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Lezione IV

1. Se la coscienza non può intuire il nulla, abbiamo visto come sia proprio il nulla a
costituire la sua condizione di possibilità. E’ in virtù della «fessura impalpabile» posta
al suo interno – della «fessura intracoscienziale» – che la coscienza può essere ciò che
è, cioè una «presenza a sé». E tale fessura intracoscienziale è definita da Sartre come
«il puro negativo», come l’unico luogo in cui è possibile cogliere il nulla nella sua
purezza, nella sua assolutezza1.
Ma se tale fessura intracoscienziale è il puro, assoluto nulla, considerata in se stessa
sarebbe in grado di contenere il puro essere dell’essere in-sé, dunque di imprimergli la
propria forma. L’inappagabilità del desiderio sembra doversi ricondurre allora
all’impossibilità della coscienza di essere cosciente della propria condizione di
possibilità, di assumerla a proprio oggetto2.

2. Ma se il puro nulla della fessura intracoscienziale è ciò che permette alla coscienza
di essere tale, si deve pensare che esso non possa essere oggetto della coscienza in
quanto esercita la propria funzione in modo inconscio. L’impossibilità della coscienza
1
Cioè senza attribuirgli il carattere di essere con il solo fatto di pensarlo.
2
In un passaggio dell’Essere e il nulla, Sartre osserva: «la coscienza è un riflesso; ma proprio in
quanto riflesso è riflettente, e se tentiamo di coglierla come riflettente svanisce e noi ricadiamo sul
riflesso» (J.-P. SARTRE, op. cit., trad. it. pp. 113-114). Quest’osservazione di Sartre ha un significativo
riscontro nella letteratura psicoanalitica, in particolare nel pensiero di Ignacio Matte Blanco: «Quando […]
ci soffermiamo a considerare il processo stesso del pensiero e pensiamo che siamo noi che stiamo
pensando, […] troviamo che la nostra coscienza è qualcosa di fugace, di mai completamente afferrato. In
altri termini: quando vogliamo diventare pienamente consci del nostro essere consci, la nostra coscienza
di essere consci si annebbia» (I. MATTE BLANCO, The Unconscious as Infinite Sets. An Essay in Bi-logic,
Duckworth, London 1975, trad. it. L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica, Einaudi,
Torino 1981, p. 256; il corsivo è di Matte Blanco).
1
di intuire il nulla, cioè, non deve necessariamente essere estesa alla vita psichica tout
court.
Ciò è attestato – altrettanto indirettamente – anche da un passaggio dell’Imaginaire.
Immediatamente dopo aver osservato che «non ci può essere un’intuizione del nulla»,
Sartre aveva soggiunto: «Il nulla non si può dare che come infrastruttura di qualche
cosa. L’esperienza del nulla […] è un’esperienza data, per principio “con” e “dentro”»3.
Questo qualcosa attraverso cui il nulla si dà nella forma di sua infrastruttura, questo
qualcosa “con” cui e “dentro” cui è data l’esperienza del nulla, è l’immaginario: «Noi
[…] definiamo con ciò la costituzione dell’immaginario»4.
Ma se il nulla non intuito dalla coscienza tende comunque a darsi come
infrastruttura di qualcosa, «con» l’immaginario e «dentro» l’immaginario, vuol dire
che ha comunque un posto nella vita psichica, benché non sia il posto della coscienza.
Ciò vuol dire che in questo passaggio dell’Imaginaire si racchiude implicitamente e
indirettamente l’ammissione dell’esistenza di una vita psichica inconscia 5 e nel
3
J. P. SARTRE, L’imaginaire cit., p. 287.
4
Ibidem.
5
In contrasto con quanto Sartre afferma esplicitamente: «l’esistenza d’un fenomeno psichico e il
senso che assume per la coscienza fanno tutt’uno» (ivi, p. 38), soggiungendo in nota: «Non ignoriamo
che queste constatazioni ci obbligano a respingere in blocco l’esistenza dell’incosciente» (ibidem). Tale
negazione dell’inconscio, peraltro, è sistematicamente sviluppata nell’Essere e il nulla. Nel secondo
capitolo, egli osserva come la fuga dall’angoscia porti necessariamente con sé la nozione di ciò da cui
fugge: «io fuggo per ignorare, ma non posso ignorare che fuggo, e la fuga dall’angoscia è solo un modo
di divenire cosciente dell’angoscia». (J.-P. SARTRE, L’etre et le néant cit., trad. it.. p. 79). Poco oltre, egli
si riferisce all’idea di una censura psichica che respinga dalla coscienza i desideri inaccettabili, e obietta:
«come la censura discernerebbe gli impulsi da respingere, senza avere coscienza di discernerli?» (ivi, p.
88). Alcune pagine più avanti, fa un’analoga considerazione a proposito delle deformazioni che i desideri
inaccettabili subiscono per raggiungere in qualche modo la coscienza, nei sogni o nei sintomi nevrotici:
«Come può la tendenza respinta “travestirsi”, se non involge 1) la coscienza di essere respinta, 2) la
coscienza d’essere stata rifiutata perché è quello che è, 3) un piano di travestimento?» (ivi, p. 89). Se
l’inconscio è l’ambito di ciò da cui la coscienza fugge, e che può pervenire a questa solo travestendosi,
l’atto dell’individuazione di ciò da cui fuggire, poi l’atto del fuggire e del travestire, implicano una
coscienza di se stessi. Sicché il concetto di inconscio risulta intrinsecamente contraddittorio. Com’è
noto, in un secondo momento (a partire da Questions de méthode, Gallimard, Paris 1957, trad. it..
Questioni di metodo, il Saggiatore, Milano 1963), Sartre ha moderato la sua posizione critica nei
confronti di Freud e della psicoanalisi; cfr. S. SPORTELLI, Sartre e la psicoanalisi, Dedalo, Bari 1981, e
anche E. ROUDINESCO, Philosophes dans la tormente, Fayard, Paris 2005). Sul rapporto fra la il pensiero
di Sartre e quello di Freud, vedi F. S. TRINCIA, Jean-Paul Sartre, Sigmund Freud e il problema della
2
contempo forse la sua più profonda giustificazione, la più profonda definizione della
sua ragion d’essere6: l’inconscio intuisce il nulla che sfugge alla coscienza, ed esiste in
quanto alla coscienza sfugge il nulla.
Ora, in virtù di tale vita psichica inconscia, dell’intuizione del nulla che la
caratterizza, diventa possibile per la realtà umana – per un essere per-sé inteso in senso
ampio come realtà umana e non in senso stretto come coscienza – contenere l’essere
assoluto dell’in-sé, raggiungerlo senza perdere la propria natura, ma affermandola.
Dunque diventa possibile che il desiderio sia quel «vuoto riempito che dà la forma a
ciò che lo riempie» che mira a essere, dunque diventa possibile il suo appagamento.
E l’oggetto del desiderio è tale – è qualcosa di desiderabile e di appagante – in
quanto è avvolto da questo vuoto, come da un velo di nulla: come da un velo “fatto” di
nulla.

