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Mi sono allontanato di corsa, subito.

Giusto il tempo di sentire mia madre che diceva


Cosa fa queldiavolo? Non volevo restare con loro, riutavo di condividere
quelmomento. Ero gi lontano, non appartenevo pi a quel mondo ormai, la lettera lo
diceva. Sono andato nei campi e ho camminato per buona parte della notte, il fresco
del Nord, i sentieri sterrati,lodore della colza, molto forte inquella stagione
dellanno.Tutta la notte fu consacrata allelaborazione della mia nuova vita, lontano
da l.In realt la ribellione contro i miei genitori, contro la povert, controla mia
classe sociale e il suo razzismo, la sua violenza, i suoi riti, sono venuti dopo. Perch
primadella mia rivolta contro il mondo della mia infanzia, stato il mondodella mia
infanzia a rivoltarsi contro di me. Troppo presto, infatti, sono diventato per la mia
famiglia e pergli altri un motivo di vergogna,persino di disgusto. Non ho avutoaltra
scelta che scappare. E questolibro il mio tentativo di comprendere.
douard Louis ha 21annie vivea Parigi. Ha curato il volume Pierre Bourdieu:
linsoumission en hritage
(PUF, 2013). inoltre ideatore e direttore della collana Des Mots della Presses
Universitaires de France. Il caso Eddy Bellegueule il suo primo romanzo: diventato
subito un caso in Francia, ha givenduto oltre 200.000 copie ed in corso di
pubblicazione in dodici paesi.
NARRATORISTRANIERI
EDOUARD LOUIS
IL CASO EDDY BELLEGUEULE
Traduzione di Alberto Cristofori
Louis, douard, En finir avec EddyBellegueule
Copyright ditions du Seuil,2014First published in 2014 by ditionsdu Seuil
2014 Bompiani / RCS LibriS.p.A.Via Angelo Rizzoli, 8 20132Milano
ISBN 978-88-58-76566-1
Prima edizione digitale 2014 daedizione Bompiani giugno 2014
Immagine di copertina Hans
Neleman / Corbis.Progetto grafico: Polystudio.
Questopera protetta dalla Legge suldiritto dautore. vietata ogni duplicazione,
anche parziale,non autorizzata.
A Didier, il mio Per-S
Per la prima volta ilmio nome pronunciatonon nomina.
MARGUERITE DURAS,
Il rapimento di Lol V. Stein
LIBRO 1PICCARDIA
(fine anni novanta inizioanni duemila)
INCONTRO
Della mia infanzia non ho alcun ricordo lieto. Non vogliodire che, in quegli anni, io
nonabbia mai provato dei sentimenti di felicit o di gioia.Semplicemente, la soerenza
totalitaria: ci che non rientra nel suo sistema, lo fa scomparire.
Nel corridoio sono comparsi due ragazzi, il primo, grande,coi capelli rossi, e
laltro,piccolo, con la schiena curva. Ilgrande coi capelli rossi mi hasputato in faccia

Beccati questo. Lo sputo colato lentamentesulla mia faccia, giallo e denso, come il
catarro sonoro che ostruisce la gola dei vecchi odei malati, dallodore forte e
nauseabondo. Le risa acute, stridenti, dei due ragazziGuarda ha la faccia piena
quelglio di puttana. Mi cola dallocchio no alle labbra, mi entra in bocca. Non ho il
coraggio di asciugarmi. Potrei farlo, basterebbe passarci su lamanica. Basterebbe
una frazione di secondo, un gestominimo perch lo sputo non entrasse in contatto
con le mie labbra, ma non lo faccio, per paura che quelli si sentano oesi, per paura
che si arrabbino ancora di pi.
Non pensavo che lavrebberofatto. Eppure la violenza non mi era sconosciuta, anzi.
Da sempre, per quanto allindietrorisalgano i miei ricordi, avevo visto mio padre
ubriaco battersi davanti al bar con altri uomini ubriachi e rompergli il naso o i denti.
Uomini che avevano guardato mia madre con troppa insistenza e mio padre, sotto
linusso dellalcol, che tuonava Chi ti credi di essere a guardare mia moglie cos
bastardo. Mia madre che tentava di calmarlo Calmati, caro, calmati ma le sue
proteste erano ignorate. I compagni di mio padre che aun certo punto erano costretti
a intervenire, era la regola, questo voleva dire essere un vero amico, un buon
compagno,gettarsi nella mischia perseparare mio padre e laltro, lavittima della sua
ubriachezza, con la faccia ormai piena di lividi. Vedevo mio padre,quando una delle
nostre gattemetteva al mondo dei piccoli,inlare i gattini appena nati in un sacco di
plastica del supermercato e sbattere il sacco contro uno spigolo di cemento nch il
sacco non si riempiva di sangue e i miagolii cessavano. Lavevo visto sgozzare dei
maiali in giardino,bere il sangue ancora caldo cheraccoglieva per farne sanguinaccio
(il sangue sulle sue labbra, sul suo mento, sulla sua maglietta) Questo il migliore, il
sangue appena uscitodalla bestia che crepa. Le gridadel maiale agonizzante
quandomio padre gli troncava larteriagiugulare si sentivano per tuttoil paese.
Avevo dieci anni. Ero nuovo, a scuola. Quando sono comparsi nel corridoio, non li
conoscevo. Ignoravo perno illoro nome, cosa insolita in quella piccola scuola di
appenaduecento allievi, dove tutti imparavano velocemente a conoscersi. Il loro passo
era lento, sorridevano, non mostravano alcuna aggressivit, tanto che in un primo
momento ho pensato che venissero a fare conoscenza. Ma perch dei grandi venivano
a parlare conme, che ero nuovo? Il cortilenellintervallo funzionava come il resto del
mondo: i grandi non stavano coi piccoli.Mia madre lo diceva parlandodegli operai Noi
piccoli non interessiamo a nessuno,soprattutto ai grandi borghesi.
Nel corridoio mi hanno chiesto chi ero, se ero proprioio Bellegueule,1 quello di cui
parlavano tutti. Mi hanno fattoquesta domanda che in seguitomi sono ripetuto
incessantemente per mesi, anni,
Sei tu il frocio?
Pronunciando queste parole, le avevano incise in me per sempre come uno stigma,
comequei segni che i greci imprimevano con un ferro rovente o con un coltello sul
corpo dei devianti pericolosiper la comunit. Limpossibilitdi liberarmene. la
sorpresache mi ha folgorato, anche senon era la prima volta che midicevano una cosa
simile. Non ci si abitua mai alloffesa.
Un sentimento di impotenza, di perdita dellequilibrio. Ho sorriso e la parola frocio
riecheggiante, mi esplodeva nella testa, palpitava in me con la frequenza del mio
battito cardiaco.
Ero magro, dovevano aver calcolato che la mia capacit didifendermi era scarsa,
pressoch nulla. A quellet i miei genitori mi chiamavano spesso con il soprannome
di Scheletro e mio padre ripeteva in continuazione le stesse battute Potresti passare
dietro aun manifesto senza staccarlo dal muro. In paese, il peso era unacaratteristica
apprezzata. Mio padre e i miei due fratelli

erano obesi, come parecchie donne della famiglia, e si diceva Meglio non lasciarsi
ammazzare dalla fame, mangiaretroppo una malattia che fa bene.
(Lanno dopo, stanco dellironia dei familiari sul mio peso, decisi di ingrassare.
Compravo dei pacchetti di patatine alluscita di scuola coni soldi che mi regalava mia
zia i miei genitori non potevanodarmene e mi ingozzavo. Io che no a quel momento
mi ero riutato di mangiare piatti troppo grassi che preparava mia madre, proprio per
paura di diventare come mio padre e i miei fratelli leiperdeva la pazienza: Non ti
tappa mica il buco del culo, questa roba proprio io mi sono messo improvvisamente
adivorare tutto ci che trovavo sulla mia strada, come quegliinsetti che si spostano in
nubi efanno sparire paesaggi interi.Presi una ventina di chili in un anno.)
Hanno incominciato prima aspingermi con la punta delle dita, senza eccessiva
brutalit,sempre ridendo, io sempre conlo sputo sulla faccia, poisempre pi forte,
nch la miatesta ha urtato contro il muro del corridoio. Io non dicevo niente. Uno mi
ha aerrato per le braccia mentre laltro mitirava dei calci, sorridendo sempre meno,
prendendosempre pi sul serio il proprioruolo, con unespressione di concentrazione
crescente, di collera, di odio. Mi ricordo: i pugni nella pancia, il doloreprovocato
dallurto fra la miatesta e il muro di mattoni. un elemento a cui non si pensa,
ildolore, il corpo che sore allimprovviso, ferito, contuso.Si pensa davanti a scene
come questa, voglio dire: vedendole dallesterno allumiliazione,allincomprensione,
alla paura,ma non si pensa al dolore.
I pugni nella pancia mi facevano soocare e mi si bloccava il respiro. Aprivo la bocca il
pi possibile per lasciar penetrare lossigeno,gonfiavo il petto, ma laria nonvoleva
entrare; limpressioneche i polmoni si fossero a untratto riempiti di una linfa
compatta, di piombo. Li sentivo improvvisamentepesanti. Il mio corpo
tremava,sembrava che non mi appartenesse pi, che non rispondesse pi alla mia
volont. Come un corpo vecchio che si libera dello spirito ne abbandonato, riuta di
obbedirgli. Il corpo che diventa un fardello. Ridevano mentre il mio volto
si colorava di rosso per mancanza di ossigeno (la naturalezza delle classi popolari, la
semplicit delle persone da poco a cui piaceridere, sempre di buon umore).Mi
venivano le lacrime agliocchi, mi si confondeva la vistacome quando va di traverso
lasaliva o un boccone. Non sapevano che era il senso di soocamento che mi faceva
lacrimare, pensavano che piangessi. Perdevano la pazienza.
Ho sentito il loro alito quando mi si sono accostati,quellodore di latte inacidito,
dianimale morto.
I denti, come imiei, probabilmente non venivano mai lavati. Le madri,nel paese, non
tenevano moltoalligiene orale dei gli. Il dentista costava troppo caro ela mancanza di
denaro niva sempre per trasformarsi in scelta. Le madri dicevano In ogni caso ci sono
cose pi importanti nella vita. Soro ancor oggi di atroci dolori, dinotti insonni, per
questanegligenza della mia famiglia,della mia classe sociale, e annidopo, arrivando a
Parigi, allaNormale, avrei sentito dei compagni domandarmi Ma perch i tuoi genitori
non ti hanno portato da un ortodontista. Le mie bugie. Avrei rispostoche i miei
genitori, intellettuali un po troppo sognatori, si erano tanto preoccupati dellamia
formazione letteraria da trascurare per essa la mia salute.
Nel corridoio, il grande coicapelli rossi e il piccolo con laschiena curva gridavano. Le
ingiurie si succedevano ai colpi, e il mio silenzio, sempre.Frocio, checca,
invertito,culattone (culo allegro), pederasta, inculato, busone,ricchione, finocchio,
sodomita,rottinculo, bardassa, zia e poi omosessuale e gay. A volte ci incrociavamo
sulle scale pienedi studenti, o altrove, in mezzoal cortile. Non potevanopicchiarmi
davanti a tutti, nonerano cos stupidi, rischiavano di essere sospesi. Si
accontentavano di uningiuria,tipo frocio (o una cosa simile).Nessuno ci badava,

intorno ame, ma tutti sentivano. Penso che tutti sentissero perch miricordo dei
sorrisi di soddisfazione che comparivanosulla faccia degli altri in cortile
o in corridoio, come per il piacere di vedere il grande coicapelli rossi e il piccolo con
laschiena curva fare giustizia,dire quello che tutti pensavanoin segreto e
sussurravano al mio passaggio, quello che sentivo Guarda, Bellegueule, il frocio.
1 Il cognome del protagonista, Bellegueule, in francese signica bellimbusto,
spaccone, faccia tosta. (N.d.R.)
MIO PADRE
C mio padre. Nel 1967, anno della sua nascita, le donne del paese non andavano
ancora allospedale. Partorivano in casa. Quando lha messo al mondo, sua madre era
sul canapimpregnato di polvere, di pelidi cane e di gatto, di sporcizia a causa delle
scarpe sempre coperte di fango che non vengono lasciate nellingresso.Nel paese ci
sono delle strade,naturalmente, ma anche numerosi sentieri sterrati, che siusano
ancora, dove i bambinivanno a giocare, mulattiere diterra e ghiaia che costeggiano
icampi, viottoli di terra battutache nei giorni di pioggia diventano simili a sabbie
mobili.
Prima della scuola andavo pi volte alla settimana in bicisui sentieri sterrati.
Attaccavo un pezzo di cartoncino ai raggi della bici perch facesse un rumore da moto
quando pedalavo.
Il padre di mio padre bevevamolto, pastis e vino in damigiane da cinque litri, come la
maggior parte degli uomini del paese. Lalcol che vanno a cercare nella drogheria, che
svolge anche lefunzioni di ca e di tabaccheria, di rivendita di pane. possibile
acquistarequalcosa a qualsiasi ora, bastabussare alla porta dei padroni.Sono al
vostro servizio.
Suo padre beveva molto e, una volta ubriaco, picchiava sua madre: si girava
allimprovviso verso di lei e lainsultava, le tirava tutto ci che aveva sottomano, a
volteperno la sedia, e poi la picchiava. Mio padre, troppo piccolo, prigioniero nel suo
corpo di bambino gracile, li guardava impotente.Accumulava odio in silenzio.
Tutto questo non me lo diceva. Mio padre non parlava, tanto meno di questecose. Lo
faceva mia madre, era il suo ruolo di donna.
Una mattina mio padreaveva cinque anni suo padre se n andato per
sempre,senza preavviso. Mia nonna, laquale pure tramandava le storie di famiglia
(sempreruolo delle donne), me lavevaraccontato. Ne rideva, anni dopo, lieta,
nalmente, di essersi liberata di suo marito uscito una mattina per andare allavoro
in fabbrica e non mai tornato per cena, labbiamo aspettato. Era operaio in
fabbrica, era lui che portava a casa lo stipendio e con la sua scomparsa la famiglia si
trovata senza soldi, a malapena di che mangiare, consei o sette bambini.
Mio padre non ha mai dimenticato, diceva davanti a me Quello schifoso glio di
puttana che ci ha abbandonato,che ha lasciato mia madre senza niente, io gli piscio
in testa.
Quando il padre di mio padre morto, trentacinque anni dopo, quel giornoeravamo
in salotto, davanti al televisore, in famiglia.
Mio padre ha ricevuto una telefonata da sua sorella, o dallospizio in cui il suo
genitore ha concluso i suoi giorni. La persona al telefonogli ha detto Tuo -Suo padre
morto stamattina, un cancro, e soprattutto unanca rotta in seguito a un incidente, la
feritainfettata, abbiamo tentato il possibile ma non siamo riusciti asalvarlo. Si era
arrampicato su un albero per tagliarne i ramie aveva tagliato quello su cuistava

seduto. I miei genitori ridevano talmente forte quando quella persona ha detto cos al
telefono che hanno avuto bisogno di tempo per riprendere ato. Doveva proprio
tagliare il ramo su cui stava seduto, quel cretino!
Lincidente, lanca rotta. Appena avvertito, mio padre ha avuto unesplosione di gioia,
ha detto a mia madre crepato, nalmente, quella merda. E poi: Prender una
bottiglia per festeggiare. Festeggiava i suoi quarantannidi l a pochi giorni e non
mai parso tanto felice, diceva checerano due cose, due occasionida festeggiare a
pochi giorni didistanza una dallaltra. Ho passato la sera con loro, sorridendo come
un bambino che imita latteggiamento dei genitori senza sapere aatto perch (anche
quando mia madre piangeva la imitavo senza capire perch: piangevo). Mio padre
aveva perno pensato di comprare una bibita per me e quei biscottini salati per i quali
andavo pazzo. Non ho mai capito se abbia soerto, silenziosamente, se sorridesse
allannuncio della morte di suo padre come si pu sorridere quando si ricevono degli
sputiin faccia.
Mio padre aveva smesso diandare a scuola giovanissimo.Aveva preferito le serate
danzanti nei paesi vicini e lerisse che immancabilmente le accompagnavano, i giri in
motorino si diceva ptrolette no agli stagni dove passavagiorni interi a pescare, le
giornate in ocina a modicare il motorino, truccarlo, per renderlo pi potente, pi
veloce. Anche quando andava a scuola ne era comunque quasicompletamente
escluso a causadelle sue provocazioni verso gliinsegnanti, degli insulti, delle assenze.
Parlava molto delle risse Ero un duro a quindici o sedici anni,mi battevo in
continuazione a scuola o ai balli e ci prendevamodelle solenni sbronze, con i
mieicompagni. Non avevamo niente da perdere, ci divertivamo ed vero, a quei tempi
se la fabbricami licenziava, ne trovavo unaltra, non come adesso.
Aveva eettivamente interrotto gli studi per farsi assumere come operaio nella fabbrica
del paese, che costruiva pezzi di ottone, comesuo padre, suo nonno e il suobisnonno
prima di lui.
I duri del paese, che incarnavano tutti i valori maschili tanto celebrati, riutavano di
piegarsi alla disciplina scolastica e per lui era importante essere stato unduro.
Quando mio padrediceva di uno dei miei fratelli o dei miei cugini che era un
duro,sentivo lammirazione nella sua voce.
Mia madre un giorno gli haannunciato di essere incinta. Erano i primi anni novanta.
Avrebbe avuto un maschio, me,il loro primo glio. Mia madre ne aveva gi altri due dal
primo matrimonio, il mio fratello maggiore e la mia sorella maggiore; concepiti col suo
primo marito, alcolizzato,morto di cirrosi epatica e ritrovato giorni dopo, steso aterra,
il corpo mezzo in decomposizione e formicolantedi vermi, soprattutto la guancia in
decomposizione chelasciava intravedere le ossa della mascella dove si agitavano le
larve, un buco, l,delle dimensioni di una pallada golf, in mezzo al volto cereo e
giallastro. Mio padre ne stato molto lieto. Nel paesenon era importante solo
esserestato un duro, ma anche saper rendere i gli dei duri. Un padre rinforzava la
propria identit maschile attraverso i suoi gli, ai quali doveva trasmettere i propri
valori virili, e mio padre lavrebbe fatto, avrebbe fatto di me unduro, era la sua erezza
di uomo a essere in gioco. Avevadeciso di chiamarmi Eddy pervia delle serie
americane che guardava alla televisione (sempre la televisione). Con il cognome che
mi trasmetteva,Bellegueule, e tutto il passatodi cui questo nome era carico,
mi sarei dunque chiamato EddyBellegueule. Un nome da duro.
LE MOINE
Molto presto ho infranto le speranze e i sogni di mio padre. Il mio problema
statodiagnosticato n dai primi mesi di vita. Sembrava che fossi nato cos, nessuno ha

maicapito lorigine, la genesi, da dove veniva quella forza sconosciuta che si era
impadronita di me alla nascita, che mi rendeva prigioniero delmio stesso corpo.
Quando ho incominciato a esprimermi, a parlare, la mia voce ha spontaneamente
assunto intonazioni femminili. Era piacuta di quella degli altri bambini. Ogni volta
che prendevo la parola le mie mani si agitavanofreneticamente in tutti i sensi,si
torcevano, rimestavano laria.
I miei genitori parlavano diarie, mi dicevano Smettila con le tue arie. Si chiedevano
Perch Eddy si comporta come una femmina. Mi ordinavano Calmati, non riesci
proprio a smetterla con quelle gesticolazioni da pazzo. Pensavano che avessi scelto di
essere eeminato, come unestetica di me stesso seguitaper far loro dispiacere.
Ma anchio ignoravo le causedi ci che ero. Ero dominato,prigioniero di quelle moine
e non sceglievo aatto quellavoce acuta. Non sceglievo n ilmodo di camminare,
lancheggiare a destra e a sinistra quando mi spostavo, pronunciato, troppo
pronunciato, n le gridastridule che sfuggivano dal miocorpo, che io non emettevo
mache mi scappavano, letteralmente, dalla gola quandero sorpreso, rapito o
spaventato.
Regolarmente andavo nella camera dei ragazzi, buia perch non avevamo la luce
inquel locale (non cerano abbastanza soldi per mettere una vera illuminazione, per
appendere un lampadario o una semplice lampadina: la camera disponeva solo di
unalampada da tavolo).
Tiravo fuori i vestiti di mia sorella e me li mettevo per slare, provando tutto quelloche
potevo provare: le gonnecorte, lunghe, a pois o a righe,le magliette attillate,
scollate,usate, bucate, i reggiseni di pizzo o imbottiti.
Quelle rappresentazioni, di cui ero lunico spettatore, mi sembravano allora le pi
bellea cui mi fosse dato di assistere.
Avrei pianto di gioia, tanto mitrovavo bello. Il mio cuore avrebbe potuto
scoppiare,tanto il suo ritmo accelerava.
Dopo il momento di euforiadel dfil, senza ato, mi sentivo improvvisamente idiota,
sporcato dai vestiti femminili che avevo addosso, anzi non solo idiota ma disgustato
da me stesso,stordito da quel soprassalto difollia che mi aveva spinto a travestirmi,
come nei giorni incui lubriachezza o la mancanza di inibizioni portano a
comportamenti ridicoli, di cuici si pente lindomani, allorchgli eetti dellalcol
svanisconoe dei nostri atti resta solo un ricordo doloroso e vergognoso.Immaginavo di
fare a pezzi quei vestiti, bruciarli,seppellirli dove nessuno passamai.
Anche i miei gusti erano istintivamente femminili senza che sapessi o capissi
perch.Amavo il teatro, le cantanti divariet, le bambole, mentre imiei fratelli (e in un
certo senso anche le mie sorelle) preferivano i videogiochi, il rap e il calcio.
Man mano che crescevo sentivo gli sguardi sempre pipesanti di mio padre su di
me,il terrore che montava in lui, la sua impotenza di fronte al mostro che aveva
creato e che,ogni giorno, confermava un po di pi la propria anomalia.Mia madre
sembrava incapacedi arontare la situazione e ben presto ha gettato le armi.Ho spesso
creduto che un giorno se ne sarebbe andata lasciando semplicemente un biglietto sul
tavolo perspiegare che non ce la facevapi, che non aveva mai volutoquesta cosa, un
glio come me,non era pronta a vivere questavita e reclamava il suo diritto ad
abbandonarci.

In altri momenti ho creduto che i miei genitori mi avrebbero portatolungo una strada
o in mezzo a un bosco e mi avrebbero lasciato l, solo, come si fa congli animali (e
sapevo che nonlavrebbero fatto, che era impossibile, non sarebbero arrivati a questo
punto; ma ci pensavo).
Smarriti di fronte a quella creatura che non comprendevano, i miei genitorisi
accanivano nel tentativo di riportarmi sulla retta via. Si arrabbiavano, mi dicevano
Gli manca una rotella, c qualcosache non va nella sua testa. Per lo pi mi dicevano
femminuccia,e femminuccia era di gran lungalinsulto peggiore, per loro losi capiva
dal tono con cui lodicevano quello che esprimeva il massimo disgusto, molto pi di
scemo o cretino. In un mondo in cui i valori maschili erano considerati i
piimportanti, perno mia madresi vantava Ho i coglioni, io, nessuno me la fa.
Mio padre pensava che il calcio mi avrebbe indurito e mi aveva proposto di praticarlo,
come lui da ragazzo, come i miei cugini e i miei fratelli. Mi ero opposto: a quellet gi
volevo fare danza, come mia sorella. Mi immaginavo sul palcoscenico, sognavo
collant, paillette, folle acclamanti cheio salutavo, soddisfatto, coperto di sudore ma
consapevole dellonta che ci rappresentava non lavevo maichiesto. Un altro ragazzo
del paese, Maxime, che faceva danza perch i suoi genitori, senza che nessuno
sapesse perch, lo obbligavano, era vittima delle prese in giro deglialtri. Veniva
chiamato Ballerina.
Mio padre mi aveva implorato Almeno gratuito esarai insieme a tuo cugino, ai
compagni del paese. Prova. Per favore prova.
Avevo accettato di andare una volta, pi per timore dellerappresaglie che per
desideriodi fargli piacere.
Sono andato e tornato prima degli altri, perch dopolallenamento dovevamo andare
nello spogliatoio per cambiarci. Ora scoprivo, con orrore e spavento (avreidovuto
pensarci, queste cose lesanno tutti), che le docce eranocomuni. Sono tornato e gli
hodetto che non potevo continuare Non voglio pi farlo,non mi piace il calcio, non fa
per me. Ha insistito per un po, prima di rinunciare.
Ero con lui, stavamo andando al bar, quando ha incrociato il presidente della
squadra di calcio, detto la Pipa.
La Pipa gli ha chiesto, con laria che assumono le persone quando sono stupite, un
sopracciglio alzato, Ma perchtuo glio non viene pi. Ho visto mio padre abbassare gli
occhi ebalbettare una bugia Ah, non sta molto bene provando, in quel momento, la
sensazione inspiegabile che coglie un bambino di fronte alla vergogna pubblica dei
suoi genitori, come se il mondo perdesse in un istante tutti i suoi fondamenti e il suo
signicato. Mio padre ha capito che la Pipa non gli aveva creduto, ha tentato di
rimediare E poi lo sai, un po particolare, Eddy, cio non particolare, un po strano,
a lui piace guardare tranquillo la TV. Ha nito per assumere unariadesolata, gli occhi
sfuggenti
Insomma non gli piace molto il calcio, credo.
Fuori di casa, nel paese delNord in cui sono cresciuto,credo di poter dire che ero
unragazzino piuttostoapprezzato. E poi cerano tuttele cose che si dicono di
uninfanzia in campagna, cosepiacevoli: le lunghe passeggiate nei boschi, le capanne
che ci costruivamo, ilcaminetto, il latte caldo appena munto, le gare a nascondino nei
campi di mais, il silenzio rassicurante dei vicoli, la vecchia signora che distribuiva
caramelle, i meli, ipruni, i peri in tutti i giardini,lesplosione di colori in autunno, le
foglie che coprivano le strade, i piediimpigliati, prigionieri di quellemontagne di foglie;
le castagneche cadevano nello stesso periodo, dautunno, le battaglie che

organizzavamo. Le castagne facevano molto male, tornavo a casa coperto di lividi, ma


non mi lamentavo, al contrario. Mia
madre diceva Spero che tu abbiafatto pi lividi agli altri, cos chesi capisce chi ha
vinto.
Non di rado sentivo dire un po particolare il giovane Bellegueule o provocavo dei
sorrisi ironici in quelli a cui mirivolgevo. Ma in fondo, essendo lo strano del paese,
leeminato, suscitavo una forma di fascinazione divertita che mi proteggeva, come
Jordan, il mio vicino martinicano, unico nero nel raggio di chilometri, a cui dicevano
vero che non amo i
neri, non si vede altro adesso, creano solo problemi, fanno la guerra nei loro paesi o
vengonoqui a bruciare le macchine, matu, Jordan, tu vai bene, tu nonsei cos, a te
vogliamo bene.
Le donne del paese si congratulavano con mia madre ben educato tuo glio Eddy,
non come gli altri, si vede subito. E mia madre ne era era, a sua volta si
congratulava con me.
A SCUOLA
La scuola media pi vicina,che si raggiungeva in autobus,a quindici chilometri dal
paese,era un grande edicio fatto diacciaio e di quei mattoni colorporpora che fanno
pensare alle citt e ai paesaggi operai delNord, con le case strette,stipate una
sullaltra (lo fanno pensare a chi non ci sta, a chi non ci vive. Agli operai del Nord, a
mio padre, mio zio, mia zia, a loro non fanno pensare un bel niente. Evocano
piuttosto il disgusto della vitaquotidiana, al massimo unindierenza tetra). Quelle
case, quei grandi edici rossastri, quelle fabbriche austere dalle ciminiere vertiginose
che sputano in continuazione, senza sosta, unfumo compatto, pesante, di un bianco
squillante. Se la scuola e la fabbrica erano perfettamente simili, perch dalluna
allaltra non cera che un passo. La maggior parte dei bambini, soprattutto i
duri,uscivano da scuola per entraredirettamente in fabbrica. Vi ritrovavano gli stessi
mattoni rossi, le stesse lastre dacciaio,le stesse persone con cui erano cresciuti.
Mia madre un giorno mi aveva messo di fronte allevidenza. Io non capivo e le avevo
chiesto, a quattro o cinque anni, con il candore delle domande che fanno bambini, la
brutalit che spinge gli adulti a gettare neldimenticatoio le domande che,essendo le
pi essenziali, paiono le pi futili:
Mamma, di notte si fermano anche loro, dormono anche loro,le fabbriche?
No, la fabbrica non dorme. Non dorme mai. per questo cheogni tanto il pap e tuo
fratellogrande vanno al lavoro di notte,per fare in modo che la fabbricanon si fermi.
E io allora, dovr andare anchio in fabbrica di notte?
S.
A scuola tutto cambiato. Mi sono trovato circondato da persone che non conoscevo.
Lamia diversit, quel modo di parlare da femmina, il mio modo di muovermi, le mie
posture, mettevano in discussione tutti i valori della loro formazione da duri. Un
giorno, in cortile, Maxime, unaltro Maxime, mi aveva chiestodi correre davanti a lui e
ai ragazzi con cui stava. Aveva detto Vedrete come corre da frocio assicurando loro,
giurando che avrebbero riso.
Siccome mi ero riutato, avevaprecisato che non avevo scelta,che lavrei pagata se non
avessi obbedito Ti spacco la faccia se non lo fai. Ho corso davanti a loro, umiliato,
provando la voglia di piangere, una sensazione come se le gambe pesassero dei

