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Francesco Morandini, S. J.

CRITICA
Pug, Romae 1963
(Ad usum privatum)

INTRODUZIONE
1. Il problema della scienza. L'esperienza insegna che l'uomo in primo
luogo dirige la sua attenzione esplicita verso le cose e dopo ritorna verso se
stesso, a considerare esplicitamente le sue proprie conoscenze. Ugualmente la
storia della filosofia mostra che i filosofi investigarono in primo luogo le realt
oggettive, e pi tardi rifletterono sulla propria scienza soggettiva di quella
realt. Bench questa investigazione sorgesse tardiva, prevalse dopo l'abitudine
di esporre il problema della scienza, nel suo senso radicale, con una certa
precedenza sugli altri, al fine di ottenere una dottrina sistematica generale
sulla possibilit e la natura della scienza umana, per dopo applicarla con
destrezza nello sviluppo di ogni scienza. Questo problema, articolato in modo
complesso ed orientato ad una dottrina generale, fu detto il problema della
scienza umana considerata in genrale, e pi brevemente: il problema della
scienza.
2. Origine umana del problema. L'uomo non attende la soluzione di
questo problema per incominciare a pensare e a dare valore ai propri pensieri.
Ma lo stesso uso spontaneo della sua conoscenza lo rende gi tenacemente
certo di molte verit. Per esempio: di vivere nel mondo concreto delle cose
sensibili; di avere una relazione speciale con gli altri uomini; di avere molti
obblighi, eccetera.... Ma questo esercizio spontaneo della sua vita, lo rende
anche cosciente della fallibilit e della limitazione della sua capacit di
conoscere: sperimenta in s o negli altri il fatto dell'errore, la diversit di
opinioni sullo stesso punto, la difficolt di determinare la verit in casi di
confusione. Questa constatazione lo porta a riflettere spontaneamente sulle cose
che conosce ed sui suoi pensieri, per sapere perch sbaglia, e per vedere come
pu, entro certi limiti, evitare gli errori e stabilire la verit. Questa riflessione
spontanea fa s che ogni uomo si formi queste persuasioni abituali: a) che il
nostro intelletto, senza alcun dubbio, pu raggiungere alcune verit oggettive

ed evidenti, ma che in caso di confusione e di avventatezza, facile cadere in


errore e difficile conseguire certezze; b) che la nostra ragione, senza dubbio,
pu ragionare rettamente sulle cose conosciute, ma che deve distinguere tra
ragionamenti ovvi e pi difficili.
3. Origine filosofica del problema. Tali convinzioni pre-filosofiche
sono sufficienti per orientarsi nella vita, ma non costituiscono una scienza
sistematica e, pertanto, non possono essere utili per risolvere le difficolt che
sorgono. Per questo motivo il filosofo, spinto dal suo desiderio naturale di
trovare la causa adeguata di tutto, pensa di porsi direttamente e radicalmente il
problema della scienza. I motivi che lo incoraggiano sono simili a quelli della
vita spontanea. Da un lato il motivo costante delle certezze naturali che
resistono ad ogni tentativo di dubbio; d'altra parte, i molti tentativi di alcuni
filosofi per debilitare quelle certezze, basati sulla constatazione metodica dei
nostri errori e dei nostri limiti, e sulla discrepanza tra dottrine, non solo in
merito alla natura della scienza, ma anche alla sua possibilit. La stessa natura
di questi motivi dimostra che il problema della scienza, non solamente si deve
dire: a) un problema umano, perch in realt ogni uomo se lo pone e se lo
risolve con una constatazione ed una riflessione spontanee, ma anche b) un
problema filosofico, perch i filosofi lo suscitano, ne disputano, lo sviluppano e
risolvono nei modi pi diversi.
4. Senso filosofico del problema. La scienza umana pu dirsi una nel
suo insieme, dal punto di vista dell'individuo che conosce, perch uno l'uomo
che l'investiga; ma parlando con rigore si deve dire molteplice, dal punto di
vista dell'oggetto conosciuto, che ci che la specifica. Dunque non si occupa
solo delle cose mondane, sotto i suoi diversi aspetti intelligibili, bens anche
degli stessi uomini, in quanto esistono nel mondo con un modo di essere
proprio pi perfetto. Nella ricerca delle sue cause prossime, si declina in molti
nomi di scienze particolari; e nella ricerca delle sue cause ultime, prende il
nome di filosofia. Ma anche la filosofia, come vedremo, non una scienza
"una", bens "molteplice" cos che le scienze filosofiche che trattano del mondo
e dell'uomo si sottomettono ad una filosofia prima o metafisica che verte
sull'ente in quanto ente e si estende fino alla prima causa e al fine ultimo di tutti
gli enti. Cos, il problema filosofico della scienza a) ordinato ad esaminare
non solo il valore e la natura della nostra conoscenza in riferimento al mondo e
all'uomo, ma anche all'ente in quanto ente, b) occupandosi specialmente del
significato proprio delle certezze naturali e dei molti e complessi tentativi
filosofici di indebolire queste certezze.
5. Natura del problema. Il problema filosofico della scienza

specificamente un problema riflesso. Non solo perch sorge in un momento di


maturit riflessiva, ma anche perch per la sua stessa natura si orienta ad una
riflessione sulle conoscenze umane, fin dall'inizio e costantemente manifestate
alla coscienza. Di qui si deducono chiaramente le sue caratteristiche proprie. La
prima caratteristica, che nasce dalla sua stessa natura riflessa, che fin dall'
inizio si sviluppa "nell'ambito da una coscienza certa". Perch come non pu
partire da una carenza totale di conoscenza cosciente, poich in questa ipotesi
non ci sarebbe nessuna possibilit di riflessione, neanche pu partire da una
carenza totale di conoscenza certa, poich in questa ipotesi non ci sarebbe
possibilit di esserne certi di riflettere. La seconda caratteristica, che scaturisce
della sua origine umana e filosofica, quella di arrivar a evidenziare tanto il
senso naturale ed umano, quanto il senso necessario e filosofico delle nostre
certezze. La terza caratteristica, sorge dalla sua finalit, ovvero che il suo
metodo progressivo prima di tutto "dichiarativo", in modo che descriva e
giudichi i dati certi della coscienza; poi "difensivo", in modo che confermi e
stabilisca, mediante un confronto con le opinioni opposte, i dati previamente
giudicati; ed infine "risolutivo", in modo da comporre ordinatamente ed
spiegare sistematicamente i dati cos stabiliti.
6. Parti del problema. Il problema della scienza bisogna affrontarlo
sotto questi due aspetti principali. In primo luogo, "se la scienza a noi
possibile", ed a questo problema risponde prevalentemente la Critica. In
secondo luogo, "che cosa scienza, a noi possibile", ed a questo problema
risponde prevalentemente la Logica. Il problema logico si suddivide a sua volta
secondo che tratti la verit della conseguenza scientifica, ed a questa
investigazione risponde la parte della Logica chiamata formale; o secondo che
tratti i requisiti della verit del conseguente scientifico, ed a questa
investigazione risponde la parte della Logica chiamata applicata o materiale.
La scienza infatti ordinata a concludere la verit, per questo motivo il logico
deve considerare entrambe le verit, come lo conferma la stessa divisione
aristotelica in Analitici Primi e Secondi.
Nella pratica prevalse l'abitudine di insegnare ai principianti, a modo di
introduzione, ci che riguardava la verit della conseguenza (Summulae, o
Logica Dialectica, o Logica Minor), e dopo, di modo pi scientifico, ci che
riguardava la verit del conseguente (Quaestiones, o Logica Critica, o Logica
Magior); perch cos come non conviene cominciare i trattati filosofici senza
un'introduzione, neanche conviene trattare le questioni logiche pi importanti
in una forma solo introduttoria. In base a questa divisione, la Logica Magiore
cominci a trattare i nuovi problemi critici, giacch la dottrina sulla possibilit
e sulla natura della scienza vera sono strettamente colleti e si completano a

vicenda. Per queste ragioni noi, per evitare omissioni e ripetizioni, tratteremo
anche le principali questioni critiche insieme alle corrispondenti questioni
logiche, sotto lunica denominazione oggi pi diffusa di Critica.
Siccome gi abbiamo studiato (nel libro intitolato Logica Maior) che
cosa la Logica come scienza e che cosa la Logica formale, solo rimane ora
dire una parola sulla Critica e la Logica materiale, per portare a conclusione
l'unit e divisione del nostro trattato.
7. Che cosa la Critica? Critica, etimologicamente viene da "krnein",
giudicare, e suona come scienza giudicativa. Nell'uso filosofico, la dottrina
sul valore della conoscenza umana per raggiungere la scienza; o, pi
brevemente, la parte della filosofia che giudica sulla possibilit di una
scienza oggettiva.
Per capire il suo fine ed il suo ambito bisogna considerare due aspetti. a)
Lo stesso discernimento delle affermazioni scientifiche singolari gi un
discernimento critico, ma non appartiene alla scienza Critica fare quest'ultimo
discernimento; perch questa critica concreta si identifica con le stesse scienze
singolari. b) Spetta alla Critica, in quanto che la Critica precede le altre scienze,
giudicare nel suo insieme comune il valore dell'affermazione scientifica, per poi
di l dedurre quella dottrina generale sulla possibilit dalla scienza, alla cui
luce possano lavorare con sicurezza e speditamente le scienze particolari.
Il trattato critico viene anche detto Teoria della conoscenza, o
Gnoseologia (scienza della conoscenza), o Epistemologia (scienza della
scienza, bench questo nome rimanga oggi ristretto alla teoria della conoscenza
delle scienze particolar), o Noetica (scienza della conoscenza intellettuale, alla
quale si sottomettono le altre conoscenze,) o Criteriologia (scienza delle verit
motivate in un criterio genuino), e cos via. L'utilit e l'importanza della Critica
appare sufficientemente da quanto detto. Infatti, mediante la soluzione del
problema critico si consolida e difende riflessivamente la possibilit della
Metafisica e delle altre Scienze, disponendo bene la mente a trattarli e
svilupparli con sicurezza.
8. Che cosa la Logica applicata? Logica applicata o materiale la
parte della Logica che, supposta la dottrina sulla giusta forma, tratta della forma
della materia che deve applicarsi per ottenere la verit; o la parte della Logica
che tratta dei presupposti della verit del conseguente.
Sulla Logica bisogna notare altri due elementi. a) La stessa applicazione
della forma alla materia che si fa nelle argomentazioni scientifiche particolari,
gi un'applicazione logica. Ma non spetta alla Logica fare questa ultima
applicazione, perch questa logica concreta si identifica con le stesse scienze

singolari. b) Ma appartiene alla Logica, dal momento che la Logica precede le


altre scienze, considerare nel loro insieme comune ci che presuppone una
scienza vera, per dedurre poi quella dottrina generale sulla natura dalla
scienza umana alla cui luce possano lavorare con ordine e speditamente le
scienze particolari.
Gi abbiamo trattato l'importanza e l'utilit della Logica. Basti qui
ricordare che normalmente precede le altre parti della filosofia: "perch le altre
scienze dipendono da essa, in quanto insegna il modo di procedere nelle
scienze particolari. E prima ancora di conoscere la stessa scienza, conviene
conoscere il modo di conoscere" (In Boet. De Trin. q.6, a.1 ad 3).
9. Unit e divisione del trattato. Da quanto detto si vede che alla Critica
spetta innanzitutto indagare riflessivamente se esistono concetti veri, giudizi
veri e ragionamenti veri, per poi risolvere il problema se possibile per noi una
scienza vera. evidente che anche tocca in modo principale alla Logica
materiale il compito di indagare riflessivamente che cosa sono i concetti, i
giudizi ed i ragionamenti veri, per poi risolvere il problema di che cosa la
nostra scienza vera. Quindi, le speculazioni proprie della Critica e della Logica
materiale, non solo sono concordi nel considerare la verit delle nostre
conoscenze in ordine alla scienza, ma si relazionano reciprocamente. Proprio le
speculazioni sul fatto della conoscenza vera giustificano ed esigono ulteriori
investigazioni sulla natura della conoscenza vera; e queste, a loro volta,
chiarificano e stabiliscono lo stesso fatto della conoscenza vera. Pertanto, come
dalla loro convenienza si deduce legittimamente l'unit della nostra trattazione,
cos dalla loro mutua relazione si deduce legittimamente la stessa divisione del
trattato. In primo luogo stabiliremo riflessivamente il fatto della conoscenza
vera. Stabilito il fatto, investigheremo e determineremo la natura della nostra
conoscenza vera. Con questi presupposti, porteremo a conclusione il problema
della conoscenza rispetto alla possibilit ed alla natura della scienza vera.
Pertanto dividiamo il trattato in tre parti generali. La prima tratta della
conoscenza della verit; la seconda, della natura della verit conosciuta; la
terza, della verit della scienza umana.

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Per pi dati su bibliografie particolari, cf. Enciclopedia Filosofica, I-IV.
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PARTE PRIMA
LA CONOSCENZA DELLA LA VERIT
Senso e divisione della parte. - 1. I problemi critici vengono sollevati per

ottenere una dottrina precisa e sistematica sul valore della conoscenza. A volte
colui che inizia a filosofare ignora ci che si riferisce a questa dottrina. Ma altre
volte l'ha gi in un certo modo pre-conosciuto, ed in questo caso i problemi
vengono posti per ottenere un riconoscimento riflesso ed esplicito.
2. Il primo problema critico quello che secondo l'ordine bisogna porsi
prima degli altri. E poich, negata la possibilit di conoscere con certezza la
verit, non potrebbe esporsi seriamente nessun altro problema, mentre,
riconosciuta questa possibilit, possono suscitarsi ordinatamente tutti gli altri
problemi, il primo problema critico bisogna formularlo cos o in modo
equivalente: se per riflessione filosofica consta con certezza che l'uomo
capace di conoscere la verit, o pi brevemente "se l'uomo pu conoscere la
verit". Si vede chiaramente che per rispondere a questo problema non
possiamo procedere a priori, poich le nostre capacit si riconoscono nei loro
atti. Bisogner pertanto riflettere in prima istanza ed esaminare direttamente se
in realt conosciamo alcune verit, per poi di l concludere riflessivamente ed
esplicitamente che siamo capaci di conoscere la verit.
3. A questo problema che ha un senso semplice e facile, si sono date
soluzioni complicate e difficili:
a) Soluzione dichiaratamente negativa, proposta dagli Scettici. Lo
Scetticismo difende la tesi che la nostra conoscenza umana non propriamente
capace di captare niente come in s, da cui conclude che conosciamo tutto
solo come a noi appare, e cos conclude con la convinzione definitiva di un
dubbio universale rispetto a tutto. Simile alla soluzione scettica la posizione
relativista. Il Relativismo distingue tra una conoscenza assoluta della verit, per
cui conosciamo le cose come sono in s, ed una conoscenza relativa, per cui
conosciamo le cose solo come appaiono. E siccome mantiene lo stesso
pregiudizio scettico che la nostra conoscenza non pu conoscere niente come
in s, conclude che la conoscenza umana capace di conoscere la verit
relativa, ma non l'assoluta.
b) Soluzione meno dichiaratamente negativa, proposta dagli
Idealisti ed Antintellettuali. Generalmente questi sono d'accordo nell'escludere
la soluzione scettica ed ammettono concordemente che necessariamente il
Relativismo radicale si risolve in una forma di Scetticismo. Ma siccome
ritengono dello Scetticismo che non possiamo conoscere col nostro intelletto le
cose come sono in s, parlano diversamente sulla nostra possibilit di
raggiungere la verit. L'Idealismo ammette che conosciamo la verit per via
dell'intelletto, ma escludendo che siamo capaci di conoscere la cosa come in
s, limita la nostra conoscenza solo all'oggetto interno della conoscenza o
all'oggetto come si configura nella mente. L'Antintellettualismo non esclude la

nostra capacit di captare la cosa esistente in s, ma escludendo che possiamo


coglierla con l'intelletto, limita il nostro contatto genuino con la realt
ricorrendo a qualche intuizione pre-logica o solo a qualche intenzionalit
infra-logica.
c) Soluzione negativa dal punto di vista dell'oggetto, proposta dai
Soggettivisti rispetto all'esistenza del nostro mondo sensibile. Il Soggettivismo
sull'esistenza del mondo sensibile, ammette che l'Idealismo e
l'Antintellettualismo radicali si risolvano logicamente in una forma di
Relativismo, ma ritenendo dello Scetticismo che non siamo capaci di conoscere
il mondo sensibile come in s, conclude che non abbiamo nessuna certezza
speculativa sull'esistenza reale del mondo sensibile.
d) Soluzione positiva, proposta dai Realisti che a loro volta si
distinguono come posizioni in un realismo mediato o immediato. Il Realismo
Mediato ammette che immediatamente conosciamo la realt attuale dei nostri
atti e del nostro io. Ma siccome ritiene dello Scetticismo che, da parte
dell'oggetto conosciuto, conosciamo immediatamente solo la nostra
rappresentazione interna, afferma che solo raggiungiamo la certezza
dell'esistenza del mondo in s mediante una dimostrazione in senso stretto. Il
Realismo Immediato afferma che la dimostrazione strettamente detta
dell'esistenza del mondo sensibile impossibile, poich non possiamo mediare
ci che sempre e necessariamente si presenta come immediato; e cos tratta
solo di mostrare esplicitamente, mediante una riflessione filosofica, che noi
conosciamo la realt esistente in s del nostro concreto mondo sensibile in
modo valido ed immediato.
4. Questa complessit di soluzioni mostra l'importanza del primo
problema critico e la precisione con cui dobbiamo esporlo. In questa prima
parte tratteremo della conoscenza della verit in senso realista; primo in modo
positivo, e poi in modo difensivo. Cos divideremo questa prima parte in due
capitoli: nel primo tratteremo della conoscenza naturale della verit, nel
secondo, delle principali negazioni della verit.

CAPITOLO PRIMO
LA CONOSCENZA NATURALE DELLA VERIT
Senso e divisione del capitolo. - 1. Come abbiamo visto, lo Scetticismo non
solo un'opinione semplicemente negativa, ma anche una posizione teorica che
presta pi o meno i suoi principi alle altre opinioni negative. Per ci bene
conoscere come inizialmente e metodologicamente si presenta lo Scetticismo e

come ugualmente si presenta la teoria della conoscenza non scettica che, in


quanto coerentemente opposta allo Scetticismo, normalmente viene chiamata
Dogmatismo moderato.
2. Lo Scetticismo esagerando il fatto dell'errore e la difficolt di stabilire
la verit, incomincia il problema critico professando un dubbio universale
esteso ad ogni persuasione spontanea, e perci esige una dimostrazione in
senso stretto sulla conoscenza certa della verit; ma notando che tale
dimostrazione impossibile, conclude: a) dubitando speculativamente di ogni
verit e con ci della stessa attitudine della nostra mente per la verit, e b)
ammettendo incoerentemente che dobbiamo vivere con alcune certezze
pratiche.
Il termine Dogmatismo (da "doko", stimo, sono persuaso), si usa a volte
per designare l'affermazione criticamente illegittima della certezza, cio, non
motivata o insufficientemente motivata (Dogmatismo esagerato). A questo
Dogmatismo si oppone il Criticismo che professa la necessit di
un'affermazione motivata e legittima. Ma in senso pi tecnico col nome di
Dogmatismo deve intendersi l'affermazione della certezza criticamente
legittima e sufficientemente motivata (Dogmatismo moderato). In questo senso
il Dogmatismo moderato coincide col Criticismo moderato e si oppone al
Dogmatismo e al Criticismo esagerati.
3. Tra gli Scolastici moderni che sostanzialmente aderiscono a questo
Dogmatismo, si danno alcune divergenze accidentali. Alcuni, che sembrano
essere sotto l'influsso di un certo Dogmatismo esagerato, negano la legittimit
dell'esigenza critica, e conseguentemente che il filosofo debba fare un esame
critico di tutte le convinzioni spontanee. Altri, che sembrano essere sotto
l'influsso di un certo Criticismo esagerato, esasperano l'esigenza critica ed
esigono che il filosofo intraprenda l'esame critico professando un dubbio
universale su ogni persuasione spontanea. Gli altri, ammettono la legittimit
dell'esigenza ed esame critico su ogni persuasione spontanea, ma negano che si
debba incominciare con una dubbio universale. Brevemente, la loro dottrina si
riassume cos:
a) Dal fatto che nella conoscenza spontanea ci sbagliamo qualche
volta e sperimentiamo la difficolt di fondare alcune verit, non lecito
concludere che ci sbagliamo sempre, e non raggiungiamo mai la verit.
Soprattutto tenendo conto che per l'esercizio spontaneo della conoscenza
conosciamo naturalmente alcune verit fermissime, nell'ordine dell'esperienza e
nell'ordine universale, che sono a fondamento di ogni conoscenza ulteriore che
si acquisisce per l'applicazione speculativa o pratica", e nelle quali "se si
insinuasse qualche errore, non si darebbe nessuna certezza in ogni futura

conoscenza" (De Virt. In Comm., a.8; De Verit., q.16, a.2).


b) Inoltre proprio del saggio incominciare il problema critico
senza professare un dubbio universale ampliato ad ogni persuasione spontanea
e per lo stesso motivo, non pretendere una dimostrazione in senso stretto, bens
un riconoscimento e la difesa ordinata delle persuasioni naturali genuine. E cos
concludono a) affermando speculativamente che ci risulta di conoscere alcune
verit, e che quindi si segue come ovvia l'attitudine della nostra mente per la
verit, b) esigendo poi coerentemente che la certezza pratica, sia legittimamente
motivata nella certezza speculativa.
4. Riguardo a questo Dogmatismo moderato che viene anche detto
Realismo critico, o Realismo intellettuale moderato, cominceremo a trattare
sistematicamente in questo capitolo sotto l'aspetto positivo. Divideremo la
materia in sei articoli: nel primo vedremo la legittimit dell'esigenza critica; nel
secondo e nel terzo vedremo la conoscenza naturale della verit dell'esperienza
e della verit universale; nel quarto definiremo l'attitudine della nostra mente
per la verit; finalmente nel quinto e nel sesto, come sintesi risolutiva di tutta la
questione, tratteremo del metodo del primo problema critico e dello stato
iniziale della mente.

ARTICOLO PRIMO
La legittimit dell'esigenza critica
Senso dell'articolo. - Poich la soluzione corretta del problema critico dipende
dalla retta intelligenza della legittimit dell'esigenza critica, conviene
innanzitutto esaminare se e in che modo conosciamo che l'esigenza critica sia
legittima.
TESI I. Colui che incomincia a filosofare conosce con certezza, alla luce di
una critica naturale, che l'esigenza di un filosofare critico legittima.
Prenozioni - 1. Per esigenza (da "exigo", richiamo, chiedo quello che mi
dovuto) significhiamo nella tesi, la tendenza dell'uomo ad ottenere quello che
gli dovuto e gli conveniente. Per esigenza scientifica, intendiamo l'esigenza
della nostra mente di acquisire la scienza colta come conveniente. Un'esigenza
scientifica legittima, quando conveniente alla nostra mente; e si riconosce
come legittima, quando si capisce che conveniente alla nostra mente.
Per esigenza filosofica intendiamo l'esigenza di investigare tutte le cose
conosciute per determinare e spiegare profondamente la loro natura. Per

esigenza critica capiamo l'esigenza di indagare tutte le conoscenze della realt


per stabilire e spiegare fino in fondo il loro valore. Nella tesi affermiamo
soprattutto che l'esigenza filosofica e critica, per il fatto stesso di manifestarsi
in noi, riteniamo con certezza che sono legittime.
2. Come all'inizio la Logica la distinguiamo in Logica naturale e
scientifica, cos in Critica si soliti distinguere tra Critica naturale e Critica
scientifica. Per Critica naturale intendiamo la certezza del valore della
conoscenza ottenuta per l'esercizio e la riflessione spontanei della conoscenza.
Per Critica scientifica, la certezza del valore della conoscenza acquisita per uno
studio sistematico.
L'esigenza filosofica e critica sorge in un momento di maturit, dietro un
lungo esercizio quotidiano della conoscenza spontanea. Perci in ogni uomo si
d una critica naturale. Stando cos le cose, chiaro che dobbiamo esaminare se
questa critica naturale valida o no per il filosofo. Nella tesi affermiamo
inizialmente che il filosofo deve ammettere alcuna critica naturale come valida,
perch proprio alla sua luce, colui che incomincia a filosofare, pu capire la
legittimit di quell'esigenza filosofica e critica insorta, e quindi il modo
legittimo di suscitare il problema critico.
Dividiamo la prova della tesi in tre parti: nella prima facciamo vedere
che capiamo con certezza che l'esigenza filosofica legittima; nella seconda
che capiamo ugualmente con certezza che l'esigenza critica legittima; nella
terza che questa legittimit ci risulta valida alla luce di una critica naturale. Nel
corollario trattiamo del modo legittimo di esporre il problema critico.
Opinioni. - Nelle prime tesi, inizialmente generali, anche le opinioni verranno
prese in considerazione in modo preliminare e generale, lasciando per le
questioni successive i dettagli pi specifici.
ovvio che tra i filosofi non esistono avversari dell'esigenza filosofica
intesa in modo semplice e generale.
Rispetto all'esigenza critica, come gi alludevamo, si oppongono: a) per
difetto, alcuni sostenitori del Dogmatismo esagerato che negano la legittimit
dell'esigenza critica e negano anche la legittimit di sottomettere ad un esame
critico tutte le persuasioni spontanee; b) per eccesso, alcuni sostenitori del
Criticismo esagerato che esasperano il senso dell'esigenza critica, e chiedono
un esame critico per legittimare dalla radice tutte le persuasioni spontanee,
come se nessuna di esse fosse per se stessa legittima. Di questi tratteremo
specificamente nel capitolo quinto e sesto.
Coincidono con la dottrina della tesi le posizioni di coloro che
ammettono un esame critico su tutte le persuasioni spontanee, e con questo
esame critico pretendono: a) di riconoscere le legittime, b) di legittimare le

legittimabili, c) e di correggere o respingere le illegittime.


