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LUDWIG FEUERBACH

Lessenza della religione (testo integrale)

1. Lessere diverso e indipendente dallessenza umana o da Dio, come rappresentato


nellEssenza del cristianesimo lessere privo di essenza umana, propriet umane,
individualit umana in verit non altro che la natura.

2. Il sentimento di dipendenza delluomo il fondamento della religione; ma loggetto di


questo sentimento di dipendenza, ci da cui luomo dipende e si sente dipendente, non
originariamente altro che la natura. La natura il primo, l'originario oggetto della
religione, come la storia di tutte le religioni e di tutti i popoli documenta ampiamente.

3. L'affermazione che la religione sia naturale, innata nell'uomo falsa se alla religione in
generale si attribuiscono le rappresentazioni del teismo, cio della fede in Dio in senso
stretto, ma del tutto vero se per religione non si intende altro che il sentimento di
dipendenza - il sentimento o la consapevolezza dell'uomo di non esistere e di non poter
esistere senza un altro essere, da lui diverso, di non dovere a se stesso la propria
esistenza. In questo senso la religione per l'uomo cos indispensabile come la luce per
l'occhio, l'aria per il polmone, il cibo per lo stomaco.
La religione considerazione e riconoscimento di quel che io sono. Ma io sono soprattutto
un essere che dipende dalla natura e che non in grado di esistere senza luce, senza
aria, senza acqua, senza terra, senza cibo. Questa dipendenza nell'animale e nell'uomo
allo stato animale ancora inconsapevole, irriflessa; innalzarla al grado di coscienza,
rappresentarla, considerarla, riconoscerla significa elevarsio alla religione. Cos ogni forma
di vita dipendente dall'avvicendarsi delle stagioni, ma solo l'uomo celebra questo
avvicendarsi con rappresentazioni drammatiche, con cerimonie solenni. Ma queste
celebrazioni, che non esprimono e non rappresentano altro che l'avvicendarsi delle
stagioni o delle fasi lunari, sono le pi antiche, le prime, le autentiche professioni di
religione dell'umanit.

4. L'uomo determinato, questo popolo, questa stirpe, non dipende dalla natura in generale,
non dalla terra in genere, ma da questo suolo, da questo paese, non dall'acqua in
generale, ma da questa acqua, da questa corrente, da questa sorgente. L'egiziano non
egiziano fuori dall'Egitto, l'indiano non indiano fuori dall'India. A pieno diritto, con lo
stesso diritto con cui l'uomo universale venera la propria essenza universale come Dio, i
popoli antichi, limitati, attaccati con anima e corpo al proprio suolo, che ponevano la loro
essenza non nella propria umanit, ma nella propria determinatezza di popolo e di stirpe,
adoravano come entit divine le montagne, gli alberi, gli animali, i fiumi e le sorgenti della
loro terra, perch tutta la loro esistenza, tutto il loro essere si fondava soltanto sulla
conformazione della loro terra, della loro natura.

5. E' una rappresentazione fantastica quella secondo cui l'uomo abbia potuto elevarsi al di
sopra della condizione animale solo per mezzo della provvidenza, dell'aiuto di esseri
"sovrumani" quali sono di, spiriti, geni, angeli. D'altra parte l'uomo non diventato ci
che di per se stesso e solo grazie a se stesso; ha avuto bisogno per questo del sostegno
di altri esseri. Ma questi esseri non erano creature soprannaturali, immaginarie, bens
creature vere e proprie, esseri reali non al di sopra, ma al di sotto dell'uomo - come in
generale tutto ci che sostiene l'uomo nel suo agire cosciente e volontario, che, solo,
comunemente chiamato umano; tutte le buone doti e disposizioni non vengono gi
dall'alto, ma su dal basso, non dal vertice, ma dal profondo della natura. Queste entit
benefiche, questi spiriti tutelari dell'uomo erano, in particolare, gli animali. Solo per mezzo

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degli animali l'uomo si innalzato sopra l'animale; solo sotto la loro protezione e con il loro
appoggio il seme della civilt umana pot crescere e svilupparsi.
"Sull'intelligenza del cane", scritto nello Zend-Avesta, e pi precisamente
nel Vendidad, che ne la parte riconosciuta pi antica e pi autentica, "si regge il
mondo. Se esso non sorvegliasse le strade, predoni e lupi farebbero razza di ogno cosa".
Questo significato degli animali per l'uomo, soprattutto ai tempi dell'inizio della civilt,
giustifica pienamente la venerazione religiosa di cui erano oggetto. Gli animali erano per
l'uomo esseri necessari, indispensabili; da loro dipendeva la sua esistenza umana; ma ci
da cui dipende la vita, l'esistenza dell'uomo, per lui Dio. Se i cristiani non venerano pi la
natura come Dio, solo perch, secondo la loro fede, la loro esistenza non dipende dalla
natura, bens dalla volont di un essere diverso dalla natura, ma essi considerano e
venerano questo essere come divino, cio supremo, soltanto perch lo ritengono il
creatore e sostentatore della loro esistenza, della loro vita. Cos la venerazione di dio
dipende solo dalla venerazione dell'uomo per se stesso, solo una manifestazione di
essa. Se io provo disprezzo per me o per la mia vita - in origine e normalmente l'uomo non
distingue fra s e la propria vita - perch dovrei esaltare e venerare ci da cui dipende
questa vita miserabile e spregevole? Nel valore che io attribuisco alla causa della vita
diventa dunque unico oggetto della coscienza il valore che inconsciamente attribuisco alla
mia vita, a me stesso. Quanto pi aumenta dunque il valore della vita, tanto pi
aumentano naturalmente di valore e di dignit anche coloro che ellargiscono i doni della
vita, gli di. E come potrebbero gli dei risplendere d'oro e d'argento, finch l'uomo non
conosce il valore e l'uso di oro e argento? Che differenza tra la pienezza vitale e l'amore
per la vita dei greci e la desolazione e il disprezzo della vita degli indiani; ma che
differenza anche tra la mitologia greca e le favolose dottrine indiane, tra il padre olimpico
degli di e degli uomini e il grande opossum indiano o il serpente a sonagli, il grande
padre degli indiani!

6. I cristiani gioiscono della vita nella stessa misura dei pagani, ma rivolgono le loro
preghiere di ringraziamento per i piaceri della vita in alto, al padre celeste; essi muovono
ai pagani il rimprovero di idolatria proprio perch questi ultimi si fermano con il loro
ringraziamento e la loro venerazione alla creatura, senza innalzarsi alla causa prima,
all'unica vera causa di tutti i benefici. Devo forse la mia esistenza ad Adamo,
il primo uomo? Lo venero forse come un padre? Perch non dovrei fermarmi alla
creatura? Non sono anch'io stesso una creatura? Ma per me, che non vengo da
lontano, per me in quanto questo esere determinato e individuale, non forse la causa
prossima, questa causa determinata e individuale, anche la causa ultima? Questa mia
individualit, inseparabile e inscindibile da me e dalla mia esistenza non dipende forse
dall'individualit di questi miei genitori? Se vado pi indietro non finisco forse per perdere
ogni traccia della mia esistenza? Non c' qui un necessario punto di arresto, un punto
limite oltre il quale non devo spingermi nell'andare indietro? Il primo inizio della mia
esistenza non forse assolutamente individuale? Sono forse stato concepito e generato
nello stesso anno, nella stessa ora, nella stessa disposizione d'animo, in breve, nelle
stesse condizioni interne ed esterne di mio fratello? Non dunque, cos come la mia vita
indiscutibilmente mia propria, anche la mia origine mia propria, individuale? Devo dunque
estendere la mia devozione filiale fino ad Adamo? No! A pieno diritto, mi arresto con
devozione religiosa agli esseri a me pi vicini, a questi miei genitori, come cause
della mia esistenza.
7. La serie ininterrotta delle cosiddette cause o cose finite, che gli atei antichi
determinavano come infinita, e i deisti invece come finita, esiste - allo stesso modo del
tempo, nel quale un momento succede all'altro senza interruzione e distinzione - solo nel
pensiero, nella rappresentazione dell'uomo. Nella realt la noiosa uniformit di questa
serie causale viene interrotta, soppressa dalla distinzione, dall'individualit delle cose, che

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qualcosa di nuovo, di indipendente, di unico, di definitivo, di assoluto. L'acqua, divina
secondo la religione naturale, senza dubbio un composto derivante dall'idrogeno, e
dall'ossigeno, ma allo stesso tempo un'essenza nuova, uguale solo a se stessa,
originale, nella quale le propriet dei due elementi sono scomparse per sempre,
soppresse. La luce lunare, che il pagano nella sua semplicit religiosa venera come una
luce indipendente, senza dubbio una luce derivata, ma al tempo stesso diversa dalla
luce solare diretta, una luce con caratteristiche proprie, moificata dalla resistenza della
luna - una luce dunque che non esisterebbe se non esistesse la luna e he da essa trae il
fondamento della propria particolarit. Il cane, che il parso invoca nelle sue preghiere
come un essere benefico e quindi divino per il suo carattere vigilante, servizievole e
fedele, senza dubbio una creatura naturale, che non quello che da se stessa e di per
se stessa; ma, comunque, solo il cane stesso, questo e nessun altro essere a possedere
quelle propriet degne di venerazione. Devo forse per queste propriet rivolgere lo suardo
alla causa prima e universale e voltare le spalle al cane? Solo la causa universale ,
indistintamente, causa del cane, amico dell'uomo, cos come del lupo, suo nemico, la cui
esistenza, nonostante la causa universale, devo sopprimere, se voglio affermare la mia
propria esistenza, che ha una superiore legittimit.

