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TALIA PECKER BERIO


La crisi dellopera (e del libretto) nel secondo Novecento

Nel secondo Novecento si assiste a una crisi dellopera che rac-


coglie in s molteplici aspetti, spesso conflittuali, del pensiero mu-
sicale e del ruolo della musica nella vita civile e culturale. Si tratta
innanzitutto di una crisi del linguaggio musicale, le cui radici vanno
cercate nella graduale disintegrazione del sistema tonale a partire
dal tardo Ottocento e nelle poetiche di cambiamento che hanno
caratterizzato il primo Novecento, ma che dopo la scossa della Se-
conda guerra mondiale ha assunto (come quelle di altri linguaggi
dellarte e del pensiero) contorni e significati di uninedita radicalit.
Il lapidario aforisma di Pierre Boulez Schnberg est mort em-
blematico dellurgenza avvertita dalla nuova generazione di com-
positori di ricominciare da zero, di rivalutare il passato e di decli-
narlo al futuro: a un futuro che non poteva tuttavia ignorare labisso
dal quale stava emergendo lEuropa del dopoguerra. Quella del lin-
guaggio musicale postbellico dunque anche, e inscindibilmente,
una crisi di coscienza: esistenziale, socioculturale e politica, ed
questo che maggiormente la distingue dagli sconvolgimenti lingui-
stici e poetici delle avanguardie prebelliche.
Questa inseparabilit di livelli si manifesta in maniera partico-
larmente eloquente in campo operistico. Il teatro dopera per ec-
cellenza il luogo dove la musica sincontra e interagisce con gli altri
linguaggi dellarte e, in maniera pi completa e diretta rispetto ad
altri generi, con la realt. Al tempo stesso, il teatro dopera per
emblema della tradizione, di tutto quello che per le avanguardie del
secondo Novecento ancien rgime da rifiutare sia sul piano musi-
cale sia su quello ideologico e istituzionale.
Mentre Malipiero, come afferma Mila De Santis in queste pagine,
adora il teatro, ma detesta tanto la tradizione melodrammatica ita-
liana quanto il dramma wagneriano e cerca un modo radicalmente
nuovo per creare un dramma con e attraverso la musica (p. 64), i
giovani protagonisti della generazione del secondo dopoguerra non
si pongono pi nella posizione di amore-odio e neanche di critica
rispetto ai caposaldi operistici di altri tempi. Per loro quei tempi sono
finiti; lidea stessa di dramma con musica sinonimo di inattua-
lit; lopera morta (Berio) e i teatri che la ospitano devono essere
bruciati (Boulez), almeno idealmente. Che tutti o quasi tutti questi
protagonisti si siano poi cimentati, chi pi chi meno, chi nella qualit
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di autore e chi in quella di direttore dorchestra (Boulez, che fino a


pochi anni fa annunciava di avere in cantiere una propria compo-
sizione per il palcoscenico) con il teatro musicale, segno dellin-
tramontabile potenza di questo genere, sia come vivaio di tradizioni
passate sia come laboratorio di nuove sperimentazioni.
Opera, non-opera, anti-opera: come operare in teatro con mezzi
e scopi totalmente nuovi senza subire i condizionamenti storico-cul-
turali che lo spazio teatrale inevitabilmente impone tanto sul piano
della realizzazione quanto su quello della fruizione? I criteri di scelta
del soggetto e lapproccio al testo riflettono la complessit del dilem-
ma e la molteplicit delle poetiche messe in atto dai compositori di
questa generazione per ogni aspetto del teatro musicale a comincia-
re dalla terminologia utilizzata per qualificarlo. I termini opera e
melodramma sono per lo pi evitati; li sostituisce il pi generico
teatro musicale, mentre le singole composizioni sono spesso quali-
ficate con i sottotitoli azione scenica o azione musicale.
Il rapporto voce-parola, linterazione tra voci e strumenti, lazione
scenica, la gestione dello spazio scenico e acustico, il rapporto tra
suono e immagine, il ruolo del pubblico: tutti questi aspetti e altri
ancora sono sottoposti a un radicale ripensamento e vengono ridefi-
niti da ogni autore ogni volta ex novo in conformit con levoluzione
del proprio linguaggio e con il messaggio complessivo che si desidera
trasmettere. interessante notare che ogni nuovo lavoro di teatro
musicale rappresenta per il suo autore un momento di convergenza
delle proprie sperimentazioni in altri generi e idiomi: la ricerca sulla
voce, la prassi esecutiva, la produzione del suono con mezzi elettroa-
custici, il trattamento della massa orchestrale e dei singoli strumenti.
Le scelte relative al complesso di fattori che in epoche precedenti con-
fluivano nel concetto di libretto (soggetto, testo, drammaturgia, svol-
gimento) e che nel periodo che ci interessa si prefigurano spesso in
quello pi aperto di testo, sono mirate anzitutto alla costruzione di
una piattaforma concettuale e poetica libera da qualsiasi convenzio-
ne, ma sono al contempo intimamente connesse al tessuto musicale
e alle procedure compositive che lo costituiscono. Non si tratta pi
dunque di mettere in musica un libretto onnicomprensivo, com-
missionato a un librettista oppure scritto o montato dal compositore
stesso, bens di costruire con criteri musicali un materiale testuale
adatto alle esigenze poetiche e drammaturgiche del caso. Negli ul-
timi tre-quattro decenni del secolo scorso troveremo quindi unam-
pia casistica che va dal teatro di gesti di Maurizio Kagel, dove la
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componente testuale secondaria rispetto a quella comportamentale