Prova della prima parte della tesi. Chi incomincia a filosofare conosce con
certezza che l'esigenza filosofica legittima.
Per le caratteristiche dell'esigenza legittima. Si capisce con certezza che
un'esigenza legittima quando: a) per il mero fatto di venir alla luce, si
riconosce in tal modo legittima, b) che questa sua legittimit si suppone sempre
dopo, perfino negli stessi argomenti con cui la si controbatte. Ed cos che
queste caratteristiche si verificano nell'esigenza filosofica. Quindi si capisce
con certezza che l'esigenza filosofica legittima.
La minore. Perch: a) partendo dalla spontaneit con la quale ognuno
ammette che gli conveniente darsi ragioni delle cose, si vede chiaro che
l'esigenza filosofica, per il mero fatto di sorgere, si riconosce come legittima; b)
partendo dal fatto che tutti i tentativi di controbatterla si risolvono
necessariamente in un esercizio di filosofia, sia in riferimento al soggetto che
conosce sia in riferimento all'oggetto conosciuto, si vede chiaro che la
legittimit dell'esigenza filosofica si suppone sempre dopo, anche negli
argomenti che la contrastano. Il che non sarebbe possibile senza supporre la
legittimit della pretesa filosofica.
Molte volte Platone mostr la legittimit dell'esigenza di filosofare.
Dopo di lui, Aristotele cominci a spiegare la legittimit di questa esigenza
filosofica all'inizio del Primo Libro della Metafisica, notando che l'esigenza che
si fonda sulla natura umana legittima, perch tutti gli uomini desiderano per
natura sapere,( c. I. inizio). Pi tardi difese questa legittimit in diverse
occasioni, mostrando che la filosofia solo si pu negare mediante qualche
filosofia, per esempio nel classico argomento del Protreptico: "se non bisogna
far filosofia, bisogna far filosofia" (Fragm. 50, 1483-84).
Seconda parte. Chi incomincia a filosofare conosce con certezza che
l'esigenza critica legittima.
1. Partendo dall'implicazione necessaria: L'esigenza critica implicata
nella stessa esigenza filosofica. Quindi legittima nello stesso senso
dell'esigenza filosofica.
Lantecedente si manifesta per il fatto che nell'esigenza filosofica
implicata l'esigenza di arrivare ad una scienza valida. Ma non possiamo arrivare
ad una scienza valida, fino a che non conosciamo quella validit, dal momento
che finch non la conosciamo rimaniamo incerti. Quindi nell'esigenza filosofica
si contiene l'esigenza di conoscere la validit della scienza. E l'esigenza di
conoscere la validit della scienza la stessa esigenza critica. Quindi
nell'esigenza filosofica implicata l'esigenza critica.

Alcuni Contemporanei considerano in modo particolare questa


implicanza dell'esigenza critica nella stessa esigenza filosofica, e concludono
giustamente che anche nei filosofi antichi esisteva l'esigenza critica. Di qui che
questa seconda parte pu provarsi con lo stesso argomento della prima:
2. Partendo dalle caratteristiche dell'esigenza legittima. Infatti, a) Ogni
uomo capisce spontaneamente la convenienza di essere certo del valore delle
sue conoscenze; ed chiaro che b) ogni argomento contrario si risolve
nell'esercizio di alcuna criticha riguardo al soggetto che conosce e agli oggetti
conosciuto, il che non potrebbe darsi senza supporre la legittimit dell'esigenza
critica.
Terza parte. Chi incomincia a filosofare conosce tutto ci alla luce di una
certa critica naturale.
Per la necessaria presupposizione. la stessa cosa riconoscere che
l'esigenza filosofica critica legittima che conoscerla come conveniente alla
nostra mente, cio, come conveniente alla natura conoscitiva della nostra
mente. Sulla base di tale premessa procediamo cos:
Conosciamo validamente che l'esigenza critica conviene alla nostra
mente, solo quando, con qualche senso veritiero, conosciamo validamente la
natura della nostra mente. E dal momento che questa conoscenza valida della
natura della nostra mente non pu darsi alla luce della Critica scientifica,
perch antecedente alla Critica scientifica. Quindi si d alla luce di una critica
naturale; e pertanto il filosofo deve ammettere una certa critica naturale come
valida.
La conclusione della tesi la seguente: a) se colui che incomincia a
filosofare ammette una certa critica naturale, procede coerentemente; b) se non
l'ammette, la sua incoerenza pu guarirsi dal fatto di portarlo a consentire
almeno questo: che l'esigenza critica si nega solo supponendo che legittimo
negarla. Dunque da tale concessione si vede logicamente obbligato ad accettare
che l'esigenza critica, per il fatto stesso di manifestarsi, si intende con certezza
che legittima, e pertanto che deve esistere una certa critica naturale valida.
Corollario. -Dunque colui che incomincia a filosofare pu con ogni
sicurezza porsi il problema critico; non certamente dubitando di tutte le sue
persuasioni spontanee, bens esaminandole con ordine e giudicandole.
La ragione del primo asserto che colui che incomincia a filosofare ha
gi una certa conoscenza valida della natura della sua mente. E motivato in tale
validit pu con sicurezza dirigere la sua mente al proponimento del problema
critico.

La ragione del secondo che se qualcuno professasse un dubbio rispetto


a tutte le persuasioni spontanee, dovrebbe estendere anche questo dubbio alle
persuasioni genuine della critica naturale. E cos non avrebbe pi la possibilit
di porsi con sicurezza il problema critico.
La ragione del terzo che non tutte le persuasioni spontanee hanno lo
stesso valore, perch molte volte vediamo che le conoscenze spontanee sono
limitate e fallaci. Quindi conviene che il filosofo le sottometta ad un esame
minuzioso.
Obiezioni. - 1. Se l'esigenza critica si capisce che legittima per il mero fatto
di venire alla luce, non sarebbe necessario fondarla su una critica naturale. Ma
la tesi afferma che l'esigenza critica legittima, per il mero fatto di sorgere.
Quindi non necessario fondarla su una critica naturale.
Risposta. Distinguo la maggiore: se si intende che legittima, senza che
preceda nessuna altra esperienza n conoscenza certa, acconsento; precedendo
necessariamente alcune esperienze e conoscenze certe, lo nego. E
contraddistinguo la minore.
2. Se la critica naturale fosse valida per il filosofo, potrebbe eliminare
tutte le difficolt. Ma dal momento che non pu, non valida per il filosofo.
Risposta. Distinguo la maggiore: potrebbe eliminare le difficolt
filosofiche e pre-filosfiche, almeno indirettamente, acconsento; potrebbe
eliminarle direttamente, lo nego. E contraddistinguo la minore.
Una difficolt si rimuove indirettamente, quando conoscendo con
certezza la verit contro la quale si dirige la difficolt, si intende che quella
difficolt non pu distruggere la verit conosciuta; si rimuove direttamente,
quando conoscendo gi la dottrina esplicita sulla verit contro la quale si dirige
la difficolt, si applica quella dottrina conosciuta alla soluzione della difficolt.
Pertanto la critica naturale certamente valida per il filosofo, ma il filosofo
deve esplicitarla e completarla con una Critica scientifica. Per completare la
risposta, si deve notare che nella stessa Critica scientifica, e nelle restanti parti
della filosofia, si rimuovono direttamente solo le principali difficolt, ma non
tutte.

ARTICOLO SECONDO
La verit fondamentale dell'esperienza
Senso dell'articolo. - Sappiamo dall'articolo precedente che l'esigenza critica
legittima e che per ci possiamo con sicurezza porci il problema critico;

sappiamo inoltre che alcuni filosofi pensano illegittimamente che ogni


conoscenza spontanea non valida per un filosofo. Per potere confutare
direttamente questa opinione, cominciamo il nostro esame critico domandando
se si intende con certezza che, durante conoscenza spontanea, noi conosciamo
necessariamente alcune verit, o se l'uomo conosce naturalmente alcune
verit. In questo articolo esaminiamo la conoscenza della verit nellambito
dell'esperienza, mentre nel seguente esmineremo la conoscenza della verit sul
piano universale.
TESI II. - L'uomo conosce naturalmente la verit fondamentale della
realt dell'ente, da parte dell'oggetto e da parte del soggetto.
Prenozioni - 1. I termini di questa tesi iniziale si intendono nel loro senso pi
ovvio e comune:
a) Giacch l'esame critico procede mediante una riflessione sui
nostri atti conoscitivi, e ciascuno di noi pu riflettere solo sui propri atti, la tesi
intende principalmente col nome di uomo ciascuno di noi nella sua singolarit,
ed estensivamente gli altri uomini in quanto supponiamo che hanno la stessa
conoscenza specifica. Col nome di conoscenza, intendiamo quell'attivit nostra
notissima per la quale l'oggetto conosciuto si fa presente al soggetto che
conosce. Nella tesi distinguiamo la conoscenza naturale dell'artificiale: per
conoscenza naturale intendiamo la conoscenza che necessariamente ed
infallibilmente abbiamo per lo stesso esercizio spontaneo della conoscenza; per
conoscenza artificiale, la conoscenza che acquisiamo mediante un studio
ordinato e metdico.
b) Dal momento che spontaneamente ogni uomo persuaso che
egli conosce la verit quando afferma che il suo oggetto come realmente ,
intendiamo per verit la convenienza o conformit tra la nostra conoscenza (o
affermazione giudiziale) e la cosa (o l'oggetto sul quale versa il giudizio). Per
verit di esperienza intendiamo la conformit tra la nostra affermazione ed il
dato di esperienza, in quanto oggetto dell'affermazione. Nella tesi
distinguiamo la verit fondamentale, verit che si deve conoscere per conoscere
le altre, dalla verit fondata, verit che non pu conoscersi se non alla luce
delle fondamentali.
Affermiamo nella tesi che l'uomo conosce naturalmente alcune verit
fondamentali dell'esperienza con la cui certezza giudica le altre.
2. Tanto per chiarificare le prenozioni, come per basare la tesi,
procederemo mediante un'esplicitazione della nostra vita conoscitiva concreta:
a) Come una persuasione ovvia e comune, intendiamo per ente ci
a cui compete lessere in qualche modo, ed in questo senso, tutto ci che non

puro niente. Intendiamo per ente reale ci che indipendentemente dell'attivit


conoscitiva per la quale conosciamo in atto, ed in questo senso, tutto ci che
con la sua stessa entit si impone alla mente giudicante e la determina (o
misura); e intendiamo per ente reale attuale, l'ente reale concretamente
esistente, ed in questo senso, tutto ci che non meramente possibile.
b) Il senso della tesi si risolve cos. Ci domandiamo se nella nostra
esperienza umana totale si d necessariamente e infallibilmente qualcosa che si
debba dire genuinamente certo. E rispondiamo che, sottoponendo alla nostra
analisi la coscienza stabile secondo la quale viviamo, bisogna riconoscere che
senza alcun dubbio se ci si presenta come genuinamente certa la reale attualit
dell'ente, tanto da parte dell'oggetto conosciuto, come da parte del soggetto che
conosce; e che in questo senso, l'uomo naturalmente certo della verit della
realt dell'ente. Rimettiamo alle tesi seguenti ogni ulteriore determinazione di
questa verit generica ed iniziale.
La prova della tesi avr due parti: nella prima mostreremo che l'uomo per
l'esercizio spontaneo della sua conoscenza fermamente certo della verit della
realt dell'ente; nella seconda che questa verit fondamentale.
Opinioni. - Alla tesi si oppongono direttamente gli Scettici e i Relativisti
radicali che, negando la conoscenza della verit assoluta, negano anche
l'attitudine della mente per la verit assoluta. Si oppongono almeno
indirettamente gli Idealisti ed Antiintellettuali che, bench convengano nella
confutazione generica dello Scetticismo e del Relativismo, professano una
concezione diversa della verit e pertanto della nostra attitudine per la verit. Si
oppongono anche, almeno inizialmente, tutti i Soggettivisti rispetto all'esistenza
del mondo sensibile che, non ammettendo la conoscenza naturale della realt
del mondo, negano anche la disposizione diretta della nostra mente all'ente
sensibile, oggetto proprio del nostro intelletto. Di queste opinioni tratteremo
separatamente nel capitolo secondo.
Gli Scolastici moderni concordano comunemente nella dottrina della tesi,
ma differiscono sugli esempi con i quali bisogna cominciare la considerazione.
Alcuni preferiscono considerare solo esempi soggettivi, come l'esistenza
propria o i propri atti interni. Altri preferiscono considerare anche gli esempi
oggettivi, o l'oggettivit del mondo sensibile, e lasciano per un altro trattato la
confutazione definitiva dell'attivit soggettiva come produttrice del mondo.
Noi, tenendo anche in conto la coerenza del trattato, pensiamo che bisogna
incominciare: a) per un riconoscimento esplicito della nostra coscienza
giudiziale, in quanto che insieme direttamente aperta alla stessa realt dell'ente
sensibile e riflettente nell'esercizio dell'atto ("exercite reflectens") sugli atti
reali e sul soggetto reale, b) considerandola primo nei suoi aspetti pi semplici

e fondamentali, per dopo procedere ordinatamente su quelli pi complessi e


derivati.
Considerazioni previe. - 1. Il termine di coscienza, in senso proprio, significa
la conoscenza attuale che abbiamo dei nostri atti interni. Ma oggi si impiega
anche con un senso pi ampio per significare la conoscenza cosciente che
abbiamo tanto di dati soggettivi, come di dati oggettivi.
2. Possiamo pensare solo di porre il problema critico sulle nostre
conoscenze, se siamo coscienti che noi conosciamo e se coscientemente
riflettiamo sui nostri atti. Cos, facile costatare che da questo testimonio della
coscienza, noi prendiamo non solo tutti i dati dai quali nasce il problema
critico, ma anche il fatto che la stessa coscienza si offre come un dato originario
(ut datum primum) attraverso il quale si presentano tutti gli altri.
3. Considerando la nostra coscienza come il dato primo attraverso il
quale si danno gli altri dati, facile notare che questa nostra coscienza
concreta: a) non coscienza di un io astratto e comune, bens di un io
individuale e personale; b) n una coscienza dell'io puro, bens di un io che
ha molti atti, per esempio: che sente, intende, vuole, opera, etc.; c) non una
coscienza dell'io puro coi suoi atti, bens dell'io che per i suoi atti tende ad un
oggetto opposto; d) non una coscienza del puro oggetto indeterminato ed
astratto, bens determinato e concreto del mondo oggettivo degli uomini e le
cose; e) non una coscienza che solo si limitata al mondo sensibile, ma che con
l'aiuto della cosa sensibile si alza alle cose sovrasensibili.
4. L'atto conoscitivo pienamente cosciente per noi il giudizio, ed in
questo senso la coscienza nel suo senso pieno la coscienza giudiziale.
Innanzitutto abbiamo giudizi diretti, per i quali in primo luogo giudichiamo
l'essere dai dati dell'esperienza oggettiva. Poi, abbiamo giudizi riflessi, per i
quali secondariamente giudichiamo l'essere dei dati dell'esperienza soggettiva.
Finalmente, poich il mondo dell'esperienza ci offerto come appetibile ed
operabile sotto molti aspetti, oltre a giudizi speculativi abbiamo anche giudizi
pratici, con i quali dirigiamo la nostra vita.
5. Questa coscienza giudiziale non si pu negare sinceramente, poich la
sperimentiamo sempre e la manifestiamo sempre nelle nostre espressioni. E
pertanto, si pu sempre difendere, mostrando che si trova affermata in
esercizio ("exercite affirmata"), in ogni volta che si tenta di negarla. La prova
della tesi si fonder sull'analisi dichiarativa di questa coscienza concreta.

Prova della prima parte della tesi. L'uomo conosce naturalmente la verit
della realt dell'ente, da parte dell'oggetto e da parte del soggetto.
Per un riconoscimento dichiarativo. Per l'esercizio spontaneo della sua
conoscenza l'uomo fermamente cosciente che egli conosce il mondo concreto
degli uomini e delle cose, e che, conseguente con questa conoscenza, egli vuole
ed opera sullo stesso. cosicch per questo si sente fermamente certo della
verit della realt dell'ente, tanto da parte dell'oggetto, come da parte del
soggetto. Quindi per l'esercizio spontaneo della sua conoscenza l'uomo
fermamente certo della verit della realt dellente, tanto da parte dell'oggetto
come dal parte del soggetto.
La maggiore, nel suo senso constativo, enuncia un fatto di coscienza
certissimo, sempre conosciuto per noi e dal quale non possiamo mai
prescindire.
La minore nel suo senso declaratorio, non altro che il riconoscimento di
questa nostra coscienza costante, nel suo senso pi semplice ed evidente.
Perch per il fatto che siamo permanentemente coscienti che conosciamo
il mondo concreto degli uomini e le cose, e che conseguentemente vogliamo ed
operiamo su di esso:
a) da parte dell'oggetto, al quale si orienta direttamente la nostra
conoscenza, siamo certi che questo mondo dato a noi, se qualcosa, un ente
attuale reale: perch chiaramente capiamo che l'insieme degli uomini e delle
cose non un puro niente, bens qualcosa di contrapposto al niente, cio un
ente; e che, precisamente in quanto termine concreto delle nostre conoscenze,
desideri ed azioni, non un ente puramente possibile, bens attuale, e in quanto
cos attuale, reale.
b) da parte del soggetto, sul quale riflessivamente ritorna la nostra
conoscenza, ugualmente siamo certi che i nostri atti concreti se sono qualcosa,
sono un ente reale attuale: perch egualmente capiamo con chiarezza che non
sono puro niente, n ente puramente possibile, ma anche essi col suo modo
proprio un ente attuale, e in quanto cos attuale, reale.
Del fatto che permanentemente siamo certi che conosciamo il mondo
concreto degli uomini e le cose, e che in conseguenza vogliamo ed operiamo su
di esso, siamo certi che mediante la nostra esperienza obiettiva e soggettiva, se
qualcosa c' offerto evidentemente, c' offerto l'ente reale attuale; ed in questo
senso siamo certi della verit della realt dell'ente, da parte dell'oggetto e da
parte del sogetto.
Dell'argomento si deduce che la nostra attivit giudiziale per s stessa
ordinata a captare direttamente l'ente obiettivo ed esercitamente (cio,
nell'esercizio dell'atto) l'ente soggettivo; e pertanto che il nostro giudizio
umano raggiunge la sua perfezione ogni volta che con evidenza afferma essere

quello che o non essere quello che non .


Obiezione: Nell'ipotesi che l'attestazione della coscienza soggettiva ed
obiettiva sia illusoria, non sarebbe criticamente certo che noi conosciamo
naturalmente la verit della realt dell'ente.
Risposta 1. Questa ipotesi pu rimuoversi con ogni sicurezza, poich in
un certo modo vero implica le stesse verit delle quali tenta di dubitare.
Infatti, l'ipotesi che l'attestazione della coscienza sia illusoria, solo si pu
presentare, essaminae o discutere, ammettendo nell'esercizio dell'atto
("exercite") che il fatto della presentazione, esame e discussione un fatto
certamente cosciente. Quindi rimane sempre come verit che il testimonio della
coscienza, nella sua attestazione attuale, non illusorio.
Con queste premesse che difendono il senso della maggiore, rispondiamo
cos per difendere il senso della minore:
Anche nell'ipotesi che l'attestazione della nostra coscienza soggettiva sia
illusoria, rimane sempre vero che se ci sbagliamo in atto, pensiamo in atto, e
pertanto esistiamo in atto. Egualmente, anche nell'ipotesi che l'attestazione
della nostra coscienza obiettiva sia illusoria, e che pertanto, il mondo degli
uomini e delle cose sia "un grande fenomeno interno", rimarrebbe sempre come
vero che questo concreto oggetto conosciuto, voluto e operato non sarebbe
puro niente, n qualcosa di puramente possibile, bens in qualche senso vero
attuale per noi e reale in noi.
Dietro questi chiarimenti, affinch non sembri che metodologicamente
vogliamo fin dall'inizio occultare quello che ci appare naturalmente evidente,
illustriamo ulteriormente il senso proprio della minore del seguente modo:
Risposta 2. Contro il fatto non vale l'argomentazione, e con maggiore
ragione non vale l'ipotesi. Se vogliamo incominciare, e solo possiamo
incominciare per l'attestazione della nostra coscienza; e se seguiamo
l'attestazione della nostra coscienza senza nessun pregiudizio n teoria
preconcetta, come del tutto legittimo: necessario riconoscere che con la
stessa evidenza con la quale siamo coscienti della realt del nostro io ed i nostri
atti, stiamo altrettanto certi che i nostri atti tendono al mondo degli uomini e
delle cose come oggettivo e opposto a noi, che si offre come termine in s reale
delle nostre conoscenze, volont ed azioni.
Data l'importanza delle opinioni che negano la realt del mondo in s
esistente, nelle seguenti tesi undicesima e dodicesima, torneremo a trattare
ordinatamente l'aspetto genuino dell'evidenza del nostro mondo sensibile; ma
per coerenza della dottrina necessario che, gi da questa tesi, riconosciamo
almeno in un modo iniziale questa evidenza stabile e necessaria.

Seconda parte. La verit della realt dell'ente fondamentale.


Partendo delle caratteristiche delle verit fondamentali: Sono
fondamentali quelle verit che se sono distrutte si rovina con esse ogni altra
certezza. cos che di questo tipo la verit della realt dell'ente, tanto da parte
del soggetto come da parte dell'oggetto. Quindi la verit della realt dell'ente
fondamentale.
La minore. Poich: a) Se si rovina la certezza della reale attualit del
nostro io e dei nostri atti, si rovina ogni certezza da parte del soggetto, e cos
non avremmo nessuna certezza; b) Se si rovinata la certezza della reale attualit
del nostro mondo sensibile, si rovina non solo ogni certezza ulteriore sul
mondo, ma anche ogni altra certezza prossima o remotamente motivata nella
realt del mondo.
Possiamo dunque concludere senza paura che l'uomo conosce
naturalmente, o necessariamente ed infallibilmente per lo stesso esercizio della
sua conoscenza, la verit fondamentale della realt dell'ente, cio la conoscenza
presopposta per tutte le altre verit, tanto da parte dell'oggetto conosciuto,
quanto da parte del soggetto conoscente.
Obiezioni. - 1. Se la certezza naturale fosse valida per il filosofo, non sarebbe
necessaria un'investigazione riflessa su di essa. cos che nella tesi si fatta
un'investigazione riflessa. Quindi la certezza naturale non valida per il
filosofo.
Risposta. Distinguo la maggiore: Non sarebbe necessaria
un'investigazione riflessa, per avere per la prima volta la certezza, acconsento;
per riconoscerla come esplicita e sistematicamente, lo nego. Contraddistinguo
la minore.
Come gi abbiamo mostrato prima, alla luce della critica naturale,
capiamo la legittimit dell'esigenza critica ed il modo legittimo di porre
l'investigazione critica, per raggiungere una dottrina esplicita e sistematica sul
valore della conoscenza umana. In questo senso, il primo problema critico
sorge e si sviluppa nell'ambito di una coscienza certa, e si pone, non per
ottenere per la prima volta una certezza, bens per riconoscere esplicitamente e
sistematicamente la certezza che abbiamo gi.
2. Se tutti conoscessero naturalmente alcune verit, nessuno potrebbe
dubitare di esse. cosicch alcuni filosofi dubitarono delle suddette verit.
Quindi
Risposta. Distinguo la maggiore: Nessuno potrebbe dubitare realmente,
acconsento; con parole o illusoriamente, lo nego. E contraddistinguo la minore.
Il dubbio illusorio lo stato della mente in cui qualcuno pensa di

dubitare, senza che realmente dubiti; perch pu dire solo che dubita di alcuna
verit nella misura in cui, nell'esercizio dell'atto ed implicitamente diventa certo
della verit stessa. Ugualmente, la negazione illusoria lo stato della mente
nella quale qualcuno pensa di negare, senza realmente negare; perch pu dire
solo che nega una qualche verit, in quanto nell'esercizio dell'atto ed
implicitamente afferma la verit. Orbene, le verit fondamentali si esercitano
sempre implicitamente. Quindi come di esse possiamo avere solo un dubbio
illusorio, possiamo proferire altrettanto solo una negazione illusoria.
3. Lo scienziato non accetta niente che non sia dimostrato. Ma le verit
fondamentali non possono essere dimostrate. Quindi lo scienziato non deve
accettarle.
Risposta. Distinguo la maggiore: Lo scienziato non pu accettare niente
di dimostrabile che non debba dimostrarsi, acconsento; niente di indimostrabile
che non sia dimostrato, lo nego. E contraddistinguo la minore.
Istanza. Quello che indimostrabile si deve esaminare scientificamente
e si deve legittimare.
Risposta. Distinguo l'asserzione. Deve esaminarsi scientificamente, o
mediante una riflessione scientifica, acconsento; deve legittimarsi
scientificamente, suddistinguo. Si deve legittimare in senso ampio, cio la sua
legittimit si deve riconoscere esplicitamente e difendere, acconsento; si deve
legittimare in senso stretto, come se ancora non avesse una sua propria
legittimit, lo nego.
Per chiarire le risposte, dobbiamo notare innanzitutto che chi dice che
bisogna dimostrare tutte le cose, dovrebbe incominciare dimostrando questa sua
affermazione; e poich non potr dimostrarla senza incominciare da alcune
premesse, dovrebbe dimostrare quelle premesse, e le premesse con le quali
dimostra le premesse e cos all'infinito. E se qualche volta si ferma, deve
ammettere che non bisogna dimostrare tutte le cose, e pertanto che non lecito
dire che lo scienziato non accetta niente che non sia dimostrato.
Poi bisogna notare che le verit naturali fondano ogni dimostrazione, e
che pertanto sono certe antecedentemente ad ogni dimostrazione; o che sono
necessarie ed immediatamente evidenti. Ed impossibile mediare o
strettamente dimostrare quello che per la sua stessa natura immediato. Quindi
impossibile dimostrare le verit naturali. Il che pu essere anche spiegato
cos: se qualcuno volesse dimostrare le verit fondamentali, dovrebbe
prescindere nelle premesse dalle stesse, perch nella dimostrazione strettamente
detta, non lecito supporre nelle premesse quello che bisogna dimostrare. Ma
questo impossibile, perch senza la luce delle verit fondamentali, non si pu

porre validamente nessuna premessa. Pertanto impossibile dimostrare le


verit fondamentali. E di l appare sufficientemente chiaro che non proprio
del saggio esigere una dimostrazione delle cose immediate indimostrabili; e che
del saggio riconoscere con sincerit e difendere ordinatamente quelle cose
che sono originariamente ed immediatamente valide.
In fine bisogna notare che queste stesse cose si possono dire
proporzionalmente a colui che esige legittimare in senso stretto, mediante una
riflessione scientifica, le cose che sono per loro stessa natura necessariamente
ed immediatamente legittime. Perch la legittimazione in senso stretto si
impiega per legittimare per la prima volta quello che non ancora legittimo, ed
in critica, legittimare quello che non ancora legittimo, vorrebbe dire fare
genuinamente certo quello che non ancora genuinamente certo, cio
dimostrarlo in modo stretto.