quintali e ogni passo fosse lultimo che riuscivo a fare, tanto erano pesanti, come le
gambe di uno che corra controcorrente in un mare agitato. Hanno riso.
Dal momento del mio arrivo
a scuola ho vagato tutti i giorniin cortile per cercare di avvicinare gli altri studenti.
Nessuno voleva parlare con me: lo stigma era contagioso;essere lamico del frocio
veniva visto male.
Vagavo senza far capire che vagavo, avanzavo con passo deciso, dando sempre
limpressione di avere una meta precisa, di dirigermi daqualche parte, tanto che era
impossibile per chiunque accorgersi dellemarginazione di cui ero oggetto.
Quel vagare non poteva durare, lo sapevo. Avevo trovato un rifugio nel corridoioche
portava alla biblioteca, deserto, e mi ci rifugiavosempre pi spesso, poi tutti igiorni,
senza eccezione. Per timore di essere visto, solo, mentre aspettavo la ne
dellintervallo, mi impegnavosempre a frugare nella cartellaquando passava
qualcuno,come se cercassi qualcosa, perfar credere di essere occupato eche la mia
presenza in quel luogo non era destinata a durare.
Nel corridoio sono comparsi idue ragazzi, il primo, grande,coi capelli rossi,
laltro,piccolo, con la schiena curva.Quello grande coi capelli rossimi ha sputato in
faccia Beccati questo.
IL DOLORE
Sono tornati. Apprezzavano la tranquillit del luogo, doverano sicuri di trovarmi
senza correre il rischio di essere sorpresi dalla sorvegliante. Mi aspettavanotutti i
giorni. E tutti i giorni ioritornavo, come se ci fossimodati appuntamento, come se
avessimo stipulato un patto silenzioso. Non andavo ad arontarli. Non era n il
coraggio n una qualche formadi temerariet che mi spingeva a entrare nel corridoio
un piccolo corridoio con le paretibianche e scrostate, con lodoredei detersivi
industriali utilizzati negli ospedali e negli uffici pubblici.
Soltanto questa idea: l, nessuno ci avrebbe visti, nessuno avrebbe saputo. Dovevo
evitare di essere picchiato altrove, in cortile, davanti agli altri, dovevo evitare che gli
altri bambini miconsiderassero quello che si lascia picchiare. Si sarebbero confermati
nei loro sospetti:
Bellegueule un frocio perch silascia picchiare (o viceversa,non importa). Preferivo
dare di me unimmagine di ragazzo felice. Diventavo il miglior alleato del silenzio e, in
un certo senso, il complice di quella violenza (e non posso fare a meno di
interrogarmi,anni dopo, sul signicato dellaparola complicit, sulle frontiere che
separano la complicit dalla partecipazioneattiva, dallinnocenza,dallindifferenza,
dalla paura).
Nel corridoio li sentivo avvicinarsi, come mia madre me laveva raccontato un
giorno, non so se fosse vero icani che riescono a riconoscere il passo del padrone fra
millealtri, a distanze appena immaginabili per un essere umano.
Un schio mi lacera timpani quando la testa urta contro il muro di mattoni, fatico a
mantenere lequilibrio. lepoca in cui interminabili mal di testa mi paralizzano
pergiorni interi. Pensando, gi a quellet, che la mia vita sarebbe stata breve, mi
immaginavo vittima di un tumore al cervello (unagiovane donna che avevo
vistomorire lentamente al paese. Prima magra e alta, poi allimprovviso, in
pochesettimane, perdendo i capelli eaumentando di peso. Semprepi rattrappita su

se stessa eben presto portata in giro su una sedia a rotelle dal marito. Sfigurata e
incapace di parlare,mor durante quel primo annoalle medie, linverno dei mieidieci
anni).
Mi tirano i capelli, sempre lalancinante melodia dellinsulto frocio, culattone. Le
vertigini, i ciu di capelli biondi nelle loro mani. La paura, quindi, dipiangere e di farli
arrabbiareancora di pi.
Pensavo che avrei nito perabituarmi al dolore. In un certo senso gli uomini si
abituano al dolore, come gli operai si abituano al mal di schiena. A volte, s, il dolore
riprende ilsopravvento. Non si abituano cos tanto, vi si adeguano,imparano a
nasconderlo. I mieiricordi di mio padre che,rattrappito dal dolore, urlava,lanciava
grida penetranti nellastanza vicina a causa dei suoi problemi di schiena, tutta notte,
piangeva perno, e il medico che veniva a fargli delle iniezioni di cortisone prima delle
domande ansiose di mia madre Ma come faremo a pagare il dottore. Mia madre che
diceva (anche) Il mal di schiena in famiglia genetico e con la fabbrica dura senza
rendersi conto che quei problemi erano non la causa, ma la conseguenza della natura
massacrante del lavoro in fabbrica.
Le cassiere questo il mestiere riservato alle donne,gli uomini lo trovano
degradante si abituano ai polsi, alle mani che si paralizzano, alle articolazioni
rovinate, allet in cui altri iniziano gli studi e vanno a fare i weekend, come se la
giovinezza non fosse aatto undato biologico, una semplicequestione di et o di fase
dellavita, ma piuttosto una sorta diprivilegio riservato a quelli che possono per la
loro situazione godere di tutte queste esperienze, di tutti gliaetti che raggruppiamo
sottoil termine di adolescenza. La mia cugina cassiera, come molte altre ragazze del
paese edei paesi vicini che facevano le cassiere, gi a venticinque annimi raccontava
che non ne poteva pi Non ne posso pi.
Sono a pezzi senza troppo lamentarsi, tuttavia, aggiungeva sistematicamente che
aveva la fortuna di lavorare, che non era una fannullona Non possolamentarmi,
conosco gente che senza lavoro o che fa mestieri ancora pi duri, non sono
unamangiapane a ufo, vado al lavorotutti i giorni, sono sempre in orario. Alla sera
doveva immergere le mani nellacqua tiepida per distendere le articolazioni doloranti,
la malattia delle cassiere. Le notti agitate a causa del corpo bloccato dai dolori Ho
dolori se mi alzo se mi abbasso se mi alzo se mi abbasso. Non ci si abitua cos al
dolore.
Quello grande rosso e laltrocon la schiena curva mi danno un ultimo colpo. Se ne
andavano allimprovviso.Subito parlavano daltro. Frasiquotidiane, insipide e questo
contrasto mi feriva: contavo meno, nella loro vita, di quanto loro contassero nella
mia. Io che consacravo loro tutti i miei pensieri, le mie angosce, dal momento in cui
mi svegliavo. La loro capacitdi dimenticarmi cos velocemente mi offendeva.
IL RUOLO DELLUOMO
Non so se i ragazzi del corridoio avrebbero denito violento il loro comportamento. Nel
paese, gliuomini non usavano mai questa parola, nella loro boccaera inesistente. Per
un uomo la violenza era una cosa naturale,ovvia.
Come tutti gli uomini del paese, mio padre era violento.Come tutte le donne, mia
madre si lamentava della violenza di suo marito. Si lamentava soprattutto del
comportamento di mio padre quando era ubriaco Tuo padre non si sa mai cosa
aspettarsi quando ha preso una sbronza. Una volta ha la sbornia sentimentale e mi

fa incazzare mi si appiccica e mi ubriaca anche me con i suoi baci e i suoi Ti amo


passerotto, una volta hala sbornia cattiva. Cio, la
maggior parte delle volte ha la sbornia cattiva, e io non ne possopi, perch continua
a chiamarmicicciona, bufalo, vecchia. Si accanisce su di me. A volte,come la sera di
Natale in cui mio fratello pi piccolo lavevairritato chiedendogli di cambiare canale
alla TV, il suocattivo umore si tramutava in furia. In quelle occasioni si alzava in
piedi. Restava fermo,immobile al suo posto. Stringeva forte i pugni e la faccia gli
diventava improvvisamente violacea.
E poi: lacrime che gli riempivanogli occhi (scendono solo quando ubriaco, altrimenti
satrattenersi, fare luomo, non piangere) e borbottii incomprensibili. Si metteva a
girare intorno al tavolo, a passeggiare. Non a passeggiare come chi si annoia, o chi
riette, ma piuttosto come chinon sa cosa fare della propria collera. Allora si accostava
a un muro, un po a caso, e lo colpiva forte con un pugno. Dopo ventanni di vita in
quella casa, i muri erano pieni di buchi. Mia madre li nascondeva con i disegni che il
mio fratellino e la mia sorellina le portavano dalla scuola materna. Le sue
dita,marroni a causa dellargilla del muro, si mettevano a sanguinare. Lui si scusava
Anche se mi arrabbio non dovete aver paura, paura di me, vi vogliobene, siete i miei
gli e mia moglie, non dovete preoccuparvi,picchio solo i muri, non picchiereimai mia
moglie e i miei gli, posso bucare tutti i muri della casa ma non farei mai come quel
bastardo di mio padre che si sfogava a botte sulla famiglia.
La sua ossessione di tenere a distanza limmagine del proprio padre lo portava a
prendersela molto con il mio fratello maggiore, che era violento, lui s, anche in
famiglia. Giudicava il suo comportamento con severit, o con una sorta di odio. Mio
fratello, dopo aver ottenuto ildiploma professionale di manutentore, aveva smesso
diandare a scuola e ben presto si era messo a bere. Aveva la sbornia cattiva.
Lavevamo saputo da una delle ragazze che frequentavada parecchi mesi. Aveva
telefonato ai miei genitori inpiena notte e aveva insistito no a svegliarli. Aveva
risposto mia madre. Non essendoci porte, lavevo sentitaparlare in cucina (sala, sala
dapranzo). Chiedeva di ripetere, sindignava, Cosa, eh, ripeti, ma non vero, ah che
stronzo. E poi grida,esclamazioni di ogni tipo.
Ha chiamato mio padre, sconvolta, scioccata. Era la prima volta che succedeva,
laprima di uninterminabile seriedi scene perfettamente simili fin nei minimi
dettagli.
Gridava Svegliati, ne ha combinata unaltra delle sue, mastavolta una cosa grave,
moltograve. Ha bevuto e ha picchiatola sua ragazza, mi ha detto al telefono Sono
piena di lividi e diferite, mi ha quasi sgurata, mi ha detto Amo sinceramente suo glio,
la rispetto e non vogliodarle dei problemi, ma in questo caso devo sporgere denuncia,
sono obbligata a farlo, perch hoanche dei gli, e se picchia me,va bene, passi, ma i
miei gli no,ho paura per i miei bambini.
Sa,suo glio quando beve violento,mi picchia, non la prima volta,ma questa volta
andato troppoin l. Prima non le dicevo niente perch non volevo farla preoccupare.
La compagna di mio fratello era andata da un medico per fargli constatare lebotte che
aveva preso, gli ematomi che costellavano il suo corpo. Ha sporto denunciae mio
fratello ha dovuto fare ancora una volta dei lavori socialmente utili.
La mia sorella maggiore aveva vissuto lesperienzaopposta. Era come se tra lei emio
fratello, tra maschile e femminile, si fosse delineata una perfetta simmetria speculare.
Lei si era legata aun ragazzo che viveva qualchevia pi in l le ragazze di paese

spesso passano la vita con i ragazzi del paese, o chevivono a pochi chilometri di
distanza. Lui veniva a trovarla in motorino, quando ancora non aveva la macchina. Il
motorino era un mezzo con cui duri rimorchiavano,impressionavano le ragazze
andando su una ruota sola o facendo le sbandate davanti a loro, facendole salire
dietro Hai visto mica male la mia moto.
Erano andati ben presto a vivere insieme, in un appartamentino sempre in paese,
sempre a poche vie didistanza. Lui non lavorava. Mia madre non tollerava quella
relazione, considerava indecente che una donna dovesse provvedere ai bisognidi un
uomo Non pu mica vivere con un fannullone che campaalle sue spalle e si approtta
dei suoi soldi. lui luomo di casa.
stata mia madre ad accorgersi delle botte che quel ragazzo dava a mia sorella.
Tornava dalla panetteria del paese dove mia sorella lavorava come commessa. Mia
madre laveva trovata strana,per niente in forma, livida Era bianca come il mio culo,e
diceva Credo, non sono sicura ma non sono neanche pazza,sono quasi sicura perch
miaglia, le ho cambiato i pannolini,capisco subito se c qualcosa che non va. Non
sono unidiota. Ho visto che aveva un segno sottoallocchio, come se lui le avessedato
un pugno.
Il giorno dopo mia sorella venuta a trovare i miei. A guardare un lm, a scambiaredue
parole con mia madre Almeno tra donne possiamo parlare di vestiti. Aveva
eettivamente un segno viola e giallastro sotto locchio destro. I miei hanno mantenuto
il silenzio per qualche minuto, quandarrivata, prima che mio padredicesse
sarebbe pi correttodire prima che esplodesse ma in modo falsamente calmo,senza
alzare la voce, con una sorta di brutalit repressa, diviolenza controllata E cos quel
segno che hai sotto locchio?
Il panico nello sguardo di miasorella, i suoi balbettii. Ancor prima che dicesse una
parolasapevamo tutti che stava per mentire. Ha detto che era una sciocchezza Non
niente ho urtato contro un mobile cadendo dalle scale, e poi ha aggiuntouna battuta
per mascherare ilproprio imbarazzo perch gisi era accorta che noi sapevamo che
stava mentendo Insomma mi conoscete, sono sempre distratta, sono proprio
undisastro certe volte.
Mio padre continuava a guardarla, sempre pi irritato, sempremeno capace di
mascherare il suo stato danimo. La rabbia gli deformava il viso come quando
prendeva a pugni ilmuro. Le ha chiesto se lo stava prendendo in giro. Diceva che non
lavrebbe pi voluta vedere, se continuava a frequentare quel ragazzo, e non lha pi
vista per parecchimesi. Noi sapevamo che la suareazione era sproporzionata: mia
sorella non era responsabile. Ma lui ancora una volta non era riuscito a controllarsi.
Del resto, non si sforzava gran che, anzi se nevantava Io sono un tipo nervoso,non mi
lascio menare per il naso e quando mi arrabbio mi arrabbio.
Era il suo ruolo di uomo. Amava soprattutto le occasioni in cui era mia madre a
farsene carico, era lei a dire Cosa vuoi, cos, Jacky un uomo, gli uomini sono fatti
cos,si arrabbia facilmente, non pucalmarsi troppo alla svelta. In queste occasioni
faceva nta dinon sentire mia madre, ma unsorriso orgoglioso gli si disegnava sulle
labbra.
Una sola volta si era trovato in dicolt col suo ruolo di duro, a causa di un
litigioscoppiato fra lui e mio fratello,perch, come ho gi detto, miopadre si faceva un
puntodonore di non alzare le mani sui familiari, al contrario di suo padre.
Rientravamo dalla sagra chesi teneva al paese in settembre(giusto un paio di giostre,
nonla grande festa che si potrebbeimmaginare). La sagra era soprattutto il momento

dellanno in cui gli uomini potevano bere no a notte fonda senza doversi giustificare
con le mogli, che, era la situazione classica in tutti glialtri casi, andavano a cercare
imariti al bar quando facevanotardi E i tuoi gli che ti aspettano per mangiare, e la
paga della fabbrica che sprechi per sbevazzare.
Quella sera della sagra mio padre era rimasto al bar con ilmio fratello maggiore e con
laltro, il pi piccolo.
Io non ero con loro a causa dellorrore che mi ispirava quelluogo dove gli ubriachi
commentavano lattualit e le ultime storie del paese. E il loro ato da avvinazzati
quando mi parlavano e mi coprivano la faccia di schizzi disaliva, come fanno gli
ubriachi,che ogni volta, quasi senza eccezione, niscono per esprimere il loro odio nei
confronti degli omosessuali.
Mio padre e il mio fratello maggiore bevevano insieme quando a un tratto il mio
fratello minore scomparso.Lhanno chiamato. Non si sono preoccupati subito, si
sono detti che probabilmente era a far scoppiare i petardi di anco alle giostre, come
avevano fatto loro anni prima.Le stesse esperienze che riproducevano fedelmente
gliabitanti del paese, generazionedopo generazione, e la loro resistenza a ogni forma
di cambiamento Non c niente di meglio per divertirsi davvero.
A poco a poco la sagra si svuotata, il bar anche. Rimaneva solo una manciata di
persone. Mio padre e mio fratello hanno incominciato allora la loro ricerca nella
notte, mentre si rianimavano gli odori provenienti dai boschituttintorno. Un profumo
di terra fresca, umida, di funghi,di pini. Gridavano il suo nome,Rudy, Rudy, senza
ottenere risposta.
Domandavano agli altri Non lavete visto? dando luogo allimprovviso a una grande
ricerca che ha coinvoltotutti gli abitanti ancora presenti. Li si vedeva dividersiper le
vie del paese, dove sidiondeva come uneco il nome Rudy, Rudy. Il nome si levava da
ogni parte. Tutto il paese si era messo a cantare questo nome e ogni
Rudypronunciato ne faceva nascerealtri, sempre pi numerosi.
Mio padre si preoccupava acausa dei racconti di rapimentidi cui sentiva parlare in
televisione. La pedolia era unmito che tormentava il paese.Ogni volta che al
telegiornalesi parlava di un caso di pedolia nel Nord, dalle nostreparti, i miei mi
proibivano diuscire di casa per vari giorni. A gente simile bisognerebbe strappargli i
coglioni, farglieli mangiare e poi ammazzarli, noncapisco perch abbiano tolto la pena
di morte, stata veramenteuna cazzata, per questo che ci sono sempre pi stupri e
mia madre Ah s, non capisco perch non ammazzino pi questa gentaglia. Mia
madre si era unita alle ricerche, piangeva egridava Ah, glio mio, cosa gli capiter, che
non labbiano rapitoperch si sente sempre pi spessodi gente che rapisce i bambini
epoi li violenta o li uccide.
Finalmente qualcuno ci ha chiamato.
Il mio fratellino era davanti a casa nostra, seduto sul gradino. Ha detto che era
stanco. Era andato l a riposarsi in attesa che tornassero gli altri. I miei genitori
piangevano. Hanno preso Rudy fra le braccia dicendogli di non farlo pi. Laltro mio
fratello, il pigrande, si arrabbiato. Avevabevuto troppo.
Ha interrogatoinsistentemente Rudy: perch aveva fatto una cosa del genere? Il mio
fratellino non rispondeva niente, bloccato difronte a quel mostro di carneche era il
mio fratello maggiore, un metro e novanta per centodieci chili, forse di pi, non un
doppio ma un triplo mento che sobbalzava aogni parola. Lui si rivolto aimiei
genitori, rimproverando illoro lassismo Un ceone bisognerebbe dargli, un sacco
dibotte, cos impara, ecco cosa,non c altro modo per diventare un uomo.

Non riusciva n a tacere n a calmarsi, ripetevache lui, da ragazzo, prendeva degli


schia quando si comportava male, non era stato educato allo stesso modo E la vita, e
tutto il resto, era unaltra cosa. Cerano meno soldi ed era una vergogna quando
sifaceva mettere in conto o quandosi andava alla mensa dei poveri aprendere un
pacco di roba da mangiare.
(Noi ci andavamo una volta al mese, a prendereeettivamente i pacchi di cibodistribuiti
alle famiglie pipovere. Diventavo amico dellebenefattrici che, ogni volta, mi davano
sempre delle tavolettedi cioccolato in pi di quelle acui avevamo diritto Ah, ecco
ilnostro Eddy, come va? e i miei genitori che mi imponevano ilsilenzio Non bisogna
dire niente,soprattutto che andiamo alla mensa dei poveri, deve restare infamiglia.
Non si accorgevano che avevo capito da tempo, senza che avessero dovuto dirmelo,
che quella era una vergogna e che non ne avreiparlato per niente al mondo.)
La mensa dei poveri, o quando si mangiava tutti i giorni il pesceche pescava pap
perch non avevamo i soldi per comperare la carne, questo loro non sanno cosa vuol
dire. Che certe volte capitava anche questo, di doverchiedere lelemosina. Mentiva,
lalcol lo spingeva a mentire. Non aveva mai dovuto chiedere lelemosina. Noi siamo
cresciuti fra le ristrettezze, mica come le signorine, e quando combinavamo qualcosa
non ci veniva fatta passare mica cos facilmente. E guardate qua. Si girato verso di
me, gli occhi
iniettati di sangue, la bava chegli colava dalla bocca, e i rutti, come se dovesse
vomitare a ogni parola che pronunciava.
Guardate Eddy, come lavete cresciuto, e com diventato. Si comporta come una
femmina.
Io ho nto sorpresa, come sempre, in modo che gli altripotessero pensare che era la
prima volta che mi rivolgevadelle frasi simili. Un errore di diagnosi. Che mio fratello
era pazzo e se mia madre o mio padre avevano pensato la stessa cosa, doveva essere
una malattia di famiglia.
Tentava di evitare che il mio fratellino diventasse anche lui come me, una femmina. E
io avevo vissuto la stessa angoscia. Il mio fratello maggiore non lo sapeva, ma io non
volevo che Rudy venisse picchiato a scuola ed ero ossessionato dallidea di renderlo
eterosessuale. Avevo intrapreso n da quando era piccolissimo un grande lavoro:gli
ripetevo senza tregua che iragazzi amavano le ragazze, avolte addirittura che
lomosessualit era una cosa disgustosa, decisamente schifosa, che poteva condurre
alla dannazione, allinferno o alla malattia.
A un tratto si scagliato sudi me, gridando Ti ammazzo, ti ammazzo. Mia madre si
gettata su di lui per proteggermi. Quando racconter questa storia, dir che a lei non
gliela fanno, non che siccome una donna si spaventa Io non ho pauraneanche di
un uomo, e s che tuo fratello massiccio, proprio benpiantato, ma io non sono di
quelle senza coglioni, che restanol senza far niente.
Si messa in mezzo e lha bloccato prima che potesse picchiarmi. Cercava di farlo
tacere, gridando pi forte di lui per coprire le sue urla,talmente forte che la sua voce
si lacerava Questo poi no, tu tuofratello non lo tocchi, non gli fainiente, ci
mancherebbe solo questo, che meni tuo fratello. E non venirmi a dire come devo tirar
su i miei gli, ho tirato su cinque gli e non sarai tu a insegnarmi quello che devo fare
oche non devo fare, vedremo quando avrai i tuoi. Mio fratello mi guardava sso e
agitava ipugni, tentando di togliere di mezzo mia madre, che resisteva. Poich mia
madre gliimpediva di raggiungere il suoobiettivo, lha spinta via,prima con calma, poi
con piviolenza o almeno con crescente brutalit.

Tu tuo fratello non lo tocchi, tuo fratello non lo tocchi. Ha alzato la mano su di lei.
stato mio padre, allora, a interporsi. Nonsaprei dire cosaveva fatto no a quel
momento, mentre miamadre tratteneva mio fratello. Penso che gli gridasse anche
luidi smetterla. Sicuramente pensava che mia madre sarebbe riuscita meglio a
calmarlo. Pensava che le donne fossero dotate di un carattere pi dolce di quello degli
uomini, come testimoniavano le scene in cui le mogli separavano i mariti che si
picchiavano davanti albar (Adesso basta, basta con le stupidaggini, smettetela di
azzuffarvi, e i mariti che continuavano a dibattersi mentre le donne li tenevano per le
braccia Gli voglio spaccare la faccia, lo rovino, quello l prima di ritrovare il buon
senso e dire alla moglie Scusa, cara, scusa, non dovevolasciarmi andare cos, ma
statolui a provocarmi, mi ha davveroprovocato, non potevo fargliela passare liscia).
Mio padre ha allontanato mio fratello appena in tempo per impedirgli di colpire mia
madre. Non era tanto la collera quanto quel meccanismo assurdo che lo spingeva a
chiedere a mio fratello cosaveva in testa, perch voleva ammazzarmi e picchiare sua
madre. Poi lha supplicato; io assistevo a questa scena, sconvolto: non ero abituato a
vedere mio padre supplicare qualcuno,tanto meno i suoi gli, a cuiquasi ogni giorno
rammentavala propria autorit In questa casa sono io che comando. Gli ha chiesto di
calmarsi, rassicurandolo: era stato cresciuto nello stesso modo di noi pi piccoli,
aveva avuto lastessa educazione. Gli giurava che non ci aveva mai accordato nessun
privilegio
Non ho fatto dierenze, tra voi anche se non era il padre biologico del mio fratello
maggiore e della mia sorella maggiore. Gli diceva di averli amati quanto noi E quando
nato Eddy gli altri, i miei parenti,dicevano Ah sarai contento,Jacky, il tuo primo glio
e per di pi un maschio, sei fortunato, io rispondevo No, no, Eddy non il mio
primo glio perch ne hoaltri due pi grandi, e non sonogli a met. O si gli o non si
gli, non si pu essere gli a met. Non possibile. Non esisteuna cosa del genere.
Mio fratello Vincent non lo ascoltava. Si incaponiva,urlava, balbettava, mi
lanciavainsulti di ogni tipo durante ilmonologo di mio padre. Era troppo, per lui.
Voleva raggiungere il suo scopo,avermi tra le mani. Mia madre ha percepito il
cambiamento, quellimprovvisa volont di accelerare lazione (quando racconter
questa storia: Io ho capito subito che le cose stavanoper degenerare, Vincent
conoscobene il suo carattere, lho messoal mondo io), mi ha detto di andare in bagno
e chiudermi dentro, chiudere la porta a chiave Eddy corri nel cesso e chiuditi dentro
a chiave. Limpazienza di Vincent ha preso il sopravvento. Ha picchiato mio padre.
Mio padre non voleva difendersi, si riutava di picchiare suo glio.
Ogni tanto gli aveva dato unoschiao, come a me, per punirlo, quando mio fratello gli
rispondeva male, la crisi delladolescenza, ma non voleva picchiarlo in quella
situazione, partecipare a una vera e propria rissa con suo glio. Si lasciato
malmenare per un po, cercando solo di trattenerlo, di ammortizzare ilpi possibile i
colpi. Io ero inbagno, tremante, non ho vistoniente. Mia madre me lha raccontato il
giorno dopo.
Poi la rissa. Mio padre stato costretto a difendersi. Sentivo le voci che si
confondevano, le grida di miamadre che pregava mio fratellodi non picchiare mio
padre, dismetterla, e mio padre, smarrito, in lacrime, che si accontentava di
interrogarelaltro fra due grida di dolore (iproblemi di schiena) Ma cosa ti succede?
Cosa ti succede? Inne Vincent Voi non siete i miei genitori, crepate, non me ne frega
niente, crepate pure.
Non ho pi sentito Vincent.

Era fuggito, avendo compresotutta un tratto la gravit dellasituazione. Quando sono


uscitodal bagno, mio padre singhiozzava, disteso a terra. Non riusciva ad alzarsi, n a
muoversi. Vedevo la tensione nel suo corpo immobile,soprattutto nei suoi occhi,
lche si manifesta la tensione quando il corpo improvvisamente paralizzato, isuoi
vani sforzi per alzarsi Porca puttana non riuscir pi acamminare in vita mia, lo
sento,cazzo lo sento. Mia madre mi ha chiesto, col respiro precipitoso, terrorizzata,
inorridita, come se potessi ancora vedere lombra di Vincent nel suo sguardo, di
aiutarla a rialzare mio padre.Ero abituato a sollevare mio zio paralitico quando
cadeva dal suo letto dospedale. Lo prendevo per le gambe mentre un altro lo
prendeva per le braccia. Abbiamo provato a sollevarlo senza successo. Un bestione,
diceva mia madre. Gridava al minimo spostamento del corpo.
Mia madre mi ha detto che dovevamo chiamare il medico,non cera niente da fare,
miopadre aveva la schiena bloccata e lei lo sapeva, solo leiniezioni potevano dargli
sollievo.
Larrivo del medico, unora dopo. Gli ha fatto delle iniezioni, come aveva predettomia
madre. Mio padre rimasedisteso in quella posizione perpi di dieci giorni e il
medicotornava quotidianamente a fargli le iniezioni e a rassicurarlo Si rimetter,
signor Bellegueule. La sua risposta Ah no, non credo proprio, stavolta,dottore, o
passo tutta la vita come un vegetale, o ci resto addirittura.
Mia madre mi aveva avvertito un pomeriggio, mentre aspettava il medico, che mio
padre desiderava parlarmi. Ne ero sorpreso,abituato comero al silenzio fra noi. Anche
lei aveva assunto un tono stupito, alzando gli occhi al cielo. Sono entrato nella
camera.
Mi sono avvicinato. Mio padre mi ha allungato qualcosa, un anello, la sua vera. Mi ha
detto di metterla,di prendermene cura Perch lo sento, devo dirtelo, il pap staper
morire, lo sento, non mi restapi molto tempo. Bisogna che tidica anche un segreto, e
cio cheti amo, sei mio glio, insomma, il mio primo bambino. Non avevo trovato tutto
questo, al contrario di quanto si potrebbepensare, bello e commovente.Il suo ti amo
mi aveva disgustato, quelle parole avevano per me un carattere incestuoso.
RITRATTO DI MIAMADRE AL MATTINO
C mia madre. Lei non si accorgeva di quello che mi succedeva a scuola. A volte mi
faceva domande con aria distratta, distante, per saperecomera andata la mia
giornata. Non lo faceva spesso,non era da lei. Era madre quasi suo malgrado, una di
quelle madri che sono diventate madri troppo presto. Aveva diciassette anni
quandrimasta incinta. I suoi le hanno detto che il suo non era un comportamento
prudente, n molto maturo Potevi stare pi attenta. Ha dovuto interrompere il suo
corso di cuoca e lasciare la scuola senza diploma. Ho dovuto interrompere gli studi,
ma avevodelle doti, ero molto intelligente e avrei potuto fare degli ottimi studi,
continuare listituto professionale e fare altro, dopo.
come se, in paese, le donne facessero gli per diventare donne, altrimenti non lo
sono davvero. Sono considerate delle lesbiche, dellefrigide.
Le altre donne si interroganoalluscita da scuola. Quella l non ha ancora fatto gli alla
suaet, non normale. Devessere una lesbicona. O una frigida, inscopabile.
In seguito avrei capito che,altrove, una donna realizzata una donna che si prende
curadi s, di se stessa, della sua carriera, che non fa glitroppo presto, troppo

giovane.A volte ha addirittura il diritto di essere lesbica durante ladolescenza, non


troppo a lungo, ma per qualche settimana, qualche giorno, tanto per divertirsi.
Mia sorella, incisiva, dal carattere molto duro (doveva, come mia madre, essere una
donna di carattere per sopravvivere in un mondo maschile), si lamentava di questo
ruolo di madre che mia madre trascurava, rimproverandole di non aver mai fatto
niente loro due insieme, di non aver condivisoniente con lei, tipo andare aigrandi
magazzini e le cose chemadri e glie dovrebbero fareinsieme.
E mia madre che, perla vergogna, si arrabbiava, riutava il dialogo Non rompere o
restava in silenzio di fronte alle osservazioni di mia sorella, prima di confessarmi,
aparte, che non capiva perch mia sorella fosse tanto cattiva con lei, che a lei sarebbe
piaciuto fare shopping, come diceva lei, con sua glia, mache e tua sorella lo sa,
viviamosotto lo stesso tetto, non micastupida la stanchezza glieloimpediva, tutto il
da fare che aveva in casa, occuparsi deibambini pi piccoli, preparareda mangiare e
fare i mestieri, eche in ogni caso sarebbe statoinutile passare le giornate neinegozi,
dato che non poteva comperare niente.
Mia madre fumava molto al mattino. Io avevo lasma e a volte mi coglievano crisi
terribili, che mi gettavano in uno stato pi vicino alla morteche alla vita. Certi giorni
nonriuscivo a prendere sonno senza avere limpressione che non mi sarei pi
risvegliato, dovevo compiere sforzi colossali e indescrivibili per riempire i polmoni con
un poco di ossigeno. Mia madre, quando le dicevo che le sigarette accentuavano le
miedicolt respiratorie, se ne inschiava Dovremmo smettere di fumare, ma tutta la
merda, tutto il fumo che esce dalla fabbrica e che respiriamo non diverso, quindi
non sono le pagliela cosa peggiore, non questo che cambia le cose. Se ne inschiava
e si arrabbiava in continuazione.
Era una donna spesso in collera. Protestava a ogni occasione, tutto il giorno protesta
contro i politici, le riforme che riducono gli aiutisociali, contro il potere che detesta
dal profondo del cuore.Ma a quel potere che detesta siraccomanda quando si tratta di
reprimere: reprimere gli arabi,lalcol e la droga, i comportamenti sessuali che giudica
scandalosi. Dice spesso
Ci vorrebbe un po dordine in questo paese.
Anni dopo, leggendo la biograa di Marie-Antoinette scritta da Stefan Zweig,
avreipensato ai paesani della mia infanzia e in particolare a miamadre laddove Zweig
parla delle donne arrabbiate,annientate dalla fame e dalla miseria, che nel 1789
vanno aVersailles per protestare e, alla vista del monarca, gridano istintivamente
Viva il re!: i loro corpi hanno preso la parola alloro posto, lacerati fra la sottomissione
pi totale al potere e la rivolta permanente.
una donna in collera, tuttavia non sa cosa fare di quellodio che non
labbandonamai. Protesta sola davanti alla televisione o con le altre madri alluscita
da scuola.
Le scene quotidiane che bisogna immaginare: una piccola piazza (recentemente
asfaltata), un monumento in onore ai caduti della primaguerra mondiale come ce n
inmolti paesi, coperto di mua edi fango alla base. La chiesa, ilmunicipio e la scuola
che danno sulla piazza. La piazza,per lo pi deserta. Le donne visi ritrovano ogni
giorno versomezzod per recuperare i bambini che escono da scuola. Non lavorano.
Qualcuna lavora, ma la maggior parte del tempo badano ai gli Mi occupo dei bambini
e a lavorare sono gli uomini, che sgobbano in fabbrica o altrove, di solitonella
fabbrica che impiegagran parte della popolazione,la fabbrica di latta in cui aveva
lavorato mio padre, che regolava tutta la vita del paese.

