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giustificato motivo oggettivo: nozione ed estensione del sindacato giudiziale. – 3. La legge n. 183 del
2010: l’introduzione di limiti al sindacato giudiziale e di termini di decadenza per l’impugnazione del
l’ingiustificatezza qualificata e l’ambito di applicazione della tutela reale. – 5. Il d. lgs. n. 23 del 2015
persona del lavoratore oggettivamente considerata. – 7. Segue: l’applicabilità della tutela reintegratoria
1. La disciplina dei licenziamenti ha conosciuto una serie di interventi legislativi che hanno
modo il loro interesse alla continuità e stabilità del rapporto rispetto alle esigenze
dell’impresa, nel passaggio dal combinato disposto degli artt. 2118 e 2119 c.c. alla legge n.
604/1966, all’art. 18, l. n. 300/1970 ed alla sua riforma operata dalla l. n. 108/1990, alla legge
procedurale, nonché di meccanismi sanzionatori tra cui quello della tutela reale ha finito per
assurgere a regola mediante l’estensione del relativo ambito di applicazione con riguardo alle
dimensioni (più di 60 dipendenti nel complesso anche se le unità produttive situate nello
stesso Comune non superano i 15) e alla natura del datore di lavoro (anche non imprenditore,
*
Il presente contributo è destinato agli “Studi in onore di Raffaele De Luca Tamajo”.
1
con la sola circoscritta esclusione delle organizzazioni di tendenza, fino a ricomprendere le
pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti da esse occupati), alle
licenziamento nel settore privato, senza limiti nel settore pubblico), nonché alle fattispecie di
le tesi più garantiste inizialmente sostenute da alcuni giudici di merito in ordine alla
necessaria opportunità sociale o alla razionalità tecnica delle scelte organizzative del datore di
giustificato motivo oggettivo quale limite esterno al potere unilaterale del datore di recedere
dal rapporto di lavoro, presupposto che legittima l’esercizio di tale potere ( 1): un presupposto
dipendente licenziato in altre mansioni, non necessariamente equivalenti (2), di una selezione
In altre parole, con riguardo alla prima delle due fattispecie di giustificato motivo
oggettivo, quella cioè dovuta a ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del
lavoro, in definitiva riconducibile alla soppressione di uno o più posti di lavoro, il sindacato
circostanze di fatto ed in necessarie valutazioni giuridiche: “una serie causale che include fatti
1
() Sul punto sia consentito rinviare a C. ZOLI, I licenziamenti per ragioni organizzative: unicità della causale e
sindacato giudiziale, in Arg. Dir. Lav., 2008, pag. 39 e segg.
2
() Invero, sulla possibilità di estendere l’obbligo di reimpiego anche alle mansioni inferiori eventualmente
disponibili in azienda la giurisprudenza è divisa: propendono per tale possibilità, tra le altre, Cass. 3 maggio
2005, n. 9122, in Guida Dir., 2005, 24, pag. 78; Cass. 13 agosto 2008, n. 21579, in Mass. Giur. Lav., 2009, pag.
159, nt. PISANI; Cass. 18 febbraio 2011, n. 3968, in Questione Lavoro, www.jurismaster.it, 2011, n. 5, pag. 59, nt.
BUSSOLARO.
2
(ad esempio, il fallimento di uno dei principali committenti), dati (la conseguente riduzione
reperire nuovi clienti, di effettuare nuovi investimenti in relazione all’andamento del mercato)
soppressione di uno o più posti di lavoro)” ( 3). Tale serie assume quale punto di partenza il
presupposto di fatto che comporta la soppressione di uno o più posti di lavoro, ovvero la
misura organizzativa adottata: quest’ultima è legittima qualora consista tanto in una modifica
della struttura produttiva, quanto in innovazioni che lascino inalterato l’apparato strutturale
si riveli effettiva o reale, id est seria, attuale e non meramente temporanea, nonché
sindacato giudiziale deve soffermarsi sugli ultimi due aspetti ricordati, quali il repêchage e la
Si tratta di un orientamento per tanti aspetti assestato, se si esclude, sovente più nelle
affermazioni di principio che nelle concrete ricadute (4), la rilevanza da attribuire al controllo
sulle ragioni ultime delle modifiche organizzative adottate, ed in particolare sulla ricerca di un
mero incremento dei profitti o comunque di una più economica gestione da parte
dell’impresa. Al di là del fatto che tali finalità rientrano nella sfera più intima delle
organizzative adottato da un’impresa dotata di bilanci non in passivo. In realtà, a ben vedere,
3
() Così C. PONTERIO, Il licenziamento per motivi economici, in Arg. Dir. Lav., 2013, pag. 76.
4
() Cfr. spec. V. NUZZO, La norma oltre la legge. Causali e forma del licenziamento nell’interpretazione del
giudice, Napoli, 2012, pag. 100 e segg.
3
Suprema Corte perviene a sancire l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo soltanto
quando manchino i presupposti in precedenza richiamati, non certo a seguito della verifica
Emerge al riguardo un problema che nella sostanza non si pone nel caso del licenziamento
collettivo, allorquando comunque viene in rilievo una causale del tutto identica a quella del
giustificato motivo oggettivo per soppressione del posto, dato che analogamente il recesso si
giustifica quando il datore di lavoro realizza tanto una modifica della struttura produttiva,
5
() La giurisprudenza sembra, invero, divisa in ordine alla irrilevanza o meno delle finalità perseguite, ovvero
alla legittimità anche di modifiche organizzative esclusivamente finalizzate all'incremento dei profitti o al
risparmio dei costi. Per la prima soluzione, cfr. Cass. 14 giugno 2005, n. 12769, in Impresa, 2006, 3, pag. 503;
Cass. 10 maggio 2007, n. 10672, in Guida Lav., 2007, 27, pag. 42; Cass. 17 dicembre 2007, n. 26563, in Dir.
Prat. Lav., 2008, 39, pag. 2243; Cass. 24 maggio 2007, n. 12094, secondo la quale “Opinare diversamente
significherebbe affermare il principio, contrastante con quello sancito dal richiamato art. 41, per il quale
l’organizzazione aziendale, una volta delineata, costituisca un dato non modificabile se non in presenza di un
andamento negativo e non anche ai fini di una più proficua configurazione dell’apparato produttivo, del quale il
datore di lavoro ha il <<naturale>> interesse ad ottimizzare l’efficienza e la competitività”; Cass. 24 maggio
2011, n. 11356, secondo cui la “reale sussistenza” della modifica organizzativa giustifica “da sola il
licenziamento, quali ne siano le finalità e quindi comprese quelle dirette al risparmio dei costi o all’incremento
dei profitti”; Cass. 21 novembre 2011, n. 24502, secondo cui non esula “dal concetto di giustificato motivo
oggettivo l’esigenza di una miglior redditività dell’impresa”; Cass. 15 novembre 2012, n. 20016, in Prat. Lav.,
2013, 5, pag. 243; Cass. 11 gennaio 2013, n. 579; Cass. 13 marzo 2013, n. 6333: “la riscontrata effettività della
riorganizzazione aziendale è sufficiente a concretizzare il giustificato motivo oggettivo e rende superflua ogni
ulteriore indagine circa le ragioni che hanno determinato la scelta imprenditoriale”. Per la soluzione contraria
propendono, fra le altre, Cass. 17 maggio 2003, n. 7750, in Not. Giur. Lav., 2003, pag. 747; Cass. 7 luglio 2004,
n. 12514, in Riv. It. Dir. Lav., 2004, II, pag. 838 e segg., nt. ICHINO; Cass. 2 ottobre 2006, n. 21282, in Dir. Prat.
