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LA MONETA

1. Era scomodo il baratto. – Abbiamo visto che gli uomini primitivi concludevano i loro affari col baratto,
con la permuta delle merci: io ti do una pecora e tu mi dai, mettiamo, venti galline.

Allora non c’era altro modo di vendere e di comperare, e guai se si fosse continuato così fino ai
nostri giorni: per pagare una bistecca dovremmo dare al macellaio un bicchiere, due cucchiai, oppure della
verdura.

A mano a mano che gli scambi fra i popoli si intensificavano, si avvertì che lo scomodo baratto
doveva essere sostituito con un sistema più conveniente. Putacaso, io avevo urgenza di vendere la mia
pecora, ma non avevo affatto bisogno delle venti galline che tu mi offrivi. Per non tenermi la pecora, avrei
dovuto accettare le galline e poi mettermi in giro in cerca di un Tizio che prendesse le mie galline in cambio,
per esempio, di utensili o di un’arma da caccia.

Si senti la necessità di scegliere di comune accordo dei beni, delle cose, che servissero come
intermediari degli scambi. E si adottò così la moneta, cioè quel bene che potesse essere scambiato con tutti
gli altri beni.

Non si giunse però subito alla moneta metallica, coniata. Presso i popoli primitivi (e pure presso quelli
attuali di civiltà arretrata) la moneta era costituita da determinate merci: per esempio, corone di conchiglie,
denti di cinghiale, pietre tagliate, pelli di animali. In alcuni luoghi dove il sale difettava, le tavolette di
salgemma servivano da denaro. Altrove gli scambi venivano fatti con palle compresse di tabacco. Presso i
Mongoli e anche nel Tibet, si acquistavano le più diverse merci pagandole con tavolette di tè compresso, che
venivano spezzate per averne appunto degli spezzati, degli «spiccioli».

2. Le monete metalliche.

Col diffondersi dell’uso dei metalli, si trovò in essi la moneta perfetta. Naturalmente, si impiegarono
metalli preziosi o almeno pregiati (oro, argento, rame) dapprima allo stato grezzo, in sbarre. Per eliminare il
perditempo della pesatura, i pezzi di metallo vennero tagliati e contrassegnati con punzoni o suggelli.

Si passò poi alle prime monete vere e proprie, in forma di ovoidi, segnati da righe e punzoni; se ne
conservano alcuni esemplari che risalgono, pare, a sei o sette secoli prima di Cristo. Infine si formarono dei
dischi che vennero contrassegnati su ambedue le facce ed attorno al cordone per evitarne l’assottigliamento
doloso, che viene chiamato «tosatura» delle monete.

Chi inventò la moneta, intesa nel senso moderno della parola? Non si sa con precisione; come, del
resto, è ignota l’origine di questa parola. Generalmente se ne fa merito a Fidone, tiranno di Argo (772-768
avanti Cristo) che coniò le prime monete di rame e di argento. Nello stesso periodo, la Libia fece delle monete
con una lega chiamata electron. Secondo altri, spetta ai Cinesi il merito dell’invenzione.

Anticamente le monete venivano fabbricate riducendo le verghe di metallo in dischi e ponendo questi
ultimi fra i coni, i quali venivano battuti con un colpo di martello. Di qui venne il modo di dire «battere
moneta». Questo sistema durò fino a pochi secoli or sono.

Le antiche monete, conservate attraverso i secoli, non solo mantennero il valore intrinseco del
metallo, ma ne ebbero uno ben maggiore di carattere storico e scientifico. Dallo studio delle iscrizioni e delle
figure impresse sulle monete e pure sulle medaglie, si trassero preziose e sicure notizie sulla storia dei popoli
e dei loro sovrani. Ne nacque nel Rinascimento una scienza la numismatica - che spiega e classifica il valore
storico delle monete e pure delle medaglie: è stata preziosa appunto per la conoscenza della geografa antica,
della storia, della mitologia.
3. Monete antiche. - Diamo una scorsa alle principali
monete antiche: alcuni loro nomi sono tuttora usati, con un
diverso significato, e altri ricorrono nei racconti storici.

In Grecia, c’erano la dramma, il talento attico. La


moneta di valore minimo (un sesto di una dramma) era
l’obolo che di solito veniva dato in elemosina: di qui il
significato odierno dello stesso vocabolo.

Monete romane: il sesterzio, la più usuale moneta


romana d’argento; il denarius, unità monetaria dell’argento
presso i Romani, che poi divenne sinonimo di moneta; il
nummus aureus, d’oro, fatto coniare da Cesare; la libbra
d’oro, eccetera.

