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DCSS Training

Perché il ginocchio è fatto così?


Nei mesi ho accumulato un sacco di materiale sparso sul funzionamento dell’articolazione del gi-
nocchio, mi sono sempre riproposto di scrivere qualcosa anche per fare un po’ il punto della situa-
zione, ma poi l’impresa si è sempre rivelata estremamente ardua perché il ginocchio è… un bel ca-
sino!
Quelle che leggerete sono considerazioni personali che mi sono utili per capire come non fracas-
sarmi le ossa e le cartilagini quando mi alleno, perciò mi sono concentrato sulla meccanica del gi-
nocchio piuttosto che sulla sua struttura biologica.
Di sicuro non ho la competenza per un testo minimamente esaustivo, però, in fondo, i concetti che
leggerete vanno bene per chi non ha un’atroplastica, i crociati disintegrati, i legamenti strappati,
condriti e condromalacie varie. Se siete sani, questa roba vi aiuterà a capire perché siete fortunati
e perché dovete trattare con rispetto i due gioiellini (non quelli…) che vi permettono di fare lo
squat.
Il ginocchio – una descrizione minimale
Tutte le articolazioni del corpo umano hanno in comune le funzionalità di base: tengono vicine delle
ossa, permettono alle ossa di compiere delle rotazioni. Poi, ognuna ha la sua incredibile e unica spe-
cificità e l’articolazione del ginocchio non fa eccezione.
Femore
Femore
Condilo femorale
laterale Condilo femorale
Patella o mediale
Rotula Condilo femorale
Condilo femorale mediale
laterale Cartilagine
Cartilagine
Plateau tibiale Plateau tibiale
mediale Plateau tibiale Plateau tibiale
laterale laterale mediale

Fibula o Perone
Fibula o Spina tibiale
Perone Tuberosità
tibiale

Tibia Tibia

Il ginocchio è l’articolazione più grande presente nel corpo umano, la figura mostra gli elementi os-
sei che lo compongono: femore e tibia sono le due ossa che si articolano fra loro, davanti al femore
è presente un altro importantissimo elemento osseo, la rotula o patella
L’estremità del femore che si articola sulla tibia presenta due condili, il laterale (quello verso
l’esterno) e il mediale (quello verso l’interno): questi possono essere assimilati a due “ovali” affian-
cati, uniti nella parte frontale del ginocchio e ricoperti di cartilagine, il disegno a destra vuole dare
una percezione della struttura.
L’estremità della tibia su cui il femore articola ha una forma complementare a quella dei condili:
sono presenti due plateau tibiali, delle “piattaforme” concave dove i condili alloggiano. Al centro è
presente una spina tibiale che ha il compito di dare stabilità alla struttura, impedendo gli spostamen-
ti laterali dei condili.

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La fibula o perone è un’osso che si articola sulla tibia e su cui si inseriscono tendini di muscoli ne-
cessari al funzionamento del ginocchio, ma la sua funzione primaria è permettere il corretto movi-
mento della caviglia, pertanto non verrà considerata nella trattazione.
Il ginocchio permette una incredibile varietà di movimenti, e la figura seguente, che vuole rappre-
sentare la tibia in tutte le sue possibili rotazioni, non rende giustizia alla complessità della meccani-
ca.
Rotazione
Interna

Rotazione
esterna

Flessione

Rotazione
mediale

Estensione

Rotazione
laterale

Nella presente trattazione gli unici due movimenti considerati sono la flessione del ginocchio (la ti-
bia che ruota “sotto” il femore) e l’estensione del ginocchio (la tibia che ruota da “sotto” il femore
fino a “gamba tesa”).
Le altre rotazioni sono considerate, in maniera riduttiva, come funzionali alla stabilità
dell’articolazione stessa. Del resto usiamo le ginocchia principalmente per camminare, correre, sal-
tare, tutti movimenti “in avanti”: poche volte effettuiamo rotazioni del piede o cose del genere, per-
tanto l’approssimazione è sicuramente valida.
Flessione ed estensione
In alto nel disegno una roza schematizzazione del ginocchio: il femore è rappresentato da una barra,
i condili come dei cilindri ovali, la tibia come una piramide tronca rovesciata, i plateau e la spina
tibiale come dei parallelepipedi.
Il movimento della struttura è illustrato in basso (tutta farina del mio sacco eh… l’effetto 3d di
PowerPoint…): notate come il femore ruoti sui plateau grazie alla forma circolare dei condili, men-
tre la stabilità laterale è garantita proprio dalla concavità dei plateau (rappresentati con le due bar-
rette laterali) e dalla presenza della spina tibiale che si alza fra le due concavità.
Il funzionamento base del ginocchio in flesso-estensione è proprio questo!

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Femore

Condilo femorale
mediale

Condilo femorale
laterale

Tibia

Femore

Condili

Plateau

Condili e
plateau
garantiscono
Tibia stabilità
laterale

Chi ha un po’ di fantasia provi ad immaginare di flettere questo modello dal vivo: si accorgerebbe
che per passare dalla posizione iniziale a quella finale non è necessario solo ruotare il pezzo di so-
pra rispetto a quello di sotto, ma bisogna anche farlo slittare. Questo comportamento è proprio an-
che del ginocchio di ciccia!
E’ incredibile come, surfando la rete come un pazzo, alla fine tutto il materiale sulla meccanica del
ginocchio incorpori sempre il solito schema, disegnato da qualcuno nel lontano Paleolitico e poi
tramandato fino ai giorni nostri. Ho voluto dare un tocco di innovazione e non l’ho appiccicato con
la coccoina elettronica ma me lo sono ridisegnato!