8. L'essere divino, che si manifesta nella natura, non altro che la natura stessa, che si
manifesta, si presenta e si impone all'uomo come un essere divino. Gli antichi messicani
avevano fra i loro molti di anche un dio del sale,. Questo dio del sale ci rende nettamente
percepibile l'essenza del dio della natura in genere. Il sale (salgemma) rappresenta per
noi, con i suoi effetti economici, medici e tecnologici, l'aspetto utile e benefico della natura
tanto lodata dai teisti; con i suoi efffetti sull'occhio e sull'animo, con i suoi colori, con il suo
splendore, con la sua trasparenza rappresenta la bellezza della natura, con la sua
struttura e forma cristallina l'armonia ne la regolarit di essa, con la sua composizione di
sostanze oppposte, l'unione degli elementi opposti della natura in un tutto - un'unione che i
deisti hanno da sempre considerato come prova inconfutabile dell'esistenza di un
reggitore della natura distinto da essa, perch per mancanza di conoscenza della natura
essi non sapevano che proprio le sostanze e gli esseri opposti si attraggono, unendosi di
per se stessi in un tutto. Ma che cos' allora il dio del sale? Il dio, il dominio, l'esistenza, la
rivelazione, l'azione e le propriet del quale sono contenute nel sale? Non altro che il
sale stesso, che, per le sue propriet e i suoi effetti appare all'uomo come un essere
divino, cio benefico, grandioso, degno di lode e di ammirazione. Omero chiama
espressamente il sale "divino". Come, dunque, il dio del sale soltanto l'impressione e
l'espressione della divinit del sale, del suo carattere divino, cos anche il dio del mondo o
della natura in generale soltanto l'impressione e l'espressione della divinit della natura.
9. La credenza che nella natura si esprima un essere diverso dalla natura stessa, che la
natura sia colmata e dominata da un essere a lei distinto, m in fondo identica alla
credenza che, almeno in determinate circostanze, attraverso l'uomo si esprimano spiriti,
demoni, diavoli e lo possiedano: di fatto, la credenza che la natura siaposseduta da un
essere estraneo, da una specie di spirito. E certo, dal punto di vista di questa credenza, la
natura realmente posseduta da uno spirito, ma questo spirito lo spirito dell'uomo, la
sua fantasia, il suo animo che, introducendosi involontariamente nella natUra, fa di essa
un simbolo e uno specchio del suo essere.

10. La natura non solo l'oggetto primo e originario, anche il fondamento stabile,
il sottofondo costante, anche se nascosto, della religione. La credenza che Dio, anche
quando rappresentato come un essere soprannaturale, distinto dalla natura, sia, come si
esprimono i filosofi, un essere oggettivo, esistente al di fuori dell'uomo, ha il proprio
fondamento solo nel fatto che Dio stesso originariamente l'essere oggettivo esistente al
di fuori dell'uomo, il mondo, la natura. L'esistenza della natura non si fonda, come

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erroneamente ritiene il teismo, sull'esistenza di Dio, ma, al contrario, l'esistenza di Dio, o
meglio la fede nella sua esistenza, si fonda solo sull'esistenza della natura. Tu sei
costretto a pensare Dio come un essere esistente solo perch sei costretto dalla natura
stessa a presupporre alla tua esistenza e alla tua coscienza l'esistenza della natura, e il
primo concetto fondamentale ndi Dio non appunto altro se non quello che egli
l'esistenza che precede la tua esistenza e ne costituisce il presupposto.Ovvero: nella
credenza che Dio esista fuori del cuore e della ragione dell'uomo, che egli esista in modo
assoluto, indipendentemente dal fatto che l'uomo sia o non sia, lo pensi o non lo pensi, lo
desideri o non lo desideri, in questa credenza, o, piuttosto nel suo oggetto, non hai in testa
alcun altro essere se non la natura, la cui esistenza non si basa sull'esistenza dell'uomo, e
tanto meno sulle ragioni dell'intelletto e del cuore umano. Se dunque i teologi, e in
particolare quelli razionalisti, pongono l'onore di Dio soprattutto nel fatto che egli sia un
essere che esiste indipendentemente dal pensare umano, allora dovrebbero considerare
che l'onore di questa esistenza spetta amche alle divinit dei ciechi pagani, alle stelle, alle
pietre, agli alberi e agli animali, e che l'esistenza priva di pensiero del loro Dio non si
distinguew da quella dell'egiziano Api.
11. Le propriet che fondano ed espprimono la differenza dell'essere divino da quello
umano o, almeno, dall'individuo umano, sono, originariamente o in base al loro principio,
soltanto propriet della natura. Dio l'essere pi potente, o meglio onnipotente - cio egli
pu quello che l'uomo non pu, quello che, anzi, supera infinitamente le forze umane e
quindi ispira all'uomo il sentimento umiliante della propria limitatezza, impotenza o nullit.
"Puoi tu forse" - dice Dio a Giobbe - "stringere i vincoli delle Pleiadi? O sciogliere il legame
di Orione? Puoi tu scatenare i fulmini, cos che vadano e dicano: eccoci?Puoi tu dare le
forze al cavallo? E' forse la tua intelligenza che fa volare lo sparviero? Hai tu un braccio
come quello di Dio e puoi tuonare con voce uguale alla sua?". No, l'uomo non pu far
questo; la voce umana non paragonabile al tuono. Ma che cos' la potenza che si
manifesta mella violenza del tuono, nella forza del cavallo, nel volo dello sparviero, nel
corso inarrestabile delle Pleiadi? La potenza della natura.
Dio l'essere eterno. Ma nella stessa Bibbia scritto: "Una generazione passa e ne viene
un'altra, ma la terza romane eterna". Nello Zend-Avesta il sole e la luna, per la loro durata
continua, sono esplicitamente chiamati "immortali". E un inca del Per disse a un
domenicano: "Tu preghi un Dio che morto in croce, io invece prego il sole che non
muore mai". Dio l'essere infinitamente buono, "poich fa sorgere il suo sole sui cattivi e
sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti"; ma l'essere che non distingue fra buoni e
cattivi, giusti e ingiusti, che non distribuisce i beni della vita secondo i meriti morali e che
d all'uomo l'impressione di un essere buono proprio perch le sue azioni, come ad
esempio la luce del sole o la pioggia, apportatrici di ristoro, sono fonti delle sensazioni pi
benefiche, appunto la natura.
Dio l'essere onnicomprensivo, universale, uno e medesimo, ma uno e medesimo
anche il sole che illumina tutti gli uomini e gli esseri della terra o del mondo - perch la
terra, originariamente e in tutte le religioni, il mondo stesso, uno e medesimo il cielo
che li avvolge tutti, una e medesima la terra che li sostiene. "Che ci sia un solo Dio", dice
Ambrogio, "lo testimonia la comune natura, poich c' un solo mondo". "Come il sole, la
luna, il cielo, la terra e il mare sono comuni a tutti", dice Plutarco, "ma per uno si
chiamano in un modo, per l'altro in un altro, cos anche uno solo, anche se con nomi e
culti diversi, lo spirito che guida l'universo".
Dio non "un essere che abita in templi fatti da mani umane"; ma nemmeno la natura. Chi
pu rinchiudere la luce, il cielo, il mare entro limitati spazi umani? Gli antichi persiani e
germani veneravano soltanto la natura, ma non avevano templi. Per chi venera la natura e
gli spazi artificiali ed esattamente misurati di un tempio o di una chiesa sono troppo stretti
ed opprimenti, si sente bene soltanto sotto il cielo libero e illimitato dell'intuizione sensibile.
Dio l'essere incommensurabile, grande, infinito, non determinabile secondo misure

