Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
CRITICA
Pug, Romae 1963
(Ad usum privatum)
INTRODUZIONE
1. Il problema della scienza. L'esperienza insegna che l'uomo in primo
luogo dirige la sua attenzione esplicita verso le cose e dopo ritorna verso se
stesso, a considerare esplicitamente le sue proprie conoscenze. Ugualmente la
storia della filosofia mostra che i filosofi investigarono in primo luogo le realt
oggettive, e pi tardi rifletterono sulla propria scienza soggettiva di quella
realt. Bench questa investigazione sorgesse tardiva, prevalse dopo l'abitudine
di esporre il problema della scienza, nel suo senso radicale, con una certa
precedenza sugli altri, al fine di ottenere una dottrina sistematica generale
sulla possibilit e la natura della scienza umana, per dopo applicarla con
destrezza nello sviluppo di ogni scienza. Questo problema, articolato in modo
complesso ed orientato ad una dottrina generale, fu detto il problema della
scienza umana considerata in genrale, e pi brevemente: il problema della
scienza.
2. Origine umana del problema. L'uomo non attende la soluzione di
questo problema per incominciare a pensare e a dare valore ai propri pensieri.
Ma lo stesso uso spontaneo della sua conoscenza lo rende gi tenacemente
certo di molte verit. Per esempio: di vivere nel mondo concreto delle cose
sensibili; di avere una relazione speciale con gli altri uomini; di avere molti
obblighi, eccetera.... Ma questo esercizio spontaneo della sua vita, lo rende
anche cosciente della fallibilit e della limitazione della sua capacit di
conoscere: sperimenta in s o negli altri il fatto dell'errore, la diversit di
opinioni sullo stesso punto, la difficolt di determinare la verit in casi di
confusione. Questa constatazione lo porta a riflettere spontaneamente sulle cose
che conosce ed sui suoi pensieri, per sapere perch sbaglia, e per vedere come
pu, entro certi limiti, evitare gli errori e stabilire la verit. Questa riflessione
spontanea fa s che ogni uomo si formi queste persuasioni abituali: a) che il
nostro intelletto, senza alcun dubbio, pu raggiungere alcune verit oggettive
vicenda. Per queste ragioni noi, per evitare omissioni e ripetizioni, tratteremo
anche le principali questioni critiche insieme alle corrispondenti questioni
logiche, sotto lunica denominazione oggi pi diffusa di Critica.
Siccome gi abbiamo studiato (nel libro intitolato Logica Maior) che
cosa la Logica come scienza e che cosa la Logica formale, solo rimane ora
dire una parola sulla Critica e la Logica materiale, per portare a conclusione
l'unit e divisione del nostro trattato.
7. Che cosa la Critica? Critica, etimologicamente viene da "krnein",
giudicare, e suona come scienza giudicativa. Nell'uso filosofico, la dottrina
sul valore della conoscenza umana per raggiungere la scienza; o, pi
brevemente, la parte della filosofia che giudica sulla possibilit di una
scienza oggettiva.
Per capire il suo fine ed il suo ambito bisogna considerare due aspetti. a)
Lo stesso discernimento delle affermazioni scientifiche singolari gi un
discernimento critico, ma non appartiene alla scienza Critica fare quest'ultimo
discernimento; perch questa critica concreta si identifica con le stesse scienze
singolari. b) Spetta alla Critica, in quanto che la Critica precede le altre scienze,
giudicare nel suo insieme comune il valore dell'affermazione scientifica, per poi
di l dedurre quella dottrina generale sulla possibilit dalla scienza, alla cui
luce possano lavorare con sicurezza e speditamente le scienze particolari.
Il trattato critico viene anche detto Teoria della conoscenza, o
Gnoseologia (scienza della conoscenza), o Epistemologia (scienza della
scienza, bench questo nome rimanga oggi ristretto alla teoria della conoscenza
delle scienze particolar), o Noetica (scienza della conoscenza intellettuale, alla
quale si sottomettono le altre conoscenze,) o Criteriologia (scienza delle verit
motivate in un criterio genuino), e cos via. L'utilit e l'importanza della Critica
appare sufficientemente da quanto detto. Infatti, mediante la soluzione del
problema critico si consolida e difende riflessivamente la possibilit della
Metafisica e delle altre Scienze, disponendo bene la mente a trattarli e
svilupparli con sicurezza.
8. Che cosa la Logica applicata? Logica applicata o materiale la
parte della Logica che, supposta la dottrina sulla giusta forma, tratta della forma
della materia che deve applicarsi per ottenere la verit; o la parte della Logica
che tratta dei presupposti della verit del conseguente.
Sulla Logica bisogna notare altri due elementi. a) La stessa applicazione
della forma alla materia che si fa nelle argomentazioni scientifiche particolari,
gi un'applicazione logica. Ma non spetta alla Logica fare questa ultima
applicazione, perch questa logica concreta si identifica con le stesse scienze
BIBLIOGRAFIA GENERALE
1. Testi latini
ALEJANDRO, J. M., Critica, Santander 1953.
BOYER, C., Cursus Philosophie, I-II. Parigi 1962.
DAVILA, J. Critica, Mxico 1947.
3. Opere specializzate
ARDLEY, G., Aquinas and Kant, New York y Londra 1950.
BONTADINI, G., Indagini di struttura sul gnoseologismo moderno, Brescia
1952; Dal problematismo alla metafisica, Ibid. 1952.
BOYER, CH., L'ide de vrit dans la philosophie de St. Augustin, Parigi 1941.
D'ARCY, V. C., The Nature of Belief, Dublino y Londra 1958.
DE CONNINCK, A., L'unit de la connaissance humaine et le fondement de sa
valeur, Lovanio 1947.
DE WAELHENS, A., Phnomnologie et vrit, Parigi 1953; La philosophie et
les expriences naturelles, La Haya 1961.
ENGERT, J., Die Erschliessung des Seins, Bonn 1935.
FABRO, C., La fenomenologia della percezione, Brescia 1961; Percezione e
pensiero, Milano 1941.
FAUSTI, G., La teoria dell'astrazione, Padova 1948.
FISCHL, I., Die Wahrheit unseres Denkens, Graz 1946.
GARCIA MORENTE, M.- ZARAGUETA, J., Fundamentos de filosofa,
Madrid 1954.
GARRIGOU-LAGRANGE, R., Le sens commun, la philosophie de l'tre et les
formules dogmatiques, Parigi 1922; Le ralisme du principe de finalit,
Parigi 1932; La synthse thomiste, Parigi 1946.
GIANNINI, G., I presupposti della trascendenza, Milano 1959.
GILSON, E., Le ralisme mthodique, Parigi 1939.
GOMEZ ROBLEDO, A., Ensayo sobre las virtudes intelectuales, cc. 2-5,
Mxico 1947.
HAYEN, A., L'intentionnel dans la philosophie de St. Thomas, Bruxeles 1954.
HOENEN, P., La thorie du jugement d'aprs St. Thomas d'Aquin, Roma 1953
(trad. inglesa Reality and Judgment According to St. Thomas Aquinas,
Chicago 1952).
HUFNAGEL, A., Intuition und Erkenntnis nach Thomas von Aquin, Mnster
1931.
JAQUES, E., Introduction au problme de la connaissance, Lovanio 1953.
KEELER, L., The Problem of Error from Plato to Kant, Roma 1934.
LOTZ, J. B., Metaphysica operationis humanae, Roma 1958.
MANSION, S., Le jugement d'existence chez Aristote, Lovanio 1946.
MASI, R., L'essere e la verit, Roma 1955.
MARC, A., L'tre et l'esprit, Parigi 1958.
NICOLETTI, E., Esistenza ed essere, Roma 1963.
NOEL, L., Notes d'pistmologie thomiste, Lovanio 1925; Le ralisme
immdiat, Lovanio 1938.
OLGIATI, F., I fondamenti della filosofia classica, Milano 1950.
PARTE PRIMA
LA CONOSCENZA DELLA LA VERIT
Senso e divisione della parte. - 1. I problemi critici vengono sollevati per
ottenere una dottrina precisa e sistematica sul valore della conoscenza. A volte
colui che inizia a filosofare ignora ci che si riferisce a questa dottrina. Ma altre
volte l'ha gi in un certo modo pre-conosciuto, ed in questo caso i problemi
vengono posti per ottenere un riconoscimento riflesso ed esplicito.
2. Il primo problema critico quello che secondo l'ordine bisogna porsi
prima degli altri. E poich, negata la possibilit di conoscere con certezza la
verit, non potrebbe esporsi seriamente nessun altro problema, mentre,
riconosciuta questa possibilit, possono suscitarsi ordinatamente tutti gli altri
problemi, il primo problema critico bisogna formularlo cos o in modo
equivalente: se per riflessione filosofica consta con certezza che l'uomo
capace di conoscere la verit, o pi brevemente "se l'uomo pu conoscere la
verit". Si vede chiaramente che per rispondere a questo problema non
possiamo procedere a priori, poich le nostre capacit si riconoscono nei loro
atti. Bisogner pertanto riflettere in prima istanza ed esaminare direttamente se
in realt conosciamo alcune verit, per poi di l concludere riflessivamente ed
esplicitamente che siamo capaci di conoscere la verit.
3. A questo problema che ha un senso semplice e facile, si sono date
soluzioni complicate e difficili:
a) Soluzione dichiaratamente negativa, proposta dagli Scettici. Lo
Scetticismo difende la tesi che la nostra conoscenza umana non propriamente
capace di captare niente come in s, da cui conclude che conosciamo tutto
solo come a noi appare, e cos conclude con la convinzione definitiva di un
dubbio universale rispetto a tutto. Simile alla soluzione scettica la posizione
relativista. Il Relativismo distingue tra una conoscenza assoluta della verit, per
cui conosciamo le cose come sono in s, ed una conoscenza relativa, per cui
conosciamo le cose solo come appaiono. E siccome mantiene lo stesso
pregiudizio scettico che la nostra conoscenza non pu conoscere niente come
in s, conclude che la conoscenza umana capace di conoscere la verit
relativa, ma non l'assoluta.
b) Soluzione meno dichiaratamente negativa, proposta dagli
Idealisti ed Antintellettuali. Generalmente questi sono d'accordo nell'escludere
la soluzione scettica ed ammettono concordemente che necessariamente il
Relativismo radicale si risolve in una forma di Scetticismo. Ma siccome
ritengono dello Scetticismo che non possiamo conoscere col nostro intelletto le
cose come sono in s, parlano diversamente sulla nostra possibilit di
raggiungere la verit. L'Idealismo ammette che conosciamo la verit per via
dell'intelletto, ma escludendo che siamo capaci di conoscere la cosa come in
s, limita la nostra conoscenza solo all'oggetto interno della conoscenza o
all'oggetto come si configura nella mente. L'Antintellettualismo non esclude la
CAPITOLO PRIMO
LA CONOSCENZA NATURALE DELLA VERIT
Senso e divisione del capitolo. - 1. Come abbiamo visto, lo Scetticismo non
solo un'opinione semplicemente negativa, ma anche una posizione teorica che
presta pi o meno i suoi principi alle altre opinioni negative. Per ci bene
conoscere come inizialmente e metodologicamente si presenta lo Scetticismo e
ARTICOLO PRIMO
La legittimit dell'esigenza critica
Senso dell'articolo. - Poich la soluzione corretta del problema critico dipende
dalla retta intelligenza della legittimit dell'esigenza critica, conviene
innanzitutto esaminare se e in che modo conosciamo che l'esigenza critica sia
legittima.
TESI I. Colui che incomincia a filosofare conosce con certezza, alla luce di
una critica naturale, che l'esigenza di un filosofare critico legittima.
Prenozioni - 1. Per esigenza (da "exigo", richiamo, chiedo quello che mi
dovuto) significhiamo nella tesi, la tendenza dell'uomo ad ottenere quello che
gli dovuto e gli conveniente. Per esigenza scientifica, intendiamo l'esigenza
della nostra mente di acquisire la scienza colta come conveniente. Un'esigenza
scientifica legittima, quando conveniente alla nostra mente; e si riconosce
come legittima, quando si capisce che conveniente alla nostra mente.
Per esigenza filosofica intendiamo l'esigenza di investigare tutte le cose
conosciute per determinare e spiegare profondamente la loro natura. Per
ARTICOLO SECONDO
La verit fondamentale dell'esperienza
Senso dell'articolo. - Sappiamo dall'articolo precedente che l'esigenza critica
legittima e che per ci possiamo con sicurezza porci il problema critico;
Prova della prima parte della tesi. L'uomo conosce naturalmente la verit
della realt dell'ente, da parte dell'oggetto e da parte del soggetto.
Per un riconoscimento dichiarativo. Per l'esercizio spontaneo della sua
conoscenza l'uomo fermamente cosciente che egli conosce il mondo concreto
degli uomini e delle cose, e che, conseguente con questa conoscenza, egli vuole
ed opera sullo stesso. cosicch per questo si sente fermamente certo della
verit della realt dell'ente, tanto da parte dell'oggetto, come da parte del
soggetto. Quindi per l'esercizio spontaneo della sua conoscenza l'uomo
fermamente certo della verit della realt dellente, tanto da parte dell'oggetto
come dal parte del soggetto.
La maggiore, nel suo senso constativo, enuncia un fatto di coscienza
certissimo, sempre conosciuto per noi e dal quale non possiamo mai
prescindire.
La minore nel suo senso declaratorio, non altro che il riconoscimento di
questa nostra coscienza costante, nel suo senso pi semplice ed evidente.
Perch per il fatto che siamo permanentemente coscienti che conosciamo
il mondo concreto degli uomini e le cose, e che conseguentemente vogliamo ed
operiamo su di esso:
a) da parte dell'oggetto, al quale si orienta direttamente la nostra
conoscenza, siamo certi che questo mondo dato a noi, se qualcosa, un ente
attuale reale: perch chiaramente capiamo che l'insieme degli uomini e delle
cose non un puro niente, bens qualcosa di contrapposto al niente, cio un
ente; e che, precisamente in quanto termine concreto delle nostre conoscenze,
desideri ed azioni, non un ente puramente possibile, bens attuale, e in quanto
cos attuale, reale.
b) da parte del soggetto, sul quale riflessivamente ritorna la nostra
conoscenza, ugualmente siamo certi che i nostri atti concreti se sono qualcosa,
sono un ente reale attuale: perch egualmente capiamo con chiarezza che non
sono puro niente, n ente puramente possibile, ma anche essi col suo modo
proprio un ente attuale, e in quanto cos attuale, reale.
Del fatto che permanentemente siamo certi che conosciamo il mondo
concreto degli uomini e le cose, e che in conseguenza vogliamo ed operiamo su
di esso, siamo certi che mediante la nostra esperienza obiettiva e soggettiva, se
qualcosa c' offerto evidentemente, c' offerto l'ente reale attuale; ed in questo
senso siamo certi della verit della realt dell'ente, da parte dell'oggetto e da
parte del sogetto.
Dell'argomento si deduce che la nostra attivit giudiziale per s stessa
ordinata a captare direttamente l'ente obiettivo ed esercitamente (cio,
nell'esercizio dell'atto) l'ente soggettivo; e pertanto che il nostro giudizio
umano raggiunge la sua perfezione ogni volta che con evidenza afferma essere
dubitare, senza che realmente dubiti; perch pu dire solo che dubita di alcuna
verit nella misura in cui, nell'esercizio dell'atto ed implicitamente diventa certo
della verit stessa. Ugualmente, la negazione illusoria lo stato della mente
nella quale qualcuno pensa di negare, senza realmente negare; perch pu dire
solo che nega una qualche verit, in quanto nell'esercizio dell'atto ed
implicitamente afferma la verit. Orbene, le verit fondamentali si esercitano
sempre implicitamente. Quindi come di esse possiamo avere solo un dubbio
illusorio, possiamo proferire altrettanto solo una negazione illusoria.
3. Lo scienziato non accetta niente che non sia dimostrato. Ma le verit
fondamentali non possono essere dimostrate. Quindi lo scienziato non deve
accettarle.
Risposta. Distinguo la maggiore: Lo scienziato non pu accettare niente
di dimostrabile che non debba dimostrarsi, acconsento; niente di indimostrabile
che non sia dimostrato, lo nego. E contraddistinguo la minore.
Istanza. Quello che indimostrabile si deve esaminare scientificamente
e si deve legittimare.
Risposta. Distinguo l'asserzione. Deve esaminarsi scientificamente, o
mediante una riflessione scientifica, acconsento; deve legittimarsi
scientificamente, suddistinguo. Si deve legittimare in senso ampio, cio la sua
legittimit si deve riconoscere esplicitamente e difendere, acconsento; si deve
legittimare in senso stretto, come se ancora non avesse una sua propria
legittimit, lo nego.
Per chiarire le risposte, dobbiamo notare innanzitutto che chi dice che
bisogna dimostrare tutte le cose, dovrebbe incominciare dimostrando questa sua
affermazione; e poich non potr dimostrarla senza incominciare da alcune
premesse, dovrebbe dimostrare quelle premesse, e le premesse con le quali
dimostra le premesse e cos all'infinito. E se qualche volta si ferma, deve
ammettere che non bisogna dimostrare tutte le cose, e pertanto che non lecito
dire che lo scienziato non accetta niente che non sia dimostrato.
Poi bisogna notare che le verit naturali fondano ogni dimostrazione, e
che pertanto sono certe antecedentemente ad ogni dimostrazione; o che sono
necessarie ed immediatamente evidenti. Ed impossibile mediare o
strettamente dimostrare quello che per la sua stessa natura immediato. Quindi
impossibile dimostrare le verit naturali. Il che pu essere anche spiegato
cos: se qualcuno volesse dimostrare le verit fondamentali, dovrebbe
prescindere nelle premesse dalle stesse, perch nella dimostrazione strettamente
detta, non lecito supporre nelle premesse quello che bisogna dimostrare. Ma
questo impossibile, perch senza la luce delle verit fondamentali, non si pu
ARTICOLO TERZO
La verit universale fondamentale
Senso dell'articolo. Nella tesi precedente riconoscendo che abbiamo una
conoscenza naturale della verit dell'esperienza, abbiamo incominciato
spontaneamente a formarci una qualche dottrina universale intorno
all'esperienza. Per confermare inizialmente la legittimit dell'universalit di
questa scienza, e per completare la nostra indagine sulla conoscenza naturale,
esamineremo in questo articolo se conosciamo naturalmente una qualche verit
universale.
TESI III.- Luomo conosce naturalmente la verit fondamentale del
principio di contraddizione, nella cui luce giudica di tutto.
Prenozioni.- 1. Questa tesi bisogna prenderla anche nel suo senso ovvio e
comune e similmente bisogna stabilirla mediante una spiegazione della nostra
vita conoscitiva concreta:
a) Per verit universale o comune capiamo la verit che si verifica in
molti casi. Per verit comunissima o in senso pieno fondamentale, la verit che
si verifica in tutti i casi, perch tutto si conosce mediante la sua applicazione.
b) Il principio di contraddizione afferma che ogni ente, in quanto ente,
non pu essere non ente. Normalmente si adduce questa formula classica:
"Qualcosa non pu simultaneamente e sotto lo stesso aspetto essere e non
essere"; o anche: "Dello stesso soggetto non pu simultaneamente affermarsi e
negarsi lo stesso predicato".
contraddizione"
Per un riconoscimento dichiarativo. Come abbiamo visto nella tesi
precedente, mediante l'esercizio spontaneo della conoscenza, conosciamo con
certezza alcune verit di esperienza. Ora, questo ci rende certi di conoscere la
verit del principio di contraddizione. Quindi, mediante l'esercizio spontaneo
della conoscenza, conosciamo con certezza la verit del principio di
contraddizione.
La minore: Giacch noi conosciamo con certezza la verit di esperienza
solo nella misura in cui siamo certi che alla cosa significata per il soggetto gli
corrisponde realmente il predicato che gli attribuiamo, escludendo che
simultaneamente possa corrispondergli il predicato contraddittorio: altrimenti
rimarremo sempre incerti. Ma facendo questo siamo certi dell'applicazione
necessaria del principio di contraddizione e, pertanto, della sua necessaria
verit. Quindi conosciamo la verit di esperienza nella misura in cui siamo certi
della verit necessaria del principio di contraddizione.