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Rotazione Scivolamento Rotazione e scivolamento

Punto di contatto
alla massima
escursione

Punto di contatto Punto di


alla minima distacco
escursione
Punto di Punto di contatto
contatto con escursione
completa

A sinistra due punti di riferimento: quello inferiore è l’ideale punto di contatto del femore sulla tibia
con l’articolazione in completa estensione, quello superiore è il punto di contatto in completa fles-
sione:
 Se il femore ruotasse semplicemente sulla tibia, come nel disegno immediatamente più a destra
del precedente, ad un certo punto si distaccherebbe da questa prima di aver compiuto l’intera
traiettoria e questo non sarebbe carino.
 Se invece scivolasse e basta sulla tibia, il femore andrebbe a sbattere sulla tibia senza che il pun-
to superiore possa comunque toccarla.
Il movimento del femore sulla tibia è pertanto una roto-traslazione: rotola e slitta sulla tibia! Senza
entrare nel merito delle teorie sui centri di rotazione istantanei o fissi, questo è in sintesi come av-
viene la flesso-estensione della tibia sul femore.
I condili femorali sono ricoperti da liscia e robusta cartilagine per diminuire quanto più possibile le
forze di attiro, mentre sopra i plateau della tibia sono presenti due menischi, delle C di cartilagine
che hanno il compito di limitare al minimo gli attriti, di ammortizzare le forze compressive e di dare
stabilità all’articolazione.

Menisco
laterale
90°
Flessione

Menisco 0°
mediale
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I menischi non sono delle semplici zeppe come quelle che si mettono per fermare la porta, ma sono
parte attiva del movimento di flesso-estensione della tibia: all’aumentare della flessione della tibia i
menischi si spostano in avanti per “seguire” i condili in modo da mantenere inalterata la stabilità
dell’articolazione.
Bene, risolto un problema, ne abbiamo un altro: anche se non è stato spiegato, è chiaro che i musco-
li della coscia che si inseriscono sulla tibia, contraendosi sono la causa della sua rotazione intorno al
femore. Ma… cosa provoca lo slittamento?

Legamento
Legamento collaterale
Crociato Legamento mediale (MCL)
Posteriore (PCL) Legamento Crociato Anteriore
Crociato Anteriore (ACL)
(ACL)

Legamento
Crociato
Posteriore (PCL)

Legamento
Crociato Anteriore
(ACL) Legamento Legamento
Crociato collaterale
Posteriore (PCL) laterale (MCL)

Laterale Anteriore Mediale Posteriore Posteriore


I “pezzi” del ginocchio sono tenuti insieme da tutta una serie di legamenti, che possono essere
schematizzati come dei tiranti che si agganciano alle strutture ossee e le mantengono nell’assetto
corretto, un paragone che farebbe rabbrividire un ortopedico ma che per noi è più che sufficiente.
Due legamenti famosissimi sono il legamento crociato anteriore (Anterior Cruciate Ligament -
ACL) e il legamento crociato posteriore (Posterior Cruciate Ligament - PCL). Il disegno mostra il
posizionamento di questi due elementi in una articolazione in cui è stata tolta la rotula per una mi-
gliore visualizzazione: entrambi si ancorano al centro della tibia, poi si “incrociano” e l’ACL si in-
serisce nel condilo laterale mentre il PCL in quello mediale.
Altri due legamenti fondamentali per la stabilizzazione del ginocchio, sono il legamento collaterale
mediale (Medial Collateral Ligament – MCL) e il legamento collaterale laterale (Lateral Collateral
Ligament - LCL), indicati nel disegno a destra.

Legamento
Crociato Anteriore
(ACL)

Legamento
Crociato
Posteriore (PCL)

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In nostri crociati, rappresentati come barre imbullonate, in azione: quando la tibia si flette intorno al
femore e questo ruota sopra la tibia, il crociato anteriore lo “tira” per farlo anche slittare, viceversa
quando la tibia si estende intorno al femore, è il crociato posteriore che lo “tira” per farlo slittare:
alla rotazione si aggiunge anche la traslazione.
Perché il ginocchio è fatto così?
Ok, il ginocchio è una costruzione meccanica ganzissima e toghissima, mi-ci-dia-le, non trovate?
Però perché l’Architetto ha costruito un affare così incasinato composto da ossa che non stanno in-
sieme fra loro?
Nella spalla la carta della stabilità è stata barattata con quella della mobilità: l’omero è bloccato e
stabilizzato da un numero enorme di muscoli e legamenti, ma in compenso può ruotare con con an-
goli incredibilmente estesi. Il ginocchio è incasinato quasi come la spalla, ma non ha di sicuro la
stessa mobilità.
L’articolazione del gomito in fondo è simile a quella del ginocchio, ma per far ruotare
l’avambraccio sul braccio non c’è bisogno di tutta questa complessità: il radio ruota bloccato dentro
l’omero senza tanto puzzo. Il ginocchio è più complicato per fare alla fine le stesse cose…

Femore

Condilo femorale

Tibia

In alto nel disegno un confronto fra il modello a blocchi del ginocchio confrontato con
un’articolazione simile a quella del gomito o dell’anca, in basso il confronto fra i due movimenti: il
risultato finale è di fatto lo stesso!