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umane; ma tale soltanto perch il mondo, sua opera, grande, incommensurabile,
infinito, o almeno cos appare all'uomo. L'opera loda il proprio artefice: la magnificenza del
creatore ha il suo fondamento soltanto nella magnificenza delle creatura. "Come grande
il sole, ma come grande soprattutto colui che ha fatto il sole!". Dio l'essere ultraterreno,
sovrumano, supremo; ma anche questo essere supremo non altro, secondo la sua
origine e il suo fondamento, che l'essere supremo in senso ottico e spaziale: il cielo con le
sue manifestazioni luminose. Tutte le religioni che abbbiano un qualche slancio collocano i
loro di nella regione delle nuvole, nell'etere o nel sole, nella luna e nelle stelle, tutti gli di
si perdono alla fine nella foschia azzurra del cielo. Persino il dio spiritualistico dei cristiani
ha la sua sede, la sua base su nel cielo. Dio l'essere misterioso, incomprensibile. "Sai
tu", Dice Dio a Giobbe, "come si diffondono le nuvole? Sei mai arrivato al fondo del mare?
Ti sei reso conto di quanto vasta la terra? Hai mai visto da dove viene la grandine?". Dio
, infine, l'essere superiore all'arbitrio umano, non toccato dai bisogni e dalle passioni
umane, eternamente uguale a se stesso, che regge secondo leggi immutabili, che
mantiene invariabilmente valido in gni tempo quello che egli una volta ha stabilito. Ma
anche questo essere, che altro non se non la natura che, in ogni mutamento, rimane
sempre uguale a se stessa, regolare, inesorabile, priva di riguardi, esente da ogni arbitrio?
12. Dio come artefice della natura vivente viene certo rappresentato come un essere
distinto dalla natura, ma ci che questo essere contiene ed esprime, il suo contenuto
reale, soltanto la natura. "Li riconoscerete dai loro frutti", scritto nella Bibbia e
l'apostolo Paolo ci rimanda espressamente al mondo come all'opera da cui si pu
conoscere l'esistenza e l'essenza di Dio, poich ci che uno produce contiene la sua
essenza, ci mostra appunto cosa egli e pu. Quello che c' nella natura, lo abbiamo
dunque pensato in Dio solo in quanto artefice e causa della natura - e non in quanto
essere morale, spirituale, bens solo naturale, fisico. Un culto che si fondasse su
Diosoltanto come artefice della natura, senza collegare a lui altre determinazioni ricavate
dall'uomo, senza pensarlo contemporaneamente come legislatore politico e morale, cio
umano, sarebbe un mero culto della natura. In effetti, l'artefice della natura viene dotato di
intelletto e volont; ma ci che appunto questa volont vuole, questo intelletto pensa,
proprio ci per cui non viene richiesta n volont n intelletto, ci per cui sono sufficienti
forze e impulsi puramente meccanici, fisici, chimici, vegetali, animali.
13. Come la formazione del bambino dentro il corpo materno, il movimento del cuore, la
digestione e altre funzioni oraniche non sono effetti dell'intelletto e della volont, cos la
natura in generale non l'effetto di un essere spirituale, cio volente e sapiente o
pensante. Se la natura originariamente un prodotto dello spirito e, di conseguenza, una
manifestazione di spiriti, allora anche gli attuali effetti della natura sono effetti spirituali,
manifestazioni di spiriti.
Chi dice A, deve dire anche B: un inizio sopranaturalistico richiede necessariamente una
prosecuzione sopranaturalistica. Infatti l'uomo fa della volont e dell'intelletto la causa
della natura solo quando gli effetti che si producono al di sotto della volont e dell'intelletto
vanno oltre l'intelletto dell'uomo, quando egli si spiega tutto soltanto a partire da s, con
ragioni umane, quando egli non capisce e non sa niente delle cause naturali, quando
dunque fa derivare anche i fenomeni naturali, particolari, presenti, da Dio, oppure da spiriti
subordinati, come avviene ad esempio per i movimenti, a lui incomprensibili, degli astri.
Ma se attualmente il punto di appoggio della terra e degli astri non l'onnipotente parola di
Dio, se il motivo del loro movimento non spirituale o angelico, ma meccanico, allora
anche la causa, e cio la causa prima di questo movimento, necessariamente
meccanica o, in generale, naturale. Derivare la natura dalla volont e dall'intelletto o in
generale dallo spirito, signfiica fare i conti senza l'oste, significa generare il salvatore del
mondo dalla vergine senza conoscenza dell'uomo, solo grazie allo spirito santo, significa
allontanare le tempeste con le parole, spostare le montagne con le parole, e con le
parole dare la vista ai ciechi. Che debolezza e ristrettezza mentale, rimuovere per la

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spiegazione dei fenomeni naturali le cause subordinate, le causae secundae della
superstizione, i miracoli, i diavoli, gli spiriti, lasciando intatta la causa prima di ogni
superstizione!
14. Molti padri della Chiesa hanno affermato che il figlio di Dio non un effetto della
volont, ma dell'essenza, della natura di Dio, che il prodotto della natura antecedente al
prodotto della volont e che quindi l'atto della generazione, in quanto atto dell'essenza o
della natura, precede l'atto della creazione in quanto atto di volont. cos la verit della
natura si fatta valere persino all'interno del Dio soprannaturale, anche se in completa
contraddizione con la sua essenza e la sua volont. All'atto della volont fatto precedere
l'atto della generazione, precedente all'attivit della coscienza, della volont l'attivit
della natura. Perfettamente vero. La natura deve esistere prima di ci che si distingue da
essa, prima di ci che contrappone a s la natura in quanto oggetto del volere e del
pensare. Partire dalla mancanza dell'intelligenza per giungere all'intelligenza, questa la
via della saggezza, ma partire dall'intelligenza per giungere alla sua mancanza, la via
che porta direttamente al manicomio della teologia. Fondare non lo spirito sulla natura ma,
al conrario, la natura sullo spirito, significa mettere non la testa sul ventre, sull'addome, ma
il ventre sulla testa. Ci che pi alto presuppone ci che pi basso e non viceversa,
per la semplice ragione che ci che pi alto deve avere qualcosa sotto di s per essere
appunto pi alto. E quanto pi un essere alto, quanto pi esso , tanto pi presuppone.
Non il primo essere, ma il pi recente, l'ultimo, il pi dipendente, il pi bisognoso, il pi
complesso proprio per questo l'essere supremo, cos come nella storia della formazione
della terra le rocce pi dure, pi pesanti non sono quelle pi antiche e originarie, cio le
rocce scistose e granitiche, ma i prodotti pi recenti e nuovi, i basalti e le lave dense. Un
essere che abbia l'onore di non presupporre nulla ha anche l'onore di non essere nulla.
Ma certo i cristiani sono esperti nell'arte di fare qualcosa dal nulla.
15. Tutte le cose vengono e dipendono da Dio, dicono i cristiani in accordo con la loro
fede devota, ma, essi aggiungono subito, in accordo con il loro intelletto ateo, solo
indirettamente: Dio soltanto la causa prima, ma poi viene la sconfinata schiera degli di
subalterni, il reggimento delle cause intermedie. Le cosiddettte cause intermedie sono
per le sole cause reali ed efficaci, le sole oggettive e sensibili. Un dio che non abbatta pi
l'uomo al suolo con le frecce di Apollo, che non scuota pi l'animo con il fulmine e il tuono
di Giove, che non terrorizzi pi i peccatori induriti con le comete e altre apparizioni ignee,
che non attiri pi il ferro al magnete con la "sua propria - altissima mano, che non provochi
pi l'alta e la bassa marea e non ripari pi la terraferma dalla potenza sfrenata delle acque
che minaccia costantemente un nuovo diluvio, in breve, un dio bandito dal regno delle
cause intermedie una causa solo sul piano nominale, un ente di pensiero innocuo ed
estremamente modesto - una pura ipotesi per la soluzione di una difficolt teoretica, per la
spiegazione del primo inizio della natura, o meglio della vita organica. Perch
l'ammissione di un essere distinto dalla natura per spiegare l'esistenza di essa si basa,
almeno in ultima istanza, soltanto sulla inspiegabilit - del resto solo relativa e soggettiva -
della vita organica, ed in particolare umana, a partire dalla natura, in quanto il teista fa
della propria incapacit di spiegare la vita a partire dalla natura, un'incapacit della natura
di produrre la vita a partire da se stessa, considera dunque i limiti del proprio
intelletto come limiti della natura.
16. Creazione e conservazione sono inscindibili. Se il nostro creatore un essere distinto
dalla natura, un dio, allora egli anche colui che ci mantiene in vita, e non quindi la forza
dell'aria, del calore, dell'acqua, del pane, bens la forza di Dio a conservarci. "In lui
viviamo, agiamo e siamo". "Non il pane", dice Lutero, "bens la parola di Dio nutre anche il
corpo in modo naturale, cos come essa crea e conserva tutte le cose (Ebr. I)". "Quando
c' il pane, allora egli (Dio) nutre per mezzo e sotto forma di esso, in modo che non si
veda, e si pensi che il pane a fare questo. Ma quando non ce n', egli nutre senza pane,
soltanto per mezzo della parola, cos come fa sotto forma di pane". "In conclusione, tutte