ARTICOLO TERZO
La verit universale fondamentale
Senso dell'articolo. Nella tesi precedente riconoscendo che abbiamo una
conoscenza naturale della verit dell'esperienza, abbiamo incominciato
spontaneamente a formarci una qualche dottrina universale intorno
all'esperienza. Per confermare inizialmente la legittimit dell'universalit di
questa scienza, e per completare la nostra indagine sulla conoscenza naturale,
esamineremo in questo articolo se conosciamo naturalmente una qualche verit
universale.
TESI III.- Luomo conosce naturalmente la verit fondamentale del
principio di contraddizione, nella cui luce giudica di tutto.
Prenozioni.- 1. Questa tesi bisogna prenderla anche nel suo senso ovvio e
comune e similmente bisogna stabilirla mediante una spiegazione della nostra
vita conoscitiva concreta:
a) Per verit universale o comune capiamo la verit che si verifica in
molti casi. Per verit comunissima o in senso pieno fondamentale, la verit che
si verifica in tutti i casi, perch tutto si conosce mediante la sua applicazione.
b) Il principio di contraddizione afferma che ogni ente, in quanto ente,
non pu essere non ente. Normalmente si adduce questa formula classica:
"Qualcosa non pu simultaneamente e sotto lo stesso aspetto essere e non
essere"; o anche: "Dello stesso soggetto non pu simultaneamente affermarsi e
negarsi lo stesso predicato".

2. Per riconoscere il valore fondamentale di questo primo principio si


richiede cogliere tre cose: a) che la nozione di ente ha valore oggettivo
universalissimo o comunissimo; b) che dell'ente dobbiamo affermare che non
pu essere non ente; e c) che alla luce di questa verit giudichiamo tutto. Nella
tesi consideraiamo le tre cose, e cos affermiamo che l'uomo conosce
naturalmente la verit del principio di contraddizione; poi per completare la
dottrina in tesi successive si tratter la natura dei principi e del primo principio.
La prova della tesi avr tre parti: nella prima mostreremo di conoscere
con certezza che la nozione di ente ha valore comunissimo; nella seconda
mostreremo di conoscere con certezza la verit del principio di contraddizione;
nella terza, che questa verit la pi fondamentale di tutte.
Opinioni. - Oltre agli Scettici e i Relativisti, si oppongono direttamente a
questa tesi: a) gli Empiristi radicali negando le conoscenze propriamente
universali; e b) i Concettualisti radicali negando che le conoscenze universali
abbiano valore oggettivo. Di tali opinioni tratteremo separatamente nel capitolo
terzo.
Prova della prima parte. - Conosciamo con certezza che la nozione di ente ha
valore comunissimo.
Per un riconoscimento dichiarativo. Mediante l'esercizio spontaneo della
conoscenza, non solo conosciamo l'ente come esistente in atto, ma anche
conosciamo l'ente come ci a cui compete l'essere. Ma conoscendo lente come
ci a cui compete l'essere, conosciamo con certezza il valore comunisssimo
della nozione di ente. Quindi mediante l'esercizio spontaneo della conoscenza,
conosciamo con certezza il valore comunisssimo della nozione di ente.
La maggiore: ci conosciuta da quanto abbiamo detto nella tesi
precedente. Infatti: a) Dal fatto che siamo certi che la realt concreta attuale
dellesperienza, se qualcosa, un ente reale attuale, conosciamo lente come
esistente in atto; b) Poi, dal fatto che siamo certi che tutto quanto non niente,
se qualcosa, ente, conosciamo lente come ci a cui compete lessere in
qualsiasi modo.
La minore: anche ci manifesta da quanto abbiamo gi detto. Perch dal
fatto di essere persuasi che tutto quanto non niente ci a cui comppete
lessere, siamo certi che questa nozione di ente si verifica in tutte le cose. Ora,
la nozione che si verifica in tutte le cose, ha un valore comunisssimo.
Seconda parte. - "Conosciamo con certezza la verit del principio di

contraddizione"
Per un riconoscimento dichiarativo. Come abbiamo visto nella tesi
precedente, mediante l'esercizio spontaneo della conoscenza, conosciamo con
certezza alcune verit di esperienza. Ora, questo ci rende certi di conoscere la
verit del principio di contraddizione. Quindi, mediante l'esercizio spontaneo
della conoscenza, conosciamo con certezza la verit del principio di
contraddizione.
La minore: Giacch noi conosciamo con certezza la verit di esperienza
solo nella misura in cui siamo certi che alla cosa significata per il soggetto gli
corrisponde realmente il predicato che gli attribuiamo, escludendo che
simultaneamente possa corrispondergli il predicato contraddittorio: altrimenti
rimarremo sempre incerti. Ma facendo questo siamo certi dell'applicazione
necessaria del principio di contraddizione e, pertanto, della sua necessaria
verit. Quindi conosciamo la verit di esperienza nella misura in cui siamo certi
della verit necessaria del principio di contraddizione.
Da tutto ci si mostra sufficientemente che la verit del principio di
contraddizione deve apparire a noi necessariamente per la stessa comparazione
dei suoi termini: perch se noi vediamo necessariamente la sua applicazione,
vediamo necessariamente la sua verit. Ed in realt, comparando la nozione
positiva semplicissima che si verifica in tutti, cio la nozione di "ente", e la
negazione positiva di ente, cio, il non-ente, apertamente vediamo che la
seconda nozione deve negarsi assolutamente dalla prima. Perch siamo
coscienti che l'ente, precisamente in quanto ente, non pu essere non ente; e che
quindi ogni ente singolare determinato non pu simultaneamente e sotto lo
stesso aspetto essere singolare e non singolare, determinato e non determinato.
Terza parte. - Tale verit la pi fondamentale di tutte.
Partendo delle caratteristiche delle cose fondamentali. Verit
fondamentale quella che, se viene distrutta, si distrugge con essa ogni altra
certezza. Ora, tale la verit del principio di contraddizione: poich con la sua
applicazione giudichiamo ogni verit, e senza la sua applicazione non possiamo
giudicare nessuna verit. Quindi la verit del principio di contraddizione
fondamentale.
Domanda: Quale la differenza tra la conoscenza naturale e la
conoscenza spontanea?
Risposta: Ogni conoscenza naturale spontanea, ma non ogni
conoscenza spontanea naturale.
Infatti, la conoscenza spontanea, (quella cio che acquista per l'esercizio

spontaneo della conoscenza), pu essere immediata o mediata, necessaria o


contingente, defficiente o incrollabile, certa o incerta, comune o individuale, e
cos via.
Invecce, la conoscenza naturale (quella cio che si d necessariamente ed
infallibilmente per l'esercizio spontaneo della conoscenza) quella conoscenza
spontanea che immediata, necessaria, incrollabile, fondamentale, ed in questo
senso, la pi certa di tutte e comune a tutti noi: come se fluisse dalla stessa
natura del nostro intelleto.
Corollario. - Quindi si d in noi un criterio naturale della verit, che
ultimamente si risolve in un'evidenza dello stesso oggetto.
Il problema di se esiste un criterio genuino della verit una formula
equivalente ed intimamente legata al nostro primo problema, poich se non
possediamo qualche criterio genuino, non possediamo nessuna certezza
genuina. Lasciando a dopo lo studio pi completo del criterio della verit, qui
esplicitiamo solo alcuni punti sul suo valore naturale. Per evidenza capiamo
l'intelligibilit chiara dell'oggetto come esistente in s, in questo modo e non in
altro, cio, la necessit dell'oggetto manifestata alla mente.
La ragione del primo asserto, si deduce dal fatto che noi in realt
conosciamo alcune verit, sia nellambito dellesperienza che in quello
universale. Ma non possiamo conoscere alcuna verit se non si d un suo
criterio genuino. Quindi si d un criterio genuino della verit.
La ragione del secondo asserto, si deduce dal fatto che noi giudichiamo
di tutto alla luce del principio di contraddizione. Perch realmente, fino a che
non vediamo che l'oggetto cos e non altrimenti, rimaniamo incerti; ed al
contrario, quando lo vediamo, siamo sempre sicuri. E siccome la stessa cosa
vedere che l'oggetto cos e non altrimenti che cogliere qualche evidenza dello
stesso oggetto; noi non siamo certi fino a che non cogliamo qualche evidenza
dell'oggetto. Ed in questo senso, siamo naturalmente coscienti che l'evidenza
il criterio genuino della verit.
Obiezioni. - 1. Una nozione indeterminata non pu avere valore oggettivo su
cose determinate. cos che la nozione di ente indeterminata. Quindi non pu
avere valore oggettivo su cose determinate.
Risposta. Distinguo il maggiore: Non pu avere valore oggettivo rispetto
al modo come noi la concepiamo, acconsento; rispetto a ci che si concepisce,
lo nego. E contraddistinguo la minore.
Per spiegare questa distinzione conviene fare attenzione che noi
arriviamo a scoprire il modo con quale noi concepiamo (modum quo
concipitur), quando riflettiamo su una nozione gi posseduta e giudicata. In

questa maniera noi cogliamo che la nozione di ente comune, e in quanto


comune indeterminata secondo il suo modo proprio. Invece, quando noi
concepiamo spontaneamente questa nozione e giudichiamo secondo essa,
facciamo attenzione solo a ci che concepiamo (id quod concipitur), e solo
questo attribuiamo alle cose. Infatti, noi non pretendiamo di dire che le cose
sono in loro stesse enti indeterminati, bens vogliamo solo dire che le cose
singolari determinate, se sono qualcosa, sono ente.
2. Alcuni filosofi non scettici negarono il principio di contraddizione.
Quindi il principio di contraddizione non certo.
Risposta. Distinguo lantecedente: negarono il principio nel suo senso
ovvio, contemplato nella tesi, lo nego; in alcune delle sue applicazioni pi
difficili, lo concedo (o suddistinguo: illegittimamente ed illusoriamente, come
si vedr dopo, lo concedo; realmente, lo nego). E secondo queste distinzioni
nego la conseguenza.
3. Un principio che ha applicazioni oscure, non evidente. cosicch il
principio di contraddizione ha applicazioni oscure. Quindi non evidente.
Risposta. Distinguo la maggiore: un principio che ha applicazioni oscure
per ragione dell'oscurit dello stesso principio, non evidente, lo concedo; per
ragione dell'oscurit della materia alla quale si applica, lo nego. E
contraddistinguo la minore.
Cos come la proposizione "l'uomo animale razionale" appare evidente
alla mente, bench non si veda come debba applicarsi ad un ente distante che
non si distingue se uomo o albero, a maggiore ragione il principio di
contraddizione appare sempre evidente alla mente, bench qualche volta non si
veda chiaro come si debba applicarlo ad alcune materie oscure. In questo caso
l'applicazione non dipende dall'oscurit del principio, bens dell'oscurit della
materia.
4. Di fronte al primo problema critico meglio cominciare dal minimo
necessario. Quindi meglio non cominciare dalla dottrina delle verit naturali.
Risposta. Distinguo l'antecedente: trattando del problema critico sotto un
aspetto polemico e negativo, meglio cominciare da un minimo necessario, lo
concedo, ( perch meglio cominciare, per quanto possibile, dalle cose che
concede o deve concedere l'avversario); trattando il problema critico, sotto un
aspetto sistematico e positivo, lo nego. Perch meglio cominciare dalle cose
pi fondamentali e pi semplici, per potere arrivare con ordine alle pi
complesse e derivate. Ed ugualmente distinguo il conseguente.

ARTICOLO QUARTO
L'attitudine della mente per la verit
Senso dell'articolo. Nell'articolo secondo e terzo abbiamo mostrato
esplicitamente che noi conosciamo di fatto alcune verit. Di qui possiamo
concludere gi legittimamente che siamo capaci di conoscere la verit.
Ma prima di trarre questa conclusione esplicita, utile vedere come gli
scettici tentano di annullare la sua legittimit. Obiettano che non possiamo
essere certi della verit senza esser certi della capacit della nostra mente per la
verit e non possiamo essere certi della capacit della nostra mente senza esser
certi di alcune verit. E cos concludono che ogni tentativo di affermare la
verit e la capacit della mente per essa viziato con una petizione di principio
o con un circolo vizioso.
ovvio che se la verit e la capacit della mente per la verit, in un certo
senso non si affermano simultaneamente, questa difficolt degli scettici non ha
una soluzione diretta. Quindi prima di concludere positivamente il nostro primo
problema critico, bisogna esaminare di proposito: se ed in che maniera pu
l'uomo conoscere simultaneamente la verit e la capacit della sua mente per
essa.
TESI IV. Quando conosce la verit, l'uomo capta simultaneamente
esercitando questo atto ("simul exercite"), la capacit della sua mente per
la verit.
Prenozioni - 1. Questa tesi spiega e si stabilisce mediante un'ulteriore
dichiarazione e riflessione sui dati della coscienza gi considerati:
a) La coscienza ci riferisce che il giudizio latto per il quale la mente
dice di essere quello che o non essere quello che non ; o in altre parole: che
il giudizio una composizione speciale di due termini che esistono come uno, e
nella quale la cosa significata per il soggetto si dice che lo significato per il
predicato. Il giudizio pu essere diretto o riflesso: il giudizio diretto verte sulla
cosa oggettiva, per esempio "Pietro uomo"; il giudizio riflesso verte sull'atto
soggettivo, per esempio "Il giudizio Pietro uomo era vero".
b) Il giudizio l'atto perfetto della mente, cio: formalmente visivo, o
motivato per la stessa evidenza della cosa giudicata; formalmente cosciente, o
autotrasparente, nel quale molte cose si conoscono come se fossero una (in
modo sintetico), tanto da parte dell'oggetto come del soggetto. Quando in un
atto di conoscenza si conoscono le cose che si danno o succedono in quell'atto,
quella conoscenza si chiama conoscenza nell'esercizio dell'atto (in actu
exercito). In questo senso normalmente si dice che: nel giudizio diretto, nel

mentre si realizza l'atto (cio, "exercite"), conosciamo che noi conosciamo la


cosa; e che nel il giudizio riflesso, nel mentre si realizza l'atto (cio, "exercite"),
conosciamo che noi conosciamo l'atto precedente.
c) Il giudizio l'atto per il quale l'uomo pu riflettere su se stesso. La
riflessione naturale se si d necessariamente ed infallibilmente con lo stesso
esercizio spontaneo della conoscenza, (per esempio: la riflessione per la quale
nello stesso atto del giudizio conosciamo che noi conosciamo). artificiale se
procede dell'intenzione e si produce per un studio metodico (per esempio, la
serie ordinata di giudizi riflessi per la quale sviluppiamo la nostra indagine
critica). La riflessione naturale si chiama riflessione completa ("reditio
completa"), quando nello stesso esercizio dell'atto, dalla cosa conosciuta si
ritorna all'atto conoscitivo e al soggetto da cui procede quell'atto.
d) Dunque chiaro che l'uomo in ogni giudizio vero: direttamente si
dirige alla cosa sulla quale fa il giudizio, ma simultaneamente, nel mentre fa
latto ("exercite"), ritorna al suo atto in quanto tende alla cosa, ed a se stesso in
quanto tende per il suo atto alla cosa. Quindi, dal fatto che intende un
intelligibile, intende il suo stesso intendere, e attraverso l'atto conosce la
potenza intellettuale (I, q. 14 a. 2 ad 3).
2. chiaro che il nostro intelletto per la riflessione completa coglie molte
cose, durante lessercizio dellatto (exercite), che utilmente verranno esplicitate
in questa tesi.
Come gi abbiamo accennato dichiarativamente, la verit la
convenienza o conformit tra la nostra conoscenza attuale e la cosa. Pertanto la
capacit della nostra mente per conoscere la verit la capacit della nostra
mente per conformarsi alle cose e per conoscere questa sua conformit o
convenienza alle cose. Questa capacit pu considerarsi: come ancora in
potenza (prima di conoscere la verit), o come gi realizzata in atto, (quando la
verit si conosce in atto).
Nella tesi, tenendo in conto l'istanza scettica affermiamo che in ogni
giudizio vero, conoscendo alcuna verit simultaneamente per riflessione
completa captiamo la capacit della nostra mente per la verit in quanto gi
realizzata in atto.
Nel corollario, per concludere legittimamente il nostro primo problema
critico, passeremo dal fatto della conoscenza vera al riconoscimento ordinato
della capacit della nostra mente in quanto ancora in potenza.
Opinioni. - S. Tommaso nel De Veritate, q. 1 a. 9, domandando se la verit si
trova nei sensi risponde che la verit non pu trovarsi formalmente nei sensi,
perch i sensi non possono esercitare la riflessione completa. E cos di
passaggio ma acutamente, spiega come l'intelletto, mediante la riflessione

completa, conosce che appartiene alla natura della sua conoscenza conformarsi
alle cose. Nel secolo scorso KLEUTGEN cit espressamente questo testo di S.
Tommaso per spiegare che noi siamo certi della realt dell'ente sensibile, nella
misura in cui, attraverso la riflessione completa, capiamo che appartiene alla
natura della nostra conoscenza conformarsi alle cose sensibili. MERCIER us
lo stesso testo per risolvere il problema, da lui esplicitamente proposto, sulla
conoscenza certa della capacit della nostra mente per la verit. E nella
soluzione fa attenzione soprattutto alla riflessione completa che il filosofo fa
nei giudizi riflessi conclusivi dell'analisi criteriologica. Gli Scolastici Moderni
esaminarono soprattutto il valore della riflessione completa che noi abbiamo
esercitando l'atto del giudizio vero, pubblicando molti studi sul senso di questo
testo, sulla natura e sulla funzione della riflessione completa, le sue
implicazioni formali e virtuali.
Noi, in questa tesi tentiamo di esplicitare il valore e il ruolo della
riflessione completa nel momento di captare la capacit della nostra mente per
la verit, in quanto gi resa operativa nellatto. Per questo motivo bisogner
considerare come Avversari, gli stessi che abbiamo indicato nella tesi seconda,
cio: direttamente, gli Scettici e i Relativisti universali; almeno indirettamente
gli Idealisti ed Antintellettuali radicali; ed inizialmente i Soggettivisti rispetto
all'esistenza reale del mondo sensibile.
Prova della tesi. - Conoscendo la verit, l'uomo coglie simultaneamente,
esercitando questo atto ("simul exercite"), la capacit della sua mente per la
verit.
Mediante un riconoscimento dichiarativo. Quando conosciamo con
certezza alcuna verit, non conosciamo solo la cosa, n conosciamo solo la
nostra conoscenza, bens conosciamo simultaneamente la nostra conoscenza e
la cosa; perch siamo coscienti della nostra conoscenza come conforme alla
cosa. cos che, nello stesso esecitare latto (exercite) conosciamo, la capacit
della nostra mente per la verit in quanto gi portata a compimento nell'atto.
Quindi quando conosciamo con certezza alcuna verit, nello stesso esecitare
latto (exercite) conosciamo la capacit della nostra mente per la verit, in
quanto gi portata a compimento nell'atto.
La maggiore risulta dal fatto che: a) la verit non solo la cosa, n solo
l'intelletto, bens la conformit o convenienza tra la cosa e l'intelletto. Dunque,
quando conosciamo con certezza la verit, simultaneamente siamo coscienti
della nostra conoscenza e della cosa, o della nostra conoscenza come conforme
alla cosa. Ci viene confermato dal fatto che: b) fino a che non abbiamo la
coscienza di questa conformit, proseguiamo incerti, ed ogni volta che la

possediamo, diventiamo certi.


La minore. Perch essendo coscienti della nostra conoscenza in quanto
conforme alla cosa, conosciamo nel mentre esercittimao l'atto ("exercite") che
appartiene alla natura della nostra conoscenza attuale il conformarsi alle cose.
Ed in questo senso, conosciamo la capacit della nostra mente per la verit, in
quanto compiutamente esercitata nell'atto.
Ed ovvio che siamo coscienti della nostra conoscenza attuale come
conforme alla cosa, solo in quanto siamo capaci di riflettere completamente,
cio in quanto siamo capaci di ritornare dalla cosa conosciuta alla conoscenza
della natura del nostro atto, e mediante l'atto, alla natura conoscitiva dello
stesso soggetto. E risulta per lo stesso argomento prima addotto che questa
riflessione si realizza esercitando l'atto del giudizio vero. L'argomento si
conferma anche per riduzione all'assurdo:
Se non fossimo capaci di riflettere completamente mentre esercitiamo
l'atto del giudizio, bisognerebbe dire che siamo solo capaci di farlo in un
giudizio riflesso successivo. E cosicch questo conseguente falso, perch in
tale ipotesi il giudizio riflesso varrebbe al massimo come riflesso del
precedente, ma non come esercitato su se stesso. Allora, per conoscere la
legittimit di un giudizio, bisognerebbe riflettere all'infinito. E quindi anche
lantecedente falso.
Di questo tema tratta S. Tommaso nel suo celebre testo: La verit si
conosce "per l'intelletto, quando l'intelletto riflette sul suo atto, non solo in
quanto conosce il suo atto, bens in quanto conosce la proporzione del suo atto
rispetto alla cosa; la quale non pu esser conosciuta senza conoscere la natura
dello stesso atto; la quale non pu neanche esser conosciuta senza conoscere la
natura del principio attivo che l'intelletto, la cui natura quella di conformarsi
alle cose" (De Verit. q. 1 a. 9).
"E la ragione che le cose perfette, come sono le sostanze intellettuali,
ritornino alla loro essenza con un ritorno completo. Nel conoscere qualcosa che
sta fuori di esse, in un certo modo escono da s; ma conoscendo che conoscono,
cominciano gi a ritornare su se stesse, perch l'atto di conoscenza media tra il
conoscente e la cosa conosciuta" (Ibid).
"Conoscere la suddetta relazione di conformit, equivale a giudicare che
cos, o non cos nella cosa, il che equivale a comporre e a dividere", (In I
Periherm, lect. 3).
Per completare la dottrina utile segnalare che per lo stesso fatto che
siamo coscienti di avere alcuni giudizi veri sulla realt del mondo sensibile, la
riflessione completa ci d la coscienza: a) che i nostri concetti, sui quali si
reggono i giudizi, sono obiettivi delle cose sensibili, e che pertanto, b) che i

nostri sensi, a partire dai quali formiamo i concetti, hanno valore oggettivo sul
mondo sensibile, come dopo vedremo espressamente.
Corollario. - Dunque doppiamente siamo capaci di conoscere l'attitudine della
nostra mente per la verit: in primo luogo, naturalmente, esercitando l'atto di
qualunque giudizio vero; in secondo luogo, artificialmente e scientificamente,
intraprendendo un riconoscimento ordinato.
Ragione del primo asserto: perch ogni uomo conosce la verit, cogliendo
simultaneamente nell'esercizio dell'atto ("exercite"), la capacit della sua mente
esercitata nell'atto.
Ragione del secondo: perch l'uomo che filosofa, dopo un riconoscimento
esplicito della sua conoscenza attuale della verit, pu intraprendere
legittimamente il riconoscimento metodico della sua potenza per conoscere la
verit.
Il riconoscimento metodico, conclusivo del primo problema critico,
potrebbe proporsi in questa forma: dall'essere alla potenza, vale l'illazione.
cos che di fatto noi conosciamo alcune verit, tanto nell'ordine dell'esperienza
come nell'ordine universale. Quindi possiamo anche, (siamo capaci di),
conoscerle.
Questo riconoscimento dichiarativo che ora facciamo sulla capacit della
mente per conoscere alcune verit e per mettere che risolvere alcuni problemi
filosofici, bisogna riproporlo in ogni passo successivo del nostro trattato, fino
alle conclusioni finali sul problema della scienza.
Nota. Relazione tra la critica naturale e la Critica scientifica. Da quanto
detto in precedenza, possiamo concludere gi determinatamente quale relazione
intercorre tra la critica naturale e la Critica scientifica. Entrambe appartengono
alla critica umana e si riferiscono l'una all'altra. Per la critica naturale l'uomo
certo delle verit fondamentali alla cui luce giudica il tutto, e cos
abitualmente certo della capacit della sua mente per la verit. Alla luce
naturale di queste certezze che da sole bastano per eliminare indirettamente le
difficolt, l'uomo filosofo capisce spontaneamente la legittimit dell'esigenza
critica quando questa sorge, e si pone senza paura il problema critico: in primo
luogo, riconoscendo le verit che gi possiede; poi, tentando di acquisire verit
nuove. Cos, con la Critica artificiale acquisisce a poco a poco una dottrina
precisa e sistematica sul valore della sua conoscenza, necessaria per risolvere
direttamente le difficolt. Pertanto: a) la critica naturale fonda e sostiene la
Critica scientifica, b) la Critica scientifica esplicita e completa la critica
naturale.