Da tutto ci si mostra sufficientemente che la verit del principio di
contraddizione deve apparire a noi necessariamente per la stessa comparazione
dei suoi termini: perch se noi vediamo necessariamente la sua applicazione,
vediamo necessariamente la sua verit. Ed in realt, comparando la nozione
positiva semplicissima che si verifica in tutti, cio la nozione di "ente", e la
negazione positiva di ente, cio, il non-ente, apertamente vediamo che la
seconda nozione deve negarsi assolutamente dalla prima. Perch siamo
coscienti che l'ente, precisamente in quanto ente, non pu essere non ente; e che
quindi ogni ente singolare determinato non pu simultaneamente e sotto lo
stesso aspetto essere singolare e non singolare, determinato e non determinato.
Terza parte. - Tale verit la pi fondamentale di tutte.
Partendo delle caratteristiche delle cose fondamentali. Verit
fondamentale quella che, se viene distrutta, si distrugge con essa ogni altra
certezza. Ora, tale la verit del principio di contraddizione: poich con la sua
applicazione giudichiamo ogni verit, e senza la sua applicazione non possiamo
giudicare nessuna verit. Quindi la verit del principio di contraddizione
fondamentale.
Domanda: Quale la differenza tra la conoscenza naturale e la
conoscenza spontanea?
Risposta: Ogni conoscenza naturale spontanea, ma non ogni
conoscenza spontanea naturale.
Infatti, la conoscenza spontanea, (quella cio che acquista per l'esercizio
ARTICOLO QUARTO
L'attitudine della mente per la verit
Senso dell'articolo. Nell'articolo secondo e terzo abbiamo mostrato
esplicitamente che noi conosciamo di fatto alcune verit. Di qui possiamo
concludere gi legittimamente che siamo capaci di conoscere la verit.
Ma prima di trarre questa conclusione esplicita, utile vedere come gli
scettici tentano di annullare la sua legittimit. Obiettano che non possiamo
essere certi della verit senza esser certi della capacit della nostra mente per la
verit e non possiamo essere certi della capacit della nostra mente senza esser
certi di alcune verit. E cos concludono che ogni tentativo di affermare la
verit e la capacit della mente per essa viziato con una petizione di principio
o con un circolo vizioso.
ovvio che se la verit e la capacit della mente per la verit, in un certo
senso non si affermano simultaneamente, questa difficolt degli scettici non ha
una soluzione diretta. Quindi prima di concludere positivamente il nostro primo
problema critico, bisogna esaminare di proposito: se ed in che maniera pu
l'uomo conoscere simultaneamente la verit e la capacit della sua mente per
essa.
TESI IV. Quando conosce la verit, l'uomo capta simultaneamente
esercitando questo atto ("simul exercite"), la capacit della sua mente per
la verit.
Prenozioni - 1. Questa tesi spiega e si stabilisce mediante un'ulteriore
dichiarazione e riflessione sui dati della coscienza gi considerati:
a) La coscienza ci riferisce che il giudizio latto per il quale la mente
dice di essere quello che o non essere quello che non ; o in altre parole: che
il giudizio una composizione speciale di due termini che esistono come uno, e
nella quale la cosa significata per il soggetto si dice che lo significato per il
predicato. Il giudizio pu essere diretto o riflesso: il giudizio diretto verte sulla
cosa oggettiva, per esempio "Pietro uomo"; il giudizio riflesso verte sull'atto
soggettivo, per esempio "Il giudizio Pietro uomo era vero".
b) Il giudizio l'atto perfetto della mente, cio: formalmente visivo, o
motivato per la stessa evidenza della cosa giudicata; formalmente cosciente, o
autotrasparente, nel quale molte cose si conoscono come se fossero una (in
modo sintetico), tanto da parte dell'oggetto come del soggetto. Quando in un
atto di conoscenza si conoscono le cose che si danno o succedono in quell'atto,
quella conoscenza si chiama conoscenza nell'esercizio dell'atto (in actu
exercito). In questo senso normalmente si dice che: nel giudizio diretto, nel
completa, conosce che appartiene alla natura della sua conoscenza conformarsi
alle cose. Nel secolo scorso KLEUTGEN cit espressamente questo testo di S.
Tommaso per spiegare che noi siamo certi della realt dell'ente sensibile, nella
misura in cui, attraverso la riflessione completa, capiamo che appartiene alla
natura della nostra conoscenza conformarsi alle cose sensibili. MERCIER us
lo stesso testo per risolvere il problema, da lui esplicitamente proposto, sulla
conoscenza certa della capacit della nostra mente per la verit. E nella
soluzione fa attenzione soprattutto alla riflessione completa che il filosofo fa
nei giudizi riflessi conclusivi dell'analisi criteriologica. Gli Scolastici Moderni
esaminarono soprattutto il valore della riflessione completa che noi abbiamo
esercitando l'atto del giudizio vero, pubblicando molti studi sul senso di questo
testo, sulla natura e sulla funzione della riflessione completa, le sue
implicazioni formali e virtuali.
Noi, in questa tesi tentiamo di esplicitare il valore e il ruolo della
riflessione completa nel momento di captare la capacit della nostra mente per
la verit, in quanto gi resa operativa nellatto. Per questo motivo bisogner
considerare come Avversari, gli stessi che abbiamo indicato nella tesi seconda,
cio: direttamente, gli Scettici e i Relativisti universali; almeno indirettamente
gli Idealisti ed Antintellettuali radicali; ed inizialmente i Soggettivisti rispetto
all'esistenza reale del mondo sensibile.
Prova della tesi. - Conoscendo la verit, l'uomo coglie simultaneamente,
esercitando questo atto ("simul exercite"), la capacit della sua mente per la
verit.
Mediante un riconoscimento dichiarativo. Quando conosciamo con
certezza alcuna verit, non conosciamo solo la cosa, n conosciamo solo la
nostra conoscenza, bens conosciamo simultaneamente la nostra conoscenza e
la cosa; perch siamo coscienti della nostra conoscenza come conforme alla
cosa. cos che, nello stesso esecitare latto (exercite) conosciamo, la capacit
della nostra mente per la verit in quanto gi portata a compimento nell'atto.
Quindi quando conosciamo con certezza alcuna verit, nello stesso esecitare
latto (exercite) conosciamo la capacit della nostra mente per la verit, in
quanto gi portata a compimento nell'atto.
La maggiore risulta dal fatto che: a) la verit non solo la cosa, n solo
l'intelletto, bens la conformit o convenienza tra la cosa e l'intelletto. Dunque,
quando conosciamo con certezza la verit, simultaneamente siamo coscienti
della nostra conoscenza e della cosa, o della nostra conoscenza come conforme
alla cosa. Ci viene confermato dal fatto che: b) fino a che non abbiamo la
coscienza di questa conformit, proseguiamo incerti, ed ogni volta che la
nostri sensi, a partire dai quali formiamo i concetti, hanno valore oggettivo sul
mondo sensibile, come dopo vedremo espressamente.
Corollario. - Dunque doppiamente siamo capaci di conoscere l'attitudine della
nostra mente per la verit: in primo luogo, naturalmente, esercitando l'atto di
qualunque giudizio vero; in secondo luogo, artificialmente e scientificamente,
intraprendendo un riconoscimento ordinato.
Ragione del primo asserto: perch ogni uomo conosce la verit, cogliendo
simultaneamente nell'esercizio dell'atto ("exercite"), la capacit della sua mente
esercitata nell'atto.
Ragione del secondo: perch l'uomo che filosofa, dopo un riconoscimento
esplicito della sua conoscenza attuale della verit, pu intraprendere
legittimamente il riconoscimento metodico della sua potenza per conoscere la
verit.
Il riconoscimento metodico, conclusivo del primo problema critico,
potrebbe proporsi in questa forma: dall'essere alla potenza, vale l'illazione.
cos che di fatto noi conosciamo alcune verit, tanto nell'ordine dell'esperienza
come nell'ordine universale. Quindi possiamo anche, (siamo capaci di),
conoscerle.
Questo riconoscimento dichiarativo che ora facciamo sulla capacit della
mente per conoscere alcune verit e per mettere che risolvere alcuni problemi
filosofici, bisogna riproporlo in ogni passo successivo del nostro trattato, fino
alle conclusioni finali sul problema della scienza.
Nota. Relazione tra la critica naturale e la Critica scientifica. Da quanto
detto in precedenza, possiamo concludere gi determinatamente quale relazione
intercorre tra la critica naturale e la Critica scientifica. Entrambe appartengono
alla critica umana e si riferiscono l'una all'altra. Per la critica naturale l'uomo
certo delle verit fondamentali alla cui luce giudica il tutto, e cos
abitualmente certo della capacit della sua mente per la verit. Alla luce
naturale di queste certezze che da sole bastano per eliminare indirettamente le
difficolt, l'uomo filosofo capisce spontaneamente la legittimit dell'esigenza
critica quando questa sorge, e si pone senza paura il problema critico: in primo
luogo, riconoscendo le verit che gi possiede; poi, tentando di acquisire verit
nuove. Cos, con la Critica artificiale acquisisce a poco a poco una dottrina
precisa e sistematica sul valore della sua conoscenza, necessaria per risolvere
direttamente le difficolt. Pertanto: a) la critica naturale fonda e sostiene la
Critica scientifica, b) la Critica scientifica esplicita e completa la critica
naturale.
affermiamo che l'uomo, gi dal suo primo giudizio vero, si mette in un stato di
certezza valida su quelle verit fondamentali che riflessivamente abbiamo
riconosciuto e difeso nella presente questione. Possiamo dire pertanto che dal
suo primo giudizio l'uomo inizia quella critica naturale alla cui luce capir, a
tempo debito, la legittimit dell'esigenza filosofica ed il modo legittimo di
proporre i primi problemi della filosofia.
ARTICOLO QUINTO
Metodo del primo problema critico
Senso dell'articolo. - Tra i filosofi realisti non si d differenza fondamentale
sul metodo di procedere nella soluzione del primo problema critico, perch tutti
cominciano in realt dalla dichiarazione e dalla conferma di alcune esperienze
prescelte. Piuttosto la differenza sta nella spiegazione della natura del
problema. Cos, sar utile esaminare esplicitamente e a modo di sintesi dalla
dottrina precedente, quale sia la natura propria del primo problema critico.
Questa questione normalmente considera due aspetti: la natura dello stato
della mente che si propone il problema, e la natura del metodo che bisogna
seguire per esporlo, svilupparlo e portarlo a conclusione. Nel presente articolo
trattiamo della legittimit del metodo; nel successivo, completando la nostra
sintesi risolutiva, tratteremo dello stato iniziale legittimo della mente.
TESI V. - Il filosofo si porre con ogni liceit il primo problema critico,
come un problema in senso ampio, ed in conseguenza lo risolve
positivamente con un riconoscimento dichiarativo, e difensivamente con
un'argomentazione indiretta.
Prenozioni - 1. Per metodo normalmente si intende lordine che la mente segue
nell'acquisizione della scienza. Possiamo avere due conoscenze sulla rettitudine
del metodo: una, concomitante alla stessa acquisizione della scienza, quando
acquisendo la scienza siamo simultaneamente certi della rettitudine del metodo
con cui procediamo; altra, susseguente alla scienza gi acquisita, quando
riflettiamo sulla scienza gi acquisita, per stabilire una dottrina precisa sul
metodo retto usato e da usare in casi simili. In questa tesi vogliamo stabilire
questa dottrina precisa.
2. Per problema normalmente si intende la domanda con cui ci si
interroga se un predicato convenga o no ad un soggetto. Problema
impropriamente detto, o pseudo-problema, quello che implica una
pensa ogni volta che pretendiamo di iniziare con ordine una qualche dottrina
sistematica sulle cose prime e fondamentali.
Alcuni, non distinguendo tra il problema strettamente detto e
l'ampiamente detto, e dato il fatto che in questo caso il problema strettamente
detto conduce allo Scetticismo, pensano che il problema critico uno
pseudo-problema, originato da una
esigenza critica illegittima, e perci affermano che il filosofo non debba porsi
tale problema. Cos alcuni Scolastici del secolo scorso che dichiaratamente
concepivano solo il problema strettamente detto.
Altri, al contrario, che neanche distinguono tra il problema strettamente
ed ampiamente detto, e pensano che il filosofo debba porsi il problema critico
in modo scrupoloso, l'esposero a modo di problema strettamente detto, cio
usando formulazioni e sviluppi propri del problema strettamente detto. Gli
antichi Scettici adoperarono questo tipo di radicalismo, applicandolo alla
verit, ed in generale gli Idealisti moderni applicandolo all'ente reale, e gli
Antintellettuali all'ente intelligibile.
Gli Scolastici moderni, bench in realt differiscano nella formulazione,
concordano nell'ammettere la legittimit del problema critico, nel proporre la
soluzione per mezzo di una dichiarazione, conferma e difesa, ed nell'escludere
ogni dimostrazione iniziale strettamente detta.
Prova della prima parte della tesi. - legittimo porsi il problema critico:
Questa parte della tesi si gia nota da quanto detto nella prima tesi.
Perch se l'esigenza filosofico-critica legittima, anche legittimo porsi il
problema critico per ottenere una dottrina ordinata e sistematica, primo
sull'esistenza e dopo sulla natura della conoscenza vera, per poter di l
concludere coerentemente sulla possibilit e la natura della scienza umana.
Questa parte della tesi pu essere provata pi in particolare, partendo delle
caratteristiche del problema filosofico:
Il filosofo pu proporsi senza dubbio e legittimamente un problema
sincero che verta sulle cause ultime e non implichi nessuna supposizione falsa.
Ora, tale il primo problema critico. Quindi il filosofo pu porsi
legittimamente il primo problema critico.
La minore. Infatti, il primo problema critico: a) un problema sincero,
perch cerca di acquisire una dottrina distinta e sistematica che ancora si
ignora; b) verte sulle cause ultime, perch tratta della conoscenza fondamentale
dell'attitudine della mente per la verit; c) non implica nessuna supposizione
falsa, perch la pretesa di un esame esplicito non contraddice le cose esercitate
implicitamente, e perci non esige nessuna ritrattazione n sospensione delle
stesse.
ARTICOLO SESTO
Lo stato iniziale della mente
Senso dell'articolo. - 1. La questione sul metodo del primo problema critico,
pu esser trattata prima di avere risolto il problema o dopo averlo risolto:
Quando viene trattata prima, l'investigazione si fonda sulla conoscenza
esercitata ("exercita"), ed abituale della natura della nostra mente, o sulla
conoscenza della natura della nostra mente, antecedente alla riflessione
filosofica che necessariamente possediamo per la critica naturale. In questo
caso il fine tirare fuori le prime idee dirette sul metodo legittimo per preparare
ed ottenere la soluzione iniziale. Quando viene trattata dopo la soluzione,
l'investigazione si fonda sul riconoscimento riflesso ed esplicito della natura
della nostra mente, o sulla conoscenza della natura della nostra mente gi
acquisita per una critica scientifica. In questo caso il fine tirare fuori una
dottrina esplicita e sistematica sul metodo legittimo, gi impiegato per
preparare e risolvere il primo problema, ed utilizzabile in sviluppi futuri
equivalenti dello stesso problema.
2. L'investigazione che si compie antecedentemente alla prima soluzione,
serve per tirare fuori le prime idee direttive, ma per la sua stessa natura iniziale
e provvisoria, non offre una dottrina completa n sistematica sul metodo del
primo problema critico. Invece, l'investigazione che segue alla prima soluzione,
non serve pi per tirare fuori le prime idee direttive, ma s per ottenere una
dottrina completa sul metodo. Per questo motivo noi, nel corollario della prima
tesi, abbiamo dedotto alcune prime idee direttive, e nella tesi precedente,
basandoci sulle anteriori, abbiamo tiramo fuori la dottrina sulla legittimit della
metodologia impiegata e da impiegare nelle successive.
3. La questione su quale sia il metodo legittimo per affrontare il primo
problema, implica anche la questione su quale sia lo stato legittimo della mente
che per la prima volta si pone il problema critico. Questo si conferma
constatando come una concezione diversa sulla natura del metodo, porta ad una
conclusione differente sulla natura dello stato iniziale. Gi nella prima tesi
dicemmo qualcosa sulla natura dello stato iniziale della mente, per legittimare
di passaggio la posizione che prendevamo. Ora vogliamo completare la sintesi
risolutiva di questa nostra prima investigazione, trattando di proposito dello
stato iniziale legittimo.
TESI VI. - Lo stato della mente che si pone per la prima volta il problema
critico, uno stato coscientemente esaminativo ed in senso ampio
inquisitivo, motivato in molte certezze spontanee legittime ed ordinato per
la sua stessa natura ad ottenere una certezza riflessa.
Prenozioni - 1. Per dubbio normalmente si intende lindeterminazione o
fluttuazione della mente tra entrambi le parti della contraddizione.
Normalmente si distingue in: a) reale o fittizio, a seconda che si dia veramente
nella mente o si simuli solo di averlo; b) negativo o positivo, a seconda che si
fondi su un difetto o su un'uguaglianza di motivi su entrambi le parti della
contraddizione; c) particolare o universale, a seconda che si riferisca ad alcune
o tutte le verit; d) metodico o definitivo, a seconda che si assuma all'inizio
della questione con lo scopo di trovare la verit, o si mantenga alla fine della
questione ed in essa si riposi. Il dubbio metodico si distingue in: metodico per
la sola intenzione, ma non per la sua stessa natura, e in metodico per
l'intenzione e per la sua stessa natura. Il primo si ritiene adatto per trovare la
il senso della difficolt (cfr. 975 a 24b 10). Questo metodo aristotelico fu molto
usato tra gli antichi, e dopo l'opera di Abelardo, (De sic et non), divent
comune tra gli Scolastici medievali.
Nei brani inmediatamente sucessivi, Aristotele afferma con frequenza
che la filosofia prima (la Metafisica) deve considerare le difficolt tanto contro
i principi delle cose come contro i principi della conoscenza delle cose. E nel
lib. IV, quando tratta esplicitamente della conoscenza naturale della verit del
principio di contraddizione, mostra molto chiaramente che il filosofo deve
considerare e risolvere i dubbi e le difficolt dei sofisti, ma mai deve farle sue
(c. 6 ss.). Quindi il metodo aporematico di Aristotele pretende anche di
considerare il dubbio universale contro la verit, ma escludendo la
partecipazione soggettiva (adesione psicologica) nel dubbio considerato. Ed in
questo senso l'investigazione filosofica si estende legittimamente a tutte le
cose.
2. All'inizio della filosofia moderna Cartesio, pensando che prima egli
aveva ammesso molte cose false come vere, e che in filosofia non c' niente su
cui non si possa disputare, pens ad un nuovo metodo per fondare la filosofia.
Questo metodo si proponeva di trovare una qualche verit iniziale indubitabile,
da cui partire per sviluppare tutta la filosofia, mediante una deduzione rigorosa.
La caratteristica principale di questo metodo consiste nell' assumere come
universalmente dubbie tutte quelle cose che, in qualche caso particolare
possano accogliere un qualche sospetto di incertezza. "Bisogner ritenere come
false tutte quelle cose delle quali abbiamo dubitato qualche volta, affinch cos
appaia, con tanta maggiore chiarezza, quale cosa sia la pi certa e la pi facile
da conoscere" (Princ. Philos., Adam-Tannery, II p.5).