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le creature sono sembianze e simulacri di Dio, a cui egli permette di agire con lui e di
aiutarlo a creare ogni genere di cose, che eglipotrebbe per fare, e in effetti fa, anche
senza la loro collaborazione". Se non la natura a conservarci, ma Dio, allora la natura
solo un semplice gioco a nascondinodella divinit e, di conseguenza, solo un'apparenza
superflua, cos come, viceversa, Dio solo un'apparenza superflua se a conservarci la
natura. Ora, per, evidente e innegabile che noi dobbiamo la nostra conservazione
unicamente agli effetti, alle propriet e alle forze caratteristiche degli esseri naturali: siamo
dunque non solo autorizzati, ma anche costretti a concludere che alla natura dobbiamo
anche la nostra origine. Siamo posti all'interno della natura, e tuttavia il nostro inizio, la
nostra origine dovrebbe essere fuori della natura? Noi viviamo nella natura, della natura, e
ci nonostante non dovremmo derivare da essa? Che contraddizione!
17. La terra non sempre stata cos come attualmente, ma arrivata al suo stadio di
sviluppo attuale soltanto dopo una serie di evoluzioni e rivoluzioni, e grazie alla geologia
accertato che in questi diversi stadi evolutivi sono esistite anche forme vegetali e animali
diverse, che ora non esistono pi o non esistevano pi gi in periodi precedenti. Cos non
ci sono pi trilobiti, encriniti, ammoniti, pterodattili, ictiosauri e plesiosauri, negateri e
dinoteri etc. Ma perch? Evidentemente perch le condizioni della loro esistenza non
sussistono pi. Ma se la fine di una vita coincide con la fine delle condizioni necessarie ad
essa, anche l'inizio, il sorgere della vita coincide con il sorgere delle sue condizioni. Anche
ora che le piante e gli animali, o almeno di sicuro quelli superiori, hanno origine solo per
generazione organica, vediamo che, in modo assai singolare e non ancora chiarito,
dovunque sono date le loro condizioni di vita specifiche, anch'essi vengono subito alla luce
in quantit innumerevole. Il sorgere della vita organica non deve dunque essere pensato
come un atto isolato, come un atto successivo al sorgere delle condizioni di vita, ma
piuttosto come l'atto, il momento in cui a temperatura, l'aria, l'acqua, la terra in genere,
hanno assunto determinate caratteristiche, e l'ossigeno, l'idrogeno, il carbonio, l'azoto
hanno stabilito quelle determinate combinazioni che condizionano l'esistenza della vita
organica; e deve essere pensato anche come il momento in cui al tempo stesso questi
elementi si sono uniti per la formazione di corpi organici. Se dunque, in forza della propria
natura, la terra si sviluppata e coltivata nel corso del tempo in modo da assumere un
carattere compatibile con l'esistenza dell'uomo, un carattere, per cos dire,
addirittura umano, essa ha potuto anche produrre l'uomo per propria forza.
18. La potenza della natura non illimitata come l'onnipotenza divina, cio come la
potenza dell'immaginazione umana; essa non pu fare tutto in qualunque tempo e in
qualunque circostanza: le sue creazioni, i suoi effetti sono collegati a determinate
condizioni. Se ora dunque la natura non pu pi produrre e non produce pi organismi per
mezzo della generazione spontanea, non ne consegue affatto che essa non lo potesse
fare nemmeno in passato. Il carattere della terra attualmente qello della stabilit; il tempo
delle rivoluzioni ormai passato; essa ha raggiunto uno stato di quiete. I vulcani sono
ormai soltanto singole teste irrequiete che non esercitano alcun influsso sulla massa e
non disturbano quindi l'ordine esistente. Addirittura il pi grandioso fenomeno vulcanico a
memoria d'uomo, la formazione del Jorullo in Messico, non stato altro che uno
sconvolgimento locale. Ma come l'uomo sviluppa forze straordinarie soltanto in tenmpi
straordinari, solo in tempo di estrema agitazione e movimento in grado di fare ci che
altrimenti gli assolutamente impossibile, come la pianta solo in determinati periodi, nei
periodi della germinazione, della fioritura e della fecondazione produce calore, brucia
carbonio e idrogeno, ed esercita dunque una funzione addirittura contraria alla sua
abituale attivit vegetale, una funzioneanimale (se fait animal: Dumas), cos anche la terra
ha sviluppato la propria forza di produzione zoologica soltanto nei periodi delle sue
rivoluzioni geologiche, nei periodi in cui tutte le sue forze e i suoi elementi erano in una
condizione di estremo fermento, ribollimento e tensione. Noi conosciamo la natura soltanto
nel suo attualestatus quo; come possiamo dunque concludere che quello che non accade

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ora nella natura non possa assolutamente essere accaduto neppure in epoche o in
condizioni e situazioni completamente diverse?
19. I cristiani hanno provato sempre grande meraviglia per il fatto che i pagani
venerassero come divini degli esseri che hanno avuto un inizio; mentre avrebbero dovuto
piuttosto ammirarli, poich questa venerazione si basava su di una intuizione del tutto
corretta della natura. Nascere significa individualizzarsi; generati sono gli esseri individuali,
non generati invece gli elementi o esseri fondamentali della natura che sono universali e
privi di individualit, non generata la materia. Ma l'essere individualizzato
qualitativamente superiore, pi divino di quello privo di individualit. Ceto, vergognosa la
nascita e dolorosa la morte; ma chi non vuole iniziare e finire, rinunci al rango di esere
vivente. L'eternit esclude la vitalit, la vitalit l'eternit. L'individuo presuppone certo un
altro essere che lo ha creato; ma l'essere che crea, proprio per questo, non al di sopra,
ma al di sotto di quello creato. E' vero che l'essere creante la causa dell'esistenza e,
come tale, l'essere primo ma, allo stesso tempo, anche puro mezzo e materia, base
dell'esistenza di un altro essere e, come tale, un essere subordinato. Il bambino consuma
la madre, utilizza a proprio vantaggio le forze e i succhi di lei, colora le proprie guance con
il suo sangue. E il bambino l'orgoglio della madre, essa lo pone al di sopra di s,
subordinando la propria esistenza, il proprio bene all'esistenza e al bene del bambino; e
persino negli animali la madre sacrifica la propria vita per quella dei suoi piccoli. La pi
profonda vergogna di un essere la morte, ma il fondamento della morte la
generazione. Generare significa gettarsi via, rendersi comune, perdersi tra la folla,
sacrificare ad altri esseri la propria unicit ed esclusivit. Niente pi contraddittorio,
sbagliato e privo di senso che far derivare gli esseri naturali da un essere spirituale
supremo e perfettissimo. Secondo questo procedimento - visto che la creatura
l'immagine del creatore - anche i figli degli uomini, di conseguenza, dovrebbero nascere
non dall'utero, che un organo inferiore e posto cos in basso, ma dall'entit organica pi
alta, dalla testa.

20. Gli antichi greci facevano derivare tutte le sorgenti, le fonti, i fiumi, i laghi, i mari
dall'Oceano, il fiume o mare cosmico, e gli antichi persiani facevano scaturire tutte le
montagne della terra dal monte Albordi. La derivazione di tutti gli esseri da un unico
essere perfetto forse un tipo di ragionamento migliore e di genere diverso? No, basato
esattamente sulla stessa mentalit. Come l'Albordi un monte al pari di quelli nati da
esso, cos anche l'essere divino, in quanto sorgente originaria degli esseri derivati, un
essere allo stesso modo di questi, non distinto da essi per genere; ma come il monte
Albordi si distingue da tutte le altre montagne per il fatto di possedere tutte le loro propriet
in senso eminente, cio in un grado che la fantasia ha spinto all'estremo, fino al cielo, al di
l del sole, della luna e delle stelle, cos anche l'essere divino originario si distingue da
tutti gli altri esseri per il fatto di possedere le loro propriet in sommo grado, in senso
illimitato, infinito. Ma come un'acqua primordiale non la sorgente dei molti corsi d'acqua
diversi e un monte primordiale non l'origine di molti monti diversi, cos un essere
primordiale non la sorgente originaria dei molti esseri diversi. L'unit sterile; fecondo
soltanto il dualismo, il contrasto, la differenza. Ci che genera le montagne non solo
qualcosa di diverso da esse, bens qualcosa di assai eterogeneo in se stesso; ugualmente
ci che genera l'acqua costituito da elementi non solo diversi dall'acqua stessa, ma
anche diversi tra loro, addirittura opposti. Come lo spirito, l'ironia, l'acume, il giudizio si
sviluppano e si generano soltanto nell'opposizione, nel conflitto, cos anche la vita si
generaa soltanto nel conflitto di elementi, forze ed esseri diversi e addirittura contrapposti.
21. "Come potrebbe non udire chi ha fatto l'orecchio? Come potrebbe non vedere chi ha
fatto l'occhio?" Questa derivazione biblica o teista dell'essere che ode e vede da un essere
che ode e vede - ovvero, per esprimerlo nel nostro linguaggio moderno e filosofico, la
derivazione dell'essere spirituale, soggettivo, da un essere a sua volta spirituale e

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soggettivo - si basa sullo stesso fondamento, afferma esattamente la stessa cosa della
spiegazione biblica della pioggia come proveniente da masse d'acqua celesti raccolte
sopra o all'interno delle nuvole, della derivazione persiana delle montagne dal monte
originario Albordi e della spiegazione greca delle sorgenti e dei fiumi come derivanti
dall'Oceano. Le acque provengono dall'acqua, ma da un'acqua infinitamente grande, che
le comprende tutte; i monti da un monte, ma da un monte infinito, che li comprende tutti; e
allo stesso modo, lo spirito dallo spirito, la vita dalla vita, l'occhio dall'occhio, ma da un
occhio, da una vita, da uno spirito infinito, onnicomprensivo.