Obiezioni. - 1. Non si pu affermare nessuna verit, se prima non si


presuppone la capacit per la verit. E cos che questo non legittimo, perch
cadremmo in una petizione o in un circolo. Quindi non pu affermarsi nessuna
verit.
Risposta. Distinguo la maggiore: non pu affermarsi nessuna verit, se
prima non si presuppone la capacit per la verit nell'ordine reale, lo concedo:
perch nell'ordine reale, la potenza attiva un presupposto per poter fare latto;
se prima non si presuppone la capacit nell'ordine logico, lo nego: perch
nell'ordine logico, si conoscono simultaneamente nell'esercizio dell'atto
(exercite) tanto la verit come la capacit per la verit, in quanto gi esercitata
in atto. Contraddistinguo la minore, e distinguo la ragione aggiunta: cadremmo
in una petizione o in un circolo, se nell'ordine logico primo affermassimo la
capacit e dopo la verit, acconsento; se li affermiamo simultaneamente, lo
nego.
2. In ogni giudizio riflettiamo completamente. Quindi in ogni giudizio
dobbiamo conoscere la verit.
Risposta. Distinguo l'antecedente: in ogni giudizio riflettiamo
completamente, nel senso che dall'atto validamente conosciuto ritorniamo al
soggetto conosciuto, lo concedo; nel senso che dalla cosa validamente
conosciuta ritorniamo all'atto validamente conosciuto e mediante l'atto al
soggetto validamente conosciuto, suddistinguo; nei giudizi veri, concedo; nei
giudizi falsi, nego. E nego la conseguenza. Dalle distinzioni segue che anche
nel giudizio falso conosciamo qualcosa di vero; ma che solo nel giudizio vero
conosciamo la verit, o la convenienza o conformit tra l'affermazione del
giudizio e l'oggetto sul quale proferiamo il giudizio.
3. Il filosofo afferma l'attitudine della mente o a priori, o dopo
l'investigazione filosofica. cos che questo non lo fa non a priori: perch i
fatti non possono supporsi a priori. Quindi dopo l'investigazione filosofica.
Risposta. Aggiungo un terzo: o esercitando l'atto ("exercite") prima
dell'investigazione filosofica, e segnatamente ("signate") al termine della
conclusione dell'investigazione filosofica. Concedo la minore secondo la
ragione addotta, e nego la conseguenza. Bisogna dire che l'attitudine della
mente si afferma o a priori o a posteriori; e se a posteriori, almeno esercitando
l'atto ("exercite"), o anche segnatamente ("signate"). Quindi la maggiore dalla
difficolt non strettamente disgiuntiva.
4. Nell'esercizio della conoscenza spontanea si d una sicurezza della
mente, tanto nei giudizi veri come in quelli falsi. Quindi nella vita spontanea

non si manifesta ancora la verit, e pertanto non consta dell'attitudine della


mente per la verit.
Risposta. Distinguo l'antecedente: nella vita spontanea si d una
sicurezza genuina della mente nei giudizi veri e solo stimata nei giudizi falsi, lo
concedo; si d la stessa sicurezza della mente tanto nei giudizi veri come nei
giudizi falsi, lo nego. E nego entrambe le conseguenze.
Istanza: Nella vita spontanea non siamo capaci di distinguere tra una
certezza solo stimata ed una certezza davvero genuina.
Risposta. Distinguo: non siamo capaci in tutte le cose, lo concedo; non
siamo capaci in alcune cose del tutto manifeste, per esempio, nelle
fondamentali, lo nego.
Come mostreremo a tempo debito, la facolt la cui natura conoscere la
verit per la stessa evidenza dell'oggetto, solo pu essere necessitata per la
stessa evidenza; quindi se sbaglia, sbaglia sempre in un certo modo, dovuto ad
un'inavvertenza e sotto l'influsso della volont, cio, per qualche violenza e
contro la sua natura: per ci mai nel giudizio erroneo vi una sicurezza genuina
della mente.
Detto questo in generale, bisogna notare che questo influsso della
volont non pu darsi sulle verit naturali, perch l'influsso della volont non
pu cambiare la natura dell'intelletto(25). E la capacit per distinguere
chiaramente nella vita spontanea alcune certezze genuine da altre certezze solo
stimate ma non genuine, si dimostra nella spontaneit con la quale aderiamo
alla verit della nostra esistenza, del principio di contraddizione, etc.,
nonostante tutte le obiezioni contrarie proposte o proponibili.
5. Secondo S. Tommaso "ci che per primo concepisce l'intelletto, come
notissimo, ed in cui risolve tutte le sue concezioni, l'ente" (De Verit, q. 1 a.
1); mentre che il principio di contraddizione " naturalmente il primo nella
seconda operazione dell'intelletto, che compone e divide" (In IV Metaph, lect.
6, n. 605). Dunque, almeno secondo S. Tommaso, quello che l'intelletto
conosce per primo non la sua attitudine per la verit.
Risposta. Concedo il testo e distinguo il senso: secondo S. Tommaso,
quello che l'intelletto capisce per primo apprendendo, l'ente tratto dalle cose
sensibili, lo concedo; quello che l'intelletto intende per primo giudicando,
suddistinguo: solo ed unicamente il principio di contraddizione, lo nego;
l'ente sotto la legge del principio di contraddizione da parte dell'oggetto, e la
conformit della conoscenza con tale ente da parte del soggetto, lo concedo. E
di modo simile distinguo il conseguente.
Secondo questa dottrina che facciamo nostra e tentiamo di illustrare,

affermiamo che l'uomo, gi dal suo primo giudizio vero, si mette in un stato di
certezza valida su quelle verit fondamentali che riflessivamente abbiamo
riconosciuto e difeso nella presente questione. Possiamo dire pertanto che dal
suo primo giudizio l'uomo inizia quella critica naturale alla cui luce capir, a
tempo debito, la legittimit dell'esigenza filosofica ed il modo legittimo di
proporre i primi problemi della filosofia.

ARTICOLO QUINTO
Metodo del primo problema critico
Senso dell'articolo. - Tra i filosofi realisti non si d differenza fondamentale
sul metodo di procedere nella soluzione del primo problema critico, perch tutti
cominciano in realt dalla dichiarazione e dalla conferma di alcune esperienze
prescelte. Piuttosto la differenza sta nella spiegazione della natura del
problema. Cos, sar utile esaminare esplicitamente e a modo di sintesi dalla
dottrina precedente, quale sia la natura propria del primo problema critico.
Questa questione normalmente considera due aspetti: la natura dello stato
della mente che si propone il problema, e la natura del metodo che bisogna
seguire per esporlo, svilupparlo e portarlo a conclusione. Nel presente articolo
trattiamo della legittimit del metodo; nel successivo, completando la nostra
sintesi risolutiva, tratteremo dello stato iniziale legittimo della mente.
TESI V. - Il filosofo si porre con ogni liceit il primo problema critico,
come un problema in senso ampio, ed in conseguenza lo risolve
positivamente con un riconoscimento dichiarativo, e difensivamente con
un'argomentazione indiretta.
Prenozioni - 1. Per metodo normalmente si intende lordine che la mente segue
nell'acquisizione della scienza. Possiamo avere due conoscenze sulla rettitudine
del metodo: una, concomitante alla stessa acquisizione della scienza, quando
acquisendo la scienza siamo simultaneamente certi della rettitudine del metodo
con cui procediamo; altra, susseguente alla scienza gi acquisita, quando
riflettiamo sulla scienza gi acquisita, per stabilire una dottrina precisa sul
metodo retto usato e da usare in casi simili. In questa tesi vogliamo stabilire
questa dottrina precisa.
2. Per problema normalmente si intende la domanda con cui ci si
interroga se un predicato convenga o no ad un soggetto. Problema
impropriamente detto, o pseudo-problema, quello che implica una

contraddizione o errore nella sua formulazione; problema propriamente detto o


problema di supposizione vera, quello che non implica n contraddizione n
errore. Il problema propriamente detto si suddivide nella tesi in problema
strettamente ed ampiamente detto: strettamente detto, quello che si dirige ad
una soluzione che ancora si ignora; ampiamente detto, quello che si dirige ad
una soluzione che implicitamente si conosce gi in atto. Tanto il problema
ampiamente detto, come quello strettamente detto, pu esaminare: se qualcosa
esiste ("an sit"), o che cosa un qualcosa ("quid sit").
3. Cos come al problema impropriamente detto pu corrispondere solo
una dimostrazione illusoria, cos al problema propriamente detto, corrisponde
una dimostrazione vera. Al problema strettamente detto corrisponde una
dimostrazione strettamente detta, o un processo mentale che va della cosa
conosciuta alla cosa ignorata (un sillogismo dimostrativo, o pi brevemente una
dimostrazione). Al problema ampiamente detto corrisponde una dimostrazione
ampiamente detta, o un processo mentale che va della cosa implicita alla cosa
esplicita (un sillogismo dichiarativo, o pi brevemente una dichiarazione). Al
problema "se esiste qualcosa", gli corrisponde una dimostrazione o una
dichiarazione per un mezzo concreto o di esperienza. Al problema "che cosa
un qualcosa", gli corrisponde una dimostrazione o dichiarazione per un mezzo
astratto o assolutamente considerato.
4. Trattiamo nella tesi di come si deve proporre il primo problema a
livello della riflessione critica e lo consideriamo secondo la sua formulazione
primaria (cio: se risulta con certezza che l'uomo capace di conoscere la
verit), tenendo in conto che quello che si dice della formulazione primaria
bisogna dirlo proporzionalmente delle formulazioni equivalenti, per esempio:
se consta con certezza che l'uomo pu cogliere l'ente reale; o: se consta con
certezza che l'uomo capace di cogliere l'ente reale con l'intelletto. E cos
affermiamo che: a) il filosofo pu proporre legittimamente questo problema, ma
che, b) deve farlo a modo del problema ampiamente detto, e conseguentemente
affermiamo che, c) la sua soluzione positiva si ottiene con la dichiarazione di
qualche conoscenza immediata e naturale, e che, d) inoltre, sempre pu avere
una soluzione difensiva, mediante un'argomentazione indiretta, che mostra la
contraddizione o la falsit delle opinioni opposte. Di qui le quattro parti della
prova della tesi.
Opinioni. - In questa questione la differenza di opinioni normalmente sorge per
non avere bene compreso la distinzione tra la problematica strettamente detta,
nella quale spontaneamente pensiamo quando parliamo di far fronte a un
problema, e la problematica ampiamente detta, nella che riflessivamente si

pensa ogni volta che pretendiamo di iniziare con ordine una qualche dottrina
sistematica sulle cose prime e fondamentali.
Alcuni, non distinguendo tra il problema strettamente detto e
l'ampiamente detto, e dato il fatto che in questo caso il problema strettamente
detto conduce allo Scetticismo, pensano che il problema critico uno
pseudo-problema, originato da una
esigenza critica illegittima, e perci affermano che il filosofo non debba porsi
tale problema. Cos alcuni Scolastici del secolo scorso che dichiaratamente
concepivano solo il problema strettamente detto.
Altri, al contrario, che neanche distinguono tra il problema strettamente
ed ampiamente detto, e pensano che il filosofo debba porsi il problema critico
in modo scrupoloso, l'esposero a modo di problema strettamente detto, cio
usando formulazioni e sviluppi propri del problema strettamente detto. Gli
antichi Scettici adoperarono questo tipo di radicalismo, applicandolo alla
verit, ed in generale gli Idealisti moderni applicandolo all'ente reale, e gli
Antintellettuali all'ente intelligibile.
Gli Scolastici moderni, bench in realt differiscano nella formulazione,
concordano nell'ammettere la legittimit del problema critico, nel proporre la
soluzione per mezzo di una dichiarazione, conferma e difesa, ed nell'escludere
ogni dimostrazione iniziale strettamente detta.
Prova della prima parte della tesi. - legittimo porsi il problema critico:
Questa parte della tesi si gia nota da quanto detto nella prima tesi.
Perch se l'esigenza filosofico-critica legittima, anche legittimo porsi il
problema critico per ottenere una dottrina ordinata e sistematica, primo
sull'esistenza e dopo sulla natura della conoscenza vera, per poter di l
concludere coerentemente sulla possibilit e la natura della scienza umana.
Questa parte della tesi pu essere provata pi in particolare, partendo delle
caratteristiche del problema filosofico:
Il filosofo pu proporsi senza dubbio e legittimamente un problema
sincero che verta sulle cause ultime e non implichi nessuna supposizione falsa.
Ora, tale il primo problema critico. Quindi il filosofo pu porsi
legittimamente il primo problema critico.
La minore. Infatti, il primo problema critico: a) un problema sincero,
perch cerca di acquisire una dottrina distinta e sistematica che ancora si
ignora; b) verte sulle cause ultime, perch tratta della conoscenza fondamentale
dell'attitudine della mente per la verit; c) non implica nessuna supposizione
falsa, perch la pretesa di un esame esplicito non contraddice le cose esercitate
implicitamente, e perci non esige nessuna ritrattazione n sospensione delle
stesse.

L'argomento pu essere illustrato partendo della necessit di risolvere le


difficolt. Perch contro il fatto della conoscenza vera insorgono molte
difficolt che il filosofo deve considerare direttamente e risolvere. Ma le
difficolt solo si risolvono direttamente alla luce di alcuna dottrina gi
acquisita. E questa dottrina non si possiede prima della filosofia, cio ancora si
ignora. Quindi il filosofo deve acquisire questa dottrina. E non si acquisisce
senza un'investigazione ed esame riflessi. Quindi il filosofo deve esaminare
riflessivamente il fatto della conoscenza vera, o deve investigare esplicitamente
se si manifesta con certezza che l'uomo capace di conoscere la verit.
Seconda parte. - Deve porsi come problema ampiamente detto:
Partendo dalle caratteristiche del problema ampiamente detto: Un
problema ampiamente detto quello che sorge nella certezza esercitata ed
abituale della soluzione che si cerca. Ora, tale il primo problema critico.
Quindi il primo problema critico un problema ampiamente detto.
La minore appare per il fatto che ogni uomo: a) conosce naturalmente
alcune verit, come vedemmo nella tesi seconda e terza; b) conoscendo
simultaneamente, esercitando l'atto ("exercite") ed abitualmente, l'attitudine
della sua mente per la verit, come vedemmo nella quarta tesi.
L'argomento pu illustrarsi partendo dell'impossibilit di una
dimostrazione strettamente detta. Perch come dicemmo gi, le verit originarie
e fondamentali non possono essere dimostrate propriamente e strettamente. E se
non si possono dimostrare, neanche possono essere materia di un problema
strettamente detto; perch un problema strettamente detto quello che si ordina
ad una dimostrazione strettamente detta. Quindi il primo problema critico pu
essere solo un problema ampiamente detto.
Terza parte. La sua soluzione positiva si ottiene con la dichiarazione di
qualche conoscenza immediata e naturale.
Per esclusione: Il primo problema critico non pu risolversi
positivamente per una dimostrazione strettamente detta: perch un problema
ampiamente detto. Quindi si risolve per una dichiarazione. Ma non per una
dichiarazione che usa un termine medio astratto: perch un problema su se
esiste ("an sit") la conoscenza vera. Quindi per una dichiarazione che usa un
termine medio concreto, o per dichiarazione di qualche conoscenza concreta.
Ora, questa conoscenza concreta: a) non pu essere in ultimo termine una
conoscenza mediata: perch ogni conoscenza mediata si risolve in una
immediata; b) n pu essere in ultimo termine una conoscenza artificiale:
perch ogni conoscenza artificiale si fonda su una naturale. Quindi il primo

problema critico si risolve ultimamente con la dichiarazione di qualche


conoscenza concreta, immediata e naturale.
SUAREZ ha espresso con queste parole, riflesso della tradizione
Scolastica, la funzione della filosofia prima sulle verit naturalmente
conosciute: "Ammettiamo che la funzione di questa scienza sui primi principi,
non produrre quel'assenso evidente e certo che l'intelletto, guidato dalla luce
naturale, concede senza nessun discorso ai primi principi sufficientemente
proposti.... Appartiene a questa scienza adoperare qualche discorso sugli stessi
primi principi, col quale essi vengano in qualche modo confermati e difesi ....
La metafisica non aumenta l'evidenza o la certezza, e neanche l'intensit dello
stesso assenso.... Infatti l'assenso della metafisica non n pi certo n pi
evidente che l'assenso dell'abito dei principi... poich sempre necessario
appoggiare l'assenso della metafisica su alcuni primi principi, per se stessi
conosciuti. Per questa ragione diciamo che la metafisica non aumenta
intensivamente l'evidenza o la certezza sui primi principi, bens solo
estensivamente, conferendo loro una nuova evidenza e certezza" (Disp.
Metaph. D. 1 4, nn. 16 et 19).
Parte quarta. Pu avere sempre una soluzione difensiva, mediante
un'argomentazione indiretta, che mostra la contraddizione o la falsit delle
opinioni opposte.
Partendo della stabilit e dalla infallibilit della conoscenza naturale:
La soluzione positiva del primo problema critico si d per la dichiarazione di
una conoscenza naturalmente immediata. cosicch la soluzione che si d
naturalmente per la dichiarazione di una conoscenza naturalmente immediata,
pu difendersi sempre mediante un'argomentazione indiretta. Quindi la
soluzione positiva del primo problema critico, pu difendersi sempre mediante
un'argomentazione indiretta.
La minore risultare del fatto che le verit naturalmente immediate, si
esercitano sempre infallibilmente, poich alla loro luce giudichiamo tutto, e
pertanto solo possono essere negate illusoriamente, e sar sempre possibile
mostrare questa illusione mediante un'argomentazione indiretta.
Obiezioni. - 1. Sulle cose primariamente evidenti non si pu fare nessuna
investigazione. cosicch le verit originarie e fondamentali sono
primariamente evidenti. Quindi su esse non si pu fare nessuna investigazione.
Risposta. Distinguo la maggiore: sulle cose primariamente evidenti non
si pu fare nessuna investigazione per conoscerle per prima, lo concedo; per
riconoscerle riflessivamente e sistematicamente, suddistinguo: non si pu fare

nessuna investigazione strettamente detta, lo concedo; non si pu fare nessuna


investigazione ampiamente detta, lo nego. Concedo la minore ed ugualmente
distinguo il conseguente.
Istanza: Il nostro intelletto non pu cercare con sincerit quello che
possiede gi con evidenza.
Risposta. Distinguo: l'intelletto non pu cercare con sincerit quello che
possiede gi distintamente con evidenza e sotto tutti gli aspetti, lo concedo; non
pu cercare con sincerit quello che ancora non possiede distintamente con
evidenza e sotto tutti gli aspetti, lo nego.
Le verit originarie e fondamentali sono primariamente evidenti, e cos
primariamente conosciute e sempre ritenute. Ma la loro tenuta spontanea
"exercita" ed implicita, ed in questo senso, le verit originarie e fondamentali
possono essere riconosciute esplicitamente e distintamente. Il filosofo deve
procedere al loro riconoscimento dottrinale ordinato ed esplicito, non solo per
poi sviluppare sistematicamente la dottrina sulle verit derivate e fondate, ma
anche per risolvere le difficolt che sorgono contro le stesse verit originarie e
fondamentali. Deve dunque analizzare distintamente le sue conoscenze, ed in
questo senso indagare riflessivamente il loro valore. Durante il processo di
questo esame, possono darsi alcune dimostrazioni collaterali strettamente dette,
ma questo processo, nel suo senso fondamentale, solo pu essere ampiamente
detto.
2. Nell'investigazione critica il filosofo deve procedere con una sincerit
radicale. Ma procedendo con una sincerit radicale mette un problema
strettamente detto. Quindi il filosofo nell'investigazione critica deve mettersi un
problema strettamente detto.
Risposta. Concedo la maggiore e distinguo la minore. Quando procede
con una sincerit radicale su cose che semplicemente ignora, il filosofo si mette
un problema strettamente detto, concedo; procedendo con una sincerit radicale
su cose che ignora solo in parte ("secundum quid"), nego. Perch in questo caso
si mette un problema ampiamente detto. Ed ugualmente distinguo il
conseguente.
Un'investigazione genuinamente filosofica deve procedere sempre con
una sincerit radicale, e pertanto prescindendo da qualunque pregiudizio o
affetto. Quando si tratta di una cosa semplicemente ignorata, il filosofo si vede
obbligato per la sua stessa sincerit a sviluppare il problema in un senso
strettamente detto. Ma quando si tratta di una cosa che si ignora solo sotto
laspetto esplicito e distinto, perch sempre si offre validamente ed
esercitamente conosciuta, il filosofo si vede obbligato per la sua stessa
sincerit a sviluppare il problema solo in un senso ampiamente detto.

3. Quando si mette il primo problema conviene evitare il pericolo di


mantenere alcuni aderenze false. cosicch il pericolo di mantenere aderenze
false si evita sospendendo ogni assenso. Quindi mettendo il primo problema
critico, conviene sospendere ogni assenso, e pertanto si deve mettere il
problema in un senso stretto.
Risposta. Tralascio la maggiore, perch mettendo il primo problema
critico, non conviene solo evitare il pericolo di mantenere aderenze false, bens
conviene anche evitare il pericolo di respingere aderenze vere, e distinguo la
minorenne: il pericolo di mantenere aderenze false si evita primo esaminando e
dopo eliminando le aderenze false, concedo; primo eliminando e dopo
esaminando, nego. Ed ugualmente distinguo il conseguente.
Se il filosofo cominciasse ritrattando o sospendendo tutti i suoi assensi,
dovrebbe ritrattare o sospendere il suo assenso sulla propria esistenza, sulla
realt della propria conoscenza, sulla propria intenzione di esaminare, sul
principio di contraddizione, etc. E cos non avrebbe oramai nessuna possibilit
di avanzare nel suo esame. In questo senso, il filosofo non deve cominciare
ritrattando o sospendendo tutti i suoi assensi, n deve cominciare la sua
inquisizione a modo di problema strettamente detto. Deve esaminarlo piuttosto
tutto, affinch dopo questo esame possa con coscienza pi piena mantenere le
sue convinzioni vere e respingere le sue convinzioni false; e precisamente in
questo senso deve cominciare la sua inquisizione a modo di problema
ampiamente detto. Da ci si capisce facilmente, che la questione sul metodo
genuino del problema critico implica anche la questione sullo stato iniziale
genuino della mente.

ARTICOLO SESTO
Lo stato iniziale della mente
Senso dell'articolo. - 1. La questione sul metodo del primo problema critico,
pu esser trattata prima di avere risolto il problema o dopo averlo risolto:
Quando viene trattata prima, l'investigazione si fonda sulla conoscenza
esercitata ("exercita"), ed abituale della natura della nostra mente, o sulla
conoscenza della natura della nostra mente, antecedente alla riflessione
filosofica che necessariamente possediamo per la critica naturale. In questo
caso il fine tirare fuori le prime idee dirette sul metodo legittimo per preparare
ed ottenere la soluzione iniziale. Quando viene trattata dopo la soluzione,
l'investigazione si fonda sul riconoscimento riflesso ed esplicito della natura
della nostra mente, o sulla conoscenza della natura della nostra mente gi

acquisita per una critica scientifica. In questo caso il fine tirare fuori una
dottrina esplicita e sistematica sul metodo legittimo, gi impiegato per
preparare e risolvere il primo problema, ed utilizzabile in sviluppi futuri
equivalenti dello stesso problema.
2. L'investigazione che si compie antecedentemente alla prima soluzione,
serve per tirare fuori le prime idee direttive, ma per la sua stessa natura iniziale
e provvisoria, non offre una dottrina completa n sistematica sul metodo del
primo problema critico. Invece, l'investigazione che segue alla prima soluzione,
non serve pi per tirare fuori le prime idee direttive, ma s per ottenere una
dottrina completa sul metodo. Per questo motivo noi, nel corollario della prima
tesi, abbiamo dedotto alcune prime idee direttive, e nella tesi precedente,
basandoci sulle anteriori, abbiamo tiramo fuori la dottrina sulla legittimit della
metodologia impiegata e da impiegare nelle successive.
3. La questione su quale sia il metodo legittimo per affrontare il primo
problema, implica anche la questione su quale sia lo stato legittimo della mente
che per la prima volta si pone il problema critico. Questo si conferma
constatando come una concezione diversa sulla natura del metodo, porta ad una
conclusione differente sulla natura dello stato iniziale. Gi nella prima tesi
dicemmo qualcosa sulla natura dello stato iniziale della mente, per legittimare
di passaggio la posizione che prendevamo. Ora vogliamo completare la sintesi
risolutiva di questa nostra prima investigazione, trattando di proposito dello
stato iniziale legittimo.
TESI VI. - Lo stato della mente che si pone per la prima volta il problema
critico, uno stato coscientemente esaminativo ed in senso ampio
inquisitivo, motivato in molte certezze spontanee legittime ed ordinato per
la sua stessa natura ad ottenere una certezza riflessa.
Prenozioni - 1. Per dubbio normalmente si intende lindeterminazione o
fluttuazione della mente tra entrambi le parti della contraddizione.
Normalmente si distingue in: a) reale o fittizio, a seconda che si dia veramente
nella mente o si simuli solo di averlo; b) negativo o positivo, a seconda che si
fondi su un difetto o su un'uguaglianza di motivi su entrambi le parti della
contraddizione; c) particolare o universale, a seconda che si riferisca ad alcune
o tutte le verit; d) metodico o definitivo, a seconda che si assuma all'inizio
della questione con lo scopo di trovare la verit, o si mantenga alla fine della
questione ed in essa si riposi. Il dubbio metodico si distingue in: metodico per
la sola intenzione, ma non per la sua stessa natura, e in metodico per
l'intenzione e per la sua stessa natura. Il primo si ritiene adatto per trovare la

verit, ma in realt piuttosto la ostacola; il secondo si ritiene, ed realmente


adatto a conseguire la verit.
ovvio che se il primo problema critico generale fosse un problema
strettamente detto, bisognerebbe dire che iniziava con un dubbio metodico
generale o universale. Ma siccome solo pu essere un problema ampiamente
detto, bisogna escludere tanto la formula del dubbio universale, quanto le
formule equivalenti al dubbio universale.
2. Per giustificare questa esclusione negativa, investigheremo ora quale
realmente lo stato della nostra mente quando si pone per la prima volta il
problema critico. Consideriamo anche il problema in quanto che si propone
come l'inizio sistematico del filosofare; e, come gi sottolineavamo nella tesi
precedente, lo consideriamo nella sua formulazione primaria, notando ogni
volta che quello che si dice della formulazione primaria vale proporzionalmente
per le formulazioni equivalenti.
Nella tesi affermiamo in primo luogo, che lo stato iniziale della mente
che si pone il problema critico uno stato coscientemente esaminativo ed in
senso ampio investigativo. Poi notiamo che questo stato iniziale, precisamente,
poich coscientemente esaminativo ed inquisitivo di quelle verit che
conosciamo sempre "exercite", si fonda chiaramente in molte certezze
spontanee legittime. Infine concludiamo che questo stato iniziale per s, cio,
per la sua stessa natura, adatto per ottenere mediante un riconoscimento
esplicito, la prima certezza riflessa.
Di qui le tre parti per provare la tesi. Nel corollario applicheremo queste
conclisioni alla formula del dubbio universale e le formule equivalenti.
Opinioni. - Consideriamo le diverse opinioni sullo stato della mente che si
pone per la prima volta il problema critico, facendo attenzione soprattutto alle
loro concezioni generali sul metodo.
1. Nell'Antichit Aristotele, nel cap. 1 lib. III, (B) della Metafisica,
afferma che allinizio di ogni questione conviene esaminare soprattutto le
ragioni contrarie o le difficolt, tanto quelle gi proposte come quelle che
bisognerebbe proporre. Perch considerando la difficolt (apora) e penetrando
la sua forza, la nostra mente viene come annoda e cos rimane impedita
(aporen) di procedere oltre prima di risolvere la difficolt, e quindi viene
spinta ad investigare, per ottenere in questo modo finalmente la verit
(euporsai). In questo senso conviene saperdi collocare bene di fronte alle
difficolt (diaporsai kals), cio suscitare e determinare la questione secondo