Lav., 2008, 39, pag. 2243; infine, cfr., altresì, Cass. 28 ottobre 2009, n. 22824, in Giust. Civ. Mass., 2009, 10,
pag. 1506, che seppure incidentalmente (in quanto riguardante un caso di licenziamento collettivo, ritenuto non
controllabile dal punto di vista dei presupposti sostanziali), dopo aver affermato che non è necessaria una “crisi
aziendale piena”, chiama in causa la circostanza che l’impresa versava in “difficoltà riferibili ad un solo settore,
quello produttivo”, ritenute pericolose per “l’efficienza e la competitività” dell’impresa sul mercato. In dottrina,
nel primo senso si esprime M.T. CARINCI, Il giustificato motivo oggettivo nel rapporto di lavoro subordinato, in
Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F. GALGANO, Padova, 2005, pag.
107 e segg.; contra A. PERULLI, Razionalità e proporzionalità nel diritto del lavoro, in Dir. Lav. Rel. Ind., 2005,
pag. 28; ID., Fatto e valutazione giuridica del fatto nella nuova disciplina dell’art. 18 St. lav. Ratio e aporie dei
concetti normativi, in Arg. Dir. Lav., 2012, pagg. 801-802; P. ALLEVA, Presente e futuro dei licenziamenti per
ragioni economico-produttive, in Riv. Giur. Lav., 2006, I, pag. 67 e segg. e in P. ALLEVA e altri, I licenziamenti
per motivi economico-produttivi e la responsabilità d’impresa, Roma, 2007, pag. 26; A. ANDREONI, Razionalità
e proporzionalità nei licenziamenti “oggettivi”, ivi, pag. 58 e segg. Per un sintetico, ma chiaro quadro
giurisprudenziale sul punto cfr. G. M. MASCARELLO, I dilemmi della giurisprudenza, ivi, pag. 113 e segg.
4
236/1993 (6) nella misura in cui il “giustificato motivo oggettivo connesso a riduzione,
licenziati nelle liste di mobilità, a differenza del giustificato motivo connesso a fatti relativi
restano distinte soltanto in virtù dei requisiti spazio-temporali e dimensionali richiesti dall’art.
24, l. n. 223/1991. Tuttavia, alla descritta e riconosciuta coincidenza delle causali consegue
l’unicità strutturale della fattispecie del licenziamento per riduzione di personale (7): una
conclusione dalla quale, peraltro, non vengono tratte le dovute conseguenze dalla
alcuni profili di disciplina dei due istituti (si pensi, ad esempio, alla questione dei criteri di
A tale soluzione essa è pervenuta trasferendo sul piano collettivo della procedura di
quanto accade per i licenziamenti individuali e plurimi per giustificato motivo oggettivo, una
volta che non è stata valorizzata l’opportunità offerta dal d. lgs. 6 febbraio 2007, n. 25, il cui
art. 4, terzo comma, lett. b) e c) sembra estendere, nelle imprese con almeno 50 dipendenti, a
6
() Cfr. analogamente R. DEL PUNTA, Disciplina del licenziamento e modelli organizzativi delle imprese, in Dir.
Lav. Rel. Ind., 1998, pag. 704.
7
() Per una conclusione in tal senso cfr. spec. L. MONTUSCHI, Mobilità e licenziamenti: primi appunti
ricostruttivi ed esegetici in margine alla l. n. 223 del 23 luglio 1991, in Riv. It. Dir. Lav., 1991, I, pag. 438 ss.; G.
PERA, I licenziamenti collettivi, in M. CINELLI (a cura di), Il fattore occupazionale nelle crisi d'impresa, Torino,
1993, pag. 95; F. SCARPELLI, La nozione e il controllo del giudice, in Quad. Dir. Lav. Rel. Ind., 1997, n. 19, I
licenziamenti collettivi, pag. 46; U. CARABELLI, licenziamenti per riduzione di personale in Italia, in I
licenziamenti per riduzione di personale in Europa, Bari, 2001, pagg. 156 e segg. e 201 e segg., che sottolinea sì
l’autonomia delle due fattispecie, ma soltanto in virtù degli indicati “requisiti ulteriori rispetto al mero
presupposto causale” (pag. 203); M.T. CARINCI, op. cit., pag. 30 e segg.; E. GRAGNOLI, La riduzione del
personale fra licenziamenti individuali e collettivi, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico
dell’economia, diretto da F. Galgano, Padova, 2006, passim ma spec. pagg. 5 e 157 e segg.; P. ALLEVA, op. cit.,
pag. 67 e segg.; E. BALLETTI, I licenziamenti per motivi economico-produttivi, in P. ALLEVA e altri, I
licenziamenti per motivi economico-produttivi e la responsabilità d’impresa, op. cit., pag. 81 e segg.; O.
MAZZOTTA, Licenziamento collettivo e licenziamento individuale per motivi economici: tornare a Tolomeo?, ivi,
pag. 129 e segg.
5
tutti i licenziamenti per ragioni organizzative l’onere per il datore di lavoro di procedere
Anche con riguardo alla seconda fattispecie di licenziamento per giustificato motivo
dell’organizzazione del lavoro, ovvero le vicende relative alla persona del lavoratore “ma che
carcerazione o degli arresti domiciliari del lavoratore ( 10) e della perdita di un’autorizzazione
psichica, viene richiesta la dimostrazione che essa sia permanente ed assoluta, accertata in
concreto e senza che sia prospettabile l’assegnazione a mansioni diverse, persino di livello
inferiore, sia pur secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dal datore di
lavoro (12). Allo stesso modo, allorquando è ritenuto configurabile in termini oggettivi,
anziché soggettivi, in quanto prescinde dalla colpa del lavoratore, lo scarso rendimento
integra gli estremi del giustificato motivo “solo ove cagioni la perdita totale dell’interesse del
datore alla prestazione, all’esito di un’indagine condotta alla stregua di tutte le circostanze
8
() Cfr. C. ZOLI, I licenziamenti per ragioni organizzative: unicità della causale e sindacato giudiziale, in Arg.
Dir. Lav., 2008, pag. 33; L. NOGLER, La disciplina dei licenziamenti individuali nell’epoca del bilanciamento tra
i “principi” costituzionali, in Dir. Lav. Rel. Ind., 2009, pag. 655.
9
() Così Cass., 11 agosto 1998, n. 7904, in Not. Giur. Lav., 1998, pag. 731. In dottrina cfr. L. Calcaterra, La
giustificazione oggettiva del licenziamento. Tra impossibilità sopravvenuta ed eccessiva onerosità, Napoli, 2008.