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La differenza fra le due strutture è che il ginocchio assorbe meglio le sollecitazioni meccaniche
dell’altro aggeggio e funge da shock absorber per tutto il resto del corpo! Aggiungiamo altri ele-
menti a questa pazzesca struttura.
I crociati come tiranti

Forza di reazione
del Crociato
Anteriore Componente che
contrasta la forza
esterna

Forza esterna
Forza esterna
Componente che
contrasta la forza
esterna
Forza di reazione
del Crociato
Posteriore

Nel disegno a sinistra una forza esterna che tende a far traslare in avanti la tibia rispetto al femore
(la freccia tratteggiata rappresenta la situazione equivalente in cui è il femore a traslare indietro ri-
spetto alla tibia). Il crociato anteriore si oppone con la sua trazione a questo slittamento: essendo
messo “di traverso” è la componente parallela alla forza esterna che agisce a compensazione, perciò
la trazione a cui è sottoposto il crociato è di intensità superiore a quella della forza esterna stessa.
Nel disegno a sinistra la situazione opposta: una forza che tende a far traslare indietro la tibia o, in
maniera equivalente rappresentata dalla freccia tratteggiata, in avanti il femore. In questo caso è il
crociato posteriore che “tira” la tibia in avanti, ma per come è posizionato la tensione a cui è sotto-
posto è di intensità notevolmente più elevata rispetto a quella del crociato anteriore. Proprio per
sopportare queste maggiori sollecitazioni il crociato posteriore ha una sezione trasversa dal 20% al
50% più grande di quella del crociato anteriore.
La misteriosa rotula
Sembra incredibile ma fino agli anni ’70, cioè non nel Medio Evo, i ricercatori non avevano ben
chiara la funzionalità della rotula, addirittura la ritenevano come qualcosa di anomalo per i problemi
che può causare tanto che ritenevano che la sua eliminazione non fosse poi così traumatica in caso
di danneggiamento.
In realtà la rotula gioca un ruolo fondamentale nella meccanica del ginocchio, tanto che nelle artro-
plastiche sostitutive… la rotula viene lasciata! Evidentemente, a qualcosa serve, no?
La rotula o patella è un dischetto osseo di forma sesamoide (mi raccomando eh… non un quadrato,
un trapezioide, un fregnetto ma un se-sa-mo-i-de), la superficie a contatto con il femore è composta
da molte faccette (nel seguito un dettaglio maggiore) rivestite da uno strato di cartilagine spesso fi-
no a 7 mm, lo spessore maggiore presente in tutto il corpo umano, un buon indizio per dedurre le
funzioni ammortizzatici dell’aggeggio in questione.

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F F

F F
y y dF y dF y
dF dF

x x x x

A sinistra un ginocchio a cui un dottor Frankenstein ha asportato la rotula per vedere cosa succede.
In completa estensione la forza di trazione del quadricipite, indicata con F, agisce sulla tibia tramite
il braccio di leva df: all’aumentare della flessione il tendine si avvicina al femore e il braccio dimi-
nuisce, rendendo la leva sempre più svantaggiosa.
A destra un ginocchio sano con la sua bella rotula: in completa estensione il braccio di leva è più
lungo del caso precedente, ma l’aspetto fondamentale è che all’aumentare della flessione della tibia
la rotula si comporta come un “distanziale” che permette di non far decrescere troppo il braccio. In
questo modo la leva diventa molto meno svantaggiosa rispetto all’altra considerazione. Senza la ro-
tula il ginocchio funziona decisamente peggio, creando degli squilibri di forza notevoli.
Forza esterna

Tendine del
quadricipite Reazione del
tendine del
quadricipite

Risultante
Tendine
rotuleo
Reazione del
tendine rotuleo

I disegni mostrano il comportamento della rotula e dei tendini a cui è connessa: in pratica la struttu-
ra ha il compito di assorbire come un elastico la forza esterna che “preme”
La superficie della rotula assorbe la pressione (per questo la presenza di una spessa cartilagine) e i
due tendini la trasformano in una tensione, compensando lo slittamento in avanti del femore: notate
come le reazioni dei due tendini creino una risultante verso l’interno del ginocchio, chiamata forza
di reazione patellofemorale.

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Tendine del Femore
quadricipite

Rotula

Cartilagine Legamento
Crociato
Posteriore
Tendine
rotuleo
Forza esterna

Menischi

Tibia
Una mia idea per rappresentare meccanicamente il ginocchio visto lateralmente, dove la rotula è
una specie di respingente a cui sono agganciate delle molle che rappresentano i tendini: la rotula
impedisce al femore di avanzare poiché assorbendo l’impatto mette in tensione le molle e respinge
indietro al mittente l’ariete medioevale in arrivo. Chiaramente il giochino funziona anche se è la ti-
bia a spostarsi indietro.

Reazione Forza esterna


vincolare

Se la meccanica del ginocchio fosse differente, simile ad esempio a quella del gomito,
l’assorbimento delle forze sarebbe molto più problematico mancando la struttura ammortizzante: il
bloccaggio dell’articolazione sarebbe tutto a carico della reazione vincolare del giunto che dovrebbe
assorbire tutti gli impatti, con un conseguente stress meccanico ben superiore.
Il disegno seguente rappresenta un classico esercizio pliometrico: l’omino è su un plinto e salta ver-
so il basso, rimbalzando sul suolo. La pliometria sviluppa le capacità reattive di coordinazione e
sincronizzazione muscolari e tante altre belle cose, tipica dell’atletica leggera, ha trovato diffusione
ovunque diventando quasi una moda grazie alla spasmodica attenzione all’”esplosività”, tipico at-
teggiamento dei marzialisti che eseguono qualsiasi movimento in maniera “esplosiva”, nel caso che
“per strada” ci sia la necessità di reagire velocemente.
Piccola parentesina. Due elementi sono universali: la prima è che il plinto è disegnato sempre in
quel modo, mai come un parallelepipedo, una sedia, una cazzo di cassa, probabilmente se non è fat-
to così l’esplosività è minore, la seconda è l’onnipresente discussione su quale arte marziale sia
“meglio in strada”, dimenticando il vecchio proverbio cinese “un calcio sfonda più di una carezza,
un coltello taglia più di un calcio, una 44 Magnum penetra più di un coltello, il parafango di un TIR
maciulla più di una 44 Magnum”. Fine della parentesina.