Accendeva la televisione, tutte le mattine. Tutte le mattine si assomigliavano.Quando


mi svegliavo, la primaimmagine che mi appariva eraquella dei due ragazzi. I loro volti
si disegnavano nei miei pensieri e, inesorabilmente, pi mi concentravo su queivolti,
pi i dettagli il naso, labocca, lo sguardo mi sfuggivano. Di loro non mi restava
che la paura.
Non riuscivo a concentrarmi e mia madre non poteva lo capisco: non era davvero in
grado di immaginare che ci sipotesse disinteressare alla televisione. La televisione
faceva parte da sempre del suopaesaggio. Noi ne avevamo quattro in una casa di
piccoledimensioni, una in ognicamera e una nellunica stanza comune, e la domanda
se piaceva o non piaceva non si poneva neppure. La televisione, come la lingua o
ilmodo di vestirsi, si era impostaa lei. Noi non comperavamo itelevisori, mio padre li
recuperava in discarica e li riparava. Quando, al liceo,avrei vissuto da solo in citt e
mia madre avrebbe constatato lassenza di televisione a casa mia, avrebbe pensato
che ero pazzo il tono della sua voce trasmetteva perfettamentelangoscia, la
destabilizzazione che si percepisce in coloro chesi trovano improvvisamente difronte
alla follia Ma cosa fai tutto il giorno senza TV?
Insisteva perch guardassi latelevisione come i miei fratelli e le mie sorelle Guarda i
cartoni animati che ti fa bene, ti rilassaprima di andare a scuola. Non soperch la
scuola ti faccia questoeetto, non serve a niente. Calmati.
Davanti ai miei accessi di stress mattutino, mia madre aveva nito per impensierirsi e
chiamare il medico.
Si era stabilito che avrei preso delle gocce pi volte algiorno per calmarmi (mio padre
mi prendeva in giro Come negli ospedali dei pazzi).Mia madre rispondeva,
quandoglielo chiedevano, che ero sempre stato nervoso. Forse addirittura iperattivo.
Era la scuola, non capiva perch le dessi tanta importanza. Mi diceva che a forza di
angosciarmi cos, di agitarmi sulla sedia, angosciavo anche lei, cos fumava di pi
nella piccola stanza comune mentreio per parte mia cercavo di restare concentrato
sui cartoni animati. Lei tossiva, la sua tosse sempre pi violenta, Finir per crepare,
di questopasso. Te lo dico io, ho un piedenella fossa.
A volte ero colto da tremiti,da brividi che partivano in fondo alla schiena e mi
arrivavano alla nuca. Mia madre non se ne accorgevaneppure, mentre io, da parte
mia, avevo limpressione di essere agitato da invincibili convulsioni. Pensavo di poter
dominare il tempo. Compivo ciascuno dei gesti mattutini (andare in bagno, preparare
lacioccolata calda con lacqua se mancava il latte pulirmi i denti non sempre
lavarmi, non fare la doccia, mi avvertiva mia madre.
Mi ripeteva Non ci si pu lavaretutti i giorni, fare la doccia, nonc abbastanza acqua
calda. Abbiamo solo un piccolo scaldabagno e siamo in sette, troppi, davvero troppi
per un piccolo scaldabagno striminzito. E non azzardarti a parlare, non rispondere
Bellegueule-Grandegueule. Non si rispondealla mamma si fa quello che dicelei.
Punto. Non dirmi che basta accendere lo scaldabagno dopo latua doccia, ti vedo gi
aprire labocca per dirlo e fare lo sfacciato. Ti conosco.
Sai benissimo quanto costa lacqua,la luce, non possiamo permettercidi pagare tanto
e questabattuta, a cui mia madre nonriesce mai a rinunciare: Pago le bollette, io,
non ho mica un amante alla societ elettrica. giorni del bagno, mia madre pretendeva
che non svuotassimo la vasca dopo esserne usciti, cos i cinque ragazzi della
famigliapotevano lavarsi uno alla voltasenza consumare altra acqua eluce. Lultimo
e io facevo di tutto per non esserlo ereditava allora unacqua untae marrone).

Compivo ciascuno dei gesti quotidiani il pi lentamente possibile. Ritardare


articialmente il momento di arrivare nel cortile delledicio e poi nellandrone. La
speranza rinnovata, tutti i giorni, senza davvero crederci,di perdere lautobus che ci
portava a scuola. Mentivo a me stesso.
Parecchie volte al mese mia madre mi autorizzava a restare a casa per aiutarla nei
suoi lavori Domani non vai a scuola,mi aiuti a fare le pulizie perchsono stufa di
stronare tutto il tempo, di fare tutto io.
Sono stanca di fare la schiava in questa casa. Mi autorizzava a restare a casa se
aiutavo mio padre a tagliare la legna perlinverno e a stoccare i ciocchi in un deposito
creato appositamente da lui e da miozio gli inverni del Nord, lunghi e dicili, che
richiedono varie settimane di preparazione a causa del cattivo isolamento delle case e
del riscaldamento a legna o se guardavo i miei fratelli minori, Rudy e Vanessa,
mentre lei passava la serata dalla vicina. Rientrava ubriaca con la vicina, facevano
scherzi da lesbiche Ti mangio la passera, porcellina. Non andare a scuola era una
ricompensa.
Unaltra vicina, Anas, che voleva comunicarmi la sua simpatia, veniva a cercarmi per
fare la strada insieme noalla fermata dellautobus. Io non sapevo come farle capireche
detestavo quella gentilezza. Mi costringeva ad arettare il passo quando io avrei voluto
andare il pilentamente possibile, fare delledeviazioni. Essendo una ragazza, per
Anas era pi facile accordarmi la sua amicizia.
Si perdona pi facilmente alle ragazze che parlano con i froci. In quellepoca, i miei
rari amici erano in eetti delle amiche. Con Amlie o Anas, mi incontravo alla fermata
dellautobus o nei campi che circondavano il paese per giocare qualche ora. Mia
madre, preoccupata per questefrequentazioni (i ragazzinidovevano avere degli amici
pergiocare a pallone, non delle amiche), tentava di rassicurarsi e di rassicurare i
nostri conoscenti. Ma io percepivo,pi che incertezza, una formadi disagio quando
parlava dellargomento.
Diceva alle altre donne, come per scartare,annullare quello che nel restodel tempo
aveva labitudine didirsi in segreto, Eddy un verodongiovanni, lo si vede sempre con
le ragazze, mai con dei ragazzi. Lo vogliono tutte. Di sicuro non sar mai un frocio,
questo qua. Anas era da ognipunto di vista una ragazza un po particolare, che
rideva di quello che dicevano gli altri. Aveva imparato a riderne a forza di sentire le
cose che dicevano di sua madre le donne in piazza Tua madre si fa scopare da tutti,
tradisce tuo padre, tutti lhanno vista andarea letto con gli operai del cantieredel
comune. una puttana.
Passavamo, Anas ed io,davanti alla fabbrica, davantiagli operai che fumavano la
sigaretta prima di iniziare la giornata o durante la pausa se caratteristica al Nord o
sotto la pioggia. Quelli che non avevano ancora attaccato davvero la giornata,
avevano ivolti, le facce, gi rugose,segnate dalla fatica, anche se non avevano
nemmeno iniziato a lavorare. Ci nonostante ridevano, scherzi sulle donne o sugli
arabi, a seconda delle preferenze.
Io liguardavo, mi immaginavo al loro posto, impaziente, con lidea di smettere gli
studi il prima possibile, contando pivolte alla settimana, pi volteal giorno, gli anni
che mi separavano dai sedici, quandonalmente avrei potuto non prendere pi la
strada per lascuola, pensando che l, in fabbrica, avrei guadagnato deisoldi e non
sarei pi andato astudiare.
Non avrei pi visto idue ragazzi. Mia madre non riusciva a nascondere lirritazione
quando le confessavo il mio desiderio di avevano incominciato a lavorare in piena

notte. Fumavano in tutte le situazioni, nella nebbia cos lasciare la scuola allet
di sedici anni Ti avverto che continuerai ad andare a scuola,altrimenti mi tolgono gli
aiuti familiari, e questo non posso permettermelo.
Se in quel tempo era lurgenza del quotidiano (isoldi che mancavano) che davail via
alle sue reazioni pi spontanee, mia madre esprimeva anche,regolarmente, il suo
desideriodi vedermi studiare, andare piavanti di lei, quasi supplicandomi Non voglio
che tu sora come me nella vita, io quello che ho fatto ho fatto e pazienza, sono
rimasta incinta adiciassette anni. Poi ho sgobbato,sono rimasta qui e non ho fatto
pi niente. N viaggi n niente.Ho passato tutta la vita a fare imestieri in casa e a
pulire la merda dei bambini o la merda dei vecchi che curo.
Ho fatto delle stupidaggini. Pensava di aver commesso degli errori, diessersi preclusa,
senza volerlodavvero, un destino migliore, una vita pi facile e pi confortevole,
lontano dalla fabbrica e dalla costante preoccupazione (meglio: dallacostante
angoscia) di non gestire correttamente il budgetfamiliare un solo passo falso poteva
condurre allimpossibilit di mangiare ane mese. Non capiva che il suo percorso,
quello che chiamava i suoi errori,rientrava al contrario in un insieme di meccanismi
perfettamente logici, quasiregole prestabilite, implacabili.Non si rendeva conto che la
sua famiglia, i suoi genitori, i suoi fratelli e sorelle, perno isuoi gli e la quasi totalit
degli abitanti del paeseavevano conosciuto i medesimi problemi e quelli che
chiamavaerrori erano dunque in realtla pi perfetta espressione delnormale
andamento delle cose.
RITRATTO DI MIAMADRE ATTRAVERSOLE SUE STORIE
Mia madre passava molto tempo a raccontarmi certi episodi della sua vita o dellavita
di mio padre.
La sua vita lannoiava e lei parlava per colmare il vuoto diunesistenza che si riduceva
a una successione di momenti di noia e di fatiche spossanti. rimasta per molto
tempo unamadre casalinga, come voleva che scrivessi sui documenti uciali. Si sentiva
oesa, macchiata, dal disoccupata stampigliato sul mio atto di nascita. Quando il mio
fratello e la mia sorella minori sono stati abbastanza grandi per cavarsela da soli, mia
madre ha voluto trovarsi un lavoro. Mio padre la considerava unacosa degradante,
una messa indiscussione del suo status di uomo; era lui che doveva portare a casa lo
stipendio.
Lei lo desiderava ardentemente, adispetto della durezza dei mestieri a cui poteva
aspirare:la fabbrica, i lavori domestici ole casse del supermercato. Si ribellata. In un
certo senso si ribellata contro se stessa,contro la forza inaerrabile e senza nome che
la spingeva a pensare che per una donna fosse una cosa degradante lavorare quando
suo marito, lui, era vittima della disoccupazione (mio padre aveva perso il lavoro in
fabbrica, ci torner). Dopo lunghe discussioni, mio padrenalmente ha accettato e mia
madre si messa a curare delle persone anziane, spostandosi per il paese con la sua
bici arrugginita di casa in casa,coperta da una giacca a ventorossa appartenuta anni
primaa suo marito, rosa dalle tarmeed evidentemente (le spallaccedi mio padre)
troppo grande per lei. Le donne del paese ridevano Ha il suo fascino la signora
Bellegueule con quella giacca a vento troppo grande.
Mio padre, il giorno in cui miamadre ha guadagnato pi dilui, cio poco pi di mille
euro,dato che lui ne prendeva appena settecento, non ha sopportato oltre. Le ha
detto che era inutile e che doveva smetterla, che non avevamo bisogno di quei soldi.
Settecento euro per sette persone erano sufficienti.

Mia madre mi parlava molto, dei lunghi monologhi;avrei potuto mettere un altroal
mio posto, lei avrebbe continuato la sua storia. Cercava solo delle orecchie che
lascoltassero e ignorava tutti imiei commenti. Accendevo la televisione appena mi
rivolgeva la parola. Lei non si scomponeva, continuava. Io aumentavo il volume.
Niente. Mio padre non la sopportavapi Ah, ci stai ubriacando, vecchia, che razza di
chiacchierona. Lei monologavacome le donne sulla piazza del paese, tanto che si
sarebbe potuto credere a una malattiache si propagava fra le donne.
Quando si trovavano sulla piazza davanti a scuola si produceva una serie
dinterminabili tirate sovrapposte, senza che nessunoascoltasse davvero.
Una storia che raccontava spesso a chi voleva stare a sentire: prima di mettermi al
mondo aveva perso un bambino. Non se laspettava, aveva perso il bambino in bagno,
era successo cos, senzapreavviso, un mezzogiorno checercava di pulire la casa, da
cui la polvere non spariva mai deltutto colpa dei campi vicini edei trattori che
passavano tuttoil giorno e lasciavano al loropassaggio montagne di terra,terra che si
inltrava in casa, imuri della casa che si sgretolavano, il tono disperatodi mia madre
Ho un bel pulire,non mai a posto, passa la vogliadi faticare per una baracca
lerciacome questa.
caduto nel cesso.
Era un aneddoto che, anni dopo, la divertiva molto. Il suo sorriso metteva in evidenza
la pelle invecchiata, ingiallita, lavoce diventata grave, roca, acausa delle sigarette, e
anchetroppo forte, le dicevano tutti(certi giorni mio padreautorizzava anche me a
farlo)
Smettila di urlare quando parli. Basta con quel chiasso, mica siamo al mercato.
Mia madre una donna a cui piace ridere. Insisteva con forza su questo punto A me
piace divertirmi, non faccio ntadi essere una signora, sono unadonna semplice.
Non so cosa provasse quandomi diceva cos. Non so se mentiva, se soriva. Perch
altrimenti doveva ripeterlo cos spesso, come una giusticazione? Forse voleva dire
che, evidentemente, non una signora perch non pu esserlo. Essere una donna
semplice, in fondo lorgoglio non il primo segno della vergogna?
Quello che spiegava, di quando in quando,Capite, quando per mestiere si lava il culo
ai vecchi, lespressione che usava, nella vita lavo il culo ai vecchi, ai vecchi che
stanno per morire (la battuta, sempre la stessa, a questo punto del racconto Basta
unondata di caldo o unepidemia di rareddore per ritrovarmi disoccupata), le mani
nella merda tutte le sere per guadagnare a stento di che riempire il frigorifero, il frigo
(irimpianti che mia madre nonpoteva fare a meno di esprimere Cinque gli, avrei
dovuto fermarmi prima, dar damangiare a sette persone troppo duro). Le difficolt a
parlare correttamente il francese a causa di unesperienza infelice, umiliante, nel
mondo della scuola Non ce lho fatta pi contuo fratello, e in ogni caso non mipiaceva
granch.
Non diceva mai Avrei potuto fare degli studisuperiori, avrei potuto prendere un
diploma, diceva, questo s,che la scuola in ogni caso nonle era mai interessata molto.
Ci ho messo anni per capire che isuoi discorsi non erano incoerenti o contraddittori
ma che ero io, con una specie di arroganza da transfuga, che tentavo di imporle
unaltra coerenza, pi compatibile con imiei valori quelli che avevo acquisito
appunto costruendomi contro i miei genitori, contro la mia famiglia, che non
esistono incoerenzese non per chi incapace diricostruire le logiche che producono i
discorsi e le azioni.

Che una quantit di discorsi lattraversavano, che quei discorsi parlavano attraverso
di lei, che lei era continuamente divisa fra la vergogna di non aver studiato e
lorgoglio, come diceva, di esserne comunque venuta fuori edi aver fatto dei bei gli,
che questi due discorsi esistevano solo in rapporto luno allaltro.
La vergogna di vivere in una casa che sembrava crollare ogni giorno un po di pi Non
una baracca una rovina. Insomma, forse quello che voleva dire Non posso essere
una signora, anche se lo desideravo.
Mi raccontava, con voce sempre pi forte man mano che montava in lei leccitazione
(un problema di cui avrei soerto anchio, lasciando la famiglia per la citt i miei
amici del liceo mi avrebbero chiesto in continuazione di parlare meno forte;
invidiavoterribilmente la voce calma e posata dei giovani di buonafamiglia), mi
raccontava che aveva sentito un improvviso bisogno di andare in bagno
Pensavo di essere costipata, sentivo mal di pancia come quando sono costipata. Sono
corsa al cesso ed l che ho sentito il rumore, il pluf. Ho guardato e ho visto il
bambino,non sapevo cosa fare, ho avuto paura e, come una stupida, hotirato la
catena, non sapevo cosafare, io. Il bambino non voleva scendere, cos ho preso lo
scopino da cesso per farlo andaregi mentre tiravo di nuovo la catena. Poi ho
chiamato il medico, mi ha detto di andare subito allospedale, mi ha dettoche poteva
essere grave, mi haauscultato, ma niente di grave.
Lei e mio padre hanno moltiplicato i tentativi di fare un altro glio. Era una priorit,
per mio padre Voleva davvero un glio, un uomo, etu sai come sono gli uomini con
illoro orgoglio, voleva avere una famiglia, lui che era il predilettodi sua madre e dei
suoi fratelli e delle sue sorelle, non di suo padre, era impossibile, era in prigione,
voleva avere un glio,be, voleva una bambina, ma sei nato tu, voleva chiamarla
Laurenne, io brontolavo, basta glie, basta piscialletto, e cos abbiamo avuto te visto
che avevamo perso laltro. Tuo padrelha presa male, di aver perso ilprimo bambino,
ci ha messo deltempo a riprendersi. Non la smetteva pi di piangere. Non stato
dicile, perch sono una buona riproduttrice, sono rimastaincinta anche se avevo la
spirale e ho avuto due gemelli (mio fratello e mia sorella pi piccoli), e resti fra noi,
ma tuopadre ha un gran bellattrezzo.
Lo sapevo benissimo.
Vedevo spesso mio padrenudo a causa della piccolezza della casa, della mancanza
diporte fra una stanza e laltra le camere erano separate semplicemente da pezzi di
cartongesso e tende, non ceramodo di mettere porte o verimuri. Limpudicizia di mio
padre. Diceva che gli piaceva stare nudo e glielorimproveravo. Il suo corpo miispirava
una profonda repulsione Mi piace andare in giro senza vestiti. Sono a casa mia e
faccio quello che voglio. Fino a quando in questa casa sono io il padre, sono io quello
che comanda.
LA CAMERA DEI MIEIGENITORI
La camera dei miei genitori era illuminata dal riverbero della strada. Le imposte,
rosedagli anni, dal freddo e dallapioggia del Nord, lasciavano penetrare una luce evole
chepermetteva appena di percepire delle ombre in movimento. La stanza aveva odore
di umidit, di pane raermo. La luce che ltrava permetteva peraltro di vederela polvere
che volava, come uttuante, come se si muovessein un altro tempo, che scorrevapi
lento.

Passavo delle ore cos, immobile, a osservarla. Mia madre e io eravamo vicini
quandero un bambino: quelloche si dice dei bambini piccoli,la prossimit che
possono avere con la madre primache la vergogna scavasse unadistanza fra noi.
Prima di ci,lei dichiarava a chi voleva ascoltarla che io ero proprio suo glio, su
questo non cerano dubbi.
Quando calava la notte, una paura inspiegabile si impadroniva di me. Non volevo
dormire solo. Non ero aatto solo, in camera mia, lacondividevo con mio fratello e con
mia sorella. Una camera di cinque metri quadrati, col pavimento di cemento e le
pareti coperte di grosse macchie nere circolari dovute allumidit che impregnava
lacasa, agli stagni nei pressi del paese. Limbarazzo che provava mia madre (dico
limbarazzo per non ripetere ancora una volta la vergogna,ma proprio di questo che
sitrattava) quando le chiedevo perch lei e mio padre non mettevano la moquette per
terra Sai ci piacerebbe mettere lamoquette, magari lo faremo. Era una bugia. I miei
genitori non avevano i mezzi per comperarla, e non avevano voglia di farlo.
Limpossibilit di farlo impediva loro di volerlo fare, cosa che a sua volta bloccava le
possibilit. Mia madre era prigioniera di questo circolo vizioso che la rendeva
incapace di agire, diagire su se stessa e sul mondoche la circondava Ci piacerebbe
metterti la moquette ma hai lasma, lo sai bene, la moquette pericolosa per gli
asmatici.
Io nascondevo le macchie di muffa con le foto delle cantanti di variet o delle eroine
delle serie televisive ritagliate dalleriviste. Il mio fratello maggiore, che preferiva,
comei duri, i cantanti rap o la musica techno, mi prendeva ingiro Non sei stufo di
ascoltare quella musica da femmine (miricordo che un giorno, mentrelo
accompagnavo in panetteria, mi aveva insegnato per tutto il percorso come doveva
camminare un ragazzo vero. Ti faccio vedere come devi fare perch non possibile
camminare come te, se incontriamo i miei amici e tu cammini cos, mi sfottono a
morte).
Lo spazio della camera era occupato da un letto a castello e da un mobile di legno su
cuiera appoggiata la televisione,cosicch entrando nella stanzetta si arrivava
direttamente sul letto; pochi centimetri quadrati appenadove posare i piedi: lo
spaziotutto pieno, stipato dalla sola presenza del letto e della televisione. Mio fratello
la guardava tutta la notte e mi impediva di addormentarmi.
A motivo dunque non solo della televisione che mi disturbava, ma soprattutto della
paura di dormire solo, pi volte alla settimana andavo davanti alla camera dei miei
genitori, una delle poche stanze della casa dotatedi porta. Non entravo
subito,aspettavo che avessero finito.
In generale, avevo preso questa abitudine (e no ai dieci anni Non normale,diceva
mia madre, non normale questo ragazzo) di seguire mia madre dappertutto, in casa.
Quando andava in bagno laspettavodavanti alla porta. Cercavo di forzare la
serratura, davo calciai muri, gridavo, piangevo. Quando andava al gabinettoesigevo
che lasciasse la portaaperta per sorvegliarla, come se temessi che si volatilizzasse. Lei
avrebbe conservato questaabitudine di lasciare sempre laporta aperta mentre faceva i
suoi bisogni, abitudine che inseguito mi disguster.
Non cedeva subito. Il mio comportamento irritava il miofratello maggiore, che mi
chiamava Fontana a causa delle mie lacrime. Non sopportava che un ragazzo
piangesse costanto.
A forza di insistere, mia madre niva sempre per cedere. Mio padre, invece, preferiva
gridare, fare il severo. Come se si dividessero i ruoli, del resto imposti da forzesociali

pi grandi di loro, e liriproducesseroconsapevolmente. Mia madre: Se non ti calmi lo


dico a tuo padre, e siccome mio padre nonreagiva: Jacky fa un po il tuo dovere
cazzo.
Avvicinandomi alla camera
dei miei, nelle notti in cui, tremante di paura, non riuscivo a prendere sonno,sentivo
il loro respiro semprepi precipitoso attraverso la porta, i gridi soocati, lansimare
ben percepibile a causa del divisorio troppo sottile. (Incidevo delle parole con il
coltellino svizzero sui pannelli di cartongesso, Camera di Ed, e anche questa frase
assurda non essendoci porta Bussate sulla tenda prima di entrare. I gemiti di mia
madre, Cazzo che bello, ancora, ancora.
Aspettavo che nissero per entrare. Sapevo che da un momento allaltro mio padre
avrebbe emesso un urlo potente e sonoro. Sapevo che quel grido era una specie di
segnale, la possibilit di entrare nella stanza. Le molle del letto smettevano di
cigolare. Il silenzio che seguivafaceva parte dellurlo, per cuiaspettavo ancora qualche
minuto, qualche secondo, tardavo ad aprire la porta. Nella stanza uttuava lodore
dellurlo di mio padre. Ancor oggi quando sento quellodore non posso fare a meno di
pensare ai gesti ripetuti dellamia infanzia.
Incominciavo sempre scusandomi con il pretesto di una crisi dasma Lo sapete,come
quella della nonna, si pumorire per una crisi dasma, non impossibile, o
inimmaginabile (non lo dicevo cos, ma mentrescrivo queste righe, certi giorni, sono
stufo di dover rendere il linguaggio che usavoallora).
Mio padre dava sfogo alla sua collera, si arrabbiava, miinsultava. Alle storie della
nonna e dellasma non ci credeva, sono pretesti, cazzate,ha semplicemente paura del
buio, come le femmine. Si interrogava ad alta voce. Chiedeva a mia madre se ero un
maschio, un ragazzo o cosa, merda? Piange tutto il tempo, ha paura del buio, non
un maschio. Perch? Perch fa cos? Perch? Eppure non lho mica tirato su come
una femmina, lho tirato su come glialtri maschi. Porca puttana. La disperazione gli
incrinava la voce. In realt lui non lo sapeva io mi facevo le stesse domande. Ne
ero ossessionato. Perch piangevo in continuazione? Perch avevo paura del buio?
Perch, puressendo un ragazzino, non lo ero davvero? E soprattutto: perch mi
comportavo cos,quei modi, le gesticolazioni conle mani che facevo parlando
(gesticolazioni da vera checca), le intonazioni femminili, la voce acuta. Ignoravo la
causa della mia diversit e questa ignoranza mi feriva.
(Sempre in quel periodo,verso i dieci anni, unidea nonmi abbandonava mai: una
notte che guardavo la televisione come facevo regolarmente ogni volta che imiei
fratelli e le mie sorelle si assentavano, andavano a dormire dagli amici avevo visto
un servizio su un centro per far dimagrire le persone obese. I giovani obesi erano
inquadrati da una quipe che licostringeva a un regime drastico: dieta, sport, sonno
regolare.
A lungo, dopo aver visto quella trasmissione,sognai un centro simile per lepersone
come me. Ossessionatodallo spettro dei due ragazzi,immaginavo degli educatori che
mi avrebbero picchiato ogni volte che permettevo al mio corpo di cedere alle sue
tendenze femminili. Sognavo esercizi per la voce, la camminata, il modo di guardare.
Mi impegnavo a cercare, con accanimento,simili corsi sui computer dellascuola.)
Le parole smorfioso,effeminato risuonavano continuamente intorno a me nella bocca
degli adulti: non solo a scuola, non solo da parte dei due ragazzi. Erano come lame di

rasoio che, quando le sentivo, mi straziavano per ore, giorni, eche rimuginavo, mi
ripetevo tra me. Mi ripetevo che avevano ragione. Speravo di cambiare. Ma il mio
corpo nonmi ubbidiva e le ingiurie riprendevano. Gli adulti del paese che mi dicevano
smorfioso, effeminato, non sempre lo dicevano peroendermi, con unintonazioneda
insulto. A volte lo dicevano stupiti, Perch sceglie di parlare, di comportarsi come una
femmina, se un maschio? strano tuo glio Brigitte (mia madre) a fare cos.
Questo stupore mi prendeva alla gola e mi bloccava lo stomaco. Anche a me
chiedevano Perch parli cos? Io facevo nta di non capire, ancora, restavo insilenzio
poi la voglia di urlare senza riuscire a farlo, ilgrido, come un corpo estraneo e
bruciante bloccato nellesofago.
VITA DELLE RAGAZZE,
DELLE MADRI E DELLE
NONNE
Ero imprigionato fra il corridoio, i miei genitori e gliabitanti del paese. Lunica tregua
era la classe. Mi piaceva studiare. Non la scuola, la vita scolastica: cerano i due
ragazzi. Ma amavo gli insegnanti. Non parlavano di invertiti o di luridi froci. Ci
spiegavano che bisognava accettare la dierenza, i discorsi della scuola repubblicana,
che eravamo uguali. Non bisognava giudicare un individuo in base al colore della
pelle, della religione o dellorientamento sessuale (questa espressione, orientamento
sessuale, faceva sempre ridere il gruppo di ragazzi in fondo alla classe,quelli che
venivano chiamati la banda del fondo).
I miei voti erano molto mediocri. Non cera n luce n scrivania in casa mia e dovevo
fare i compiti nella stanza comune, con mio padre che guardava la tele o mia
madreche puliva il pesce sulla stessatavola brontolando Non il momento di fare i
compiti.I compiti mi annoiavano, in ogni caso, non possedevoquelle che si chiamano
le basi a causa delle mie ripetute assenze, del modo in cui si parlava nella mia
famiglia e quindi in cui parlavo anchio, degli errori troppo numerosi, del dialetto
piccardo che parliamo a volte meglio del francese ufficiale.
Ci nonostante mi attaccavo agli insegnanti e sapevo che bisognava avere buoni voti
perfar loro piacere, o almeno perdar loro limpressione che miimpegnavo a dispetto
delle dicolt. La mia docilit ai loro occhi aveva qualcosa di sospetto: la docilit a
scuola era una caratteristica femminile.
Soltanto nelle prime classi le ragazze nivano per detestarela scuola e provocare gli
insegnanti. Era solo questionedi tempo. La loro eliminazioneera un po pi lenta.
Mia sorella aveva pensato, quandera a scuola, a una carriera di ostetrica, prima
dicomunicarci che sarebbe diventata professoressa di spagnolo per guadagnare molti
soldi. Noi consideravamo gliinsegnanti dei piccolo-borghesie mio padre sindispettiva
pergli scioperi della scuola Con tutta la grana che si ccano in tasca hanno il becco di
lamentarsi.
Mia sorella era stata chiamata per i soliti colloqui diorientamento e aveva espressoil
proprio desiderio di diventare insegnante di spagnolo in una scuola Ma sa, signorina,
adesso la scuola satura, tutti vogliono diventare insegnanti e quindi ci sono sempre
meno posti, il governo d sempre meno soldi per leducazione. Dovrebbe
sceglierequalcosa di pi sicuro, di meno rischioso, per esempio la negoziante. Inoltre,