10
() Cfr. Cass., 1 giugno 2009, n. 12721, in Giust. civ. Mass., 2009, 6, pag. 863; Cass., 28 luglio 1994, n. 7048, in
Orient. Giur. Lav., 1995, I, pag. 185.
11
() Cfr. Cass., 19 aprile 2003, n. 6378, in Dir. Prat. Lav., 2008, 30, pag. 1759; Cass., 19 dicembre 1998, n.
12719, in Notiz. Giur. Lav., 1999, pag. 212; Cass., 28 luglio 1994, n. 7048, in Orient. Giur. Lav., 1995, I, pag.
185.
12
() Cfr. in giurisprudenza cfr. Cass. 23 aprile 2010, n. 9700, in Arg. Dir. Lav., 2011, pag. 146 e segg., nt. di
CORSO; Cass. 29 marzo 2010, n. 7531, in Prat. Lav., 2010, 29, pag. 1231; Cass., 27 giugno 2003, n. 10272, in
Mass. Giur. Lav., 2004, pag. 100; Cass., 19 aprile 2003, n. 6378, in Dir. Prat. Lav., 2008, 30, pag. 1759; Cass. 5
marzo 2003, n. 3245 in Mass. Giur. Lav., 2003, pag. 367; Cass. 20 novembre 2000, n. 14964, in Notiz. Giur. Lav.,
2001, pag. 343.
6
della fattispecie concreta, compreso fra queste il comportamento del datore di lavoro” ( 13); in
altre parole, quando incide sul regolare funzionamento dell’organizzazione produttiva del
lavoro, così come nel caso di sopravvenuta “inidoneità professionale” del lavoratore a seguito
sue applicazioni concrete, con riguardo ai licenziamenti per ragioni soggettive ancor più che
per ragioni oggettive, il legislatore è inizialmente intervenuto per porre limiti al sindacato
giudiziale ed introdurre termini brevi di decadenza per agire in giudizio. Ciò ha fatto con la
legge n. 183 del 2010 (c.d. Collegato lavoro), che secondo alcuni settori della dottrina avrebbe
effettuato un vero e proprio attacco alla giurisdizione statale pubblica (15) ed al principio di
inderogabilità (16).
13
() Così Cass. 5 marzo 2003, n. 3250, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, II, pag. 689, nt. di ICHINO e CAVALLARO. Invero,
secondo la giurisprudenza, “lo scarso rendimento del lavoratore può essere addotto, a seconda delle circostanze,
come giustificato motivo oggettivo di licenziamento, oppure come giustificato motivo soggettivo, quando esso
sia l’effetto di un inadempimento degli obblighi contrattuali” (così Cass. 5 marzo 2003, n. 3250, cit.): con la
conseguenza che, nel primo caso, il licenziamento sarà basato soprattutto su “un giudizio sul dato oggettivo dei
risultati raggiunti o sulla oggettiva inadeguatezza del lavoratore ai compiti a lui assegnati” (Trib. Genova, 23
settembre 2014, n. 911, in Guida Lav., 2015, 7, pag. 39), id est su circostanze tali da rendere “la prestazione
lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile per il datore di lavoro” (Cass. 4 settembre 2014, n.
18678, in Foro It., 2014, I, 3474, e in Lav. Giur., 2015, pag. 40, nt. di GRAGNOLI) o, più in generale, su un
“comportamento oggettivamente incompatibile con il regolare funzionamento dell’organizzazione aziendale”
(Cass. 25 luglio 2003, n. 11556, in Riv. It. Dir. Lav., 2004, II, 142, nt. di ICHINO); nel secondo caso, occorrerà,
per contro, porre l’accento su una “mancanza disciplinare o inadempimento contrattuale del lavoratore” (Cass.
25 luglio 2003, n. 11556, cit.) e il datore di lavoro sarà “onerato della dimostrazione di un notevole
inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, quale fatto complesso alla cui valutazione deve
concorrere anche l’apprezzamento degli aspetti concreti del fatto addebitato” (Cass. 16 luglio 2013, n. 17371, in
Diritto & Giustizia online, 2013, 17 luglio; cfr. anche Cass. 17 settembre 2009, n. 20050, in Guida Dir., 2009,
46, pag. 47). In dottrina cfr. F. Pantano, Il rendimento e la valutazione del lavoratore subordinato nell’impresa,
Padova, 2012.
14
() Cass. 17 luglio 2002, n. 10356, in Orient. Giur. Lav., 2003, I, pag. 935.
15
() Cfr., in particolare, O. MAZZOTTA, La giustizia del lavoro nella visione del “collegato”: la disciplina dei
licenziamenti, in M. CINELLI, G. FERRARO (a cura di), Il contenzioso del lavoro nella legge 4 novembre 2010, n.
183, Torino, 2011, pag. XXVIII.
16
() Cfr. in particolare F. AMATO, S. MATTONE, Il “collegato lavoro”: ancora una legge per la riduzione dei
diritti, in F. AMATO, S. MATTONE (a cura di), La controriforma della giustizia del lavoro, Milano, 2011, pagg. 14-
15.
7
Tuttavia, come si è già tentato di rilevare in altra sede ( 17), i timori appena esposti
sindacato di merito, sembra si possa sostenere che l’ultima parte del primo comma dell’art. 30
tecnica delle scelte imprenditoriali, oltre che le finalità perseguite dal datore di lavoro, a meno
legislativa già utilizzata in altre occasioni (ad es., art. 29, d. lgs. n. 276/2003).
sulla configurazione del licenziamento quale extrema ratio, in quanto tale concezione non
ulteriore limite esterno alla cui sussistenza è subordinato l’esercizio del potere di recedere dal
rapporto di lavoro: un limite, per di più, in qualche modo deducibile tanto dal principio di
effettività delle ragioni che giustificano il licenziamento, quanto dai “principi generali
D’altro lato, il riferimento a tali principi non sembra in grado di superare il suddetto divieto
legislatore abbia espressamente disposto in senso contrario (ad es., artt. 10, comma 3, l. n.
68/1999 e 42, d. lgs. n. 81/2008), imponendo al datore di lavoro l’adozione di una “decisione
17
() Cfr. C. ZOLI, La legge n. 183 del 2010: le novità in materia di licenziamento, in Arg. Dir. Lav., 2011, pagg.
837-838.
18
() Così L. NOGLER, in Aa.Vv., Opinioni sul “collegato lavoro”, in Dir. Lav. Rel. Ind., 2011, pag. 130.
8
In definitiva, la conclusione appena esposta si impone se si vuol ritenere che alla norma
debba essere attribuito qualche, pur modesto, significato, anche se a ben vedere nella sostanza
non incide, come rilevato, sulla ricostruzione del concetto di giustificato motivo oggettivo (19).