22. Alla domanda da dove vengano i bambini, da noi si d ai bambini la spiegazione che la
levatrice li prende da una fontana, dove i bambini nuotano come pesci. Non diversa la
spiegazione che la teologia ci fornisce dell'origine degli esseri organici o, ion genere,
naturali. Dio la fonte profonda e bella della fantasia, nella quale sono contenute tutte le
realt, tutte le perfezioni, tutte le forze, tutte le cose che, gi compiute, si aggirano
nuotando come pesciolini; la teologia la levatrice che le prende da questa fonte, ma il
personaggio principale, la natura, la madre che con dolore partorisce i figli, che li porta per
nove mesi sotto il suo cuore, non ha nessun ruolo in questa spiegazione, in origine rivolta
ai bambini, ma ora, di fatto, puerile. Questa spiegazione certo pi bella, pi
sentimentale, pi semplice, pi comprensibile e, per i figli di Dio, pi chiara di quella
naturale, che solo a poco a poco, attraverso innumerevoli ostacoli, riesce a liberarsi
dall'oscurit per uscire alla luce. Ma anche la spiegazione che i nostri pii antenati davano
della grandine, delle epidemie del bestiame, della siccit e delle tempeste attribuendole
all'opera di stregoni, maghi e streghe molto pi "poetica", pi semplice e, per le persone
ignoranti, ancor pi chiara della spiegazione di questi fenomeni data a partire da cause
naturali.

23. "L'origine della vita inspiegabile e incomprensibile": certo; ma questa


incomprensibilit non ti autorizza a trarre le conclusioni superstiziose che la teologia trae
dalle lacune del sapere umano, n ti autorizza a spingerti oltre l'ambito delle cause
naturali, perch tu puoi dire solo questo: io non posso spiegare la vita partendo
daquesti fenomeni e cause naturali che mi sono noti, o da essi per quanto mi sono noti
fino ad oggi, ma non puoi dire: assolutamente impossibile spiegare la vita a partire dalla
natura, senza che tu abbia la pretesa di aver gi svuotato fino all'ultima goccia l'oceano
della natura; questa incomprensibilit nonn ti autorizza a spiegare l'inspiegabile
supponendo esseri immaginari, non ti autorizza a illudere ed ingannare te stesso ed altri
con una spiegazione che non spiega niente, non ti autorizza a trasformare il tuo non-
sapere relativo alle cause naturali e materiali in un non-essere di tali cause, a divinizzare,
personificare, oggettivare la tua ignoranza in un essere che dovrebbe sopprimere questa
ignoranza, ma che non esprime altro se non la natura di questa tua ignoranza, ovvero la
mancanza di spiegazioni positive e materiali. Perch che cos' quell'essere immateriale,
incorporeo o non corporeo, non naturale, non mondano, a partire dal quale tu ti spieghi la
vita, se non l'espressione esatta dell'assenza di comprensione delle cause materiali,
fisiche, naturali, cosmiche? Ma invece di essere cos onesto e umile da dire senz'altro: "Io
non ne so la ragione, non riesco a spiegarlo, mi mancano i dati, i materiali", per mezzo
della fantasia tu trasformi queste carenze, queste negazioni, questi vuoti della tua testa in
esseri positivi, in esseri che sono immateriali, che non sono cio n materiali, n naturali,
poich tu non sai nulla di cause materiali o naturali. L'ignoranza, in fondo, si accontenta di
esseri immateriali, incorporei, non naturali, ma la sua compagna inseparabile, la vivace
fantasia, che ha sempre a che fare soltanto con esseri superiori, supremi ed eccelsi,
innalza subito queste misere creazioni dell'ignoranza al rango di
esseri sopramateriali, soprannaturali.

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24. L'idea che la natura stessa, il mondo in generale, l'universo abbia un inizio reale, e che
quindi un tempo non ci sia stata n natura, n mondo, n universo, un'idea meschina,
che si presenta alla mente dell'uomo soltanto quando egli ha un'idea del mondo meschina,
limitata, una fantasia infondata e priva di senso - la fantasia secondo cui un tempo non ci
sarebbe stato niente di reale, perch il compendio di ogni realt ed effettivit appunto il
mondo o la natura. Tutte le propriet o determinazioni di Dio, che lo rendono un essere
oggettivo, reale, non sono altro che propriet astratte dalla natura, che la presuppongono
e la esprimono - propriet, dunque, che vengono meno se viene meno la natura.
Certo anche tu astrai dalla natura, se tu sopprimi la sua esistenza nei pensieri o
nell'immaginazione, e cio chiudi gli occhi, annullando in te ogni determinata immagine
sensibile degli oggetti della natura, se ti rappresenti dunque la natura in modo non
sensibile (non in concreto, come dicono i filosofi), ti rimane pur sempre un essere, un
compendio di propriet quali infinit, potenza, unit, necessit, eternit; ma questo essere
che rimane dopo la sottrazione di tutte le propriet ed i fenomeni che rientrano nell'ambito
dei sensi, non nientaltro se non l'essenza astratta della natura o la natura in
abstracto, cio solo pensata. E la tua deduzione della natura o del mondo da Dio non
quindi, a questo riguardo, altro che la deduzione dell'essenza sensibile, reale della natura
dalla sua essenza astratta, pensata, esistente solo nella rappresentazione e nel pensiero -
una deduzione che ti sembra ragionevole perch nel pensare tu anteponi sempre a ci
che individuale, reale, concreto, l'astratto, l'universale in quanto pi vicino al pensiero e,
di conseguenza, pi elevato e precedente secondo il pensiero, anche se nella realt si
verifica proprio il contrario, la natura precede Dio, cio il concreto precede l'astratto, il
sensibile precede il pensato. Nella realt, dove tutto ha luogo solo secondo natura, la
copia fa seguito all'originale, l'immagine alla cosa, il pensiero all'oggetto; ma nell'ambito
soprannaturale e miracoloso della teologia, l'originale fa seguito alla copia, la cosa
all'immagine. "E' strano", dice S.Agostino, "ma vero, che questo mondo non potrebbe
esserci noto se non esistesse, ma non potrebbe essere se non fosse noto a Dio". E questo
significa appunto: il mondo viene conosciuto e pensato prima di essere reale;
esso solamente perch stato pensato, l'essere una conseguenza del sapere o del
pensare, l'originale una conseguenza della copia, l'esenza una conseguenza
dell'immagine.
25. Se si riduce il mondo o la natura a determinazioni astratte, se di esso si fa una cosa
metafisica, rendendolo quindi un puro ente di pensiero, e si prende ora questo mondo
astratto per il mondo reale, allora una necessit logica pensarlo come finito. Il mondo
non ci dato per mezzo del pensare, almeno non per mezzo del pensare metafisico e
iperfisico che astrae dal mondo reale e pone la sua vera, suprema essenza in questa
astrazione, esso ci dato per mezzo della vita, dell'intuizione, dei sensi. Per un essere
astratto, solo pensante, non esiste alcuna luce, perch esso non ha occhi, non esiste
alcun calore, perch esso non ha sensibilit, non esiste, in genere, alcun mondo, perch
esso non ha organi adatti a coglierlo, non esiste in senso proprio, assolutamente nulla. Il
mondo quindi ci dato solo in quanto non siamo esseri logici o metafisici, in quanto siamo
esseri di genere diverso, pi che non semplici logici e metafisici. Ma proprio
questo plus appare al pensatore metafisico come un minus, questa negazione del pensare
gli appare come una negazione assoluta. La natura per lui non altro che l'opposto, l'"altro
dallo spirito". Egli fa di questa determinazione solo negativa e astratta la determinazione
positiva, la stessa essenza della natura. E' dunque una contraddizione pensare come un
essere positivo quella cosa, o meglio, non cosa, che solo la negazione del pensare,
quella cosa che pensata ma, per sua natura sensibile, in conraddizione con il pensare e
con lo spirito. Per il pensatore l'ente di pensiero il vero essere; va dunque da s che
l'essere che non un ente di pensiero non nemmeno un essere vero, eterno, originario.
Per lo spirito gi una contraddizione il solo pensare l'altro da s; esso unicamente in
armonia con se stesso, nel suo esse (Sein) unicamente quando pensa soltanto se

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stesso - che il punto di vista della speculazione - o almeno - e questo il punto di vista
del teismo - questo pensa un essere che non esprime altro che l'essenza del pensare, che
dato solo per mezzo del pensare, ed dunque, in s, solo un ente di pensiero, per lo
meno passivo. Cos la natura svanisce nel nulla. Eppure essa nonostante il fatto che non
possa e non debba essere. In che modo il metafisico si spiega allora la sua esistenza' Per
mezzo di un'alienazione, di una negazione,di un rinnegamento di se stesso compiuto dallo
spirito, procedimento questo volontario solo in apparenza, ma che in realt in
contraddizione con il suo essere pi profondo ed quindi solo il risultato di una coazione.
Ma se dal punto di vista del pensare astratto la natura svanisce nel nulla, dal punto di vista
di una concezione reale del mondo, invece questo spirito creatore a svanire nel nulla. Da
questo punto di vista tutte le deduzioni del mondo a partire da Dio, della natura dallo
spirito, della fisica dalla metafisica, del reale dall'astratto, si rivelano puri giochi logici.