guardando i suoi voti, non molto buoni bisogna dire, la media appenasufficiente per
fare le superiori.
Era tornata a casa arrabbiata una sera, dopo unodi questi colloqui, indispettitadai
tentativi del consiglierescolastico di modicare i suoi piani Non capisco perch
deverompermi le palle quello l, io voglio insegnare lo spagnolo. Mio padre Non farti
dare lezioni da un negro (il consigliere era martinicano).
Mia sorella in un primo tempo ha resistito. Il consigliere lha convocata a pi riprese.
In terza aveva dovuto fare uno stage in unimpresa e il consigliere laveva indirizzata
alla panetteria del paese. Qualche settimana dopo lo stage mia sorella ha spiegato a
mia madre (delusa: Ci sarebbe piaciuto che facesse un mestierepi bello) che non
voleva pifare linsegnante di spagnolo, ma la negoziante. Era sicura della sua scelta,
il consigliere per lorientamento aveva ragione. Lapprendistato le avrebbe garantito
un reddito su cui contava per fare quellodi cui era stata privata per tutta la
giovinezza a causa della povert dei suoi genitori.
Guardando la sorvegliantenel cortile della scuola, tentavodi immaginare quello che
avrebbe voluto diventare da bambina, prima di essere unasorvegliante.
Non le rivolgevo la parola.Facevo tutto il possibile perch non si accorgesse delle
botte che mi davano i due ragazzi.Nasconderle il fatto che certe persone potevano
pensare, pensavano, che io fossi un eeminato e che meritassi le botte. Non volevo che
mi trovasse nel corridoio, rattrappito, lo sguardoimplorante anche se, lho gidetto,
la maggior parte del tempo tentavo, senza riuscircisempre, di conservare il
sorrisoquando mi picchiavano Perch sorridi cretino, ci prendi in giro?
Che la sorvegliante si preoccupasse e mi domandassePerch ti trattano cos?
Doverle rispondere.
La mia memoria non conserva traccia del suo nome. Forse Armelle o Virginie. Mi
ricordo solo dei soprannomi che le venivano abbiati, la Pazza, la Scema. Parlava da
sola nel cortile o nei corridoi mentre faceva la guardia. Parlava soprattutto di sua
nonna, molto di sua nonna,con ostinazione, anche quando dei bambini le dicevano
Guarda si picchiano, non pensava neppure a punirli.
La storia di sua nonna era uguale a quella della mia e dimolte nonne: avevano tutte
la stessa storia, in paese, cera poco spazio per le differenze.
Sua nonna soriva il freddo quando arrivava linverno,quando le giornate si
facevanopi corte. Lei glielo raccontavanello stesso modo in cui me lo raccontava mia
nonna: senza lamentarsi davvero, semplicemente una triste constatazione quando le
parladel freddo che penetra nella casa, delle dita dei piedi doloranti a causa del
freddo che le paralizza.
Mia nonna, che immaginavache possedere una casa, essereproprietari, come dicono
gli slogan dei pubblicitari o dei politici, lavrebbe fatta accedere a una condizione
sociale pi elevata, a una vitapi piacevole, si rendeva contoche, da quando lo era,
non eracambiato nulla e forse anzi tutto si era complicato per il debito che aveva
dovuto contrarre e che adesso doveva restituire.
Ha freddo, ma non pu pagare la legna. Luomo che mio padre chiamava il
Compagno, che portava la legna a tutta la famiglia, percorreva le strade con un
piccolo trattore carico di moltimetri cubi di legna, aveva smesso di consegnarla
Perch ho dei gli, capisce signora, nonposso portarle la legna se lei non me la paga,
ho dei gli da mantenere signora, ho una famiglia. Sua nonna, alla sorvegliante, diceva

che usavamolte coperte contro il freddo ma che era inutile, il freddo penetrava nelle
coperte, che diventavano simili a coperte dighiaccio, pi fredde del ventostesso.
(La mia sorella maggiore, mentre parlo, ha intrapreso ipassi necessari a riscattare
peruna somma ridicola la casa di mia nonna, che andata a nire i suoi giorni in un
ricovero pubblico.
Mi ha telefonato per dirmeloe per parlarmi dei lavori moltoimportanti che ci sono da
fare,dato che la nonna viveva in un tugurio con un buco di quasi due metri di
diametro nel sotto E poi io voglio bene allanonna e non voglio criticarla, mala puzza
che cera. Merda di chiss cosa dappertutto, mua. Ci sar da lavorare un bel po. Mia
sorella, che non avrebbe visto altro che il paese in tuttala sua vita, a venticinque
anni,gi proprietaria e impegnatain lavori interminabili.)
Mia nonna, come quella della sorvegliante, adottava orde di cani. Si sentiva meno
sola e poteva stringersi a loro,la notte, per recuperare un podel calore corporeo che
emanavano Almeno ho le gambeal caldo quando dormo con loro,e mi fanno
compagnia, se no miannoio un po tutta sola. Ne adottava cinque, sei, a volte dipi,
cosa che irritava moltissimo mio padre. Trovavaquesto comportamento irrazionale,
adottare dei cani quando riusciva a malapena a mangiare lei E non puoi neanche
uscire a fare una passeggiata perch i cani ti distruggono la casa se te ne vai.Ho ben
visto come strappano letende, il divano, pisciano sulla TV.
E poi, come dicevo, non hai isoldi per dargli da mangiare. Lei si giusticava Finiranno
gli avanzi, ma tutti se ne accorgevano acquistava ciboper i cani e sempre meno
pers. Era lei che niva gli avanzidei cani e insomma, oltre ad avere freddo, aveva
anche fame.
Quando mia nonna restava senza legna, andava nei boschiintorno al paese. Portava
con s la sporta di tela verde e blu,piena di buchi, come aveva nito per ammettere: a
causa dei cani che rompono tutto. Raccoglieva dei rametti che siportava a casa. Mia
madre faceva lo stesso per accendereil fuoco nel caminetto o percuocere la carne
sulla piastradel barbecue quando aveva nito il carbone di legna, la sua erezza di
madre Ai miei gli non mancher da mangiare, n da riscaldarsi. Per non subire la
vergogna, mia madre ne faceva un gioco. Noi sapevamoche era la miseria, la
mancanza di denaro, i bambinicapiscono queste cose prima diquanto si pensi. Diceva
Andiamo a pulire i boschi, lascusa per fare una passeggiata,se non altro ci
divertiremo.
Noi facevamo nta di crederle e lei faceva nta di credere che noi le credessimo. A volte
mia madre, spossata,smetteva di fare nta. Abbandonava tutti i suoi sforzi per
nasconderci la realt e micostringeva ad andare alla drogheria del paese per prendere
a credito, far mettere inconto qualcosa da mangiare.Vai tu che sei un ragazzino,
seglielo chiedi tu di mettere in conto ti dice di s, a me direbbedi no quella vecchia
stronza delladrogheria. Cercavo di sottrarmi, prima che intervenisse mio padre
Sbrigati a muovere il culose no nisce male per te.
Lui mi terrorizzava, tanto che ubbidivo in silenzio. I bambini ispirano pi facilmente
la piet e io ero designato come coluiche doveva usare questo vantaggio per ottenere
del cibo; non solo in drogheria, maanche, certi giorni, presso i vicini, gli altri abitanti
del paese, per chiedere un bocconedi pane, un pacchetto di pasta o un po di
formaggio. Lumiliazione quando, al momento di pagare le derratealla drogheria,
bisognava dire, a voce bassa in modo che le donne presenti non sentissero, la
mamma chiede se pu metterein conto e la padrona che si compiaceva di alzare la
voce inmodo che, al contrario, tutti potessero cogliere le sue parole

Non possiamo andare avanti cos,bisogna che i tuoi genitori paghino, io non posso
fargli credito allinnito. Basta che lavorino un po di pi, se hannobisogno di soldi. Io,
diglielo bene,sono in negozio tutti i giorni dalleotto di mattina alle otto di sera,non c
altro modo per farcela.Va be, lultima volta che vi faccio credito, lultima ti
avverto,proprio perch non posso lasciartiandare via a mani vuote.
E io, con gli occhi bassi, odiavo lapadrona della drogheria, avreivoluto tirarle in faccia
un qualsiasi oggetto appuntito e tagliente Grazie signora, grazie signora.
Altre volte, quando non avevamo pi soldi, mangiavamo il pesce che pescava mio
padre. Era pescatore da sempre, era unapassione, i ragazzi praticavanola pesca o la
caccia. Ci andavamolto spesso, negli stagni vicino al paese, soprattutto dopo
lincidente in fabbrica che aveva comportato la perdita del lavoro. Portava a casa i
pesci che mia madre puliva prima di metterli nel congelatore, avvolti in carta
digiornale dentro i sacchetti di plastica del supermercato. La visione orripilante
quandoaprivo il congelatore e trovavoquei cadaveri ricoperti da un mantello di
ghiaccio.
La cosa peggiore era vedere i loro occhi, prigionieri del ghiacciodopo che erano stati
irrigiditidalla morte. E lodore che rimaneva pi giorni nella stanza comune dopo che
miamadre aveva pulito i pesci. I mesi in cui i miei restavano senza i soldi per
comprare la carne mangiavamo pesce perpi giorni di la. Il disgusto nato cos. Oggi
sono nauseatoda un cibo tanto apprezzatonellambiente in cui ho voluto inserirmi.
LE STORIE DEL PAESE
Noi non eravamo i pi poveri. I vicini pi prossimi, che avevano ancora meno soldi,
una casa sempre sporca,maltenuta, erano oggetto di disprezzo da parte di mia madre
e degli altri. Non avendo lavoro, facevano partedi quella frazione di abitanti dicui si
diceva che erano fannulloni, individui che approttano dei sussidi sociali, che non
fanno niente. Una volont, uno sforzo disperato,incessante, per mettere gli altrisotto
di s, per non essere sulgradino pi basso della scala sociale. Nella loro casa era
sparpagliata dappertutto la biancheria sporca, i cani pisciavano in tutte le stanze,
insozzavano i letti, i mobili erano coperti di polvere, nonsolo di polvere, del resto,
piuttosto di un luridume che nessuna parola riesce a esprimere davvero: un
miscuglio di terra, polvere,resti di cibo e liquidi versati,vino o Coca-Cola secchi,
cadaveri di mosche o di zanzare.
Anche loro erano sporchi, i vestiti macchiati diterra o di altro, i capelli unti ele unghie
lunghe e annerite. Mia madre ripeteva anche, sempre con erezza: La povertnon
impedisce la pulizia, noi nonabbiamo troppi soldi ma almenola casa pulita e i miei
gli hanno sempre i vestiti che profumano di sapone, non sono degli zoticoni. I vicini
andavano nei campi intorno al paese perrubare mais e piselli, con lastuzia di cui
bisognava dareprova per non essere sorpresidai contadini e farla in barba agli
zappaterra. Io passavo moltigiorni a casa loro, nella cucinache puzzava di petrolio a
causadel serbatoio collocato nella stanza accanto. Quella stanzaera stata inizialmente
il bagno, ma i vicini, considerando il bagno una cosa inutile, lavevano trasformato in
deposito di petrolio.
Preparavamo il pop corn col mais rubato agli zappaterra. Iracconti che facevamo,
come possono fare i bambini: racconti intrecciati di bugie, diaggiunte e invenzioni, di
esagerazioni. Le peripezie immaginarie del vicino E in quel momento lo zappaterra
arrivato, mi ha inseguito col trattore ma io correvo pi velocee non riuscito a
prendermi.

Ci raccontavamo le storie che animavano il paese e rendevano lesistenza meno


monotona.
Una in particolare mi avevasegnato profondamente. Era lamorte di un uomo del
paese.Non aveva pi soldi, debiti accumulati in tutti i bar. Mio padre ama ripetere
che ce nerano dodici in un paese di appena cinquecento abitanti, allepoca. Dico la
storia di un uomo, ma lo conoscevo bene.
La solitudine, la fame il vecchio doveva essere stufo della vita. Era stanco di
vivere,ma non si dato direttamente la morte, come se perno quello sforzo fosse
troppo faticoso.
E poi lodore ha cominciato apropagarsi nelle strade.
Lho sentito anchio un giorno che passeggiavo con mio cugino. Lui mi ha detto Qui
c puzza di morte. Trascorrevo molto tempo con mio cugino, che aveva bisognodi me
per allacciarsi le scarpe eper grattarsi la schiena: il suohandicap gli impediva di
muoversi correttamente.
Quandera bambino, alla ne della crescita, la sua colonna vertebrale ha continuato a
svilupparsi, a crescere in modoabnorme, poi ha raggiunto il cervello, provocando
lesioni irreversibili. Un handicapgrave. Camminava di traverso,la grande gobba che
aveva sulla schiena gli deformava i vestiti. Il gobbo di Notre-Dame,ridacchiavano gli
abitanti. Ha perso i denti molto giovane, apartire dai ventanni hanno incominciato a
cadere uno dopo laltro, e certi giorni, senza che nessuno sapesseperch, la pelle gli
diventavagiallastra o per cos dire completamente gialla. In quellepoca, delle febbri
fulminee lo bloccavano a letto per settimane intere. Era handicappato, ma gli
abitantidel paese evitavano di pronunciare questa paroladavanti a lui o a sua madre.
Noi non sappiamo se sua madre mia zia ngeva dinon accorgersi della gravit
delsuo stato di salute o forse era davvero incapace di comprendere la situazione in
cui si trovava mio cugino. I genitori sono gli ultimi ad ammettere che il loro glio
pazzo. Un giorno, una voltasola, mi ricordo dello stuporequando labbiamo sentita
dire,come unammissione, come seci condasse, ci rivelasse qualcosa Sapete, mio glio
handicappato. In assenza di sua madre, invece, gli abitanti parlavano del suo
handicap
Poveretto, tuo cugino, che sfortuna, tu sei gentile a prenderti cura di lui. Il medico,
quando andavo a trovarlo, miavvertiva Approtta di tuo cugino, non diventer molto
vecchio, sai. Anche le prese in giro Tuo cugino il gobbo, lo storpio del paese. Il
mongolo.
Nella mia famiglia cerano pi handicappati che nelle altre. O forse lo nascondevamo
meno,
ce
ne
occupavamo
meno,
non
sapevamo
come
prenderla.
Forse,semplicemente, la mancanza disoldi per curarli come si deve,lostilit verso la
medicina. C mia cugina che nata con due palati, laltro cugino che si ammala in
continuazione, allergico agli antibiotici, al sapone, allerba. C la zia chesi strappa i
denti con una pinza quando ubriaca, senzamotivo, per gioco una pinza come
quelle che si usano in ocina. spesso brilla e,fatalmente, si ritrova senza pidenti da
strappare.
Mio cugino, quel giorno, hadetto Puzza di morte. Aveva ragione, era la morte. Non
potevo prevedere che avesse quellodore. Il vecchio aveva deciso di rimanere in casa,
dinon uscire pi. Di non andarepi a prendere il suo pastis, mon petit jaune, al bar
del paese dove gli uomini si ritrovano la sera dopo il lavoro o dopo una giornata in
casa,davanti alla televisione, quando sono disoccupati. rimasto a casa sua
aspettandodi morire, sso, immobile sulletto. Le voci dicevano, non sose fosse vero,

dicevano che era morto tra gli escrementi. morto in mezzo alla piscia e alla merda,
neanche dal suo letto voleva pi muoversi, non andava pi in bagno, coprivale pozze
di piscio e i pezzi dimerda con dei fogli di giornale, come unultima preoccupazione
igienica primadi morire. Sembrava che le calze fossero incrostate nella carne, erano
mesi che non se le toglieva, e con la piscia e il pus lecalze si sono a poco a poco fuse
con la pelle, incollate come se facessero parte del suo corpo.E poi il silenzio.
Il processo di decomposizione del corpo. Le donne del paese: Lhanno mangiato i
vermi, e lodore che si propaga per le strade. La folla si radunata (lo stesso giorno in
cui mio cugino avevaidenticato senza volerlo la morte perch Puzza di morte era un
modo di dire che usavamo continuamente per denire tutti i cattivi odori) intorno alla
casa da cui si spandeva lodore del corpo inputrefazione. Bench laria fosse subito
irrespirabile, le donne si coprivano il naso conlaiuto di fazzoletti di carta per poter
continuare a guardare, per poter restare l, non rinunciare alla possibilit di assistere
a un avvenimento simile, per poter uscire un istante, il tempo di qualche minuto, da
una quotidianitsenza sorprese, senza neanchelattesa o la speranza di una sorpresa.
Mio cugino, a causadel suo organismo fragile, havomitato molto, quel pomeriggio.
Questa storia la raccontavamo spesso, divertiva.
LA BUONAEDUCAZIONE
I miei genitori si impegnavano per darmi una buona educazione, mica come i
delinquenti e gli arabi delle citt. Lorgoglio che mia madre ne traeva: I miei gli sono
educati bene, li tiro su dritti, mica comedei teppisti, o e non so da dove le venissero
queste idee, forse dai discorsi che le faceva suo padre, veterano della guerra dAlgeria
I miei gli sono educati bene, mica come glialgerini, sai gli algerini sono i peggiori, se
ci pensi sono moltopi pericolosi dei marocchini o degli altri arabi.
Rassicurato in continuazione da mia madre della mia superiorit sugli arabi o sui
nostri vicini estremamente poveri, solo dopo aver lasciatola scuola ho potuto
rendermi conto che ero meno privilegiato di quantoimmaginassi. Sapevo gi primache
esistevano dei mondi ben pi fortunati del mio. borghesi che mio padre insultava, il
droghiere del paese o i genitori della mia amica Amlie. Ci pensavo spesso, anche. Ma
nch non mi sono trovato direttamente a confrontarmi con lesistenza di questi altri
mondi, nch nonmi ci sono immerso, la mia conoscenza era rimasta a livello di
intuizione, di fantasma.
Lavrei scoperto pi tardi,soprattutto parlando con i mieivecchi insegnanti gli
insegnanti della scuola, impotenti, scoraggiati dal modo che avevano i genitori del
paese di allevare i loro gli, e di cui parlavano in salaprofessori E il piccoloBellegueule,
ha delle capacit ma se continua cos a non fare i compiti e a fare tante assenze non
se la caver.
Io appartenevo al mondo deibambini che guardano la televisione alla mattina appena
alzati, giocano a calciotutto il giorno nelle vie menofrequentate, in mezzo alla strada,
nei prati dietro alle loro case o in fondo agli isolati, che guardano la televisione,
ancora, al pomeriggio, alla sera per ore,la guardano tra le sei e le otto ore al giorno. Al
mondo dei bambini che passano ore e orein strada, di sera e di notte, aciondolare.
Mio padre a disagio quando si trattava di questioni di scuola mi diceva che potevo
fare tutto quello che volevo, ma che avrei dovuto arontarne le conseguenze Esci
quando vuoi,rientra allora che vuoi, ma se ilgiorno dopo a scuola sei stanco colpa
tua.

Se vuoi fare il grande,vai no in fondo, mentre i glidegli educatori, del dottore odei
padroni della drogheria erano costretti a rimanere in casa per fare i compiti. Gli
capitava di chiedermi pi voltenella stessa settimana se avevo fatto i compiti. Poco si
curavadella risposta, come mia madre che mi domandava comera andata a scuola.
Non era lui che mi poneva la domanda, maun ruolo che andava oltre lui stesso, a
volte, contro la sua volont, laccettazione o piuttosto linteriorizzazione delfatto che
era meglio, che erapi giusto per un bambino farebene i suoi compiti.
Tutte le uscite ruotavano intorno alla fermata dellautobus, che era il centrodella vita
di noi ragazzi. Ci passavamo le serate, al riparo dalla pioggia e dal vento. Mi sembra
che sia sempre stato cos: gli adolescenti si ritrovavano tutte le sere l, perbere e
chiacchierare. Mio fratello e mio padre ci eranopassati, e tornando al paese hovisto i
ragazzi che non avevano neanche otto anni quando sono partito. Avevanopreso il
posto che io occupavopochi anni prima; nulla cambia, mai.
Le chiacchiere interminabili,no a notte fonda; sempre le storie del paese, come un
mondo che esisteva solo per sestesso, estraneo a ogni conoscenza dellesterno,
dellaltrove, gli scherzi, le cassette postali che rompevamo a calci per puro piacere,
Jeanine, la vecchia che abitava davanti alla fermata e chiamava la poliziaquando
facevamo troppo rumore e noi che la insultavamo vecchiaccia schifosa, prima di
fuggire correndo. Comperavamo delleconfezioni di birra e bevevamo no a vomitare,
lmando queste scene con i cellulari.
Mi ricordo, molto giovane, tredici, quattordici anni, di essermi trovato ad arontare
degli svenimenti, dei coma etilici. Dover chiamare lambulanza, mettere su un anco
uno dei miei amici per evitare che annegasse nel proprio vomito. Quandocapitava a
me, il giorno dopouna sera di festa (noi dicevamoLa sbornia del sabato), mi
risvegliavo in una delle tende piantate alla vigilia nei pratiintorno al paese per
dormirci, ivestiti irrigiditi dal vomito secco che li ricopriva, un sacco a pelo sporco
dallodore appena descrivibile a causa delcibo rigettato dal mio stomacomalato, il
ventre dolorante e ilcranio trapanato da pulsazioni,come se il cuore e i polmoni
sitrovassero per un giorno al posto del cervello. Gli amici mi dicevano ridendo che ero
sfuggito per un pelo alla morte, avrei potuto annegare nel mio vomito, ingoiare la
lingua.
Mi impegnavo a frequentarepi che potevo i ragazzi pertranquillizzare i miei
genitori.In realt mi annoiavo molto in loro compagnia. E non di radodicevo a mia
madre, uscendo,che andavo a giocare con loro:invece raggiungevo Amlie. Uno dei
miei giochi preferiticonsisteva nel truccarla,nellimpiastricciarla di rossettoe mille
polverine diverse. Oso appena immaginare lo scompenso che avrebbe colto imiei se
lavessero saputo.
Provavo il bisogno di rassicurarli, di far s che la smettessero di porsi domandeche
non volevo pi sentire.
Le risse punteggiavano quelle serate. Alla fermata dellautobus il whisky a buon
mercato e il pastis si aggiungevano ai litri di birra.Le feste si prolungavano no anotte
fonda, no allalba, senza motivo, per passare il tempo o piuttosto per aspettarlo. La
fermata dellautobus, anchessa di mattoni rossi, con scritto Abaso la polizia, A morte
froci scifosi.
Le risse erano la norma, lefemmine come i maschi si picchiavano ma soprattutto i
ragazzi, e non solo sotto leetto dellalcol (quasi tutti igiorni nel cortile della scuola;gli
altri si radunavano intornoai due o pi avversari e urlavano a gran voce il nomedi
quello che sostenevano).

Una rissa scoppiata un giorno fra Amlie e me. Un litigio da bambini. I suoi genitori
avevano una situazione migliore dei miei, bench non fossero propriamente borghesi:
sua madre lavorava in ospedale esuo padre era un tecnico dellasociet elettrica.
Amlie quel giorno, per ferirmi sapeva che dicendolo ci sarebbe riuscita , mi aveva
detto che imiei erano dei fannulloni. Mi ricordo di questo litigio con laprecisione degli
eventi che uno crea nella propria vita a partire da ricordi potenzialmente insignicanti,
banali, che poi, mesi, anni dopo, a seconda di quello cheaccade, acquistano un
senso.
Lho picchiata. Lho presaper i capelli e le ho sbattuto latesta contro la lamiera
dellautobus della scuola, posteggiato l, con violenza,come il grande coi capelli rossie
il piccolo dalla schiena curvanel corridoio della biblioteca. Molti ragazzi ci
guardavano.Ridevano e mi incoraggiavano,Dai, massacrala, spaccale la faccia. Amlie
piangendo mi supplicava di smetterla. Gridava, gemeva, mi implorava. Mi aveva fatto
capire che apparteneva a un mondo pi stimabile del mio.Mentre io passavo il
tempoalla fermata dellautobus, altribambini come lei, Amlie, leggevano libri
proposti dai genitori, andavano al cinema,addirittura a teatro. I loro genitori alla sera
parlavano diletteratura, di storia una conversazione su Eleonora dAquitania fra
Amlie e sua madre mi aveva fatto impallidire di vergogna mentre cenavano.
A casa dei miei non si cenava, si mangiava. Per lo pi noi usavamo il verbo
ingozzarsi. Lappello quotidianodi mio padre ora di ingozzarsi. Quando, anni dopo,
avrei detto cenare di fronte ai miei genitori, mi avrebbero preso ingiro Guarda come
parla questo,chi si crede di essere. Ecco, vaalla scuola superiore, se la tira dasignore,
ci sbatte in faccia la suafilosofia.
Parlare losoco voleva dire parlare come la classe nemica,quelli che hanno i mezzi,i
ricchi.
Parlare come quelli che hannola fortuna di fare studi secondari e superiori e quindidi
studiare la losoa. Gli altri ragazzi, quelli che cenano, vero, ogni tanto bevono una
birra, guardano la televisione egiocano a calcio. Ma quelli chegiocano a calcio, bevono
birrae guardano la televisione nonvanno a teatro.
Esprimevo ad Amlie le mielamentele su mia madre che non si occupava abbastanza
dime, al contrario della sua. Non vedevo neppure che la madredi Amlie non aveva lo
stesso lavoro, lo stesso status, delle condizioni di vita altrettanto dure. Che era pi
dicile per mia madre dedicarmi del tempo e quindi dellamore.
Altre volte, vero,lindierenza di mia madre mi rassicurava. Quando tornavo da
scuola, avrebbe potutoaccorgersi facilmente dei mieilineamenti tesi, come rughe.
Ilmio volto sembrava rugoso a causa delle botte che mi invecchiavano. Avevo undici
anni, ma ero gi pi vecchio dimia madre.
So, in fondo, che lei sapeva.Non una comprensione chiara,piuttosto qualcosa a cui
faticava a dare un nome, chesentiva senza poterlo esprimere. Io temevo che un giorno
si mettesse a formularetutte le domande che accumulava malgrado il suo silenzio
da anni. Di doverle rispondere, parlare delle botte,dirle che altri la pensavano come
lei. Speravo che non cipensasse troppo e che nisse per dimenticarsene.
Una mattina, prima che uscissi per andare a scuola, mi aveva detto Sai, Eddy,
dovrestismetterla di fare tante moine, lagente ti prende in giro, io me neaccorgo, e poi
dovresti distrarti,vedere delle ragazze. Laveva detto, come mio padre, divisatra lo
smarrimento, la vergogna, il fastidio. Non riusciva a spiegarsi perch nonseducevo

delle ragazze, come aveva fatto mio padre anni prima, in discoteca o ai balli del
paese.
A partire dai dodici anni sono andato in discoteca con qualche amico al sabato sera
per incontrare come dicevo ai miei, glielo ripetevo perchcogliessero le motivazioni
ttizie di quelle uscite delle ragazze. Mio padre, meno ingenuo di quanto speravo,
vedeva bene che non gli presentavo le ragazze che sarebbe stato logico
incontrassilaggi. Si interrogava sulla miapassivit mentre mio fratello,lui s che
portava a casa ogni mese delle ragazze, le presentava e prometteva danzamenti,
matrimoni, bambini.
(Un privilegio riservato ai maschi. Quando mia sorella, diritorno da un ballo, ha
presentato ai miei genitori il suo secondo ragazzo dopo aver lasciato il primo loro
le hanno detto che non era possibile. Non poteva portarein casa un altro ragazzo
datoche tutto il paese laveva givista col primo E poi, capisci, non cattiva volont,
non abbiamo niente contro di lui, gentile, ma non puoi portare quidei ragazzi in
continuazione. Lo diciamo per te, la gente dir sicuro come loro che sei una
sgualdrina.)
Se i miei genitori erano incapaci di comprendere i mieicomportamenti, le mie scelte,
imiei gusti, la vergogna si mescolava spesso alla erezzaquando si trattava di me.
Miopadre non diceva niente, ma mia madre mi raccontava Non bisogna prendersela
con lui, sai, un uomo e gli uomini non dicono mai quello che provano. Ai suoi
compagni in fabbrica,che me lo riportavano, condava Mio glio va molto bene a scuola,
intelligente e forse addirittura molto dotato. intelligente, andr alle
scuolesuperiori e soprattutto (eraquesta la cosa che lo rendevapi felice), soprattutto
mio gliodiventer ricco. Lui, che diceva di detestare i borghesi almeno quanto gli
arabi o gli ebrei, si augurava che passassi dallaltra parte.
Tornando da scuola, lo trovavo nella stanza comune accasciato sulla sedia a bere il
suo bicchiere di pastis mentreguardava la televisione. La televisione troppo alta, il
suo russare quando ci si addormentava davanti, gliinsulti a mia madre se passavatra
lui e lo schermo. Sempre lamedesima posizione: le gambedistese e le mani sulla
pancia.La mia sorella maggiore: Con le mani su quel pancione sembra una donna
incinta. La stanza sapeva di grasso a causa delle fritture che mia madre ci preparava
il cibo prediletto di mio padre A me piace un mangiare da uomo che riempie bene la
pancia, mica come nei posti da borghesi che pi sono cari e meno ti mettono nel
piatto.
Non era solo il cibo predilettodi mio padre, era anche uno dei rari piatti che mangiava
eche di conseguenzamangiavamo anche noi, perch era lui che decideva la
composizione dei pasti. Anche se mia madre faceva nta di essere lei a decidere, si
tradiva quando mi diceva Mi piacerebbefarmi dei fagioli o delle insalateogni tanto ma
tuo padre si arrabbia. I pasti erano compostiunicamente di patatine fritte,di pasta,
ogni tanto di riso, e di carne, hamburger surgelati o prosciutto comprati al discount.
Il prosciutto non era rosa, ma fucsia e coperto di grasso, trasudante.
Odore di grasso, quindi, difuoco di legna e di umidit. Latelevisione accesa tutto il
giorno, anche la notte quandoci si addormentava davanti, fa un rumore di fondo, non
possofare a meno della TV, per la precisione non diceva della TV, ma non posso fare a
meno della mia TV.
Non bisognava mai disturbarlo davanti alla sua televisione. Era la regolaquando
arrivava il momento dimettersi a tavola: guardare latelevisione e tacere o mio padre si
innervosiva, chiedevasilenzio, Chiudi la bocca, cominci a cavarmi il ato. Io voglio che i