4. Se nella sostanza di per sé non ha affievolito le tutele dei lavoratori, la legge n. 183 del
2010 si segnala comunque per inaugurare una stagione che vede progressivamente e
innovazione del mercato del lavoro: la riduzione della flessibilità in entrata dovrebbe in
qualche modo essere bilanciata da un’accresciuta flessibilità in uscita, a sua volta fronteggiata
Una prima possibilità è in qualche modo anticipata dall’art. 8, l. n. 148 del 2011, che
consente ai contratti di prossimità di intervenire sulle “conseguenze del recesso dal rapporto
intervengono in modo incisivo e radicale sui meccanismi sanzionatori, sia pur con
Innanzitutto la legge n. 92 del 2012, in special modo nella parte relativa ai licenziamenti,
si rivela straordinariamente complessa ed ambigua ( 20) cosicché i risultati cui sono pervenuti e
sono destinati a pervenire gli interpreti, se non proprio antitetici, sono molto distanti da quelli
sperati. Tali caratteristiche della legge, imputabili alla necessità di conciliare opzioni di
politica del diritto opposte che il Governo Monti ha dovuto fronteggiare per sopravvivere,
inciso soltanto sulle “regole sanzionatorie” ed a tal fine ha graduato le forme di tutela in
cercato di contenere solo due anni prima col c.d. Collegato Lavoro (l. n. 183/2010), con tutti i
Col nuovo art. 18 st. lav. il legislatore ha graduato il sistema sanzionatorio prevedendo
meccanismi di tutela diversi a seconda dei vizi e del disvalore ad essi riconosciuto, mentre in
un meccanismo a “doppia fase” (22), anzi a ben vedere a potenziale tripla fase, che impone al
(cioè se non è illecito, ma risulta ingiustificato), se sussistono almeno quei presupposti minimi
che possono indurlo a disporre la semplice sanzione indennitaria, anziché la reintegra sia pur
21
() Cfr. S. NADALET, La certezza del diritto nella riforma del mercato del lavoro, in Lav. Dir., 2013, 59 e segg.
22
() Così A. MARESCA, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche dell’art. 18
statuto dei lavoratori, in Riv. It. Dir. Lav., 2012, I, pag. 441.
10
del giustificato motivo oggettivo non può coincidere con “la manifesta insussistenza del fatto
posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”, cosicché è necessario
licenziamento per giustificato motivo oggettivo”, sembra, innanzitutto, che debba essere
evitata l’equiparazione con l’espressione, pur simile, utilizzata con riguardo al licenziamento
per ragioni soggettive. Senza entrare nel dibattito sul significato e sulla portata che può
assumere nell’ambito del 4° comma dell’art. 18 st. lav., si deve escludere che nel 7° comma il
“fatto” posto dalla legge a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia il fatto
“giuridico”, poiché, in caso contrario, il giudice sarebbe chiamato a valutare due volte lo
stesso fatto (24) ed in sostanza si annullerebbe “la distinzione, posta dall’art. 18, comma 7, tra
le due categorie, fatto posto a base del licenziamento ed estremi del giustificato motivo” (25).
confermare la tesi secondo cui il “fatto” cui fa riferimento il nuovo art. 18, comma 7, st. lav.
non coincide col fatto giuridico, ovvero col presupposto stesso del giustificato motivo
oggettivo, bensì col fatto materiale, cioè con le circostanze tecnico-organizzative comunicate
mancanza di uno qualsiasi dei suddetti presupposti del giustificato motivo oggettivo. Al
contrario, la manifesta insussistenza dei fatti sui quali si fonda il licenziamento, al di là della
organizzativa in senso stretto ed al nesso di causalità con la ragione addotta dal datore di
lavoro, alla luce del confronto operato dal giudice tra i fatti concreti e quelli posti a base del
licenziamento (28). Ciò può verificarsi, ad esempio, quando il posto di lavoro non sia stato in
realtà soppresso perché il lavoratore licenziato è stato sostituito da altro lavoratore nelle stesse
mansioni prima o dopo il licenziamento. Lo stesso dicasi quando manchi il nesso causale ( 29),
addotte non siano reali o definitive (ad es. la perdita di una commessa, la riduzione
Fornero, in Lav. Giur., 2012, pag. 871 osserva che, “se il datore non si costituisce o si costituisce senza offrire
alcuna motivazione, sì da rinunciare a qualsiasi possibilità di prova”, il giudice pronuncerà “sentenza di
annullamento del licenziamento, con conseguente condanna alla reintegra ai sensi del comma 4”.
27
() Al riguardo, all’indomani della riforma la dottrina ha diffusamente sottolineato come quell’aggettivo non
avesse senso: così si è sottolineato che un “fatto” o sussiste o non sussiste (cfr. F. CARINCI, Complimenti Dottor
Frankenstein: il disegno di legge governativo in materia di riforma del mercato del lavoro, in Lav. Giur., 2012,
pag. 548; A. MARESCA, Il nuovo regime sanzionatorio, op. cit., pag. 443, secondo cui non si può prospettare
l’ipotesi della “scelta organizzativa parziale”); ancora, che l’ipotesi della manifesta insussistenza è di difficile
realizzazione (così P. ALLEVA, Punti critici della riforma del mercato del lavoro in tema di flessibilità in entrata
e in uscita, in www.dirittisocialiecittadinanza.org, pag. 6 ss.) o che si tratta di una categoria “declinabile” in
troppi modi per poter essere razionalizzata dai giudici (cfr. M. MAGNANI, La riforma del mercato del lavoro, in
AA. VV., Il dibattito sulla riforma italiana del mercato del lavoro, op. cit., pag. 6). Al contrario A. VALLEBONA,
La riforma del lavoro 2012, Torino, 2012, pagg. 58-59 sostiene che “manifesta significa evidente”, cosicché
“nell’ipotesi di ingiustificatezza del licenziamento per motivo oggettivo la tutela reale è un’extrema ratio,
affidata ad un duplice concorrente vaglio giudiziale, da effettuare con lealtà e fedeltà alla ratio della riforma”.
Per P. ICHINO, La riforma dei licenziamenti e i diritti fondamentali dei lavoratori, in L. NOGLER, L. CORAZZA (a
cura di), Risistemare il diritto del lavoro. Liber amicorum Marcello Pedrazzoli, Milano, 2012, spec. pag. 809 e
segg. l’espressione “manifesta insussistenza” “serve a delimitare i casi eccezionali” in cui appare evidente
l’insussistenza del motivo economico-organizzativo, “distinguendola da quelli incomparabilmente più numerosi”
in cui ci si può attendere una qualche perdita in conseguenza della prosecuzione del rapporto di lavoro, “ma il
giudice solitamente non ha gli strumenti necessari per sovrapporre alla valutazione dell’imprenditore una propria
valutazione più attendibile”.
28
() Cfr. M. MARAZZA, L’art. 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, in Arg. Dir. Lav., 2012, pag. 626.
29
() Sul punto cfr. anche C. CESTER, Il progetto di riforma della disciplina dei licenziamenti: prime riflessioni, in
Arg. Dir. Lav., 2012, pag. 574.