irrazionalità, in M. D’ABBIERO (a cura di), op. cit., pp. 177-219.


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La risposta più diffusa e immediata alla fondamentale domanda sul perché una sfera della psiche
sia inconscia è consistita nel concetto di rimozione: «Ricaviamo […] il nostro concetto di inconscio dalla
dottrina della rimozione», ha affermato Freud (S. FREUD [1922], Das Ich und das Es, GW, vol. XIII, tr.
it. L’Io e l’Es, OSF, vol. IX, p. 477). Freud stesso, tuttavia, ha riconosciuto ben esplicitamente
l’esistenza di una sfera dell’inconscio che eccede il rimosso: «è nostra intenzione chiarire fin dall’inizio
che il rimosso non esaurisce tutta intera la sfera dell’inconscio. L’inconscio ha un’estensione più ampia;
il rimosso è una parte dell’inconscio» (S. FREUD [1915], Das Unbewusste, GW, vol. X, tr. it. L’inconscio,
OSF, vol. VIII, p. 49). Egli si è poi spinto fino a rimpiangere di non aver dedicato una maggiore
attenzione al tema dell’inconscio non rimosso: «La ricerca in campo patologico ha fatto sì che il nostro
interesse si rivolgesse in modo troppo esclusivo al rimosso» (S. FREUD, Das Ich und das Es cit., tr. it. p.
482). La rimozione rende dunque conto solo di «una parte dell’inconscio». Resta da individuare la ragion
d’essere della parte dell’inconscio che eccede il rimosso: inconscia e tuttavia non rimossa. Avendo
rivolto il proprio interesse «in modo troppo esclusivo al rimosso», Freud non ha approfondito il tema
dell’inconscio non rimosso, dunque non ha individuato in alcun modo la sua ragion d’essere. La ricerca
più approfondita di tale ragion d’essere è costituita dall’opera di Ignacio Matte Blanco (cfr. in
particolare, I. MATTE BLANCO, The Unconscious as Infinite Sets cit.) la quale peraltro è stata considerata
da Matte Blanco stesso come suscettibile e bisognosa di un compimento (cfr. I. MATTE BLANCO,
Thinking, Feeling, and Being, Routledge, London-New York 1988, tr. it. Pensare, sentire, essere,
Einaudi, Torino 1995, p. 106). E mi è sembrato che un tale compimento possa avvenire proprio nella
direzione dell’idea che la risposta più inattaccabile alla domanda “perché esiste una vita psichica
inconscia e non rimossa” possa essere, appunto, questa: “perché alla coscienza sfugge il nulla” (cfr. il
mio L’inconscio come essere e come nulla. Saggio su Freud e Matte Blanco, Liguori, Napoli 1997).
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3. Abbiamo visto come il desiderio che coesiste con l’appagamento possa appagarsi in
quanto la vita psichica dispone di un’intuizione del nulla altrettanto assoluta di quanto
assoluto è l’essere dell’in-sé, di un calco vuoto in grado di contenere il puro essere in-
sé e di imprimergli la propria forma. Ciò significa che l’appagamento non sopprime la
mancanza che il desiderio implica. Tale mancanza, infatti, è appunto un vuoto. E’
dunque in virtù del suo permanere nell’atto dell’appagamento che l’oggetto del
desiderio può assumere la forma del calco che lo contiene.