miei gli siano educati e leducazione vuol dire che non si parla a tavola, si guarda la
TV tutta la famiglia in silenzio.
A tavola lui (mio padre) ognitanto parlava, era lunico ad averne il diritto.
Commentava le notizie Maledetti musi neri, altelegiornale non si parla daltro che di
questi arabi. Non siamo pi in Francia, siamo in Africa, il cibo Ecco unaltra cosa che
i crucchi non avranno mai.
Io e lui non abbiamo mai fatto una vera conversazione. Anche le cose pi semplici,
ciao o buon compleanno, aveva smesso di dirmele. Al mio compleanno mi faceva
qualcheregalo, senza una parola. E ionon mi lamentavo, non volevoche mi parlasse.
Mi spiegavacon aria falsamente tranquillache mal nascondeva limbarazzo di doverlo
dire Aspetta linizio del mese che arrivano gli aiuti familiari perprenderti il regalo. Sei
nato il 30ottobre, alla ne del mese, unasfortuna.
Ignoravo tutto di lui e soprattutto del suo passato. Le sole informazioni che
possedevo provenivano da mia madre.
Tutte le sere i suoi compagniarrivavano verso le sei con delle bottiglie di pastis. Mio
padre non lavorava pi. Una mattina o una sera, non nesono pi sicuro era
andato infabbrica come al solito. Si era portato dietro la gamella, il pranzo che mia
madre preparava la sera e che metteva nella pietanziera per il giorno dopo. Mio
padremangiava nella gamella comele bestie.
Quel giorno la fabbrica ha telefonato a mia madre: La schiena di suo marito si
bloccata allimprovviso, glisono venute le lacrime agli occhi, eppure Jacky lo
conosciamo bene, non una femminuccia,ma urlava davvero dal male. Poi la voce del
medico (o quella dimio padre direttamente) Suo marito ha sollevato pesi esagerati,in
fabbrica, e per troppo tempo.Bisognava rendersene conto prima, prendere le
precauzioni necessarie. (Ma lei lo sa, Jacky non ama i medici, sempredidente, riuta
di prendere le medicine, come il suo cognato emiplegico.) Ha la schiena
compromessa, completamente distrutta, coi dischi schiacciati. Deve smettere di
lavorare per unperiodo indeterminato. Mia madre: Ma perderemo dei soldise resta
disoccupato?
Mio padre tornato alla serae per molti giorni rimasto aletto. A volte le sue urla
coprivano il suono della televisione e i pianti dei bambini della vicina. Mia madre:
la vicina, non sa tirarsu i figli, quella l.
Pensava di dover smettere di lavorare per qualche tempo,qualche settimana al
massimo.Le settimane sono ben prestodiventate dei mesi e i mesi degli anni, i miei
genitori parlavano di lunga malattia,esaurimento dei diritti, ne del sussidio, salario
minimo. Mia madre alla ne ha ammesso che S, potrebbe riprendere il lavoro, tuo
padre, se volesse, mavedi bene, quello che gli piace scolarsi bottiglie di pastis tutte
le sere davanti alla TV coi suoi compagni. Devi capire una cosa, Eddy, tuo padre
alcolizzato,non torner pi al lavoro.
Dopo molti anni senza lavorare, mio padre ha dovutoarontare le voci del paese,
provenienti dalle donne alluscita di scuola o davanti alla drogheria Jacky un
fannullone, sono quattro anni chenon lavora, non riesce neanche adar da mangiare a
sua moglie eai suoi gli. Guardate com trascurata la sua casa, le persiane che
cadono a pezzi, latinta della facciata che si sbriciola e il suo primo glio alcolizzato che
non riesce a calmarsi.
I miei genitori si ostinavano,riutavano di prestareattenzione ai pettegolezzi. Miamadre
mi condava che non sapeva cosa farsene di quelle chiacchiere Io agli ipocriti

delvillaggio ci sputo sopra, me ne frego, che si facciano i cazzi loro. Mio padre aveva
pur cercato un nuovo lavoro, ma si era scoraggiato dopo aver raccattato un centinaio
di riuti. Continuava a invitare tutte le sere i suoi compagni, che portavano due litri di
pastis, a volte di pi, per tre, epi i mesi passavano, pi diventava dicile ubriacarsi.
Mio padre e i suoi compagni se ne rendevano conto Oh ormai nelle vene ho pi pastis
che sangue.
Tutti i venerd, rientravo dascuola alla sera tardi. Facevo teatro in un gruppo creato
dalmio professore di francese: miopadre, pi che sopraatto dalmio interesse per il
teatro, ne era molto irritato e spesso riutava di prendere la macchina per venirmi a
prendere alla ne del corso, borbottando Nessuno ti obbliga a fare quel cazzo di teatro.
Io percorrevo i quindici chilometriche mi separavano da casa miaa piedi, marciando
attraverso icampi per ore, il fango e la terra che si accumulavano sotto le scarpe no a
renderlepesanti dei chili. I campi che sembravano non nire mai, come si dice, a
perdita docchio, gli animali che li attraversavano per andare da un boschetto
allaltro.
Le sere in cui rientravo pitardi del solito i compagni dimio padre erano gi l. Si
servivano del pastis, declamando ogni volta Non ce ne andremo su una gamba sola e
mia madre che ribatteva Avete bevuto talmente tanto che non ve ne andrete n su
una n su due gambe, ma su dieci come le piovre. Sempre il fumo delle sigarette e
della stufa a legnache oscurava la stanza, il fumodenso che smorzava la luce. Mia
madre: Fuma che ti fa bene.
La televisione. Mio padre e i suoi compagni, Titi e Dd, guardavano ogni giorno lo
stesso programma. I commentisulle donne che partecipavanoalla trasmissione per
riaermare la loro virilit Cazzo se bona quella l, me lafarei subito, me la scoperei,
mia madre irritata Ah, quelli non pensano ad altro. Una sera, mentre tornavo da
scuola, hanno cambiato canale. Lo facevano solo di rado, fedeli comerano al loro
programma,La ruota della fortuna. Quando la trasmissione incominciava dicevano
La nostra trasmissione, Presto c La ruota, non dobbiamo perdere
linizio,interrompendo quello che stavano facendo, le loro discussioni, e
precipitandosisulle sedie, sbuffando. Era tuttoil giorno che aspettavano
quelmomento, in un certo senso,tutto il giorno non aveva altrosenso che non fosse
lattesa di vedere La ruota alla sera,intorno a qualche bicchiere.
Sullaltro canale cera un omosessuale che partecipava a un reality. Era un uomo
estroverso, dai vestiti colorati,dai modi eeminati, dalle acconciature improbabili
pergente come i miei. Lidea stessache un uomo andasse dal parrucchiere era
considerata male. Gli uomini si facevano rasare dalle loro donne, non andavano dal
parrucchiere. Li faceva molto ridere sempre lerisate ogni volta che prendeva la
parola Ah! Quello l va in bici senza sella. Non vorrei raccogliere la saponettavicino a
lui. Lui frocio? Preferirei farmi inculare che crederci. Lumorismo che in certi
momenti cedeva il posto al disgusto Bisognerebbe impiccarliquei froci schifosi, o
ccargli unaspranga di ferro nel culo.
in quel momento, nel momento in cui facevano dei commenti sullomosessuale
della televisione, che io sono tornato da scuola. Si chiamava Steevy. Mio padre si
voltatoverso di me, mi ha rivolto laparola Allora Steevy, come va, tutto bene a scuola?
Titi e Dd sono scoppiati in un vero e proprio accesso di risa: le lacrime che
scendono, il corpoche si contorce, come improvvisamente posseduto da un demonio,
la dicolt a riprendere ato Steevy, s vero adesso che lo dici tuo glioha un po gli
stessi modi quandoparla. Limpossibilit, ancora, di piangere. Ho sorriso e mi sono
precipitato in camera mia.

LALTRO PADRE
Mia madre mi aveva raccontato questo aneddoto. Era lepoca di uno dei balli del
paese balli dai nomi strambi che si tenevano nel salone delle feste pi volte allanno
Serata tartiette e musica anni ottanta, Serata cassoulet e sosia di Johnny. Cera
un omosessuale, coraggioso, che aveva deciso divivere senza nascondersi. Andava a
queste serate con degli uomini incontrati probabilmente in luoghi di abbordaggio a
qualche chilometro di distanza, in posteggi deserti o in sordide stazioni di servizio.
Ci andavano anche i ragazzi delpaese, le bande di amici che venivano a bere, a
divertirsi, acantare e a cercare di sedurre le poche ragazze ancora libere,che non
avevano ancora gli.Sar stato lalcol, il gruppo, i ragazzi hanno incominciato
aprendersela con lomosessuale,qualche spallata, degli sguardiche si potrebbero
denire aggressivi, Ehi sei frocio o cosa tu, ti piace il cazzo, abbassa gliocchi o ti
spacco la faccia. Mio padre arrivato, aveva sentitotutto. Era in preda a una collera
terribile, si rivolto aquella gente a denti stretti,
Volete lasciarlo in pace porca puttana, vi credete ghi a insultarlo, cosa ve ne frega se
frocio? Vi d fastidio? Gli ha detto di andarsene a casa loro Andate a cagare. stato
a un pelo dal mettergli le mani addosso ha concluso mia madre.
Mia madre mi aveva raccontato anche questo episodio della vita di mio padre, quando
verso i ventanni aveva deciso di smetterla con la fabbrica, di mollare tutto e
andarsene nel Sud della Francia Ha mandato aanculo il padrone, non era facile sai,
tu ti rendi conto chequi la gente non si sposta.Comincia ad andare in fabbrica dopo
la scuola e resta in paeseper tutta la vita oppure si sistemain un altro villaggio, ma
qua vicino. Tuo padre ha proprio tagliato la corda.
Mio padre partito. Dovevaaverlo sognato spesso.Simmaginava che laggi il
soleaiutasse a sopportare la fabbrica, le donne fossero pibelle. partito.
A Tolone ha provato a cercare lavoro, senza successo. Mia madre: Ha cercato lavoro
come cameriere in un bar ma sono sicura che ha passato pi tempo a bere al
bancone che a chiedere che gli dessero un lavoro. Non so se facesse qualcosa in
cambio, tuopadre non uno che parla molto,ma era una vecchia quella che
loospitava. Una vecchia piena di soldi. Una mormona, se ricordo bene.
Allepoca del suo viaggio eradiventato amico di un teppistello (mia madre diceva: un
borsaiolo, senza tanti fronzoli) che si faceva chiamare Neve, un soprannomeironico
data la sua pelle scura di magrebino. Sono diventati molto intimi, passavano le serate
insieme, insieme andavano a rimorchiare le ragazze. Sono stati inseparabiliper vari
mesi prima che mio padre tornasse al Nord, mia madre non sapeva perch.
Il suo passato laveva ripreso,come se malgrado i suoi sforzinon riuscisse a sfuggirgli.
Ci che le rimaneva incomprensibile: Ed per questo che tuo padre non ne parla
mai, del suo viaggio quandoviveva al Sud, perch insomma strano, non logico,
dice che gliarabi dovremmo ammazzarli tutti e quandera nel Midi il suo miglior amico
era un arabo.
Te le dico perch non capisco come mai tuo padre sia cos razzista, ionon sono
razzista, vero che gliarabi e i neri hanno tutti i diritti e si prendono tutti i soldi dello
Stato, ma comunque non dico mica di ammazzarli o di impiccarli o di metterli in
campodi concentramento come tuo padre.

LA RESISTENZA DEGLIUOMINI ALLAMEDICINA


A forza dinsulti e di osservazioni da parte di mio padre, avevo nito peravvicinare
qualche ragazzo del paese. Se li denivo i miei amici, la mia banda, era evidente che
esprimevo una fantasia e che ero piuttosto un elemento isolato che gravitavaintorno a
loro. Non riuscii mai a integrarmi completamentenei giri dei ragazzi. Numeroseerano
le serate in cui la mia presenza era accuratamente evitata, le partite di calcio acui
non mi veniva proposto dipartecipare. Cose insignicantiper un adulto, che segnano
unbambino per molto tempo.
Parecchie volte alla settimana ci trovavamo nel capanno di legno dei vicini, senza
realmente pianicare questi momenti. Un vasto capanno collocato al centro delcortile,
imponente, come costruito frettolosamente o vittima di una terribile tempesta,
sempre sul punto dicrollare. Ce nerano in quasitutti i giardini, fabbricati congrandi e
sottili latte dacciaiorecuperate in discarica. A quellepoca poco tempo fa, infondo,
allinizio del XXI secolo: il paese, lontano dalla citt, dal movimento e dallagitazione,
era escluso daltrascorrere del tempo le recinzioni non separavano ancora i giardini
e noi condividevamo dietro alle case un vasto cortile comune che ci permetteva di
incontrarci facilmente, senza che gli adulti ne fossero avvertiti, senza essere visti.
Passavamo il pomeriggio a giocare fra i mucchi di legna edi segatura che
testimoniavanole ore trascorse dagli uomini atagliare i ciocchi peralimentare le stufe
e riscaldare le case. Io andavo a piedi nudiin mezzo a chiodi arrugginiti e
cortecce coperte di funghi, conmia madre che urlava Non si va in giro a piedi nudi,
pericoloso,i chiodi nel legno, il rischio deltetano, di uninfezione. Non sei mica a
posto, tu, non puoi metterti delle scarpe e fare un po di attenzione. E poi: Ah quello l
sar anche bravo a scuola, ma scemo.
Un giorno, come aveva predetto mia madre, metto il piede su un chiodo. La vergogna,
o piuttostolorgoglio, che mi impedisce didirle che aveva ragione. Decido di stare zitto
e nascondere il taglio aperto dal chiodo nel mio piede destro. Dopo qualchegiorno
compare una macchia nera che diventa sempre pi importante, si allarga, si dionde
come una macchia dinchiostro su una stoa. Ancora qualche giorno e linquietudine a
poco a pocosimpadronisce di me, come le prese di coscienza troppo tardive che
gettano nellinerzia. Quei casi in cui pi passa il tempo e pi le possibilit di
correggere un errore, di sistemare una situazione imbarazzante, si riducono, e pi la
capacit direagire diminuisce.
Finalmente dopo uno sforzo enorme perstrapparmi allinazione, alla contemplazione
di una situazione sempre pi delicata,e anche, credo di poterlo dire,pericolosa
decido di applicare ogni giorno (pi volte nello stesso giorno, perch ormai non
pilinquietudine, ma il panico chemi coglie di fronte a questaparola di cui non so
niente, o pochissimo, ma che risuona inme senza darmi tregua: tetano)del profumo
per disinfettare laferita il profumo a buon mercato, dallodore repellente,che usava
mia madre. Quandolei sente su di me lodore del suo profumo, mi chiede se
sonopazzo a mettermi un profumoda donna, il profumo di miamadre. Avanza lipotesi
della pazzia per non lasciarsi sfuggire laltra parola, frocio, per non
pensareallomosessualit, per scartarla,per convincersi che si tratta di pazzia, cosa
preferibile al fattodi avere per glio un culattone.
Avevo ereditato da mio padre il distacco di fronte aiproblemi di salute. Pi ancorache
distacco, si trattava di sducia, di ostilit nei confronti della medicina e dei medicinali.
Mi ci vorranno degli anni, anche da adulto,anche lontano dal paese dellamia infanzia,
dal mondo che mi ha creato, per accettare diprendere un medicinale.

Ancora oggi, non posso fare a meno di sentire una sorta di repulsioneallidea di
ingerire degli antibiotici o di chiamare un medico. In generale non soloa mio padre
agli uomini nonpiaceva. Ne facevano una questione di principio Io non faccio storie,
non prendomedicinali in continuazione, nonsono una donnicciola. Ero stato forgiato
dallesperienza della resistenza alla medicina,soprattutto per il mio desiderioossessivo
di identicarmi, di mimare o di scimmiottare i caratteri maschili. Chi non si sente
uomo davvero vuole sembrarlo e chi conosce la sua intima debolezza fa volentieri
esibizione di forza.
Mio zio aveva fatto le spesedella negligenza degli uomini di fronte alla propria salute.
Per tutta la vita aveva fumato senza mai porsi i problemi dellesagerazione, dei limiti,
della ragionevolezza. Il tabacco gli ingialliva i denti,pi neri che gialli, lodore
delleGitanes gli impregnava i vestiti. Aveva fumato ma anche bevuto molto dopo il
lavoro, come mio padre, per dimenticare le sue giornatemassacranti a portare casse
ecolli, a mangiare in quindici minuti con lorologio alla mano un cattivo
pranzoriscaldato, preparato il giornoprima dalla moglie e messo nella gamella. Il
rumore del centro di smistamento, assordante, aggressivo.
Appena il tempo di sedersi permangiare e il richiamo opprimente del capo se sgarrava
di un solo minuto la durata della pausa. Mia madremi parlava della sua passione
sempre pi forte per lalcol Ecco diventato alcolizzato anche tuo zio come tutti gli
altri,davvero tutti uguali, tutti della stessa pasta. Sempre pi spessolo si poteva
vedere ondeggiare per strada, insultando gli abitanti del paese, facendo proposte
oscene alle giovani donne Qui che ti bacio, fammivedere il culo bella, vieni porcona
arrivando perno a spogliarsi per mostrare il suo sesso in pubblico. Mia zia tentava di
conservare la dignit, ngevadi ignorare gli eccessi del marito davanti alle altre donne
alluscita di scuola.
Qualcuno ha nito per trovarlo privo di sensi sul marciapiede, quasi morto, la faccia a
terra e la pelle del volto scorticata dalla caduta, il naso rotto. Coma etilico. Chi lha
trovato ha chiamato i pompieri.
Mio zio ritrovato con la testa sullasfalto, portato in ospedale con lambulanza. Nel
giro di pochi minuti, quasi met del paese si trovava riunito intorno al suo corpo
inerte. Mia zia venuta a trovarci quella sera stessa, il volto chiuso, duro, senza una
lacrima. Ci ha detto che la situazione era grave. Mio zio aveva fumato troppo, aveva
bevuto troppo, il suo stile di vita deplorevole gli aveva provocato un incidente
vascolare al cervello. Era paralizzato Il dottore mi ha detto che potrebbe anche non
risvegliarsi, glielavevo detto di smetterla con lalcol, glielavevodetto ma non c stato
niente da fare. Stupido che non era altro.
Due settimane pi tardi appresi lesistenza e il signicato del termine emiplegia.
zio era paralizzato in tutta la parte sinistra del corpo. Sarebbe rimasto a letto no
ne dei suoi giorni la quale,aveva precisato il medico conlespressione desolata
prendono i medici in questi casi, non doveva farsi attendere molto a lungo. Le
condizioni di salute continuavano ad aggravarsi.

Mio
alla
che
sue

Gli accessi di tosse duravano ore, lo zio gridava tutto il giorno, e soprattutto di
notte,svegliando mia zia perch glicambiasse la posizione nel letto, lo girasse a causa
dellemembra che si intorpidivano, le formiche nelle braccia. Mia zia: Non ce la faccio
pi. A voltemi viene voglia di ammazzarmi,di buttarmi. Le sue crisi di demenza,
probabilmente a causa della situazione in cui si trovava, la stanchezza per unavita a
letto nel salotto. Non cera posto nella camera per potervi installare un letto
dospedale. Insultava mia zia Schifosa, aspetti solo che crepi inqualche modo, non
desideri altro.

Mia zia: E quando mi dice cos trovo che non giusto perch potevo, se volevo,
potevomandarlo in un ospizio, ma nonho voluto, ho preferito restare con lui e curarlo
io, lo curer noalla morte, sono sua moglie naturale.
Malgrado la situazione, miozio rifiutava di curarsi.
Mia zia, sempre: E io non posso dirgli niente, il suo orgoglio, non gli sono mai
piaciute le medicine, un uomonon posso dire niente. Ma peggioper lui perch se
continua cos potrebbe avere dei problemi, come Sylvain.
SYLVAIN (UNATESTIMONIANZA)
Sylvain era molto ammirato in famiglia. Mio cuginoSylvain, dieci anni pi di me, un
duro, aveva passato granparte della giovinezza a rubaremotorini, organizzare furti
con scasso per sgragnare televisori e console che poi rivendeva, vandalizzare gli edici
pubblici, far saltare le cassette delle lettere. Si era fatto arrestare a pi riprese mentre
tracava droga o guidava ubriaco coi gli sedutidietro Faceva una cazzata dietro laltra.
Mica come te, a lui la scuola non piaceva. Quando miazia, o qualsiasi altro
membrodella mia famiglia, parlava delle prodezze di Sylvain, la erezza davere in
famiglia unduro simile prendeva sempre ilsopravvento sulla preoccupazione o sui
rimbrotti
Deve calmarsi un po Sylvain, perder la potest sui figli.
Sylvain era stato allevato dalla nonna dopo che sua madre aveva perduto la potest
sui gli a causa, credo,del suo alcolismo. Aveva gisollevato i sospetti dei servizisociali
facendo la maggiorparte dei propri gli con suocugino.
Dopo varie piccole illegalit di ogni tipo, e a forza di ripetere sempre le stesse
infrazioni, il tribunale ha presola decisione erano gi molti mesi che la sentenza
incombeva su mio cugino di mandarlo in prigione, una condanna di una trentina di
settimane. Quando tornava dalle visite in parlatorio, mia nonna ci raccontava le
dicolt che lui doveva arontare: le risse con gli altridetenuti, la vita quotidiana
inprigione, particolarmente dicile per i detenuti pipoveri.
Tutto era a pagamento,l Vi rendete conto, perno la carta da culo deve pagare.
assolutamente scandaloso. E poi,mia nonna osava appena dirlo, solo qualche
accenno che la spingeva ad arrossire e ad abbassare gli occhi, le violenzecommesse
da detenuti su altri detenuti e, nel caso, su mio cugino. Non ne era sicura perch
Sylvain ne parlavaappena a or di labbra, comelei. Condivideva lumiliazione senza
parole.
Dopo alcune settimane di prigione, il tribunale gli avevaaccordato un permesso, per
buona condotta, diceva mia nonna, un weekend, il tempo di vedere la famiglia e gli
amici. Lui aveva elaborato un programma minuzioso,passando ore, notti a sognaresul
letto, a organizzare le giornate di libert future conleccitazione di un bambino man
mano che il weekend in questione si avvicinava e quellimpiego del tempodiventava
sempre pi concreto(sto solo tentando, qui, di immaginare, di ricostruire lo stato
danimo di mio cugino inquel momento). Aveva raccontato a mia nonna la sensazione
di felicit provata durante il permesso.
Aveva capito che chiunque avesse passato dicolt simili potevasperimentare la felicit
megliodi chiunque altro. Aveva capitoche luna non esisteva se non in rapporto alle
altre e che perdevano qualcosa quelli checonoscevano solo il benessere e non avevano
mai provato il bisogno o lumiliazione. Era come se non avessero davvero vissuto.
Aveva potuto fare lamore con sua moglie, giocare con i gli, scegliere lora e la
composizione dei pasti. Ha festeggiato subito da MacDo, gli mancava.

Mia nonna ci ha raccontato il seguito, con aria desolata.


Quando venuto a trovarmi la sera prima del giorno in cuidoveva tornare nella sua
cella in prigione lho visto subito. Gli hovisto negli occhi qualcosa che nonandava,
perch io lo conosco bene il mio Sylvain, sono io chelho tirato su. Ho imparato.
Avevalaria triste, ma anche, nello stesso tempo, dicile da spiegare, non facile,
nello stesso tempo aveva laria contenta, perch sapeva che nonsarebbe rientrato.
Aveva previstotutto, nella sua testa. Credo addirittura che quando ha apertola porta
ed rientrato, subito,nello stesso secondo, io ho capitoche aveva deciso di non
rimettere piede in prigione. Cosa volevi chegli dicessi io, era tanto di queltempo che
non lo vedevo cos felice il mio Sylvain, e non sarebbe servito a niente, voi
loconoscete, nessuno mai riuscito a fargli cambiare idea.
Un duro.
Per prima cosa si seduto, hafatto nta di niente. Mi ha chiesto, cosa che non faceva
mai, non laveva mai fatto in quasi trentanni, quindi era un altro indizio, mi ha
chiesto comera andata la mia giornata. Che stupidaggine. Era una cazzata perch
non gliene fregava niente.Ma io sono stata al gioco. Ho risposto: Sono andata a
prendereil pane in panetteria, ho dato damangiare ai polli, poi ho
guardatotranquillamente la TV sul mio divano. Le solite cose. Lui era l, come un
macigno. In quel momento c stato silenzio. Sai che in quei momenti, i silenzi
sembrano eterni. come se contassi i secondi e come se ognisecondo durasse unora.
Si a disagio. Voglio dire, di solito ionon sono a disagio con Sylvain.Mai. Lho
cresciuto, per cui i silenzi, dopo un momento, si dimenticano. Non hanno
piimportanza, la vita. Non cheuno se ne frega, che non se nerende neanche
conto. Ma quelgiorno, quel giorno era diverso.
Mio cugino ha preso la parola dopo quel lungo silenzio. La cosa pi dicileper lui che
sapeva che mia nonna aveva capito. Si apprestava a dirle quello che lei gi aveva
intuito. La preoccupazione di non spiegarsi bene, che lei non capisse. Lo scopo non
era rivelarle qualcosa, ma fare inmodo che lei accettasse quelloche gi sapeva. Ha
dunque dichiarato che non sarebbe tornato in prigione. Non che non volesse, che
fosse in gioco la sua volont, una scelta, inquella situazione, ma non poteva, era
impossibile. Non poteva pi mangiare tutti i giorni lo stesso cibo Ti giuro mamie si
parla sempre del mangiare dellospedale ma l ancora peggio.
Vedere gli altridetenuti che lo odiavano, maanche gli amici che si era fattol, del
resto, quelli con cui passava il tempo durante loradaria in cortile, con cui parlava
della moglie e dei gli,quelli che erano diventati perlui una seconda famiglia, li
chiamava il mio clan, quelli chelo proteggevano, lo aiutavano,e che lui proteggeva e
aiutava a sua volta, anche loro li detestava, pensandoci (come segli individui, gli altri,
fossero sempre associati a un luogo, uno spazio e un tempo particolari, da cui era
impossibile dissociarli, come seesistesse una geograa dei legami, dellamicizia, e
detestare un luogo comportasse, inesorabilmente,fatalmente, il detestare coloroche vi
si trovano).
Non poteva pi sentire lodore delle celle,n ascoltare il pazzo di soprache ogni notte
picchiava pugni nel muro, facendo vibrare non le sbarre, che nonesistono quasi pi
nelle prigioni moderne, ma le portedi metallo che le sostituivano. Sylvain era meno
disturbato dal rumore che faceva il pazzoche dal timore di vedersi in lui,di dirsi che
poteva arrivare il suo turno, il giorno in cui sarebbe stato lui, troppo stancodi restare
chiuso in pochi metriquadrati, a sprofondare in quello stato di demenza.
Mia nonna: Allora me lha detto, Mi dispiace mamie ma ionon ci torno. Mi guardava
drittonegli occhi. Io non ho abbassato imiei. Lo guardavo anchio perfargli capire che
quello che stava per dirmi io potevo ascoltarlo senza problemi, non ero sconvolta. Non

doveva usare giridi parole. Non perch sono unadonna. E quindi cosho fatto?
Hofatto qualche moina, ho fatto unasmora, ho fatto nta di essereincerta e anche un
po arrabbiata, ho cercato di capire se era proprio sicuro di quello che voleva fare. Lo
era. Se gli avessi detto che no, doveva rientrare, avrebbe replicato e bisogna
ammettere che non avrebbe avuto completamentetorto, questo che mi avrebbe
messo in crisi: Tu vuoi che finisca in galera, che crepi in galera? Non potevo
permettermelo. Gli ho chiesto:
Sei sicuro di te, seisicuro della tua scelta? Mi ha risposto: S mamie perch se torno
dentro, non c dubbio, tu non mi rivedrai pi. Mi ha scombussolato quando ha detto
cos. Mi sono trattenuta dal piangere perch non sono una donna che piange io di
solito. Hotirato fuori il fazzoletto dicendo Ah porca puttana la mietiturami fa venire
il rareddore da eno. Lui mi ha baciato e se n andato.
Dopo di che Sylvain tornato a casa sua. Ha festeggiato la libert con qualche amico.
In un primotempo andato tutto bene, lapolizia non venuta a cercarlo subito.
Doveva immaginare, grazie alle serie TV che guardava, che la polizia sarebbe arrivata
immediatamente, decine di auto e magari anche un elicottero, che avrebbe circondato
la casa gridando in un megafono SignorBellegueule, lei in arresto, nonsi muova.
Quando stato ubriaco (Stasera mi sballo per festeggiare), andato a cercarei suoi
gli, in camera loro a guardare una videocassetta Ragazzi andiamo a fare un giro
inmacchina. Come mio padre che,quandera sbronzo, sentiva sempre il bisogno di
prendereil volante. Una sda contro se stesso.
I bambini erano felici, non si chiedevano perch adesso, a quellora. Si sono messi le
scarpe tenendo addosso il pigiama. Sua moglieha detto No. Gli ha detto che aveva
bevuto troppo, si era drogato troppo per quella sera,era irragionevole da parte sua
Non vorrai fare un incidente e far fare un incidente ai bambini. scoppiato un litigio.
Sylvain diceva a sua moglie che non doveva parlare cos. Non doveva permettersi.
Non sapeva cosa voleva dire viverein prigione, tutto quello che lui aveva passato, non
potevaneanche immaginare, neanche con la miglior volont del mondo, quello che
voleva dire.
Le parole che lalcol fa venirefuori e che non si sa davvero se sono sfuggite dopo tanto
tempo, represse da colui che lepronuncia, o se non hanno alcun rapporto con la
verit E poi colpa tua se sono nito inprigione, perch tu non mi hai amato
abbastanza, altrimenti nonavrei sentito il bisogno di fare simili cazzate, ho cercato di
compensare una mancanza di amore, gi che mia madre mi aveva abbandonato, sono
semprestato abbandonato io, se ci penso. Discorsi fatti dagli psicologi alla televisione,
che gli aveva messo in testa mia madre. Aveva gi detto, a me,che la moglie di Sylvain
non si occupava abbastanza di lui e che in questo senso era responsabile del suo
comportamento. In paese i comportamenti degli uomini erano spesso imputati alle
mogli, che avevano il dovere dicontrollarli, come in occasionedelle risse alluscita dal
ballo
Capisci, sua moglie se ne fregavadi Sylvain. Una vera schifosa.
Sylvain dopo il litigio ha preso la macchina e se n andato senza i bambini. La rabbia
gli animava tutte le cellule del corpo. Qualche chilometro pi in l, unauto della
polizia lha fermato.
Ancora mia nonna: Vedi,quando gli sbirri lhanno fermato sapevano gi tutto. Era
tutto previsto. Non lhanno detto subito, hanno fatto finta che fosseun semplice
controllo, una cosadi routine. Far nta di non conoscerlo.
Gli hanno detto di soare nel palloncino e quandoha soato saranno stati contenti
perch avevano un pretesto in piper arrestarlo. Lavrebbero fatto comunque, ma cos

era ancora meglio, si chiamano circostanze aggravanti. Poi per mettere la ciliegina
sulla torta aveva fumatodellerba e gli sbirri non sono stupidi, sono abituati, il loro
mestiere. Se ne sono accorti subito. Gli hanno fatto il test dalcolemia, e tu conosci
Sylvain,beveva bene. Quando sei su di giri, come si dice, non puoi scendere a piedi.
Io non lo so,ma credo che gli sbirri si sianodivertiti a cuocerlo a fuoco lento,a farlo
aspettare per godersi lasua paura. Quello che parlava, ilcapo credo, ha chiesto a
Sylvain i documenti ed tornato alla macchina per controllare sul computer, quei
computer piccoliche hanno sempre nelle macchine della polizia per riconoscere
qualcuno. Identificarlo.
Ha perso la testa Sylvain. Ha premuto sullacceleratore, come se volesse scappare. E
il poliziottocosha fatto? Be si messo davanti alla macchina per impedirgli di
prendere il largo.Chiss cosa gli passato per latesta a Sylvain, uno scatto, un
accesso di follia come quei caniche sono buoni con tutti e un bel giorno si gettano
sulla poverabambina che gioca tranquilla conle sue bambole in salotto e le mordono
la faccia e la bambina si ritrova morta o sgurata per tuttala vita anche se spesso, in
questicasi, il cane conosce bene la bambina, il cane di famiglia,hanno passato
insieme ore e oree lui era la bestia pi buona delmondo. I genitori che cercano
dicalmare il cane ma in una situazione simile cosa vuoi fare, impossibile, del tutto
impossibile.
Pensa tu, quel cane lhai allevato,gli hai dato da mangiare, gli haifatto le coccole e poi
ancora lecoccole, e te lo vedi l davanti, un bel giorno, senza preavviso,che tenta di
mangiarsi i tuoi gli.Ti getti sul cane, lo meni con tutte le tue forze, sembra che
quando sei molto arrabbiato o haimolta paura le tue forze si moltiplichino per dieci,
gridi, piangi, insomma provo a immaginare perch per fortuna ame non mai
successo.
Ma pilo meni e pi il cane stringe i denti sulla gola della tua bambina e il sangue
dappertuttonella stanza che schizza e la tua bambina che cerca di gridare ma non ci
riesce, solo un soo quello che le esce di bocca, credoche si dica un rantolo,
insommanon so cerco di immaginare, macorri in cucina a cercare un coltello da
macellaio, torni e pugnali il cane. Si crede che siafacile uccidere qualcuno cos, main
verit, io lo so come quandouccido i polli da mangiare, in verit dicile. Bisogna
spingerebene sul coltello perch penetrinella carne, bisogna avere forza.
Bisogna volerlo, te lo garantisco.Meni coltellate al cane ma troppo tardi, perch
quando nalmente sei riuscito ad accoppare quella bestiaccia ti rendi conto che tua
glia gimezza morta. Due cadaveri sul gobbo.
Ma non questo che dicevo, non quello che volevo dire. Sylvain. Preme
sullacceleratore,lo sbirro gli si mette davanti perimpedirgli di scappare ma succede
qualcosa nella testa di Sylvain e parte, accelera, va addosso allo sbirro e lo investe.
Lo sbirro passa sopra al parabrezza. una fortuna perchnon gli succede niente di
grave,si rialza subito e con i suoi colleghi inseguono Sylvain, un inseguimento come
quelli che sivedono alla TV. Ma il mio amore non si lascia fregare, riesce a seminare
la polizia. Lo perdono.
Qualche ora dopo Sylvain sitrovava in un cantiere dove stavano costruendo nuove
abitazioni. Sapeva che prima opoi lavrebbero arrestato di nuovo. andato l con la
mazza da baseball che teneva sempre in macchina nel caso incui uno dei tipi a cui
dovevadei soldi traco di droga losorprendesse un giorno e lo aggredisse per
recuperare il debito. Aveva spaccato le nestre a una a una, lanciandogrida che
risuonavano nella notte tranquilla. Aveva spaccato tutto e tentato di appiccare il
fuoco gridandosempre pi forte, tanto che sisarebbe detto che cercava di allertare i
vicini (e quindiindirettamente la polizia) della propria presenza.