12
dell’attività produttiva o dell’attività del reparto cui il lavoratore è addetto, la perdita di
Nel caso, invece, di omesso repêchage la tutela reintegratoria potrebbe operare quando
all’assunzione di altro lavoratore per mansioni identiche in altro settore) da far emergere la
Analoga soluzione può essere accolta qualora la scelta del lavoratore da licenziare risulti
con riguardo ai licenziamenti collettivi, per i quali ha previsto che la violazione dei criteri di
scelta comporta l’applicabilità della reintegra (art. 1, comma 46, l. n. 92/2012), ma sembra
comunque coerente alla formula usata dal nuovo art. 18, comma 7, st. lav., come riconosciuto
Con riferimento al licenziamento per fatti oggettivi concernenti la persona del lavoratore
la reintegra con risarcimento attenuato trova applicazione nel solo caso dei licenziamenti
intimati “per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore”,
così come nella diversa fattispecie del “licenziamento intimato in violazione dell’articolo
2110, comma 2, c.c.”, ovvero per mancato superamento del periodo di comporto (art. 18,
30
() Nel caso in cui, per contro, la scelta datoriale non si riveli pretestuosa o persino arbitraria, il mancato
assolvimento dell’obbligo di repêchage dovrebbe condurre all’applicazione della cd. tutela indennitaria forte. E’
questa la posizione assunta dalla giurisprudenza prevalente: cfr. Trib. Genova, 14 dicembre 2013, in Arg. Dir.
Lav., 2014, pag. 798 e segg., nt. di A. BIAGIOTTI; Trib. Varese, 04 settembre 2013, in Foro It., 2013, I, 3333;
Trib. Roma, 8 agosto 2013, in Riv. It. Dir. Lav., 2014, II, pag. 167 e segg., nt. di C. DI CARLUCCIO; Trib. Milano,
28 novembre 2012, in Dir. Rel. Ind., 2013, pag. 152 e segg., nt. di G. SANTORO PASSARELLI; Trib. Milano, 20
novembre 2012, in Mass. Giur. Lav., 2013, pag. 39 e segg., nt. di A. VALLEBONA; Trib. Milano, 5 novembre
2012, in Riv. It. Dir. Lav., 2013, II, pag. 654 e segg., nt. di C. ZOLI; contra Trib. Reggio Calabria, 3 giugno 2013,
in Mass. Giur. Lav., 2014, pag. 229 e segg., nt. di A. VALLEBONA; Trib. Roma, 7 maggio 2013; Trib. Milano, 23
febbraio 2013.
31
() Tra le pronunce rese in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimati dopo l’entrata in
vigore della l. n. 92/2012, applica la tutela indennitaria Trib. Latina, ord., 3 agosto 2014, inedita.
13
comma 7, l. n. 300/1970), di cui da tempo peraltro si esclude la riconducibilità al giustificato
Diversamente nelle altre ipotesi in cui vengono in rilievo vicende oggettive del lavoratore,
ma sia escluso che ricorrano gli estremi del giustificato motivo, sempre che non “accerti la
manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo
oggettivo” (così sempre il 7° comma dell’art. 18, l. n. 300/1970), il giudice dovrebbe optare
inferiori a quelli prospettabili relativamente alla fattispecie del giustificato motivo oggettivo
5. Il percorso ormai avviato di riduzione delle tutele a fronte dei licenziamenti illegittimi
prosegue a grande velocità per i lavoratori assunti a far data dal 7 marzo 2015 con
l’emanazione del d. lgs. 4 marzo 2015, n. 23. Come tre anni prima, il disegno riformatore non
può essere valutato estrapolandone un solo segmento, se si considera che, in continuità con la
legge n. 92 del 2012, il legislatore tenta di combinare un ulteriore incremento della flessibilità
in uscita con una chiara opzione economica e normativa a favore del lavoro subordinato a
tempo indeterminato e con l’impegno ad una revisione degli ammortizzatori sociali da tempo
attesa; peraltro, al riguardo non si può trascurare l’aumento anche della flessibilità in entrata
32
() Cfr. in tal senso, fra le tante, Cass., 7 febbraio 2011, n. 2971, in Not. Giurisp. Lav., 2011, pag. 202, secondo
cui “la disciplina dell’art. 2110, comma 2, c.c. prevale sia sulla disciplina codicistica della risoluzione del
contratto per impossibilità parziale sopravvenuta della prestazione (artt. 1256, comma 2, c.c.; art. 1464 c.c.), sia
sulla disciplina del licenziamento individuale ex l. n. 604 del 1966”. Per una ricostruzione del dibattito dottrinale
e giurisprudenziale sul punto cfr. M. NOVELLA, Il licenziamento del lavoratore malato, in Dir. Rel. Ind., 2012,
pag. 514 e segg.
14
meramente eventuali nel caso di ricorso alla somministrazione di lavoro (cfr. legge n. 78 del
2014) (33).
Anche la riforma Renzi-Poletti non incide sui presupposti giustificativi del licenziamento
Da un lato, infatti riduce fortemente l’applicabilità della reintegra, eliminandola del tutto
per i “licenziamenti economici” (art. 1, comma 7, lett. c), legge n. 183 del 2014).
Dall’altro, in questo caso ben diversamente dalla legge n. 92 del 2012, si propone di
circoscrivere tanto la discrezionalità del giudice, quanto il contenzioso giudiziale. Nella prima
giudice resta affidato il solo controllo della legittimità del licenziamento. Nella seconda
lavoro una proposta economica conciliativa esente da imposta, che in termini di importo netto
è molto vicina a quanto quest’ultimo può ottenere con una sentenza favorevole: si tratta di
un’eventualità che può essere perseguita dopo il licenziamento per qualunque tipo di recesso,
anche per ragioni soggettive, e che sostituisce in qualche modo il tentativo preventivo di
conciliazione di cui all’art. 7, legge n. 604 del 1966, come novellato dalla riforma Fornero,
ma che rispetto a quest’ultimo presenta ben diversa valenza in termini di ricerca di soluzioni
alternative al licenziamento, pur non precluse anche dopo il recesso. Il tutto in una logica ed
in un contesto di accelerazione dei tempi (anche se non necessariamente degli effetti) del
licenziamento, che passa dalla riduzione del valore delle procedure preventive individuali e
licenziamenti per riduzione di personale in caso di violazione della procedura di cui all’art. 4,
33
() Cfr. F. CARINCI, G. ZILIO GRANDI (a cura di), La politica del lavoro del Governo Renzi. Atto I, Adapt Labour
Studies E-Book Series, n. 30/2014.
15
legge n. 223 del 1991 (in questo caso analogamente a quanto disposto dall’art. 1, comma 46,
l. n. 92 del 2012).