4. Ovviamente anche il desiderio che si estingue con l’appagamento, prima che tale
appagamento sia subentrato, non ha ancora soppresso la mancanza. Sicché anche il suo
oggetto appare avvolto dal velo di tale mancanza. E’ dopo l’appagamento che tale velo
viene meno, a differenza di quanto avviene per l’oggetto del desiderio che coesiste con
l’appagamento.
Ma se è così deve esserci una differenza anche prima dell’appagamento fra il modo
in cui i due oggetti sono avvolti dalla mancanza. Tale differenza, cioè, non può essere
colta solo a posteriori, ma deve essere riconosciuta già in partenza, nell’atto stesso del
desiderare. Desiderare qualcosa quando il desiderio è destinato a estinguersi con
l’appagamento, quando ciò che è desiderato è destinato a non esserlo più una volta
raggiunto, dev’essere diverso dal desiderare qualcosa quando il desiderio coesiste con
l’appagamento, quando ciò che è desiderato è destinato a esserlo anche dopo essere
stato raggiunto.
In entrambi i casi, prima dell’appagamento, l’oggetto del desiderio è qualcosa che
manca, ma deve esserlo in due modi diversi.
Dobbiamo dunque identificare questi due diversi modi.

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5. Se il desiderio che si estingue con l’appagamento si costituisce a partire da una
mancanza che tende a sopprimere, sicché una volta soppressa tale mancanza viene
meno anche la sua ragion d’essere, il desiderio che coesiste con l’appagamento non si
costituirà a partire da una mancanza ma sarà esso stesso a costituirla. L’oggetto che lo
appaga, cioè, non riempirà un vuoto che gli preesisteva, ma sarà esso stesso a scavare
un vuoto. Sicché, nell’atto dell’appagamento, lo colmerà, ma non completamente, lo
riempirà senza saturarlo. E ciò che resterà di tale vuoto sarà appunto il velo di nulla che
avvolge l’oggetto del desiderio, il velo di nulla che, avvolgendo le cose, le rende
desiderabili.
L’oggetto del desiderio sarà cioè qualcosa di cui il soggetto non aveva sentito
affatto la mancanza. E’ nell’incontrarlo, non prima di questo evento, che nel soggetto si
determina la mancanza di tale oggetto, cioè il desiderio di esso. Più semplicemente: in
questo caso, è l’oggetto a suscitare il desiderio.
In tal modo, tale oggetto appaga immediatamente il desiderio di desiderare, che è
poi la condizione di possibilità dell’appagamento del desiderio di qualcosa7.