Non voleva tornare in prigione per un semplice mancato rientro dopoil permesso.
Voleva giusticarela sua pena. Quando la polizia arrivata, lha trovato in mezzo a
frantumi di vetro, pezzi di mattone e di tegole che aveva scagliato contro i muri. Con
una bomboletta di vernice aveva scritto su un muro NLP a lettere cubitali. Quando gli
hanno messo le manette non ha opposto resistenza.
Sylvain arrivato in tribunale. Aveva laria calmissima, come quando la polizia
laveva arrestato. Menoagitato di quanto si potevapresumere e di quanto poteva
essere stato in precedenza. Il procuratore gli ha posto le solite domande: perch
lavevafatto, perch in quel modo, ledomande sul suo passato, i suoigli, la sua vita
privata. E il fatto di non aver mai conosciuto suo padre, labbandono da partedi sua
madre, pensa che tutto questo, che tutti questi aspetti della sua vita centrino
qualcosa con i suoi atti di delinquenza?
Altre domande che non capivaa causa della lingua, non solodellistituzione
giudiziaria, ma dei mondi in cui le persone studiano Aermerebbe che i suoi atti sono
imputabili a costrizioniesterne o ha limpressione che inquesta faccenda fosse in
gioco solo il suo libero arbitrio? Mio cugino ha balbettato che non aveva capito la
domanda e lhapregato di ripeterla. Non era imbarazzato, non coglieva direttamente la
violenza esercitata dal procuratore, la violenza di classe che laveva escluso dal
mondo della scuola e, attraverso una serie di causeed eetti, laveva inne portato l, in
tribunale. Doveva pensare al contrario che il procuratore era ridicolo. Che parlava
come un frocio.
Dopo quella serie di domande, gli hanno chiesto inne una semplice formalitperch
tutti credevano di saperlo cosaveva voluto dire con NLP. La mia famiglia ne aveva
gi parlato a lungo dopolarresto Sylvain vero che non ha mai sopportato gli sbirri
neanche dipinti. Il procuratore gli ha chiesto da dove gli veniva quellodio per la
polizia, perch si era dato la pena, mentre stava persaccheggiare ogni cosa in
quelcantiere distrutto dal suo passaggio (frammenti di vetro,di mattoni, di ardesia), di
andare in macchina a prendereuna bomboletta di vernice perscrivere sul muro NLP,
sigla che signica, come tutti sanno, Nique la police, Fanculo la polizia, un gesto che
doveva aver programmato con molto anticipo e che di fatto mal siadattava allo stato
di follia testimoniato dal comportamento di Sylvain nelcantiere. Ma signor
procuratorelei non ha capito niente. NLP non voleva dire Nique la police.Voleva dire
Nique le procureur.
Quellinsulto al procuratoreancor oggi fa fremere i membridella mia famiglia
quandoraccontano questa storia Aveva i coglioni quello l. tornato in prigione, gli
avevano dato seianni. E poi gli stato diagnosticato un cancro ai polmoni in uno
stadio avanzato. Ha riutato le cure. Lhanno trovato una mattina, morto, nella sua
cella. Non aveva ancora trentanni.
(Sono tornato due giorni nel paese della mia infanzia per raccogliere informazioni
sulla mia famiglia. Ci sono andato con lo scopo di vedere mia nonna e di farle delle
domande su mio cugino Sylvain. Mi ha accolto nel suo nuovo appartamentino a
canone convenzionato dove tutte le case sono esattamente simili. Ha lasciato quella
dovera sempre vissuta per rivenderla amia sorella. Era la seconda volta che entravo
in casa sua. La prima volta che sono andato la casa era pulita,stavolta ho avuto
limpressioneche mia nonna si fosse impadronita a poco a poco delluogo.
Odore di sporcizia, di cane sporco ha eettivamente un cagnolino con s nella sua
casa di trenta metri quadri, tutti quelli che aveva nella casa vecchia sono ormai
morti. Non so come descrivere questo odore di cane sporco, spesso presente nelle
case del paese, anche da miamadre. Mi ha oerto qualcosada bere e ho accettato. Mi

ha dato un bicchiere sporco. Sonorimasto zitto, non ho osato direniente. Ho preso il


bicchiere incui ha versato dello sciroppo difragola. andata in cucina dove ha
sciacquato una bottiglietta di sapone vuota e poi lha riempita dacqua. Ho capito che
intendeva servirsene come brocca. Malgrado il disgusto, ho continuato a tacere e ho
lasciato che versasse lacqua nel mio bicchiere, inorridito dalle particelle di sapone
che vi sitrovavano. Per due ore lho interrogata sulla nostra famiglia senza toccare il
mio bicchiere. Lei gli lanciava piccoli sguardi furtivi e interrogativi.)
LIBRO 2 SCACCO E FUGA
IL CAPANNO
successo poco dopo le prime botte dei due ragazzi. Qualche mese pi tardi al
massimo.
Tutto incominciato durante una di quelle giornate che passavamo nel capanno di
legno dei vicini. Bruno quelpomeriggio ci aveva proposto di entrare in casa sua: i suoi
genitori non cerano. Aveva proposto di andare in camera sua per guardare un lm,
insistendo Ho una cosa da farvi vedere, una gata pazzesca. Avendo cinque o sei anni
menodi lui, cedevamo sempre ai suoidesideri, lui che si faceva chiamare il
capobanda.
Ci aveva fatto sedere sul suo letto, un materasso originariamente bianco o giallino
diventato marrone, arancione a causa della sporcizia, nugoli di polverequando ci
siamo seduti sopra,odore di chiuso, di guardarobaumido. Lui si assentato qualche
istante. Quando tornato aveva in mano una videocassetta, un lm pornograco Un lm
di culi che ho fregato a mio padre, lui non lo sa, perch se lo sapesse mi
ammazzerebbe di sicuro.
Ha proposto di guardarlo fra amici. Gli altri due, mio cuginoStphane e Fabien, laltro
vicino di Bruno, hanno approvato. Io, invece, non volevo. Ho detto che non era
possibile, non si poteva fare. Ho aggiunto che giudicavo la cosa sospetta e anche
abbastanza perversa, dei ragazzi che guardano insieme un lm pornograco. Mio cugino
laveva proposto con aria falsamente divertita, conquel tanto di brio nella voce per
cui, se avessimo reagito male, poteva dire che aveva scherzato, che quella proposta
era uno scherzo, che non laveva mai pensato davvero, ma anche con quel tanto di
serio e di autorevole nel tono perch noi capissimo che la sua era davvero una
domanda,aveva proposto di masturbarcitutti insieme davanti al lm. Ci fu un breve
silenzio. Tutti si guardavano per cercare di percepire negli occhi degli altri come
bisognava reagire. Non assumersi il rischio di dare una risposta che poteva diventare
causa di isolamento, di prese in giro.
Non so pi chi ha corso il rischio per primo, accettando la proposta di mio cugino,
suscitando immediatamente lapprovazione generale. Io non potevo accettare. Ma io
non voglio vedere i vostri piselli,non sono un frocio schifoso.
Mi tenevo alla larga da tuttoci che riguardava pi o menolomosessualit. Una sera
eravamo allo stadio comunale del paese in realt, a quel tempo, prima dei lavori
successivi, piuttosto una speciedi pratone verde dal quale spuntavano, come
emergendodalle profondit della terra, dei pali di ferro arrugginito che servivano da
porte , stadio nel quale entravamo alla chetichella di notte, scavalcando le
recinzioni. Ci andavamo a bere le birre portate dalla fermata dellautobus. Quella sera
mio cugino Stphane, che aveva bevuto, aveva incominciato a dire cose senza senso
su se stesso e sulla sua forza sica Io sono una belva ragazzi, sono unabelva, chi mi
tocca morto.

Si era tolto i vestiti a uno a uno,proprio con lo scopo di esibire la possanza sica che
evocava,no a restare completamente nudo. In paese, gli uomini lofacevano
regolarmente quanderano ubriachi, come mio zio paralizzato prima delsuo incidente
o Arnaud e Jean che ogni anno in occasione della festa del paese nivanonudi, in piedi
sulle le di tavolidisposte anch tutti potessero mangiare insieme intorno ai cartocci di
patatinefritte e alla grigliata. Le grigliate erano preparate dal padre di Fabien,
Merguez, soprannominato cos perchera quello che si occupava delbarbecue in
occasione delle feste paesane e delle ere. Anche Fabien era soprannominato
Merguez:i soprannomi erano ereditari.
Gli altri ridevano gonocome un otre, rotondo come unapalla, pieno come un uovo.
Mio cugino correva da una parte allaltra del campo di calcio,nudo, esibendo il suo
sesso, lecui dimensioni imponenti mi intimidivano. Allora gli altri ragazzi, ilari, si
sono messi aimitarlo e a togliersi i vestiti.Correvano, toccavano il proprio sesso e
quello deglialtri. I sessi che col movimento dei corpi si trovavano sbattutifra una
coscia e laltra, percuotendo una gamba poi laltra poi il basso ventre. Si stronavano,
pelle contro pelle, per mimare latto sessuale. I ragazzi ridevano molto di queste cose.
Uno mi ha chiesto perch non facevo come loro.
Ho risposto con voce abbastanza forte da essere udita da tutti che io non mi
abbassavo a quel genere di cose, e ripetendo, come con il lm che aveva portato
Bruno, che trovavo tutto ci nauseante, e che guardandoli, tutti quantierano, coi loro
corpi denudati,mi dicevo che il loro comportamento era davvero un comportamento
da froci. Inverit, quelle carni mi davanole vertigini. Usavo le parole frocio, finocchio,
culattone per tenerle lontane da me. Dirle agli altri perch smettessero dinvadere
tutto lo spazio delmio corpo.
Sono rimasto seduto sullerba e ho condannato il loro comportamento. Giocare agli
omosessuali era per loro un modo di mostrare che non lo erano. Bisognava non
essere froci per poter giocare a esserlo il tempo di una sera senza rischiare loffesa.
Il mio parere contava assai poco. Le decisioni, come in tutti i casi del resto,
appartenevano al generemaschile, da cui ero escluso. Ledeliberazioni erano nelle
mani di Bruno e degli altri. Ignoro semi riducessero consapevolmente al silenzio ose
questo meccanismo operassesenza che se ne accorgessero.Non mi avevano ascoltato
e avevano introdotto la cassetta nel lettore.
Quando sono comparse le prime immagini hanno scherzato, poi lagitazione ha
progressivamente cambiato natura. I respiri erano sempre pi irregolari. I corpi
sudati, gli occhi ssi sullo schermo,lapprensione percepibile sullelabbra leggermente
tremanti, particolarmente tremanti alle estremit. Hanno tirato fuori il loro sesso e si
sono messi ad accarezzarselo. Sento ancora i gemiti, dei veri gemiti di piacere. Vedo
ancora i loro sessi inumiditi.
Ho detto che dovevo andarmene e che non volevo assistere a quel gioco,
troppoimbarazzato. Non ho detto che ero imbarazzato, ho tentato di nasconderlo, di
assumere unaria serena. Tornando a casa mia piangevo, lacerato fra il desiderio che
avevano fatto nascere in me i ragazzi eil disgusto per me stesso, per ilmio corpo
desiderante.
Sono tornato a passare deltempo con loro il giorno dopo.Non abbiamo rammentato
subito il film.
Ci siamo riuniti nel capanno come gli altri giorni per fabbricare armi di
legnointagliando i rami. Quel giorno mio cugino ha interrotto il rumore dei martelli e
delle seghe Cazzo era bello il lm di ieri (il cuore che quando dicequeste parole mi

batte tanto forte che ho limpressione cheogni battito mi sar fatale, cheil cuore non
sopporter pi alungo simili scosse), ha ripreso
Peccato che non possiamo fare come gli attori del lm. Ha aspettato una manciata di
secondi, poi si rimesso allopera (il suo ramo), poi In ogni caso non ci sono
abbastanza ragazze per questo, e qui le ragazze sono troppo represse
(colpo di martello, sussulto del cuore, colpo di martello, sussulto del cuore; i due si
accordavano a formare una sinfonia infernale).
Quando in seguito ha posto la domanda, venuta fuori allimprovviso. Mia madre
avrebbe detto venuta cos, come la voglia di pisciare. Mio cugino ha domandato
Potremmo fare come nel lm, le stesse cose. Le reazioni sono state meno timide di
quanto ci si poteva aspettare da bambiniche, a loro dire, detestavano, gi a dieci
anni, quando dovevano averne conosciuti pochi, o nessuno, i nocchi. Ah, s, sarebbe
forte, che ridere. Bruno ha domandato dove potevamo giocare a quel gioco,farlo, poi
ha proposto di restare nel capanno.
I sorrisi che esibivano non svanivano e rappresentavano per loro la garanzia di potere
in qualsiasimomento trasformare quelfragile progetto in un grandescherzo. Parlavano
a voce bassa, come se le loro parolefossero degli esplosivi che bisognava manipolare
con estrema precauzione e che avrebbero potuto, se avesseroalzato la voce,
distruggerli in un istante. Mio cugino si rassicurava e ci rassicurava: era solo un
gioco quello che stavamo per fare, il tempo di un pomeriggio Potremmo farlo cos,
semplicemente per divertirci. Mi aveva suggerito di andare a rubare dei gioielli alla
mia sorella maggiore Eddy, tu potresti, sarebbe ancora meglio cos, potresti rubare
deglianelli a tua sorella e cos chi mette lanello quello che fa dafemmina, quello che
si fa baciare, solo per scherzo, se no cisi confonde senza anelli, sembrapi vero. Con
gli anelli ci riconosciamo bene.
Eseguii. Non ero pi in gradodi riutare. Non riuscivo pi afar nta di essere restio o
disgustato. Il mio corpo non milasciava altra scelta che fare tutto ci che stavano per
chiedermi. Sono corso in camera mia per sgragnare gli anelli che mia sorella
nascondeva in un portagioie viola. Quando sono tornato,erano ancora nel capanno,
ioho detto Li ho presi. Fa vedere ha ordinato Bruno. Ne ha dato uno a me, laltro a
Fabien Voi due fate le donne, io e Stphanefacciamo gli uomini. Non sembravano
ansiosi. Piuttosto pronti a fare un gioco insolito,rischioso, ma niente pi che ungioco
da bambini, come quando Bruno si divertiva a torturare i polli di mia madre.
Ricordo le impiccagioni dei polli con la lenza, i polli chelanciavano grida di orrore,
indicibili, inimitabili, pollibruciati vivi o anche un polloche, per unintera partita di
calcio, ci aveva fatto da pallone. Io, per me, mi rendevo conto che era tutto il mio
essere, tutto il mio desiderio da sempre represso, che mi trascinava in quella
situazione. Bruciavo deccitazione.
Mi sono allungato con la faccia a terra, o pi esattamente con la faccia contro la
segatura di legno cheformava uno spesso tappetoallinterno del capanno e chemi
entrava in bocca quando respiravo. Mio cugino mi ha abbassato i pantaloni e mi
hadato uno degli anelli che avevoportato Ah prendi qua, metti lanello se no non serve
a niente.
Ho sentito il suo sesso caldo contro il sedere, poi dentro di me. Mi dava degli ordini
Apri, Solleva un po il culo. Ubbidivo a tutte le sue richieste con limpressione di
realizzare e diventare nalmente quelloche ero. Ogni colpo di reni chemi dava faceva
indurire un podi pi il mio membro, e comequando avevano guardato il lm per la
prima volta, le risadei primi colpi di reni hannoben presto lasciato il

postoallimitazione dei sospiri degliattori porno, alle frasi che misembravano allora le
pi bellemai sentite no ad allora
Prendi il mio uccello, Lo senti?
Mentre mio cugino prendevapossesso del mio corpo, Brunofaceva lo stesso con
Fabien a pochi centimetri da noi. Sentivo lodore dei corpi nudi eavrei voluto rendere
palpabilequellodore, mangiarlo perrenderlo pi reale. Avrei volutoche fosse un veleno
che mi ubriacasse e mi facesse sparire,avendo come ultimo ricordo lodore di quei
corpi, gi segnati dalla loro classe sociale, che lasciavano giapparire sotto una pelle
ne elattea di bambini la loro muscolatura di adulti in divenire, sviluppata a forza
diaiutare i padri a spaccare e stoccare la legna, a forza di attivit sica, di partite di
calcio interminabili e ognigiorno ricominciate.
Il sesso diBruno, che era pi grande dinoi e in quel momento aveva una quindicina
danni mentre noi ne avevamo nove o dieci,era ben pi massiccio dei nostrie cosparso
di peli scuri. Il suo corpo era gi quello di un uomo. Osservandolo penetrareFabien,
la gelosia mi ha invaso. Sognavo di uccidere Fabien e mio cugino Stphane per avere
il corpo di Bruno tutto per me, le sue braccia possenti, le sue gambe dai muscoli in
rilievo. Anche Bruno lo sognavo morto perch nonpotesse scapparmi, mai, e il suo
corpo fosse mio per sempre.
Fu linizio di una lunga serie di pomeriggi in cui ci riunivamo per riprodurre le scene
del lm e ben presto le scene di altri lm visti nel frattempo. Bisognava stare attenti a
non farci sorprenderedalle nostre madri, che uscivano in cortile pi volte algiorno per
strappare le erbaccedal giardino, raccoglierequalche verdura o prendere lalegna nel
capanno. Quando una di loro arrivava, noi facevamo sempre in tempo a rivestirci e
ngevamo di giocare a qualcosaltro.
La frenesia si impossess dinoi. Non passava giorno senzache mi incontrassi con
Bruno,mio cugino Stphane o Fabien, non solo nel capanno, ma dovunque fosse
possibile, come dicevamo, giocare a uomo e donna, dietro agli alberi in fondo al
cortile, nel solaio diBruno, per strada. Non mi lavavo pi le mani quanderano
impregnate dellodore dei loro sessi,passavo ore ad annusarle comeun animale.
Avevano lodore di quello che ero.
In quel periodo, lidea di essere una ragazza in un corpomaschile, come mi avevano
sempre detto, mi sembrava sempre pi reale. Ero diventato a poco a poco un
invertito. La confusione regnava in me. Ritrovare ragazzi ogni giorno nel capanno per
spogliarli, penetrarli o lasciarmi penetrare mi spingeva a dire che cera un errore
sapevo che questo tipo di errori si vericavano. Sentivo dire dappertutto e da sempre
che leragazze amavano i ragazzi. Seio li amavo, non potevo che essere una ragazza.
Sognavo diveder cambiare il mio corpo, diconstatare un giorno, con sorpresa, la
scomparsa del mio sesso. Limmaginavo svanire nottetempo, lasciando il postoal
mattino a un sesso da ragazza. Non vedevo pi unastella cadente senza esprimereil
desiderio di non essere pi un ragazzo. Non scrivevo pi una pagina del mio diario
senza fare riferimento al mio desiderio segreto di diventare una ragazza e alla
paura,sempre presente, anche lei, chemia madre scoprisse quel diario.
Un giorno tutto finito.
stata mia madre. Lei non sapeva che indirettamente avrebbe contribuito al
moltiplicarsi degli insulti che ricevevo a scuola, delle botte.Ero nel capanno con gli
altritre. Stphane era steso sopra ilmio corpo, marcato dal sigillodella femminilit a
causa dellanello che avevo al dito indice. Bruno penetravaFabien. arrivata mia
madre. Noi non lavevamo vista, teneva un recipiente di vetro in mano, pieno di

mangime per i polli. Quando lho vista ldavanti a noi troppo tardi per accorgersi
della frattura, diquel secondo in cui aveva dovuto passare dalla condizione di una
donna che d da mangiare ai polli, gestomeccanico e quotidiano, a quella della madre
che vede suo glio di appena dieci anniche si fa sodomizzare dal cugino, lei che
condivideva leopinioni di mio padresullomosessualit, anche se neparlava meno
spesso quandolho vista era gi irrigidita, incapace di emettere il minimosuono o a
fare il minimo gesto.Mi ssava come ci si puimmaginare in una situazionedi quel tipo,
in fondo banale,la situazione di una personache scopre, senza aspettarselo, una
scena talmente impensabile che si trovava impossibilitata a reagire, la bocca
semiaperta e gli occhi fuori dalle orbite.
N lei n io abbiamo potutofare niente per alcuni istanti.Poi lei ha lasciato cadere il
contenitore di vetro, che si frantumato al contatto con ciocchi di legna
ammonticchiati. Non lha nemmeno guardato, non ha abbassato gli occhi verso il
recipiente spaccato come si faquando si rompe qualcosa. Nonstaccava lo sguardo dal
mio, uno sguardo che non so pi cosa esprimesse. Forse laccoramento o lo
sconforto, non lo so pi. Ero troppo accecato dalla vergogna e dallidea che mi sorta
spontanea, che potesse dire tutto agli altri, a mio padre, ai suoi amici, alle donne del
paese che gi sentivo Lavevamo sempre detto che era un po strano il piccolo
Bellegueule, che non era come gli altri, i gesti che faceva quandoparlava e tutto il
resto, si sapevabenissimo che aveva del frocio.
Mia madre si allontanata senza una parola. Io mi sono rivestito velocemente. Volevo
tornare subito a casa, un gestodisperato per convincerla a non dire niente agli altri.
Supplicarla, se necessario.
Era troppo tardi.
Quando ho aperto la porta,mia madre era l. Aveva sulla faccia la stessa espressione
irrigidita di cinque minuti prima, come se fosse rimasta paralizzata per il resto della
sua vita, come se lo choc lavesse sgurata per sempre. Mio padre era accanto a lei,
unespressione simile gli modellava i tratti. Sapeva tutto. Mi si avvicinato
lentamente e poi lo schiao, forte, laltra mano che mi teneva la maglietta con tale
violenza da strapparla, il secondo schiao, il terzo, un altro e un altro ancora, sempre
senza una parola. Allimprovviso Non farlo mai pi. Non ricominciare mai pi ofinisce
male.
DOPO IL CAPANNO
Per parecchie settimane nonho pi sentito parlare della storia del capanno. Speravo
che scomparisse. Ma la sua onnipresenza mi schiacciava: ogni sguardo che mi
rivolgevano i miei genitori era una messa in guardia, ogni loro intonazione, ogni loro
gesto mi diceva che bisognava mantenere il silenzio. Lingiunzione di tacere. Non
evocare pi quella storia, mai;riparlarne sarebbe stato un modo di ripeterla.
Quando ha fatto di nuovo irruzione non mi aveva dunquelasciato. Ma non mi
aspettavoche tornasse fuori. Pensavo che la vergogna che condividevamo, io, i miei
genitori e i miei amici, fossetroppo forte, che impedisse achicchessia di parlarne e che
mi avrebbe protetto. Mingannavo.
I due ragazzi mi hanno raggiunto nel corridoio. Non lofacevano tutte le mattine. Certi
giorni non venivano: erano spesso assenti, come me e molti altri, ogni pretesto era
buono per non andare a scuola. Altre volte ancora mi capitava, terrorizzato e
soprattutto stanco di quel giocointerminabile, come se tutto non fosse stato che un
gioco, dinon voler pi partecipare.

Di non voler pi tornare nel corridoio, aspettarli, prendere le botte, cos come certe
persone un giorno mollano tutto, famiglia, amici, lavoro, scelgono di non credere pi
alla sensatezza della vita che conducono. Di non credere pia unesistenza che si
fonda solo sul fatto di credere a quellesistenza. Andavo allora in biblioteca, col timore
malgrado tutto di vederli comparire e linquietudine perle rappresaglie del giorno
dopo.
Sembravano particolarmentenervosi. Avevo imparato a leggere i lineamenti dei loro
volti. Li conoscevo meglio di chiunque altro dopo averli incontrati ogni giorno per
dueanni in quello stesso corridoio.Potevo riconoscere i giorni incui erano stanchi,
quelli in cuilo erano meno. Giuro che a volte, quando uno dei due sembrava soerente,
provavouna certa compassione per lui,mi preoccupavo. Mi facevo domande tutto il
giorno pertentare di indovinare le cause di quella condizione.
Quando mi sputavano in faccia, sarei stato in grado di dire cosavevano mangiato. Li
conoscevo bene, ormai.
Sorridevano e volevano sapere se era vera la nuova voce che circolava. Quello di cui
parlavano tutti, che era diventato largomento di conversazione pi diuso tra iragazzi
della scuola. Volevano sapere e sembrava che ci credessero appena, tanto quella
notizia era per loro inattesa, tanto avevano sempre desiderato una cosa simile se
mio cugino, s, proprio mio cugino, mi avevafatto quello che diceva. tuo cugino che
ti ha tradito e lha detto a tutti.
Aveva raccontato che un pomeriggio, nel capanno, essendosi appartato per orinare, io
lavevo raggiunto e gli avevo soratoil sesso con la punta delle dita.Secondo il suo
racconto, che idue ragazzi mi riportavano, mi ero abbassato a mia volta i pantaloni
per stronarmi contro di lui, poi mi ero messoin ginocchio e gli avevo presoil sesso in
bocca. Alla ne aveva raccontato di avermi inculato, che a me era piaciuto e gridavo
come una troia e mi ero messo un anello per fare lafemmina.
Il rosso grande mi stringeva il collo per costringermi a rispondere rapidamente. Le
suedita fredde sulla nuca, il miosorriso, la paura, lattesa dellammissione. Quelle che
racconta mio cugino sono cazzate, un po matto, prova nesia che sta nella classe
deglihandicappati, a scuola. Non sono un porco delatore. Non ero convincente.
Sarebbe stato in ogni caso impossibile calmarli,anche se quella storia fosse stata
falsa. Quello che aveva detto mio cuginocorrispondeva n troppo beneallimmagine che
avevano di me. Il fastidio Smettila di contar balle, nocchio, lo sappiamo che vero.
Non mi ha sputato in faccia.Quel mattino mi ha sputatosulla manica della maglia,
unascatarrata verdastra, dura tantera densa. Il piccolo dalla schiena curva ha fatto
lo stesso, sulla stessa manica (unabella maglia da jogging blu astrisce nere che
portavo dinverno; avevo perso il cappotto e i miei genitori nonavevano potuto
comprarmeneun altro Devi svegliarti, non puoiperdere le tue cose). Ridevano.Io
guardavo gli sputi sulla miamaglia e pensavo che mi avevano risparmiato, sputandol
anzich in faccia. Poi quellogrande coi capelli rossi mi hadetto Mangia gli sputi frocio.
Ho sorriso, ancora, come sempre.
Non pensavo che stessero scherzando, ma speravo, sorridendo, di cambiare la
situazione e di ridurla a una burla. Lui ha ripetuto Mangia gli sputi frocio, muoviti.
Mi sono riutato di solito non lo facevo, non lavevo fatto quasimai, ma non volevo
mangiarequegli sputi, avrei vomitato. Ho detto che non volevo. Uno mi ha aerrato il
braccio,laltro la testa. Mi hanno messo la faccia sugli sputi, hanno ordinato Lecca,
frocio, lecca. Ho tirato fuori lentamente la lingua e ho leccato gli sputi, ilcui odore si
spandeva nella mia bocca.