Ecco ora alcune delle più note monete italiane, dal


Medio Evo in poi: l’ambrosino grosso, denaro milanese, dal
nome del santo patrono di Milano; il bajocco, moneta pontificia, e si dice anche oggi; il bargellino e la crazia
battuti a Firenze; il bezzo, veneto, del valore di sei denari, termine conservato tuttora, in senso generico, nel
vernacolo veneziano; il carlino napoletano; la doppia, d’oro; il ducato, d'argento e d’oro, dapprima usato
nella repubblica di Venezia e poi in altre parti d’Italia; il fiorino, che recava l’impronta del giglio, simbolo di
Firenze; il gigliato, pure fiorentino; l’oncia, del Regno delle Due Sicilie; il paolo, toscano; il quattrino, piccolo
di rame; lo zecchino, d’oro; lo scudo, d'oro e di argento; lo scheo, minima moneta veneta, come dire un
centesimo; il sesisno lombardo e il soldo, che ebbe diversi valori.

Pure lombarde erano la berlinga e la parpagliola. Ricorderete di averne fatta la conoscenza nei
«Promessi Sposi». Nella drammatica sera in cui cominciò l’odissea di Lucia e di Renzo, Tonio si presentò a
don Abbondio con un involtino, per saldare il suo debito, e disse: «Son venticinque berlinghe nuove, di quelle
col sant’Ambrogio a cavallo». E Agnese, quando mandò Menico dal padre Cristoforo, promise al ragazzo:
«Quando tornerai con la risposta, guarda, queste due belle parpagliole nuove sono per te». Svolto bene il suo
servizio, Menico ne ebbe quattro di parpagliole, e Renzo aggiunse, per parte sua, una berlinga nuova.

4. I talleri di Maria Teresa.

Fra le monete antiche c'era anche la lira, che assunse diversi valori: lira di denari, nell’undecimo
secolo, a Pisa e Lucca; di denari imperiali, a Milano; di denari piccoli, a Venezia; lirazza, d'argento, della
repubblica di Venezia. Divenne infine la moneta nazionale italiana.

Fra le monete antiche straniere ricordiamo il tornese, tournois, così chiamato perché coniato nel
Medio Evo, a Tours in Francia; la corona, di vari Stati; il Louis d’or, francese, del tempo di Luigi XIII, e il Louis
neuƒ, coniato alla fine del Settecento; il doblone, che valeva due doble: ne avrete letto nei racconti dei corsari
delle Antille, dei filibustieri della Tortuga, che davano la caccia ai galeoni spagnuoli.

I famosi talleri di Maria Teresa (1780) erano d’argento e, per un singolare fenomeno, divennero la
sola moneta corrente in molte parti dell’Africa, fra cui l’Abissinia. Avanti la prima guerra mondiale, a Trieste
venivano coniati talleri per l’Etiopia, sempre con lo stesso millesimo: le popolazioni abissine accettavano
soltanto le monete che recavano la data del 1780.
Ai primi del secolo, le nostre monete metalliche
erano il marengo d’oro (venti lire di allora), lo scudo
(cinque lire), la lira d’argento, e poi gli spezzati di
nichelio e di rame. Allora correva anche il centesimino,
unità di misura della nostra moneta.

Le monete metalliche recavano lo scomodo del


peso nelle saccocce. Quelle di maggior valore vennero
sostituite con moneta di carta, emessa dal Governo
(biglietti di Stato) o da banche autorizzate (attualmente
la Banca d’Italia): biglietti di banca o banconote.

Dapprima il valore dei biglietti di banca


corrispondeva press’ a poco a quello della moneta
metallica; l'emissione delle banconote era garantita da
un’adeguata riserva di oro custodito nelle casse dello
Stato. In tale situazione, i nostri nonni preferivano
avere nel portafogli la carta moneta, più leggiera delle
monete d’argento e d’oro.

Ma poi le due grandi guerre che travagliarono il mondo nella prima metà del secolo provocarono
ripetute svalutazioni monetarie. La carta moneta non ebbe più il corrispettivo di riserva aurea, ebbe corso
forzoso; e la moneta metallica -- con le più diverse leghe -- fu limitata ai valori più bassi, per gli spezzati.