Seguendo questa concezione metodologica generale, e dopo aversi
stabilito alcune regole diretttive e pratiche, comincia a dubitare intensamente di
ogni attestazione dei sensi, poich per causa loro ci sbagliamo qualche volta; di
ogni stato di veglia, poich qualche volta nel sonno sogniamo stati identici; di
tutte le verit dimostrate, perfino le matematiche, poich anche in queste
qualche volta vi si insinua un errore; e infine arriva a pensare all'ipotesi di un
genio maligno, potentissimo che ci inganna in tutti gli atti. Mi trovo immerso
in cos tanti dubbi che non posso dimenticarmi pi di essi, e non vedo in che
modo li risolver. Sono tanto turbato, come se improvvisamente mi trovassi in
un profondo mulinello che non mi lascia toccare il fondo con il piede n
nuotare verso la superficie (Med. II, inizio). Ma poi repentinamente, questo
dubbio attuale gli fa avvertire la verit dell'esistenza di se stesso pensante,
come evidentemente e necessariamente implicata nello stesso fatto del dubbio:
Ma subito mi accorsi che io, che respingevo le altre cose come false, non
potevo dubitare totalmente senza che io stesso, dubitando, esistessi. E poich
281, 287).
b) Conviene che il filosofo susciti il problema considerando le difficolt
contrarie: "per questa scienza che cerchiamo sui primi principi e sulla verit
universale delle cose, necessario che prima ancora di determinare la verit
affrontiamo le cose su cui bisogna dubitare,... perch l'investigazione posteriore
della verit consiste nella soluzione dei dubbi precedenti". Il filosofo sar
meglio disposto per giudicare "se prima ascolta tutte le ragioni, cose se si
trattase di avversari che dubitano" (In III Metaph, lect. 1 n. 338, 339, 342).
c) Conviene che il filosofo non ritratti o sospenda mai il suo assenso
naturale alla verit del primo principio: perch dal fatto che questo
[principio] necessario per intendere qualunque cosa, si segue che chiunque
conosce altre cose, deve conoscere questo [principio], e quindi noi adesso lo
accogliamo supponendo che tale principio vero, e dalla sua verit
mostriamo che certissimo (In IV Metaph, lect. 6 n. 598, 606).
In questo senso si vede chiaro che secondo S. Tommaso il filosofo deve
intraprendere l'esame critico: a) per raggiungere una dottrina necessaria che
serva per risolvere le difficolt e per determinare sistematicamente la verit del
primo principio; b) considerando le difficolt o i dubbi, ma non partecipando ad
essi.
Il dubbio universale sulla verit di cui parla S. Tommaso seguendo
Aristotele, questo mettere in questione, questa aporia universale, che il
privilegio della Metafisica, questo videtur quod non per il quale comincia ogni
ricerca scientifica e che in questo caso non si ferma davanti a niente, non in
nessun modo un dubbio vissuto o esercitato - come neanche l'epoch
fenomenologica, - , non gi un'epoch vissuta, bens significata come ipotesi
ad esaminare, un dubbio concepito o rappresentato (ed in questo senso molto
pi rigoroso e molto pi sincero del dubbio cartesiano, perch non comporta
nessuna finzione o forzatura arbitraria proveniente della volont, nessun
pseudo-dramma); ed il termine al quale lo spirito arriva seguendo questa
problematizazzione universale, precisamente la coscienza chiara e riflessa
dell'impossibilit assoluta di realizzare un dubbio universale (MARITAIN,
Les degrs du savoir, ch. III, n. 3, 2).
SCOGLIO
L'uso critico delle verit fondamentali
1. Sulla verit della propria esistenza e dei propri atti, si esprime cos
Aristotele: Chi vede, sente che vede; chi cammina, sente che cammina.... Cos
verit prima dalla quale inizia Aristotele (seguito da S. Tommaso e gli altri
Scolastici). La ragione di questa preferenza molteplice: a) perch la nostra
conoscenza, come manifesta la testimonianza stabile della coscienza, tende
principalmente all'oggetto, sorge per primo dalle cose sensibili e si innalza
immediatamente sull'esperienza mediante la nozione di ente e il principio di
contraddizione; b) perch cos come la verit dei principi per se stessi
conosciuti, ha il primato sulla verit dell'esperienza, cos il principio di
contraddizione ha il primato su tutti gli altri principi; c) perch il principio di
contraddizione la prima verit secondo la quale giudichiamo di tutto, in modo
che solo abbiamo certezza nell'applicazione di questo principio.
Frequentemente troviamo in S. Tommaso importanti considerazioni sulla
dottrina della verit dell'ente, sotto la legge del principio di contraddizione,
come dopo vedremo. Basti qui ricordare alcune: "Nelle cose si trova un ordine,
in modo che alcune sono implicitamente comprese in altre; cos tutti i principi
si riconducono a questo come al primo: impossibile simultaneamente
affermare e negare" (II-II q. 1 a.7). "Colui che a causa di qualche dubbio nega
questo principio, dice qualcosa, cio, significa qualcosa per il nome... Ed una
volta che ammetta questo, avremo subito una dimostrazione contro di lui" (In
IV Metaph, lect. 6 n. 608, et lect.7 n.611).
4. Sulla verit dell'esistenza del mondo, Aristotele, nella Fisica II, c.1,
nota di passaggio: "Cercare di provare che la natura esiste, ridicolo; perch
manifesto che tutti questi enti esistono. E dimostrare ci che chiaro per ci
che oscuro, proprio di chi incapace di giudicare tra ci che conosciuto
per se stesso e ci che non lo " (193a 3-6); o, in altre parole, proprio di chi
non sa distinguere lindimostrabile dal dimostrabile, limmediato dal mediato.
Ugualmente S. Tommaso: "Voler dimostrare lo manifesto per locculto,
proprio dell'uomo che non sa giudicare tra ci che noto per se stesso e ci che
non lo ; perch volendo dimostrare ci che conosciuto per se stesso, lo
utilizza come se non fosse conosciuto per se stesso. Ed noto per se stesso che
la natura esiste, perch le cose naturali sono manifeste al senso" (In II Physic.
lect. 1, n. 8).
5. Dopo Balmes, che nella sua Filosofia fondamentale parla
frequentemente delle verit prime e fondamentali, Tongiorgi propone
esplicitamente la dottrina delle tre verit originarie:
a) "Poich ci sono molte cose che non possono n devono essere
dimostrate, le verit primitive, che necessario presupporre come fondamenti,
prima di ogni investigazione filosofica, sono solo tre: 1 Il primo fatto, che
l'esistenza propria. 2 Il primo principio, che il principio di contraddizione: la
stessa cosa non pu simultaneamente essere e non essere. 3 La prima
CAPITOLO SECONDO
LE PRINCIPALI NEGAZIONI DELLA VERIT
Senso e divisione del capitolo. - 1. Il primo problema critico si risolve in due
modi: primo positivamente, riconoscendo ordinatamente la nostra conoscenza
della verit; poi, difensivamente, confermando la verit riconosciuta mediante
una rimozione ordinata delle opinioni opposte o negative. Nel capitolo
precedente abbiamo trattato soprattutto la soluzione positiva, procedendo
mediante un riconoscimento declaratorio. Ora tratteremo lo stesso problema ma
sviluppato sotto l'aspetto difensivo, cercando di completare la dottrina
ARTICOLO PRIMO
LO SCETTICISMO UNIVERSALE
Senso dell'articolo. - Quando sindaga una dottrina opposta alla verit
naturale, si suole anche esaminare se l'uomo che professa tale dottrina pu
anche liberarsi di questa illusione. Quindi ora ci domandiamo: rispetto allo
Scetticismo, se in realt possibile e se come dottrina pu essere coerente con
se stessa; rispetto allo Scettico, come pu essere condotto a riconoscere la
verit che naturalmente possiede.
TESI VII. - Lo Scetticismo universale se si considera come un fatto,
impossibile; se si considera come una dottrina, implica contraddizione. Col
risultato che lo scettico pu, mediante una "confutazione", essere portato a
riconoscere la verit.
Prenozioni - 1. Secondo l'origine del nome, scettico, di "eskptomai", la
stessa cosa che osservatore o investigatore; secondo l'uso del nome, si dicono
Scettici quei "filosofi che professano il dubbio", perch pensano che in realt
cosa di altre, senza paura di illudersi: per esempio l'azione di cercare dell'azione
di evitare, questo che si cerca di quello che si evita, ed in genere quello che
bisogna cercare di quello che bisogna evitare. Quindi si tiene certezza pratica
quando si tiene anche alcuna certezza speculativa. Ed cosicch di nuovo: gli
Scettici concedono che hanno necessariamente alcune certezze pratiche. Quindi
devono concedere anche che essi hanno necessariamente alcune certezze
speculative; e pertanto devono concedere che lo Scetticismo universale in
realt impossibile.
2. Partendo da ci che implicato nella professione speculativa. Gli
Scettici professano che speculativamente dubitano di tutte le cose. cosicch
quelli che professano che speculativamente dubitano hanno alcune certezze
speculative, e capiscono la natura della propria ragione. Quindi gli Scettici
hanno alcune certezze speculative e capiscono la natura della propria ragione, e
lo Scetticismo pertanto in realt impossibile.
La minore: Colui che professa lo Scetticismo, percepisce
coscientemente che dubita e capisce coscientemente i motivi e ragioni per le
quali dubita. cosicch: a) Non pu percepire coscientemente che dubita,
senza distinguere il dubbio della certezza, il pensiero del non pensiero, a s
stesso di ci che non s stesso: e tutto ci avere alcune certezze speculative;
b) Non pu capire coscientemente i motivi e ragioni per le quali dubita, senza
capire che la ragione esige essere determinata ad una cosa (ad unum), per
motivi sicuri e conseguenze logiche: e tutto ci conoscere la natura della
propria ragione. Quindi colui che professa lo Scetticismo ha alcune certezze
speculative, e capisce la natura della propria ragione.
Per difendere la certezza speculativa del principio di contraddizione,
contro coloro che affermavano che tutto si trova in divenire, Aristotele
argomentava cos, partendo dal comportamento vitale: "Perch quando il
medico gli prescrive questo cibo, lo prendono? Se niente differisce mangiare da
non mangiare, che cosa avviene affinch questo sia pane invece di non pane? Il
fatto che questi, come aggrappandosi alla cosa vera, prendono questo"
(Metaph, XI, c. 6 1063 a 28-34). E per mostrare le certezze speculative
implicite nella stessa professione del dubbio universale, SantAgostino
argomentava cos: "Se dubita, vive; se dubita, prende coscienza di ci che
provoca il dubbio; se dubita, capisce che dubita; se dubita, vuole essere certo;
se dubita, pensa; se dubita, sa che non sa; se dubita, giudica che non conviene
acconsentire temerariamente. Quindi chiunque dubita di altre cose, di tutte
queste non deve dubitare; perch se non esistesse, di nessuna cosa potrebbe
dubitare" (De Trinitate, X, c. 10).
diciamo nella tesi che noi, quando entriamo nell'errore, sappiamo virtualmente
che sbagliamo.
Che cosa sia sapere virtualmente che sbagliamo, lo tratteremo
esplicitamente quando parleremo dell'errore. Basti qui notare che nell'atto
dell'errore si d sempre una non evidenzia dell'oggetto e conseguentemente un
assenso debole ed un influsso indebito della volont. In questo senso, nello
stesso esercitare latto, poich avviene senza avere coscienza dell'evidenza
obiettiva e con un assenso debole sotto l'influsso della volont, sappiamo
virtualmente che sbagliamo. Si noti che l'inevidenza dell'oggetto, prima del
giudizio, di per s sufficiente per sospendere l'assenso; e, una volta che si
giudicato erroneamente, l'inevidenza insieme alla debolezza dell'assenso di
per s sufficiente per ritrattare l'assenso erroneo.
4. Si dubita legittimamente quando ci sono ragioni prudenti per
sospendere l'assenso. cosicch ci sono ragioni prudenti per sospendere
l'assenso: per esempio, le fallacie inevitabili dei sensi, l'ipotesi del genio
maligno, e cos via. Quindi si dubita legittimamente.
Risposta. Concedo il maggiore e distinguo la minore: si danno ragioni
prudenti per sospendere l'assenso su alcune cose, concedo; su tutte le cose,
nego; perch la stessa sospensione universale gi un errore. Ugualmente
distinguo il conseguente.
vero che il senso sbaglia nella sua conoscenza, o, pi rettamente, che
d all'intendimento occasione di cadere in errore. Ma alcune verit, come la
propria esistenza ed le altre verit fondamentali necessariamente connesse, si
capiscono facilmente come immuni dal pericolo dell'illusione sensibile:
Possono lanciarsi mille tipi di fallacie visive contro colui che dice: so di
vivere; nessuna di queste temer, se quello che si sbaglia vive" (S. Agostino,
De Trinit, XV c. 12).
La stessa cosa bisogna dire sull'ipotesi del genio maligno: "Ma allora di
certo non c dubbio che io esisto, se egli mi inganna; e mi inganni pure quanto
pu, non riuscir tuttavia mai a far s che io non sia nulla, fintanto che penser
di essere qualcosa", (Cartesio, Medit. II, Adam-Tannery VII, p. 25). Inoltre
notiamo che se vero che pensiamo, vero che siamo, e che se pensiamo,
pensiamo l'ente. Quindi l'ipotesi del genio maligno non pu debilitare la
certezza naturale della realt dell'ente, come gi di modo simile abbiamo visto
nella tesi seconda.
5. Non possiamo fidarci di una facolt il cui valore solo essa testimonia.
cosicch il valore della ragione, solo lo testimonia la stessa ragione. Quindi
non possiamo fidarci della ragione.
ARTICOLO SECONDO
Il Relativismo universale
Senso dell'articolo. - Della rimozione dello Scetticismo universale, possiamo
tutte le cose sono false, dice anche che egli stesso sta dicendo il falso" (In IV
Metaph, lect. 17, n. 742). b) Rispetto ai Relativisti in particolare: Chi giudica
che ogni conoscenza dipende dal tipo intellettuale, dice implicitamente che egli
ha colto questa dipendenza, e quindi che ha conosciuto assolutamente (cio,
non solo dipendentemente del suo tipo di pensare) la dipendenza di ogni
conoscenza dei tipi di pensare... Chi dice che la verit una funzione della
nostra costituzione psichica (psicologismo), dice implicitamente che egli
conosce questa nostra costituzione psichica. E quindi esclude la psicologia dal
relativismo. Ugualmente chi fa dipendere la verit dal fine ad ottenere
(pragmatismo), suppone che conosce un certo fine come buono ed appetibile.
Cio, suppone la dottrina del bene come assolutamente vera" (De Vries,
Critica, n. 119-120).
Obiezioni. - 1. Se l'intelletto si ordinasse alla verit assoluta, non dovrebbero
darsi discrepanze dispute ed errori tra i filosofi. cosicch si danno, secondo
quello di Cicerone: Niente si pu dire tanto assurdo che non l'abbia detto
qualche filosofo (De Divinat., II c. 58). Quindi il nostro intelletto non si ordina
alla verit assoluta.
Risposta. Distinguo il maggiore: Se il nostro intelletto si ordinasse alla
verit indifettibilmente, non si darebbero discrepanze, dispute ed errori tra i
filosofi, concedo; se si ordinasse solo difettibilmente, suddistinguo: non si
darebbero discrepanze, dispute ed errori su tutte le cose, concedo; su alcune,
nego. Ed in questo senso distinguo sia la minore che il conseguente.
Istanza: Non esiste niente che non possa disputarsi per entrambe le parti,
ed anche a noi ci succede che in diverso tempo pensiamo cose contrarie.
Risposta. Distinguo: nelle cose pi difficili, concedo; nelle pi evidenti,
nego, o suddistinguo: con parole o illusoriamente, concedo; realmente, nego.
Questa difficolt molto importante e merita una considerazione pi
attenta:
a) Questa difficolt ha valore nella misura in cui l'hanno i presupposti su
cui poggia. E questi sono: la conoscenza certa del fatto della discrepanza e
dell'errore, delle verit fondamentali senza la cui luce lo stesso fatto non pu
conoscersi, e della capacit della nostra mente di inferire conseguenze logiche.
Quindi l'indole della conclusione illusoria, perch poggia su alcune cose
assolutamente certe.
b) Il fatto della discussione e della ricerca manifesta un'ordinazione
essenziale della mente per la verit assoluta. Perch se il relativismo fosse lo
stato connaturale, ognuno dovrebbe fermarsi nella sua relativit, e non si
darebbe nessuna ragione di disputare in pro o in contro. Ma si disputa nella
maggiore.
Istanza: Non pu darsi la stessa conoscenza in conoscenti
specificamente diversi.
Risposta. Distinguo: non pu darsi la stessa conoscenza soggettivamente
in conoscenti specificamente diversi, concedo; la stessa conoscenza
obiettivamente, nego.
"Cos come ci sono infiniti intelletti possibili, alcuni pi perfetti che altri,
fino al sommo intelletto che Dio, cos sono pure infiniti gradi di perfezione
nella conoscenza della cosa vera. Si pu quindi dire che quella conoscenza
della verit che per lumano perfetta, imperfettissima per gli angeli; cos
come quella scienza che per un bambino si dice grande, farebbe arrossire il
dotto filosofo. Ma da ci non si deve dedurre che ci che di vero raggiunge il
bambino, non sia ugualmente vero per il filosofo, n deve concludersi che la
verit stessa si debba dire relativa ai diversi intendimenti, o alle varie
condizioni degli stessi. Poich l'adeguazione, nella quale consiste la sua
ragione, non ammette gradi, giacch consiste in questo: che la forma espressa
per il predicato conviene veramente al soggetto reale cos come l'afferma
l'intelletto. E questa adeguazione o , o non . Quindi il giudizio o
assolutamente vero, o assolutamente falso" (Billot, De Sacra Traditione,
contro la nuova eresia dell'evoluzionismo) Roma 1922, p. 98).
ARTICOLO TERZO
L'Idealismo in generale
Senso dell'articolo. - Della riduzione del Relativismo allo Scetticismo, si
conclude legittimamente che la nostra verit assoluta, e che la verit assoluta
si misura per lo stesso essere dell'oggetto. Ma molti idealisti, si distinguono dei
relativistici e scettici in quanto che ammettono che la verit assoluta, ma
affermano insieme che la verit assoluta solo pu fondarsi su un oggetto
completamente immanente alla conoscenza. Quindi prima di proseguire,
conviene esaminare, di proposito, se una conoscenza assolutamente vera pu
fondarsi su un oggetto completamente immanente.
TESI IX. - Nel giudizio vero si coglie sempre una certa trascendenza
dell'oggetto conosciuto, di tale modo che non ha bisogno di una
dimostrazione diretta. Indirettamente pu mostrarsi di molte diverse
maniere, partendo delle incoerenze interne della posizione idealista.
ARTICOLO QUARTO
L'Antiintellettualismo in generale
Senso dell'articolo. - Dell'impossibilit dell'Idealismo integrale, si conclude
legittimamente che la verit assoluta si fonda sull'ente reale, o sull'ente che
trascende la conoscenza mediante la quale si giudica in atto. Ora, gli
Antiintellettuali moderni, non negano che possiamo cogliere la realt che ci
offre lesperienza, negano piuttosto che sia l'intendimento chi capti
genuinamente questa realt. Perci, per completare l'investigazione sulla
conoscenza della verit, conviene esaminare di proposito se la nostra verit in
senso proprio di stampo intellettuale.
TESI X. - La natura intellettuale della nostra verit la cogliamo exercite,
in tal modo che non ha bisogno di una dimostrazione diretta. Le filosofie
che seguono tendenze Antiintellettuali evitano il relativismo solo
ammorbidendo il principio che professano.
Prenozioni - 1. Col nome di Antiintellettualismo abbracciamo nella tesi quelle
tendenze filosofiche che: a) pensando che la nostra conoscenza intellettuale,
che procede mediante concetti essenziali e quindi mediante giudizi e raziocini
sistematici, sia insufficiente ed invalida; b) affermano che noi cogliamo la
realt dell'esperienza per un'intuizione originaria di per s non
concettualizabile, o per una intenzionalit volitiva, emotiva o attiva, estranea
all'intelletto e non subordinata ad esso.
L'Antiintellettualismo non una teoria determinata, bens un modo tipico
di filosofare che prende diverse forme nei diversi filosofi, e sorge
frequentemente come una reazione esagerata contro l'eccessivo razionalismo
idealistico, scientista, e cos via.