il senso della difficolt (cfr. 975 a 24b 10). Questo metodo aristotelico fu molto
usato tra gli antichi, e dopo l'opera di Abelardo, (De sic et non), divent
comune tra gli Scolastici medievali.
Nei brani inmediatamente sucessivi, Aristotele afferma con frequenza
che la filosofia prima (la Metafisica) deve considerare le difficolt tanto contro
i principi delle cose come contro i principi della conoscenza delle cose. E nel
lib. IV, quando tratta esplicitamente della conoscenza naturale della verit del
principio di contraddizione, mostra molto chiaramente che il filosofo deve
considerare e risolvere i dubbi e le difficolt dei sofisti, ma mai deve farle sue
(c. 6 ss.). Quindi il metodo aporematico di Aristotele pretende anche di
considerare il dubbio universale contro la verit, ma escludendo la
partecipazione soggettiva (adesione psicologica) nel dubbio considerato. Ed in
questo senso l'investigazione filosofica si estende legittimamente a tutte le
cose.
2. All'inizio della filosofia moderna Cartesio, pensando che prima egli
aveva ammesso molte cose false come vere, e che in filosofia non c' niente su
cui non si possa disputare, pens ad un nuovo metodo per fondare la filosofia.
Questo metodo si proponeva di trovare una qualche verit iniziale indubitabile,
da cui partire per sviluppare tutta la filosofia, mediante una deduzione rigorosa.
La caratteristica principale di questo metodo consiste nell' assumere come
universalmente dubbie tutte quelle cose che, in qualche caso particolare
possano accogliere un qualche sospetto di incertezza. "Bisogner ritenere come
false tutte quelle cose delle quali abbiamo dubitato qualche volta, affinch cos
appaia, con tanta maggiore chiarezza, quale cosa sia la pi certa e la pi facile
da conoscere" (Princ. Philos., Adam-Tannery, II p.5).
Seguendo questa concezione metodologica generale, e dopo aversi
stabilito alcune regole diretttive e pratiche, comincia a dubitare intensamente di
ogni attestazione dei sensi, poich per causa loro ci sbagliamo qualche volta; di
ogni stato di veglia, poich qualche volta nel sonno sogniamo stati identici; di
tutte le verit dimostrate, perfino le matematiche, poich anche in queste
qualche volta vi si insinua un errore; e infine arriva a pensare all'ipotesi di un
genio maligno, potentissimo che ci inganna in tutti gli atti. Mi trovo immerso
in cos tanti dubbi che non posso dimenticarmi pi di essi, e non vedo in che
modo li risolver. Sono tanto turbato, come se improvvisamente mi trovassi in
un profondo mulinello che non mi lascia toccare il fondo con il piede n
nuotare verso la superficie (Med. II, inizio). Ma poi repentinamente, questo
dubbio attuale gli fa avvertire la verit dell'esistenza di se stesso pensante,
come evidentemente e necessariamente implicata nello stesso fatto del dubbio:
Ma subito mi accorsi che io, che respingevo le altre cose come false, non
potevo dubitare totalmente senza che io stesso, dubitando, esistessi. E poich

vedevo che l'evidenza di questo enunciato, io penso, dunque sono o esisto


("ego cogito, ergo sum sive existo)", era tanto certa e chiara, che nessun
Scettico sarebbe stato capace di inventare un motivo di dubbio tanto enorme, da
cui non si esimerebbe, credetti di poterlo assumere, con ogni sicurezza, come
quel primo fondamento della filosofia che cercavo" (Dissert. de Meth., IV,
p.558). Il cogito cartesiano un cogito realistico, ma limitato, per lo stesso suo
dubbitare, alla realt del soggetto che pensa le sue idee interne. Il dubbio
cartesiano fu un dubbio soggettivament condiviso, metodico per intenzione,
frequentemente fondato nei motivi con cui gli Scettici tentano di arrivare al
dubbio universale. Il metodo cartesiano esercit un influsso diretto o indiretto
su molti autori posteriori, e gli idealisti l'interpretarono in un modo speciale,
prendendo le mosse da un cogito radicalmente inmanentista.
3. Nel pensiero moderno Husserl, osservando di nuovo la diversit di
opinioni, cominci a pensare di trovare una filosofia primaria, motivata in
un'evidenza apodittica nella quale tutti potessero coincidere inizialmente. Prima
di tutto stabilisce il principio che bisogna procedere con una sincerit radicale,
e che tutto quello che si d originariamente nell'intuizione, bisogna prenderlo
come si d ed entro i limiti in cui si d. Quindi sviluppa una fenomenologia
dalla coscienza, in cui chiede una riduzione eidetica o un prescindere dal qui ed
ora dei dati, per ottenere cos, la visione pura delle essenze; e poi anche una
riduzione o epoch fenomenologica, cio prescindere dalla persuasione
naturalista dello stesso essere reale dei dati oggettivi e soggettivi, per ottenere
cos una visione pura della coscienza intenzionale. La visione husserliana,
dovuta al pregiudizio che l'essere reale naturalista non apoditticamente
evidente, si limita al "penso un pensiero pensato in quanto pensato" ("cogito
cogitatum qua cogitatum"). La filosofia fondata e sviluppata su tale visione,
viene chiamata da Husserl, con un senso proprio, idealismo fenomenologico
trascendentale. Poi molti pensatori Moderni svilupparono la propria
fenomenologia, generalmente liberi dal pregiudizio idealista, ma non sempre
liberi dal pregiudizio antintellettuale.
4. Tutti gli Scolastici normalmente respingono il dubbio cartesiano come
illegittimo e metodologicamente inetto. Gli Scolastici moderni escludono
anche, in generale, lesclusione husserliana dell'essere reale, come illegittima e
metodologicamente inadatta. Ma si danno tra essi alcune differenze nelle
formule con cui descrivono lo stato iniziale.
Seguendo Mercier, alcuni Neoscolastici pensarono che il dubbio
cartesiano fu metodico, universale, positivo e reale, e lo respinsero come inetto;
ma professarono un dubbio metodico universale negativo, sia reale che finto.
Professarono il dubbio reale, a quanto pare, lo stesso Mercier, almeno quando

parla di una scelta iniziale dell'astensione e dell'ignoranza, ed anche Jeannire.


Professarono un dubbio finto, Maquart che si rif a Geny, e recentemente
Thonnard.
Oggi si tende ad abbandonare la formula del dubbio universale. Ma
alcuni sembrano confondere le certezze spontanee dalle quali il filosofo pu
prescindere, con le certezze naturali dalle qualli non pu prescindere; come per
esempio Zamboni che respinge il dubbio universale, ma afferma l'antinomia tra
la certezza riflessa e tutte le certezze spontanee.
Prova della prima parte della tesi: Lo stato iniziale della mente che si pone il
problema critico, uno stato coscientemente esaminativo e in senso ampio
investigativo.
Partendo della coscienza. Lo stato della mente che inizialmente si pone
il problema critico, lo stato della mente che si domanda in modo esplicito se
realmente conosce con certezza alcune verit. cosicch lo stato della mente
che si domanda in modo esplicito se conosce con certezza alcune verit, uno
stato coscientemente esaminativo ed in senso ampio inquisitivo. Quindi lo stato
della mente che inizialmente si pone il problema critico uno stato
coscientemente esaminativo ed in senso ampio inquisitivo.
La minore pu chiarirsi brevemente cos, da quanto detto anteriormente:
a) uno stato della mente cosciente: poich la mente, interrogandosi su se
stessa, riflette su se stessa e pertanto in atto cosciente di se stessa; b)
esaminativo: giacch la mente, riflettendo sulla sua propria conoscenza, non
pu procedere senza fare un esame sui suoi atti concreti conoscitivi; c) in senso
ampio inquisitivo: giacch la mente, facendo questo esame, esercita gi nel fare
l'atto (fa "exercite"), quello che esplicitamente cerca.
Seconda parte: uno stato apertamente fondato su molte certezze spontanee
legittime.
Partendo dalla coscienza. Lo stato della mente che inizialmente si pone
il problema critico, uno stato coscientemente esaminativo ed in senso ampio
inquisitivo sul valore delle sue conoscenze. cosicch lo stato della mente
coscientemente esaminativo ed in senso ampio inquisitivo sul valore delle sue
inquisizioni, si fonda su molte certezze spontanee legittime. Quindi lo stato
della mente che inizialmente si pone il problema critico si fonda su molte
certezze spontanee legittime.
La minore. Infatti, lo stato della mente esaminativo ed in senso ampio
inquisitivo, uno stato coscientemente originato, ed in questo senso fondato: a)
su alcune conoscenze precedenti, come, per esempio, che esistiamo, che

conosciamo, che possiamo riflettere, che impossibile che qualcosa


simultaneamente sia e non sia, e via dicendo; b) legittimamente certe, perch se
queste conoscenze originarie non fossero legittime, non sarebbe legittimo lo
stato iniziale della mente, e cos non sarebbe legittimo nessun esame,
investigazione e conclusione ulteriore; c) con certezza spontanea, poich le
conoscenze che originano lo stato iniziale, dalle quali inizia la riflessione
filosofica, possono essere solo certe con una certezza prefilosfica o spontanea.
Terza parte: uno stato per la sua stessa natura, adatto per ottenere mediante
un riconoscimento esplicito, la prima certezza riflessa.
Partendo della coerenza metodica. Come abbiamo visto nelle parti
precedenti, lo stato della mente che inizialmente si pone il problema critico
uno stato coscientemente esaminativo ed inquisitivo, e fondamento su molte
certezze legittime. cosicch questo stato della mente, si dispone per la sua
stessa natura ad ottenere legittimamente una certezza riflessa. Quindi lo stato
della mente che inizialmente si pone il problema critico, si ordina per la sua
stessa natura ad ottenere legittimamente una certezza riflessa.
La minore. Perch lo stato iniziale della mente: a) in quanto
coscientemente esaminativo ed inquisitivo, spinge per sua natura a cercare
qualche soluzione; b) in quanto fondato su molte certezze legittime, contiene
gi nel fare dell'atto ("exercite"), la stessa soluzione che cerca; c) in quanto
spinge alla soluzione contenendo gi exercite la soluzione che cerca, per se
stesso aperto ad un transito coerente dallo exertitamente conosciuto allo
esplicitamente riconosciuto; e cos ordinato per sua stessa natura ad ottenere
legittimamente una certezza riflessa.
Corollario. - Dunque il primo problema critico non inizia con un dubbio
metodico universale, reale o fittizio; e pertanto neanche con un'ignoranza, n
con una sospensione (epoch) universale strettamente detta.
La ragione generale del corollario si capisce da quanto detto prima.
Perch se lo stato iniziale della mente uno stato coscientemente certo e
originariamente implicante molte certezze legittime, bisogna respingere che il
primo problema critico sorga con un dubbio universale, unignoranza
universale o un'esclusione strettamente detta di ogni certezza naturale. Pi in
particolare, per completare la tesi, possiamo procedere con ordine cos:
Ragione del primo asserto. Il problema critico non sorge dal dubbio
universale reale, perch il dubbio universale reale, tanto positivo come
negativo, realtmente impossibile oltre che metodologicamente inetto, cos
che per la sua stessa natura ostacola la scoperta (inventio) della verit: perch

se qualcuno professa che dubita di ogni verit, e conseguentemente della sua


capacit per la verit, non potr usare gi pi questa sua capacit per trovare la
soluzione, e cos affonder definitivamente nel dubbio.
Ragione del secondo. Deve escludersi il dubbio universale finto: a)
perch non del saggio stimolare o fingere la falsit per trovare la verit; b)
perch cos come il dubbio universale reale uno stato metodologicamente
inetto per trovare la verit, cos il dubbio universale finto una finzione
metodologicamente inetta per lo stesso fine, soprattutto quando parlando con
propriet, c) possiamo fingere con le parole davanti agli altri, ma non con la
mente davanti a noi stessi.
Ragione del terzo. Il problema critico non inizia con un'ignoranza
universale, perch cos come impossibile dubitare di tutto, cos impossibile
ignorarlo tutto; e cos come il dubbio universale, sia reale che finto,
metodologicamente inetto, cos lo anche l'ignoranza universale.
Ragione del quarto. Deve respingersi anche la sospensione universale
propriamente detta, perch prescindere da una cosa equivale a non considerarla
in atto. Ma se qualcuno prescindesse strettamente da tutte le cose, non
considererebbe niente in atto o non conoscerebbe niente in atto. Quindi cos
come impossibile ignorare tutto, cos impossibile prescindere strettamente
da tutte le cose; e cos come l'ignoranza universale metodologicamente inetta,
cos metodologicamente inetta la sospensione universale propriamente detta.
E la ragione ultima : perch non possiamo prescindere mai con la mente
dall'esercizio cosciente delle certezze naturali, precisamente in quanto naturali.
Obiezioni. - 1. Un problema sincero verte su una soluzione ancora ignorata. E
cosicch il primo problema critico non un problema finto ma un problema
sincero. Quindi verte su una soluzione ancora ignorata; ed in questo senso
leggitimo cominciare da un dubbio o ignoranza universale.
Risposta. Distinguo la maggiore: Un problema sincero verte su una
soluzione totalmente (simpliciter) ignorata o solo in parte (secundum quid)
ignorata, lo concedo; verte solo su una soluzione totalmene (simpliciter)
ignorata, lo nego. Concedo la minore ed ugualmente distinguo il conseguente:
il primo problema critico verte su una soluzione solo in parte (secundum quid)
ignorata, lo concedo; verte su una soluzione totalmente (simpliciter) ignorata,
lo nego; e nego le conclusioni ulteriori.
2. Ci che si presenta come una posizione imparziale rispetto alle diverse
soluzioni proposte, si pu assumere leggitimamente come lo stato iniziale del
problema. E' cosicch il dubbio negativo si presenta come una posizione
imparziale rispetto alle diverse soluzioni proposte. Quindi si pu assumere

legittimamente come lo stato iniziale della questione.


Risposta. Concedo la maggiore e distinguo la minore: il dubbio negativo
di fronte a una questione strettamente detta si presenta come una posizione
imparziale rispetto alle diverse soluzioni proposte, lo concedo o lascio passare;
di fronte a una questione ampiamente detta, lo nego. Ed ugualmente distinguo il
conseguente. Perch in una questione ampiamente detta, la soluzione
determinata esercitamente (exercite) per la stessa natura della questione. E
quindi lo stato iniziale di imparzialit e di sincerit del primo problema critico
consiste in questo: che prepari all'esame oggettivo di tutte le soluzioni proposte
e che faccia logicamente possibile la scoperta (inventio) della soluzione vera.
Lasciamo passare la maggiore, perch nella questione strettamente detta,
legittimo il dubbio positivo.
3. Il filosofo pu sospendere metodologicamente le verit naturali.
Quindi pu iniziare con la professione da una sospensione (epoch) universale.
Risposta. Distinguo l'antecedente: pu prescindere totalmente
(simpliciter), lo nego; pu prescindere solo in parte (secundum quid), lo
concedo. Perch cos come non possiamo ignorare mai totlamente (simpliciter)
le verit naturali, neanche possiamo prescindere totlamente (simpliciter) da
esse. Perch alla loro luce giudichiamo di tutto, e quindi anche del modo
legittimo di proporre lesame critico.
4. S. Tommaso afferma esplicitamente che, come alle scienze inferiori
"spetta dubitare in particolare sulle verit singolari", cos alla Metafisica
generale "spetta un dubbio universale (universalis dubitatio) sulla verit; e
pertanto si propone non un dubbio particolare ma anche una dubbio universale"
(In III Metaph, lect. 1 n. 343). Dunque secondo S. Tommaso il filosofo deve
dubitare universalmente della verit.
Risposta. Concedo il testo e distinguo il senso: appartiene alla
Metafisica considerare o esaminare il dubbio universale contro la verit, lo
concedo; partecipare in esso o professarlo, lo nego. Ed ugualmente distinguo il
conseguente. Infatti, S. Tommaso accetta ed illustra la concezione aristotelica
nel seguente modo, gi menzionato nelle opinioni:
a) Conviene che il filosofo consideri la sua possibilit di conoscere la
verit: "la filosofia prima considera la verit universale degli enti. Pertanto,
spetta al metafisico considerare come si comporta l'uomo per conoscere la
verit". Perci, deve considerare anche le difficolt per conoscere la verit,
ed in questa considerazione si aiuta anche da quelli che hanno sbagliato sulla
verit, poich "diedero lopportunit affinch, mediante una diligente
discussione, la verit risplendesse pi chiaramente" (In II Metaph, lect. 1 n.273,

281, 287).
b) Conviene che il filosofo susciti il problema considerando le difficolt
contrarie: "per questa scienza che cerchiamo sui primi principi e sulla verit
universale delle cose, necessario che prima ancora di determinare la verit
affrontiamo le cose su cui bisogna dubitare,... perch l'investigazione posteriore
della verit consiste nella soluzione dei dubbi precedenti". Il filosofo sar
meglio disposto per giudicare "se prima ascolta tutte le ragioni, cose se si
trattase di avversari che dubitano" (In III Metaph, lect. 1 n. 338, 339, 342).
c) Conviene che il filosofo non ritratti o sospenda mai il suo assenso
naturale alla verit del primo principio: perch dal fatto che questo
[principio] necessario per intendere qualunque cosa, si segue che chiunque
conosce altre cose, deve conoscere questo [principio], e quindi noi adesso lo
accogliamo supponendo che tale principio vero, e dalla sua verit
mostriamo che certissimo (In IV Metaph, lect. 6 n. 598, 606).
In questo senso si vede chiaro che secondo S. Tommaso il filosofo deve
intraprendere l'esame critico: a) per raggiungere una dottrina necessaria che
serva per risolvere le difficolt e per determinare sistematicamente la verit del
primo principio; b) considerando le difficolt o i dubbi, ma non partecipando ad
essi.
Il dubbio universale sulla verit di cui parla S. Tommaso seguendo
Aristotele, questo mettere in questione, questa aporia universale, che il
privilegio della Metafisica, questo videtur quod non per il quale comincia ogni
ricerca scientifica e che in questo caso non si ferma davanti a niente, non in
nessun modo un dubbio vissuto o esercitato - come neanche l'epoch
fenomenologica, - , non gi un'epoch vissuta, bens significata come ipotesi
ad esaminare, un dubbio concepito o rappresentato (ed in questo senso molto
pi rigoroso e molto pi sincero del dubbio cartesiano, perch non comporta
nessuna finzione o forzatura arbitraria proveniente della volont, nessun
pseudo-dramma); ed il termine al quale lo spirito arriva seguendo questa
problematizazzione universale, precisamente la coscienza chiara e riflessa
dell'impossibilit assoluta di realizzare un dubbio universale (MARITAIN,
Les degrs du savoir, ch. III, n. 3, 2).

SCOGLIO
L'uso critico delle verit fondamentali
1. Sulla verit della propria esistenza e dei propri atti, si esprime cos
Aristotele: Chi vede, sente che vede; chi cammina, sente che cammina.... Cos

possiamo sentire anche che sentiamo, e intendere che intendiamo. E tutto


questo (quando sentiamo e intendiamo) intendere con certezza che siamo
(Ethic. IX, c.9, 1170 a 29-33). Aristotele per non usa questa certezza per
difendere la verit contro i Sofisti, ma lo fa solo indirettamente in qualche
"confutazione".
S. Agostino usa espressamente la certezza dei propri atti e della propria
esistenza; non la propone per come la pi certa di tutte, bens come adatta per
confutare gli Scettici e gli Accademici, e per mostrare l'esistenza di una
qualche verit intelligibile sicura, (cio, indipendente del pericolo dell'illusione
e defettibilit dei sensi): Se mi sbaglio, sono. Perch chi non , non pu certo
sbagliare . E poich sono, se mi sbaglio.... senza alcun dubbio, nel fatto che ho
conosciuto che sono, non mi sbaglio" (De Civ. Dei, XI, c. 26).
Anche S. Tommaso considera del tutto certa l'esistenza dei propri atti e
del proprio io: Dal fatto che sentiamo di sentire e intendiamo dintendere,
sentiamo e intendiamo che siamo (In IX Ethic., lect. XI n. 1908). E con parole
simili fa notare di frequente che: "la scienza dell'anima certissima", perch
ognuno "sperimenta in se stesso che ha un'anima" e quello che accade nella
anima sua. Bisogna notare che secondo S. Tommaso, l'esistenza del proprio io
si conosce mediante gli atti per i quali si conosce l'oggetto: "Nessuno
percepisce dintendere, se non dal fatto che intende qualcosa; perch primo
avviene lintendere qualcosa, che lintendere che uno intende. Cos l'anima
arriva a intendere che attualmente esiste, per il fatto (o per l'oggetto: per illud
quod) che intende e che sente" (De Verit., q. 10 a. 8 in c et ad 8 in contrarium).
Cartesio assume come verit prima la stessa esistenza del suo io
pensante, spogliata metodicamente della certezza del mondo esterno, per
dedurre da essa tutta la filosofia, come gi abbiamo spiegato nella tesi
anteriore. Gli Idealisti iniziano frequentemente la gnoseologia dal cogito
cartesiano, una volta spoglio del suo originario senso realistico. Le tendenze
recenti della fenomenologia e dell'esistenzialismo, in opposizione alla
concezione idealistica, calcano sulla nostra correlazione necessaria col mondo.
2. S. Agostino illustra molto vigorosamente la necessit della conoscenza
della verit in generale: "E se la verit muore? Non sarebbe vero che la verit
era morta?... Ora, non pu esserci il vero se non esistesse la verit... Dunque
impossibile che muoia la verit" (Solil. II, c.2). Allo stesso modo S. Tommaso:
"Molte proposizioni si comportano in tal modo che chi le nega, si vede
obbligato a ammetterle: come chi nega che esiste la verit, ammette che la
verit esiste; perch ammette che la negazione che proferisce, vera" (Contro
Gent., II c.33; cfr. I, q. 2 a. 1 ad 3).
3. La verit dell'ente sotto la legge del principio di contraddizione, la

verit prima dalla quale inizia Aristotele (seguito da S. Tommaso e gli altri
Scolastici). La ragione di questa preferenza molteplice: a) perch la nostra
conoscenza, come manifesta la testimonianza stabile della coscienza, tende
principalmente all'oggetto, sorge per primo dalle cose sensibili e si innalza
immediatamente sull'esperienza mediante la nozione di ente e il principio di
contraddizione; b) perch cos come la verit dei principi per se stessi
conosciuti, ha il primato sulla verit dell'esperienza, cos il principio di
contraddizione ha il primato su tutti gli altri principi; c) perch il principio di
contraddizione la prima verit secondo la quale giudichiamo di tutto, in modo
che solo abbiamo certezza nell'applicazione di questo principio.
Frequentemente troviamo in S. Tommaso importanti considerazioni sulla
dottrina della verit dell'ente, sotto la legge del principio di contraddizione,
come dopo vedremo. Basti qui ricordare alcune: "Nelle cose si trova un ordine,
in modo che alcune sono implicitamente comprese in altre; cos tutti i principi
si riconducono a questo come al primo: impossibile simultaneamente
affermare e negare" (II-II q. 1 a.7). "Colui che a causa di qualche dubbio nega
questo principio, dice qualcosa, cio, significa qualcosa per il nome... Ed una
volta che ammetta questo, avremo subito una dimostrazione contro di lui" (In
IV Metaph, lect. 6 n. 608, et lect.7 n.611).
4. Sulla verit dell'esistenza del mondo, Aristotele, nella Fisica II, c.1,
nota di passaggio: "Cercare di provare che la natura esiste, ridicolo; perch
manifesto che tutti questi enti esistono. E dimostrare ci che chiaro per ci
che oscuro, proprio di chi incapace di giudicare tra ci che conosciuto
per se stesso e ci che non lo " (193a 3-6); o, in altre parole, proprio di chi
non sa distinguere lindimostrabile dal dimostrabile, limmediato dal mediato.
Ugualmente S. Tommaso: "Voler dimostrare lo manifesto per locculto,
proprio dell'uomo che non sa giudicare tra ci che noto per se stesso e ci che
non lo ; perch volendo dimostrare ci che conosciuto per se stesso, lo
utilizza come se non fosse conosciuto per se stesso. Ed noto per se stesso che
la natura esiste, perch le cose naturali sono manifeste al senso" (In II Physic.
lect. 1, n. 8).
5. Dopo Balmes, che nella sua Filosofia fondamentale parla
frequentemente delle verit prime e fondamentali, Tongiorgi propone
esplicitamente la dottrina delle tre verit originarie:
a) "Poich ci sono molte cose che non possono n devono essere
dimostrate, le verit primitive, che necessario presupporre come fondamenti,
prima di ogni investigazione filosofica, sono solo tre: 1 Il primo fatto, che
l'esistenza propria. 2 Il primo principio, che il principio di contraddizione: la
stessa cosa non pu simultaneamente essere e non essere. 3 La prima

condizione, cio la capacit della ragione per raggiungere la verit" (Logica,


Pars II, lib. I, c. III a. IV, Propositio V).
b) Pi avanti, considerando l'evidenza, conclude: Bench siano
tre le cose che mediante l'evidenza concorrono insieme a generare la certezza,
tuttavia ognuna chiaramente indipendente delle altre in ci che apporta
all'effetto. Il primo principio costituisce la necessit oggettiva, e la sua
necessit non dipende da nessun altro principio. Il primo fatto manifesta questa
necessit, ed egli non ha bisogno di nessuna manifestazione. La prima
condizione mi consegna all'evidenza, e questa forza l'ha da s stessa (lib. III c.
I a. VI).
Queste tre verit sono, senza dubbio, naturalmente conosciute, valide per
il filosofo, per s sufficienti per rimuovere indirettamente le difficolt scettiche.
E lo stesso Tongiorgi ha ragione, quando di passaggio le chiama
immediatamente evidenti alla mente umana, e sempre tali che
necessariamente prendono l'assenso della mente (Ibid., Propositio V). Dopo
tali premesse, conviene tuttavia notare che questa dottrina delle tre verit,
necessita alcune correzioni. In primo luogo, conviene precisare che non
necessario cominciare l'inquisizione critica dal riconoscimento esplicito di
queste tre verit, perch come si diceva nella quinta tesi, basta cominciare da
qualunque verit immediata e naturale. Pertanto per un principio valido della
filosofia, basta la loro luce implicita. Poi, si deve notare che le verit prime e
fondamentali, sono pi di tre, e che si dividono meglio in: principi universali
conosciuti per se stessi a partire dai termini, e verit particolari, conosciute per
se stesse, a partire dall'esperienza, e ci in tal modo che il primato lo detengono
i principi universali, specialmente il principio di contraddizione. Pertanto, la
dottrina delle verit originarie, proposta da Tongiorgi, deve: a) correggersi in
alcuni dettagli particolari e determinarsi meglio, b) svilupparsi in generale con
pi precisione e sistematicit.

CAPITOLO SECONDO
LE PRINCIPALI NEGAZIONI DELLA VERIT
Senso e divisione del capitolo. - 1. Il primo problema critico si risolve in due
modi: primo positivamente, riconoscendo ordinatamente la nostra conoscenza
della verit; poi, difensivamente, confermando la verit riconosciuta mediante
una rimozione ordinata delle opinioni opposte o negative. Nel capitolo
precedente abbiamo trattato soprattutto la soluzione positiva, procedendo
mediante un riconoscimento declaratorio. Ora tratteremo lo stesso problema ma
sviluppato sotto l'aspetto difensivo, cercando di completare la dottrina

sistematicamente e mediante argomenti indiretti.