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Nel momento in cui l’atleta tocca il terreno il suo corpo deve assorbire l’impatto della sua forza pe-
so, generando una forza di reazione tale da spingerlo anche verso l’alto nel salto successivo.

A sinistra, in pseudo stile mecha, due gambe progettate da un Einstein seguito dal SIM: quale prefe-
rireste? A destra il funzionamento sotto carico nel momento dell’impatto con il suolo (ho semplifi-
cato le forze in gioco limitandomi solo a quelle di interesse).
La forza peso preme sull’articolazione del bacino e sulle teste dei femori, in alto, la forza peso viene
trasferita a tutte le articolazioni (per il momento non considerate il fatto che l’atleta flette volonta-
riamente un po’ le ginocchia):
 Nel caso “a molla” il ginocchio slitta in avanti mettendo in trazione le molle grazie alla rotula,
pertanto la forza peso viene assorbita dalla struttura.
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 Nel caso “a palla” tutta la struttura è molto più rigida e l’assorbimento è a carico del giunto. Il
problema è che così facendo il ginocchio non scorre in avanti perché è la tibia a sostenerlo, per-
ciò la tibia stessa è sottoposta ad una pressione che si ripercuote fino allacaviglia. In più, anche
l’articolazione del bacino è bloccata e deve a sua volta assorbire tutta la forza peso.
Chiaramente la flessione volontaria delle gambe aiuta, ma l’efficienza è comunque inferiore nel ca-
so “a palla”.
La struttura del ginocchio è perciò atta a assorbire impatti salvaguardando non solo la sua integrità,
ma anche quella delle altre articolazioni dell’intera catena cinetica posteriore: è complicato, ma a
ragione!
Problemi…
Una struttura incasinata come questa è soggetta a problemi dovuti proprio alla sua complicata mec-
canica. Un elemento estremamente critico è proprio la rotula che, effettivamente, l’Architetto a-
vrebbe potuto progettare un tantino meglio…
Rotula vista di
Laterale Mediale fronte
0° 0
Rotula vista
dall’alto
Cartilagine

30°
Condilo
Mediale
y

Condilo
laterale
0
x 60°

90°

120°
Spieghiamo piano piano questo incasinato disegno: a sinistra in un raccapricciante esperimento
hanno piantato due assi cartesiani al centro di un ginocchio completamente esteso (la rotula non è
disegnata), poi questo viene fatto flettere, come indicato dalla scala in gradi immediatamente più a
destra.
Le curve rappresentano gli spostamenti delle rotule di tre soggetti diversi e ho anche disegnato una
rotulina per dare un’idea del movimento a destra e a sinistra: nella normalità e con una fortissima
individualità (cioè variabilità da individuo ad individuo), la rotula si sposta mentre il ginocchio si
flessoestende.
A destra quelle specie di granchi rappresentano il contatto fra la rotula e i condili femorali visto
dall’alto, a vari gradi di flessione: non solo la rotula non appoggia completamente sui condili, ma
appoggia parzialmente e in maniera differente in funzione della flessoestensione!
Variando in ogni punto del movimento l’area di contatto, varia di conseguenza la pressione fra con-
dili e rotula, cioè lo stress articolare: si capisce benissimo che anche il più piccolo malfunzionamen-

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to di questa roba crei notevoli problemi, dato che la cartilagine è sottoposta a pressioni disomogenee
e fuori specifica, iniziando a logorarsi.
Retto del femore

Vasto laterale
Squilibrio sul vasto Squilibrio sul vasto
laterale mediale

Vasto mediale

Tendine del
quadricipite

Tendine rotuleo

Maggior pressione Maggior pressione


laterale mediale

Nella figura una rappresentazione frontale della rotula e dei muscoli che agiscono su di essa tramite
il tendine del quadricipite. Uno squilibrio di forze fra i muscoli che compongono in quadricipite può
creare un disallineamento della rotula nella sua sede di scorrimento con conseguente maggior attrito
e aumento delle probabilità di lesionare la rotula.
Angolo di Angolo di
valgismo varismo

Maggior tensione
sul legamento
Trazione del collaterale
quadricipite laterale

Forza del condilo


mediale sulla tibia

Forza del condilo


laterale sulla tibia

Reazione
vincolare del
suolo
Maggior tensione
sul legamento
collaterale
Maggior mediale Maggior
pressione sul pressione sul
menisco laterale menisco mediale

A sinistra un ginocchio in cui le forze sono simmetriche: sul plateau tibiale mediale e su quello late-
rale le intensità sono identiche (la larghezza delle frecce è proporzionale all’intensità). A destra due
tipici malfunzionamenti del ginocchio:
 Nel valgismo (le gambe ad X) vi è un disassamento verso l’interno del ginocchio che crea una
disomogeneità nelle forze che agiscono sui plateau tibiali, per cui il menisco laterale subisce una
pressione maggiore di quello mediale. Dal lato opposto, il legamento collaterale mediale subisce
una tensione maggiore rispetto a quella sul laterale.