A ogni colpo di lingua mi incoraggiavano con voce dolce, paterna (le mani che mi
tenevano con forza la testa) Bene, continua, vai cos che vai bene. Ho continuato a
leccare la maglia nch me lhanno ordinato, nch gli sputi non sono scomparsi. I due
se ne sono andati.
A partire da quel giorno i primi minuti dopo il risveglio sono diventati sempre pi
irreali. Mi sentivo ubriaco, quando mi svegliavo. La voce si era sparsa e gli sguardi a
scuola si facevano sempre piinsistenti. Si moltiplicavano i frocio, le parole che
trovavo nella cartella Crepa nocchio. In paese, dove no ad allora ero stato
relativamente risparmiato dagli adulti, per laprima volta sono comparsi gliinsulti.
Una sera destate in cui giocavo a calcio con dei ragazzi per strada: le magliette zuppe
di sudore e la tensioneche regnava durante quelle partite improvvisate in cui
delimitavamo un campoimmaginario con degli zaini edei golf posati direttamente per
terra. Mi trovavo con Stphane e alcuni altri.
La mia incapacit irritava Fabien, Kevin, Steven, Jordan,gli amici, che
sinnervosivano alla prima occasione. Stronzo, ci fai perdere, sei proprio un incapace.
La prossima volta nonti prendiamo pi in squadra. Non ero il solo a cui si dicevano
queste cose. Le incazzature e lavolgarit facevano parte del calcio.
Quella sera per, qualche settimana dopo che Stphane aveva divulgato la storia,
reinventandone una parte importante, le cose sono andate in maniera diversa. Uno di
loro mi ha detto frasi che si vorrebbe poter dimenticare, e ancora di pi dimenticare
latto della dimenticanza per farle scomparire del tutto che era meglio se mi allenavo
a calcio anzich baciare mio cugino meglio che ti eserciti col palloneinvece di farti
inculare da Stphane. Anche mio cuginorideva, cosa che non riuscivo aspiegarmi.
Perch Stphaneaveva raccontato quella storia?Perch non aveva paura
dellavergogna, delle prese in giro?Perch la sera in cui eravamo insieme a giocare a
calcio, maanche le altre sere in cui piovevano insulti, perch nonera oggetto anche lui
dellodioe degli insulti?
Eravamo in due, in quattro anzi, con Bruno e Fabien. Ma la loro partecipazione
allincontro nel capanno non veniva mai ricordata. Io non potevo dire niente, per
pauradelle conseguenze, e sapevo che quella delazione sarebbe stata vana, che come
Stphanegli altri due sarebbero stati risparmiati. Sarebbe stato logico che anche lui
venisse trattato da frocio. Il delitto non fare, ma essere. E soprattuttosembrare.
DIVENTARE
Mi ricordo meno dellodore dei campi di colza che dellodore di bruciato che si
spandeva per tutte le vie del paese quando i contadini lasciavano il letame a
consumarsi lentamente al sole. Io tossivo molto a causa della mia asma. In fondo alla
gola esul palato mi si formava un deposito, come se il letame evaporasse per poi
riformarsinella mia bocca, ricoprendoladi una sottile pellicola grigiastra.
Mi ricordo meno del latte ancora tiepido perch appenaestratto dalle mammelle della
vacca e di mia madre che andava a cercarlo alla fattoria davanti a casa nostra che
delle sere in cui il cibo mancava e mia madre diceva quella fraseStasera si mangia
latte,neologismo della miseria.
Non credo che gli altri i miei fratelli e sorelle, i miei amici abbiano soerto
altrettanto la vita di paese. Ioche non riuscivo a essere dei loro dovevo riutare tutto di
quel mondo. Il letame era irrespirabile a causa delle botte, la fame era insopportabile
a causa dellodio di mio padre.
Dovevo fuggire.

Ma prima di tutto, uno non pensa spontaneamente alla fuga perch ignora
lesistenzadi un altrove. Non sa che la fuga una possibilit. In un primo tempo tenta
di essere come gli altri, e io ho tentatodi essere come tutti.
Quando ho avuto dodici anni, i due ragazzi hanno lasciato la scuola. Quellogrande e
rosso ha iniziato unistituto professionale di arti emestieri e quello piccolo con
laschiena curva ha smesso di studiare. Ha aspettato di compiere sedici anni per
nonandare pi a scuola senza rischiare di far perdere ai genitori il sussidio familiare.
La loro scomparsa era per meloccasione di un nuovo inizio. Se le ingiurie e le prese
in girocontinuavano, la vita scolastica non era minimamente comparabile a quando
cerano anche loro (una nuova ossessione: non andare alla scuola superiore cui ero
destinato, per non ritrovarceli).
Non dovevo pi comportarmi come facevo e come avevo fatto no ad allora. Controllare
i miei gestiquando parlavo, imparare a rendere la voce pi grave, dedicarmi ad
attivit esclusivamente maschili. Giocare a calcio pi spesso,guardare gli stessi
programmialla televisione, ascoltare gli stessi dischi. Tutte le mattine,preparandomi
in bagno, mi ripetevo questa frase senza interruzione tante volte che essa niva per
perdere il suo senso, e per diventare una mera successione di sillabe, disuoni. Mi
fermavo e riprendevo Oggi sar un duro.
Me ne ricordo perch ripetevo esattamente questa frase, comesi fa con una preghiera,
con queste parole esatte, Oggi sar un duro (e piango nello scrivere queste righe;
piango perch trovo questa frase ridicola e orrenda, questa fraseche per vari anni mi
ha accompagnato ed stata in uncerto senso, non credo di esagerare, al centro della
miaesistenza).
Ogni giorno era una lacerazione; non si cambia cosfacilmente. Non ero il duro che
volevo essere. Avevo capito tuttavia che la menzogna eralunica possibilit per far
accadere una nuova verit. Diventare un altro signicavaprendermi per un
altro,credere di essere ci che non ero per diventarlo, passo passo(i richiami
allordine, che sarebbero giunti pi tardi Chi crede di essere?).
LAURA
Diventare un ragazzopassava necessariamente per le ragazze. Avevo incontrato Laura
lo stesso anno in cui i due ragazzi avevano lasciato lascuola. Lei era stata
appenaaccolta presso una famiglia in un paese vicino. Sua madre aveva deciso di
rinunciare alla potest. Non so se ci fosse un motivo particolare, forse era anche lei,
come mia madre, erastanca di fare la madre. Forse arrivata al limite della stanchezza.
Laura mi diceva semplicemente Mia madre non mi vuole pi, mi piacerebbevivere con
lei ma non mi vuole pi.
Laura aveva una cattiva reputazione a scuola. Era una di quelle ragazze di citt
perch vi era cresciuta con lamadre che arrivando in paese provocavano reazioni
ostili a causa del loro modo di parlare, del loro stile di vita, del loroabbigliamento che
campagnoli consideravano provocante. Le donne in attesadavanti alla scuola: Una
ragazzina non dovrebbe vestirsi cos alla sua et, una mancanza di rispetto, i
ragazzi: Laura una troia. Il riuto di cui era oggetto me la rendevapi accessibile.
Lavevo scelta per giungere alla mia metamorfosi.
Mi sono avvicinato a lei grazie alla mediazione di una delle sue migliori amiche,
cheabitava vicino a me. Le avevo detto che Laura mi piaceva.Sapevo come procedere.
Tutto era ben codicato, per quantofossimo dei ragazzini. Luso voleva che scrivessimo
delle lettere, era cos che si dovevaapprocciare una ragazza. Ho preso un foglio di

carta e hoscarabocchiato qualche parola, o piuttosto una lunga dichiarazione


damore su pi foglietti. Concludevo con una domanda tipo Vuoi uscire con me?
seguita da due piccoli riquadri sotto ai quali avevo scritto, sotto il primo S e sotto
laltro No, prendendomiperno la briga di aggiungere,in un post-scriptum, Barra la
risposta che preferisci. Sono andato da lei, ho attraversatoil cortile e le ho dato la
lettera Aspetto una risposta. Anche questa frase, insieme con la lettera, era di
prammatica.
Lattesa. Lei tardava a rispondermi. Constatavo la suaesitazione, i suoi occhi
abbassati quando le passavo accanto. Sono rimasto vari giorni senza un segno n
unaparola. Sapevo perch non rispondeva. Certe volte avrei voluto non dire, dire
soltanto,ma gridare a Laura in mezzo alcortile, appollaiato su un banco, un albero,
cosa importa, gridarle che era unavigliacca. Che non mi voleva perch accettare la
mia proposta signicava condividere la vergogna con me.
Ho insistito. Ho scritto altre lettere. Alla ne lei ha accettato.
Mi aveva fatto recapitare qualche parola da una delle sue amiche. Lincontro era
ssato nellatrio della scuola alla ne del pomeriggio, dopole lezioni e prima che tutti
prendessero il pulmino della scuola. Era l che si ritrovavano le coppie perbaciarsi
tutti i giorni alla stessa ora. La sorvegliante aveva tentato inizialmente di cacciarle
Dove credete di essere, non ci si bacia cos, dando spettacolo. Siete a scuola, qui poi
si era rassegnata.
Laura mi aspettava. Non erasola. La voce si era sparsa e altri erano l per assistere
alla scena. Volevano vedermi che baciavo una ragazza, vedere se era tutto vero. Io mi
sono avvicinato, muto e tremante. Lho baciata, ho appoggiato lemie labbra contro le
sue primadi rendermi conto che lei tentava di introdurre la linguanella mia bocca. Mi
sono lasciato fare. Il bacio durato parecchi minuti io contavo i secondi,
chiedendomi quando sarebbe nito, se in qualit di ragazzo dovevo prendere
liniziativa e porre ne al bacio, prendere i comandi, o aspettare. Tutta un tratto volevo
che il bacio durasse, volevo che gli altri lo vedessero, pi occhi possibile, una folla,
orde di studenti.
Volevo dei testimoni, che si sentissero idioti, che si vergognassero di avermi coperto
dobbrobrio, che pensassero di aver commesso un errore assurdo n da principio, che
quellerrore li screditasse e li ferisse. Il bacio nito e io me ne sono andato con la
voglia di correre. Avevotrovato quellesercizio infetto, sporco.
In autobus, mi sono seduto da solo e ho tentato di espellere dalla bocca la salivadi
Laura e il suo odore, sputando in segreto sotto al sedile, passandomi le dita suidenti
e sulla lingua per toglierelodore che vi si era incrostato. Ho sognato di fermare tutto.
Ho pensato di dire a Laura il giorno dopo che non ne valevala pena. La sera stessa
quandoho incontrato mio cugino Stphane mi ha fatto delle domande
vero che adesso hai una ragazza, che la tua ragazza Laura, quella che tutti dicono
che una vera porcona. Avevo colto nella sua domanda una sorta di ammirazione, di
complicit virile che non avevo mai condiviso con lui. Era ancora pi valorizzante per
me frequentare una porcona. Faceva di me un macho che entrava nel circolo dei
ragazzi-che-Laura-aveva-frequentato.Quella conversazione con miocugino mi ha fatto
cambiare idea.
Ho continuato quindi, giornodopo giorno, a incontrarmi conLaura prima di prendere
lautobus. Sempre pi ragazzierano al corrente della nostra relazione. La baciavo,
baci lunghi, non solo dopo le lezioni, ma anche durante gliintervalli, al mattino

quando lavedevo. Mi godevo le domandeche mi facevano su di noi, sulla nostra


coppia, la nostra storia.
Laura mi scriveva delle lettere che mi impegnavo a lasciare nelle tasche dei pantaloni
in modo che mia madre potesse trovarle facendoil bucato. Una sera a tavola non ha
potuto trattenersi dalprendere la parola. Il rituale prevedeva tuttavia che non
siparlasse durante la cena, si guardasse la televisione in silenzio altrimenti mio padre
siarrabbiava Basta con quelchiasso, mica siamo al mercato. Mia madre: Allora Eddy
hai trovato unamica, sar meglio che tratti meglio le tue lettere damore. Ho fatto nta
di arrabbiarmi. In verit tentavo bene o male di contenere la gioia e lorgoglio che
ribollivano in me. Avevo fatto,almeno per quella sera, svanirei dubbi che
ossessionavano mia madre. Il suo volto si era rischiarato.
Stavo al telefono tutte le sere per parecchie ore con Laura eavvertivo addirittura i miei
genitori che non sarei stato disponibile per la serata, che non dovevano preoccuparsi.
I miei non avevano il telefono sso, n la connessione Internet, come la maggiorparte
degli abitanti del paese e come ancora mia madre nel momento in cui scrivo
questerighe. Cos ero costretto ad andare nella cabina telefonica di anco alla fermata
dellautobus per comunicare con Laura. Era lei che mi chiamava dal telefono della
sua famiglia adottiva.
Alla fermata dellautobus incontravo i miei amici. Mi proponevano di andare con loro.
Che piacere provavo nelrispondere che non potevo perch dovevo parlare con Laura,
la mia ragazza, e nel restare quattro, cinque ore nella cabina telefonica a parlare con
lei mentre loro erano l accanto.
Una volta, mentre baciavo Laura nellatrio, un calore dolce comparso nel mio
bassoventre. Ho sentito il sesso che si induriva e pi prolungavamoil bacio, Laura e
io, pi il mio sesso si drizzava. Provavo desiderio: un desiderio che si manifestava
sicamente, impossibile da ngere, da recitare. Ero eccitato, come congli amici nel
capanno, come gli uomini nei lm pornograci che guardava mio padre in camera sua,
mio padre che siritirava annunciando Vado in camera mia a spararmi un porno,non
rompetemi le palle. Non mi ero mai eccitato per una ragazza. Scorgevo la
realizzazione del mio progetto:il mio corpo si era piegato alla mia volont. Non si
smette di interpretare una parte, ma cuna verit nella maschera. La verit della mia
era quellavolont di esistere altrimenti.
Finalmente ero guarito. Sulla via del ritorno, il ritorno da scuola a casa, ho
rimuginato quel risultato vittorioso come un ritornello ascoltato a ciclo continuo, ogni
volta pi forte, non tranquillizzante, anzi sentivo unesaltazione sica crescente, uno
scatenamento. Alla vista dei miei genitori, ho sperato che si accorgessero della mia
trasformazione (guarito, guarito). Mi dicevo che forse il corpo si trasformava
allimprovviso, forse il mio corpo era diventato allimprovviso quello di un duro, come
i miei fratelli. Eroconvinto che avrebbero notato la differenza.
Non hanno notato niente.
Ricordi di quel tardo pomeriggio: il cuore che mi batte nel petto in autobus (guarito,
guarito), il ritmo del mio respiro, che si poteva chiamare del resto, pi che ritmo del
respiro, una serie di soocamenti, i sassolini di ghiaia che restavano bloccati sotto la
porta di casa e producevano un rumore stridente quando laprivo. Di slancio ho
salutato mio padre
Tutto bene pap?
Chiudi il becco sto guardandola tele.

LA RIVOLTA DEL CORPO


Accecato dallimpressione diessere sfuggito a un male cheno a quel momento mi era
parso incurabile, dimenticai per qualche tempo la resistenza del corpo. Non avevo
previsto che non bastava voler cambiare, mentire su di s, perch la menzogna
diventasse verit.
Mi trovavo nel cortile della scuola con Laura quandoDimitri si avvicinato. Era uno
dei
duri,
circondato
da
un
prestigio
senza
pari
grazie
al
suo
comportamento:linsolenza, i brutti voti e tuttoil resto. a Laura che si rivolto
direttamente, facendo finta di non vedermi Perch esci con Eddy, perch esci con lui,
un frocio. Lo dicono tutti, sei laragazza di un frocio. Un sorriso ha divorato il volto di
Laura,non un sorriso per dissimularela vergogna, lo vedevo bene, ma un sorriso di
connivenza per dire che non era in disaccordo con lui, sapevatutto, glielavevano gi
detto.Ho abbassato la testa con, unattimo, il desiderio di scusarmicon lei. Dirle che
mi dispiacevadi farle condividere il mio fardello.
Sono momenti come questo che mi hanno rivelato la trappola in cui mi trovavo,
limpossibilit di cambiare dallinterno il mondo dei miei genitori, della scuola.
Lultimo tradimento del mio corpo si veric una sera in cui ero andato in discoteca
con degli amici. Erano pi grandi di me e avevano la patente, dicevano Andiamo a
rimorchiare, a beccare qualche pollastra.
Prendevano tutti la patente appena maggiorenni, pensando di liberarsi dallo spazio
chiuso del paese, di poter fare dei viaggi (che nonhanno mai fatto), delle uscite(mai al
di l delle discotechedei dintorni o del mare a qualche chilometro).
Spesso lavoravano unestateintera in fabbrica quando non erano gi assunti per
potersi permettere il prezioso foglietto rosa. Non capivano che la patente, al
contrario,era, insieme ad altre cose, unodei fattori che li trattenevano l. Che da quel
momento in poiavrebbero passato le serate abere non pi alla fermata dellautobus,
ma in macchina al caldo, con la musica della radio. Io mi ero riutato di prenderla, di
andare a lavorareun mese in fabbrica, dove mi ero inne ripromesso di non mettere
mai piede. A diciottanni sarei stato comunque lontano da loro.
Quella sera, la discoteca il locale si chiamava Le Gibus era invasa da centinaia di
giovani di tutta la zona che formavano unenorme massa compatta e mobile che ti
inghiottiva allistante. Una piccola celebrit regionale faceva un concerto rap. In
quella folla in movimento tanto che sembrava un blocco unico, un solo corpo
immenso,gigantesco, che si spostavamollemente i corpi sudavanotoccandosi, si
strusciavano gliuni agli altri. Corpi muscolosiper lo pi e impregnati, oltreche di
sudore, dellodore di dopobarba a buon mercato cheavevo anchio.
Mi sono accostato al palco per guardare il cantante che era riuscito a radunare tutta
quella gente. Sono riuscito,giocando di gomiti, a crearmi un piccolo spazio accanto al
palco eretto per loccasione. Il pavimento era appiccicoso per bicchieri rovesciati dai
ragazzi pieni di alcol che perdevano lequilibrio. Cera alle mie spalle un uomo,
moltopi vecchio di me, che mi aveva aiutato a farmi strada n l. Ero probabilmente
lindividuo pi giovane nella discoteca, se nera reso conto.Aveva cercato di aiutarmi.
Aveva una trentina danni.
Portava come numerosissimi ragazzi del paese e dei paesi dei dintorniportavano in
tutte le occasioni e come anchio ho a lungo portato una giacca di marcaAirness,
allora la pi pregiata, un cappellino messo di traverso sul cranio rasato e

unimponente catena dorata alcollo. La sua maglietta esibivauna testa di lupo dalla
boccaimmensa. Ripensando a quellamaglietta, mi sembra tremendae volgare. Ma
quella sera mi aveva enormemente impressionato.
Il suo alito era quello di unbue, possente, odoroso (lodoredel pastis) e io me lo sentivo
sulla nuca.
Il cantante arrivato: la folla si agitata, si stretta verso il palco. Il corpo delluomo
si trovato spintocontro al mio, incollato al mio,e a ogni movimento della follai nostri
corpi si stronavano uno contro laltro. Eravamo sempre pi stretti. Lui sorrideva,
imbarazzato e divertito, il suo corpo irradiavaodore di sudore.
Ho colto il cambiamento che avveniva in lui, il suo sesso che si drizzava a poco a poco
e urtava il mio fondoschiena,quasi con una cadenza, a ritmocon la musica, ogni volta
pigrosso e pi duro. Riuscivo a indovinarne i contorni con precisione a causa del
suo abbigliamento da jogging.
la febbre che mi ha colto quella sera.
Non mi sono mosso pertenere il corpo contro il suo,bench la musica mi riuscisse
insopportabile. Dopo quella sera lho ascoltata ancora e ancora per tentare di
ricreare, almeno nei miei sogni e nei miei pensieri, il ricordo di quelluomo. Le parole
restanoper sempre scolpite dentro dime:
Girl, con forza dici che mi ami quando ti do il massimoquando insieme balliamo in
posizione orizzontale.Oh Girl, con eleganza ci portiamofino al culmine e io cedo alla
tua bellezza fatale. Incomincia latmosfera del sabato sera io trovo una ragazza mi
avvicinole chiedo se vuole un po di vinoun bicchiere lei risponde non ti conosco
allora fatti vedere.
Tornando a casa, mi sono precipitato a spogliarmi e misono toccato il sesso, il
respirospezzato da gemitiincontrollabili. Dovevo fare in silenzio: mia sorella dormiva
in camera mia, nel letto di sotto.Tutto il mio corpo, dalle orecchie alla nuca umida
passando per i singoli pori della pelle, stato scosso dallorgasmo.
Dopo quellavvenimento il mio corpo non ha pi smessodi ribellarsi contro di me,
richiamandomi al mio desiderio e annientando tutte le mie ambizioni di essere come
gli altri, di amare anchiole ragazze.
Spesso dopo quella sera mi allungavo sul letto di mio fratello maggiore o sul mio,
lesere in cui ero solo a casa. I miei andavano dai vicini a prendere un aperitivo che
durava no a tardi Torniamo fra cinque minuti, andiamo solo abere un goccetto dai
vicini. Le bottiglie di pastis venivano a mancare e mio padre prendevala macchina per
andare in drogheria a cercarne altre (In ogni caso guido meglio da ubriaco che da
sobrio). Mia madre mi telefonava per dirmiche non dovevo preoccuparmi,si stavano
solo rilassando un po coi vicini.
normale,diceva, con le giornate di tuo padre in fabbrica e io che ho fattoi mestieri
tutto il giorno, meritobene un po di riposo (quandomio padre ha perso il lavoro
lincidente in fabbrica mia madre diceva Con la fatica che ho dovuto fare tutto il
giorno etuo padre seduto davanti alla TV da sopportare, ho ben diritto arilassarmi un
po). Non dovevo preoccuparmi e se volevo potevo farmi da mangiare dasolo con le
scatolette che cerano nella dispensa o le patatine del pranzo che potevoriscaldare.
Non sospettava chequelle sere in cui erano assenticostituivano per me dei preziosi
spazi di libert.
Mio fratello nascondeva sotto al materasso delle riviste pornograche. Tutti lo
sapevano e lui non le nascondeva davvero, ricavandone una sorta di erezza come
mio padre chelasciava sul banco della cucina,in piena vista, i lm porno chegli
prestavano Titi e Dd.

Allungato sul letto con le riviste, trovavo delle foto di donne nude, le gambe
aperte,che esibivano il loro sesso bagnato, le labbra carnose a volte trattenute con le
dita perfarlo risaltare ancora di pi emettere in evidenza il clitoride. I seni che io
consideravo due escrescenze, due anomalie,come le vesciche di pus che siformano
sul corpo degli ammalati. Davanti a quelle donne spogliate mi manipolavo il sesso
sempre pi forte, fino a imitare il va e vieni della masturbazione. Passavo cos delle
ore intere, facendo appello a tutta la miaconcentrazione e immaginandoogni sorta di
scena. Il mio corpo diventava sempre pi umido, i vestiti si incollavanoben presto alla
pelle sudata per i miei sforzi accaniti.
Volevo, mi imponevo di raggiungere lorgasmo pursapendo, perch lho
scopertosubito, giovanissimo e potrei dire anzi che lho sempresaputo, mai il
contrario mi haattraversato lanticamera del cervello che era la vista del corpo di un
uomo a eccitarmi.Non godevo, mai, e per lamaggior parte del tempo il mio sesso, a
causa del mio accanimento, si copriva di arrossamenti e di vesciche e restava dolente
per pi giorni.
ULTIMO TENTATIVOAMOROSO: SABRINA
Poi Laura ha rotto perlettera. Non sopportava pi dicondividere la vergogna e senza
dubbio soriva a causa della distanza che mettevo fra noi, mio malgrado, anche se non
riusciva a spiegarsela completamente. Qualche settimana dopo avrebbe incontrato
un altro ragazzo. Un ragazzo della citt in cui viveva sua madre, che andava a trovare
pi volte allanno durante le vacanze scolastiche.
Mi avrebbe raccontato le sue serate con questo nuovo innamorato, i lm che
guardavano insieme prima di riprodurne certe sequenze, le giornate di follia a fare
lamorecinque, sei volte di seguito datoche si vedevano poco, i bellicosi exploit di
questoKevin, che aveva rotto il nasoa un altro ragazzo Il tipo mi ha schiato dietro, mi
ha detto Bona! e allora Kevin andato da lui, gli ha detto Tu alla mia ragazza non
parli cos, non devimancarle di rispetto. Il tipo harisposto e di colpo Kevin gli hadato
una testata davanti a un casino di gente che guardava dalla finestra.
Senza rendersene conto o forse pi volontariamente di quanto pensassi , mi voleva
dire quello che non ero statocapace di fare per e con lei. Non avevamo mai fatto
lamore, non mi ero mai battuto per lei. Io ero quello sucui i colpi si abbattevano,
nonquello che li dava.
La mia sorella maggiore aveva preso la decisione di presentarmi a una delle sue
amiche. Mi diceva Hai unet in cui necessario avere unamichetta e io avevo
eettivamente unet in cui la maggior parte dei ragazzi del paese frequentavano le
ragazze del paese, e spesso siimpegnavano in una relazionedi coppia destinata a
durare tutta la vita, rapidamenterinforzata dalla nascita di uno o pi bambini che
costringevano a interrompere gli studi. Avevo dunqueincontrato la suddetta Sabrina
in occasione di una cena organizzata da mia sorella.
Dallalto dei suoi diciotto anni,Sabrina aveva cinque anni pidi me e di conseguenza
un corpo molto pi sviluppatodelle ragazze che conoscevo ascuola. Cos, rincarava
mia sorella, potrai divertirti. Io rispondevo che mi piacevano le ragazze pi grandi di
me, precisavo ben formate e, al momento in cui davo questa risposta, avevo la
certezza di incamminarmi verso una situazione impossibile in cui avrei dovuto, di
fronte a Sabrina, corrispondereallimmagine che comunicavo amia sorella e agli altri.
La cena in questione era stata ssata proprio con lo scopo di organizzare lincontro.La
madre di Sabrina Jasmine

era presente. Jasmine era una donna che detestava suo marito e aspettava la sua
morte con impazienza dichiarata Non so quand chemorir quello l ma cazzo la
tirain lungo. Andava tutte le settimane da una veggente chele garantiva che sarebbe
morto per una malattia fulminante nel giro di pochissimo. Lho frequentata due anni
e per tutti questi due anni, ogni settimana, Jasmine annunciava con tono solenne
Ci siamo, mio marito, nita, gli resta poco, il mese prossimo crepa.
Telefonava a mia sorella per dirle Preparati a mettere il lutto la settimana prossima,
sonoappena uscita dalla veggente glirestano settantadue ore di vita. La maggior parte
delle discussioni, quando cenava danoi, ruotava intorno alla morteprossima e
inevitabile di suo marito, in particolare alla distribuzione della misera eredit.
La mia sorella maggioreaveva parlato di me a Jasminedicendole le stesse cose che
mio padre diceva di me in mia assenza. Le aveva detto che avrei studiato alle
superiori eche sarei diventato ricco. Jasmine, desiderosa di sistemare bene la glia,
avevasubito dato la sua approvazione allaffare.
La cerimonia delle presentazioni ebbe luogo. Mi trovavo di fronte a mia
sorella,Jasmine, Sabrina e una delle sue amiche, i loro occhi ssati su di me e la mia
angosciaimmaginando le idee assurde che nascono in momenti del genere che
Sabrina potesse saltarmi al collo da un momento allaltro per tentaredi baciarmi.
Leccitazione palpabile che proveniva da quelle quattro donne era direttamente
proporzionale al mio imbarazzo, un imbarazzo che cercavo di nascondere dietro una
maschera di nta sicurezza. Sorridevo a Sabrina e mi esibivo in tutti i modi possibili,
parlando di tutti gliargomenti che conoscevo bene o male, fra cui la prima guerra
mondiale che avevo appena studiato a scuola, il che non dispiaceva certo a Jasmine,
checommentava le mie frasi rivolta a mia sorella simpatico il tuo fratellino, mi
piace, diverso.
Mia sorella, pronta a tutto perch io mi mettessi con la sua amica, mi aveva
proposto,mentre prendevamo laperitivo, di andare a fare quattro passi con Sabrina.
Mi ha rivolto uno sguardo complice, come se fosse un piano che avevamo messo in
piedi insieme e che si sarebbesvolto esattamente come doveva svolgersi. Io ho
risposto con uno sguardo dello stesso tipo, un sorriso agli angoli della bocca.
Siamo scesi nel parco comunale e abbiamo camminato. La gola mi facevamale tanto
era secca e chiusa. Il cuore mi si imballava pensando alla delusione di miasorella
quando Sabrina le avrebbe raccontato che non ero stato capace di farmi avanti, di
comportarmi come un vero ragazzo, di sedurla, che ero rimasto l immobile, inerte,
passivo come unespressione di mia sorella che ripetevo continuamente
un coglione in una pozza di catrame.
Prima che potessi dire una cosa qualunque, Sabrina ha preso la parola per indurmi
aspiegarle i motivi che mi avevano spinto a voler fare la sua conoscenza. Io non avevo
aatto voluto, era una bugia di mia sorella. Ho dissimulato il mio stupore quando mi
ha posto la domanda, sono riuscito a dire delle banalit,che la trovavo bella, che era
il mio tipo; un coraggio motivato dalla certezza di sapere che quel colloquio sarebbe
stato riportato nei minimi dettaglida Sabrina alle altre ragazze,che cos avrebbero
potuto considerarmi un duro. Mi ha baciato. Doveva chinarsi leggermente perch le
nostre labbra potessero incontrarsi. Ilcontatto durato troppo a lungo, mi sentivo
soocare, vacillare. Mentre baciavamo, lo sforzo che facevo per non fuggire, per non
lasciarmi scappare un grido di disgusto, diventava sempre pi pesante. Per non
lasciar trasparire la voglia di farla nita al pi presto,perch Sabrina avrebbe
potutorenderne partecipe mia sorella.

Siamo risaliti mano nella mano per ucializzare davantiagli altri invitati la nostra
relazione nascente. Mia sorella ci ha salutati, soddisfatta Tutto bene, piccioncini? e
gli altri hanno applaudito. Io ho trovato quel comportamento volgare. Delle abitudini,
dei modi di comportarsi che mi avevano formato e che tuttavia, gi allora, mi
sembravano fuori luogo comele abitudini della mia famiglia:landare in giro nudi per
casa, irutti a tavola, le mani non lavate prima del pasto. Il fattodi amare i ragazzi
trasformavalinsieme dei miei rapporti colmondo, mi spingeva a identicarmi con valori
che non erano quelli della mia famiglia.
Era come se ogni battito delle loro mani stringesse le catene fra Sabrina e me,
quellarelazione appena incominciata.
Era stato deciso (da chi, non lo so pi molto bene) che dovevamo vederci tutti i ne
settimana da mia sorella, checi portava in discoteca il sabato sera. L, io badavo
sempre a tenere un braccio intorno alla vita di Sabrina, la mia nuova
conquista.Desideravo mostrare agli altri, e a me stesso, perch mi osservavo ed ero
da lontano lo spettatore pi assiduo della mia performance, non solo il mio amore per
le donne, maanche la mia capacit di sedurre ragazze molto pi grandi di me.
Jasmine accompagnava Sabrina da mia sorella prima che andassimo in discoteca.
Vivevano in un paese vicino. Jasmine, arrivando, incominciava sempre a coprirmi di
complimenti. Aermava che ero speciale, intelligente, che avrei spinto sua glia a
studiare e a guadagnare molti soldi. Sabrina voleva diventare ostetrica. Si distingueva
dalle altre ragazze del paese, che perlo pi volevano diventare parrucchiere, assistenti
mediche, negozianti, istitutricile pi ambiziose o casalinghe. Il desiderio che aveva
Sabrina di fare studi di medicina provocava nel contempo ilarit e disprezzo.
La Sabrina che se la racconta,che fa la signora per voler esseremeglio delle altre. Col
tempo haprogressivamente rivisto al ribasso le sue ambizioni, comemia sorella, che
ha sognato didiventare chirurga, medico generico, infermiera, assistenteospedaliera e
inne badante adomicilio (dare le medicine elavare il culo ai vecchi, il mestiere di mia
madre).
IL DISGUSTO
Al ritorno dalle uscite in discoteca dormivo a casa dei miei mentre Sabrina passava
lanotte da mia sorella. Ci davamo appuntamento allindomani mattina per andare a
passeggiare nelle strade del paese e incontrare alla fermata dellautobus i miei amici,
che bevevano prima di andare alla partita di calcio della domenica.
Mia sorella mi aveva proposto, dopo una di questeuscite in discoteca, di dormireda
lei. Jasmine sarebbe andata a prendere Sabrina la sera stessa perch partivano per
le vacanze, Sabrina non poteva dormire a casa sua e mia sorella non voleva restare
sola,lo detestava e diceva di avere paura. Io naturalmente ho accettato la sua
proposta. Mi piaceva dormire in una casa diversa da quella dei miei: la loro casa mi
metteva vergogna a causa della sua facciata scrostata, della mia camera umida e
fredda che detestavo e in cui nei giorni di pioggia siinfiltrava lacqua.
Un temporale violentissimo un giorno aveva strappatolimposta, che nello
sganciarsiaveva fatto esplodere il vetro.Mio padre, dopo che glielavevo detto (molto
tempodopo; glielavevo ripetuto persettimane, ogni giorno, che lanestra era rotta),
aveva messo un pezzo di cartone per coprire il buco lasciato dal vetro infranto. Mi
aveva rassicurato Non preoccuparti, solo il tempo di procurarmeneunaltra, di nestra,
una cosa momentanea, non rester cos per sempre. Non la cambi mai. Il pezzo di
cartone si imbeveva rapidamente dacqua. Bisognava sostituirlo spesso.