2. Quando si spiegava il senso e divisione della prima parte abbiamo
enumerato le principali opinioni negative. E vedemmo anche che quelle
opinioni diventano pi o meno negative nella misura che partecipano dei
presupposti scettici. Gli Scettici e Relativistici negano esplicitamente che noi
conosciamo la verit assoluta; gli Idealisti ed Antiintellettuali non negano la
verit assoluta, ma negano esplicitamente che noi conosciamo l'ente reale, o che
lo conosciamo per l'intelletto; i Soggettivistici sull'esistenza del mondo
sensibile non negano la verit assoluta dell'ente reale intelligibile, ma negano
che noi possiamo conoscere il mondo concreto sensibile come in s esistente; e
i Realisti Mediati negano che questo mondo concreto sensibile sia conosciuto
da noi immediatamente.
3. Quindi, per confermare e difendere sistematicamente la soluzione
positiva del capitolo precedente, divideremo questo capitolo in sei articoli,
secondo questo ordine: nel primo trattiamo lo Scetticismo universale; nel
secondo, il Relativismo universale; nel terzo, l'Idealismo in generale; nel
quarto, l'Antiintellettualismo in generale; nel quinto, il Soggettivismo
sull'esistenza del mondo sensibile; nel sesto, il Realismo mediato.

ARTICOLO PRIMO
LO SCETTICISMO UNIVERSALE
Senso dell'articolo. - Quando sindaga una dottrina opposta alla verit
naturale, si suole anche esaminare se l'uomo che professa tale dottrina pu
anche liberarsi di questa illusione. Quindi ora ci domandiamo: rispetto allo
Scetticismo, se in realt possibile e se come dottrina pu essere coerente con
se stessa; rispetto allo Scettico, come pu essere condotto a riconoscere la
verit che naturalmente possiede.
TESI VII. - Lo Scetticismo universale se si considera come un fatto,
impossibile; se si considera come una dottrina, implica contraddizione. Col
risultato che lo scettico pu, mediante una "confutazione", essere portato a
riconoscere la verit.
Prenozioni - 1. Secondo l'origine del nome, scettico, di "eskptomai", la
stessa cosa che osservatore o investigatore; secondo l'uso del nome, si dicono
Scettici quei "filosofi che professano il dubbio", perch pensano che in realt

essi non trovarono n possono trovare la certezza. Quindi, Scetticismo la


stessa cosa che "il dubbio o la professione del dubbio con l'esclusione della
certezza". Si dice parziale se si estende a qualche ordine di verit; universale o
semplicemente Scetticismo se si estende ad ogni ordine di verit.
Nella tesi si considera lo Scetticismo universale come un fatto e come
una dottrina. Lo Scetticismo come un fatto lo "stato soggettivo interno di
sospensione universale di ogni certezza". E di nuovo pu considerarsi:
nell'ordine speculativo, ed in questo caso la sospensione di ogni certezza
speculativa; e nell'ordine pratico ed in questo caso la sospensione di ogni
certezza pratica.
Lo Scetticismo come dottrina, l"insieme di ragioni per cui si conclude
al dubbio universale", determinato nel suo senso intelligibile. Tali ragioni
normalmente si prendono dal fatto dell'errore, dalla discrepanza di opinioni,
dall'inconveniente della petizione o del circolo, dalla relativit delle sensazioni,
dai limiti dell'intelletto, e cos via.
Sesto Empirico descriveva la posizione degli scettici antichi cos: 1) In
paragone con gli altri filosofi: "In filosofia, alcuni dicono avere trovato la
verit, Aristotele, Epicuro e gli Stoici; altri dicono che la verit non pu capirsi,
Clitomaco, Carneade e gli Accademici; altri, invece, continuano a cercarla".
Perci "osservando l'equilibrio (equipolenza) tra i fatti e delle ragioni opposte,
arriviamo prima alla sospensione dell'assenso (epoch), poi all'indifferenza
(ataraxa)". 2) Nel suo significato fondamentale: "Forse nessuno dubita che
alcune cose appaiono all'individuo. Il dubbio nasce quando si tenta di vedere
se tale cose sono come appaiono. Noi viviamo adattandoci alle apparenze, e
osservando ci che riguarda la vita comune, perch ci sarebbe impossibile
prescindere da ogni azione. Ma non stabiliamo nessun dogma" (Inst. Pyrrhon. I
c. 1, 4 et 9. (35)
2. Nel capitolo precedente abbiamo mostrato positivamente, mediante un
riconoscimento declaratorio, che noi conosciamo necessariamente alcune
verit. In questa tesi pretendiamo difendere la soluzione gi data, mediante la
confutazione dello Scetticismo universale, ricorrendo ad argomentazioni
indirette e alla "confutazione." Per argomentazione indiretta, intendiamo il
ragionamento che conclude alla contraddizione o la falsit di qualche posizione
od opinione. Per "confutazione", quell'argomento "ad hominem" in cui, da cose
meno conosciute, concesse dall'avversario, si arriva a cose pi conosciute,
negate dall'avversario. La "confutazione" cos, una forma speciale di disputa
che, portando l'avversario ad una contraddizione evidente, gli offre occasione
di prendere coscienza esplicita della sua contraddizione.
Secondo questo senso, divideremo la prova della tesi in tre parti: nella
prima mostreremo che lo Scetticismo in realt soggettivamente impossibile;

nella seconda che la dottrina scettica, considerata obiettivamente, implica


necessariamente una contraddizione; nella terza, concluderemo che lo Scettico
pu, mediante una "confutazione", essere portato a riconoscere la verit che
possiede.
Opinioni. - Lo Scetticismo universale ebbe come precursori molti Sofisti; ma
nel suo senso pessimista lo consacr rigidamente Pirrone, il quale insegnava
che "niente pu comprendersi, che deve sospendersi l'assenso... e che non c'
niente che sia pi questo che l'altro". Bench egli personalmente non scrivesse
niente, ebbe discepoli e seguaci.
Enesidemo instaur ad Alessandria i dieci "tropi", da cui si mostra la
relativit delle nostre conoscenze. Agripa aggiunse altri cinque, che portano
alla sospensione di ogni assenso. Sesto Empirico nelle sue Istituzioni
Pyrrhonianae e nell Adversus Mathematicos raccolse tante teorie scettiche.
Molte dottrine proprie dello Scetticismo furono accettate dagli Accademici che
divulgarono la dottrina ai tempi di S. Agostino.
Nell'epoca moderna, sotto l'influsso della cultura Rinascimentale
crebbero nuove tendenze scettiche. M. Montaigne, nei suoi Essais, considera la
limitazione ed inadeguatezza della nostra conoscenza e la convenienza di
sospendere le nostre affermazioni. F. Sanchez, nel trattato molto metodico,
Quod nihil scitur, notando le limitazioni e deficienze delle nostre conoscenze e
l'impossibilit di arrivare ad una scienza comprensiva delle cose, soprattutto
paragonandola con la scienza divina, concluse che dobbiamo dire che noi non
sappiamo niente(37). Hume si avvicin allo scetticismo universale col suo
empirismo fenomenico. Nel secolo scorso T. Jouffroy, nei Mlanges
philosophiques, sostenne un certo Scetticismo. Pi recentemente G. Remsi
propose in molte opere uno Scetticismo di tipo irrazionale.
Prova della prima parte della tesi: Lo scetticismo in realt soggettivamente
"impossibile":
Gli Scettici professano che speculativamente dubitano di tutto, ma
concedono che praticamente vivono come gli altri uomini, o concedono di
avere certezze pratiche, per le quali dirigono le proprie azioni. Cos per
mostrare che lo Scetticismo in realt impossibile, possiamo procedere per due
strade:
1. Partendo da ci che implicato nella certezza pratica. Si d certezza
speculativa quando si distingue una cosa di altre senza paura di illudersi;
poich in questo caso si tiene la coscienza indubitabile dell'applicazione
necessaria, e quindi della verit necessaria, del principio speculativo di
contraddizione. cosicch si tiene certezza pratica quando si distingue una

cosa di altre, senza paura di illudersi: per esempio l'azione di cercare dell'azione
di evitare, questo che si cerca di quello che si evita, ed in genere quello che
bisogna cercare di quello che bisogna evitare. Quindi si tiene certezza pratica
quando si tiene anche alcuna certezza speculativa. Ed cosicch di nuovo: gli
Scettici concedono che hanno necessariamente alcune certezze pratiche. Quindi
devono concedere anche che essi hanno necessariamente alcune certezze
speculative; e pertanto devono concedere che lo Scetticismo universale in
realt impossibile.
2. Partendo da ci che implicato nella professione speculativa. Gli
Scettici professano che speculativamente dubitano di tutte le cose. cosicch
quelli che professano che speculativamente dubitano hanno alcune certezze
speculative, e capiscono la natura della propria ragione. Quindi gli Scettici
hanno alcune certezze speculative e capiscono la natura della propria ragione, e
lo Scetticismo pertanto in realt impossibile.
La minore: Colui che professa lo Scetticismo, percepisce
coscientemente che dubita e capisce coscientemente i motivi e ragioni per le
quali dubita. cosicch: a) Non pu percepire coscientemente che dubita,
senza distinguere il dubbio della certezza, il pensiero del non pensiero, a s
stesso di ci che non s stesso: e tutto ci avere alcune certezze speculative;
b) Non pu capire coscientemente i motivi e ragioni per le quali dubita, senza
capire che la ragione esige essere determinata ad una cosa (ad unum), per
motivi sicuri e conseguenze logiche: e tutto ci conoscere la natura della
propria ragione. Quindi colui che professa lo Scetticismo ha alcune certezze
speculative, e capisce la natura della propria ragione.
Per difendere la certezza speculativa del principio di contraddizione,
contro coloro che affermavano che tutto si trova in divenire, Aristotele
argomentava cos, partendo dal comportamento vitale: "Perch quando il
medico gli prescrive questo cibo, lo prendono? Se niente differisce mangiare da
non mangiare, che cosa avviene affinch questo sia pane invece di non pane? Il
fatto che questi, come aggrappandosi alla cosa vera, prendono questo"
(Metaph, XI, c. 6 1063 a 28-34). E per mostrare le certezze speculative
implicite nella stessa professione del dubbio universale, SantAgostino
argomentava cos: "Se dubita, vive; se dubita, prende coscienza di ci che
provoca il dubbio; se dubita, capisce che dubita; se dubita, vuole essere certo;
se dubita, pensa; se dubita, sa che non sa; se dubita, giudica che non conviene
acconsentire temerariamente. Quindi chiunque dubita di altre cose, di tutte
queste non deve dubitare; perch se non esistesse, di nessuna cosa potrebbe
dubitare" (De Trinitate, X, c. 10).

Seconda parte: La dottrina scettica, considerata nei suoi contenuti oggettivi,


implica necessariamente una contraddizione.
Partendo dallo stesso significato della dottrina. Quella dottrina che
significa con certezza che non esiste niente di certo, una dottrina che implica
contraddizione nel suo significato oggettivo. cosicch tale la dottrina
scettica. Quindi la dottrina scettica implica contraddizione.
La minore: perch in qualsiasi modo che si proponga la dottrina scettica
porta necessariamente: a) A significare determinatamente qualcosa: poich se il
suo significato obiettivo fosse nullo, cio non significasse determinatamente
niente, non sarebbe una dottrina che meritasse attenzione. Infatti la stessa
cosa significare determinatamente qualcosa che significarlo con certezza:
poich significare indicare determinatamente una cosa e non altra. b) A
significare che ci che indica determinatamente, sia precisamente che niente
certo: perch altrimenti non sarebbe la professione di un dubbio universale.
Quindi in qualunque modo si proponga la dottrina scettica, porta
necessariamente a significare con certezza che niente certo, o a significare
simultaneamente che qualcosa certa e che niente certo.
Obiezione: La dottrina scettica si contraddirebbe, se si proponesse con
certezza. cosicch si pu proporre solo dubitativamente. Quindi la dottrina
scettica non si contraddice.
Risposta. Gli scettici ricorrono a questo sotterfugio per mostrare che in
realt non si contraddicono, e che la dottrina scettica nel suo senso oggettivo
non contraddittoria. Ma in entrambi i casi non vale il sotterfugio. Primo
perch ricorrendo a questo stratagemma mostrano che vedono bene la verit del
principio di contraddizione. Poi, perch, sia che propongano la dottrina scettica
come certa, sia che la propongano come dubbiosa, sempre nella mente dello
Scettico, e nella dottrina dello Scetticismo considerata in s stessa, si d
qualche significato determinato, questo e non altro.
La stessa risposta bisogna dare allo Scettico che dice che vede la propria
contraddizione, ma che egli accetta questa contraddizione. Perch solo pu
accettare la contraddizione, se distingue coscientemente l'accettare dal non
accettare, e quindi in quanto rigetta la contraddizione.
Terza parte: "Lo scettico pu, mediante una "confutazione", essere portato a
riconoscere la verit che possiede."
Partendo dai precedenti. Possono essere portati a riconoscere la verit
mediante una "confutazione" quegli a cui si mostra che in realt dubitano solo
illusoriamente, e che la loro dottrina contraddittoria; perch riducendoli ad

una contraddizione palese si offre loro l'occasione di prendere coscienza


esplicita della propria contraddizione. cosicch entrambe le cose possono
essere mostrate agli Scettici, come abbiamo visto nelle parti precedenti. Quindi
gli Scettici possono essere portati a riconoscere la verit mediante una
"confutazione."
Nota. Sulla natura illusoria del dubbio degli Scettici. " vero che ogni
giudizio contiene implicitamente la percezione di qualche verit, come quella
del primo principio, della propria esistenza, e perfino della stessa natura
conoscitiva dell'intelletto. Ma l'attenzione dell'intelletto pu dirigersi e
concentrarsi totalmente su ci che si afferma esplicitamente. Quindi
l'affermazione esplicita del dubbio universale bench sia in s stessa
contraddittoria, non necessariamente viene percepita esplicitamente come
contraddittoria. Perch la mente pu concentrare lattenzione sulla conseguenza
che collega questa affermazione con le premesse, di cui al meno una
certamente falsa, che cos ritiene qualche parvenza di verit. Come quando
dico: Con ogni certezza l'intelletto sbaglia qualche volta; ora, la facolt che
sbaglia qualche volta non merita fede; quindi bisogna dubitare di ogni
giudizio. Giacch la minore di questo argomento comporta qualche apparenza
di verit, in virt di tale apparenza, l'intelletto pu aderire alla conclusione,
concentrando lattenzione sulla conseguenza pi che sulla relazione intrinseca
tra il soggetto e il predicato della conclusione. La stessa cosa succederebbe se
io dicesse: La verit esigerebbe di fare una comparazione tra la conoscenza e
la cosa conosciuta; ma tale comparazione impossibile; quindi non si pu
raggiungere la verit. Queste premesse comportano facilmente qualche
verosimilitudine, che determina unadesione imprudente al conseguente. Perch
ovvio che per un'interpretazione erronea dei fatti, o per un falso concetto della
conoscenza, possiamo arrivare ad ammettere con sincerit il dubbio universale;
ma illusoriamente, perch la professione esplicita di un tale dubbio non pu
darsi senza che implicitamente comporti insieme alcune cose vere e certe, che
anche vengono affermate con essa nellesercitare dell'atto ("exercite"). Quindi
bisogna considerare lo Scettico come il prigioniero di un dubbio universale
illusorio, che sar confutato o guarir se gli viene mostrata lillusione di un tale
dubbio. E ci succeder portando alla luce le cose che, colui che dubita,
necessariamente compie implicitamente e riconosce "exercitamente". Da questo
riconoscimento della verit e della certezza, bisogner procedere a dissipare le
concezioni false della conoscenza e a dare una spiegazione coerente dei fatti
allegati contro il valore dell'intelletto" (Boyer, Cursus Philos, I, p. 200).
Obiezioni. - 1. Non possiamo fidarci di facolt che conducono all'errore.

cosicch le nostre facolt conducono all'errore. Quindi non possiamo fidarci


delle nostre facolt.
Risposta. - Distinguo la maggiore: non possiamo fidarci di facolt che
sempre e per s inducono in errore, concedo; che qualche volta e per accidente
inducono in errore, nego. E contradistingo la minore.
Dal fatto che qualche volta sbagliamo non lecito concludere che sempre
sbagliamo. Per concludere cos dovremmo conoscere che la facolt sbaglia per
s, cio, per la sua stessa natura. E ci precisamente quello che la tesi ha
mostrato di essere impossibile.
2. La facolt che necessariamente ed invincibilmente sbaglia, una
facolt che sbaglia per s. cosicch l'intelletto una facolt che
necessariamente ed invincibilmente sbaglia. Quindi l'intelletto una facolt che
sbaglia per s.
Risposta. Distinguo la maggiore: la facolt che fisicamente,
necessariamente ed invincibilmente sbaglia, una facolt che sbaglia per s,
concedo; che moralmente, necessariamente ed invincibilmente sbaglia, nego. E
contradistingo la minore.
Essendo l'intelletto una facolt visiva e necessaria, quando presente
l'evidenza, viene sempre necessitato ad assentire; quando al contrario non
presente, non pu essere mai necessitato. Quindi nessun errore, neanche nella
vita spontanea, fisicamente necessario. Invece molti errori, dovuti alla
debolezza della volont e ad esigenze pratiche, diventano moralmente
necessari. Ma precisamente perch solo moralmente e non fisicamente
necessari, possono essere sempre evitati, almeno mediante una sospensione
dell'assenso imprudente.
3. Quando sbagliamo, o sappiamo o non sappiamo. cosicch non il
primo, perch altrimenti non sbaglieremmo. Quindi il secondo; e quindi
sbagliamo necessariamente.
Risposta. Concedo la premessa maggiore alternativa e scelgo il primo
membro con distinzione: sappiamo formalmente, nego; sappiamo virtualmente,
concedo. Contradistingo il maggiore e la ragione aggiunta.
chiaro che quando sbagliamo, non sappiamo formalmente che
sbagliamo, perch in tale ipotesi non accadrebbe nessun errore. Ma non pu
concedersi agli Scettici che in nessun modo sappiamo che sbagliamo, perch
allora la loro argomentazione: la facolt che sbaglia e che totalmente ignora
che sbaglia, una facolt che sbaglia per s; ora, il nostro intendimento sbaglia
ed ignora totalmente che sbaglia; quindi una facolt che sbaglia per s,
sarebbe legittimamente un'argomentazione concludente. In questo senso

diciamo nella tesi che noi, quando entriamo nell'errore, sappiamo virtualmente
che sbagliamo.
Che cosa sia sapere virtualmente che sbagliamo, lo tratteremo
esplicitamente quando parleremo dell'errore. Basti qui notare che nell'atto
dell'errore si d sempre una non evidenzia dell'oggetto e conseguentemente un
assenso debole ed un influsso indebito della volont. In questo senso, nello
stesso esercitare latto, poich avviene senza avere coscienza dell'evidenza
obiettiva e con un assenso debole sotto l'influsso della volont, sappiamo
virtualmente che sbagliamo. Si noti che l'inevidenza dell'oggetto, prima del
giudizio, di per s sufficiente per sospendere l'assenso; e, una volta che si
giudicato erroneamente, l'inevidenza insieme alla debolezza dell'assenso di
per s sufficiente per ritrattare l'assenso erroneo.
4. Si dubita legittimamente quando ci sono ragioni prudenti per
sospendere l'assenso. cosicch ci sono ragioni prudenti per sospendere
l'assenso: per esempio, le fallacie inevitabili dei sensi, l'ipotesi del genio
maligno, e cos via. Quindi si dubita legittimamente.
Risposta. Concedo il maggiore e distinguo la minore: si danno ragioni
prudenti per sospendere l'assenso su alcune cose, concedo; su tutte le cose,
nego; perch la stessa sospensione universale gi un errore. Ugualmente
distinguo il conseguente.
vero che il senso sbaglia nella sua conoscenza, o, pi rettamente, che
d all'intendimento occasione di cadere in errore. Ma alcune verit, come la
propria esistenza ed le altre verit fondamentali necessariamente connesse, si
capiscono facilmente come immuni dal pericolo dell'illusione sensibile:
Possono lanciarsi mille tipi di fallacie visive contro colui che dice: so di
vivere; nessuna di queste temer, se quello che si sbaglia vive" (S. Agostino,
De Trinit, XV c. 12).
La stessa cosa bisogna dire sull'ipotesi del genio maligno: "Ma allora di
certo non c dubbio che io esisto, se egli mi inganna; e mi inganni pure quanto
pu, non riuscir tuttavia mai a far s che io non sia nulla, fintanto che penser
di essere qualcosa", (Cartesio, Medit. II, Adam-Tannery VII, p. 25). Inoltre
notiamo che se vero che pensiamo, vero che siamo, e che se pensiamo,
pensiamo l'ente. Quindi l'ipotesi del genio maligno non pu debilitare la
certezza naturale della realt dell'ente, come gi di modo simile abbiamo visto
nella tesi seconda.
5. Non possiamo fidarci di una facolt il cui valore solo essa testimonia.
cosicch il valore della ragione, solo lo testimonia la stessa ragione. Quindi
non possiamo fidarci della ragione.

Risposta. Distinguo la maggiore: Non possiamo fidarci di una facolt il


cui valore, a priori e senza un motivo oggettivo, solo essa testimonia, concedo;
il cui valore, a posteriori e per un motivo obiettivo, solo essa testimonia, nego.
E contradistingo la minore.
Per capire le distinzioni, si ricordi che necessario che il valore della
ragione: a) venga conosciuto dalla stessa ragione, perch se si conoscesse per
un'altra facolt, bisognerebbe procedere all'infinito fuori della ragione; b)
venga conosciuto nello stesso atto esercitato, perch altrimenti si procederebbe
all'infinito dentro la stessa ragione; c) venga conosciuto a posteriori, perch le
capacit si conoscono per i suoi atti; d) venga conosciuto per un motivo
oggettivo, o per un motivo di evidenza, perch altrimenti l'assenso sarebbe
cieco ed illegittimo.
Orbene, per il fatto che chi dubita, certamente cosciente di esistere
dubitando: a) si esclude l'assenso cieco o illegittimo, e si d alcuna certezza
indubitabile; b) il valore della ragione si conosce non a priori, bens a
posteriori; c) nello stesso atto esercitato, e non nel susseguente giudizio
riflesso; d) non per un'altra facolt, bens per la stessa ragione.
Quindi non c' nessun vizio, o illegittimit nell'attestazione naturale
esercitata nell'atto che la nostra mente si forma sul proprio valore, o sulla
propria attitudine. E non c conseguentemente nessun vizio o illegittimit nel
sillogismo declaratorio per il quale prendiamo coscienza esplicita della nostra
attitudine.
6. Non pu darsi nessuna dimostrazione contro una dottrina che non ha
principi propri veri, a partire dai quali si confuti. cosicch tale lo
Scetticismo. Quindi.
Risposta. Distinguo la maggiore: non pu darsi nessuna dimostrazione
positiva e diretta, concedo; negativa e indiretta, nego. E contradistingo la
minore.
Pertanto il fine della tesi contro lo Scetticismo doppio: a) uno
principale, per il confutante, affinch si confermi nella certezza della verit,
rimovendo indirettamente la dottrina scettica; b) altro secondario, per il
confutato, per offrirgli un mezzo efficace per riconoscere la verit, procedendo
a partire da quelle cose che praticamente e nell'esercizio dell'atto gi concede.