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 Nel varismo (le gambe ad O) il disassamento è verso l’esterno, situazione speculare alla prece-
dente: il menisco mediale subisce una pressione maggiore del laterale, il legamento collaterale
laterale una tensione maggiore rispetto a quella sul mediale.
Complessivamente, nella stragrande maggioranza dei casi, le variazioni individuali rientrano sem-
pre in intervalli tali per cui le normali attività quotidiane sono sempre fattibili, però è necessaria una
certa dose di fortuna genetica per poter eseguire squat profondi: una rotula più piccola, disallineata,
un varismo o un valgismo eccessivo possono esaltare, durante l’attività “atletica”, stress che nor-
malmente sono gestibili dalle vostre ginocchia: legamenti che si infiammano, cartilagini che inizia-
no ad usurarsi, in un effetto domino che porta ad aumentare ancora di più i problemi.
Sembra incredibile ma fino a qualche decennio fa (non qualche secolo fa…) la funzione dei meni-
schi non era del tutto chiara, tanto che la loro asportazione non sembrava poi così traumatica: vi ri-
cordate dei primi interventi in artroscopia sui calciatori? “Si è rotto il menisco, gliel’hanno tolto e
dopo una settimana giocava di nuovo!” L’artroscopia rese quasi ambulatoriali interventi truculenti
con postoperatori da paura: che ci vuole, tanto si forma del tessuto connettivo che è “quasi uguale!”
Il problema è il “quasi”: è oramai accertato che qualsiasi alterazione degli elementi del ginocchio ha
conseguenze, proprio perché viene alterato il suo funzionamento meccanico. L’asportazione di un
menisco, se fisiologicamente non crea problemi, ha invece effetti meccanici importanti dato che
cambia l’allineamento del femore rispetto alla tibia, legamenti crociati o collaterali che hanno subito
delle distorsioni o peggio rotti e non riparati in sede creano instabilità nella struttura.
Se la ripresa delle normali attività avviene oramai in maniera estremamente rapida dopo una lesio-
ne, anche importante ,al ginocchio, è estremamente elevata la percentuale di osteoartriti e artrosi
degenerative in atleti che riprendono l’attività agonistica: studiate le vostre ginocchia e abbiatene
rispetto, mantenetele sane e reggeranno tonnellate ma appena c’è un problema… potete pagare mol-
ti anni dopo il prezzo di una cazzata che sembra risolta (suono onomatopeico sgrat sgrat sgrat)
Il full squat è sicuro?
In questa parte della trattazione del ginocchio (mi raccomando, non fidatevi perché io non sono un
dottore o un terapista) cercherò di quantificare numericamente le forze in gioco, in relazione a ciò
che ci interessa: lo squat/stacco.
Questa è sempre la parte più incasinata perché implica scartabellare parecchio per trovare materiale
valido: anche a detta dei ricercatori, è sempre difficile confrontare fra loro i risultati di studi e ricer-
che a causa di metodologie, materiali, soggetti utilizzati.
E’ proprio per questo che spessissimo si hanno risultati contraddittori: in uno studio i femorali non
si attivano molto, in un altro sono 10 volte più attivi. Però nel primo studio sono stati utilizzati sog-
getti sedentari per eseguire un mezzo squat, nell’altro uno squat fatto alla smith machine.
Alcuni studi poi descrivono il comportamento del quadricipite, altri trattano di forze sul tendine ro-
tuleo, altri ancora dei femorali o addirittura solo del bicipite femorale: è impossibile correlare i dati
relativi alla forza del bicipite femorale di uno studio con quelli della forza del quadricipite di un al-
tro, pena il rischio di dire cazzate assolute.
Sarebbe bello avere uno studio su dei PL anche conosciuti, di peso circa paragonabile al nostro, che
fanno lo squat come facciamo noi e che evidenzia ciò che ci interessa sapere tipo dove mettere le
mani sul bilanciere o quanto allargare i piedi. Magari anche con una bella foto di una fettina di culo
tagliata fine vicino all’osso…
Perciò, “come funziona il ginocchio”, e in generale il corpo umano, è relativamente facile poiché è
“solo” anatomia da studiare, riuscire a capire “come e quanto funziona il ginocchio nello squat” è
ben più complicato.

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Allora ragazzi, è sicuro si o no? L’aspetto incredibile di questa vicenda è che il problema della sicu-
rezza dell’esercizio deriva da una incomprensione linguistica, cazzarola!

KA

Camminare Salire le scale Scendere le scale


67° 83° 90°

Stare seduti Allacciarsi le scarpe Squat


83°-110° 106° 130°

A sinistra ho indicato l’angolo di flessoestensione, definito KA, Knee Angle: vale 0° quando il gi-
nocchio è completamente esteso, e arriva fino a 130°-140° nella massima flessione. A sinistra ho
riportato alcuni valori del KA che si trovano in letteratura: nelle normali attività quotidiane difficil-
mente ci mettiamo per molto tempo in posizioni in cui il KA supera i 90°, dai…
Concentriamoci adesso sull’ultimo omino in basso a destra, quello che fa squat: il KA vale 130°,
angolo ritenuto non salutare, unhealty come si legge. Si legge che il full squat o il deep squat sia
dannoso per le ginocchia, mentre il parallel squat o l’half squat siano invece salutari, healty.
Dildo Squat
Squat WL Squat PL Squat parallelo Mezzo squat

Full Squat Half Squat Half Squat Quarter Squat Dildo Squat 
Deep Squat Parallel Squat Parallel Squat Half Squat

