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Ciascuno esamini se stesso

24 marzo 2016
Gioved santo
omelia in Coena Domini
di ENZO BIANCHI
1Cor 11,23-32
23Io, Paolo, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Ges, nella notte in cui
veniva tradito, prese del pane 24e, dopo aver reso grazie, lo spezz e disse: Questo il mio corpo, che per voi;
fate questo in memoria di me. 25Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: Questo
calice la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me. 26Ogni volta
infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finch egli venga.
27Perci chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sar colpevole verso il corpo e
il sangue del Signore. 28Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; 29perch
chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. 30 per questo
che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. 31Se per ci esaminassimo
attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; 32quando poi siamo giudicati dal Signore, siamo da lui
ammoniti per non essere condannati insieme con il mondo.

Cari fratelli e care sorelle di Bose e di Cumiana,


con questa assemblea al tramonto del gioved santo siamo entrati in unintensa comunione con Ges, il Signore nostro,
sul cammino della passione, morte e resurrezione, il cammino pasquale. Rinnovare ogni anno questo cammino fatto
insieme, questo snodos, sinodo dei sinodi, vorrebbe essere unimmersione nella vita di Ges, un coinvolgimento nei
suoi atti e nelle sue parole. Certo, noi possiamo vivere questo Triduo santo semplicemente come un rito che non ci
tocca, non ci ferisce e non cambia nulla nel nostro vivere, ma allora siamo tra i pi miserabili di tutta la terra (cf. 1Cor
15,19). Attenzione, non si tratta di consumare emozioni, di precipitare in abissi e innalzarci in slanci gioiosi a livello
psicologico: si tratta di fede, di adesione al Signore Ges, senza misurare ci che noi non possiamo misurare in noi
stessi. Staccato lo sguardo da noi stessi, tesi a tenere fisso lo sguardo su Ges (cf. Eb 12,2), cerchiamo soltanto che i
segni della passione di Cristo siano impressi nel nostro corpo: t stgmata to Ieso en t smat mou bastzo (Gal
6,17).
Proprio perch questo processo avvenga efficacemente, predisponiamo soprattutto il nostro ascolto della parola del
Signore, viva, efficace e pi tagliente di una spada a doppio taglio (Eb 4,12), Parola che ferisce e guarisce.
Questanno, secondo il ritmo che ci siamo prescritti, sostiamo sulla lettera dellApostolo, avendo commentato il vangelo
lo scorso anno. Lomelia al vangelo sar unomelia in atto: la lavanda dei piedi, azione di chi presiede, di chi tiene il primo
posto in comunit, nella chiesa, e con quel gesto dichiara la sua volont di servire ogni giorno, quotidianamente, in modo
ordinario e quasi sempre nascosto, quelli che gli sono stati affidati dal Signore e delle cui vite deve rendere conto al
Signore stesso.
Conosciamo bene lammonizione di Paolo alla comunit cristiana di Corinto. LApostolo stato informato di alcune
patologie presenti nella vita comunitaria, di divisioni esistenti, di cordate e partiti che si riflettono nella celebrazione della
cena del Signore, latto supremo della vita di koinona. Il comportamento di quei cristiani non conforme a ci che
celebrano. Che cosa succede? Succede che nella comunit domina un fare per s, una sorta di protagonismo
individualista che non lascia spazio n a una sinfonia, a un sentire comune, a una voce comune, n a una vera koinona
quale condivisione di tutto ci che un cristiano e ha in questo mondo.
Persino la liturgia, opera, azione comune, non tale: i corinzi non sanno attendere laltro, non sanno camminare insieme,
non sanno neppure mangiare insieme. Questo per Paolo un attentato alla celebrazione della cena del Signore, una
contraddizione grave che rende epifanica lineguaglianza chi ha molto e chi non ha nulla , un affronto per i poveri.
Che lineguaglianza esista fuori del contesto eucaristico evidente, ma nello spazio della cena del Signore una
contraddizione blasfema. Non si pu dice Paolo condividere il pane di Cristo, che il suo corpo, tutta la sua vita, e
poi rifiutare la condivisione del pane quotidiano. Ireneo di Lione giunge ad accostare due parole di Ges, come pure
Giovanni Crisostomo. Ges evidenziano questi padri ha detto: Questo il mio corpo, non solo sul pane (Mc 14,22