5. Inflazione e deflazione.

Qui conviene accennare a due fenomeni che provocano variazioni nel valore di una moneta. Prima,
la deflazione, cioè la riduzione della quantità della carta-moneta in circolazione, che aumenta il valore
d’acquisto dello stesso denaro. Seconda, l’inflazione, provocata dall'esagerata emissione di banconote, la
quale dapprima produce una fittizia facilità di affari, ma poi diminuisce il valore del denaro.

L’inflazione più estesa e disastrosa che si ricordi fu quella accaduta in Germania dopo la sconfitta del
1918. In una giornata si guadagnavano somme favolose di centinaia di milioni di marchi, ma altrettante
centinaia di milioni erano necessarie per mangiare un boccone o acquistare un oggetto. Il fenomeno fu
troncato con la creazione, su solide basi, di un nuovo marco.

Vediamo cosa è accaduto invece alla nostra lira che, ripetono i nostri vecchi, ai primi del secolo faceva
aggio sull’oro. Consideriamo a uno il numero indice del costo della vita nel 1913: alla fine della prima guerra
europea, nel 1919, si era saliti a 2,64, e nel 1921 a 4,17. Poi venne il capitombolo seguito al secondo conflitto
mondiale. Nel 1943, indice 11,88; nel 1944, 52,79; nel 1946, 122,72, e poi su, su fino al 252 del 1954.

Un quintale di frumento tenero che, nel 1901, costava lire 25,90, nel 1954 veniva pagato 7156 lire.
Per un chilo di pane, nel 1901, 37 centesimi; nel 1921, lire 1,41; e nel 1954, lire 109. E il reddito nazionale,
che, ai prezzi di mercato, era di 15 miliardi di lire buone nel 1901, ha superato i tredicimila miliardi di lirette
nel 1955.
6. Le monete straniere attuali.
Finora abbiamo parlato del valore della nostra lira nell’ambito nazionale. Ma essa ha anche un altro
valore, quello internazionale, in confronto alle altre monete, e particolarmente al dollaro degli Stati Uniti, la
valuta usata nella maggior parte dei traffici mondiali.

Elenchiamo qui le più importanti monete estere, con accanto il valore medio in lire italiane, nel
momento in cui scriviamo:

Afganistan, afgano: L. 13,85. Argentina, peso: L. 4,10. Australia, sterlina australiana: L. 1396,50.
Austria, scellino: L. 24,20. Belgio, franco: L. 12,50. Birmania, kiat: L. 35. Bolivia, peso: L. 51,35. Brasile,
cruzeiro: L. 3,15. Canada, dollaro: L. 580,50. Cecoslovacchia, corona: L. 2,10. Cile, escudo: L. 231,10.
Danimarca, corona: L. 90,48. Egitto, lira egiziana: L. 1250. Equador, sucre: L. 34,60. Finlandia, markka pes. L.
195,20. Germania occidentale, marco occ.: L. 157,05. Giappone, yen: L. 1,45. Grecia, dracma (nuova): L.
20,60. India, rupia: L. 131,40. Indocina, piastra: L. 30,35. Inghilterra, Sterlina: L. 1746. Iran, rial: L. 5. Iraq,
dinaro: L. 1750. Irlanda (Eire), lira irlandese: L. 1710. Israele, lira d’Israele: L. 215. Jugoslavia, dinaro: L. 0,85.
Lussemburgo, franco: L. 12,50. Messico, peso: L. 40. Norvegia, corona: L. 87,50. Nuova Zelanda, sterlina
neozelandese: L. 1739,20. Paesi Bassi, fiorino: L. 173,90. Pakistan, rupia: L. 131,40. Perú, sol: L. 23,20. Polonia,
zloty: L. 156,25. Portogallo, escudo: L. 21,75. Romania, leu: L. 55,70. Somalia, somalo: L. 87,19. Spagna,
pesata: L. 10,50. Stati Uniti di America, dollaro: L. 625. Svezia, corona: L. 121,65. Svizzera, franco: L. 144.
Tailandia, bath: L. 30,10. Turchia, lira turca: L. 69,10. Ungheria, fiorino: L. 53,24. Unione Sovietica, rublo: L.
156,25. Unione Sudafricana, sterlina sudafricano: L. 1797,30. Uruguay, peso: L. 60. Venezuela, bolivar: L.
138,80. Dal 1960, la moneta francese è costituita da due franchi: il franco leggero, quello antico, pari a circa
127,50 lire italiane; e il franco pesante che equivale a cento franchi leggeri.