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Queste informazioni fluiscono senza controllo nelle palestre, dove viene consigliato sempre squat
parallelo non pericoloso come invece lo squat sotto il parallelo.
In alto nel disegno ho riportato le definizioni che io utilizzo e che voi dovete avere ben chiare, in
modo da non cadere in fraintendimenti: possiamo anche usare vostre, basta che io le abbia chiare.
A me interessa lo squat sotto il parallelo valido in una gara di Powerlifting, che giudico essere com-
plesso e sfidante: sempre in letteratura, questa posizione è raggiunta con un KA di 100°-110°. In
basso ho indicato alcune delle definizioni per le stesse posizioni che potete trovare negli studi.
Il problema è che gli studi fanno sempre riferimento alla massima profondità del Weightlifting,
mentre in palestra il riferimento è sempre il femore parallelo. Perciò molto spesso ciò che negli stu-
di è definito parallel squat o half squat è proprio lo squat valido in una gara a regolamento IPF!
Addirittura, in alcuni viene esplicitamente definito lo squat da powerlifting come parallel, in con-
trapposizione come quello da weightlifting che è invece il full o deep.
La comunità scientifica, perciò, definisce sicuro lo squat da Powerlifting per persone sane che lo
praticano secondo le classiche norme del buon senso.
Il full o deep squat non è invece considerato sicuro: anche in questo caso, è necessario comprendere
molto attentamente cosa si intende con questa definizione. Il full squat è una esecuzione del movi-
mento in cui i femorali toccano i polpacci, magari con un bel rimbalzo: è l’esecuzione tipica del
Weightlifting, ma non ha niente a che vedere con uno squat sotto il parallelo profondo dove non si
arriva al contatto appena descritto.

KASquatPL KADeepSquat

Centro di
rotazione
istantaneo
Centro di
rotazione
istantaneo

A sinistra uno squat profondo ma non full secondo la precedente definizione: polpacci e femorali,
rappresentati dagli ovali colorati (sigh… non dite nulla, vi prego…) non entrano in contatto.
A destra un full squat in una classica esecuzione da sollevamenti olimpici. Il contatto consiste pro-
prio in un appoggio delle cosce sul polpaccio, perciò vi è un improvviso spostamento indietro del
centro di rotazione del femore: questo non ruota più rispetto alla testa della tibia, ma rispetto alla
coscia e conseguentemente viene a generarsi una forza nella direzione della freccia obliqua in figu-
ra. In pratica, è come se si creasse una leva con fulcro fra polpaccio e coscia che forza la testa del
femore a staccarsi dalla tibia.

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PCL PCL ACL PCL ACL
ACL ACL

LCL LCL

MCL MCL

Chiaramente nessuno si è mai disossato per fare questi giochino, proprio perché il ginocchio è stabi-
lizzato dai legamenti che oramai conosciamo, indicati a sinistra con le sigle oramai note (vero?). A
destra il comportamento del ginocchio sottoposto allo stress del full squat: i legamenti sono in tra-
zione e si allungano, comportamento analizzato in molti studi sulla loro lassità.
Lo stress tensorio dello squat eseguito in questo modo si aggiunge a tutti gli altri dell’esecuzione
senza contatto, ed è per questo motivo che il full/deep squat non è ritenuto “sicuro”, ma uno squat
profondissimo senza contatto fra cosce e polpacci non è caratterizzato da questo tipo di problemati-
ca.
Non voglio innescare polemiche affermando che lo squat da Weightlifting sia dannoso per le ginoc-
chia: a me basta sapere che lo squat che mi interessa è considerato non pericoloso se sono sano, e
che posso eseguirlo indefinitamente nel tempo. Punto.
Forze sul ginocchio nello squat

Trazione
Quadricipite Crociato
Posteriore
Compressione
patellofemorale

Estensione
Femorali

Compressione
Gastrocnemio tibiofemorale

Flessione

Il disegno a sinistra rappresenta la schematizzazione dei muscoli che permettono la flessoestensione


del ginocchio (il tendine rotuleo e la rotula sono considerati parte del quadricipite):
 Il quadricipite (vasto mediale, vasto laterale, retto del femore) estende la tibia
 I femorali ( bicipite femorale, semitendinoso, semimembranoso) e il gastrocnemio (laterale e
mediale) flettono la tibia.
A sinistra, pertanto, le forze in gioco nello squat:
 La forza di compressione tibiofemorale è dovuta proprio al carico sulle spalle che si trasmette
lungo il femore e deve essere contrastata dalla reazione vincolare della tibia, o, se volete, è do-

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vuta alla reazione vincolare del terreno che si trasmette lungo la tibia e deve essere contrastata
dal femore. Il risultato è comunque una compressione fra i plateau della tibia e i condili femora-
li, ammortizzata dai menischi e dal tessuto connettivo presente
 La forza di compressione patellofemorale è dovuta alla trazione del tendine del quadricipite che
schiaccia la rotula contro il femore
 La forza di trazione sul crociato posteriore è dovuta alla tibia che tende a traslare indietro rispet-
to al femore per effetto della forza di taglio posteriore durante il movimento di squat.
Sebbene gli studi differiscano fra loro nei risultati quantitativi, sono concordi nell’affermare che
nello squat non sono presenti forze di taglio anteriori, pertanto il crociato anteriore non è sottoposto
a nessuna tensione: questo è il motivo per cui lo squat è ritenuto un esercizio sicuro per la riabilita-
zione dei pazienti che hanno subito una ricostruzione del crociato anteriore a seguito di una lesione.

