nelle mani di un numero sempre minore di aziende, dato che le aziende più deboli
crollarono.
Imperialismo e rilancio dell'economia nazionale
Dal '35 fu posto in atto il programma di rilancio dell'economia basato sulla guerra d'Etiopia. Così, creando una
domanda basata sulla spesa pubblica alimentata anche dalla guerra l'industria ebbe un intenso sviluppo. La ripresa fu
anche alimentata dall'autarchia, la quale, insieme alla svalutazione della lira, promosse la sostituzione delle
importazioni con la produzione italiana.
La politica estera del fascismo
Le ragioni economiche e politiche della scelta imperialista: la conquista dell'Etiopia
La conquista dell'Etiopia iniziò nell'ottobre del '35 ed ebbe fine del luglio del '36. Vennero utilizzati come pretesto gli
incidenti avvenuti tra i confini con i possedimenti italiani. Fu il maresciallo italiano Graziani a condurre le operazioni
italiane, utilizzando le bandite armi chimiche. Le guerre d'Africa avevano due principali obiettivi:
Rinvigorire la situazione economica italiana: si voleva conquistare l'Etiopia per allargare i confini del mercato
nazionale durante l'autarchia.
Riannodare i fili del consenso: a causa infatti della disoccupazione e del peggioramento sempre maggiore dei salari dei
lavoratori, infatti, il consenso era diminuito fortemente; la guerra e il miraggio dell'impero italico e della sua gloria
servirono per arginare la situazione.
La politica di equilibrio e di mediazione internazionale dei primi anni trenta
La scelta imperialista mussoliniana sancì la conclusione di un lungo ciclo della politica estera fascista.
Prima fase: fu caratterizzata dal tentativo di inserirsi nel gioco diplomatico delle potenze europee culminato col
trattato di Locarno.
Seconda fase: si orientò in senso revisionista, cercando cioè di modificare l'equilibrio internazionale sancito con i
trattati di Versailles.
Dunque dal '20 in poi, al fine di ottenere i suoi obiettivi, l'Italia aveva appoggiato tutti i movimenti di stampo
nazionalista e fascista nell'Europa. La diffusione dei regimi autoritari nel vecchio continente fu pertanto un grande
successo. In questa fase vennero perseguiti due fondamentali traguardi:
Isolare la Jugoslavia per arginare l'influenza francese in Europa.
Avvicinarsi alla Gran Bretagna e agli USA, i due stati con maggiori investimenti in Italia.
Gli obiettivi fascisti furono messi in pericolo dall'avvento del nazismo in Germania; Mussolini infatti aveva paura
delle mire espansionistiche dello stato tedesco nei Balcani; è in questo periodo che si afferma:
Politica d'equilibrio: infatti Mussolini, per tenere sotto controllo la Germania, con un patto a quattro insieme a GB,
Francia e Germania stessa, cercò di porsi come ago della bilancia per una revisione consensuale dei trattati di pace di
Versailles. Obiettivo di Mussolini in questo periodo era anche ridimensionare il ruolo di grande potenza che la
Germania stava assumendo; per far questo stipulò vari trattati.
Parallelamente a tutto questo venne inaugurata la nuova politica coloniale basata su:
Riconquista della Libia: che dopo la IWW aveva riconquistato gran parte della sua indipendenza.
Espansione della propria influenza nei Balcani: traguardo raggiunto con una serie di accordi stipulati con gli stati
danubiani. Questa scelta fu portata avanti per:
Rafforzare la presenza italiana in una regione cruciale a livello internazionale.
Espandersi in una zona dove il capitalismo italiano aveva investito maggiormente.
La rottura degli equilibri internazionali e la costituzione dell'Asse Roma-Berlino
Con la guerra d'Africa venne rotto l'equilibrio internazionale: le sanzioni della Società delle Nazioni non ebbero
risvolti materiali perché l'Italia si rifornì dagli stati che non ne facevano parte (come USA e Germania), ma
determinarono il peggioramento delle relazioni diplomatiche tra Italia e le due maggiori democrazie europee, GB e
Francia. L'avvicinamento alla Germania nazista divenne inevitabile.
Nell'ottobre del '36 venne sancito l'Asse Roma-Berlino, che prevedeva comuni intenti sulla politica estera:
Mettere fine all'equilibrio europeo stabilito con Versailles.
Costituire un blocco unitario di stati fascisti.
L'alleanza si concretizzò subito con il comune appoggio alle truppe di Francisco Franco, in Spagna, e si rafforzò con
l'entrata da parte dell'Italia nel Patto Anticomintern con Germania e Giappone. Questa alleanza, partita come
collaborazione tra stati con ideologie spiccatamente antidemocratiche e anticomuniste, si trasformò ben presto in una
subordinazione dell'Italia alla Germania.