Condividono questa tendenza Antiintellettuale: a) Il Fideismo e
sono colte mediante una verit individuale incondizionata, non con categorie
essenziali che appartengono al grado inferiore della coscienza in quanto tale,
e hanno un valore fenomenico. Secondo Sartre, n l'ente in s, n l'ente per
s sono determinabili con concetti essenziali; le essenze che attribuiamo agli
enti sono proiezioni dell'esistenza umana, e l'esistenza umana libert
contingente e radicale. Marcel professa apertamente di non negare il valore
dell'ordine essenziale, ma che preferisce sviluppare un'analisi filosofica fondata
sull'ordine esistenziale.
La corrente esistenzialista la seguono oggi molti filosofi, e la sviluppano
diversamente sotto i vari aspetti gnoseologico, psicologico, individuale, umano,
ontologico, trascendentale, etc. Per giudicare le nuove tendenze
Antiintellettuali sar utile anche osservare il modo come considerano la
rivelazione ante-predicativa in relazione all'espressione concettuale e
all'affermazione del giudizio, e il valore che attribuiscono ai concetti e principi
supremi nei quali si fonda la metafisica, alla stima che mostrano per le prove
razionali dell'esistenza di Dio, e cos via.
Prova della prima parte della tesi: La natura intellettuale della nostra verit
non pu essere dimostrata strettamente, perch noi la cogliamo exercite nel
cogliere la stessa coscienza della verit
Per un riconoscimento dichiarativo. Dalla confutazione dell'Idealismo e
Relativismo, si deduce legittimamente che noi abbiamo una coscienza
indubitabile su alcune verit, in senso realistico. Ci si conferma proprio
considerando quelle verit di esperienza, nelle quali coincidiamo coi filosofi
moderni. Per esempio: che io esisto individualmente, che scelgo in situazioni
determinate, che la mia attivit ha come scopo o termine il mondo concreto
degli uomini e delle cose, che cerco una vita autentica, e cos via. Con tali
premesse, arguiamo cos:
Cos come non possiamo dimostrare che conosciamo la verit, neanche
possiamo dimostrare le altre cose che necessariamente cogliamo quando
abbiamo una coscienza certa della verit. cosicch quando abbiamo una
coscienza certa della verit cogliamo necessariamente la natura intellettuale
della nostra verit. Quindi
La minore consta per l'analisi di quella coscienza. Perch consta
mediante unintrospezione interna (che solo si pu negare con parole) che
quando siamo coscientemente certi di alcuna verit: a) siamo coscienti che ci
che cogliamo della cosa empirica, esiste realmente nella stessa cosa empirica;
perch altrimenti seguiremmo incerti. E pertanto, b) Siamo coscienti di
riflettere completamente, cio che della cosa conosciuta noi ritorniamo sul
nostro atto, cogliendolo proprio come conveniente o conforme alla cosa. E
ARTICOLO QUINTO
questo tentativo, distinse gli atti trascendenti, per i quali cogliamo l'ente reale,
in conoscitivi ed emozionali, e afferm che solo per gli atti emozionali
diventiamo definitivamente certi della trascendenza della realt.
In opposizione alle diverse forme del Soggettivismo, oggi si d una
tendenza progressiva verso il Realismo, che si suole fondare su una
considerazione oggettiva dei dati della coscienza. Generalmente gli
Esistenzialisti, riconoscono, come dato originario, la realt del mondo che ha
consistenza propria e ci resiste, con la quale siamo sempre intenzionalmente
uniti, e della quale siamo certi, come siamo certi della nostra coscienza ed
esistenza concreta. Ma rispetto alle altre propriet, che normalmente
attribuiamo spontaneamente al mondo, frequentemente, professano il
relativismo, perch le considerano come sottomesse alla nostra interpretazione
soggettiva. Gli Scolastici convennero sempre nel riconoscere e difendere
l'evidenza dell'esistenza del mondo sensibile. Recentemente si discusso se
questa evidenza si deve dire immediata o mediata, come esplicitamente
vedremo nella tesi seguente.
Considerazioni previe: 1. Per preparare la prova della tesi seconda, abbiamo
accennato per via di constatazione descrittiva che il dato primo e originario per
il quale si danno tutti gli altri dati la nostra stessa coscienza, che coscienza di
un io individuale e personale, che per i suoi atti tende al mondo sensibile
opposto, che si comporta come il suo oggetto diretto.
2. Attendendo pi in concreto a questa nostra intenzionalit diretta al
mondo delle cose sensibili, possiamo facilmente costatare che la nostra attivit
intellettiva dipende in tal modo dalle cose sensibili che solo pu conoscere le
cose insensibile con l'aiuto delle cose sensibili. Infatti, non solo: a) tutti i nostri
concetti riflessi che abbiamo sui nostri atti e sul nostro io, si formano in noi per
una conversione ad un fantasma sensibile; ma anche b) tutti i nostri concetti di
oggetti non sensibili, si formano in noi ricorrendo a qualche fantasma sensibile:
come appare da un analisi del modo come ad esempio concepiamo il niente, lo
spirito, Dio, e cos via.
3. Questa dipendenza del nostro intelletto dai sensi, pu spiegare
ulteriormente notando che abbiamo una chiara coscienza del fatto che la nostra
conoscenza intellettiva si origina dall'esperienza sensibile, in tal modo che,
quando manca in noi ogni conoscenza sensibile, manca anche in noi ogni
conoscenza intellettiva; come appare dal fatto che, sospendendo ogni
sensibilit, si sospende anche ogni esercizio dellintelletto.
4. Da queste constatazioni e deduzioni simili, concluderemo
esplicitamente pi avanti che l'oggetto formale adeguato del nostro intelletto
l'ente in tutta la sua ampiezza, e che l'oggetto formale proprio e diretto del
sbagliasse nell'evidenza stabile per la quale giudica della reale esistenza del
mondo sensibile, l'errore bisognerebbe imputarlo alla stessa natura
dell'intelletto (proprio in quanto stabilmente giudicante sul suo stesso oggetto
proprio e diretto), e quindi l'intelletto dovrebbe dirsi fallibile per la sua stessa
natura, il che impossibile.
Obiezione: Le tendenze spontanee devono essere giudicate e corrette per
una riflessione filosofica.
Risposta. Distinguo: le tendenze spontanee devono essere giudicate per
una riflessione filosofica, concedo; devono essere corrette, suddistinguo: in
quanto che deviano dalla propria tendenza naturale, concedo; in quanto che
seguono la propria tendenza naturale, nego. Perch appartiene alla riflessione
filosofica riconoscere la tendenza naturale delle nostre facolt conoscitive e
correggere le tendenze spontanee riconducendole alla tendenza naturale. Se
l'intelletto dovesse correggere la sua tendenza naturale per una riflessione
filosofica, dovrebbe correggere ci stesso mediate cui corregge, il che
impossibile.
Gli argomenti anteriori possono confermarsi con molte considerazioni,
per esempio, per l'assurdit del Solipsismo: perch tutta la nostra vita umana si
fonda sulla comunicazione con gli altri uomini, in quanto che esercitano la loro
propria conoscenza, volont ed attivit individuali, e cos via. La stessa
comunicazione o dialogo filosofico solo si pu dare, in questa supposizione.
Ora, noi comunichiamo con gli altri uomini solo mediante una esperienza
sensibile. Perci, negata l'oggettivit di ogni esperienza sensibile, bisognerebbe
negare anche ogni certezza speculativa sull'esistenza degli altri uomini; e dato
che noi solo abbiamo coscienza del nostro soggetto individuale, bisognerebbe
professare la Solipsismo radicale. Ma il Solipsista svuota di senso l'esercizio
della sua vita, tutta la comunicazione umana e filosofica, ed in questo senso la
sua stessa comunicazione.
Terza parte. - Le ipotesi contrarie, non diminuiscono la certezza sull'esistenza
del mondo sensibile concreto.
Dopo la presentazione esplicita dell'evidenza naturale per la quale
giudichiamo della reale esistenza del mondo sensibile, possiamo procedere ad
una rimozione sistematica delle ipotesi contrarie pi importanti.
1. L'ipotesi del genio maligno. Abbiamo gia osservato che nella stessa
ipotesi del genio maligno, sempre resta vero che se sbagliamo, pensiamo, e se
pensiamo, siamo, e se pensiamo qualcosa, pensiamo lente; da ci avevamo
concluso che l'ipotesi del genio maligno non serve per debilitare la certezza
naturale sulla realt dell'ente (cf. tesi VII, obiezione 4).
ARTICOLO SESTO
Il Realismo mediato
Senso dell'articolo. - Il Realismo sull'esistenza della realt sensibile, si
distingue in spontaneo o critico, secondo che doni solo una persuasione
naturale sull'esistenza del mondo sensibile (valida per rimuovere indirettamente
le difficolt), o anche riflessa e sistematica (valida anche per rimuovere
direttamente le difficolt). I filosofi Realistici moderni disputano se Il Realismo
Critico afferma l'esistenza dell'ente sensibile mediatamente o immediatamente;
distinguendosi cos, in Realisti Mediati o Immediati.
La questione critica tra i Realisti mediati ed immediati versa
principalmente sulla realt sensibile, che senza dubbio sta allorigine della
nostra conoscenza intellettiva, ed alla quale si orienta direttamente la nostra
intenzionalit. Per completare la dottrina della tesi precedente, conviene trattare
di proposito se l'evidenza genuina che abbiamo dell'esistenza del mondo
sensibile mediata o immediata, e quindi, se il Realismo mediato idoneo per
stabilire criticamente l'esistenza del mondo sensibile.
TESI XII. - Il giudizio costante dell'uomo sull'esistenza della realt
sensibile , nel suo senso fondamentale, immediato. Gli argomenti del
Realismo Mediato possono impiegarsi a modo di preparazione previa o di
conferma susseguente.
Prenozioni. - 1. Il Realismo Mediato la teoria critica della conoscenza che
afferma che noi conosciamo: a) immediatamente, solo l'idea o rappresentazione
interna, b) e mediatamente, cio, per una dimostrazione strettamente detta l'ente
reale sensibile corrispondente all'idea o alla rappresentazione.
Appartiene alla coerenza del Realismo Mediato: a) considerare la specie
come ci che ("id quod) conosciamo; b) suscitare il problema come un
problema strettamente detto; c) offrire la soluzione per mezzo del principio di
causalit a modo di dimostrazione strettamente detta.
Il Realismo Mediato puramente metodico, se nel dare la soluzione usa
un processo mediato, ma ritiene che la conoscenza dell'ente sensibile nella
sua spontaneit immediata; definitivo se usa un processo mediato e ritiene
anche che la conoscenza dell'ente sensibile nella sua spontaneit mediato.
Cartesio, alla fine del suo dubbio metodico, arriv da un Cogito chiuso, poi
suscit la questione del ponte, e si avvi alla soluzione poggiando sul principio
della veracit divina. Spesso, molti Realisti Moderni, aderiscono al Realismo
Mediato, come per esempio Klpe, Orestano.
Mercier propose, nella sua Criteriologia, un Realismo mediato solo
metodico. Infatti, una volta ammesso il dubbio metodico universale negativo,
prima procede a mostrare la certezza immediata di alcune verit ideali; dopo,
adoperando il principio di causalit, legittimato solo nell'ordine ideale,
conclude che i concetti delle cose sensibili sono oggettivi applicati alla cosa in
s, argomentando soprattutto a partire dalla passivit della nostra sensibilit.
Ma Mercier ammette anche esplicitamente l'intuizione sensibile diretta delle
cose, e l'astrazione immediata del concetto universale.
Zamboni, propose un Realismo Mediato definitivo. Nell'esperienza
sensitiva sono immediatamente presenti al soggetto conoscente le qualit
sensibili spaziali, la cui realt si concepisce come a-soggettiva (esserci) ma non
ancora come ontologica (essere). Quindi nessuna conoscenza dell'esistenza dei
corpi esterni immediata. Nell'esperienza intellettuale soggettiva
immediatamente autotraspare la stessa realt una ed ontologica del soggetto
conoscente, agente e cos via. La nostra elaborazione logico verbale procede in
primo luogo alla quiddit e l'esistenza del soggetto che conosce; e dopo, alla
luce del principio di causalit e per analogia con la realt interna, alla quiddit
ed esistenza dei corpi esterni.
Tra gli Scolastici Moderni, De Vries sostiene che l'essere reale degli enti
sensibili non immediatamente evidente, e procede alla loro affermazione
critica con la luce del principio di causalit e di ragione sufficiente; Veuthey,
partendo dell'esperienza della verit assoluta, procede all'esistenza di Dio che,
essendone la fonte di ogni realt e conoscenza, fa intelligibile e legittima la
proporzione del nostro intelletto con la cosa esterna; Ancel, bench escluda il
processo per ragionamento strettamente detto, si inclina alla spiegazione
mediata come la pi probabile.
Oltre agli autori gi citati, aderiscono al Realismo Immediato, nei loro
trattati latini, Geny, Naber, Boyer, D'Avila, Salcedo, Alejandro, Miano, e molti
altri.
Prova della prima parte della tesi. - Noi giudichiamo originariamente e
immediatamente sull'esistenza della realt sensibile.
1. Per un'analisi del giudizio di esperienza. Se sottomettiamo a un analisi
i nostri giudizi di esperienza, coi quali giudichiamo con evidenza sull'esistenza
di alcuna cosa sensibile, necessario riconoscere che: a) abbiamo la coscienza
exercita del fatto che la nostra conoscenza corrisponde alla cosa, ma non
abbiamo nessuna coscienza del fatto che la nostra conoscenza finisca nella
rappresentazione interna, e del fatto che da essa proceda adoperando un
ragionamento fino alla cosa esterna; b) abbiamo, piuttosto, la chiara coscienza
dell'evidenza della cosa esterna come esistente in s e della natura della nostra
conoscenza come proporzionata alla cosa stessa. Orbene, se i nostri giudizi di
esperienza fossero necessariamente motivati da un ragionamento strettamente
detto, come vogliono i Mediatisti, dovremmo avvertire questa mediazione,
almeno quando riflettiamo esplicitamente sul motivo di questi giudizi.
Con queste premesse che servono per fondare gli argomenti successivi,
questa parte si pu provare, partendo tanto dell'immediatezza dell'oggetto
proprio, come dell'impossibilit (ex impossibili).
2. Partendo dell'immediatezza dell'oggetto proprio: Come annotavamo
nella tesi anteriore, e proveremo sistematicamente pi avanti, l'oggetto formale
proprio del nostro intelletto l'ente cos come si trova nelle cose sensibili.
cosicch l'oggetto formale proprio del nostro intelletto nel suo senso
fondamentale, viene da noi concepito immediatamente secondo la sua essenza e
viene da noi giudicato immediatamente secondo il suo essere. Quindi, l'ente
cos come si trova nelle cose sensibili, nel suo senso fondamentale, viene da noi
concepito immediatamente secondo la sua essenza, e viene da noi giudicato
immediatamente secondo il suo essere.
La minore. Infatti, l'oggetto formale proprio quell'oggetto che viene
conosciuto per prima e per s; e, in ragione del quale, si conoscono tutti gli
altri. Quindi necessario: a) che venga concepito immediatamente, sotto quel
senso fondamentale che presupposto per tutte le concezioni ulteriori dello
stesso; e b) che venga giudicato immediatamente, sotto quel senso
fondamentale che presupposto per tutte le ulteriori affermazioni sullo stesso.
3. Partendo dell'impossibilit (ex impossibili): Se l'intelletto non
giudicasse immediatamente che l'ente sensibile esiste da parte della cosa, cos
come i sensi lo testimoniano, questo si dovrebbe provare infallibilmente
mediante il principio di causalit. cosicch non si pu provare infallibilmente
mediante il principio di causalit. Quindi, l'intelletto giudica immediatamente
che l'ente sensibile esiste da parte della cosa, cos come i sensi lo testimoniano.
La maggiore consta per il fatto che, in quanta ipotesi, non abbiamo altri
mezzi per provare la cosa sconosciuta.
La minore. Perch supposta l'ignoranza del fatto che appartiene alla
natura della facolt sensibile testimoniare la cosa esterna, anche se il principio
di causalit si formasse a partire dei concetti ricavati dai dati interni, l'intelletto
potrebbe concludere ad alcuna causa indeterminata, distinta della
ESCOLIO
Il metodo fenomenologico
1. La parola fenomeno dal greco" fano" (mostro, manifesto) significa ci che
appare, o ci che si manifesta; si impieg principalmente per significare il dato
dell'esperienza sensibile, ma pi recentemente s estense anche a significare in
qualche modo ogni dato presente alla coscienza. Nella terminologia realistica,
fenomeno ci che appare alla coscienza com in s, cio, ci che appare alla
coscienza in tal modo che si capisce che in s cos come appare. Secondo
questa accezione, Aristotele usa frequentemente il nome di fainmena (De
Coelo I, c. 3, 270 b 4; De Anima II, cc. 7-12, 417-424), e S. Tommaso usa
l'espressione "le cose che appaiono: ea quae apparent (Comm. in ll. cc.; De
Unit. Intell. c. IV, n. 39).
Nella terminologia relativistica, fenomeno ci che appare alla coscienza
non com in s, cio, ci che appare alla coscienza in tal modo che questa
ignora se loggetto in se stesso cos come appare. Cos nelle antiche
discussioni sofistiche e scettiche, nella concezione fondamentale di Hume,
nella terminologia critica kantiana, e nelle posteriori teorie fenomeniste.
Il nome di fenomenologia cominci ad impiegarsi nella filosofia moderna
nel senso di scienza dei fenomeni sensibili. I. H. Lambert chiam
fenomenologia alla quarta sezione dell'opera Neues Organon (Leipzig) 1764,
nella quale svilupp la dottrina dei fenomeni naturali. Anche E. Kant us il
nome di fenomenologia in un senso simile (I. Kants Werke, IV, p. 466). Hegel,
nella Fenomenologia dello Spirito, deline il processo per il quale lo Spirito da
una coscienza sensibile infima, mediante fasi successive, si alza fino alla piena
coscienza di se stesso. Tra quelli che usarono il nome di fenomenologia
bisogna ricordare a: W. Hamilton, che considera la fenomenologia della mente
come quella parte della filosofia che ha come funzione trattare i fatti mentali
come si danno nell'esperienza interna (Lectures on Metaph. and Logic, Ed.
1877 p. 121); E. von Hartmann, che chiam fenomenologia della coscienza
morale alla descrizione e lo studio dei fatti empirici della coscienza morale
(Phnomenologie des sittlichen Bewusstsein, 1 Aufl. Berlino 1879). S. C.
Pierce propose la fenomenologia come una disciplina descrittiva che
contempla i fenomeni come sono (Collected Papers, V. 37). Normalmente
oggi si impiega il nome di fenomenologia per significare la visione,
descrizione, rivelazione e studio dei dati della coscienza.
Secondo questa recente concezione, col nome di metodo
fenomenologico, si intende normalmente il metodo filosofico che cerca di
procedere mediante un'analisi e descrizione dei dati della coscienza,
considerandoli in quanto manifesti o manifestativi. Il metodo fenomenologico
si distingue in iniziale o esclusivo, secondo che il processo filosofico inizi per
la descrizione senza limitarsi alla descrizione, o cominci dalla descrizione e si
limiti ad essa.