7. Zone del dollaro e della sterlina.


Oramai le monete non sono più strettamente legate, come una volta, alla riserva aurea. Inoltre non
c’è libertà di scambio delle valute, e le limitazioni e i divieti vigenti in materia costituiscono una pastoia per
gli uomini di affari. I pagamenti all’estero vengono fatti con le valute accettate nelle diverse zone. Cosi c’è la
«zona della sterlina», comprendente l’Inghilterra e gli Stati del Commonwealth: chi acquista delle merci in
questa zona, deve pagare in sterline. C’è poi la «zona del dollaro», nella quale i versamenti vengono fatti in
dollari degli Stati Uniti.

A poco a poco l'uso del denaro metallico viene limitato ai tagli minori, mentre per i tagli elevati si
impiega la carta-moneta, cosicché in un piccolo piego si possono trasportare somme ingenti. (Se questo
comodo sistema di pagamento fosse stato in uso nel Cinquecento, uno dei nostri sommi pittori, Antonio
Allegri, detto il Correggio, non sarebbe morto tanto prematuramente, appena quarantenne, e avrebbe
compiuto altri capolavori. Si narra che egli abbia avuto in pagamento di un suo lavoro un sacchetto di moneta
metallica spicciola, che egli dovette mettersi sulle spalle e portarsi a casa. In questa fatica, sudò molto, si
ammalò e mori).
8. Pagamenti in assegni. – Oggi si concludono
i più grossi affari senza che il debitore debba
contare il denaro al creditore. I trasferimenti di
moneta avvengono per mezzo delle banche o dei
conti correnti postali. E noi stessi possiamo fare
un pagamento senza moneta, staccando un
assegno bancario, chèque, nel termine francese.

Depositiamo una somma in conto


corrente presso una banca, la quale ci dà un
libretto di assegni; pagheremo poi i nostri
creditori consegnando loro questi assegni da noi
firmati, naturalmente fino a raggiungere
l’importo disponibile in banca. I creditori
«girano» ad altre persone quei rettangoli di carta
recanti la nostra firma, che talvolta fanno dei
lunghi viaggi prima di tornare alla banca, che
sborserà la somma segnata, per conto nostro.

Ci guarderemo bene dal rilasciare


assegni senza avere in banca il corrispettivo in denaro: commetteremmo un reato.

In certo qual modo, anche noi, per mezzo degli assegni bancari, abbiamo una nostra moneta
fiduciaria, la quale però ci può essere rifiutata se il nostro creditore ha dei dubbi sulla nostra solvibilità, cioè
se teme che l’assegno sia stato spiccato a vuoto.

Nei casi di pagamenti a creditori i quali non ci conoscono, possiamo servirci dell’assegno circolare:
questo assegno viene emesso da una banca al nostro nome, e noi lo «giriamo» a un nostro creditore il quale,
così, ha la garanzia della banca stessa.

Sull’assegno possiamo
tracciare due linee parallele
oblique: allora lo chèque si
chiama sbarrato (barré, in
francese) e vuol dire che è
pagabile soltanto a una banca o
ad un nostro cliente. Possiamo
poi apporre la scritta «non
trasferibile», e significa che lo
stesso assegno viene pagato
unicamente alla persona cui esso
è intestato. Tutto questo lo
facciamo per impedire che lo
chèque, uscendo dalla sua giusta
strada, possa essere incassato da
altri. In caso di smarrimento, di
furto o di distruzione degli
assegni, fare denuncia alla banca
e chiedere l’ammortamento con
ricorso al tribunale del sito dove
l’assegno stesso è pagabile o al
pretore del luogo di domicilio del richiedente. Per gli assegni «non trasferibili», basta informare la banca e il
traente.

9. La decadenza dell’oro.
L’oro ha perduto la corona di metallo sovrano, che aveva tenuto per millenni. Una volta ce n'era poco,
e quindi il suo valore era elevato. Ma nel nostro evo, più di una volta si riversarono dei rivoli d’oro nuovo sui
mercati, e più recentemente i rivoli diventarono fiumi.

Dopo la scoperta dell’America, i galeoni spagnuoli trasportarono in Europa molto oro e molto
argento, e questo afflusso di metalli preziosi provocò un rincaro nel nostro continente.

L’epopea moderna dell’oro si iniziò nel Far West e provocò tante avventure che appassionano tuttora
i ragazzi. Nel 1847, in California, tale Sutter, ufficiale emigrato dalla Svizzera, fece costruire un mulino per dar
forza motrice a una segheria, e un suo carpentiere, J. W. Marshall, vide brillare delle particelle metalliche
nella sabbia erosa dall’acqua dello scarico. Era polvere di oro!