La fascistizzazione della società
La chiesa cattolica e la stabilizzazione del regime: i patti lateranensi
La crisi minacciò di rompere la stabilità del regime fascista. Uno dei fattori che risollevò la situazione fu l'accordo
stipulato con la Chiesa Cattolica, i Patti Lateranensi, nel febbraio del 1929. I patti lateranensi posero fine alla
questione romana nata con la proclamazione di Roma capitale, si suddividevano in:
Trattato: garantiva l'assoluta indipendenza della Città del Vaticano, sulla quale il Papa esercitava piena sovranità; a sua
volta la Santa Sede si impegnava a riconoscere lo stato italiano con capitale Roma, che assumeva la religione cattolica
come una religione di stato.
Convenzione finanziaria: decretava il pagamento di un'indennità a risarcimento dei beni espropriati alla chiesa negli
anni.
Concordato: imponeva ai vescovi di giurare fedeltà allo stato italiano e garantiva alcuni privilegi alla chiesa cattolica,
come la garanzia che la religione cattolica sarebbe stata insegnata nella scuola pubblica o come il riconoscimento degli
effetti civili del matrimonio religioso.
Questo risultato rafforzò il consenso e subito, nel '29, furono indette nuove elezioni col metodo plebiscitario (si poteva
votare solo sì o no alla lista presentata dal Gran Consiglio del Fascismo, divenuto organismo costituzionale) che
videro un risultato largamente favorevole al regime. L'alleanza tra chiesa e regime fu messa a dura prova due anni
dopo i patti, quando le squadracce colpirono le associazioni cattoliche e Mussolini ne ordinò lo scioglimento per avere
il “monopolio” sulla formazione giovanile.
Politiche sociali e propaganda ideologica
Le tensioni sociali dovute alla crisi costrinsero il regime a creare uno stato assistenziale autoritario. La politica sociale
era comunque parte integrante del disegno di mobilitazione delle masse perseguito dal fascismo e che si tentò di
potenziare con l'imperialismo. Gli strumenti che però miravano alla fascistizzazione erano vari; il Partito Nazionale
Fascista li organizzava tutto per mezzo delle associazioni ad esso collegate:
Organizzazioni giovanili: come i balilla o i Giovani universitari fascisti; organizzazioni con scopo ricreativo e di
indottrinamento ideologico.
Organizzazioni dei lavoratori: l'Opera nazionale dopolavoro, che aveva lo scopo di organizzare il tempo libero delle
masse.
Organizzazioni femminili: con l'obiettivo di sostenere la politica demografica fascista e la diffusione di un'idea
conservatrice di famiglia.
La scuola però, soprattutto, divenne il principale strumento per operare la diffusione dei valori del fascismo.
Attraverso una serie di riforme essa fu:
Privata di ogni autonomia culturale.
La struttura burocratica venne centralizzata: tutte le autorità scolastiche erano scelte dal governo.
I professori furono costretti a giurare fedeltà al regime.
I libri delle elementari vennero sostituiti con un testo unico scelto dal regime stesso.
Vennero poi costituiti tutta una serie di istituti culturali per sistematizzare le conoscenze, come l'Istituto per
l'Enciclopedia italiana e l'Accademia d'Italia. L'indottrinamento fu poi potenziato per mezzo di:
Stampa: fu asservita al regime in modo graduale, ma intransigente; i direttori o giornalisti non allineati venivano
cacciati; le notizie venivano suggerite direttamente dall'Ufficio di stampa e propaganda (poi ministero della cultura
popolare).
Cinema: venne statalizzato l'Istituto Luce, monopolio dell'informazione cinematografica.
Radio: se ne potenziò la diffusione in tutte le famiglie e venne posta sotto il monopolio di stato gestito dalla Eiar.
Tutti questi provvedimenti infine si accompagnarono con l'esercizio sistematico della repressione per mezzo
specialmente della Ovra, la polizia segreta.
La modernizzazione autoritaria della società
Negli anni della crisi vi fu una grande trasformazione nella società italiana, che assunse i tratti di un paese industriale.
I fenomeni più significativi riguardarono la popolazione, interessata da:
Fenomeni di inurbamento e calo delle nascite, nonostante gli obiettivi della politica demografica fascista.
Trasferimento della popolazione dal sud a nord e dai piccoli centri alle grandi città.
Dato che mostrò anche il divario fra Nord e Sud; a N infatti la natalità diminuì e la popolazione si trasferì nelle città,
come nei paesi più sviluppati in Europa, al S invece si presentò la situazione contraria, come nei paesi più arretrati del
Mediterraneo.
Calo della mortalità infantile, che rimase comunque elevata rispetto agli standard europei.
Diminuzione delle grandi malattie infettive grazie alla diffusione delle strutture di prevenzione e cura.
Negli altri settori lo sviluppo fu invece lento a causa delle tendenze antipopolari del regime, che si dedicò
fondamentalmente alla produzione. Sotto questo punto di vista aumentò sempre più il divario tra Italia e il resto
dell'Europa industriale.