ARTICOLO SECONDO
Il Relativismo universale
Senso dell'articolo. - Della rimozione dello Scetticismo universale, possiamo

concludere legittimamente che noi conosciamo necessariamente alcune verit, o


che noi conosciamo qualche oggetto necessariamente come. Ora, questa
espressione come pu prendersi in senso proprio o improprio.
In senso proprio, significa come in s. In questo caso: a) l'oggetto
conosciuto, la cosa secondo l'essere che ha in s; b) la specie interna si
comporta come ci per cui o in cui (id quo vel in quo) si conosce la stessa cosa;
c) l'oggetto conosciuto regola o misura l'attivit conoscitiva per la quale viene
conosciuto in atto; indipendente della stessa attivit conoscitiva, o assoluto
delle condizioni soggettive del conoscente; d) la verit della nostra mente si
dice assoluta, e si definisce come l'adeguazione dell'intelletto e della cosa, o
l'adeguazione dell'intelletto e dell'oggetto che col suo essere misura la stessa
conoscenza.
In senso improprio, significa solo come s noi ci appare. In questo caso:
a) l'oggetto conosciuto non la cosa come in s, ma solo come viene
internamente rappresentata; b) la rappresentazione interna si comporta come ci
che (id quod) si conosce; c) l'oggetto conosciuto regolato o misurato per
l'attivit conoscitiva che lo conosce in atto; dipendente della stessa attivit
conoscitiva, o relativo alle condizioni soggettive del conoscente; d) la verit
della nostra mente si dice relativa, ed in definitiva si definisce come
ladeguazione della conoscenza con se stessa, o ladeguazione della conoscenza
con l'oggetto misurato nel suo essere per la stessa conoscenza.
Le teorie che affermano che la nostra verit relativa, convengono nel
nome comune di Relativismo. Poich il Relativismo si fonda sullo stesso
pregiudizio scettico che niente possiamo conoscere come in s stesso,
spontaneamente sorge la questione di quale sia la relazione tra il Relativismo e
lo Scetticismo.
TESI VIII. - Il Relativismo universale, considerato tanto in generale come
nella sua forma fenomenista, si riduce logicamente allo Scetticismo, e si
confuta di modo simile.
Prenozioni - 1. Il Relativismo preso in generale, la teoria filosofica che
afferma che la nostra verit, anche rispetto a ci che conosciamo, relativa al
soggetto che conosce, in quanto che l'oggetto conosciuto dipende o misurato
per l'attivit conoscitiva. Il relativismo pu essere parziale o universale,
secondo che si estenda ad alcune o tutte le verit.
Appartiene alla coerenza del Relativismo universale: a) affermare che noi
non conosciamo l'oggetto come in s; b) negare che possiamo distinguere
adeguatamente tra una conoscenza assolutamente vera ed una conoscenza
assolutamente falsa (poich la cosa non si considera come misura del nostro

intelletto); c) concludere che le contraddittorie possono essere simultaneamente


vere o simultaneamente false.
2. Il Relativismo universale pu considerarsi sotto l'aspetto ontologico o
logico secondo che intenda affermare la relativit della verit partendo dalla
natura della cosa in s (per s stessa non intelligibile, anche se l'intelletto fosse
conoscitivo), o dalla natura dell'intelletto (per s stesso non conoscitivo della
cosa in s, anche se la cosa fosse intelligibile).
Di questo Relativismo possono distinguersi tre forme: La prima la
fenomenista, che ammette l'esistenza della cosa in s, e considera l'attivit
conoscitiva come misura dello stesso apparire dell'oggetto nella coscienza. La
seconda l'idealista, che nega l'esistenza della cosa in s, e considera l'attivit
conoscitiva come misura integrale dello stesso essere dell'oggetto nella
coscienza. La terza l'antiintellettuale, che nega la verit intellettuale assoluta,
pensando che la nostra conoscenza intellettuale insufficiente ed invalida.
Il Relativismo, inoltre, dovuto ai motivi e modi di proporlo, pu ancora
dividersi: a) in probabilista o sofista: se afferma che noi davanti alle
contraddittorie possiamo ipotizzare la pi probabile, o parifica tutte i
contraddittorie; b) in mutabile o stabile, se pensa che l'oggetto modificato per
le condizioni mutevoli o per le funzioni stabili del soggetto conoscente; c) in
strettamente o non strettamente progressivo, se spiega che l'evoluzione delle
opinioni avviene conforme a una legge o senza legge; d) in individuale, o
specifico, o sociale, se cerca di spiegare la diversit di opinioni partendo della
costituzione mentale del soggetto, o della specie umana, o dell'influsso delle
condizioni sociali.
3. Nel capitolo precedente abbiamo mostrato positivamente, mediante un
riconoscimento dichiarativo, che conosciamo alcune verit, illustrando il loro
senso assoluto. In questa tesi, supposta l'impossibilit intrinseca dello
Scetticismo e la sua contraddizione, pretendiamo di difendere la soluzione gi
data, procedendo ad una rimozione del Relativismo universale.
La tesi considera il Relativismo in generale ed il Relativismo
fenomenista, lasciando per tesi posteriori la considerazione esplicita del
Relativismo idealistico e antiintellettuale. Concediamo ai Relativistici che la
verit della nostra mente relativa rispetto al modo come conosciamo, ma
neghiamo che sia relativa rispetto a ci che conosciamo. Ed affermiamo che il
Relativismo universale, bench si distingua dello Scetticismo rigido, in realt si
fonda su tali presupposti, che logicamente si risolve in una forma di
Scetticismo.
Secondo questo senso, dividiamo la prova della tesi in tre parti: nella prima
mostriamo che il Relativismo in generale logicamente si riduce allo

Scetticismo; nella seconda facciamo la stessa cosa col Relativismo


fenomenista; nella terza concludiamo che il Relativismo si confuta nello stesso
modo che lo Scetticismo.
Opinioni. - Tra gli antichi che professarono un Relativismo ontologico bisogna
enumerare, secondo l'attestazione di Aristotele, a Cratilo, il quale pensava che
non bisognava dire niente, e solo muoveva il dito; e rimproverava Eraclito per
avere detto che non si pu scendere due volte nello stesso fiume; e diceva che
neanche una" (IV Metaph, c. 5, 1010 a 12-15).
Molti Sofisti professarono un Relativismo logico. Protagora diceva che
noi percepiamo la realt come appare nelle modificazioni soggettive e
concludeva: l'uomo la misura di tutte le cose, e "quello che a ognuno gli
sembra, quello per lui" (Platone, Theaetetus, VIII 152, a; XVI 162 c.). Gorgia
in opposizione alle affermazioni del suo tempo sull'ente afferm che: l'ente
non esiste, e se esistesse noi non potremmo conoscere niente di esso, e se lo
conoscessimo non potremmo comunicare agli altri niente su esso (Sextus
Empiricus, Adversus Mathem, VII, 65). Qualunque sia l'interpretazione di
queste espressioni, Aristotele senza dubbio giudicava il Relativismo Sofista
come un'opinione che afferma che tutte le cose sono per noi puramente
apparenti, e che quindi logicamente concludeva che le contraddittorie dovevano
dirsi ugualmente vere o ugualmente false (Cfr. ad esempio: Methaph. IV,
dall'inizio del c. 5, fino al fine del c. 8).
Molti Accademici professarono un Relativismo probabilista. Arcesilao
negava che ci fosse qualcosa che si potesse conoscere, neanche quello che
Socrate si aveva concesso" (cio, che lui non sapeva niente); ma ammise la
ragione pi probabile (t elogon), per dirigere la vita pratica. Dopo di lui
Carneade determin il Relativismo degli Accademici, secondo il quale, il
saggio considera le cose come probabili, non come comprese, perfino ritiene
probabile che niente si pu comprendere" (Cicerone, Acad. Post. I c. 12 et II c.
34). Lo stesso Cicerone, bench propose molti argomenti per fondare la morale
e la religione, non fu capace, nel suo eclettismo, di superare l'influsso degli
Accademici.
Nei nostri giorni sotto l'influsso dell'empirismo, fenomenismo, idealismo
ed irrazionalismo, il Relativismo si molto diffuso, non solo sotto l'aspetto
teorico, ma anche sotto quello morale e religioso.
Infatti si riducono ad una o altra forma di Relativismo: a)
L'Agnosticismo, che pensa che le scienze umane, e soprattutto la metafisica,
non servono per cogliere adeguatamente la realt; b) Il Psicologismo, che
considera le nostre conoscenze come meri fatti psichici, condizionati solo da
leggi psicologiche; c) Lo Storicismo, che risolve il valore delle opinioni nella

loro contingenza ed importanza storico evolutiva; d) Il Modernismo, che


afferma che la verit non pi immutabile dell'uomo stesso col quale, nel
quale e per il quale si sviluppa (Denzinger, 2058); e) Il Pragmatismo, che
giudica il valore delle opinioni teoretiche a partire dal loro risultato e dell'utilit
pratica; f) Alcune Teorie Sociali moderne diffuse anche tra i filosofi che
stabiliscono i propri principi direttivi dipendendo dal senso intimo, dall'utilit,
o delle esigenze di qualche collettivit.
Dal secolo scorso molti svilupparono la propria filosofia mantenendo
presupposti relativisti. Cos per esempio J. Stuart Mill, che profess un
Relativismo scientista partendo da presupposti empiristi e soggettivisti; H.
Spencer, che arriv all'agnosticismo scientifico partendo dalla considerazione
della relativit della conoscenza e dalle antinomie delle idee principali; Ch.
Renouvier, che sistematicamente propose un neocriticismo o fenomenismo
critico; W. Dilthey, negando la validit assoluta della metafisica concettuale,
sostituendola con l'esperienza vitale; O. Spengler, che propose spiegazioni e
considerazioni storiche in un senso positivista ed irrazionale; H. Vaihinger,
affermando che dobbiamo procedere come se la realt fosse cos come la
fingiamo nelle nostre concezioni; C. Guastella, credendo che ogni esperienza
versa su fenomeni puramente apparenti; U. Spirito, sviluppando una filosofia in
senso problematico su un piano naturalista.
Anche i Filosofi Scienziati arrivarono spesso a qualche relativismo. Cos
per esempio E. Mach, identificando la realt con lo stesso contenuto
fenomenico dell'esperienza, e la scienza con la formula pi economica delle
esperienze; J. H. Poincare, che prende i principi e postulati matematici come
convenzionalismi la cui verit relativa si fonda nella loro non contraddizione;
A. Pastore, che risolve l'ente nella relazione sotto-oggettiva, variabile in
dipendenza della variazione degli altri enti del discorso logico.
Prova della prima parte della tesi: Il Relativismo in Generale si riduce
logicamente nello Scetticismo."
Partendo della negazione logica del primo principio. Si riduce nello
Scetticismo quella teoria dei cui presupposti logicamente si segue la negazione
del principio di contraddizione nella sua accezione universale. cosicch tale
il Relativismo considerato in generale. Quindi il Relativismo considerato in
generale si riduce logicamente nello Scetticismo.
La maggiore: consta per il fatto che, come proviamo nell'articolo
precedente, la negazione del principio di contraddizione nella sua accezione
universale, equivale allo Scetticismo universale.
La minore si mostra. Il Relativismo nega che l'oggetto conosciuto misuri
la nostra conoscenza, e conseguentemente afferma che la nostra attivit

conoscitiva misura lo stesso oggetto. Con tale presupposto, argomentiamo cos:


O questa misura si prende come per s stessa sufficiente per costituire la verit
della conoscenza, o come per s insufficiente, o come in parte sufficiente ed in
parte insufficiente. Nella prima ipotesi, tutte le affermazioni contraddittorie
sarebbero ugualmente vere, e cos si accadrebbe la negazione del principio di
contraddizione nella sua accezione universale. Nella seconda ipotesi, tutte le
affermazioni contraddittorie sarebbero ugualmente false, e cos di nuovo
accadrebbe la negazione del principio di contraddizione nella sua accezione
universale. Nella terza ipotesi, tutte le affermazioni contraddittorie sarebbero
ugualmente vere e false, senza possibilit di distinguere definitivamente il
senso nel quale sono vere e il senso nel quale sono false, e cos accadrebbe
sempre la negazione del principio di contraddizione nella sua accezione
universale.
Obiezione: tra le contraddittorie incerte possiamo congetturare la pi
probabile.
Risposta. Distinguo: supposta alcuna certezza della cosa vera assoluta,
concedo; non supposta nessuna certezza della cosa vera, nego. Perch dove
manca la conoscenza certa della cosa vera manca la norma o la misura per
comparazione alla quale si possa conoscere ci che pi o meno verosimile. In
questo senso S. Agostino, dice che Sono da ridere quegli Accademici che
dicono che nella vita bisogna seguire il verosimile ignorando che cosa sia il
vero" (Contro Acad. I, c.7).
Seconda parte: Il Relativismo Fenomenico si riduce logicamente nello
Scetticismo.
Partendo della negazione logica della certezza: Si riduce logicamente
allo Scetticismo quella teoria dei cui presupposti si segue logicamente la
professione dell'incertezza universale. cosicch tale il Relativismo
Fenomenista universale. Quindi il Relativismo Fenomenista universale
logicamente si riduce allo Scetticismo.
La minore. Il Relativismo Fenomenista universale, nega che possiamo
conoscere alcuna realt come realmente , e conseguentemente afferma che noi
conosciamo tutta la realt solo come appare. Con tale presupposto,
argomentiamo cos:
Quando noi siamo coscienti di cogliere qualche oggetto come realmente
, sempre siamo certi; mentre quando ancora non siamo coscienti, rimaniamo
incerti. Quindi non si d un mezzo tra la conoscenza certa dell'oggetto come ,
e la conoscenza incerta dell'oggetto come meramente appare. cosicch il
Relativismo Fenomenista universale non pu ammettere nessuna conoscenza

certa: perch se l'ammettesse, non sarebbe pi Relativismo universale. Quindi


deve ammettere solo la conoscenza incerta; ed in questo senso si riduce
logicamente alla professione dell'incertezza universale.
Obiezione. - Non la stessa cosa avere una conoscenza fenomenica ed essere
in uno stato di totale illusione.
Risposta. Distinguo: non la stessa cosa avere una conoscenza
fenomenica su alcune cose ed essere in uno stato di totale illusione, concedo,
perch in questa ipotesi si conosce come almeno la stessa realt attuale dei
fenomeni; non la stessa cosa avere una conoscenza fenomenica su tutte le
cose ed essere in uno stato di totale illusione, nego, perch in questa ipotesi non
si conoscerebbe come neanche la stessa realt attuale del fenomeno.
Terza parte: Il Relativismo si confuta allo stesso modo che lo Scetticismo.
Nelle parti precedenti abbiamo visto che l'ipotesi relativistica si risolve
logicamente nell'ipotesi scettica. E nella tesi precedente abbiamo mostrato che
l'ipotesi scettica in realt impossibile, e come dottrina, contraddittoria. Quindi
similmente bisogna dire dell'ipotesi relativistica. Perch infatti:
a) Il Relativismo Universale una realt impossibile. Gli stessi
Relativisti concedono che hanno certezze pratiche con le quali dirigono la loro
vita. Ma ogni certezza pratica implica la certezza speculativa sull'applicazione
assoluta, e quindi sulla certezza assoluta, del principio di contraddizione.
Inoltre chi professa il Relativismo universale cosciente di professare questo e
capisce i motivi che lo convincono a fare questa professione. Quindi
nell'esercizio dell'atto (exercite), cosciente di alcune verit assolute e della
natura assoluta della sua conoscenza.
b) Il Relativismo Universale implica contraddizione. Perch in qualsiasi
modo che si proponga deve significare sempre qualcosa con certezza, o
significare qualcosa assolutamente; e deve significare insieme che niente
assoluto, perch altrimenti non sarebbe Relativismo Universale. Quindi in
qualunque modo che esso si proponga, implica contraddizione.
c) Da ci si conclude legittimamente che anche il Relativista pu essere
ridotto a contraddizioni evidenti, e cos avere la possibilit di prendere
coscienza esplicita delle sue contraddizioni.
La confutazione rispetto ai Relativistici si pu fare di molte maniere,
per esempio: a) Rispetto ai Relativisti in generale: Colui che dice che tutte le
cose sono vere, provoca che l'opinione contraria alla sua opinione diventi
anche vera. E siccome la contraria alla sua opinione che la sua opinione non
vera; allora colui che dice tutte le cose sono vere, dice che la sua opinione non
vera, e cos distrugge la sua opinione. E ugualmente chiaro che chi dice che

tutte le cose sono false, dice anche che egli stesso sta dicendo il falso" (In IV
Metaph, lect. 17, n. 742). b) Rispetto ai Relativisti in particolare: Chi giudica
che ogni conoscenza dipende dal tipo intellettuale, dice implicitamente che egli
ha colto questa dipendenza, e quindi che ha conosciuto assolutamente (cio,
non solo dipendentemente del suo tipo di pensare) la dipendenza di ogni
conoscenza dei tipi di pensare... Chi dice che la verit una funzione della
nostra costituzione psichica (psicologismo), dice implicitamente che egli
conosce questa nostra costituzione psichica. E quindi esclude la psicologia dal
relativismo. Ugualmente chi fa dipendere la verit dal fine ad ottenere
(pragmatismo), suppone che conosce un certo fine come buono ed appetibile.
Cio, suppone la dottrina del bene come assolutamente vera" (De Vries,
Critica, n. 119-120).
Obiezioni. - 1. Se l'intelletto si ordinasse alla verit assoluta, non dovrebbero
darsi discrepanze dispute ed errori tra i filosofi. cosicch si danno, secondo
quello di Cicerone: Niente si pu dire tanto assurdo che non l'abbia detto
qualche filosofo (De Divinat., II c. 58). Quindi il nostro intelletto non si ordina
alla verit assoluta.
Risposta. Distinguo il maggiore: Se il nostro intelletto si ordinasse alla
verit indifettibilmente, non si darebbero discrepanze, dispute ed errori tra i
filosofi, concedo; se si ordinasse solo difettibilmente, suddistinguo: non si
darebbero discrepanze, dispute ed errori su tutte le cose, concedo; su alcune,
nego. Ed in questo senso distinguo sia la minore che il conseguente.
Istanza: Non esiste niente che non possa disputarsi per entrambe le parti,
ed anche a noi ci succede che in diverso tempo pensiamo cose contrarie.
Risposta. Distinguo: nelle cose pi difficili, concedo; nelle pi evidenti,
nego, o suddistinguo: con parole o illusoriamente, concedo; realmente, nego.
Questa difficolt molto importante e merita una considerazione pi
attenta:
a) Questa difficolt ha valore nella misura in cui l'hanno i presupposti su
cui poggia. E questi sono: la conoscenza certa del fatto della discrepanza e
dell'errore, delle verit fondamentali senza la cui luce lo stesso fatto non pu
conoscersi, e della capacit della nostra mente di inferire conseguenze logiche.
Quindi l'indole della conclusione illusoria, perch poggia su alcune cose
assolutamente certe.
b) Il fatto della discussione e della ricerca manifesta un'ordinazione
essenziale della mente per la verit assoluta. Perch se il relativismo fosse lo
stato connaturale, ognuno dovrebbe fermarsi nella sua relativit, e non si
darebbe nessuna ragione di disputare in pro o in contro. Ma si disputa nella

misura in cui si pensa che possibile riconoscere lopinione pi accettabile; e


questo si pensa perch si d la persuasione di poter conoscere alcuna verit
assoluta, di fronte alla quale possiamo discernere le opinioni pi accettabili.
c) Non bisogna esagerare il fatto della discrepanza, perch per esempio,
nelle cose naturali che stanno a fondamento delle scienze, tutti gli uomini
spontaneamente, e i migliori filosofi anche riflessamente, convennero sempre.
E quelli che divergono, divergono illusoriamente, mentre necessario che
convengano realmente. In questo senso diciamo nella risposta alla difficolt che
non si d discrepanza su tutte le cose, e concediamo che siamo ordinati alla
verit non indefettibilmente, bens difettibilmente.
d) Il fatto che i filosofi giungano a conclusioni assurde manifesta la
natura logica della mente umana. Perch facilmente si nota che, ammesso un
principio in parte vero ed in parte falso, dopo hanno proceduto da esso con una
logica sistematica. Ma ci dimostra che tutti sono persuasi che non pu darsi
nessuna filosofia asistematica, cio, incoerente con s stessa. L'assurdit delle
conclusioni inferite si d come segno manifesto di qualche errore iniziale. Di
qua la necessit di mettere bene gli inizi sistematici, perch un piccolo errore
all'inizio grande alla fine (De Ente et Essentia, inizio).
2. Affinch la scienza sia possibile, devono conoscersi tutte le
conclusioni, che convergono allinsieme. cosicch precisamente ci
impossibile. Quindi la scienza impossibile.
Risposta. Distinguo il maggiore: affinch la scienza sia possibile, si
devono conoscere tutte le conclusioni principali, concedo; tutte le conclusioni
possibili, suddistinguo: affinch sia possibile una scienza comprensiva,
concedo; adeguata, nego. Contradistingo la minore ed ulteriormente distinguo il
conseguente. In questo senso appare chiaro che la scienza umana non
comprensiva, bens adeguata.
Istanza: Quanto pi si progredisce nelle investigazioni scientifiche, pi
conclusioni diventano oscure.
Risposta. Distinguo: tutte le conclusioni, nego; alcune, cio le pi
lontane dai primi principi e dalle prime conclusioni, concedo.
Perch stabilito il principio di contraddizione, non deve ammettersi solo
che il vero non si oppone al vero, che il falso si oppone al vero, etc., ma anche
deve ammettersi che del vero solo si segue il vero. Quindi la certezza dei
principi e delle conclusioni evidenti non si debilita per conclusioni ancora
probabili, n si debilita per conclusioni apparentemente antinomiche.
Istanza seconda: Data la continua e progressiva evoluzione delle

scienze, pu temersi prudentemente che qualche volta le nostre conoscenze


presenti, saranno corrette.
Risposta. Distinguo: pu temersi prudentemente che si correggano tutte
le nostre conoscenze presenti, inclusi i principi evidenti e le conclusioni
evidentemente connesse con essi, nego; alcune nostre conoscenze, esclusi
tuttavia i pricipi e le conclusioni evidentemente connesse con essi, concedo.
3. Le cose che stanno in continuo cambiamento non si possono comporre
sistematicamente in una scienza stabile. cosicch la realt che noi
conosciamo sta in continuo cambiamento. Quindi la realt che noi conosciamo
non si pu comporre sistematicamente in una scienza stabile.
Risposta. Distinguo il maggiore: quello che sta in continuo
cambiamento, in tal modo che non ha nessuna stabilit neppure negativa ed
ipotetica, non si pu comporre sistematicamente in una scienza stabile,
concedo; quello che sta in continuo cambiamento, in tal modo che conserva
qualche stabilit e necessit, nego. E contradistingo la minore. Quale sia la
stabilit della realt lo spiegheremo pi avanti quando parleremo dei concetti
universali.
4. La scienza umana solo pu svilupparsi procedendo da ci che si
sperimenta in concreto. cosicch da ci che si sperimenta in concreto solo
possono dedursi relazioni che collegano i fenomeni. Quindi la scienza umana
solo pu svilupparsi con relazioni che collegano i fenomeni; e quindi qualsiasi
scienza assoluta impossibile.
Risposta. Concedo o lascio passare la maggiore, e distinguo la minore:
di ci che si sperimenta in concreto solo si possono dedurre relazioni che
collegano i fenomeni tanto essenziali quanto accidentali, concedo; solo si
possono dedurre relazioni accidentali, nego. Ugualmente distinguo il primo
conseguente e nego il secondo. Poi spiegheremo come partendo da ci che
sperimentiamo possiamo astrarre nozioni essenziali e comporle e dividerle in
giudizi tanto induttivi come deduttivi.
5. Ci che relativo alle condizioni soggettive del conoscente solo pu
essere colto come appare. cosicch il nostro oggetto conosciuto relativo alle
condizioni soggettive del conoscente. Quindi solo pu essere colto come
appare.
Risposta. Distinguo la maggiore: ci che relativo alle condizioni
soggettive del conoscente rispetto a quello che conosce, solo pu conoscersi
come appare, concedo; ci che relativo alle condizioni soggettive del
conoscente, solo rispetto al modo come conosce, nego. Contradistingo la

maggiore.
Istanza: Non pu darsi la stessa conoscenza in conoscenti
specificamente diversi.
Risposta. Distinguo: non pu darsi la stessa conoscenza soggettivamente
in conoscenti specificamente diversi, concedo; la stessa conoscenza
obiettivamente, nego.
"Cos come ci sono infiniti intelletti possibili, alcuni pi perfetti che altri,
fino al sommo intelletto che Dio, cos sono pure infiniti gradi di perfezione
nella conoscenza della cosa vera. Si pu quindi dire che quella conoscenza
della verit che per lumano perfetta, imperfettissima per gli angeli; cos
come quella scienza che per un bambino si dice grande, farebbe arrossire il
dotto filosofo. Ma da ci non si deve dedurre che ci che di vero raggiunge il
bambino, non sia ugualmente vero per il filosofo, n deve concludersi che la
verit stessa si debba dire relativa ai diversi intendimenti, o alle varie
condizioni degli stessi. Poich l'adeguazione, nella quale consiste la sua
ragione, non ammette gradi, giacch consiste in questo: che la forma espressa
per il predicato conviene veramente al soggetto reale cos come l'afferma
l'intelletto. E questa adeguazione o , o non . Quindi il giudizio o
assolutamente vero, o assolutamente falso" (Billot, De Sacra Traditione,
contro la nuova eresia dell'evoluzionismo) Roma 1922, p. 98).

ARTICOLO TERZO
L'Idealismo in generale
Senso dell'articolo. - Della riduzione del Relativismo allo Scetticismo, si
conclude legittimamente che la nostra verit assoluta, e che la verit assoluta
si misura per lo stesso essere dell'oggetto. Ma molti idealisti, si distinguono dei
relativistici e scettici in quanto che ammettono che la verit assoluta, ma
affermano insieme che la verit assoluta solo pu fondarsi su un oggetto
completamente immanente alla conoscenza. Quindi prima di proseguire,
conviene esaminare, di proposito, se una conoscenza assolutamente vera pu
fondarsi su un oggetto completamente immanente.
TESI IX. - Nel giudizio vero si coglie sempre una certa trascendenza
dell'oggetto conosciuto, di tale modo che non ha bisogno di una
dimostrazione diretta. Indirettamente pu mostrarsi di molte diverse
maniere, partendo delle incoerenze interne della posizione idealista.

Prenozioni - 1. Nella tesi trattiamo dell'Idealismo Moderno Integrale, secondo


il quale l'oggetto conosciuto completamente immanente alla nostra
conoscenza. L'Idealismo moderno integrale si distingue in Empirico e
Trascendentale secondo che ammetta un soggetto ultimamente individuale, o
un soggetto ultimamente comune, come spiegheremo. Nella tesi consideriamo
in generale entrambi gli Idealismi, ma soprattutto l'Idealismo Trascendentale, e
lo esaminiamo, non sotto l'aspetto metafisico che possa avere, bens in guanto
che inizialmente si mette sotto laspetto gnoseologico o critico".
Sotto questo aspetto gnoseologico, l'Idealismo si presenta inizialmente
professando il "principio dellimmanenza", secondo il quale noi solo
conosciamo l'oggetto interno alla conoscenza. L'oggetto idealisticamente
interno alla conoscenza, un oggetto completamente dipendente dell'attivit
conoscitiva per la quale si conosce in atto, cio, un oggetto il cui essere
consiste nel puro essere conosciuto, che solo pu esistere mentre siamo
coscienti in atto.
Al questo principio dellimmanenza il Realismo oppone il principio della
trascendenza, secondo il quale noi conosciamo un oggetto trascendente la
conoscenza. L'oggetto realisticamente trascendente la conoscenza non un
oggetto completamente dipendente dell'attivit conoscitiva per la che si
conosce in atto, cio, un oggetto il cui essere non consiste nel puro essere
conosciuto, che pu anche esistere mentre non siamo coscienti in atto.
Posto il principio di immanenza, Gli Idealisti, soprattutto i moderni,
concludono ulteriormente: a) che la certezza realistica spontanea si deve
correggere mediante una riflessione critica; b) che l'attivit conoscitiva precede
l'essere (sono perch penso, l'oggetto perch pensato); c) che la conoscenza
si risolve nel puro divenire della relazione conoscitiva i cui termini sono un
pensare senza soggetto che pensi, e un essere pensato senza un oggetto che
sia pensato, e cos via. Fondati su questi presupposti, molti Idealisti sviluppano
una metafisica dall'ente ideale (le cui nozioni proprie sono: il primato del
divenire sullessere, il puro divenire dialettico, l'identit dei diversi, l'unit dei
relativi, l'universale concreto, e cos via).
In opposizione all'Idealismo, i Realisti affermano: a) che la certezza
spontanea realista non si deve correggere, ma che bisogna riconoscerla
ordinatamente e spiegarla coerentemente; b) che l'essere precede all'attivit
conoscitiva (penso perch sono, l'oggetto si pensa perch gi ); c) che la
conoscenza consiste nella relazione conoscitiva del soggetto che pensa con
l'oggetto che pensato. Con questi presupposti, i Realisti sviluppano una
metafisica dall'ente reale (le cui nozioni proprie sono: il primato dell'essere sul
divenire, l'analogia dell'ente, l'identit e la diversit, l'unit e la molteplicit,
lassoluta e lo relativo, la potenza e l'atto, la sostanza e l'accidente, e cos via.