Si trovò dell’oro dappertutto e si scatenò allora il gold rush: giungevano da ogni parte, dall’Europa,
dall’Australia, uomini presi dalla «febbre
dell’oro». Fu questa la più grande corsa
all’oro che la storia ricordi. Tutti si
improvvisavano minatori. San Francisco
si spopolò, i soldati disertavano, i
negozianti abbandonavano i loro
commerci, per dedicarsi al lavaggio delle
sabbie aurifere. In due anni approdarono
a San Francisco 230 bastimenti carichi di
cercatori d’oro, di ogni razza, colore e
risma: accadde che molti equipaggi
abbandonassero le loro navi per seguire
i passeggieri alla ricerca del magico
metallo.

Allora si ebbe un eccezionale


rincaro. In California abbondava l’oro,
ma non abbondavano i beni di consumo,
i quali venivano pagati (è proprio il caso
di dirlo) a peso d’oro.

Più tardi divampò la corsa all’oro nel Colorado, e, nel 1874, anche nelle Colline Nere, uno dei territori
riservati ai pellirosse. Ne derivò la lotta contro Nuvola Rossa, Cavallo Folle, Sitting Bull, Toro Seduto, capo dei
Sioux, e la battaglia finale con l’eccidio della colonna del generale Custer.

Nel 1851, un minatore australiano, Hargreaves, tornato in patria dal rush del Far West, scopri l’oro
nei Monti Azzurri del suo continente, e si accese un’altra «febbre dell'oro». Alla fine del secolo, poi, una
nuova epopea, quella di Jack London: nel 1895 si trovò l'oro nell’Alaska, sullo Yukon, sul favoloso Klondike
River, vicino alla turbolenta città dei cercatori, Dawson.

La produzione dell'oro continuò, meccanizzata, anche dopo questi rushes, e si ebbe una disponibilità
enorme di metallo giallo, se si può dire, un’inflazione di oro. (Per i diamanti, invece, la produzione viene
limitata allo scopo di non far crollare i prezzi).
10. Il metallo più a buon mercato.
Gli Stati conservano tuttora riserve auree, ma la maggior parte dell’oro è custodito negli Stati Uniti,
dentro una fortezza.

L'oro è ancora un simbolo di ricchezza, ma ha perduto una parte del suo valore: attualmente è il
metallo più a buon mercato, e ve lo dimostriamo. Un grammo di oro costava 3 lire e 49 centesimi nel 1913,
mentre costava 703 lire, prezzo ufficiale, nel 1954: ha avuto dunque un aumento di circa 200 volte. L’umile
ferro in travi, invece, costava lire 26,67 al quintale, nel 1913: nel 1951 e 1952 toccò la quotazione di 10 mila
lire, nel 1954 quella di 8393 lire al quintale: è rincarato dunque di oltre 300 volte. Perché? Perché il ferro è
un metallo utile e dà un guadagno, mentre l’oro costituisce una ricchezza inerte e viene superato, in valore,
dai metalli scoperti dalla tecnica moderna e impiegati per costruzioni di grande pregio.

Con questo non vogliamo dire che non ci farebbe comodo, anche a noi, possedere un bel blocco
d’oro. Una parte di questo metallo viene utilizzato dagli orefici per foggiare oggetti ornamentali. Il rimanente,
la maggior parte, rimane chiuso nelle casse degli Stati e nei forzieri dei privati, tesoro infruttifero.

Una volta l’oro veniva tesoreggiato (cioè accumulato nelle casse come riserva) soprattutto
nell'Oriente. Durante le recenti guerre, esso ha serbato questo cómpito anche nel mondo occidentale: le sue
quote sono andate alle stelle. L’oro tesoreggiato non rende nulla, ma evita al possessore le disastrose
conseguenze delle inflazioni. Ma, finita la guerra, la quotazione ridiscende.

In Italia, contengono polvere d’oro le sabbie di parecchi corsi d’acqua che scendono dalle Alpi,
specialmente dal Monte Rosa. Una volta si vedevano dei cercatori lavare la sabbia lungo il Ticino, l’Orco, la
Dora Riparia e Baltea, il torrente Cervo. Ma oramai non c’è più convenienza a spalare tonnellate di sabbia per
raccogliere, in una giornata di duro lavoro, un grammo d’oro, molto meno perciò di quel che lo stesso lavoro
dedicato a una qualunque altra attività produttiva potrebbe fruttare al lavoratore.

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