5000 Compressione
patellofemorale Compressione
patellofemorale
4000 Compressione
Forza (N)

tibiofemorale
Compressione
tibiofemorale
3000

2000

1000
Trazione Trazione
Crociato Crociato
0 Posteriore Posteriore

0 20 40 60 80 100 100 80 60 40 20 0
KA - Angolo di flessione del ginocchio (°)

Il grafico descrive quantitativamente l’andamento delle forze agenti sul ginocchio dedotte in uno
studio su sollevatori del peso medio di 93Kg e carichi nello squat in singola serie da 12 ripetizioni
dell’ordine di 130Kg, pertanto una situazione praticamente identica alla realtà della palestra.
A sinistra l’andamento delle forze in fase di flessione, a destra in fase di estensione. La scala verti-
cale esprime la forza in Newton, N (in fondo al testo una descrizione di cosa sono).
Compressione tibiofemorale
La compressione tibiofemorale aumenta con la flessione della tibia, ed è massima intorno ai 65°-
70°. In questo caso i circa 3500N equivalgono a 350Kg, cioè poco meno di 4 volte il peso corporeo
medio degli atleti analizzati.
Questa forza compressiva è fondamentale per la stabilità dell’articolazione in quanto impedisce gli
slittamenti avanti ed indietro sulla tibia dei condili femorali, ma non è noto un valore oltre il quale
diventa pericolosa per i menischi e le cartilagini.

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Durante l’ascesa la forza è inferiore a quella esibita nella discesa a causa della diversa attività di
quadricipite e femorali, maggiore nella prima fase rispetto alla seconda.
Trazione del crociato posteriore
Durante lo squat la tibia è sottoposta ad una traslazione che la sposta indietro rispetto al femore.
Questa forza è decisamente inferiore come intensità alla precedente e, poiché si stima che il crociato
posteriore possa sopportare una tensione dell’ordine dei 4000N, le sollecitazioni misurate sono ab-
bondantemente sotto metà di questo limite: questo è il motivo per cui lo squat è ritenuto sicuro per
la salute del crociato posteriore.
Compressione patellofemorale
Le forze che agiscono sulla rotula sono tre: la tensione del tendine del quadricipite, la tensione del
tendine rotuleo, la compressione della rotula sul femore dovuta alle due precedenti. Dopo i 30° di
flessione e fino a circa gli 80° la compressione fra rotula e femore aumenta drasticamente, per poi
mantenersi praticamente costante fino ai 100° di flessione.
Ciò che è importante ai fini della sicurezza del movimento, è avere culo nella genetica (vi piace
questo termine scientifico?). La compressione patellofemorale aumenta durante la flessione della
tibia in tutti i praticanti lo squat, è impossibile evitarla, ma le individualità della conformazione del-
la rotula giocano un ruolo fondamentale: a parità di forza fra femore e rotula, a seconda della super-
ficie di contatto cambia la pressione fra le cartilagini.
Non è noto il limite massimo di forza sopportabile dalle cartilagini del femore e della rotula, mentre
si ipotizza che il tendine rotuleo possa sopportare fino a 15000N, mentre quello del quadricipite una
forza ancora superiore: datevi una bella grattatina perché questi numeri sono stati dedotti
dall’analisi delle clip di infortuni di vari sollevatori di peso, gente che si è strappata via i tendini du-
rante gare di PL o di WL…
Per la storiella “più le ginocchia sono in avanti e più lo squat è dannoso”, il punto è che più le gi-
nocchia sono in avanti e più l’angolo di flessione aumenta, con conseguente incremento di tutte le
forze in gioco, in particolare di quella patellofemorale.
Osservate però il grafico precedente: oltre i 90° le forze patellofemorale e tibiofemorale, pur essen-
do elevate, diminuiscono. Mandare in avanti le ginocchia pone meno stress rispetto al non farlo.
Wow…
“Ma allora perché io sento più male?”. E’ sempre un problema di interpretazione dei dati: solita-
mente lo squattista da palestra non è capace a eseguire un buono squat, piazza un caricone e va giù
fermandosi anche 10 centimetri dal parallelo, cioè ad un angolo di flessione di 70°-80° dove si bec-
ca comunque (guardate il grafico) quasi il massimo delle forze sul ginocchio.
L’esecutore di uno squat in questo modo sente effettivamente una specie di pressione aumentare
dentro le ginocchia e pensa che continuando a scendere questa pressione non potrà che aumentare,
quando invece ha oramai raggiunto il massimo.
Cosa manca?
Nello squat la tensione sul crociato anteriore è nulla o irrilevante: questo è dovuto sia alla meccani-
ca del movimento che porta la tibia ad essere traslata indietro e non in avanti, sia alla co-contrazione
dei femorali che scaricano il crociato anteriore dalla trazione.
Anche per questo motivo lo squat è ritenuto un esercizio sicuro.
Ok, per la riabilitazione lo squat è ok, la leg extension no. Anzi, la leg extension fa male.
Ecco una classica conclusione da palestroide di cro-magnon, specie umana in estinzione che vive in
riserva nelle palestre, nelle tane delle tigri, nei garage e nei centri fitness.