2. La recente fenomenologia fu proposta per E. Husserl, e sotto il suo influsso
diretto o indiretto si svilupp tra molti moderni. Husserl cerc di trovare una
filosofia primordiale nella quale tutti inizialmente coincidessero. Vedendo
che bisogna procedere non dal alto (von oben), ma dal basso (von unten), cio,
che bisogna volgersi alle stesse cose (zu den Sarchen sebst) o ai dati immediati
ed originari della coscienza, stabil il principio che tutto quello che si d
originariamente nell'intuizione, bisogna prenderlo dentro i limiti nei quali si
d. Cos cominci a sviluppare la filosofia come una fenomenologia della
nostra coscienza intenzionale. Ora, per ottenere un'adeguata visione
fenomenologica della nostra intenzionalit, si deve procedere con una sincerit
radicale, purificando la visione da ogni pregiudizio, soprattutto psicologico e
naturalista. In questo senso conviene fare non solo una riduzione eidetica che
prescinde dalla concretezza (hic et nunc) dei dati, ma soprattutto una riduzione
trascendentale che inizia con una sospensione fenomenologica (o con una
epoch fenomenologica) dogni persuasione naturalista sull'essere reale dei
dati della coscienza, tanto oggettivi quanto soggettivi. Cos si ottiene una
visione disinteressata, fondata su un'evidenza apodittica dellintenzionalit
della coscienza trascendentale. Da essa poi, si pu procedere a descrivere la
struttura trascendentale di tutti i significati del mondo concreto comune a tutti
noi, cominciando dai dati primordiali della nostra intuizione mondana
originaria. Bench esplicitamente si escluda che la coscienza husserliana sia
produttiva dell'oggetto nel senso di Berkeley o dell'Idealismo post-kantiano, e
bench il metodo husserliano implichi alcuni tendenze che esigono uno
sviluppo in senso realistico, sembra tuttavia che, anche come conseguenza della
sospensione metodologicamente adottata, si mantengano molti elementi
fondamentali non realisti.
La fenomenologia heideggeriana ha come fine manifestare l'essere per il
quale ogni ente . Heidegger, accetta il principio husserliano che bisogna
andare alle cose. Fenomeno, originariamente, ci che si manifesta, bench in
parte e nel suo fondamento possa rimanere nascosto. Logos, la manifestazione
o rivelazione di ci su cui versa il discorso. Quindi, il termine di
fenomenologia pu in greco illustrarsi cos: lgein t fainmena; ma lgein
indica apofinesthai. Quindi fenomenologia significa apofinesthai t
fainmena: fare che quello che si manifesta, in quanto che si manifesta da se
stesso, si offra da s stesso alla visione (Sein und Zeit, 7, C). Heidegger usa
il metodo fenomenologico per determinare, mediante successive fasi
preparatorie ancora incomplete, il problema ontologico sul senso dello stesso
essere. La fenomenologia heideggeriana in un primo periodo si muove piuttosto
in un piano esistenziale infra-concettuale, e in un secondo periodo procede
piuttosto di un modo supraconcettuale. L'investigazione heideggeriana esclude
la questione critica, si limita all'essere temporale e storico come si manifesta
nella nostra esistenza e, almeno fino ad ora, non sembra risalire fino all'essere
trascendentale ed analogo.
La fenomenologia hartmanniana si ordina a stabilire il Realismo. N.
Francesco Morandini, S. J.
PARTE SECONDA
NATURA DELLA VERIT CONOSCIUTA
Avvertenza. - In queste note diamo una sintesi dei punti fondamentali, per
facilitare la comprensione del testo latino di Critica, come viene spiegato nelle
prelezioni. Gli studenti di lingua inglese possono anche consultare O'Neill R.
F., Theories of Knowledge, chaps. 7-15, 22-24.
Senso e divisione della trattazione. - Svolgendo la trattazione sul fatto della
cognizione vera, si ha gi occasione di fare accenno alla dottrina della verit da
noi conosciuta, perch spesso le difficolt che sorgono contro un fatto si
sciolgono alla luce della dottrina sul fatto stesso. Conviene quindi fare una
trattazione sistematica sulla natura della verit da noi conosciuta, per
completare la teoria della cognizione e per contribuire alla soluzione del
problema della scienza.
Poich la nostra scienza si svolge come ordinato complesso di raziocini,
evidente che dobbiamo specialmente attendere alla natura del nostro raziocinio.
chiaro che non possiamo adeguatamente trattare della natura del raziocinio se
non trattiamo anche della natura del giudizio, perch i raziocini sono composti
di giudizi; e che non possiamo adeguatamente trattare della natura del giudizio
se non trattiamo prima della natura del concetto, perch i giudizi sono composti
da concetti. Dirigeremo quindi la nostra ricerca allo studio della verit dei
concetti, dei giudizi e dei raziocini; e dopo questa triplice ricerca tratteremo
anche alcune questioni concernenti il possesso della verit, nonch la
limitatezza e la deficienza della nostra mente nei riguardi della verit.
Il momento della presente trattazione appare dalla sua propria
sistematicit. La teoria della conoscenza si inizia con un esplicito
riconoscimento e difesa del fatto della conoscenza vera, e prosegue
sviluppando lo studio della distinzione e subordinazione dei nostri atti
conoscitivi in quanto ordinati alla conclusione vera. Divideremo pertanto
questa nostra trattazione in quattro capitoli. Anzitutto, nel capitolo terzo
inizieremo lo studio della esistenza, della oggettivit e della natura degli
elementi semplici del giudizio, ossia della verit dei concetti. Quindi nel
capitolo quarto esamineremo quale sia la natura propria del giudizio, della
verit conosciuta, della falsit in quanto opposta alla verit, e cos avremo
modo di trattare, in ultima analisi, della verit del giudizio in quanto tale.
Ulteriormente nel capitolo quinto procederemo alla considerazione della natura
del raziocinio, dei giudizi universali immediati nei quali si fonda il raziocinio,
dei giudizi mediati nei quali il raziocinio conclude, e quindi della
argomentazione deduttiva e della induzione argomentativa. Infine nel capitolo
sesto completeremo il nostro studio sulla natura della verit conosciuta,
considerando in particolare i diversi stati della nostra mente in ordine alla
verit.
CAPITOLO TERZO
VERIT DEI CONCETTI
Senso e divisione del capitolo. - 1. Da quanto gi stato spiegato, si ricava che
noi abbiamo la capacit di formare giudizi veri, ossia oggettivi delle cose. Da
ci per mezzo di una riflessione analitica possiamo stabilire che:
Noi abbiamo la capacit di formare concetti semplici. Infatti il giudizio una
speciale composizione mentale di predicato e soggetto. Poich ogni
composizione suppone, almeno natura prius, gli ele-menti da cui composta,
possiamo legittimamente concludere che noi formiamo gli elementi semplici di
cui il giudizio si compone, cio i concetti.
Noi abbiamo la capacit di formare concetti oggettivi. Infatti il giudizio vero
una predicazione vera, ossia oggettiva delle cose. Ma la predicazione oggettiva
consta necessariamente di concetti oggettivi. Possiamo quindi legittimamente
concludere che noi formiamo concetti oggettivi, dalla cui composizione risulta
il giudizio vero.
2. Con questa generica osservazione si fonda, ma non si esaurisce, la teoria del
valore e della natura dei nostri concetti. Infatti, se si fa attenzione al modo con
cui la comune scienza umana significata per mezzo della parola e degli scritti,
possiamo facilmente constatare che le affermazioni scientifiche hanno una
significazione universale. Di qui la questione: che cosa corrisponde, nella
nostra mente, ai segni orali? Corrispondono concetti singolari o concetti
universali? E ulteriormente: quale realt corrisponde ai nostri concetti? Una
realt singolare o una realt universale?
3. L'importanza di questa ricerca (che tratta sotto l'aspetto logico e critico la
fondamentale questione filosofica de multiplicitate reducenda ad unitatem)
appare anche dalla differenza delle soluzioni proposte. Le principali, che
diversificano ogni ulteriore teoria della cognizione e della realt, si possono
ridurre a quattro, cio al Nominalismo, al Concettualismo, al Realismo
esagerato, ed al Realismo moderato (pi che ai nomi, utile badare a ci che
con questi nomi intendiamo significare). In linea di principio:
a) Il Nominalismo ammette i nomi universali, ritenendo che tutte le nostre idee
sono singolari e che la realt sensibile debba dirsi omnino singularis; e da ci
conclude che sono universali soltanto i nomi.
b) Il Concettualismo ammette i nomi universali e i concetti mentali universali,
ritenendo per coi Nominalisti che la realt omnino singularis; e da ci
conclude che i nostri concetti universali, anche quoad id quod concipitur, non
sono oggettivi della realt singolare.
c) Il cos detto Realismo esagerato ammette che ai nostri nomi universali
corrispondano nella nostra mente concetti universali, ritenendo che la realt che
corrisponde a questi concetti formaiiter universalis; e da ci conclude che le
nostre idee universali sono oggettive della realt anche quoad modum quo
concipitur.
d) Il Realismo moderato ammette che ai nomi universali corrispondono concetti
universali, ritenendo che la realt che corrisponde a questi concetti similis,
cio formaiiter singularis et fundamentaliter universalis; e da ci conclude che i
nostri concetti universali sono oggettivi della realt quoad id quod concipitur,
non autem quoad modum quo concipitur.
ARTICOLO PRIMO
Nominalismo e Concettualismo
(p. 141-151)
Senso della ricerca. - Abbiamo gi accennato nella Logica (p. 49-52) che cosa
intendiamo per universale e quali siano le sue cinque divisioni. facile
avvertire che in tanto possiamo parlare di universale in significando e e di
universale in praedicando, in quanto gi supponiamo la legittimit
dell'universale in essendo. Quindi la questione critica e logica sugli universali
si riduce ultimamente a ricercare "se e come sia legittimo l'universale in
essendo". Poich la questione parte dal fatto, ammesso da tutti, che esistono
nomi universali, essa si venuta cos determinando: se gli universali sono
soltanto nomi, o anche concetti; e se sono concetti, se sono soltanto nel
concetto o anche nella realt. Questa questione oggi si pone con questa
formulazione: "se esistono concetti universali oggettivi delle cose".
TESI XIII. - L'intelletto umano forma dall'esperienza concetti universali,
che sono oggettivi delle cose secondo ci che si concepisce, non per
secondo il modo con cui si concepisce.
Prenozioni. - 1. Il nome detto universale in due sensi: o solo per quanto
concerne la comprensione, e allora quel termine che significa aliquid unum
senza significare le determinazioni individuali; o anche rispetto all'estensione, e
allora quel termine che significa aliquid unum (senza le determinazioni
individuali) relativamente a pi cose particolari.
2. Il concetto detto similmente universale in due sensi: o solo per quanto
concerne la comprensione, e allora quel concetto che attinge aliquid unum
senza attingere le sue determinazioni individuali; o anche rispetto
ARTICOLO SECONDO
Il Realismo Esagerato
Senso della ricerca. - In opposizione al Nominalismo ed al Concettualismo,
abbiamo mostrato che si devono ammettere concetti universali oggettivi
secondo ci che concepiamo, avvertendo per inizialmente che essi non sono
oggettivi secondo il modo con cui concepiamo. I Realisti Esagerati affermano
che i nostri concetti sono oggettivi anche per quel che concerne il modo con cui
concepiamo, cio che le cose sono formalmente universali. A complemento
quindi della precedente questione, rimane da ricercare se le cose siano
formalmente universali, ossia, in altre parole, se gli universali siano separati dai
singolari o almeno realmente distinti dai principi individuanti.
TESI XIV. - Gli universali non sussistono separati dai singolari, n si
distinguono realmente dai principi individuanti. Tra questi esiste solo una
distinzione di ragione, con fondamento nelle cose stesse.
Prenozioni. - 1. Qui per universale intendiamo natura senza le determinazioni
individuali (che da noi concepita come comune a molti). Singolare qui lo
stesso che ente reale indiviso in s e diviso da ogni altro (ossia la realt che si
delle Idee si costituisce qualsiasi cosa singolare sensibile, come questo uomo,
questo cavallo ecc. Dalla partecipazione logica delle Idee l'anima nostra, prima
di unirsi al corpo, ha gi intuito immediatamente l'Uomo, il Cavallo ecc. Dalla
reminiscenza imperfetta delle Idee, eccitata in noi dalla conoscenza sensibile, si
ha nel presente stato il complesso dei nostri concetti universali con i quali si
forma la nostra scienza. Secondo la concezione platonica, la conoscenza
intellettiva scientifica si converte pertanto alle cose singolari sensibili mediante
l'idea universale distinta e separata dalle cose singolari.
Al realismo esagerato platonico affine la concezione degli Ontologisti, i quali
ritengono che noi immediatamente vediamo le divine idee delle cose, e per
mezzo di esse le creature sensibili; di questo avviso sono, nella filosofia
moderna, Malebranche e Gioberti,
Per ci che riguarda la seconda parte, alcuni Medievali, all'inizio della filosofia
scolastica, asserivano che gli universali esistessero realmente distinti dai
principi individuanti. Riguardo alla terza parte sono contrari gli Scotisti, i quali
ritengono che la natura specifica, antecedentemente alla considerazione della
mente, formaliter ex natura rei si distingua dalla haecceitas.
PRIMA PARTE. - 1. Dal fatto della predicazione vera: Come abbiamo visto
nella tesi precedente, gli universali si predicano con verit dei soggetti
singolari: diciamo infatti che Pietro uomo, animale, vivente ecc. Ma ci che si
predica con verit del soggetto, realmente identificato con lo stesso soggetto.
Dunque gli universali sono realmente identificati coi singolari; quindi non
sussistono separati. Per comprendere il senso di questo argomento, occorre
rilevare che se il predicato non si identificasse realmente col soggetto, la
predicazione sarebbe falsa: perch non possiamo mai dire che una cosa ci
che da essa realmente si distingue.
Per una pi esatta comprensione di questo argomento, e anche dell'argomento
primo della seconda parte, rimandiamo alle citazioni latine di alcuni testi di S.
Tommaso, a p. 155.
2. Sulla dottrina platonica, anche oggi, si suole proporre un argomento
negativo, ex inconvenientibus, che si pu cos accennare: L'idea che si dice
partecipata dai singolari sensibili: o pone in essi una perfezione intellegibile, o
non ne pone alcuna. Se non pone una perfezione intellegibile, i singolari sono
intrinsecamente inintellegibili, e il mondo delle Idee una duplicazione
INANE (ossia non serve a comprendere le cose sensibili). Se pone una
perfezione intellegibile, i singolari sono intrinsecamente intellegibili, e quindi il
mondo delle Idee una duplicazione INUTILE (ossia non necessaria per
comprendere le cose sensibili).
Gli argomenti addotti valgono proporzionalmente anche per gli Ontologisti.
Infatti per il fatto della predicazione vera, si deve escludere che ci che
predichiamo delle creature sia reale distintamente dalle creature. Il ricorso poi
all'idea divina, o priva le creature di intellegibilit intrinseca, o una
duplicazione inutile nel nostro ordine conoscitivo.
SECONDA PARTE. - L'opinione dei medievali realisti esagerati non ha
importanza; ha per importanza l'argomento sistematico con cui si rimuove
questa opinione. Questa parte si prova:
1. Dal fatto della predicazione vera: Abbiamo visto nella parte precedente che
gli universali si predicano per identit reale dei singolari. Perch siano predicati
per identit reale, chiaro che tutto quello che significa il predicato deve
realmente identificarsi con tutto quello che significa il soggetto; ossia, in altre
parole, occorre che il predicato sia detto del soggetto ut totum de toto, perch la
parte non identica al tutto. Possiamo quindi concludere che se gli universali si
predicano con verit dei singolari, essi sono predicati ut totum de toto. Ci
premesso, cos argomentiamo:
Gli universali si predicano con verit dei singolari, ossia si predicano dei
singolari ut totum de toto. Ora, l'universale che si predica del singolare ut totum
de toto, non si pu distinguere realmente dai principi individuanti. Dunque
l'universale non si distingue realmente dai principi individuanti.
Per completare l'argomento occorre chiarificare la minore, osservando che se
nel singolare Pietro, l'universale uomo e i principi individuanti petreit si
distinguessero realmente, uomo sarebbe parte reale di Pietro, e quindi non
potrebbe pi predicarsi ut totum de toto di Pietro.
proprio in questo senso che abbiamo avvertito con S. Tommaso, nei testi
sopra citati, che possiamo dire Petrus est homo, e Petrus est albus, ma non
possiamo dire Petrus est humanitas o Petrus est albedo.
2. L'inconveniente di ogni realismo esagerato, sia platonico che medievale, pu
esser messo in evidenza per la sua intrinseca contraddizione. Infatti, dire che
esiste una natura universale, una contraddizione, perch in quanto una ed
esistente, questa natura ens indivisum in s e divisum a quolibet alio, cio
singolare; e in quanto universale, non singolare.
ARTICOLO TERZO
Il Realismo Modrato
(p.161-173)
Senso della ricerca. - Dalle due tesi precedenti possiamo concludere alla
legittimit dei tre presupposti fondamentali del Realismo moderato, ossia a) che
la realt deve dirsi simile, cio formalmente singolare e fondamentalmente
ARTICOLO QUARTO
Fondamento di entrambi gli universali
(p. 174-180)
Senso della ricerca. Spiegate quelle cose che sono pertinenti alla distinzione
dell'universale diretto e riflesso e al diverso modo col quale da noi sono
acquisiti, per completare la dottrina del Realismo moderato rimane da
esaminare quale sia il loro reale fondamento. Il senso di questa ricerca
completivo, perch tende a sistematicamente determinare le ragioni necessarie e
sufficienti dell'universale diretto e riflesso, sia da parte del soggetto conoscente
sia da parte della realt conosciuta.
TESI XVI. - IL fondamento soggettivo dell'univer-sale diretto la forza
astrattiva, dell'universale riflesso la forza comparativa del nostro intelletto. Il
fondamento oggettivo di ambedue gli universali sono le cose simili, in questo
senso: che il diretto si fonda in esse in modo prossimo, ed il riflesso in modo
remoto.
Prenozioni. - 1. Per fondamento si suole intendere qualsiasi cosa che
prerequisita perch se ne abbia un'altra. Questa parola si applica alle cose
intelligibili per similitudine alle cose sensibili. Questa similitudine pu esse-re
intesa in due modi: rispetto all'ordine, perch il fondamento precede le altre
parti, e rispetto alla virtuosit, perch il fondamento sostiene tutte le altre parti
(p. es. di un edificio).
Il fondamento del concetto ci che prerequisito per avere un concetto vero:
e se questo prerequisito si trova nel soggetto conoscente, si chiama fondamento
soggettivo; se si trova nella realt conosciuta, si chiama fondamento oggettivo.
Il fondamento oggettivo di un concetto ci che nella cosa corrisponde al
concetto; infatti la cosa, misurando il concetto e corrispondendo al concetto, fa
sr che il concetto sia vero. Perch la realt talora immediatamente corrisponde
al concetto, e talora solo mediamente, cio mediante una cosa gi prima
concepita, il fondamento oggettivo ulteriormente si distingue in immediato o
prossimo, e mediato o remoto.
2. Come spiegammo nella tesi precedente, noi con i concetti diretti cogliamo
l'universale diretto, che oggettivo delle cose per quanto concerne ci che si
concepisce, non per per quanto riguarda il modo con cui si concepisce; e con i
concetti riflessi cogliamo l'univer-sale riflesso che l'universale diretto inteso
come relativo agli inferiori dai quali stato ricavato.
Nella tesi asseriamo che: a) il fondamento soggettivo dell'universale diretto la
forza astrattiva del nostro intelletto umano, e il fondamento soggettivo
dell'universa-le riflesso la forza comparativa dello stesso nostro intelletto; b)
il fondamento oggettivo dell'universale diretto sono le cose che sono simili tra
singolare (perch ci che agisce in noi una cosa concreta) che simile ad altre
cose (poich ci comunica quella forma comune, nella quale conviene con altre
cose singolari). In questo senso occorre dire che il fondamento oggettivo
dell'universale diretto la cosa singolare che simile ad altre cose singolari.
2. Il fondamento oggettivo dell'universale riflesso sono le cose comprese come
simili. L'universale riflesso la natura compresa come identica a molti. Una
natura pu essere compresa come identica a molti, in quante le cose singolari
sono comprese come convenienti nella medesima natura, cio come simili.
Dunque ci che da parte della cosa corrisponde all'universale riflesso gi sono
le cose singolari comprese come simili.
TERZA PARTE. - 1. L'universale diretto si fonda in modo prossimo nelle
cose. Infatti si fondano in modo prossimo nelle cose quei concetti che sono
immediatamente veri della stessa cosa. Ma l'universale diretto
immediatamente vero della stessa cosa: perch predicato con verit delle cose
stesse. Dunque l'universale diretto si fonda in modo prossimo nelle cose.