che coinvolge gli strumenti e le tecniche esecutive, al monumentale
ciclo Licht (1977-2003) di Karlheinz Stockhausen sette giornate
di circa quattro ore ciascuna, la cui concezione riflette le aspirazioni
cosmiche del compositore e dove il fiume dinvenzione musicale pla-
sma e assorbe il testo (compilato dallo stesso Stockhausen, con ampi
rimandi a fonti e tradizioni orientali); dalle drammaturgie piuttosto
tradizionali delle numerose opere (cos denominate) di Hans Werner
Henze allunico lavoro scenico di Gyrgy Ligeti, Le grand macabre
(1974-77/1996) basato sullomonima pice di Michel De Ghelderode
(1934) con un testo del compositore in collaborazione con Michael
Meschke (regista della prima esecuzione), che fu predisposto a esse-
re cantato in diverse lingue.
Nellimpossibilit di illustrare qui lampia casistica dellintera-
zione testo-musica nella produzione per la scena di questa gene-
razione, mi concentrer brevemente, in sintonia con la matrice ita-
liana degli interventi che mi hanno preceduto, su due compositori
solitamente considerati antitetici e che con la prospettiva che oggi
ne abbiamo appaiono piuttosto complementari: Luigi Nono e Lucia-
no Berio. Lo far tramite un confronto volutamente schematico tra
dichiarazioni di poetica e tra alcuni lavori andati in scena, talvolta
in prossimit temporale, in periodi diversi della loro carriera. Tanto
baster per illustrare da un lato lo Zeitgeist comune: la provocazione,
limpegno etico ed estetico, il rifiuto di una drammaturgia narra-
tiva, di una caratterizzazione psicologica dei personaggi e di altre
convenzioni del genere operistico; dallaltro la notevole divergenza
degli intenti poetici.
Entrambi approdano al teatro musicale propriamente detto nei
primissimi anni Sessanta; Nono con Intolleranza 1960 (1960-61, pri-
ma esecuzione alla Fenice di Venezia nellaprile 1961) e Berio con
Passaggio (1961-62, prima esecuzione alla Piccola Scala nel maggio
1963), avendo gi alle spalle esperienze legate al teatro (musiche di
scena per Nono, radio-drammi e teatro per gli orecchi per il Berio
di Thema (omaggio a Joyce), Circles e Visage). Entrambi gli spettacoli
suscitano scandalo e corrispondono in ci allintento provocatorio
degli autori in quella fase della loro carriera; specifico e realistico
quello di Nono:

[] sempre la genesi di un mio lavoro da ricercare in una provoca-


zione umana: un avvenimento unesperienza un testo della nostra
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vita provoca il mio istinto e la mia coscienza a dare testimonianza


come musicista-uomo. [] la tematica ideologica di questi materiali
non comporta n impone di per s una validit scenico-musicale,
ma informa la coscienza artistica nellimpegno attuale, che si risol-
ve per nella elaborazione e nel risultato tecnico-espressivo. (Alcune
precisazioni su Intolleranza 1960, 1962, NONO 2007, p. 99-100)

pi generico e concettuale quello di Berio:

La modernit o la novit nelle sue deformazioni [] general-


mente attribuibile allincoerenza ideologica e allarbitrariet este-
tica, un risultato delloccupazione illusoria e dannosa di versare
nuovi contenuti in vecchi stampi. Il termine teatro musicale
sinonimo del rifiuto di questa illusione. (Verso un teatro musicale,
ca.1967-1970, BERIO 2013, pp. 425-426)

Nel complemento di titolo di Intolleranza 1960 si legge: Azione


scenica in due parti da unidea di Angelo Maria Ripellino; i testi
sono raccolti da molteplici fonti tra cui Brecht, Eluard, Majakowskij,
Sartre e lo stesso Ripellino. I personaggi principali sono cinque: un
Emigrante, la sua Compagna, una Donna, un Algerino e un Tor-
turato; ci sono poi 4 gendarmi, attori, e un coro fatto di Minatori,
Dimostranti, Torturati, Prigionieri, Emigranti, Algerini, Contadini.
Non c una trama vera e propria bens unalternanza di situazio-
ni che richiamano a tematiche sociali e politiche ben riconoscibili:
emigrazione e ritorno in patria, lotta contro i fascismi, arresto e tor-
tura; violenza, guerra, sterminio, calamit naturali a scapito degli
emarginati. Si chiede Eugenio Montale nella recensione alla Prima
esecuzione dellopera a Venezia: Che cosa accade allEmigrante?
Lo sappiamo leggendo ci che sopravvive del libretto, perch le sue
parole e le parole di tutti, compreso il coro ed escluso qualche ac-
cento del basso Italo Tajo, restano incomprensibili (MONTALE, 1961).
Nono stesso ne fornisce la risposta:

Priorit della parola sulla musica, o della musica sulla parola? Co-
lonna sonora? No. Ma composizione con gli elementi fondamenta-
li di un possibile teatro musicale: elemento visivo e auditivo nelle
possibilit dello spazio di realizzazione. Varie fonti sonore nel te-
atro, dinamismo dellelemento visivo nella sua molteplicit di resa
scenica, anche simultanea. (Intolleranza 1960, 1961, NONO 2001, I,
p. 440)
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e le premesse poetico-ideologiche:

Intolleranza 1960 il destarsi della coscienza umana di un uomo


che, ribellatosi a una costrizione del bisogno emigrante minatore
, ricerca una ragione un fondamento umano di vita. Subite alcune
prove di intolleranza e di incubi, sta ritrovando il rapporto umano,
tra s e gli altri, e viene con gli altri travolto in unalluvione. Resta la
sua certezza nellora che alluomo un aiuto sia luomo. Simbolo?
Cronaca? Fantasia? Tutto insieme in una storia del nostro tempo.
(Ibid.)

Passaggio di Berio definito in sottotitolo come Messa in scena di


Luciano Berio e Edoardo Sanguineti. Lopera (intesa come opus)
costruita in sei stazioni che segnano il percorso spaziale e dram-
maturgico dellunica protagonista Lei. Lorganico composto da
unorchestra e un coro diviso in due: il coro A nellorchestra, il coro
B sottodiviso in cinque gruppi sparsi tra il pubblico. Una viva te-
stimonianza di Sanguineti ci illumina sulla definizione dellopera:

Messa in scena era una dizione piena di significato, molto rive-


latrice intanto dellidea proprio di questo esporre sulla scena: gesti,
suoni, etcetera []. E insieme messa conteneva unallusione di tipo
liturgico e nettamente profanatorio: per ognuna delle stazioni cera
un detto liturgico e di varia sorgente. (SANGUINETI 2012, pp. 51-52)

sulla congiunta attribuzione autoriale:

[] a differenza degli usi tradizionali, testo di o parole di,


musica di, comparve come messa in scena di Luciano Berio e
Edoardo Sanguineti [] puntando sopra una sorta di assoluta in-
distinzione sopra le parti autoriali. Non era soltanto un modo di
uscire da una tradizione: c un libretto, c un musicista, ci sono
i compromessi, le correzioni, le insoddisfazioni, i lamenti, tutto
quello che fa tutta la storia della librettistica. [] come si partiva
con questa vociferazione iniziale? Chi laveva deciso? Come era
nata la cosa? Ecco. Qui le parti veramente sono indissolubili tra di
loro. Sia lidea drammaturgica, non la musica io no, note no...
paroliere s, ma naturalmente niente sul fatto musicale. Per sulla
struttura drammatica e i procedimenti, su questi invece le cose si
confondono e non soltanto la distanza temporale che provoca
questo. (Ivi, p. 53)
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e sulle fonti del testo:

Luciano aveva in mente la Milena di Kafka, io avevo in mente Rosa


Luxemburg (questa cosa abbastanza nota). Ceravamo spartiti
in due le cose e nacque questo personaggio di Lei che non aveva
niente a che fare n con Milena, n con Rosa Luxemburg, anche se
venivano utilizzate molte allusioni alluno e allaltro personaggio,
ma erano come dire private (credo che nessuno sia mai andato
alla ricerca delle lettere di Rosa o delle lettere kafkiane a Milena).
(Ivi, p. 52)

Le tappe successive della produzione teatrale di Nono e di Berio


rispecchiano la divergenza delle strade intraprese. Con La fabbrica
illuminata del 1964 (per voce femminile e un nastro magnetico che
raccoglie e elabora voci e rumori registrati nella fabbrica dellItalsi-
der di Genova) e altri lavori non destinati alle scene ma carichi di
drammaticit e impegno quali Non consumiamo Marx (seconda par-
te del dittico Musica-Manifesto n. 1 del 1969, con testi e registrazioni
raccolti durante le contestazioni del 1968) Nono privilegia un rea-
lismo politico-morale che giunge al suo apice nella seconda azione
propriamente scenica, Al gran sole carico damore del 1975 (revisione
del 1978) dove il testo, a cura del compositore e del regista Juri Lju-
bimov, un caleidoscopio di citazioni e detti sul tema della lotta
di liberazione, che vanno da Rimbaud a Gorkij a Pavese e Brecht
e da Marx, Lenin e Gramsci a Che Guevara a Fidel Castro e altri.
Dunque: teatro di idee, di lotta, strettamente collegate di sicuro
travagliato procedere verso una nuova condizione umana e sociale
di vita (NONO 2007, p. 114). Tuttavia,

va precisato: ideologia intesa non come remora idealistica lontana


dalla viva realt e spesso in contrasto con essa, pertanto tendente
a sovrapporlesi fino a soffocarla, di tipo zdanoviano per intenderci,
ma coscienza reagente che si vivifica al contatto fenomenico con
la realt e che determinandosi determina; quindi non un velo che
copra la realt, ma strumento di verit. (Ivi, p. 113)

Berio, con Opera (1969-70, testo del compositore basato su tre fon-
ti: un progetto inedito suo, di Umberto Eco e di Furio Colombo per
una rappresentazione del naufragio del Titanic; la pice Terminal
dellOpen Theater di New York; il mito di Orfeo), si orienta invece
verso una pluralit di significati scaturita dalla accumulazione di
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molti modi diversi di comportamento musicale, vocale e scenico


cio di diversi modi di lavoro teatrale: da qui il titolo che, come
abbiamo accennato sopra, non vuole necessariamente suggeri-
re una parodia dellopera ma, piuttosto, il plurale di opus (BERIO
1977). Ne La vera storia (1977-80) Berio prosegue lesplorazione
dei limiti del genere operistico lavorando sul crinale tra opera e
no (BERIO 1982), con una prima parte che espone per sommi capi
una vicenda, un paradigma di conflitti elementari, espressi e rap-
presentati coi mezzi familiari di un teatro ove le cose si raccontano
cantando: arie, duetti, cori ecc. (ibid.) e la seconda, il cui testo
identico a quello della prima, che propone una trasfigurazione
e, per certi aspetti, unanalisi di quel paradigma (ibid.). Il testo
una delle pi alte prove poetiche di Italo Calvino , la musica e
la drammaturgia implicita nel rapporto dialettico tra le due parti
riflettono in maniera tanto indiretta quanto inequivocabile il buio
degli anni Settanta in Italia. La realt filtrata e la verit a cui
accenna il titolo resta sospesa con un punto interrogativo; eppure,
la consapevolezza di una e dellaltra traspare in filigrana da ogni
suono, parola, immagine.
Due nodi fondamentali rimangono irrisolti nel teatro musicale
del secondo Novecento, con ricaduta immediata sulla componen-
te testuale: la vocalit, che in scena significa personaggio anche
quando esso privo di caratterizzazione psicologica, e la dimen-
sione visuale dalla quale non si pu prescindere, pena la rinuncia
allidea stessa di teatro. Un personaggio che agisce sulla scena
anche portatore di testo e in unazione musicale ci significa (anche)
canto; lapparato e lazione scenica, se non li si vuole ridurre a pura
astrazione o viceversa a banale gesticolazione, devono rapportarsi
in maniera coerente con il soggetto, anche quando questo privo
di tratti narrativi, storici o ambientali.
Con coincidenza temporale e tematica vanno in scena nel 1984
Prometeo. Tragedia dellascolto di Luigi Nono e Un re in ascolto di Lu-
ciano Berio. Le soluzioni suggerite da questi due lavori ai parados-
si di cui si appena detto sono, ancora una volta, estremamente
diverse, per non dire opposte. Tuttavia, proprio nellestremit de-
gli approcci risiede un elemento che accomuna i due autori: la de-
terminazione di continuare a esplorare lo spazio e il tempo della
rappresentazione teatrale senza nostalgia e con principi e linguaggi
musicali radicati nella modernit.
Con Prometeo Nono compie un netto distacco dalla scena: lo
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spazio musicale (cos definito nella scheda ufficiale dellopera),