In secondo luogo, la mancata applicabilità del rito sommario previsto dalla riforma Monti-
Fornero, unita all’inammissibilità del ricorso in via d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c.,
esperibile soltanto nel caso in cui sia prospettabile la reintegra nel posto di lavoro, possono
favorire una volta di più una soluzione conciliativa che garantisca al lavoratore una somma
In definitiva l’opzione compiuta dal legislatore è volta ad assecondare in tutto e per tutto
l’esigenza dei datori di lavoro di effettuare una scelta certa ed efficiente secondo un modello
che ha trovato compiuta formulazione teorica in due noti rapporti redatti per il Governo
francese nel biennio 2003-2004 da alcuni famosi economisti 34: un modello dal quale il
legislatore italiano si distacca soltanto nella misura in cui estende tale soluzione anche ai
licenziamenti per ragioni soggettive e lascia alle parti la scelta di raggiungere un accordo
opportuna che dovrebbe limitare i comportamenti strumentali del datore di lavoro di ricorrere
pretestuosamente a licenziamenti per motivi disciplinari per evitare di pagare la c.d. layoff tax
o, al contrario, di adottare licenziamenti oggettivi per non correre il rischio della reintegra del
lavoratore, pur sempre assicurata nel caso della “insussistenza del fatto materiale contestato al
reintegra, a differenza di quanto previsto per i licenziamenti per ragioni soggettive dall’art. 3,
di una mera indennità dimezzata rispetto al caso della sussistenza di vizi di carattere
sostanziale, si dovrebbe concludere che per i licenziamenti per ragioni oggettive i giochi
possono ritenersi fatti e che pochi dubbi sono prospettabili in ordine al regime di tutela
applicabile.
quindi una soluzione migliorativa per i lavoratori rispetto a quanto disposto dalla legge n. 92
del 2012, nell’ipotesi di “difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità
fisica o psichica del lavoratore anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della
costituzionalità di tale previsione, nella misura in cui la legge delega n. 183 del 2014, all’art.
economici”. Per la prima volta, in effetti, una tale espressione ricorre nel linguaggio
prescrittivo del legislatore, anziché in quello descrittivo della dottrina. Se essa coincide con la
l’incostituzionalità per eccesso di delega non può essere esclusa. Per pervenire ad una diversa
conclusione si dovrebbe, al contrario, ritenere che il motivo consistente nella disabilità fisica o
17
D’altro lato, lo stesso potrebbe a quel punto sostenersi anche per tutti i casi di
licenziamento per ragioni relative alla persona del lavoratore oggettivamente considerata.
Tuttavia, se si considera che costituisce ormai un’eccezione, la tutela reale non può essere
lavoro, non va trascurato che ogni normativa si inserisce in un sistema e deve essere
per giustificato motivo oggettivo di cui il datore di lavoro non riesca a dimostrare la
sussistenza sia prevista una tutela meramente indennitaria o obbligatoria - ciò persino nel caso
in cui il datore di lavoro non fornisca con l’atto scritto di recesso la motivazione dello stesso
per poi cercare di darne la prova in giudizio (sul punto v. infra) -, si deve comunque rilevare
che un tale licenziamento deve essere ontologicamente oggettivo e non può trasformarsi in
comma 1, d. lgs. n. 23/2015), ma a condizione che il licenziamento non si riveli nullo o del
Da un lato, la reintegra nel posto di lavoro continua a trovare applicazione nei “casi di
nullità espressamente previsti dalla legge” (art. 2, comma 1, d. lgs. n. 23/2015), ovvero per
ragioni di matrimonio (art. 35, d. lgs. n. 198/2006), in violazione delle norme sulla tutela della
causa del trasferimento d’azienda in violazione dell’art. 2112, comma 4, c.c., o per il rifiuto
del lavoratore di accettare la trasformazione del proprio rapporto da full time a part-time (art.
18
3, comma 9, d. lgs. n. 61/2000), come pure nel caso di licenziamento intimato durante il
periodo di comporto per malattia o infortunio, senza che quest’ultimo sia superato, in
violazione della regola di irrecedibilità sancita dall’art. 2110, comma 2, c.c.. In tale ipotesi,
invero, non si rientra nell’ambito del giustificato motivo oggettivo ( 35), bensì ricorre la diversa
fattispecie disciplinata dalla norma richiamata, il cui carattere imperativo non può essere
messo in discussione.
Europea (36), impone che il licenziamento sia adottato in presenza di ragioni oggettive reali e
largamente ripresa dalla Suprema Corte, allorquando ha sancito che il potere di licenziare non
può essere “affidato ad un arbitrio del titolare, tale da potersi risolvere in una violazione di
insindacabile nel merito, ma poiché la libertà è sempre sottomessa alla legge, l’esercizio del
potere ben può essere censurato dal giudice quante volte si ponga in contrasto con
l’ordinamento legale non solo direttamente, ma anche attraverso l’elusione delle norme, ossia
l’abuso del diritto (cfr. Cass. 9 giugno 1993 n. 6408, 17 gennaio 1998 n. 402, 18 novembre
1998 n. 11634, 2 gennaio 2001 n. 27, 9 luglio 2001 n. 9310) … L’atto di recesso del datore
35
() V. retro testo e nt. 31. Cfr. altresì M. MARAZZA, Il regime sanzionatorio dei licenziamenti nel Jobs Act (un
commento provvisorio, dallo schema al decreto), in WP CSDLE “Massimo D’Antona”. IT – 236/2015, pag. 21,
il quale ritiene applicabile la reintegra in tale fattispecie in quanto “appare ragionevole sostenere che per questa
particolare tipologia di recesso la motivazione sia comunque riconducibile all’inidoneità fisica o psichica del
lavoratore”. Contra C. PISANI, in R. PESSI, C. PISANI, G. PROIA, A. VALLEBONA, Jobs Act e licenziamento,
Torino, 2015, pag. 24 esclude l’applicabilità della reintegra in questo caso.
36
() Cfr. art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ai cui sensi “Ogni lavoratore ha il diritto
alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e
prassi nazionali”.
37
() Corte Cost. 4 dicembre 2000, n. 541, in Giur. Cost., 2000, pag. 6; cfr. già Corte Cost. 18 luglio 1989, n. 427,
in Foro It., 1989, I, 2685, nt. di DE LUCA.
19
dal rapporto di lavoro, in quanto atto unilaterale di volontà negoziale, è viziato, se l’agente vi
si sia determinato esclusivamente per un motivo illecito (artt. 1345 e 1324 cod. civ.), tale
dovendosi ritenere il motivo contrario a norme imperative (art. 1418, primo e secondo
comma, cod. civ.), come ad es. quello mosso da ragioni di credo politico o di fede religiosa
(art. 4 l. n. 604 del 1966) (Cass. 6 novembre 1976 n. 4061) o da intento di rappresaglia (Cass.
14 febbraio 1983 n. 1114) o dalla partecipazione del lavoratore ad attività sindacali (art. 15 l.
n. 300 del 1970) (Cass. 2 aprile 1990 n. 2642 e vedi ancora, con specifico riferimento al
licenziamento intimato in periodo di prova, Cass. 17 giugno 1982 n. 3699; Cass. 28 aprile
In definitiva, diventa ancor più rilevante che in passato la questione della eventuale natura
illecita del licenziamento. In particolare nel caso di totale ed assoluta mancanza di uno
qualunque dei presupposti costitutivi del giustificato motivo oggettivo, qualora siano
formulate allegazioni e specifica domanda in tal senso dal lavoratore il giudice non può
omettere di indagare se la vera ragione del licenziamento sia diversa da quella oggettiva e
dell’art. 2, comma 1, d. lgs. n. 23/2015. Non si vuole in tal modo sostenere che in ogni caso di
“manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo
oggettivo” (per richiamare la formula in presenza della quale l’art. 18, comma 7, l. n.