2. L'universale riflesso si fonda in modo remoto nelle cose. Infatti sono fondati
nelle cose in modo remoto quei concetti che sono immediatamente veri rispetto
alla cosa come nella mente, ma mediante la cosa come nella mente sono veri
anche riguardo alle stesse cose. Tale l'universale riflesso, perch: a) riguarda
la natura della cosa come comune, in quanto precisamente mancante di note
individuanti, ossia come concepita nella mente; dunque immediatamente vero
solo della cosa come nella mente; b) riferisce questa natura alle stesse cose
dalle quali ricavata: dunque, mediante la cosa come nella niente, vero
anche delle cose come sono in s.
A complemento della teoria del concetto utile avere presenti anche le
principali difficolt, che nel testo si trovano dopo le singole tesi, sino alla fine
del capitolo.
CAPITOLO QUARTO
VERIT DEL GIUDIZIO
Senso e divisione del capitolo. - Come abbiamo visto nel capitolo precedente,
il nostro intelletto comincia astraendo una quiddit o essenza assoluta (cio
absolute considerata) dai fantasmi (ossia dalle immagini sensibili interne delle
cose esterne), e poi procede, sempre per conversione ai fantasmi sensibili, a
ARTICOLO PRIMO
La Verit Logica
Senso della ricerca. - persuasione spontanea e comune che una cognizione
intellettiva vera quando conveniente o conforme alla realt conosciuta; e
che quindi la verit consiste nella convenienza o conformit tra l'intelletto e la
realt. Questa persuasione, nel suo senso ovvio, viene riflessamente giustificata
sin dall'inizio della Critica; quindi noi ora possiamo legittimamente definire la
verit come convenienza, o conformit, o adeguazione tra l'intelletto e la realt,
cio come adaequatio intellectus et rei.
Questa ultima formula ci sembra da preferirsi alle altre, purch si spieghi bene
che cosa si intende significare con la parola adaequatio, e con l'applicazione
della parola adaequatio ai due termini intellectus e res.
Intendiamo la parola adaequatio come convenientia perfecta duorum in aliquo
uno; avvertendo: a) che non si pu dare adaequatio se non sono dati due termini
tra loro distinti, che convengano in uno stesso, identico aspetto, b) che questa
convenienza non si pu trovare nell'ordine reale materiale, ma soltanto
nell'ordine intenzionale intellettivo e comparativo, perch, solo in una
cognizione intellettiva comparativa, due termini realmente distinti si colgono e
si vivono come convenienti in un unico medesimo aspetto.
Applichiamo la parola adaequatio ai due termini intellectus e res, per
significare che l'intelletto non pu cogliere questa adaequatio se non
comparando il proprio atto con la cosa, cio riflettendo sopra il proprio atto
interno e vedendolo conveniente alla cosa; e b) comparando la cosa col proprio
atto e vedendola conveniente con questo atto. In altre parole con la parola
adaequatio applicata all'intellectus e alla res, intendiamo dire che la conoscenza
della verit non consiste nella sola visione diretta della cosa che si manifesta,
n nella sola visione riflessa dell'atto intellettivo che conosce la cosa, ma nella
cosciente unione simultanea di queste due visioni. Vogliamo cos chiarificare
che la verit umana, di cui noi parliamo, la conscia convenientia intellectus et
rei. Avremo occasione di spiegare un po pi accuratamente questi primi
accenni nello sviluppo della nostra presente ricerca.
Essa si pu formulare in questa maniera: supposta la legittima definizione di
verit, come adaequatio tra l'intelletto e la cosa, che cosa si deve precisamente
intendere per intellectus e per res? chiaro che questa questione destinata a
determinare sempre meglio lessenza della nostra verit intellettiva.
TESI XVII. - La verit logica formalmente conosciuta nell'atto del
giudizio; perci i due termini della adeguazione sono ci che l'intelletto
giudicando dice, e la realt della cosa intesa come avente essere in s. (p.
189 - 197)
Osservazioni preliminari. La presente questione posta cos come si svolta
dai primi rilievi aristotelici ai successivi ripensamenti e ampliamenti
intellectus et rei, come abbiamo gi accennato nel senso della ricerca; cio, in
altre parole, che la verit esiste formalmente soltanto nell'intelletto in quanto
conosciuta. Alla luce di questo principio, procediamo ad esaminare se essa
esiste in quanto conosciuta nel momento dell'apprensione, o solo nel momento
del giudizio. E rispondiamo: a) che non ancora conosciuta nel momento della
apprensione, perch in quel momento formiamo il concetto di una quiddit
senza ancora affermare o negare, cio senza ancora pronunciarci se esiste cos
come noi l'abbiamo conosciuta, ossia senza fare comparazione tra l'atto del
nostro intelletto e la realt come essa in s; b) che indubbiamente conosciuta
all'atto del giudizio, perch in questo atto, che perfecte reflectens,
compariamo simultaneamente la cosa conosciuta con l'atto con cui la
conosciamo, consciamente vedendo la convenienza dell'intelleto e: della cosa, e
precisamente in questo senso affermando o negando. Crediamo quindi di poter
legittimamente concludere che la verit esiste formalmente solo nell'atto del
giudizio. Per un ulteriore complemento di questo argomento, si veda il testo a
p. 192-193.
B. Se la verit non si trova formalmente se non nell'atto del giudizio, chiaro
che la precisazione dei due termini deve esser fatta nel senso in cui sono
conosciuti nel giudizio.
Per illustrare questa precisazione utile premettere due altre chiarificazioni
terminologiche, richiamandoci ad una caratteristica del giudizio a cui abbiamo
accennato fin dall'inizio. L'espressione ci che l'intelletto giudicando dice non
si riferisce al giudizio in quanto operatio, ma all'operatum, cio quel verbo
interno complesso che in Logica (p. es. p. 74) abbiamo chiamato enunciazione
mentale; l'espressione la realt della cosa come essa in s si riferisce
all'oggetto del giudizio in quanto indipendente e misurante il giudizio, cio alla
realt giudicata in quanto esistente in s, o considerata in quanto avente essere
in s. Ricordiamo che caratteristica propria del giudizio quella di essere
interna compositio mentalis subiecti et praedicati tamquam unum et idem in re
existentium. Proprio secondo questa caratte-ristica intendiamo ora provare che
la parola intellectus significa "ci che l'intelletto giudicando dice" e che la
parola res significa "la cosa intesa come avente essere in s".
Svolgeremo la prova cominciando con una osservazione preliminare. chiaro
che per conoscere una adaequatio, il nostro intelletto deve vedere i due termini
della adeguazione come tra loro distinti, perch, solo avendoli presenti come
distinti, pu crederli in un medesimo aspetto convenienti. Quindi perch il
nostro intelletto conosca la sua adeguazione alla cosa, deve comparare
l'intellectus e la res in quanto gli si presentano come distinti. Si presentano
come distinti quando si conosce ci che proprio della cosa e che l'atto
intellettivo non ha, e ci che proprio dell'atto intellettivo e che la cosa non ha.
Ci che proprio della sola cosa, il suo essere indipendente e misurante il
giudizio, perch questo suo essere la cosa non lo riceve dal giudizio. Ci che
proprio del solo suo atto intellettivo la mentale composizione di soggetto e
predicato, perch nella cosa soggetto e predicato non si compongono, ma si
identificano. Dunque nel giudizio i due termini si presentano come distinti in
quanto la cosa intesa come avente essere in s, e l'atto intellettivo inteso
come interna composizione mentale. chiaro che questa composizione mentale
non compresa come adeguata alla cosa secondo che una operazione
soggettiva, perch la operazione soggettiva spirituale mentre la cosa spesso
materiale. Dunque compresa come adeguata alla cosa secondo ci che
giudicando dice, come verbo complesso obbiettivo, cio in quanto affermante
che la cosa come realmente . Possiamo quindi legittimamente concludere che
il termine res la cosa intesa come avente essere in s, e che il termine
intellectus l'atto intellettivo inteso secondo ci che giudicando dice. Per un
ulteriore complemento di questo argomento, rimandiamo al testo, p. 193-194.
Nota. 1. La dottrina che abbiamo svolto accennata in vari testi aristotelici. S.
Tommaso la fa sua non solo nei Commentari ma in tutte le sue principali opere.
Gli argomenti sono vari secondo le questioni toccate, come si pu vedere a p.
191-192; a noi sembra che l'aspetto fondamentale si trovi nei testi della Somma
e De Veritate.
2. In questi appunti abbiamo sviluppato la questione della essenza della verit
secondo una formulazione che ci sembra pi semplice; per una formulazio-ne
pi ampia, si veda a p. 188-189 e 219-222.
ARTICOLO SECONDO
Propriet della Verit
(p. 197-202)
Senso della ricerca. - Impostando la questione del Relativismo universale, si
comincia col distinguere ci che noi conosciamo ed il modo con cui noi
conosciamo, concedendo che la nostra verit relativa secondo il modo con cui
noi conosciamo, e impostando la questione solo riguardo a ci che noi
conosciamo. In questo senso impostata, la questione risolta rilevando che il
Relativismo universale di fatto impossibile e teoreticamente contradditorio, e
verit intesa carne ricevuta nell'intelletto. Essa deve perci dirsi: a) relativa,
perch quidquid recipitur, per modum recipientis recipitur, e perci la verit, in
quanto ricevuta nell'intelletto nostro, ha il modo umano, e quindi le
imperfezioni e limitazioni proprie della nostra umana potenzialit intellettiva
(p. es., di esser ricevuta in un atto componente e dividente, il quale formato
con concetti astratti, che possono essere adeguati alla realt, ma non possono
essere perfetta-mente comprensivi della realt, ecc.); b) mutevole,perch
formae mutantur secundum mutationem subiecti, e perci la verit, in quanto
ricevuta nell'intelletto umano, subisce la mutabilit del nostro intelletto (il
quale, come ci attesta l'esperienza interna, passa dalla verit alla falsit, o da
una verit ad un'altra verit, o da un grado minore di verit ad un grado
maggiore, ecc.).
3. Applicazione alla proposizione vera. - Quando si parla di proposizione
vera, si deve distinguere l'atto interno dei giudizio e ci che con questo atto
interno esprimiamo, che il determinato significato oggettivo della
proposizione stessa. Questo determinato significato oggettivo non altro che
una verit oggettivamente intesa, la quale sempre assoluta ed immutabile,
cio invariabile. In questo senso legittimo concludere che ogni proposizione
vera, nella sua determinata originaria significazione, invariabile.
Sono quindi da dirsi invariabili anzitutto le proposizioni in materia necessaria;
e poi anche le proposizioni in materia contingente, in quanto significanti
l'oggetto esistente nel determinato momento in cui stato affermato.
precisamente in questo senso che la proposizione "Socrate siede" si pu
legittimamente dire invariabile (come brevemente accenniamo nel testo, p.
201-202),
ARTICOLO TERZO
Criterio della Verit
Senso della ricerca. - 1. Il nome di criterio (che dal greco si traduce in latino
iudicatoriun o discretorium) secondo la sua prima denominazione significa
medium per quod vel secundum quod iudex ad sententiam adducitur. Nell'uso
filosofico ci che prerequisito per fare un giudizio certo, e si distingue in
soggettivo, o mezzo del quale si serve il soggetto, ed oggettivo, o norma
secondo la quale il soggetto giudica.
Il criterio oggettivo a) speculativo o pratico, se serve a discernere il vero dal
rimaniamo nel dubbio; quando ci appare potius ita quanti aliter, siamo inclinati
alla opinione; quando lo vediamo ita et non aliter, siamo certi. Ora vedere
l'oggetto ita et non aliter lo stesso che vederlo nella sua necessit oggettiva,
cio nella sua evidenza oggettiva. Possiamo quindi concludere: Quando non
vediamo l'evidenza oggettiva, rimaniamo sempre incerti; quando invece la
vediamo, siamo sempre certi. Dunque l'ultimo e generale criterio di verit
l'evidenza oggettiva.
Il secondo argomento si ricava dalla natura del nostro intelletto umano, e tende
a concludere a quel concetto di evidenza che abbiamo definito nelle prenozioni:
Ci che requiritur et sufficit al nostro intelletto per esser portato a fare un
giudizio certo, deve dirsi l'ultimo e generale criterio della nostra verit. Ora il
nostro intelletto a) una facolt visiva e necessaria, b) che giudica per
composizione di concetti. Perch a) una facolt visiva e necessaria, si richiede
ed sufficiente la manifesta necessit delloggetto; perch b) giudicativo per
composizione di concetti, si richiede ed sufficiente che questa necessit
dell'oggetto si manifesti nella apprensione comparativa di un enunciabile,
Dunque l'ultimo e generale criterio della verit la necessit oggettiva
dell'enunciabile in quanto manifesta alla mente.
Ad ulteriore chiarificazione, utile ricordare che, nell'ordine conoscitivo, il
criterio motivo cio causa, ed il giudizio motivato, cio causato. Ora la
causa deve dirsi, almeno natura prius, precedente il suo effetto. Da ci ne segue
che la necessitas obiectiva enunciabilis deve esser manifesta prius quam
iudicium eliciatur. Dunque deve dirsi manifesta nella semplice apprensione
comparativa che precede l'atto del giudizio (cfr. anche il testo, p. 211, 3).
SECONDA PARTE. - La certezza di conoscere la verit una certezza
naturale. Siccome non si pu conoscere la verit senza un valido criterio, anche
la certezza del criterio deve dirsi certezza naturale. Ora, come il problema della
certezza della verit si risolve esplicitandola e poi difendendola con
argomentazioni indirette, p. es. osservando che chi la nega o nulla dice o si
contraddice: cos proporzionalmente il problema della certezza del criterio si
risolve prima esplicitandola e poi difendendola, p. es. osservando che chi la
nega o propone un criterio inadatto, o si fonda sullo stesso criterio che dice di
non accettare.
Abbiamo gi accennato che le negazioni dell'evidenza intelligibile oggettiva si
possono sintetizzare in tendenze che propendono 1) o a un criterio soggettivo,
cio all'attivit soggettiva produttrice dell'oggetto, 2) o ad un criterio non
produce l'idea. Nel secondo caso si propone un criterio che con buona
terminologia si riduce agevolmente alla evidenza oggettiva.
Per brevit rimandiamo la considerazione delle altre opinioni al testo, p.
209-210.
ARTICOLO QUARTO
La Falsit Logica
Senso della ricerca. - Abbiamo visto che il nostro intelletto vero quando dice
essere ci che , o non essere ci che non ; e che quindi la verit si pu
legittimamente definire come adeguazione o conformit tra l'intelletto e la cosa.
Da ci ne segue che il nostro intelletto falso quando dice essere ci che non ,
o non essere ci che ; e che quindi la falsit si pu legittimamente definire
come inadeguazione o difformit tra l'intelletto e la cosa.
Ci supposto, chiaro che per completare la dottri-na sulla verit occorre anche
trattare del suo opposto, cio della falsit. Come si pu ricavare dagli articoli
precedenti, tre domande si presentano spontaneamente nei riguardi della falsit:
anzitutto quale sia il senso preciso della sua definizione; poi in che modo si
opponga alla verit; ed infine, in quale atto della nostra mente essa si trovi.
TESI XX. - La falsit, che difformit positiva tra l'intelletto e la cosa, si
oppone in modo contrario alla verit ed esiste formalmente nell'atto del
giudizio. (p. 214-219)
Prenozioni. - 1. La difformit tra l'intelletto e la cosa si pu intendere in modo
negativo o in modo positivo. La difformit negativa si ha quando l'intelletto
non dice tutto ci che c' nella cosa, sebbene ci che dice si trovi nella cosa;
cio quando l'intelletto adeguato alla cosa, ma non comprensivamente
adeguato alla cosa. La difformit positiva si ha invece quando ci che
l'intelletto dice della cosa, di fatto nella cosa non c'. Secondo questo senso
intendiamo mostrare nella prima parte che la falsit positiva difformit tra
l'intelletto e la cosa.
Nella Logica (p. 42-43) abbiamo gi accennato che l'opposizione reale
quadruplice, cio contradditoria, privativa, contraria e relativa; ed abbiamo
anche proposto un'accurata definizione di queste quattro opposizioni.
Supponendo che la falsit difformit positiva, nella seconda parte intendiamo
CAPITOLO QUINTO
VERIT DEL RAZIOCINIO
Senso e divisione del capitolo. - 1. Dopo lo studio sulla verit del concetto, e
sulla verit del giudizio in quanto composizione mentale di concetti nella quale
conosciamo formalmente la verit, possediamo esplicitamente tutti gli elementi
necessari per lo studio sistematico del raziocinio.
2. L'esistenza del raziocinio ricavata dalla nostra esperienza interna. Infatti,
constatando che noi facciamo dei rigorosi raziocini e che con alcuni di questi
perveniamo sicuramente a conoscere nuove verit, ci certifichiamo
esplicitamente che noi abbiamo la capacit di fare raziocinii rigorosi e veri. Il
fatto del raziocinio non si pu dimostrare, perch ogni tentativo di dimostrare la
dimostrazione si risolverebbe in una petizione di principio. Si pu per sempre
difendere, ogni volta che, chi nega il raziocinio, d una ragione di questa sua
negazione; perch questa ragione non pu essere altro che un raziocinio.
3. Con queste osservazioni si fonda lo studio del raziocinio, e si preparano le
ulteriori ricerche. Queste ricerche possono riguardare sia la veritas
consequentiae, cio la rigorosit formale della argomentazione, sia la veritas
consequentis, cio la legittima verit delle conclusioni. Le ricerche si
riferiranno principalmente alla argomentazione deduttiva, ma saranno estese
anche a quell'organico complesso di giudizi che chiamiamo induzione
argomentativa. Divideremo quindi il presente capitolo in quattro articoli. Nel
primo considereremo la nostra argomentazione in quanto tale e in quanto
deduttiva, per giustificarla nel suo aspetto formale; nel secondo e nel terzo,
supposta questa giustificazione, riercheremo quali siano le verit che fondano
le nostre conclusioni vere, e cos tratteremo dei primi principi e del loro primo
fondamento, che il principio di non contraddizione. Infine nel quarto articolo
completeremo la teoria del raziocinio svolgendo la teoria dell'induzione, sia per
completare la teoria dei principi, sia per spiegare il valore di quella induzione
argomentativa che ha sempre avuto un ruolo decisivo nel progresso delle
scienze.
Nota introduttoria. La teoria del raziocinio ha per noi speciale importanza, e
quindi crediamo utile accennare qui in anticipo secondo quali considerazioni
essa si svolge, in modo da rendere poi chiare le conclusioni a cui termina.
Abbiamo gi accennato che noi formiamo i concetti universali liberandoli dalle
materiali condizioni individuanti, e che noi formiamo i giudizi nei quali
riflettiamo completamente sopra noi stessi. Da queste ed altre constatazioni, a
suo luogo si prover che l'anime nostra, intellettiva e volitiva, una forma
spirituale attuante una materia corporale. Possiamo quindi anche noi parlare
della spiritualit del nostro intelletto.
ARTICOLO PRRIMO
La Dimostrazione Deduttiva
Senso della ricerca. - La logica aristotelica riguarda principalmente ogni tipo
di deduzione che pu essere compreso sotto la definizione aristotelica di
sillogismo; ma non esclude dalla sua considerazione l'induzione. Volendo
cominciare con la giustificazione della deduzione, necessario prima ricercare
quale sia la natura della dimostrazione in genere, poi quale sia la distinzione tra
la deduzione e l'induzione, ed infine quale sia il senso legittimo della deduzione
sillogistica.
TESI XXI. - La dimostrazione processo secondo causalit logica, per
comparazione con un termine medio. Ogni dimostrazione non induttiva si
riduce al sillogismo, per mezzo del quale si giunge a conoscere in atto ci
che era prima virtualmente conosciuto. (p. 224-234)
Prenozioni. - 1. Per dimostrazione qui intendiamo l'argomentazione orale in
quanto segno esterno della interna argomentazione mentale vera; e la
chiamiamo induttiva secondo che ascende dai singolari all'universale o dai
meno universali al pi universale, e deduttiva secondo che discende dai pi
universali ai meno universali o dagli universali ai particolari. Che questo
processo ascensivo o discensivo sia legittimo, lo si pu inizialmente ricavare da
quanto abbiamo detto sulla legittimit dell'universale diretto e riflesso.