26. La natura l'oggetto primo e fondamentale della religione, ma anche quando


oggetto diretto di venerazione religiosa, come nel caso delle religioni naturali, non
oggetto in quanto natura, cio nel modo e nel senso con cui noi la riguardiamo dal punto di
vista del deismo o della filosofia e della scienza naturale. In origine, invece -
proprio quando viene guardata con occhi religiosi - la natura per l'uomo oggetto, in
quanto ci che lui stesso , in quanto essere personale, vivente, sensibile. L'uomo, in
origine, non distingue s dalla natura e, di conseguenza, nemmeno la natura da s; egli
considera dunque immediatamente le sensazioni suscitate in lui da un oggetto della natura
come caratteristiche costitutive dell'oggetto stesso. Le sensazioni e gli stati d'animo
positivi e benefici sono causati dall'essenza positiva e benefica della natura; le sensazioni
negative e dolorose - calura, freddo, fame, sofferenza, malattia - sono causate da
un'essenza cattiva o, almeno, dalla natura in stato di cattiveria, malevolenza, ira. Cos
l'uomo, involontariamente ed inconsapevolmente - cio necessariamente, anche se
questa necessit solo relativa, storicamente determinata - trasforma l'essere della natura
in un'entit dell'animo, in un esere soggettivo, cio umano.Nessuna meraviglia che poi egli
anche espressamente, consapevolmente, ne faccia un oggetto della religione, della
preghiera, cio un oggetto determinabile per mezzo dell'animo umano, delle sue
preghiere, dei suoi atti di culto. L'uomo ha gi reso docile e assoggettato a s la natura
assimilandola al proprio animo ed assoggettandola alle proprie passioni. L'uomo incolto,
allo stato di natura, del resto, non si limita ad attribuire alla natura moventi, impulsi e
passioni umane; arriva addirittura a vedere esseri uamni reali nei corpi naturali. Cos gli
indios dell'Orinoco considerano il sole, la luna, le stelle come esseri umani - "quelli lass -
dicono - sono esseri umani come noi" - gli abitanti della Patagonia considerano le stelle
"indiani esistiti un tempo", quelli della Groenlandia credono che il sole, la luna e le stelle
siano "loro antenati che sono stati trasferiti in cielo in una circostanza particolare". Allo
stesso modo anche gli antichi messicani credevano che il sole e la luna, che essi
veneravano come di, fossero stati, un tempo, esseri umani. vedete come in questo modo
anche le forme pi primitive e inferiori di religione, nelle quali l'uomo venera le cose pi
lontane e pi dissimili da lui, come stelle, pietre, alberi e addirittura chele di granchio e
gusci di lumaca, confermino l'affermazione fatta nell'Essenza del cristianesimo, secondo
cui l'uomo nella religione si rapporta solo a se stesso e il suo dio solo la sua propria
essenza. Egli venera infatti quelle cose solo in quanto egli proietta in loro se stesso,
pensa che siano esseri come lui o, almeno, che siano colmi della sua stessa essenza. La
religione rappresenta dunque la contraddizione strana, ma molto comprensibile e anzi
necessaria, per cui, mentre dal punto di vista teistico o antropologico essa venera come
divino l'essere umano in quanto le appare come un essere distinto dall'uomo, non umano,
dal punto di vista naturalistico, al contrario, venera come divino l'essere non umano
appunto perch le appare come umano.

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27. La variabilit della natura, soprattutto in quei fenomeni che fanno maggiiormente
sentire all'uomo la sua dipendenza da essa, la ragione principale per cui essa gli appare
come un essere umano, dotato di arbitrio, e viene da lui venerata religiosamente. Se il
sole fosse sempre visibile nel cielo, esso non avrebbe mai acceso nell'uomo il fuoco
dell'emozione religiosa. Solo quando scomparve alla sua vista, avvolgendolo nel terrore
della notte per poi comparire di nuovo nel cielo, solo allora egli si inginocchi al suo
cospetto, sopraffatto dalla gioia della sua inattesa ricomparsa. Cos gli antichi apalachiti
della Florida salutavano il sole con canti di lode, all'alba e al tramonto, e
contemporaneamente lo pregevano di voler tornare al momento giusto e di rallegrarli con
la sua luce. Se la terra portasse sempre frutti, che ragione ci sarebbe di celebrare le feste
religiose della semina e del raccolto? Solo per il fatto che essa ora apre il suo grembo, ora
lo chiude di nuovo, i suoi frutti appaiono come doni volontari, per i quali bisogna esprmere
gratitudine. Solo il mutamento della natura rende l'uomo insicuro, umile, religioso. Non si
sa se domani il tempo sar favorevole alla mia attivit, non si sa se raccoglier quello che
semino; non posso dunque fare affidamento sui doni della natura, considerarli come se
fossero un tributo che mi dovuto o una conseguenza immancabile. Ma dove viene a
mancare la certezza matematica, l - ancor oggi nelle menti pi deboli - ha inizio la
teologia. Religione intuizione di ci che necessario - e accidentale solo nei casi
particolari - come se fosse arbitrario e volontario. Il modo di pensare opposto, quello
dell'irreligiosit e dell'ateismo, rappresentato invece dal Ciclope di Euripide che afferma:
"La terra deve, lo voglia o no, produrre erba per nutrire il mio gregge".
28. Il sentimento di dipendenza dalla natura, unito alla rappresentazione della natura come
un essere personale, che agisce in modo arbitrario, il fondamento delsacrificio, l'atto
essenziale delle religioni naturali. Sento la dipendenza dalla natura in modo particolare
quando ho bisogno di lei. Il bisogno il sentimento e l'espressione del mio non-essere
senza la natura; ma inseparabile dal bisogno il godimento, il sentimento opposto, il
sentimento del mio essere-me-stesso, della mia indipendenza nella distinzione dalla
natura. Il bisogno quindi timoroso di Dio, umile, religioso, ma il godimento superbo,
privo di rispetto, frivolo, non curante di Dio. E la frivolezza, o almeno irriverenza del
godimento, una necessit pratica per l'uomo, una necessit sulla quale si fonda la sua
esistenza - una necessit che per in diretta contraddizione con il suo rispetto teoretico
per la natura come per un essere vivente, egoistico e sensibile in senso umano, che come
l'uomo non vuole sopportare torti n lasciarsi togliere qualcosa. L'appropriazione o lo
sfruttamento della natura appare quindi all'uomo come un'infrazione alla legge, come
un'appropriazione di una propriet altrui, come un atto sacrilego. Per placare quindi la
nostra coscienza e l'oggetto che ritiene di aver offeso, per mostrargli che lo ha derubato
per necessit e non per arroganza, egli diminuisce il proprio godimento, restituendo
all'oggetto qualcosa della propriet che gli ha sottratto. Cos i Greci credevano che,
quando veniva abbattuto un albero, la sua aniuma, la driade, si lamentasse e invocasse la
vendetta del destino contro il sacrilego. Cos nessun romano avrebbe osato abbattere un
bioschetto sulla sua terra, senza offrire in sacrificio un maialino in segno di ricondiliazione
con il dio o la dea del boschetto. Cos gli ostiachi, quando hanno ucciso un orso,
appendono la pelle a un albero e le rendono ogni genere di onori, cercando di scusarsi
con l'orso per averlo abbattuto. "Essi credono cos, con atti di cortesia, di allontanare da s
il danno che lo spirito dell'animale potrebbe arrecare loro". Cos alcune trib
nordamericane per mezzo di simili cerimonie si riconciliavano con i Mani degli animali
uccisi. Cos "per i nostri progenitori l'ontano era un albero sacro, e quando dovevano
abbatterlo pronunciavano prima la preghiera; "Signor ontano, dammi un po' del tuo legno,
poi te ne dar anch'io del mio, quando crescer nel bosco". Cos gli abitanti delle Filippine
chiedevano alle pianure e alle montagne il permesso di attraversarle, e consideravano un
delitto abbattere un qualsiasi albero vecchio. E il bramino non ha quasi il coraggio di bere
acqua e di calpestare la terra con i piedi, perch ad ogni passo, ad ogni sorso d'acqua si

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arreca dolore e morte a esseri sensibili, piante e animali, e deve quindi fare penitenza "per
espiare la morte delle creature che egli, senza saperlo, potrebbe annientare di giorno o di
notte".
29. Nel sacrificio si concentra e si rende sensibile l'intera essenza della religione. Il
fondamento del sacrificio il sentimento di dipendenza - la paura, il dubbio, l'incertezza
della riuscita futura, il rimorso per un peccato commesso - ma il risultato, il fine del
sacrificio il sentimento di s - il coraggio, il godimento, la certezza della riuscita, la libert
e la beatitudine. Mi incammino verso il msacrificio come schiavo della natura, ma me ne
allontano come signore della natura. Il sentimento di dipendenza dalla natura quindi
senza dubbio il fondamento della religione, ma il superamento di questa dipendenza,
la libert della natura il suo scopo. Ovvero: ilcarattere divino della natura certo la base,
il fondamento della religione, di tutte le religioni, anche di quellamcristiana, ma la divinit
dell'uomo lo scopo finale della religione.