disegnato da Renzo Piano, unenorme chiglia di legno che nella
prima rappresentazione fu allestita nella chiesa di San Lorenzo a
Venezia; i musicisti sono disposti attorno al pubblico che invitato
a immergersi nel suono.

[] Litinerario di Prometeo [] si potrebbe definire musicale-fi-


losofico. Il tema dellascolto [] capace di spezzare le idolatriche
catene dellimmagine, della narrazione, della successione dei mo-
menti, del mero discorrere delle parole ebbene, questo tema si
intrecciato indissolubilmente si trasformato, cio, in simbolo di
quellAperto, di quel puro possibile o virtuale cui ogni cosa, ogni
creatura fa cenno, in quanto proprio nel suo esistere si mostra, si
dona la sua provenienza da nulla. (Prometeo [II versione, 1985],
NONO 2001, I, pp. 493-94)

I testi, a cura di Massimo Cacciari, sono tratti da Esiodo, Eschi-


lo, Pindaro, Erodoto, Euripide, Sofocle, Goethe, Hlderlin, Schn-
berg e Benjamin. Cacciari parla dellistante della azione decisiva
in Nono, un attimo decisivo che coincide, tuttuno con quello
della emissione del suono e dellascolto di questo stesso suono.

Quindi i testi che io ho raccolto [...] vertevano su questo problema:


fornire a Nono parole [...] che accenassero in qualche modo a que-
sta idea di eventi decisivi, istantanei, [...] testi che si strutturassero
per simultaneit [...] e che ognuno di questi, ognuna delle parole di
questi testi [...] evocasse tutta unaura intorno di possibilit ulterio-
ri. (CACCIARI 1986, p. 374)

Il risultato unestrema frammentazione, una vera e propria polve-


rizzazione della parola, resa tangibile allorecchio dellascoltatore e
allocchio del lettore del libretto che riflette lo spazio musicale e la
moltitudine di rimandi concettuali in un caleidoscopio di lingue e
grafie diverse. La dimensione semantica azzerata, la vocalit spo-
gliata da qualsiasi connotazione comportamentale e referenziale,
il vedere assorbito nelludire. La drammaturgia non si manifesta
nellazione bens nella trasformazione dello spazio acustico da un
episodio allaltro (Prologo, cinque Isole, due Stasimi, due Interlu-
di, due sezioni intitolate Tre voci). Parola e suono convergono e
sidentificano in un tessuto-paesaggio in continuo divenire, facendo
gravitare lattenzione sullatto dellascolto allo stato puro.
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Lascolto nelle sue molteplici sfaccettature il fulcro di Un re in


ascolto di Berio, a partire da un saggio di Roland Barthes (BARTHES
1977), che fu scelto da Italo Calvino come punto di partenza per un
libretto che in seguito sub sostanziali trasformazioni e integrazioni
(Shakespeare, Gotter, Auden, Berio stesso) soltanto in parte condi-
vise dallo scrittore. Le peripezie di questa travagliata collaborazione
tra i due liguri sono indicative della problematicit del concetto di
libretto per Berio:

Lascolto come sintomo, come selezione e come collocazione di suo-


ni nello spazio, nel tempo e nella nostra coscienza, implica sempre
e comunque un universo di codici diversi che interagiscono come
in un gioco di specchi. (La nascita di un re, 1984, BERIO 2013, p. 270)

Ma

[] il complesso e metascientifico testo di Barthes non certamen-


te rappresentabile n drammatizzabile anche se, come tutti
ormai sanno, un libretto lo si pu cavar fuori da qualsiasi cosa: da
una teoria economica, dalle previsioni del tempo o dal programma
di un computer. (Ibid.)