6. Se il desiderio che coesiste con l’appagamento dà luogo alla mancanza piuttosto che
sopprimerla, se è il suo stesso oggetto a scavarne il vuoto, per riempirlo senza
saturarlo, ciò avviene in una maniera specifica, con una specifica articolazione che
definirei “fantasia d’amore”, intendendo con tale espressione il fenomeno inverso della
idealizzazione dell’oggetto d’amore.
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Da quanto abbiamo appena acquisito, deriva che il desiderio che si estingue con l’appagamento
non dà luogo a un appagamento vero e proprio in quanto è concepito come qualcosa che presuppone la
mancanza piuttosto che produrla. E se anche Sartre, che pure afferma la necessità della coesistenza del
desiderio e dell’appagamento (e dunque ci autorizza a immaginare nell’appagamento un oggetto avvolto
dal residuo del vuoto che esso stesso scava), giunge a negare la possibilità dell’appagamento, lo fa in
quanto anch’egli definisce il desiderio a partire dalla mancanza e non la mancanza a partire dal
desiderio. Egli afferma infatti: «Per se stesso […], il desiderio è un vuoto» (J.-P. SARTRE, L’être et le
néant, cit., trad. it. p. 141). E poco prima, proprio immediatamente dopo aver affermato che «la sete si
conosce come sete nel momento in cui il bere la soddisfa», soggiunge: «ove, per il fatto stesso della
soddisfazione, perde il suo carattere di mancanza» (ibidem). Anche per Sartre, cioè, il percorso del
desiderio parte dalla mancanza e si esaurisce con il venir meno di questa.
5
Attraverso l’idealizzazione, come osserva Freud nell’Introduzione al narcisismo,
«l’oggetto […] viene amplificato e psichicamente elevato»8. L’idealizzazione, cioè, è
come un amore di fantasia, in cui l’immaginazione eleva le caratteristiche di un oggetto
per poterlo amare9. In essa, dunque, viene prima la fantasia e poi l’amore.
Nella fantasia d’amore, invece, viene prima l’amore, che si radica nelle
caratteristiche che l’essere amato effettivamente possiede, e poi la fantasia: un mondo
immaginario che non coincide con tali caratteristiche e che tuttavia è prodotto da
queste.
Perché l’oggetto d’amore ha la proprietà di dare luogo a un mondo immaginario, a
tutta un universo di ricordi, di dettagli talvolta minimi, di atmosfere più o meno
decifrabili, che derivano da sé attraverso una trama di rimandi più o meno remoti.
«Dall’essere amato emana una forza che niente può fermare», ha osservato Roland
Barthes nei Frammenti di un discorso amoroso10.
Si tratta allora di sintonizzarsi sul mondo emanato da questa forza. Tale mondo
non coincide con le caratteristiche effettive dell’essere amato, ma solo da queste può
essere istituito. Dunque non è qualcosa di estrinseco, di arbitrario rispetto a tali
caratteristiche, qualcosa di genericamente immaginario. E’ l’immaginario che emana
dall’essere amato. E che solo da esso può emanare.
Nella fantasia d’amore, cioè, a differenza di quanto avviene nell’idealizzazione,
l’immaginario non è proiettato sull’oggetto del desiderio ma sintonizzato sul mondo che
da questo emana. Sicché tale mondo non è chiamato a coincidere con nessuna “realtà”. E’

8
S. FREUD (1914), Zur Einführung des Narzissmus, GW, vol. X, trad. it. Introduzione al narcisismo,
OSF, vol. VII, p. 464.
9
Uso qui i termini “fantasia” e “immaginazione” con uno stesso significato, prescindendo dalla
complessa questione del loro rapporto per la quale rimando a M. FERRARIS, L’immaginazione, il Mulino,
Bologna 1996, pp. 7-13.
10
R. BARTHES, Fragments d’un discours amoureaux, Gallimard, Paris 1977, trad. it. Frammenti di
un discorso amoroso, Einaudi, Torino 1979, p. 146.
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chiamato piuttosto a rimanere irreale: per inseguire la vita che si rifugia nell’irreale, per
accedere a ciò che solo nell’irreale può essere goduto11.
Esso corrisponde dunque al desiderio che mira non ad appagarsi ma soltanto a
esistere, o – se si preferisce – al desiderio che si appaga del solo fatto di esistere. Dunque
al desiderio di desiderare.
E poiché il desiderio di desiderare è anche la condizione di possibilità
dell’appagamento del desiderio di qualcosa, si deve pensare che sia tale mondo
immaginario a costituire quel velo “fatto” di nulla che avvolge le cose rendendole
desiderabili.

11
«Non si dà realizzazione dell’immaginario», afferma Sartre (L’imaginaire cit, trad. it. p. 291). E
Sigismondo, protagonista de La vita è sogno di Calderón de la Barca – nel momento in cui attinge alla
saggezza più alta – giunge ad affermare: «Si gode soltanto ciò che si gode nel sogno» (P. CALDERÓN DE LA
BARCA [1635], La vida es sueño, trad. it. La vita è sogno, Einaudi, Torino 1980, p.67).
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