30. La religione ha come proprio presupposto l'opposizione o la contraddizione,


fra volere e potere, desiderare e raggiungere, intenzione e riuscita, rappresentazione ereal
t, pensare ed essere. Nel volere, nel desiderare, nel rappresentare, l'uomo illimitato,
libero, onnipot nte - Dio - ma nel potere, nel raggiungere, nella realt condizionato,
dipendente, limitato - uomo - uomo nel senso di un essere finito, contrapposto a Dio.
"L'uomo propone e Dio dispone". "L'uomo fa un progetto e Zeus lo realizza in un altro
modo". Il pensare, il volere mio; ma quello che io voglio e penso non mio, al di fuori
di me, non dipende da me. La soppressione di questa opposizione o contraddizione la
tendenza, lo scopo della religione; e appunto l'essere nel quale essa soppressa, nel
quale ci che possibile per i miei desideri e le mie rappresentazioni, ma impossibile
per le mie forze, diventa possibile, o meglio reale - questo l'essere divino.

31. Ci che indipendente dal volere e dal sapere umano costituisce l'oggetto originario,
proprio, caratteristico della religione - cosa di Dio. "Io ho piantato", dice l'apostolo Paolo,
"Apollo ha innaffiato, ma Dio ha fatto crescere. Cos non chi pianta, n chi innaffia, ma
Dio che fa crescere". E Lutero: "Dobbiamo ... lodare e ringraziare Dio, che fa crescere il
grano e riconoscere che non il nostro lavoro, bens opera della sua benedizione e dei
suoi doni il fatto che crescano il grano e il vino e tutti i frutti di cui mangiamo e beviamo e
di cui abbiamo necessit". Ed Esiodo dice che il contadino laborioso avr un ricco raccolto
se Zeus gli propizio. Arare, seminare e innaffiare il seme sono operazioni che dipendono
da me, ma non la crescita. Questa riposta nelle mani di Dio; per questo si dice: "Tutto
dipende dalla benedizione di Dio". Ma che cos' Dio? Originariamente nientaltro che la
natura o l'essenza della natura, ma in quanto oggetto di preghiera, in quanto essere a cui
si possono rivolgere richieste e, quindi, dotato di volont. Zeus la causa ovvero l'essenza
dei fenomeni meteorologici; ma non ancora in questo che risiede il suo carattere divino,
religioso; anche chi non religioso ha una causa per la spiegazione della pioggia, del
teporale, della neve. Egli dio solo per il fatto che egli il signore dei fenomeni
meteorologici, e che questi effetti naturali dipendono dalla sua disposizione favorevole,
sono atti di volont. Ci che indipendente dalla volont dell'uomo, la religione lo fa
dunque dipendere, dal lato dell'oggetto (oggettivamente) dalla volont di dio, ma dal lato
dell'uomo (soggettivamente), lo fa dipendere dalla preghiera, poich quello che dipende
dalla volont oggetto della preghiera, qualcosa che pu essere modificato e implorato.
"Persino gli dei si piegano. Per mezzo di sacrifici, umili suppliche, libagioni e incensi un
mortale pu piegarli"
32. Oggetto della religione, almeno l dove l'uomo riuscito ad elevarsi al di sopra
dell'illimitata libert di scelta, dell'assenza di ogni criterio e della casualit del feticismo
vero e proprio, solo, o principalmente, quello che oggetto di fini e bisogni umani. Gli
esseri naturali pi necessari all'uomo hanno goduto appunto per questo anche della

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venerazione religiosa pi distinta e universale. Ma quello che oggetto di bisogni e fini
umani , proprio per questo, anche oggetto di desideri umani. La pioggia e il sole mi sono
necessari per far crescere ci che ho seminato. Durante una siccit persistente io
desidero quindi la pioggia, e durante piogge persistenti desidero il sole. Il desiderio una
pretesa, il cui soddisfacimento - anche se non sempre in s e per s, almeno in questo
istante, in queste circostanze, in questa situazione, anche se non in assoluto, almeno nel
modo in cui l'uomo, dal punto di vista della religione, lo desidera - non in mio potere, una
volont, priva per della forza di affermarsi. Solo ci che il mio corpo, la mia forza non in
grado di compiere, lo pu compiere appunto il desiderio stesso. Ci che io pretendo,
desidero, lo evoco come per incantesimo, lo animo per mezzo dei miei desideri. Nella
passione dell'animo - e solo nella passione dell'animo, nel sentimento la religione ha le
sue radici - l'uomo pone la propria essenza al di fuori di s, tratta ci che privo di vita
come qualcosa di arbitrario, anima l'oggetto con i suoi sospiri, poich gli impossibile
rivolgersi con uno stato d'animo passionale a un essere senza sentimento. Il sentimento
non rimane nella misura che l'intelletto gli prescrive: trabocca fuori dell'uomo: il petto
umano troppo angusto per lui; deve comunicarsi al mondo esterno e, cos facendo,
trasformare l'essere insensibile della natura in un essere che condivida il suo stesso
sentire. La naturaincantata dal sentimento umano, corrispondente al sentimento e
assimilata ad esso, dunque la natura in se stessa piena di sentimento, la natura in
quanto oggetto della religione, in quanto essenza divina. Il desiderio l'origine,
l'essenza stessa della religione - l'essenza degli di non altro se non l'essenza del
desiderio. Gli di sono esseri sovrumani e soprannaturali; ma non sono forse anche i
desideri esseri sovrumani e sovrannaturali? Sono forse nel mio desiderio e nella mia
fantasia amcora un uomo quando desidero essere immortale, libero dai vincoli del corpo
terreno? No! Chi non ha desideri, non ha nemmeno di. Per quale ragione i Greci
insistevano tanto sull'immortalit e sulla beatitudine degli di? Perch loro stessi non
volevano essere mortali e infelici. Dove tu non percepisci alcun lamento sulla mortalit e
sulla cpondizione di miseria dell'uomo, non senti neppure alcun canto di lode agli di
immortali e beati. L'acqua delle lacrime del cuore evapora soltanto nel cielo della fantasia,
dando origine alla formazione nebulosa dell'essere divino. Dal cosmico fiume Oceano
Omero a derivare gli di; ma questa corrente carica di di in verit soltanto un'effucione
dei sentimenti umani.
33. Le manifestazioni irreligiose della religione svelano nel modo pi chiaro possibile
l'origine e l'essenza della religione. Cos una manifestazione irreligiosa della religione -
proprio per questo gi notata ed aspramente criticata dai pagani pii - che gli uomini
generalmente cerchino rifugio in essa, si rivolgano e pensino a Dio soltanto in caso di
sventura, ma proprio questo fenomeno ci conduce alla fonte stessa della religione. nella
sventura, nella condizione di necessit, sia questa condizione mia propria o di altri, l'uomo
fa la dolorosa esperienza che egli non pu ci che vuole, che ha le mani legate. Ma la
paralisi dei nerci motori non anche la paralisi dei nervi sensori, i vincoli delle mie forze
fisiche non sono anche i vincoli della mia volont e del mio cuore. Al contrario: tanto pi le
mani mi sono legate, tanto pi svincolati sono i miei desideri, tanto pi violenta la mia
aspirazione alla liberazione, tanto pi potente il mio impulso verso la libert, la mia volont
di non essere limitato. La potenza sovrumana del cuore o della volont divina, spinta al
massimo grado, sovreccitata dalla potenza della necessit, la potenza degli dei, che non
conoscono n necessit n limiti. Gli di sono in grado di fare quello che gli uomini
desiderano, cio essi portano ad attuazione le leggi del cuore umano. Ci he gli uomini
sono solo nell'anima, gli di lo sono nel corpo; ci che quelli possono solo nella volont,
solo nella fantasia, solo nel cuore, e quindi soltanto in senso spirituale, ad esempio essere
in un attimo in un luogo lontano, questi lo possono in senso fisico. Gli di sono i desideri
irealizzati, resi fisici, incarnati dall'uomo - sono il superamento dei limiti naturali del cuore e
della volont umana, esseri dalla volont illimitata, esseri le cui forse fisiche sono pari a