300/1970 ritiene ancora applicabile la tutela reintegratoria) quest’ultimo sia illecito. Tuttavia,
se il posto che il datore di lavoro sostiene di avere soppresso non viene meno in quanto il
38
() Cass. S.U. 2 agosto 2002, n. 11633, in Foro It., 2002, I, 3000. Richiama tale pronuncia e ricostruisce con
esauriente motivazione la nullità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo per violazione degli artt.
1343 e 1345 cod. civ. Trib. Trento, ord., 9 aprile 2015, inedita, Est. Flaim, secondo cui peraltro “lo scopo tipico
del recesso (la sua causa astratta) consiste non già nella mera estinzione del rapporto di lavoro, ma nel suo
scioglimento in presenza di ragioni o tecnico-produttivo-organizzative (oggettive) o disciplinari (soggettive)”.
Sul punto per una diversa posizione v. infra testo e note 40-43.
20
licenziamento non può essere considerato oggettivo anche se è stato qualificato come tale dal
datore di lavoro.
ritorsivo, come tale illecito, sia stato l’unico determinante dello stesso, ai sensi del combinato
disposto dell’art. 1418 c.c., comma 2, artt. 1345 e 1324 c.c.”; dall’altro, “l’onere della prova
volontà negoziale grava sul lavoratore che deduce ciò in giudizio”, a tal fine potendosi
fondare la decisione “sulla utilizzazione di presunzioni, tra le quali presenta un ruolo non
alla quale è possibile pervenire anche quando il fatto giustificativo del licenziamento, pur
sussistente, sia stato realizzato ad arte, cioè per dare legittimità formale all’atto ritorsivo o
discriminatorio.
Ma non si deve trascurare che la tutela reale trova applicazione anche quando il
licenziamento “è riconducibile agli altri casi di nullità previsti dalla legge”, tra i quali
Pertanto, in primo luogo, considerata l’ormai prevalente concezione concreta della causa
del contratto40 - e degli atti unilaterali stante il disposto dell’art. 1324 c.c. -, la quale riconosce
ampia rilevanza ai motivi che penetrano nella causa del singolo negozio, l’ambito di
applicazione dell’art. 1345 c.c. risulta circoscritto ai soli moventi che restino effettivamente
39
() Così Trib. Milano, ord., 5 novembre 2012, cit..
40
() Cfr. G.B. FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, pag. 252, che parla di
“funzione economico-individuale del contratto”, nonché C.M. BIANCA, Il contratto, in Diritto civile, 3, Milano
1991, pag. 425, che si rifà alla “ragione concreta del contratto”.
21
estranei al negozio, per i quali ben si comprendono e giustificano i rigorosi limiti posti dalla
norma codicistica41. Tuttavia, nel caso del licenziamento ritorsivo, si può ritenere che il
movente vendicativo penetri nella causa del negozio in quanto costituisce lo scopo specifico
dell’atto di recesso42, dando origine ad un licenziamento nullo per illiceità della causa
(concreta) ex art. 1343 c.c, che non prevede il requisito della esclusività43.
In secondo luogo, per dare rilevanza alle reali ragioni ulteriori, cioè a quelle recondite e
comunque non espresse che hanno indotto il datore a recedere dal contratto di lavoro, si è
fatto riferimento anche alla frode alla legge qualificando come illecita la causa del negozio di
licenziamento quando lo stesso «costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma
imperativa»44. E’ il caso del giustificato motivo oggettivo costruito ad arte, cioè quale mero
comunicate al lavoratore, bensì l’intera operazione economica all’interno della quale l’atto
risponda a concrete esigenze organizzative e non si riveli, invece, un mero pretesto per
41
() Secondo V. ROPPO, Il contratto, Milano, 2001, pag. 413, detti limiti, e in particolare quello della esclusività,
con i quali il legislatore circonda di una evidente cautela la rilevanza del motivo illecito, trovano comunemente
giustificazione in una tutela dell’affidamento e della certezza dei traffici, ritenuta prevalente rispetto alla
repressione dell’illecito movente contrattuale.
42
() Sulla distinzione tra causa del singolo negozio e causa del tipo negoziale, nonché fra intento soggettivo e
scopo tipico dell’atto negoziale, v. G. BOLEGO, Autonomia negoziale e frode alla legge nel diritto del lavoro,
Padova, 2011, pag. 34, il quale osserva che “ogni singolo negozio possiede una propria causa, che trae origine
dallo scopo tipico previsto dal legislatore, ma si concretizza attraverso l’obiettivizzazione dello scopo specifico
voluto” dal datore di lavoro.
43
() Sul punto v. G. PASSAGNOLI, Il contratto illecito, in G. VETTORI (a cura di), vol. II, Regolamento, in Trattato
del contratto diretto da V. ROPPO, Milano, 2006, pag. 473 e segg.; M. NUZZO, Negozio illecito, in Enc. Giur.
Treccani, XX, Roma, 1990, pag. 5 e segg.
44
() Tale impostazione, già proposta da G. PERA, I licenziamenti nell’interesse dell’impresa, in AA. VV. I
licenziamenti nell’interesse dell’impresa, Atti AIDLASS, Giuffré, 1969, pag. 32, è stata rilanciata da L. NOGLER,
La disciplina dei licenziamenti individuali nell’epoca del bilanciamento, op. cit., pag. 610; C. ZOLI, I
licenziamenti per ragioni organizzative, op. cit., pag. 51; G. BOLEGO, Autonomia negoziale e frode alla legge,
op. cit., pag. 207 ss.; E. PASQUALETTO, I licenziamenti nulli, in C. CESTER (a cura di), I licenziamenti dopo la
legge n. 92 del 2012, Padova, 2013, pag. 104.
22
confezionare un atto di licenziamento formalmente legittimo, o comunque semplicemente
ingiustificato, ma in realtà illecito in quanto elusivo di norme imperative, quali sono quelle
antidiscriminatorie.
comma 2, d. lgs. n. 23/2015, ovvero alla norma che prevede la reintegra nel posto di lavoro
nel caso di “licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia
lavoratore”. In altre parole, il licenziamento dichiarato oggettivo dal datore di lavoro, ma che
emerga non essere ontologicamente tale, potrà essere riqualificato in termini di atto elusivo di
una norma imperativa quale l’art. 3, comma 2, d. lgs. n. 23/2015, ovvero dei vincoli legali che
impongono la reintegra qualora il fatto oggetto di contestazione non sussista, con conseguente
applicabilità del regime di protezione di cui alla norma elusa. Viene, infatti, in rilievo nella
specie una disposizione che tutela interessi generali riconducibili al vertice della gerarchia dei
italiano, tra i quali va annoverata la protezione del lavoratore contro i licenziamenti arbitrari,
Del resto, se si considera che nel nostro ordinamento il recesso ad nutum non può trovare
cittadinanza al di fuori delle ipotesi eccezionali espressamente previste dal legislatore, qualora
emerga che, al di là del nomen iuris, il licenziamento non ha natura oggettiva, si deve
ammettere che si è in presenza di un licenziamento per ragioni soggettive 47: una conclusione
45
Sul punto v. E. RUSSO, Norma imperativa, norma cogente, norma inderogabile, norma dispositiva, norma
suppletiva, in Riv. Dir. Civ., 2001, pag. 583, secondo il quale “il concetto di norma imperativa comprende quella
di norma cogente aggiungendo un plus” rinvenibile nella tutela costituzionale del bene protetto, nonché P.