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Negli anni il terrorismo psicologico per le forze di taglio sul crociato anteriore è incrementato note-
volmente, grazie alla diffusione di Internet. “La leg extension fa male”, “lo squat è sicuro per la ria-
bilitazione dopo una ricostruzione del crociato anteriore”, affermazioni idiote perché semplicistiche
quanto approssimare il bacino ad un punto, come fanno gli ingegneri biomeccanici (ah ah ah, non è
vero ma non ho resistito).
L’attenzione al crociato anteriore viene dal fatto che la sua rottura è un infortunio tipico e le tecni-
che sia di ricostruzione che riabilitative hanno avuto un impulso incredibile nei decenni passati. Lo
studio delle forze di taglio e di compressione ha avuto grandi finanziamenti per la necessità di co-
struire articolazioni artificiali sempre più efficienti per le operazioni di artroplastica sostitutiva
(quella dove ti segano via le cartilagini rovinate e le sostituiscono con roba bionica).
Ok, è vero che lo squat non pone tensione sul crociato anteriore mentre la leg extension si. Il punto
è: voi siete sani o avete un crociato anteriore di plastica?
Ipotizziamo che siete demoliti: vi mettete a fare squat con 150Kg “perché tanto è sicuro”? Oppure
invece le prime volte non piazzate 5Kg sulla leg extension tanto per muovere qualcosa? Quale dei
due esercizi è più “sicuro”?
Fareste mai praticare lo squat ad un vecchio a cui hanno sistemato un ginocchio maciullato? O a
uno che mai in tutta la sua vita si è accucciato a terra? O ad un obeso?
Ancora: siete dei terapisti? Se la risposta è no, perché dispensate consigli del cazzo non richiesti?
Oppure, siete sani e/o allenate persone sane. Un crociato sano è del tutto differente da uno ricostrui-
to, come una persona senza febbre e uno con una tonsillite purulenta. Se siete sani, vi state facendo
delle seghe mentali: che volete che vi faccia un esercizio idiota come la leg extension? Certo, se ci
caricate 200Kg vi farete male, ma perché siete fessi voi.
Perciò, se siete sani fate lo squat non perché è più sicuro della leg extension, ma perché la leg e-
xtension è un esercizio del cazzo. Poi, se la volete fare, con un minimo di buon senso non vi succe-
derà NULLA.
Anche in campo medico ancora non c’è chiarezza su quale sia la miglior forma di riabilitazione do-
po un intervento di ricostruzione del crociato anteriore: fra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90
c’è stato un periodo in cui l’uso della leg extension è stato condannato a priori, ma studi successivi

Leg Press
Compressione patellofemorale

Leg Extension

0 20 40 60 80
Angolo di flessione del ginocchio (°)
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hanno mostrato che il problema è più complicato.
Il grafico è una rappresentazione qualitativa dell’andamento della compressione tibiofemorale in
due esercizi classici della riabilitazione del ginocchio dopo un intervento chirurgico: l’oramai famo-
sissima leg extensione e la leg press, che genera forze sul ginocchio del tutto similari a quelle dello
squat con il vantaggio di essere però di più semplice esecuzione per chi magari non ha mai messo
piede in una palestra prima di maciullarsi.
Nella leg press la tensione sul crociato anteriore è nulla (come, appunto, nello squat), ma di sicuro
non è nulla la tensione patellofemorale: invece di usare la strategia “o” è opportuna quella “e” nel
senso che fino a flessoestensioni di circa 50° è opportuno utilizzare la leg press, fra 50° e 90° la leg
extension. Due esercizi per minimizzare gli stress compressivi.
Ancora, altri studi mostrano come dopo moltissimi mesi soggetti che hanno svolto la riabilitazione
solo a base di squat mostrino un deficit di forza fra quadricipite dell’arto “malato” e dell’arto sano:
la meccanica del movimento di squat è risultata alterata, con un maggior uso dei glutei e dei femo-
rali rispetto al quadricipite nell’arto del crociato ricostruito.
Il corpo umano è troppo complicato per poterlo riparare con un solo tipo di esercizi!
Conclusioni
Lo squat è un esercizio sicuro in tutte le sue varianti se la profondità è quella considerata valida in
una gara di powerlifting. Rinforza e non danneggia le ginocchia: non fatevi confondere dalle varie
definizioni di squat “sotto il parallelo”!
Troppa profondità, tale da causare un contatto fra polpacci e femorali, rende l’esercizio differente:
non mi interessa entrare nel merito della sua sicurezza poiché mi basta scendere molto meno! Dai
grafici è possibile notare che non vi è una differenza sostanziale fra le forze che agiscono sul ginoc-
chio al parallelo, sopra il parallelo o sotto il parallelo: in tutte queste posizioni l’angolo di flessione
è dell’ordine degli 80°-100° e i valori di forza sono simili alle varie profondità, perciò non dovete
rinunciare alla profondità di discesa ritenendo che una altezza maggiore sia più sicura.
Se siete sani, non avete niente da temere nello squat, almeno per quanto riguarda il ginocchio: diffi-
cilmente i carichi in gioco creeranno degli infortuni acuti se utilizzate una forma esecutiva basata
sul buon senso, ma dovete stare attenti agli infortuni cronici.
Non dovete mai, mai, mai sentire non solo dolore, ma anche una specie di “pressione” interna al gi-
nocchio, una “tensione strana”: questo è sintomo di forze interne troppo elevate. Gli “infortuni”
classici dello squat sono infiammazioni del tendine del quadricipite, dei menischi, dei legamenti
collaterali perciò non morirete, né non vi amputeranno una gamba.
Per farsi venire delle osteoartriti, condriti, artrosi e condromalacie varie dovete essere dei soggetti
predisposti, cioè con ginocchia “sfortunate”: è più probabile beccarsi un’ernia con lo squat che que-
ste cose qua, perché sono infortuni cronici e avete tutto il tempo per porvi rimedio o per evitarli.
Perciò, niente di invalidante ma di sicuro non potrete allenarvi: se sentite l’esecuzione del vostro
squat non confortevole per le ginocchia, dovete analizzare la vostra tecnica esecutiva per trovare il
bug, perché sicuramente c’è. E nel tempo può trasformarsi in una di quelle cose che il vostro medi-
co di famiglia liquida con “stai fermo 2-3 mesi e ti passa”, nulla di mortale ma che può farvi girare i
coglioni e farvi spendere parecchio.
Eliminate il bug, il vostro squat continuerà a migliorare.

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