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quelle della volont. La manifestazione irreligiosa di questa potenza sovrannaturale della
religione la magia dei popoli primitivi, presso i quali si pu osservare in
modo evidente che il dio che domina la natura lamera volont dell'uomo. Quando per il
dio degli israeliti su ordine di Giosu impone al sole di fermarsi, o fa piovere su preghiera
di Elia, e il dio dei cristiani, a dimostrazione della propria divinit, cio del suo potere di
esaudire tutti i desideri dell'uomo, per mezzo della sua semplice parola, placa il mare in
tempesta, guarisce i malati, richiama in vita i morti, cos anche qui, come nella magia, la
semplice volont, il semplice desiderio, la semplice parola riguardata come una potenza
che domina la natura. L'unica differenza sta nel fatto che il mago attua il fine della religione
in modo irreligioso, invece l'ebreo, il cristiano, lo attuano in modo religioso; poich quello
pone in se stesso ci che questi ripongono in Dio, quello fa oggetto di un volere esplicito di
un ordine, ci che questi fanno oggetto di un volere inespresso e sottomesso, di un pio
desiderio, insomma quello fa grazie a s e per s ci che questi fanno grazie a Dio e con
Dio, Ma la nota massima; "Quod quis per alium fecit, ipse fecisse putatur", cio quello che
uno fa attraverso un altro gli viene messo in conto come un'azione propria, trova anche qui
la sua applicazione: ci che uno fa grazie a Dio, in verit, lo fa egli stesso.
34. La religione - almeno originariamente e in rapporto alla natura - non ha altro compito e
altra tendenza se non quella di trasformare l'essere impopolare e inquietante della natura
in un essere noto, fanmiliare, di ammorbidire alla fiamma del cuore la natura, di per se
stessa inflessibile e dura come il ferro, al fine di raggiungere scopi umani - ha dunque lo
stesso fine della cultura o civilt., la cui tendenza non altro che quella di fare della
natura u n essere teoricamente comprensibile, praticamente arrendevole e disposto a
soddisfare i bisogni umani, con la sola differenza che ci che la civilt tende a
raggiungere ricorrendo a dei mezzi, e invero a mezzi presi a prestito dalla natura stessa, la
religione cerca invece di ottenere senza mezzi, o, il che lo stesso, con i mezzi
sovrannaturali della preghiera, della fede, dei sacramenti, della magia. Quindi tutto ci che
nel progresso della civilt del genere umano diventato oggetto della cultura, dell'attivit
autonoma, dell'antropologia, era inizialmente oggetto della religione o della teologia, come
ad esempio la giurisprudenza (ordalie, prove dinnanzi al cadavere, oracoli giudiziari dei
germani), la politica (oracoli dei greci), la farmacologia, che ancora oggi presso i popoli
primitivi una faccenda religiosa. Senza dubbio la civilt non riesce mai a corrispondere ai
dsideri della religione; poich non pu sopprimere i limiti dell'uomo che hanno
fondamento nel suo essere. Cos la civilt arriva, ad esempio, fino al prolungamento della
vita, ma non potr mai arrivare fino all'immortalit. Questa rimane come un desiderio
illimitato, irrealizzabile della religione.

35. Nella religione naturale l'uomo si rivolge a un oggetto che contraddice addirittura la
volont e il senso vero e proprio della religione; poich egli sacrifica qui i propri sentimenti
a un essere in s privo di sentimenti, il proprio intelletto a un essere che, in s, ne privo;
egli pone al di sopra di s ci che vorrebbe avere sotto di s; egli serve ci che vuole
dominare, venera ci che in fondo disprezza, implora l'aiuto proprio di ci contro cui egli
cerca aiuto. Cos i Greci a Titane offrivano sacrifici ai venti per calmare la loro furia; cos i
Romani consacrarono un tempio alla febbre, per renderla innocua; cos i tungusi, in tempo
di epidemia, pegavano con devozione e con inchini cerimoniosi la malattia di andare oltre
le loro tende (Pallas); cos i widai della Guinea offrono sacrifici al mare in tempesta per
indurlo a placarsi e a non impedire loro la pesca; cos gli indiani, all'avvicinarsi di una
tempesta o di un temporale, si rivolgono al Manit(spirito, dio, essere) dell'aria e in
occasione di un viaggio per via d'acqua, al Manit dei corsi d'acqua perch allontani da
loro tutti i pericoli; cos molti ppoli, in generale, venerano espressamente non l'esenza
buona della natura, bens quella cattiva o, almeno, quella che appare loro tale. Nella
religione naturale l'uomo fa le proprie dichiarazioni d'amore ad una statua, ad un
cadavere; nessuna meraviglia quindi che egli, per farsi ascoltare, ricorra ai mezzi pi

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disperati e folli, nessuna meraviglia che egli si disumanizzi per rendere umana la
natura, che egli versi addirittura sangue umano per instillare in essa sentimenti
umani. Cos i germani del Nord credevano espressamente che "i sacrifici di sangue
potessero dare voce e sensibilit umana a idoli di legno e, ugualmente, voce e la capacit
di formulare oracoli alle pietre venerate nei luoghi dei sacrifici cruenti". Ma tutti i tentativi di
animarla sono inutili: la natura non risponde ai lamenti e alle omande dell'uomo; essa lo
rigetta inesorabilmente in se stesso.
55. "Quale il tuo cuore, tale il tuo Dio". Quali i desideri degli uomini, tali sono i loro di. I
greci avevano dei limitati - il che significa: avevano desideri limitati. I greci non volevano
vivere in eterno, volevano solo non invecchiare e non morire; n volevano non morire in
assoluto, ma solo non morire adesso - le cose spiacevoli arrivano sempre troppo presto
per l'uomo; non volevano morire nel fiore degli anni, di una morte violenta e dolorosa, non
volevano essere beati, volevano solo essere felici, vivere senza preoccupazioni, alla
leggera; non sospiravano ancora, come i cristiani, per il fatto di essere assoggettati alla
necessit della natura, ai bisogni dellimpulso sessuale, del sonno, del mangiare e del
bere; nei loro desideri essi rimanevano ancora entro i limiti della natura umana, non
creavano ancora dal nulla, non trasformavano ancora l'acqua in vino, purificavano e
distilllavano semplicemente l'acqua della natura trasformandola con un procedimento
organico nel succo degli di; attingevano il contenuto della vita divina e felice non dalla
pura imamginazione, ma dagli elementi del mondo esistente, costruivano il cielo degli di
sul fondamento di questa terra. i greci non facevano dell'essere divino, cio possibile,
l'archetipo, il fine e la misura dell'esere reale, bens dell'essere reale la misura di quello
possibile. Anche quando, grazie alla filosofia, ebbero affinato e spiritualizzato i loro di, i
loro desideri rimasero ancorati al terreno della realt, al terreno della natura umana. Gli di
sono desideri realizzati, ma il desiderio pi alto, la felicit suprema del filosofo, del
pensatore in quanto tale, di poter pensare indisturbato. Gli dei del filosofo greco -
almeno del filosofo greco ... dello Zeus dei filosofi, di Aristotele - sono dunque pensatori
indisturbati; la beatitudine, la divinit consiste nell'attivit ininterrotta del pensare. Ma
questa attivit, questa beatitudine anch'essa una beatitudine reale all'interno di questo
mondo, all'interno della natura umana (sebbene qui subisca interruzioni), una beatitudine
determinata, particolare, e per i cristiani quindi limitata, misera, in contrasto con l'essenza
della beatitudine; perch i cristiani non hanno un dio limitato, bens illimitato, sublime oltre
ogni necessit naturale, sovrumano, extramondano, trascendente, il che equivale a dire
che essi hanno desideri illimitati, trascendenti, che vanno oltre il mondo, la natura,
l'essenza umana, cio desideri assolutamente fantastici. I cristiani vogliono essere
infinitamente di pi e infinitamente pi felici degli di dell'Olimpo; il loro desiderio un cielo
in cui siano soppressi tutti i limiti e le necessit della natura, e tutti i desideri siano
esauditi, un cielo in cui non ci siano n bisogni, n sofferenze, n ferite, n lotte, n
passioni, n turbamenti, n alternanza di giorno e notte, luce e ombra, piacere e
dolore, come nel cielo dei greci.L'oggetto della loro fede, insomma, non pi un dio
limitato, determinato, un dio con il nome particolare di Zeus, di Poseidone o di Efesto, ma
il Dio in assoluto, il Diosenza nome, perch oggetto dei loro desideri non una
felicit nominabile, finita, terrena, un piacere determinato, il piacere dell'amore o il piacere
della bella musica, quello della libert morale o quello del pensare, bens un piacere che li
comprende tutti, ma che , appunto per questo, un piacere esaltato, che oltrepassa ogni
rappresentazione, e ogni concetto, il piacere di una beatitudine infinita, sconfinata,
inesprimibile e indescrivibile. Beatitudine e divinit sono una cosa sola. La beatitudine
come oggetto dela fede, della rappresentazione, e in genere come oggetto teoretico, la
divinit; la divinit come oggetto del cuore, della volont - del desiderio, come oggetto
pratico in genere, la beatitudine. O piuttosto; la divinit una rappresentazione la cui
verit e realt non altro che la beatitudine. Fin dove giunge l'aspirazione alla beatitudine,

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fin l - e non oltre - arriva la rappresentazione della divinit. Chi non ha pi desideri
soprannaturali, non ha pi nemmeno essenze soprannaturali.

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