Tullini, Indisponibilità dei diritti dei lavoratori: dalla tecnica al principio e ritorno, in Dir. Lav. Rel. Ind.,2008,
pag. 481; M. Novella, L’inderogabilità nel diritto del lavoro. Norme imperative e autonomia individuale,
Milano, 2009, pag. 55 e segg. sulla distinzione tra norme imperative e norme ordinative.
46
Sul punto v. retro, testo e nt. 36-38.
47
Ad analoga conclusione perviene M. MARAZZA, Il regime sanzionatorio …., op. cit., pag. 25, allorquando
afferma che “l’assoluta carenza di motivazione, semmai, potrà essere oggetto di valutazione al fine di accertare
la riconducibilità del licenziamento a motivi disciplinari o, peggio, discriminatori”.
23
che appare agevolmente sostenibile se il lavoratore prova di aver in precedenza ricevuto
tale dimostrazione, dato che tra le ragioni soggettive e quelle oggettive tertium non datur,
Alla conseguenza della reintegra il datore non sembra possa sottrarsi neppure dimostrando
persino qualora essi siano fondati o comunque non appaiano tali da comportare in generale
l’applicazione della tutela reale. Infatti, da un lato, si potrebbe sostenere che la contestazione
Dall’altro, in ogni caso, l’art. 3, comma 2, d. lgs. n. 23/2015 collega la reintegra, tra l’altro,
proprio alla mancata contestazione di un fatto48, oltre che all’insussistenza sul piano
“materiale” che dovesse emergere in giudizio di tale fatto: essa, in definitiva, si atteggia a
48
Sull’analoga previsione dell’art. 18, comma 6, l. n. 300/1970, come riformato dalla l. n. 92 del 2012, sono
state avanzate due ricostruzioni nettamente contrapposte sia in dottrina che in giurisprudenza. Da un lato,
aderendo al dato letterale della norma e rifacendosi all’intentio legis, si è affermato che qualunque tipo di
violazione od omissione della procedura disciplinare comporta l’applicazione delle conseguenze di tipo
indennitario dimidiato di cui al 6° comma. Al riguardo cfr., in dottrina, C. Pisani, Il licenziamento inefficace per
vizio di forma, in Giur. It., 2014, V, c. 441; Id. Le conseguenze dei vizi procedimentali del licenziamento
disciplinare dopo la legge n. 92 del 2012, in Arg. Dir. Lav., 2013, pag. 264; M. Tremolada Il licenziamento
disciplinare nell'art. 18 St. Lav. per la riforma Fornero, in Lav. Giur., 2012, pag. 873; A. Vallebona,
L'ingiustificatezza qualificata del licenziamento: fattispecie e oneri probatori, in Dir. Rel. Ind., 2012, pag. 621
ss.; A. Maresca, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo …, op. cit., pag. 435. In
giurisprudenza v. Trib. Biella 17 settembre 2013; Trib. Varese, ord., 21 gennaio 2014, n. 18/2014; Trib. Milano,
ord., 20 novembre 2012, n. 3/2013; Trib. Roma, ord., 19 marzo 2014; Trib.. Monza, ord., 13 febbraio 2014.
D’altro lato, si è rilevato che una lettura quale quella appena esposta rimetterebbe, in definitiva, ad una mera
scelta di convenienza del datore di lavoro l’espletamento della procedura disciplinare, con grave vulnus al diritto
di difesa del lavoratore (V. Speziale, La riforma del licenziamento individuale tra diritto ed economia, in Riv. It.
Dir. Lav., 2012, I, pag. 539 e segg.), suscitando fondati dubbi sulla legittimità costituzionale della norma ai sensi
dell'art. 24 Cost. (v. in proposito P. Alleva, Proposta di emendamenti al ddl sul mercato del lavoro, in particolare
in tema di flessibilità in uscita, in www.dirittisocialiecittadinanza.org). Sulla base di tale fondamentale rilievo si
è suggerita un'interpretazione correttiva della norma, assimilando la mancata contestazione disciplinare al caso
dell'inesistenza del fatto contestato: cfr. M. Marazza, L'art. 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, op. cit.,
pag. 621. V. analogamente M.T. Carinci, Il rapporto di lavoro al tempo della crisi: modelli europei e flexicurity
«all'italiana» a confronto, in Dir. Lav. Rel. Ind, 2012, pag. 27; M. Barbieri-D. Dalfino, Il licenziamento
individuale nell'interpretazione della legge Fornero, Bari, 2013, pag. 105 e segg.; A. Palladini, La nuova
disciplina in tema di licenziamenti, in Riv. It. Dir. Lav.., 2012, I, pag. 676; F.Carinci, L'articolo 18 dopo la legge
n. 92 del 2012. Ripensando il “nuovo” articolo 18 dello statuto dei lavoratori, in Dir. Rel. Ind., 2013, pag. 287.
In giurisprudenza v. in tal senso Trib. Milano, ord., 24 aprile 2013, n. 4017; Trib. Milano, ord., 14 aprile, 2015;
Trib. Trento, ord., 29 gennaio 2013; Trib. Ancona, ord., 26 novembre 2012; Trib. Milano, ord., 14 aprile 2015,
Est. Dossi, inedita.
24
norma speciale rispetto all’art. 4, d. lgs. n. 23/2015, la quale sanziona con un’indennità
giudizio riesca a dimostrare che la ragione, fondata o meno, del licenziamento è oggettiva, si
tratta di verificare se la fattispecie sia riconducibile a quella della “violazione del requisito di
motivazione di cui all’articolo 2, comma 2, della legge n. 604 del 1966”, per la quale l’art. 4,
d. lgs. n. 23 del 2015 prevede la sola tutela indennitaria, per di più dimidiata (analogamente a
quanto dispone l’art. 18, comma 7, l. n. 300/1970), oppure se vada tenuta distinta e comporti
quest’ultima, tutt’altro che peregrina, ma che sembra contrastare con la lettera e con la ratio
della norma.
In conclusione, alla luce delle osservazioni appena svolte si può sostenere che il recesso
per ragioni “realmente” oggettive, anche se non giustificate, del datore dal contratto a tutele
crescenti non consente al prestatore di lavoro di ottenere la reintegra, a meno che non gli sia
di effettività che caratterizza l’intero diritto del lavoro e l’applicabilità della tutela reale ai casi
di nullità previsti dalla legge, ivi compresi quelli per illiceità del motivo o della causa e della
frode alla legge, dovrebbero indurre il datore di lavoro a non ricorrere a tale tipo di
licenziamento quando le vere ragioni, non necessariamente illecite, siano altre. Ciò senza che
sia possibile eliminare del tutto la discrezionalità dei giudici, cui non possono non essere
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