e par.; 1Cor 11,24), ma anche sul bisognoso, sul povero, sul malato, sul sofferente, e nellultimo giorno dir: Ho avuto
fame e mi avete dato da mangiare Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare (Mt 25,35.42). Solo cos lofferta,
il sacrificio, sono misericordia perch sono dono allaltro, sono azione, sono un agire da parte di chi ha la vera
conoscenza di Dio (cf. Os 6,6; 13,4).
Leucaristia, questo mirabile sacramento-segno, ci narra il dono della vita da parte del Signore Ges, ma si fa esigenza
per noi affinch anche noi doniamo la vita per gli altri. Colui che ha detto: Questo il mio corpo, lo stesso che ha
detto: Ci che avete fatto al pi piccolo, lavete fatto a me (cf. Mt 25,40). Il corpo di Cristo: se fossimo capaci di dire
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questa parola e crederla, crederla con piena adesione non solo quando innalziamo il pane eucaristico o lo inalberiamo in
unostensione per ladorazione, ma anche quando con le mani tocchiamo un povero, abbracciamo un portatore di
handicap, accarezziamo un bisognoso, un sofferente Ecco il corpo di Cristo, anzi la carne di Cristo! Nelleucaristia
diceva p. Pedro Arrupe noi riceviamo il corpo di Cristo che ha fame, il corpo di Cristo che oppresso e perseguitato, il
corpo di Cristo che soffre di malattia e di abbandono. Quando ricevo il pane e il vino nella mia bocca, sono costoro che
vengono a me e chiedono giustizia, aiuto, amore concreto! Finch i poveri sono nel mondo e non alla nostra tavola, la
nostra celebrazione eucaristica in qualche misura incompleta, mancante. Come siamo lontani da una certa retorica
devota del mio Ges, impoverito delle sue membra: un Ges ideale, una nostra proiezione senza carne e sangue, un
Cristo spogliato proprio della condizione che egli ha scelto per s nella sua umanizzazione.
Ecco perch Paolo dice ai cristiani di Corinto: Perch gettate disprezzo sulla chiesa di Dio, mettendo in evidenza chi
possiede molto e chi non ha nulla? (cf. 1Cor 11,22). E in modo ancora pi penetrante: Perch mangiate il pane e
bevete dal calice senza riconoscere il corpo di Cristo che sono i poveri, il corpo di Cristo che il corpo del tuo fratello,
della tua sorella? (cf. 1Cor 11,29). Al riguardo, Giovanni Crisostomo giunge ad affermare:
Fratelli, sorelle, se volete essere sacerdoti del Signore, praticate la condivisione dei beni. Se vuoi vedere laltare, guarda
alle membra di Cristo. Il corpo del Signore, corpo dei fratelli poveri e ultimi, per te laltare: veneralo! pi importante
laltare dei poveri che laltare del culto. Laltare dei poveri non tiene su di s il corpo di Cristo, ma il corpo di Cristo. Vuoi
onorare laltare? Per strada, quando incontri un bisognoso, quello laltare su cui celebrare la liturgia della condivisione,
dellamore concreto, della comunione (cf. Omelie su 2Cor XX,3; PG 61,540).
Solo cos leucaristia diventa il luogo in cui cadono tutte le barriere tra gli esseri umani, quelle barriere che Ges con la
sua morte distrusse per tutti. S, davanti alleucaristia, occorre esaminare se stessi dokimazto nthropos heautn
(1Cor 11,28) per sapere se si discerne o no il corpo di Cristo, se si capaci o no di farsi carico della carne di Cristo che
sono i poveri, i bisognosi. Cos siamo posti davanti
alla vita o alla morte,
alla salvezza o alla condanna,
alla comunione o allisolamento.
Fratelli e sorelle, finch egli venga (1Cor 11,26) sentiamo le labbra che ci bruciano quando parliamo di poveri
ripetendo le parole di Ges; sentiamo la nostra mancanza di fede nel non vedere nei poveri la carne di Cristo da
venerare. Eppure cos:
pi facile onorare un calice che vestire un povero;
pi facile fare sacrifici per il culto che fare sacrifici per laltro;
pi facile fare una cattedra per i non credenti che fare una cattedra per i poveri.
Ma dobbiamo ricordarlo; saranno loro a giudicarci alla fine dei tempi, saranno dietro a Cristo, Cristo sar il loro volto e si
imporr per sempre davanti a noi! Non ci resta che rinnovare il nostro proposito verso la carne di Cristo, i poveri, e
realizzare questo comando quotidianamente, per quello che possiamo. E chi presiede pi che mai deve vigilare affinch i
poveri siano i primi destinatari del Vangelo e della nostra attenzione in comunit. La lavanda dei piedi dica almeno
questo proposito e sia invocazione di misericordia. Amen!

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