Agli antipodi di Prometeo, Un re in ascolto , tra i lavori per la scena di


Berio, quello che nelle apparenze pi si avvicina allidea di opera.
Si avvicina, ma non approda:

Non c un antefatto, non c un intreccio n una trama di eventi e


di affetti espressi da personaggi che, cantando, si pongono conflitti
morali. C per lanalisi di una situazione drammatico-musicale
e la rappresentazione di un addio [] lo spirito dellopera pervade
ogni tanto la partitura e il palcoscenico di Un re in ascolto; ma
presente come un sogno, come opera nella sua virtualit o, forse,
nella sua impossibilit. Infatti Un re in ascolto finisce quando diven-
ta opera. (Dialogo fra te e me, 1984, BERIO 2013, p. 273)

Non forse un caso che, per i suoi successivi lavori per la scena,
Berio si rivolse a collaboratori che, non essendo scrittori di mestiere,
erano in grado di prevedere e assecondare le sue esigenze musicali:
Dario Del Corno che firm assieme al compositore il testo di Outis
(1995-96); Talia Pecker Berio per Cronaca del Luogo (1998-99). En-
trambi i testi, seppur concepiti con criteri drammaturgici e poetici
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estremamente diversi, hanno in comune un taglio rigorosamente


non-narrativo, un ventaglio di personaggi pi simbolici che reali e
un diffuso ricorso alla citazione letteraria.

Lopera che sogna se stessa, lazione scenica che rinuncia allazio-


ne, la musica che assorbe la parola, lascolto che rende ambigua o
vana la visione... Tra lorlo del silenzio e il disincanto della parodia,
questi capolavori di teatro musicale rendono palpabili allorecchio,
allocchio e soprattutto alle nostre coscienze, le grandi fratture del
secolo breve.

Riferimenti bibliografici
BARTHES 1977: R. Barthes-R. Havas, Ascolto, in Enciclopedia Einaudi, vol. I, Torino
1977, pp. 982-991
BERIO 1977: L. Berio, Nota a Opera, in http://www.lucianoberio.org/node/1404?
1123342127=1
BERIO 1982: L. Berio, Opera e no (nota a La vera storia), in http://www.lucianoberio.org/
node/1385? 583992419=1
BERIO 2013: L. Berio, Scritti sulla musica, a cura di A.I. De Benedictis, Einaudi,
Torino 2013.
C ACCIARI 1986: Dedicato a Nono. Conversazione radiofonica tra Massimo Cacciari,
Heinz-Klaus Metzger, Giovanni Morelli, Luigi Nono, Alvise Vidolin, coordinata da Ma-
rio Messinis, in NONO 2001, II, pp. 373-379
MONTALE 1961: E. Montale, Prima mondiale a Venezia dellIntolleranza 1960, in
Corriere di Informazione, 14 aprile 1961, ora in http://www.lucignolo.it/it/lui-
gi-nono/opere/intolleranza-1960.
NONO 2001: L. Nono, Scritti e colloqui, 2 voll., a cura di A.I. De Benedictis e V.
Rizzardi, Ricordi, Milano 2001.
NONO 2007: L. Nono, Nostalgia del futuro. Scritti scelti 1948-1986, a cura di A.I. De
Benedictis e V. Rizzardi, Ricordi, Milano 2007.
SANGUINETI 2012: E. Sanguineti, Quattro passaggi con Luciano, in Luciano Berio.
Nuove prospettive / New Perspectives, a cura di A.I. De Benedictis, Olschki, Firenze
2012, pp. 49-60 e 51-52.

Ulteriori letture
A.I. De Benedictis, Intolleranza 1960 di Luigi Nono: le metamorfosi di un libretto.
Un caso paradigmatico di filologia delle strutture, in La filologia musicale. Istituzioni,
storia, strumenti critici, vol. III, LIM, Lucca 2013 pp. 639-661; M. De Santis, Opera
o altro. Sul complemento del titolo nella drammaturgia musicale italiana del Novecento,
in Drammaturgie musicali del Novecento. Teorie e testi, Atti del Convegno Interna-
zionale di studi (Centro Studi Musicali Ferruccio Busoni di Empoli, 14-16 ottobre
2004) a c. di M. Vincenzi, LIM, Lucca 2008, pp. 43-103.

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