2. La dimostrazione, intesa nella sua generalit, senza dubbio un discorso,
ossia un processo. Nella tesi cominciamo con l'asserire a) che un processo
secondo causalit logica, ossia nell'ordine conoscitivo, in cui cio la mente
necessitata al giudizio ultimo del motivo proposto nei giudizi precedenti; e
aggiungiamo b) che in questo processo la mente necessitata al giudizio ultimo
dalla comparazione di due termini con un termine medio.
Dopo queste chiarificazioni sulla dimostrazione in genere, procediamo
ulteriormente ad esaminare quante siano le specie d dimostrazione, ed
asseriamo che sono due, in questo senso: che ogni argomentazione non
induttiva si riduce sempre a un sillogismo. Per provare questa asserzione
useremo il nome di forma argomentativa. Con questo nome intendiamo un
discorso orale in cui si pone in risalto un qualunque termine medio.
Se la dimostrazione processo secondo causalit logica per comparazione con
un termine medio, e se ogni dimostrazione non induttiva si riduce al sillogismo,
chiaro che nel sillogismo le premesse contengono causalmente, cio
ARTICOLO SECONDO
I Primi Principi
Senso della ricerca. - Dopo aver giustificata e spiegata la veritas
consequentiae, cio la rigorosa struttura del sillogismo, in quanto oggetto
della Logica formale, necessario prendere in esame anche ci che riguarda la
veritas consequentis, ossia ci che prerequisito per avere la conclusione vera,
in quanto oggetto della Logica materiale. chiaro che per avere conclusioni
vere necessario che le minori siano vere; ma soprattutto necessario che le
maggiori siano vere, perch, come abbiamo detto nell'articolo precedente, sono
le maggiori che contengono virtualmente le conclusioni. Ricercheremo quindi
che cosa sia anzitutto prerequisito perch siano vere le nostre maggiori, nella
cui applicazione si sviluppa il processo deduttivo della nostra scienza.
TESI XXII. - Perch la nostra scienza sia possibile, essa deve fondarsi in
alcuni principi immediati e per s noti a tutti gli uomini. (p. 234 - 244)
Prenozioni. - 1. Il nome di scienza talvolta si usa per significare una qualunque
cognizione certa ed evidente, come p. es. quando diciamo che ognuno di noi
della sua capacit al vero ha naturale scienza, o anche quando parliamo di
scienza e veracit del testificante. Talvolta lo si usa per significare la
cognizione delle cose e delle loro cause, p.es. quando dopo aver accertato un
fatto storico, cominciamo a determinare quali di fatto sono state le sue cause. In
senso proprio cognizione certa ed evidente ottenuta per dimostrazione in cui
le cause logiche manifestano le cause reali (cfr. Logica, p. 9 e p. 176); in senso
proprio e completo l'ordinato complesso di queste conclusioni riguardo a un
medesimo oggetto formale (e in questo senso parliamo p. es. di aritmetica come
scienza dei numeri, e di geometria come scienza delle figure).
Qui utile avvertire che oltre alla divisione di oggetto materiale, formale quod
e formale sub quo (cfr. Logica, p. 10), esiste in Aristotele e in molti Autori
aristotelici la distinzione di soggetto materiale e formale, e di oggetto materiale
e formale (di cui facciamo accenno nel testo, a p. 235). Secondo questa
terminologia, la scienza in senso proprio completo l'ordinato complesso di
conclusioni riguardo a un medesimo soggetto formale.
Nella presente tesi parliamo di scienza in senso proprio ed in senso completo; e
asseriamo che questa scienza necessariamente fondata in principi immediati e
per s noti a tutti. Per spiegare il significato di questa nostra asserzione, sono
necessarie alcune ulteriori precisazioni terminologiche.
2. La parola principio, nel suo senso pi generale, significa ci da cui
qualunque cosa prende un qualunque inizio. Il principio reale, principio
nell'ordine reale. Il principio logico principio nell'ordine conoscitivo, e
anzitutto si divide in incomplesso e complesso, secondo che un concetto dal
quale partiamo per formare altri concetti, o un giudizio dal quale partiamo per
formare altri giudizi. I principi complessi si chiamano spesso e senza aggiunte
primi, principi della dimostrazione. Caratteristica di questi principi a) che
siano universali, perch altrimenti non conterrebbero virtualmente le
conclusioni; e b) che siano immediati, perch altrimenti non sarebbero primi.
3. I principi immediati, cio non ottenuti con medio sillogistico, si distinguono:
in principi per s noti (o ex terminis noti), ossia in principi che sono conosciuti
senza nessun medio, cio per semplice originaria comparazione dei loro termini
(p. es. il tutto maggiore di una sua parte); ed in principi noti per esperienza
(ex experientia noti), che sono bens conosciuti senza medio sillogistico, ma
che richiedono un mezzo impropriamente detto, cio il mezzo dellesperienza
(p. es. ogni metallo si dilata al calore).
4. I principi per s noti si devono distinguere, in un senso umanamente vero in
per s noti ai dotti, cio che sono conosciuti solo da coloro che, o per maggior
ingegno, o per proprio studio, o per magistero, riescono spontaneamente a
capirli subito (p. es. Angeli non sunt circumscriptive in loco); e in per s noti a
tutti gli uomini, in quanto i loro termini sono conosciuti da tutti come
evidentemente convenienti o disconvenienti (p. es. il principio di non
contraddizione). Questi principi, in quanto fondanti ogni scienza umana, sono
detti axiomata o dignitates.
Dopo queste prenozioni, chiaro che cosa intendiamo provare nelle tesi.
Anzitutto, nella prima parte, cominceremo rilevando che la scienza umana si
fonda in principi immediati, nella seconda in principi per s noti, nella terza in
per s noti a tutti, proponendo cos una previa soluzione naturale al problema
sulla possibilit della nostra scienza.
ARTICOLO TERZO
Il Principio di non Contraddizione
Senso della ricerca. - Abbiamo gi spiegato che cosa noi intendiamo per
principio incomplesso e complesso. Il primo principio incomplesso
evidentemente la nozione comunissima di ente, perch in questa nozione si
risolvono ultimamente tutte le altre nostre nozioni, le quali non sono altro che
determinati modi dellente stesso. chiaro allora che ci deve essere anche un
primo principio complesso, in cui si risolvono tutte le altre nostre proposizioni,
Non intendiamo per asserire che il principio di non contraddizione sia la prima
premessa da cui logicamente si deducono tutte le conclusioni: perch essendo
comunissimo e fondante ogni altro giudizio, non pu da solo portare la mente
ad una affermazione nuova. Intendiamo semplicemente asserire che con la sua
verit illumina ogni altro nostro giudizio, ossia: tutti gli altri primi principi, che
non si possono negare se non negando il principio di non contraddizione che
implicito in essi; e tutte le nostre proposizioni, sia universali che particolari,
nelle quali sempre proporzionalmente implicito e fondante. Si veda una
ulteriore spiegazione della dottrina aritotelica nel testo, p, 245-246.
Divideremo la prova della tesi in tre parti: nella prima cominciamo con
lavvertire che il principio di non contraddizione deve dirsi legge della mente;
nella seconda che deve dirsi legge della mente perch legge dellente; nella
terza concluderemo che il principio primo.
Opinioni. - Generalmente parlando, si deve dire che il principio di non
contraddizione negato sia dal radicale Scetticismo e Relativismo, sia dal
radicale Nominalismo e Concettualismo. Al di fuori di questa negazione,
crediamo di dover dire che il principio non mai radicalmente rifiutato, ma
solo in qualche sua applicazione e limitazione. Qui faremo un accenno alle due
tendenze pi note ed esplicite.
1. Alcuni Filosofi del divenire. Secondo la concezione aristotelica che
spieghiamo nella tesi, il principio di non contraddizione si applica ad ogni ente,
e quindi anche allente che diviene, il quale non contraddittorio perch e
non sotto diverso rispetto.
Le difficolt cominciano a manifestarsi nelle diverse opinioni che inclinano ad
affermare il puro divenire della realt. Tra i Presocratici, ERACLITO ritenuto
assertore del del puro divenire della realt, come risultante dalla opposizione di
contrari, nel senso che in un medesimo fiume scendiamo e non scendiamo:
siamo e non siamo. Aristotele avverte che alcuni pensarono che Eraclito abbia
detto che una medesima realt e contemporaneamente non , aggiungendo
per che questo lo poteva dire, ma non lo poteva realmente pensare.
Nella filosofia moderna HEGEL disse di voler riprendere e rinnovare la
concezione eraclitea, nel senso che tutto ci che reale razionale, e tutto ci
che razionale reale. La realt non statica ed immobile, cio meramente
identica, ma mobile ed evolutiva, cio dialettica, in quanto la contraddizione
intrinseca alla realt, che si sviluppa superando la contraddizione nella sintesi
degli opposti. Da tempo parecchi studiosi interpretano questa contraddizione
ARTICULO QUARTO
LInduzione del Principi
Senso della ricerca. In questo articolo intendiamo completare la teoria dei
primi principi, inizialmente giustificando e spiegando la logica aristotelica della
induzione. Per poterlo fare adeguatamente, utile premettere alcune
considerazioni sulla legittima divisione dei principi.
1. Il principio legittimo della divisione dei nostri atti e delle nostre facolt
conoscitive, si fonda sulla trascendentale ordinazione delle potenze conoscitive
al proprio atto e dellatto al proprio oggetto formale, e si suole esprimere cos:
potentiae specificantur per actus, et actus per obiecta.
In base a questo principio si procede anzitutto alla affermazione di alcune
differenze specifiche. Avvertendo che a) loggetto ens absolute consideratum
oggetto formale specificamente differente dalloggetto singolare coloratum
sonorum, ecc. si procede ad affermare la distinzione specifica tra gli atti con cui
conosciamo questi diversi oggettti formali, e quindi alla distinzione specifica
tra le facolt elicitive di questi atti, cio alla distinzione tra intelletto e senso; e
avvertendo che b) il colorato differisce specificamente dal sonoro ecc., si
procede ad affermare la distinzione specifica tra latto visivo, auditivo ecc., e
quindi, entro lambito sensibile, alla distinzione specifica tra la facolt visiva,
auditiva, ecc. (e cos di seguito, per tutto ci che riguarda le nostre facolt
sensibili esterne ed interne).
Sempre alla luce del principio anzidetto, si procede anche ad alcune distinzioni
accidentali, nellambito di una medesima facolt. Cos per esempio rilevando
che loggetto formale intelligibile qualche volta una semplice quiddit o
essenza, qualche volta un complesso enunciabile, e qualche volta una
conclusione, ed avvertendo che questi tre oggetti intelligibili convengono
sempre nel comune aspetto intelligibile di ente, concludiamo che una sola la
facolt intellettiva, che si attua progressivamente in modo accidentalmente
differente, cio o concependo, o giudicando, o ragionando.
2. Sempre in base a queste considerazioni, nel testo diciamo che una ulteriore
divisione (accidentale) dei nostri giudizi si pu legittimamente desumere dalla
(accidentale) diversit delloggetto formale del giudizio, e quindi dalla diversit
del motivo per cui noi siamo necessitati al giudizio: perch il motivo appartiene
alloggetto formale del giudizio (ossia, in altre parole, perch loggetto formale
del giudizio vero levidenza con cui loggetto manifesta la sua realt,
necessitando la mente al giudizio certo).
La divisione dei nostri giudizi si pu giustificare come segue. Se si attende al
motivo che ci muove a giudicare, ossia a comporre due termini, chiaro che
esso pu esser duplice: o la convenienza dei termini assolutamente considerati,
o la convenienza dei termini come ci sono dati nellesperienza.
Se la convenienza dei termini ci appare per comparazione con un termine
medio assolutamente considerato, abbiamo un giudizio conclusivo, come gi
stato spiegato nella tesi ventesima prima, parte seconda. Se ci appare
immediatamente, c ancora una sfumatura da distinguere: se la nozione
oggettiva del predicato si vede inclusa nella nozione oggettiva del soggetto,
abbiamo un principio per s noto ex terminis in cui il predicato formalmente
incluso nel soggetto; se si vede necessariamente connessa con la nozione del
soggetto, abbiamo un principio per s noto ex terminis in cui il predicato
appare virtualmente incluso nel soggetto.
Se invece la convenienza dei termini ci appare come ci data di fatto
nellesperienza, i casi sono due: o ci appare come immediatamente fondante un
giudizio di esperienza, ed in questo caso abbiamo giudizi singolari o
particolari; o ci appare come fondante un giudizio universale, per mezzo di un
processo ascensivo, ed in questo caso abbiamo giudizi universali, cio principi
noti per esperienza, come abbiamo cominciato a spiegare nella tesi ventesima
abbiamo accennato dopo il corollario della tesi precedente, da cui si ricava che i
predicati stabili sulle cose sensibili portano logicamente alla affermazione
dellente sostanziale.
QUARTA PARTE. - Dalla differenza del medio, e del procedimento: Le
argomentazioni che differiscono nel medio e nel processo, debbono dirsi
specificamente differenti. Ora manifesto che linduzione e il sillogismo: a)
differiscono nel medio, perch il sillogismo, per un medio propriamente detto,
cio di media estensione, mostra che il termine di maggior estensione conviene
al termine di minore estensione, mentre linduzione, per un medio
impropriamente detto, cio di minore estensione, mostra che il termine di
maggior estensione conviene al termine di media estensione; b) differiscono nel
processo, perch il sillogismo dal precognito pi universale e pi certo
discende al meno universale o al particolare, mentre linduzione dai precogniti
singolari ascende alluniversale, o dai meno universali al, pi universale.
Dunque linduzione ed il sillogismo devono dirsi specificamente differenti. A
chiarimento dellargomento si veda nel testo la Nota a p. 261.
A spiegazione e complemento di quanto abbiamo qui detto sullinduzione
argomentativa, si veda tutto lart. IV del C. III della Logica, p. 160-171.
Nota conclusiva. Al principio di questo capitolo abbiamo premesso una nota
introduttoria per far conoscere quali erano le considerazioni fondamentali
secondo le quali si sarebbe sviluppata la nostra ricerca. Giunti alla fine del
capitolo, utile riprendere il discorso per dare una breve sintesi delle
considerazioni a cui la nostra ricerca pervenuta.
un dato di esperienza interna che noi conosciamo progressivamente,
cominciando col desumere dallesperienza i concetti diretti pi semplici e pi
facili, cio i pi generali, per poi procedere a concetti sempre meno semplici e
pi difficili. Dopo aver formati i concetti pi generali, e quindi pi
fondamentali, il nostro intelletto portato a comporli, in virt del suo habitus
naturalis primorum principiorum, cio a formare per spontanea induzione
astrattiva quei primi principi fondamentali per s noti a tutti, alla luce dei quali
giudichiamo di ogni altra cosa (p. es. il principio di non contraddizione, di
ragione sufficiente, di causalit e finalit, ecc.). Formati questi principi, la
nostra mente in possesso stabile della fundamentalis veritas primorum
principiorum. Questa fondamentale verit dei primi principi ha una duplice
funzione riguardo alla possibilit della nostra scienza.
Essa anzitutto ci rende possibile la formazione di principi per s noti meno
CAPITOLO SESTO
STATI DELLA MENTE
Senso e divisione del capitolo. - 1. Dopo lo studio sulla verit dei nostri
concetti, giudizi e raziocinii, per completare la trattazione sulla verit da noi
conosciuta non resta che esaminare quali siano gli stati della nostra mente in
ordine alla verit. Scopo di questo esame sar lo studio del possesso della verit
e della limitatezza e deficienza del nostro intelletto nei riguardi della verit.
2. Per cominciare ordinatamente questo studio, utile far presente quale sia la
ARTICOLO PRIMO
Certezza in Genere e Certezza Triplice
Senso della ricerca. - Il problema della certezza deve porsi anzitutto riguardo
alla certezza in genere, poi riguardo alla certezza fondata nellevidenza
intrinseca, ed infine riguardo a quella fondata nella evidenza estrinseca.
Nel presente articolo esamineremo quale sia lessenza della certezza in genere;
quindi esamineremo se si devono ammettere diverse certezze fondate
nellevidenza intrinseca, e supposto che si devono ammettere, se si debbano
dire tutte incompossibili col falso.
TESI XXV. - Motivo essenziale della vera certezza non pu essere che una
genuina evidenza; quindi le diverse certezze fondate nellevidenza
intrinseca devono dirsi, ciascuna a suo modo, incompossibili col falso. (p.
268-278)
Osservazioni preliminari. - Nella tesi si studiano due problemi: il primo, pi
importante e fondante ogni ulteriore dottrina sulla certezza; il secondo meno
importante, e non sempre facile a determinarsi. Crediamo quindi conveniente
svolgerli separatamente.
1. Abbiamo gi spiegato che quando facciamo un giudizio certo, ad una realt
significata dal soggetto applichiamo un predicato, contemporaneamente
escludendo il predicato contradditorio, cio affermando che quella realt esiste
cos e non altrimenti (ita et non aliter). Precisamente in questo senso la
certezza, in quanto stato perfetto della nostra mente, si suol definire adesione
della nostra mente ad una parte della contraddizione, senza alcun timore
dellaltra parte.
2. In questa formula la parola timore, che per s si riferisce al sentimento,
applicata per analogia allintelletto, per significare la esclusione della
possibilit, o almeno della compossibilit, dellaltra parte. chiaro che la
certezza, in quanto stato perfetto di una fa-colt visiva e necessaria:
negativamente, implica lesclusione dellaltra parte (exclusio oppositi); e
positivamente implica a) ex parte subiecti, la determinazione della mente ad
una parte (determinatio mentis ad unum), e b) ex parte obiecti una evidenza
essere connesse col falso (per accidens). Altri infine ammettono queste
certezze, spiegandole comeestrinsecamente ipotetiche e formalmente
categoriche, nel senso che lipotesi tacitamente supposta anche se non
formalmente considerata, e che proprio in questo senso, cio nellambito
formale del loro motivo, escludono lopposto, non come impossibile, ma come
incompossibile. Poich non possiamo sottrarci alla questione, noi diciamo che,
omnibus perpensis, incliniamo a questa terza opinione, anche se essa si pone
con una terminologia pi difficile, come accenniamo nel testo a p. 272.
6. Ci premesso, non ci resta che dare le ragioni in favore della terza opinione.
Due cose intendiamo provare: a) che legittimo ammettere una certezza fisica e
morale, e b) che nel senso in cui ammessa si deve dire incompossibile col
falso.
La prima prova si desume dal fatto umano, che nella filosofia non deve esser
negato, ma riconosciuto e spiegato: consta infatti che noi viviamo la nostra vita,
nel suo senso pratico e speculativo, consciamente aderendo a molte
applicazioni delle leggi fisiche e morali perch non vediamo alcun motivo per
ritardare il nostro assenso a queste applicazioni, come p. es. quando diciamo:
questo uomo non mente, questo fenomeno deve esser gi avvenuto, questo
fuoco brucer, ecc. Orbene questa adesione: a) vera certezza, perch la
coscienza ci certifica che in questa nostra adesione ci sono ambedue gli
elementi della certezza, cio la fermezza della mente e la esclusione
dellopposto, b) non certezza reduttivamente metafisica, perch non abbiamo
un motivo positivo per escludere lopposto come impossibile, c) certezza in
senso proprio fisica e morale, perch, oltre alla legge generale che urge la sua
applicazione per assenza di ragioni in contrario, non abbiamo altro motivo. In
questo senso si pu legittimamente dire che esiste una umana certezza fisica e
morale.
La seconda prova si desume dalla generale osservazione che ogni negativo si
fonda in un positivo, e che nel caso della certezza lelemento negativo l
esclusione dellopposto, e lelemento positivo linterna fermezza della mente.