Ma a dispetto dei mieisforzi, anche se ci stavo attentoe sostituivo il cartone,


lacquasinltrava in camera mia. Lumidit conquistava i muri, ilpavimento di
cemento, i letti di legno.
Dormivo in un letto sopra aquello di mia sorella, ci tenevo a dormire di sopra per
poter tirare fuori tutti i giorni la scaletta. Il letto cigolava quando salivo, ma i cigolii
erano normali, non me ne preoccupavo, sapevamo che era lumidit.
Una sera, salendo come tutte le sere senza che nulla annunciasse quello che stava
per accadere, il letto non cigolava pi degli altri giorni ho sentito, mentre mi
stendevo, il letto sfuggirmi sotto ai piedi. Lacqua aveva lentamente corroso i listelli di
sostegno che, divenuti fragili,si erano spezzati. Sono atterrato un metro pi in basso,
su mia sorella. I listellirotti lavevano ferita. A partireda quel giorno il mio letto,
adispetto delle riparazioni di mio padre, cadeva spesso su quello di mia sorella.
Ero dunque felice che mi invitasse a dormire da lei, nel suo appartamentino appena
ristrutturato.
Siamo andati in discoteca, come nei ne settimana precedenti.
Al ritorno, mia sorella ha detto che doveva raggiungereunamica. stato allora che ho
capito, primo perch quella storia non stava in piedi(raggiungere, stanca,
unamicaalle cinque del mattino, rientrando dalla discoteca,quando perno i lampioni
delpaese erano spenti), ma ancheperch mi faceva locchiolino per farmi capire che
mentiva.
Ha aggiunto Tu e Sabrina potete restare qua, mal che vada sua madre la verr a
prendere domani, questo avrebbe evitato a Jasmine di guidare la macchina in piena
notte perriportare a casa la glia, e delresto, cosa pi importante di tutte, potevamo
dormire entrambi nel letto di mia sorella mentre lei era dalla sua amica. Sabrina
nascondeva a malapena la sua complicitcon mia sorella e daltro canto aveva tirato
fuori dalla borsa le cose del bagno. Tutti eranoal corrente. Io ero il solo che era stato
tenuto alloscuro di tutto.
Una volta di pi ero prigioniero, spaventato allideadi passare la notte con Sabrina,
ma impossibilitato a dire qualsiasi cosa, una parolache avrebbe potuto far crollarela
mia immagine. Sapevoquello che lei si aspettava da una notte con me la dierenza di
et e i suoi accenni sempre pi espliciti alsesso che non facevamo.
Ho risposto allocchiolino dimia sorella.
Lei se n andata.
Sabrina e io siamo andati a letto e non so pi che accorgimenti ho messo in attoper
parlarle il meno possibile,per vederla il meno possibiletra la partenza di mia sorella
elistante in cui siamo entrati nel letto. Lho baciata con il leggero disgusto che
accompagnava sempre i miei baci. Le ho voltato le spalle emi sono allontanato da lei,
mettendomi allaltra estremit del letto, pronto a cadere.
Lei venuta verso di me perbaciarmi di nuovo. Mi ha presole mani, se le posate sul
petto, poi ha inlato le sue neimiei pantaloni. Accarezzava ilmio sesso, che restava
inerte.Non riuscivo a simulare il desiderio. Ho tentato di pensare a qualcosaltro
perchil mio sesso si drizzasse e Sabrina fosse rassicurata, ma pi mi concentravo e
pi le chance di risvegliare leccitazione si facevano improbabili e lontane.
Lei continuava, perseverava sul mio pezzo di carne allora appena ricoperto da un
ciuetto di peli biondi, lo manipolava, lo tirava in tuttele direzioni. Io ho innanzitutto
immaginato di fare lamore con lei, con Sabrina, sapendoche unimmagine simile non

poteva eccitarmi. Poi ho immaginato dei corpi maschilicontro il mio, corpi muscolosi
epelosi che sarebbero entrati incollisione col mio, tre, quattrouomini massicci e
brutali.
Ho immaginato degli uomini che mi avrebbero aerrato le braccia per impedirmi di
fare ilminimo movimento e avrebbero introdotto il loro sesso dentro di me, a uno a
uno, mettendomi le mani sullabocca per farmi tacere. Degliuomini che avrebbero
tratto,lacerato il mio corpo come unfragile foglio di carta. Ho immaginato i due
ragazzi,quello grosso dai capelli rossi equello piccolo con la schiena curva, che mi
costringevano atoccare i loro sessi, prima conle mani poi con le labbra e inne con la
lingua.
Ho sognato che continuavano a sputarmi in faccia, le botte egli insulti frocio, nocchio
mentre introducevano i loro membri nella mia bocca, nonuno alla volta, ma tutte due
contemporaneamente,impedendomi di respirare,facendomi quasi vomitare.
Niente da fare. Ognicontatto di Sabrina con la mia pelle mi riconduceva alla verit di
ci che accadeva, del suo corpo di donna che detestavo. Ho nto una crisi dasma
improvvisa e violenta.Ho detto che dovevo tornare a casa, dai miei genitori, che
mistava venendo una crisi dasma e che era possibile, la morte recente di mia nonna
laveva dimostrato, che era possibile morirne.
Lindomani lasciai Sabrina. Lei pianse davanti a me e iorimasi di ghiaccio.
PRIMO TENTATIVO DIFUGA
Avevo fallito, con Sabrina,nella lotta fra la mia volont di diventare un duro e la
volont del mio corpo che mi spingevaverso gli uomini, cio contro lamia famiglia,
contro il paeseintero. Ma non volevo mollare e continuavo a ripetermi questa frase,
ossessivamente, Oggi sar un duro. Il mio scacco con Sabrina mi spingeva ad
aumentare gli sforzi. Badavo arendere la mia voce pi grave,sempre pi grave.
Mi impedivodi agitare le mani quando parlavo, inlandole in tasca per immobilizzarle.
Dopo quella notte che mi aveva rivelato pi che mai limpossibilit di eccitarmi per un
corpo femminile, mi sono interessato pi seriamente di prima al calcio. Lo guardavo
alla televisione e imparavo amemoria i nomi dei giocatori della squadra nazionale.
Guardavo anche il catch, comei miei fratelli e mio padre. Aermavo sempre pi
spessodi odiare gli omosessuali, pertenere a distanza i sospetti.
Dovevo essere in terza, pocoprima della ne delle scuole. Cera un altro ragazzo,
ancorapi eeminato di me, che erasoprannominato il Tonno. Lo odiavo perch non
condividevala mia soerenza, non cercavadi condividerla, non cercava dientrare in
contatto con me. Si mescolava tuttavia a questo odio un sentimento di prossimit, di
avere nalmenteaccanto a me qualcuno che miassomigliava. Lo guardavoaascinato e
pi volte avevotentato di avvicinarlo (unicamente quando si trovavasolo in biblioteca,
perch nondovevo essere visto mentre gliparlavo). Lui restava distante.
Un giorno che faceva casinonel corridoio in cui si era ammassata una folla
abbastanza grande di studenti,ho gridato Chiudi quella bocca, frocio. Tutti gli
studenti hanno riso. Tutti lhanno guardato e mi hanno guardato. Ero riuscito, nel
momento in cui loinsultavo in corridoio, a spostare la vergogna su di lui.
Col passare dei mesi, con lapartenza dei due ragazzi per lesuperiori e la loro
scomparsada scuola, e grazie allenergiache mettevo per essere un duro, gli insulti si
facevano pirari, sia a scuola che a casa.Ma pi erano rari, pi ciascunodi essi era
violento e dicile da sopportare, pi la malinconia che ne conseguivasi prolungava per

giorni, per settimane. Gli insulti, bench meno frequenti, sono continuati a lungo, a
dispettodei miei sforzi per mascolinizzarmi, perch si basavano non sul mio
atteggiamento nel momento incui venivo insultato, ma su unapercezione di me da
tempo radicata nelle menti.
La fuga era lunica possibilit che mi si oriva, lunica che mi restava.
Ho voluto mostrare qui che la mia fuga non stata il risultato di un progetto da
sempre presente in me, comese fossi un animale assetato di libert, come se avessi
semprevoluto evadere, ma al contrario che la fuga stata lultima strada percorribile
dopo una serie di scontte contro me stesso. Che la fuga stata inizialmente vissuta
come un fallimento, una resa. A quellet, riuscire avrebbe voluto dire essere come gli
altri. Ci avevo provato in tuttii modi.
Non sapevo come procedere.Ho dovuto imparare. Si parladella fuga come se fosse
resadicile dalla nostalgia o dalle persone, dai fattori che ci trattengono, ma non
dallignoranza delle tecniche difuga. Io la prima volta sono stato maldestro e ridicolo.
I miei genitori organizzavano delle grigliatein giardino, poco dopo la miarottura con
Laura. Mi sono diretto verso la mia camera meditando sul mio progetto diandarmene.
Mio padre mi aveva appena rimproveratoperch mi riutavo di curare ilfuoco del
barbecue per timoredi scottarmi Sei proprio una fighetta. In camera ho radunato
qualche cosa che ho inlato in uno zaino. Avevo deciso di andarmene per sempre. Non
tornare pi.
arrivato il mio fratello minore. Era piccolo cinqueanni, forse meno. Mi ha
chiestocosa stavo facendo e io gli hodetto che me ne andavo per sempre, sperando
che corresse,come dabitudine, a riferirlo aimiei genitori. Non ha fatto unapiega,
rimasto immobile dovera. Ho tentato di nuovo, glielho ripetuto, cambiando tono di
voce, per cercare di fargli comprendere che quantostavo facendo era proibito.Parto,
vado via per sempre. Non capiva. Un altro tentativo. Di nuovo lassenza di reazioni.
Ho finito per fargli una propostache sapevo decisiva. Gli ho proposto una ricompensa,
deidolci (a lui dicevo dei bonbon) in cambio della soata. Ha lasciato la camera.
Sentivo i suoi passi che si allontanavano e gi il richiamo Pap, pap. Sono partito di
corsa, sbattendo con violenza la porta anch mio padre sentisse e capisse che il mio
fratellino diceva la verit.
Correvo per le strade del paese, con lo zaino sempre a una velocit ragionevole
perch mio padre potesse inseguirmi, sentivo la sua presenza qualche decina di metri
dietro di me. Aveva gridato il mio nome poi si erazittito per non creare uno scandalo
che avrebbe potuto, lindomani, alimentare discorsi delle donne davanti alla scuola,
farle spettegolare. Mi sono nascosto dietro a un cespuglio; mio padre mi passato
davanti senza vedermi.Non mi ha visto. Tutta un tratto ero terrorizzato che potesse
perdere le mie tracce,lasciarmi l. Avrei dovuto passare la notte allaperto? Alfreddo?
E cosavrei mangiato?Che ne sarebbe stato di me? Ho tossito con forza per farmi
sentire.
Lui si girato e mi ha visto.Mi aerrato per i capelli Sei davvero uno stronzo, razza di
animale, perch fai cos, cretino?Mi scuoteva con tale violenza tenendomi per le
maniche della maglietta che me le ha strappate.
Pi tardi, mia madre racconter questa storia ridendo Oh cazzo quel giorno l non ti
sei mica lamentato, tuopadre ti ha dato una bella legnata.
Mi ha riportato a casa tenendomi per un braccio, stringendomelo forte. Mi ha
mandato in camera mia, doveho pianto e dove piangevo ancora quando entrato
qualche ora dopo. Si seduto sul letto pi basso. Puzzava dialcol (mia madre

lindomani: E con la tua fuga gli andato allatesta prima del solito, si preoccupato
davvero tuo padre). Ha pianto a sua volta Non devi fare cos, lo sai che ti
vogliamobene, non devi cercare di salvarti.
LA PORTA STRETTA
Dovevo fuggire.
Ero ormai in terza ed era tempo di scegliere il mio orientamento. Rifiutavo
categoricamente di andare adAbbeville, allistituto superioredi zona a cui ero
destinato. Volevo andarmene lontano dai miei e non ritrovare i due ragazzi. Arrivare
in un territorio sconosciuto, dicendomi lo speravo a motivo dei progressi che
avevofatto che non sarei pi statoconsiderato un frocio. Riprendere tutto daccapo,
ricominciare, rinascere. Larte drammatica che praticavo al club della scuola mi
aveva aperto una porta insperata. Avevo investito molta fatica nel teatro.
Prima perch mio padre ne era infastidito e io incominciavo, a quellet, a denire tutte
le mie attivit in rapporto a (e soprattutto contro di) lui. Poi perch,avendo un certo
talento per lacommedia, rappresentava per me unoccasione di riconoscimento.
Qualunque cosa andava bene per farmi amare Ah il piccolo Bellegueuleci fa
scompisciare quando recitanello spettacolo di ne anno. La erezza della mia sorella
maggiore Magari diventerai unaltro Brad Pitt.
Mi ricordo che una sera provavamo nella sala delle feste accanto alla scuola, verso la
ne dellanno, una piccolapice che avevo scritto per loccasione. Una specie di cabaret
in cui dei personaggi slavano sulla scena perpresentarsi, raccontare la lorostoria,
cantare delle canzoni. Io interpretavo il ruolo di Grard, un alcolizzato lasciatoda sua
moglie e mezzo barbone, che cantava: Germaine, GermaineUn valzer o un tango
luno vale laltroper dirti che ti amoe che amo la Kanterbrau oh oh oh
Mi ricordo che quella sera idue ragazzi erano presenti insala. Erano gi alle superiori,
per. Venivano probabilmentea vedere dei ragazzini con cui erano imparentati,
oppure erano l per curiosit.
Mi ricordo della paura che ho provato al vederli, immaginando che mi avrebbero
aspettato alluscita.La sala delle feste era piccola eriuscivo perfettamente a vedere i
loro volti disegnarsi nella penombra. Ho fatto il mio numero, teso al pensiero che
potessero urlare frocio durante un attimo di silenzio fra due strofe, davanti a
miamadre e agli altri. Sono arrivato in fondo. Quando ho nito, si sono alzati in piedi
tutti e due, scatenati, a spolmonarsi Bravo Eddy, bravo!
Hanno intonato il mio nome Eddy, Eddy nch li hanno seguiti tutti i paesani
presenti,circa trecento persone che allimprovviso scandivano il mio nome, battendo
le mani aritmo e lanciandomi occhiate di ammirazione. Fu dicile ristabilire la calma.
Al momento dei saluti, mentre tornavo in scena con tutti i membri della troupe,
hanno gridato ancora il mio nome. Non li ho rivisti, dopo, alla finedella serata. Credo
che sia stata lultima volta della mia vita in cui li ho incrociati.
La preside della scuola era venuta a trovarmi alluscita da un corso per parlarmi del
liceoMadeleine-Michelis, a Amiens,la citt pi grande del dipartimento, dove non ero
quasi mai stato, per paura. Miopadre aveva sempre detto e ripetuto che cerano molte
persone di colore, l, personepericolose A Amiens ci sono solo neri e marocchini,
sembra di essere in Africa. Non bisogna andarci, ti farai spennare di sicuro. Mi aveva
sempreripetuto queste parole e se gliribattevo che era un razzista e nientaltro

qualunque cosa pur di contraddirlo, di essere diverso da lui i suoi discorsi


riuscivano comunque a
seminare in me il dubbio.
Il liceo Madeleine-Michelis proponeva un corso darte drammatica no alla maturit.
Bisognava passare un esame dammissione per entrarci, poipresentare un dossier e
superare unaudizione. Quandola preside, madame Coquet, miha proposto di tentare
lammissione a quella scuola, non avevo mai pensato di arrivare alla maturit, ancora
meno in un liceo. Nessuno laveva fatto in famiglia, quasi nessuno in paese tranne i
glidei maestri, del sindaco o delladroghiera. Ne ho parlato a miamadre: sapeva a
malapena dicosa si trattasse (Adesso far la maturit lintellettuale di famiglia).
Lavoravo con la glia dellapreside, una giovane attrice, per preparare la scena che
avrei presentato allaudizione.Sua madre mi aveva dato il permesso di saltare le
lezioni emi aveva messo a disposizione una sala. Lavoravo no a spossarmi per non
lasciarmi sfuggire quella possibilit di andarmene. Il liceo disponevadi un collegio,
era un modo perallontanarmi ancora di pi dal paese.
Mia madre mi aveva avvertito Andrai al tuo liceo di teatro solo se ti prendono in
collegio perch non possiamo pagare, altrimenti andrai ad Abbeville, sempre una
scuola superiore. E mio padre Non capisco perch non vuoi andaread Abbeville come
tutti, devi sempre fare in modo diverso dagli altri.
Non era stato facile convincere mio padre ad accompagnarmi no alla stazione il
giorno dellaudizione Sprecare della benzina per le tue cazzate del teatro, francamente
non ne valela pena. La stazione si trovava a una quindicina di chilometridal paese.
Per parecchi giornimi ha assicurato che non mi ci avrebbe portato e che sperarenon
serviva a niente. La vigiliaha cambiato idea Domani non dimenticarti di puntare la
sveglia,ti porto alla stazione.
Era una cosa che faceva spesso, dire no no allultimo minuto e cedere alla ne con la
soddisfazione di avermi visto singhiozzare e supplicarlo per ore. Ci prendeva
gusto.Quando avevo sette o otto anni aveva dato ai bambini dei vicini senza
apparentemotivo il mio peluche, quello con cui dormivo che mi accompagnava
sempre, come succede ai bambini.
Avevo pianto e mi ero agitato comeun diavolo, correndo per tuttala casa in segno di
protesta.Lui mi guardava e sorrideva. Il31 dicembre 1999, in occasionedi San
Silvestro, mi aveva raccontato che a mezzanotte un asteroide avrebbe colpito laTerra
e che saremmo morti tutti, senza alcuna possibilit di sopravvivere. Goditi la vita
perch fra poco saremo tutti morti. Le mie lacrime erano scese per tutta la sera. Mi
lamentavo, non volevo morire.Mia madre aveva protestato, dicendo che non poteva
trattarmi cos lultimo dellanno, lasciarmi sui gradinidi casa disperato e impedirmidi
godere del cambio di millennio. Cercava di rassicurarmi Non ascoltare tuo padre dice
delle stupidaggini, daivieni a vedere la tele con noi, cla torre Eiel. Non cambiava
niente, io davo credito solo alleparole di mio padre, alluomodi casa. Quella notte le
sue risate risuonarono nella stanza comune.
Lindomani mattina pass davanti alla mia camera mezzora prima dellorario previsto
Su sbrigati. Se siamo inanticipo aspetterai alla stazione. Sono corso in bagno a
prepararmi. Non mi sono lavato i denti. Il bagno non eraoccupato da mio padre, che
almattino non si lavava. Inlava una maglietta, un paio di pantaloni e si sciacquava la
faccia, poi accendeva una sigaretta e si sedeva davanti alla televisione per guardare
iltelegiornale o le televendite.

Una volta in macchina,avevamo quasi unora per farequindici chilometri. Non ci


dicevamo niente. Gli ho chiesto di accendere la radio per dissipare limbarazzo
provocato dal silenzio. Conosceva tutte le canzoni del repertorio di musica
leggerafrancese, che intonava. A voltefra una canzone e laltra ricominciava Farmi
alzare a questora per quel cazzo di teatro, francamente (Mia madre: Tuo padre
brontola sempre, ma non devi badarci, non cattivo. Brontola perpassare il tempo,
perch non sacosa fare.)
Alla stazione mi ha ordinato di scendere, poi ci ha ripensatoe mi ha detto di
aspettare. I miei occhi su di lui, la sorpresa,lattesa di un commento sgradevole. Si
frugato in tasca e ha tirato fuori un biglietto da venti euro. Sapevoche era troppo,
molto pi di quello che poteva e doveva darmi. Mi ha detto che ne avrei avuto bisogno
Dovrai pur mangiare a mezzogiorno. Non voglio che ti vergogni davanti aglialtri e che
tu sia diverso, con meno soldi di loro. Spendili tutti, non voglio che porti a casa il
resto, non voglio che tu sia diverso dagli altri. Ma soprattuttostai attento, perch la
citt piena di arabi. Se ce n uno cheti guarda, abbassa gli occhi, nonfare lo
spiritoso, non fare il galletto, perch quella l genteche ha sempre un cugino o
unfratello da qualche parte e se timetti a litigare ti arrivano addosso in tanti e sei
morto. Se uno ti chiede dei soldi, dagli tuttoquello che hai. Il portafogli, il telefono,
tutto. La salute prima ditutto. Adesso vai e cerca di non farti eliminare allaudizione.
Ho preso il treno no ad Amiens. Ero nervoso e mi aspettavo di veder spuntare aogni
fermata un gruppo di arabi che mi sarebbero saltati addosso per rubarmi tutti
glieffetti personali.
Per arrivare al liceo Michelis ho camminato molto veloce, atesta bassa. Ogni volta che
un nero o un arabo camminava sul mio stesso marciapiede ma non erano cos
numerosi sentivo la paura che si impadroniva di me.
Cerano altre persone che aspettavano in corridoio con iloro genitori. Io ero felice di
essere solo, mi sentivo pi adulto e tutta un tratto ero amareggiato, geloso di
queiragazzi che condividevano unaforte complicit con le loro famiglie. Trovavo che i
loro genitori avevano qualcosa di adolescente anchessi quandoparlavano ai gli, come
se ladolcezza delle loro condizioni di vita si conformasse alla dolcezza del loro
carattere.
Un uomo anziano dai capellibianchi uscito dalla sala delle audizioni e ha chiamato
il mio nome Bellegueule, tocca a lei. Gli altri hanno riso. Anche gliadulti. Bellegueule.
Era la prima parte della selezione, prima del pezzo teatrale che avevo preparato.
Bisognavarispondere a delle domande sulteatro e sui motivi che mi spingevano a
voler entrare inquel liceo. Avevo riettuto su tutte le risposte con molto anticipo: la
passione per il teatro, limportanza dellarte nella nostra societ e nella Storia,
lapertura mentale. Banalit.
Linsegnante che mi interrogava, luomo dai capellibianchi, Grard, che diventeril
mio professore di teatro dopola mia ammissione, non vissequellincontro come lo vissi
io.Mi confesser due anni pi tardi con la dolce ironia che lo caratterizzava che
lavevo supplicato di accettarmi nel liceo. Che mi ero quasiinginocchiato davanti a lui.
Miimitava: La prego signore mi porti via di l. Piet, piet. Mi ha detto che non avevo
mai smesso di sorridere. Non gli era parsa una cosa naturale, ma era rimasto colpito
dalla fortevolont, o per meglio dire dalla disperazione, che trasmettevo. Mi ha detto
che avevo ricominciato alla seconda parte della selezione, presentando la scena Cera
sempre qualcosa di supplichevolenella tua voce, sempre.

Durante quellaudizione ho fatto conoscenza con un ragazzo di nome Fabrice.


Abbiamo parlato e ci siamo promessi che saremmo diventati amici se fossimo stati
ammessi entrambi. Tutta lestate Fabrice ha ossessionato i miei pensieri. In verit
sognavo meno Fabrice che laprospettiva di farmi una cerchia di amici a Amiens, di
compagni, e non di compagne, come un vero ragazzo.
Tutta lestate ho aspettato lalettera che doveva annunciarmi la decisione del liceo.
Non arrivava mai. I miei genitori mi assicuravano di non aver ricevuto niente Ci
stordisci.
Niente. Disperavo. Avevo nito per rassegnarmi: non sierano neanche presi la pena
diavvertirmi della mia non-ammissione. Passavo notti insonni a immaginare che
dovevo andare alla scuola superiore di Abbeville, rivederei due ragazzi e rivivere le
stesse scene di quando ero allemedie.
Prevedevo labbandono deglistudi.
Dopo una cena coi miei,allinizio o alla met del mese di agosto, e mentre guardavola
televisione in camera mia, mio padre mi ha chiamato nella stanza comune.
Ha detto di aver ricevuto una lettera poco pi di un mese prima. Che si era
dimenticato di mostrarmela prima di allora. Dicendo cos ha assunto unaria divertita
perfarmi capire che quello che diceva non era vero, che laveva nascosta per
lasciarmilanguire tutta lestate.
Ho aerrato la lettera Monsieur Bellegueule, il liceo Madeleine-Michelis ha il piaceredi
comunicarle
Mi sono allontanato di corsa,subito. Giusto il tempo di sentire mia madre che diceva
Cosa fa quel deficiente?
Non volevo restare con loro,riutavo di condividere con loro quel momento. Ero
gilontano, non appartenevo pial loro mondo ormai, la letteralo diceva. Sono andato
nei campi e ho camminato per buona parte della notte, il fresco del Nord, i sentieri
sterrati, lodore della colza,molto forte in quella stagionedellanno.
Tutta la notte fu consacrata allelaborazione della mia nuova vita, lontano da l.
EPILOGO
Qualche settimana pi tardi.
Parto.
Mi sono preparato per il collegio non una grossa valigia ma una grande sacca
sportiva che aveva appartenuto a mio fratello e poi a mia sorella.
Anche i vestiti, per lo pi, hanno appartenutosuccessivamente a mio fratello e a mia
sorella, alcuni ai mieicugini.
Arrivando alla stazione,
la paura dei neri e degli arabi si attenuata.
Vorrei gi essere lontano damio padre, lontano da loro e so che questo incomincia
con il capovolgimento di tutti imiei valori.
Il collegio non al liceo Michelis.
pi lontano, nella parte sud della citt. Poco pi di dieci chilometri.Non lo sapevo,
ero arrivato al liceo con la mia sacca sportiva blu marin e monsieurRoyon, il tutor, ha
riso Ah piccolo mio, il collegio allaltro capo della citt. Bisognaprendere lautobus,
linea 2.
Mia madre non mi ha dato i
soldi per pagare lautobus.Non lo sapeva
neanche.Cammino lungo la stradafermo i passanti
Scusi, scusi, cerco
Non mi rispondono.

Vedo limbarazzo e langoscia sui loro volti.


Pensano che chieda loro dei soldi.
Trovo nalmente il collegio
le dita rosse, quasi sanguinanti a causa dei chilometri che ho percorsotrascinando la
mia valigia, lamia sacca.
Mi ricordo adesso che ho anche un cuscino in un sacchetto di plastica che porto
sottobraccio.
Devono trovarmi ridicolo, oprendermi per un barbone.
Al collegio mi annunciano che sar in una stanza singola,separato dagli altri
compagni.
Vedr gli altri compagni pi tardi.
Il collegio quello di un altro liceo che accetta di ospitarmi.
Troppo euforico per essere deluso mi dico che i miei amici li incontrer al liceo, chi se
ne frega del collegio, solo un mezzo per fuggire un po di pi.
La ripresa delle lezioni, la solitudine, tutti si conoscono qui,vengono dalle stesse
scuole.
Si rivolgono anche a me, comunque Mangi con noi oggi a pranzo,come ti chiami,
Eddy?
un nome strano Eddy, undiminutivo, no?
Il tuo vero nome non douard?
Bellegueule, non male chiamarsi Bellegueulenon ti prendono troppo in giro?Eddy
Bellegueule, cazzo Eddy Bellegueule un nome fantastico.
Scopro una cosa che gi sospettavo,che mi era venuta in mente.Qui i ragazzi si
baciano per salutarsi, non si stringono la mano hanno delle borse di pellehanno
lineamenti delicati tutti avrebbero potuto essere trattati da froci alle medie i borghesi
non usano il corponello stesso modo non deniscono la virilit come mio padre, come
gli uomini della fabbrica (questo si vedr meglio allcole Normale, i corpi femminili
della borghesia intellettuale).
E me lo dico quando li vedo,allinizio mi dico Ma che banda di froci e anche il
sollievo Forse non sono frocio, come pensavo forse ho dopo tutto un corpo da
borghese prigioniero nel mondo della mia infanzia.
Non ritrovo Fabrice, che inunaltra classe, ma non me ne preoccupo, non lui che
volevo, la sua persona, ma la gura che incarnava.
Mi avvicino a Charles-Henri,diventa il mio migliore amico,passo il tempo con lui.
Parliamo di ragazze.
Gli altri nella nostra classe dicono
Ah Eddy e Charles-Henri, sempre insieme.
Mi fa piacere sentirli
vorrei che lo dicessero ancora di pi, ancora pi forte,
che andassero al paese.
e che dicessero, che tutti lisentissero
Eddy ha un amico del cuore, un ragazzo
parlano di ragazze, di pallacanestro
(Charles-Henri mi ha iniziato)
giocano a hockey, perfino
Per sento che Charles-Henri tende a sfuggirmi.
Si diverte di pi con gli altriragazzi,

quelli che fanno sport ancheloro, da sempre


che studiano musica come lui.
Che parlano sicuramente meglio delle ragazze.
una lotta per conservare lasua amicizia
Una mattina,
il mese di dicembre, duemesi dopo linizio dellanno.
Ci sono dei liceali col cappellino da Babbo Natale
io ho la giacca comprata perloccasione dellingresso al liceo
rossa e gialla squillante, marca Airness. Ero cos ero nellacquistarla, mia madre
aveva detto
fiera anche lei
il tuo regalo per il liceo,costa cara, facciamo dei sacrici per prendertela
ma appena arrivato al liceo ho capito che non andava bene per la gente di qui, che
nessuno si vestiva in quel modo, i ragazzi avevano cappotti da signori o giacche
dilana, come gli hippie.
La mia giacca strappava sorrisi.
Tre giorni dopo la metto in un cestino della spazzatura, pieno di vergogna.
Mia madre piange quando ledico una bugia (lho perduta).
Siamo nel corridoio, davantialla porta centodiciassette, in attesa dellinsegnante,
madame Cotinet. Arriva qualcuno,Tristan. Si rivolge a me
Allora, Eddy, sei sempre cos frocio?
Gli altri ridono.
Anchio.
INDICE
LIBRO 1. PICCARDIA
Incontro Mio padre Le moine A scuola Il dolore Il ruolo delluomo
Ritratto di mia madre al
mattino
Ritratto di mia madreattraverso le sue storie
La camera dei miei genitori
Vita delle ragazze, delle madri
e delle nonne
Le storie del paese
La buona educazione
Laltro padre
La resistenza degli uomini alla
medicina
Sylvain (una testimonianza)
LIBRO 2. SCACCO E FUGA
Il capanno Dopo il capanno Diventare Laura La rivolta del corpo Ultimo tentativo
amoroso:
Sabrina Il disgusto Primo tentativo di fuga La porta stretta Epilogo

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