Da ci ne consegue che quando la fermezza della mente differente, anche
differnte la esclusione dellopposto. Ora altra la fermezza della certezza
fondata nella oggettiva necessit assoluta, ed altra la fermezza della certezza
fondata nella necessit ipotetica. Dunque altra lesclusione dellopposto nella
certezza metafisica (in cui lopposto escluso come impossibile) ed altra
lesclusione nella certezza fisica e morale (in cui lopposto semplicemente
escluso come incompossibile). Inoltre: altra la fermezza della certezza fondata
nella determinazione della natura fisica, e altra la certezza fondata nella
ARTICOLO SECONDO
Certezza Fondata nel Testimonio
Senso della ricerca, - Dopo aver considerata la certezza fondata nellevidenza
intrinseca, a complemento occorre fare almeno un breve esame sulla certezza
fondata nella evidenza estrinseca. Prima per di fare questo, necessario
esaminare se il testimonio umano, in determinate circostanze, pu causare in
noi una vera certezza.
TESI XXVI. - Il testimonio umano, non solo storico ma anche dottrinale,
pu causare vera certezza. Las senso di fede un atto dellintelletto, che
posto sotto un qualche influsso diretto della volont. (p. 278-291)
Osservazioni preliminari. - Da questa tesi sino alla fine del capitolo dovremo
considerare anche linflusso della volont sul nostro intelletto. Ci sembra
quindi utile dare in sintesi alcune fondamentali considerazioni su questo
influsso, in modo da poterle poi agevolmente applicare ai problemi che si
presenteranno.
1. Che la volont influisca sul nostro intelletto anzitutto un dato interno di
coscienza: giacch spesso siamo coscienti di pensare quello che scegliamo e
vogliamo pensare. La giustificazione teoretica di questo fatto la possiamo
ricavare dalla natura stessa della volont, che tende al bene in genere, e quindi
pu tendere ad ogni bene (come il nostro intelletto conosce lente in genere, e
quindi pu conoscere ogni ente). Non v dubbio che tra i beni convenienti
alluomo c anche il vero, e quindi gli atti con cui possediamo il vero, e la
facolt elicitiva di questi atti; chiaro perci che la volont pu influire sul
nostro intelletto affinch ponga gli atti con cui possa pervenire a possedere il
vero. Per la stessa ragione si deve dire che la volont pu influire sui nostri
sensi, che sono i mezzi naturali di cui lintelletto si serve per conoscere il suo
oggetto.
Qui ci sembra utile fare subito una chiarificazione. La volont non tende se non
al bene che gli fa conoscere lintelletto (nihil volitum, nisi praecognitum). In
questo senso si deve dire che la causalit tra lintelletto e la volont mutua.
Lintelletto influisce sulla volont presentandole un vero come un bene; dopo,
la volont, appetendo questo bene, influisce sullintelletto perch possa
pervenire a possedere questo vero (come spieghiamo nel testo, a p. 288).
Per sviluppare una teoria esatta dellinflusso della volont sullintelletto,
necessario conoscere alcune determinate terminologie. Qui ne ricordiamo due.
1. La prima distingue linflusso della volont riguardo allesercizio dellatto
intellettivo e riguardo alla specificazione dellatto stesso. Si ha il primo influsso
quando la volont influisce perch latto si ponga (sia di semplice apprensione,
sia di giudizio). Si ha il secondo influsso quando la volont influisce perch
latto sia specificato da un oggetto formale piuttosto che da unaltro oggetto
formale (sia per quanto riguarda loggetto di una semplice apprensione, sia per
quanto riguarda loggetto di un giudizio).
2. La seconda terminologia distingue linflusso della volont in remoto e
prossimo, e suddivide linflusso prossimo in indiretto e diretto. Linflusso
remoto a fare una semplice apprensione assoluta di una cosa; linflusso
prossimo indiretto a fare una semplice apprensione comparativa, per trovare
in essa un motivo necessitante al giudizio; linflusso prossimo diretto a fare
un giudizio, che senza linflusso della volont non si potrebbe fare.
3. Queste terminologie non sono opposte, si possono integrare a vicenda, e
sono utili per proporre una prima teoria fondamentale dellinflusso della
volont sullintelletto.
Da quanto abbiamo detto sullastrazione del concetto universale dalle immagini
sensibili delle cose esterne, chiaro che si deve ammettere linflusso remoto
della volont: per soltanto riguardo allesercizio dellatto, e non riguardo alla
sua specificazione: perch la volont non pu influire sullintelletto perch
astragga dalla immagine sensibile, p.es. di un leone, un concetto che non sia di
leone.
Dalla nostra interna esperienza possiamo ricavare che si deve ammettere anche
un influsso prossimo indiretto, perch spesso, volendo capire una composizione
che ancora non comprendiamo, applichiamo la nostra intelligenza a compararne
attentamente i termini, e a confrontarli con un medio. In questo caso linflusso
della volont legittimo, perch legittimo aspirare a possedere il vero. Questo
influsso della volont di fatto prerequisito per lo studio delle verit difficili, e
specialmente per la comprensione di alcune verit morali e religiose: perch
come la negligente o cattiva volont pu influire a far s che lintelletto si
distragga e non attenda ai motivi, cos la volont diligente e virtuosa pu
influire a far si che lintelletto si concentri e attenda, e dopo lattenzione
finalmente veda, il motivo necessitante e decisivo. Anche in questo caso
linflusso della volont riguarda lesercizio dellatto, e non la sua
specificazione: perch una volta visto il motivo, questo stesso motivo che
necessi ta lintelletto al giudizio; e quindi in questo momento la volont non
pu pi avere un peso decisivo.
Resta ancora unultima domanda: si pu dare linflusso prossimo diretto, che
sempre riguardante la specificazione dellatto? Da quanto abbiamo or ora
accennato, possiamo legittimamente avvertire che davanti allevidenza
oggettiva intrinseca dellenunciabile, sia immediata che mediata, linflusso
della volont non pu avere un peso decisivo: perch il nostro intelletto, che
facolt visiva e necessaria, necessitato da questa evidenza al giudizio certo,
cio specificato dalla stessa evidenza.
Resta ora da esaminare quale peso possa avere la volont riguardo agli assensi
che non sono fondati nella evidenza intrinseca, cominciando con lesame
dellatto di fede fondato nella attendibile autorit dellattestante.
Prenozioni e prove. - Due problemi esaminiamo nella tesi. Anzitutto se il
testimonio umano pu causare vera certezza. Poi, quale sia la natura dellatto di
fede umana fondato nella attendibilit del testificante.
1. Il testificante (o attestante, o testimoniante, o semplicemente teste)
propriamente colui che, dopo aver conosciuto una verit, con segni esterni la
comunica ad altri, senza per procurare ad essi una evidenza intrinseca; ed in
questo il testificante differisce dal maestro, ed il testimonio dal magistero.
Secondo la sua connessione con la cosa conosciuta, il testificante si distingue in
immediato e mediato; secondo il tempo in coevo, quasi coevo, e remoto o
posteriore. (Ad evitare fraintendimenti, utile avvertire che nel linguaggio
causare, anche sotto laspetto autoritativo, una sua propria certezza: in quanto
uno pu capire che tutti, collettivamente presi, giudicano meglio che lui solo.
La prova si desume dal fatto che il consenso moralmente uniforme ed
universale di tutti gli uomini, oltre la autorit che le individuali testimonianze
possono avere, acquista speciale peso di autorit quando considerato come
unione della persuasione di tutti, ed in questo senso come testimonianza di tutti.
Infatti, come dalla convergenza delle probabilit, alla luce del principio di
ragione sufficiente, si pu ricavare un nuovo motivo che non si pu desumere
dai singoli separatamente presi: cos dalla unione della persuasione di tutti gli
uomini, sempre alla luce dello stesso principio, si pu ricavare un nuovo
motivo di autorit, che non si pu desumere dalla sola testimonianza
individuale dei singoli.
ARTICOLO TERZO
LOpinione
Senso della ricerca. - Dopo la considerazione dellassenso certo, necessaria
anche una adeguata considerazione dellassenso non certo, che si risolve
sempre in una opinione, o di fatto vera, o di fatto falsa. Tratteremo quindi prima
della opinione in genere, e poi dellerrore. Riguardo alla opinione, non c
problema per la sua definizione; ma dobbiamo esaminare che cosa sia il timore
dellopposto che sempre implicato in ogni opinione. Poi dovremo esaminare
quali siano le cause dellopinione, cio quale sia il suo motivo, e quale sia
linflusso della volont. Infine faremo anche un breve accenno sulla relazione
tra le opinioni pi o meno probabili. Dellassenso erroneo tratteremo
nellarticolo seguente.
TESI XXVII: - Lopinione un assenso non fermo che implica una qualche
cognizione della possibilit dellopposto; si fonda sulla probabilit
dellenunziabile, e si pone sotto un influsso diretto della volont: perch
pu essere sia del vero che del falso, della pi probabile non si pu
concludere alla falsit della meno probabile. (p.292-298).
Prenozioni. - 1. Comunemente si ammette che lopinione uno stato
intermedio tra la fermezza propria della certezza e la sospensione propria del
dubbio; e che si distingue dal dubbio perch uno stato di assenso, e dalla
certezza perch un assenso non fermo (assensus infirmus), cio con timore
dellopposto. In questo senso la opinione si suol definire adesione della mente
consiste nel vedere lenunciabile come forse, cio probabilmente, vero. Mentre
quindi levidenza motivo oggettivo, assoluto e necessario, la probabilit
motivo contingente, relativo e complessivamente soggettivo: contingente,
perch non necessitante, relativo, perch non assoluto; soggettivo, perch cos
apparente al soggetto conoscente.
La probabilit si suole distinguere: a) in prevalente (detta anche assoluta) e non
prevalente (detta anche relativa), secondo che il motivo dellassenso vale ad
inclinare al giudizio tutti o quasi tutti gli uomini prudenti, o solo qualcuno; b)
in intrinseca o estrinseca, secondo che il motivo dellassenso si fonda sulla
natura verisimile dellenunciabile o soltanto sulla proporzionale, autorit di chi
lo presenta. utile ricordare che Aristotele chiama probabile ci che appare
approvabile a tutti o a molti, specialmente se pi prudenti, o pi dotti, o pi
stimati.
Nella tesi asseriamo che le cause dellassenso opinativo sono, ex parte obiecti,
una probabilit o verosimiglianza dellenunciabile; il quale essendo
contingente, non sufficiente a necessitare il nostro intelletto al giudizio. E
quindi asseriamo che lassenso opinativo, ex parte subiecti, non si pu porre se
non sotto un influsso diretto della volont.
3. Risolte queste questioni, passeremo ad esaminare altri problemi che sono
stati posti circa lopinione. Si suole considerare lopinione come un assenso
orientato verso la verit, anche se ancora non la raggiunge. Il primo problema
se lopinione cada su ci che vero o su ci che falso; il secondo problema,
supponendo concesso come ovvio che ci sono gradi nella probabilit, se dalla
opinione pi probabile, o addirittura probabilissima, si possa concludere alla
falsit della opinione meno probabile.
Rispondiamo che lopinione pu cadere sia sul vero che sul falso: cio che
lopinione o di fatto vera, o di fatto falsa; e da ci concludiamo che, supposto
un giudizio riflesso sulla graduale probabilit di alcune opinioni, non
possibile dalla pi probabile concludere alla falsit della meno probabile.
Divideremo quindi la prova della tesi in cinque parti. Nella prima diremo che
nellatto opinativo diretto vi virtuale cognizione dellopposto; nella seconda
che il motivo che inclina allopinione la probabilit dellenunciabile; e nella
terza che lassenso opinativo posto sotto linflusso diretto della volont.
chiaro che queste tre parti si integrano a vicenda. Quindi nella quarta e quinta
parte, dopo aver mostrato che lopinione pu essere sia di ci che vero, sia di
ci che falso, concluderemo che dalla pi probabile non possibile inferire la
dellopposto.
Questo argomento sar confermato quando concluderemo lanalisi dellassenso
erroneo. Altre chiarificazioni si possono vedere nel testo, a p. 295.
SECONDA PARTE. - Dalla necessit di un motivo: Ogni giudizio intellettivo
deve fondarsi su qualche motivo: perch altrimenti lintelletto giudicherebbe
contro la sua natura. Dunque anche il giudizio opinativo deve fondarsi su
qualche motivo. Ora questo motivo, dato che lopinione intermedia tra la
certezza e il dubbio, deve essere a) qualche cosa di pi che leguaglianza o
quasi eguaglianza del pr e del contro, che il motivo specificante la
sospensione propria del dubbio o della suspicione, b) deve esser qualche cosa
di meno della necessit dellenunciabile, che il motivo specificante la
determinazione propria della certezza; ossia non pu essere altro c) che la
probabilit o verosimiglianza dellenunciabile.
TERZA PARTE. - Dalla mancanza dellevidenza intrinseca: Come abbiamo
gi spiegato, lintelletto determinato allassenso o dalla evidenza oggettiva
dellenunciabile o da un influsso diretto della volont. Nella opinione non c
evidenza oggettiva dellenunciabile. Dunque c sempre un influsso diretto
della volont.
Nota. Il processo con cui noi di fatto perveniamo allopinione si pu cos
spiegare.
a) Prima il nostro intelletto si forma quei concetti che gli sono necessari per
formare lapprensione comparativa di un enunciabile, in ordine al futuro
giudizio.
b) Quando in questa apprensione comparativa vede un enunciabile
oggettivamente necessitante, forma il giudizio certo.
c) Quando invece apprende un enunciabile verisimile, lintelletto, dopo averlo
comparato col suo opposto, pu esser portato ad apprenderlo come conveniente
ad affermarsi.
d) Quindi la volont interviene, influendo sullintelletto perch trasformi la sua
apprensione del verisimile in assenso al verisimile.
e) Cos, sotto linflusso della libera volont, lintelletto forma un qualche
assenso, quasi presumendo che esso sia conforme alla realt.
ARTICOLO QUARTO
LErrore
Senso della ricerca. - La questione dellerrore sotto diversi aspetti interessa il
filosofo. Anzitutto per poter esattamente stabilire in che cosa consista, quali
siano le sue origini, e quale possa essere la sua propria spiegazione; poi per
prendere esplicita coscienza dei modi con cui pu essere evitato; ed infine per
poter ulteriormente concludere quando non sia possibile, e quando e come sia
possibile.
TESI XXVIII. - Lerrore il giudizio falso, che originato dalla
defettibilit del nostro intelletto e della nostra volont; la sua natura
sembra propriamente spiegabile avvertendo che lintelletto erra perch
pronuncia una falsa sentenza su ci che ignora. (p. 289-307)
Prenozioni. - 1. Non difficile stabilire che cosa sia lerrore, perch gi nella
cognizione spontanea abbiamo chiara coscienza della conoscenza vera e della
conoscenza falsa. La difficolt comincia quando si cerca di spiegare come la
conoscenza falsa sia possibile. Nella tesi cominciamo con lasserire che lerrore
ladesioine della mente al falso, ossia il giudizio falso.
2. Conseguentemente a questa prima definizione, facile osservare che lerrore
ha per fondamentali caratteristiche che sia un atto positivo di assenso, mai
connesso col vero. Conseguentemente a quanto abbiamo spiegato nella tesi
precedente, lerrore si deve dire: a) assenso, per quanto riguarda lintelletto,
non fermo (assensus infirmus), perch non necessitato da una evidenza
oggettiva, b) che implica virtuale cognizione dellopposto, perch specificato
da un solo oggetto formale, c) fondato in una apparente verosimiglianza
dellenunciabile, perch, in mancanza di motivo evidente, lintelletto non pu
essere inclinato allassenso se non dallapparente verisimile, d) posto sotto
linflusso diretto della volont, perch lapparente verisimile non da solo
sufficiente a determinare la mente al giudizio. Avremo occasione di confermare
queste osservazioni anche nella conclusione della presente tesi.
3. Stabilita la nozione e le caratteristiche dellassenso erroneo, passiamo ad
esaminare quale sia la sua origine; ed avvertendo che essa affine a quella
della ignoranza, asseriamo nella tesi che lerrore originato dalla difettibilit
del nostro intelletto e della nostra volont. Per quanto riguarda la deficienza
della nostra volont, chiaro anzitutto che essa deve dirsi maggiore o minore
secondo che la volont pi o meno pertinacemente vuole e conserva lassenso
erroneo. Aggiungiamo inoltre che linflusso della volont deve dirsi pi o meno
imputabile secondo che lerrore moralmente vincibile o invincibile; e secondo
che non c o c una causa scusante: sempre per ritenendo che in ogni caso
c di fatto una qualche almeno minima inordinazione (inordinatio) della
volont.
4. Dopo aver spiegato le origini dellerrore, resta aperta la possibilit di iniziare
una qualche propria spiegazione dellerrore. Si sono proposte due formule, che
ci sembrano fondamentalmente convenienti. La prima che lintelletto,
errando, estende il suo assenso oltre ci che ha appreso, nel senso che a ci che
ha appreso della cosa quasi sovrappone qualche altra apprensione che di fatto
non ha appreso. La seconda che lintelletto, errando, proferisce una sentenza
falsa su ci che ignora, presuntuosamente dicendo essere ci che non , o non
essere ci che . Noi preferiamo usare questa seconda formula.
Prima diremo che lerrore si pu legittimamente definire giudizio falso (prima
parte); poi, che originato dalla difettibilit della volont e dello stesso
intelletto (seconda parte); infine, che si pu propriamente spiegare come falsa
sentenza su ci che si ignora (terza parte).
A ultima conferma di quanto abbiamo detto per spiegare come sia possibile che
il nostro intelletto, naturalmente ordinato alla verit evidente, cada nellerrore,
si possono leggere le risposte che diamo alle difficolt proposte nel testo a p.
305-307.
Osservazioni conclusive. - Esiste in ogni uomo la certezza spontanea che si
conosce la verit quando si giudica essere ci che o non essere ci che non .
Questa certezza spontanea si giustifica sin dallinizio della riflessione filosofica
come autentica certezza naturale. Su questa certezza naturale del fatto del
giudizio vero (o assenso vero, o composizione vera o predicazione vera)
abbiamo fondato le nostre ricerche sulla natura della verit da noi conosciuta.
1. Sul fatto della predicazione vera abbiamo anzi-tutto fondato la nostra ricerca
sulla verit del concetto, cominciando col riconoscere che formiamo concetti
oggettivi. Poi dal fatto della predicazione orale e mentale vera abbiamo
mostrato che abbiamo concetti universali irriducibili ai singolari e collettivi:,
che sono oggettivi della realt. Quindi rilevando che la predicazione vera
predicazione per identit reale del predicato e del soggetto, in cui il predicato
detto del soggetto come tutto di un tutto, abbiamo escluso la esistenza di una
realt universale separata dai singolari o realmente distinta dai principi
individuanti. Infine, sempre sistematicamente fondandoci sulla verit della
predicazione, abbiamo mostrato che astraiamo luniversale diretto, il quale
oggettivo delle cose simili secondo ci che si concepisce, e che formiamo
luniversale riflesso, il quale fondato remotamente nelle stesse cose in quanto
simili.
2. Considerando il giudizio vero come composizione vera, cio come
composizione di due concetti oggettivi affermati come identici nella realt,
abbiamo sviluppato la ricerca sulla natura, le caratteristiche e le cause della
verit da noi conosciuta, mostrando che la sua essenza consiste nellessere
conscia adeguazione dellintelletto e della cosa; che la sua caratteristica
generale di essere oggettivamente assoluta ed immutabile e soggettivamente
relativa e mutevole; e che la sua causa o motivo la chiara intelligibilit
dellenunciabile, cio la necessit oggettiva dellenunciabile in quanto
manifesta alla mente. Quindi abbiamo completato lo studio della verit del
giudizio considerando la falsit secondo la sua definizio-ne e la sua
opposizione contraria alla verit.
3. Se la verit a cui tende lintelletto come a sua perfezione pienamente
posseduta nellatto del giudizio, si deve conchiudere che latto terminale della