2. Nella presente tesi cerchiamo di stabilire inizialmente la legittimit del


Realismo in generale, contemplando l'impossibilit dell'Idealismo radicale.
Cerchiamo cos di confutare la stessa concezione della conoscenza propria
dell'Idealismo, e il principio su cui si fonda questa concezione, lasciando per la
tesi undicesima la considerazione esplicita della realt del mondo sensibile
come esistente in s.
Non mancano Idealisti che dal principio di immanenza arrivano al
Solipsismo. I principali, con tutto, respingono il Solipsismo e coincidono
nell'esclusione negativa dello Scetticismo e del Relativismo. Perci, la
questione critica iniziale tra l'Idealismo ed il Realismo si riduce ad esaminare:
a) se la conoscenza vera dell'oggetto immanente o trascendente, e b) se,
supposta l'immanenza integrale della conoscenza in senso idealista, possano
spiegarsi coerentemente i dati dell'esperienza, la natura della conoscenza ed il
valore assoluto della filosofia.
Nella tesi affermiamo che noi nell'atto del giudizio vero cogliamo alcuna
trascendenza dell'oggetto conosciuto, di tale maniera che non necessita di una
dimostrazione diretta; e da l procediamo a difendere questa affermazione,
notando che gli Idealisti non sono capaci di spiegare coerentemente i dati
dell'esperienza, la natura della conoscenza ed il valore assoluto della filosofia.
Dividiamo la prova della tesi in due parti: nella prima, mostriamo
esplicitamente che la trascendenza dell'oggetto conosciuto non pu essere
strettamente dimostrata, perch viene sempre conosciuta in atto nello stesso
giudizio vero; nella seconda, consideriamo le incoerenze della posizione
idealista.
Opinioni. - 1. Il nome di Idealismo rimanda generalmente ad ogni concezione
della vita e della realt che concede un importanza primordiale alla idea. Nel
linguaggio ordinario, si chiama frequentemente idealismo ad ogni programma
che tenta di realizzare ideali, e in questo senso si oppone allegoismo o
allutilitarismo. Nell'uso filosofico, si dice propriamente Idealismo ogni sistema
che concepisce la realt dell'esperienza come la realizzazione di alcuna Idea o
Principio ideale, ed in questo senso lIdealismo si oppone al Materialismo.
L'Idealismo filosofico, cos come si presenta storicamente, si divide in
antico e moderno. L'Idealismo Antico, distingue adeguatamente la mente
umana dalla realt di esperienza e dal Principio ideale della realt di esperienza.
In questo senso normalmente si chiama Idealismo Realistico, non solo il
sistema platonico fondato sulle Idee, ma anche il sistema aristotelico fondato su
Dio, nel quale l'intelligente e lintelligibile si identificano. L'Idealismo
Moderno, non distingue adeguatamente la mente umana dalla realt di
esperienza, n dal Principio ideale della realt empirica; perci questo

Idealismo si chiama anche Idealismo Immanentista. Dopo queste


considerazioni, bisogna ora ricordare alcune cose su questo l'Idealismo
moderno immanentista.
2. Tra gli Antichi non mancarono i Soggettivistici nel senso relativistico
fenomenico, che pensavano che tutte le propriet e nature delle cose
consistevano nel loro sentirle o pensarle (In IX Metaph, lect. 9 n. 1800). Ma la
teoria dell'immanenza si deve dire propria dell'epoca moderna, e ha la sua
origine remota nel Cogito cartesiano. L'Idealismo Immanentista moderno, si
divide in molte forme, e non sempre allo stesso modo. Considerando la sua
origine storica, pu distinguersi spontaneamente in empirico, trascendentale
formale o critico, e trascendentale assoluto.
L'Idealismo Empirico, solo ammette l'io individuale che si d nella nostra
esperienza interna: si chiama Acosmista, se nega l'esistenza reale del mondo
corporeo (cos Berkeley, il primo che propose il principio: esse est percipi,
lessere consiste nel percepire); si chiama con meno propriet Fenomenista, se
nega che possiamo trascendere le nostre modificazioni soggettive (Hume); si
chiama Integrale, se nega ogni cosa in s, coincidendo in questo modo col
Solipsismo (cos C. Brunet ed A. Levi). Di questo Idealismo Empirico Integrale
trattiamo anche nella tesi.
Kant distinse tra l'io empirico e l'Io trascendentale, o stabile e comune,
del quale sono proprie tutte le forme a priori. La materia della conoscenza, o i
dati sensibili che provengono dalla cosa in s, sono accolti nelle forme della
sensibilit e nelle categorie dell'intelletto, e in definitiva vengono informati per
l'auto-coscienza o per l'Io trascendentale: cos l'oggetto costituito e risulta in
contrapposizione al soggetto. Questa dottrina kantiana si chiama anche
Idealismo Trascendentale Formale, ed un Idealismo dualista, perch col suo
senso proprio, mantiene ancora la cosa in s.
Gli Idealistici poskantiani arrivarono a un Idealismo Monista. Fichte, una
volta soppresa come illogica la cosa in s kantiana, concep un Io
trascendentale come Principio primo dal quale nasce e si deduce ogni
determinazione empirica e finita; e cos fu il primo a proporre un Idealismo
Trascendentale Integrale, in senso soggettivo. Dopo di lui, Schelling concep il
Principio primo come un Assoluto inizialmente indeterminato, in senso
oggettivo. Pi tardi Hegel, affermando che ogni la cosa razionale reale, e
ogni cosa reale razionale, concep l'Assoluto, o l'Idea divina, come
dialetticamente realizzandosi attraverso tutte le determinazioni finite, fino alla
piena coscienza di s. L'Idealismo hegeliano si chiama oggi Idealismo
Oggettivo, o anche Idealismo Metafisico.
Sotto l'influsso della dottrina kantiana, fichtiana e hegeliana, molti
Moderni proposero e svilupparono un Idealismo Trascendentale Integrale che

risolve tutte le cose empiriche oggettive e soggettive in una Coscienza o


Soggetto trascendentale. Di questo Idealismo Moderno, trattiamo precisamente
in questa tesi, considerandolo come si presenta inizialmente sotto l'aspetto
gnoseologico e critico.
Tra gli Idealisti Moderni bisogna citare: in Inghilterra, T. M. Green,
(alcuna distinzione tra la coscienza finita ed infinita), F. H. Bradley
(sovra-personalit dell'Assoluto), B. Bosanquet, (infinit dell'Assoluto), J. E.
Mc Taggart (impersonalit dell'Assoluto); in America, J. Royce, (Idealismo
coscienziale personalista); in Francia, J. Lachelier (Idealismo pluralistico). O.
Hamelin, (Idealismo dialettico monista); L. Brunschwigg, (Philosophie de
l'Esprit, che tutto lo risolve in una coscienza); in Germania, la Scuola
Neokantiana Di Marburgo, (che considera la struttura logica dell'oggetto,
marginando la considerazione del soggetto); in Italia, B. Croce, (Filosofia dello
Spirito), ed inoltre G. Gentile, (Idealismo attuale, che risolve tutto lempirico
nellattualit dell'Io trascendentale). Oggi, si abbandona progressivamente
l'Idealismo Assoluto, ma in questa reazione contro l'Idealismo, frequentemente
si trattengono pregiudizi soggettivisti.
Prova della prima parte della tesi: La trascendenza dell'oggetto conosciuto
non pu essere strettamente dimostrata, perch sempre conosciuta in atto
nello stesso giudizio vero.
Per un riconoscimento declaratorio. Cos come non possiamo dimostrare
strettamente che conosciamo la verit, ugualmente non possiamo dimostrare le
altre cose che necessariamente cogliamo nello stesso giudizio vero. cosicch
nello stesso giudizio vero cogliamo necessariamente alcuna trascendenza
dell'oggetto. Quindi cos come non possiamo dimostrare che conosciamo la
verit, ugualmente non possiamo dimostrare che cogliamo alcuna trascendenza
dell'oggetto.
La maggiore, ammessa da tutti quelli che convengono nella rimozione
metodica dello Scetticismo e del Relativismo.
La minore si mostra per un'analisi del giudizio vero. Perch in ogni
giudizio vero, tanto rispetto al soggetto che conosce, come alla realt
conosciuta, abbiamo la coscienza chiara di affermare che l'oggetto come
realmente : perch altrimenti rimaniamo incerti. E per questo, siamo coscienti:
a) che la nostra conoscenza vera perch afferma che l'oggetto cos, e che
sarebbe falsa se affermasse che l'oggetto non cos; e quindi; b) che l'essere
dell'oggetto conosciuto regola o misura la conoscenza attuale per la quale
conosciuto in atto; e quindi; c) che, poich misura la conoscenza attuale,
indipendente di essa, e in quanto indipendente di essa, lo trascende. Quindi in
ogni giudizio vero, cogliamo necessariamente alcuna trascendenza dell'oggetto.

Questa conclusione pu illustrarsi per la stessa coscienza dell'errore e del


limite, da cui nasce il nostro primo problema. Perch in ogni ordine assumiamo
una coscienza esplicita dell'errore quando lo scopriamo e correggiamo. Ma
scopriamo l'errore quando vediamo che non giudichiamo dell'oggetto come
realmente , e lo correggiamo giudicando l'oggetto come realmente . Quindi la
stessa coscienza dell'errore conferma che l'oggetto del giudizio vero misura la
conoscenza attuale per la quale viene giudicato in atto. La stessa cosa bisogna
dire rispetto alla coscienza del superamento del limite.
In particolare, rispetto ai filosofi che professano inizialmente il principio
di immanenza, possiamo estendere l'argomento cos:
Chiunque respinge lo Scetticismo e il Relativismo universali, deve
concedere che per avere una verit valida per il filosofo: a) non basta affermare
che un oggetto , affinch ipso facto diventi come si afferma (altrimenti
l'affermazione dell'immanenza o della trascendenza, ed in generale tutte le
affermazioni contraddittorie, sarebbero ugualmente vere); b) ma bisogna
mostrare senza dubbio che l'oggetto in questione realmente come si afferma
di essere.
cosicch: a) se non basta affermare che un oggetto affinch ipso facto
sia cos come si afferma: l'essere dell'oggetto non consiste nel suo affermarlo
(perch se consistesse nel suo affermarlo, sarebbe la stessa cosa affermare ed
essere); b) se bisogna affermare l'oggetto cos come realmente : l'essere
dell'oggetto regola o misura la sua attuale affermazione, e per la stessa ragione
non dipende totalmente dalla sua affermazione, ma la trascende.
Quindi affinch il filosofo abbia una verit valida bisogna concedere che
conosciamo alcuna trascendenza dell'oggetto.
Obiezione: Giudichiamo anche con verit dell'ente di ragione. cosicch l'ente
di ragione prodotto per l'attivit conoscitiva. Quindi giudichiamo anche con
verit dell'ente prodotto per l'attivit conoscitiva.
Risposta. Distinguo la maggiore: giudichiamo con verit dell'ente di
ragione nell'atto di apprensione per il quale l'ente di ragione costituito, nego;
nell'atto susseguente atto del giudizio, che stabilmente viene normato per l'ente
di ragione gi costituito, concedo. Lascio passare la minore e ugualmente
distinguo il conseguente.
Infatti, in ogni giudizio vero diretto su cose oggettive, abbiamo un
soggetto conoscente, che con la sua attivit produce il verbo del giudizio, sotto
l'influsso normativo della cosa sulla quale proferisce il giudizio; ed in ogni
giudizio vero riflesso sugli atti reali o sul soggetto reale, abbiamo ugualmente
un soggetto conoscente, che con la sua attivit produce il verbo del giudizio,
sotto l'influsso normativo della realt interna sulla quale proferisce il giudizio.

In entrambi i casi conosciamo qualche ente che trascende la conoscenza per la


quale giudichiamo in atto, come gi abbiamo cominciato ad illustrare nella
parte prima della tesi seconda.
Con queste premesse, allo scopo di eliminare dell'Idealismo radicale,
conviene notare che l'Idealismo radicale si rimuove anche sottomettendo ad
un'analisi i giudizi veri riflessi sugli enti di ragione. Perch come consta per la
verit assoluta della scienza logica, i giudizi logici sono regolati per lo stesso
essere dell'ente di ragione sul quale vertono. Quindi i giudizi logici non
costituiscono l'ente di ragione, ma lo presuppongono gi costituito (per qualche
altro atto intellettuale precedente al giudizio, cio, per l'atto della semplice
apprensione). Di qua si conclude inoltre che anche nel giudizio logico vero,
cogliamo l'oggetto in quanto che a suo modo trascende la conoscenza per la
quale giudicato in atto, cio, in quanto che col suo modo proprio imita la
stabilit ed indipendenza dell'ente reale, e cos resta sotto la nozione comune di
ente, secondo la quale definiamo la verit come l'adeguazione dell'intelletto e
della cosa.
Lasciamo passare la minore, perch la formazione dell'ente di ragione
non procede secondo il nostro piacere, ma anche essa viene misurata da alcune
cose previamente conosciute. Quindi l'ente di ragione non semplicemente e
completamente prodotto per l'attivit conoscitiva che lo apprende, ma si fonda
remotamente, o almeno remotissimamente, in qualche ente reale previamente
conosciuto, come poi spiegheremo.
Seconda parte: Indirettamente pu mostrarsi di molte diverse maniere,
partendo delle incoerenze interne della posizione idealista.
Partendo delle conseguenze logiche. Gli Idealisti che fondano il proprio
sviluppo filosofico sulla posizione del principio di immanenza: o risolvono
tutte le sue conoscenze attuali in un io empirico ed individuale; o pretendono di
evitare questo e risolvono tutto lo empirico in un Io trascendentale e comune.
Nella prima ipotesi si riducono al Solipsismo Relativistico; nella seconda, si
riducono ad incoerenze sistematiche.
La conseguenza della prima ipotesi, consta facilmente: a) si segue il
Solipsismo, perch non si pu ammettere nessun soggetto conoscente che non
sia quello individuale che si trova in atto cosciente; b) Relativistico, perch
nell'Idealismo, l'io empirico non sostanza, n ha struttura trascendentale, e per
la stessa ragione non pu fondare nessuna conoscenza stabile.
La conseguenza della seconda ipotesi, alla quale ricorrono
generalmente gli Idealisti, si mostra in forma cos.
Procede con incoerenza interna quella dottrina che proponendo che solo

pu darsi la cosa cosciente in atto, comincia e continua la sua speculazione


ammettendo che esiste prima qualcosa incosciente e dopo cosciente. cosicch
tale la dottrina Idealistica, in quanto che inizialmente si adotta la
supposizione del principio di immanenza. Quindi.
La minore. Innanzitutto bisogna notare che l'uomo che pensa, e quindi
l'uomo che filosofa, l'uomo in quanto questo uomo, come gi notava S.
Tommaso contro gli Averroisti; o con altre parole, che l'investigazione
filosofica sorge in un momento dalla maturit riflessiva individuale di questo
uomo, come pu confermarsi dal fatto che il dialogo filosofico si fa sempre tra
questo uomo e quell'uomo. Con queste premesse, la minorenne si pu mostrare
tanto rispetto alla filosofia in generale, come rispetto al modo come gli Idealisti
cominciano e continuano la loro speculazione.
1. Rispetto alla filosofia in generale. L'uomo incomincia a filosofare in
quanto che pretende di arrivare a conoscere sistematicamente quell'aspetto
essenziale della realt che ancora ignora: altrimenti non farebbe nessuna
investigazione filosofica propriamente detta. Quindi necessariamente la
filosofia sorge e si sviluppa nel presupposto realistico che esista qualcosa prima
sconosciuta e dopo conosciuta.
2. Rispetto all'inizio. Gli Idealisti ammettono che la persuasione
prefilosofica realistica, e dirigono la loro speculazione a correggere questa
persuasione o a scoprire ed illustrare quella natura ideale della realt che ancora
si ignora nella vita spontanea. Ma questo procedere con la supposizione
realista, cio ammettere che la natura ideale della realt esiste, prima
inconscia e dopo conscia.
3. Rispetto alla continuazione. Similmente, esaminando la spiegazione
Idealistica della nostra esperienza oggettiva e soggettiva:
a) Gli Idealisti ammettono generalmente che la nostra esperienza
obiettiva spontanea dell'oggetto realistamente colto, e perci distinguono un
momento iniziale (nel quale l'oggetto certamente creato per lo spirito, bench
ignori di crearlo), ed un momento terminale (nel quale si prende coscienza
dell'attivit creativa spirituale). Ma questo procedere col supposto realista, o
ammettere che l'attivit spirituale creativa esiste prima incosciente e dopo
cosciente.
b) Gli Idealisti ammettono generalmente che la nostra esperienza
soggettiva spontanea del soggetto individuale, e perci distinguono un
momento iniziale (nel quale l'Io trascendentale, ancora si ignora), ed un
momento terminale (nel quale l'Io trascendentale si conosce in atto). Ma questo
procedere col supposto realista, o ammettere che l'Io trascendentale esiste

prima incosciente e dopo cosciente.


Riassumendo brevemente l'argomento: Se fosse vero il principio
idealistico che niente esiste fuori dello cosciente in atto, dovrebbe succedere
che la coscienza di conoscere qualche oggetto coinciderebbe con
l'auto-coscienza di crearlo. cosicch il conseguente falso, come consta per
l'esperienza interna. Quindi anche l'antecedente e falso, e pertanto
l'immanentismo radicale si deve dire in realt impossibile.
Questa parte si pu illustrare ancora con alcune altre conseguenze
logiche della posizione idealista che d'altra parte alcuni Idealisti moderni hanno
fatto esplicitamente sue. Posto il principio di immanenza, dedussero
logicamente la professione del puro divenire o fieri conoscitivo, escludendo che
si possa ammettere una sostanza permanente, tanto da parte del soggetto come
dell'oggetto, ed esigendo il processo dialettico nell'evoluzione filosofica. Ora,
in quanto che escludono la sostanza permanente, la conoscenza spiegata
idealisticamente, si risolve nel un puro divenire della relazione conoscitiva tra
un puro pensare ed un puro essere pensato, senza un soggetto che pensa n
oggetto che sia pensato; e cos sarebbe un puro relativo senza assoluto, cio, il
pensare di nessuno e l'essere pensato di niente: o sarebbe una relazione senza
nessun senso intelligibile. Poi, in quanto che esigono il processo dialettico nello
sviluppo della filosofia, devono concepire ogni affermazione attuale come
superamento de la precedente e cos di nuovo. Quindi questo superamento
dialettico o termina in qualche momento, o procede indefinitamente. Nel primo
caso, arrivando questo momento supremo, cessa ogni dialettica, si riconosce
che il divenire la strada all'essere, si ammette il primato dell'essere sul
divenire, e cos si ritorna virtualmente al Realismo. Nel secondo caso, si
mantiene il divenire idealistico, rimane il primato del divenire sull'essere, ma
tutte le affermazioni devono dirsi ugualmente in parte vere e in parte false,
senza possibilit di distinguere definitivamente la parte vera della parte falsa, e
cos si ricade virtualmente nel Relativismo.
Nota 1. L'illegittimit del principio di immanenza. Per procedere
adeguatamente nella soluzione delle difficolt utile spiegare
metodologicamente alcune cose.
Il primo problema critico visto da parte degli Scettici e Relativistici
strettamente detto; dal punto di vista dei Realisti ampiamente detto, come gi
abbiamo mostrato nella tesi quinta. Poich gli Scettici e Relativistici dubitano
inizialmente del valore di ogni conoscenza spontanea esigono perci una
dimostrazione strettamente detta della conoscenza della verit assoluta, e non
trovandola, concludono o alla negazione della verit, o ad una verit solo
relativa. I Realisti contrariamente non dubitano inizialmente del valore di ogni

conoscenza spontanea, perci esigono solo un riconoscimento ed


un'argomentazione indiretta, e trovandoli finiscono nell'affermazione della
verit assoluta.
Ugualmente bisogna dire del primo problema critico visto da parte degli
Idealisti ed i Realisti. Poich nella conoscenza pre-filosofica si d una
persuasione realistica, i Realisti iniziano riconoscendo mediante una
dichiarazione la verit del principio di trascendenza e difendendola con
argomenti indiretti. Gli Idealisti ammettono che la conoscenza pre-filosofica
realistica, e perci non propongono il principio di immanenza mediante una
mera dichiarazione della conoscenza spontanea, ma mediante una
dimostrazione strettamente detta mediante la quale pretendono correggere la
concezione spontanea della conoscenza, una volta minato il suo valore
mediante il dubbio.
Con queste premesse, facile capire che gli Idealisti devono dimostrare il
principio di immanenza. Ma noi riportiamo che solo dimostrano presupponendo
quell'accezione della conoscenza che sta in questione. Perch gli Idealisti
dimostrano il principio di immanenza partendo dalla presenza dell'oggetto nella
conoscenza, dalla precedenza del soggetto rispetto all'oggetto, e cos via.
cosicch dalla presenza dell'oggetto si segue certamente l'immanenza
intenzionale, ma i Realisti mettono in questione che si segua l'immanenza
totale; dalla precedenza del soggetto si segue certamente la produzione della
specie, ma i Realisti mettono in questione che si segua la produzione
dell'oggetto. Quindi gli Idealisti che da ci concludono l'immanenza totale o la
produzione totale dell'oggetto, presuppongono gi nelle premesse
quell'accezione della conoscenza che sta in questione.
Della ci si deduce anche che gli Idealisti non possono ritorcere
l'argomento, riportando che anche i Realisti cominciano supponendo la
concezione realistica della conoscenza che sta in questione. Perch i Realisti
mettono la questione in un senso ampiamente detto, e pertanto non possono
essere arguiti di petizione di principio, perch l'Avversario non ha diritto di
esigere una dimostrazione della cosa indimostrabile. N possono gli Idealisti
riprovare il metodo dei Realisti, perch i Realisti usano rispetto agli Idealisti
quello stesso metodo che gli Idealisti usano rispetto agli Scettici.
Nota 2. La natura della conoscenza realistica. Per procedere adeguatamente
nella soluzione delle difficolt, utile anche ricordare come la filosofia
realistica spiega la natura della stessa conoscenza, supposta la trascendenza
della conoscenza. Bisogna ricordare tre cose che appartengono alla spiegazione
tomista della conoscenza, come nel suo posto spiegheremo: a) Il conoscente e il
conosciuto si distinguono nell'ordine reale, ma si identificano nell'ordine

conoscitivo o intenzionale (intellectum in actu est intelligens in actu:


lintelligente in atto lo intelletto in atto: - I, q.85 a. 2 ad 1); b) questa unione
accade mediante la specie intelligibile, prodotta per l'attivit conoscitiva del
soggetto conoscente, sotto l'influsso normativo dell'oggetto conosciuto (ex
obiecto et subiecto paritur cognitio: dell'oggetto e del soggetto nasce la
conoscenza); c) la specie si comporta come ci mediante cui o in cui si conosce
la cosa, e non come ci che si conosce. In questo senso, proprio della
conoscenza che trascenda intenzionalmente la stessa specie mediante la specie:
in tal modo che nella conoscenza si d un'immanenza intenzionale dell'oggetto
reale.
Obiezioni. - 1. Noi solo conosciamo l'oggetto presente nella conoscenza.
cosicch l'oggetto presente nella conoscenza immanente alla conoscenza.
Quindi noi solo conosciamo l'oggetto immanente alla conoscenza.
Risposta. - Concedo la maggiore e distinguo la minore: l'oggetto
presente nella conoscenza immanente alla conoscenza intenzionalmente, o
rappresentativamente, concedo; realmente, o entitativamente, nego, o chiedo la
prova. Ugualmente distinguo il conseguente.
Istanza: Se l'oggetto fosse presente nell'intelletto rappresentativamente,
si conoscerebbe la rappresentazione, ma non si conoscerebbe la cosa.
Risposta. Distinguo: se la rappresentazione o la specie si comportasse
come ci che si conosce, concedo; se come ci mediante cui o in cui si conosce
la cosa, nego.
Questa obiezione la propongono anche alcuni Realisti non Scolastici che
pensano che la specie intelligibile degli Scolastici porta logicamente al
mediatismo. Ma precisamente la specie ci che salva dal mediatismo, come si
vedr nel suo posto; perch solo mediante la dottrina della specie pu spiegarsi
l'unit ed irriducibilit del soggetto conoscente e dell'oggetto conosciuto.
2. Il termine della conoscenza, in quanto termine di un'azione immanente,
immanente. cosicch il termine della conoscenza la stessa realt
dell'oggetto. Quindi la realt dell'oggetto immanente.
Risposta. Distinguo la maggiore: il termine prodotto per l'attivit
conoscitiva immanente, concedo; il termine rappresentato per l'azione
conoscitiva immanente, suddistinguo: immanente soggettivamente, cio,
come perfezione del conoscente, concedo; obiettivamente, cio, rispetto a ci
che si conosce, nego. Contradistingo la minore ed ulteriormente distinguo il
conseguente. In questo senso si pu rettamente dire che nella conoscenza
immanente lo stesso oggetto reale.

3. Per conoscere la verit fondata nell'ente reale, bisogna conoscere


l'adeguazione tra la conoscenza e la cosa. cosicch ci impossibile: perch
il conoscente non pu uscire dalla sua conoscenza. Quindi impossibile
conoscere la verit fondata nell'ente reale.
Risposta. Concedo la maggiore e nego la minore. Distinguo la ragione
aggiunta: il conoscente non pu entitativamente o psicologicamente uscire dalla
sua conoscenza, concedo; intenzionalmente o rappresentativamente, nego.
La conoscenza psicologicamente un atto immanente ma
intenzionalmente trascendente, perch il conoscente diviene vitalmente lo
stesso oggetto conosciuto. Cos, nessun Realista pensa che per fare una
comparazione si richieda l'assurdo che sarebbe uscire psicologicamente da s
stesso. Poich la comparazione si fa nell'ordine conoscitivo, basta che il
conoscente diventi conoscitivamente la cosa conosciuta, e sia capace di
riflettere perfettamente su la sua conoscenza.
4. Affinch un oggetto si conosca, si richiede l'attivit soggettiva per la
quale diventa conosciuto. cosicch l'oggetto che prerichiede l'attivit
conoscitiva per divenire conosciuto, ha un essere che consiste nello stesso
essere conosciuto. Quindi affinch qualcosa si conosca, il suo essere deve
consistere nello stesso essere conosciuto.
Risposta. Distinguo la maggiore: affinch un oggetto si conosca, si
richiede previamente un soggetto per il quale divenga conosciuto, cio,
intenzionalmente rappresentato, concedo; cio, completamente prodotto, nego,
o chiedo la prova. E contradistingo la minore.
5. La nostra conoscenza concreta non pu essere passiva. cosicch la
conoscenza realista passiva. Quindi la nostra conoscenza concreta non pu
essere realista.
Risposta. Distinguo la maggiore: la conoscenza concreta non pu essere
del tutto passiva, concedo; in parte attiva ed in parte passiva, nego. E
contradistingo la maggiore.
I Realisti non negano la precedenza del soggetto rispetto all'oggetto che
si deduce della stessa esperienza interna, ma dopo avere riconosciuto che
l'oggetto norma e trascende la conoscenza, concludono che bisogna ammettere
anche qualche precedenza dell'oggetto rispetto al soggetto: e cos concludono
che delloggetto e del soggetto nasce la conoscenza.
6. L'oggetto della conoscenza vera non pu essere simultaneamente
dipendente e non dipendente della conoscenza. cosicch l'oggetto della
conoscenza realistica simultaneamente dipendente e non dipendente della
conoscenza. Quindi l'oggetto della conoscenza vera non pu essere realistico.

Risposta. Distinguo la maggiore: l'oggetto della conoscenza vera non


pu essere simultaneamente dipendente e non dipendente della conoscenza
sotto lo stesso aspetto, concedo; sotto diverso aspetto, nego. Contradistingo la
minore.
L'oggetto dipendente della conoscenza in quanto conosciuto mediante
la specie prodotta per l'attivit del conoscente, ed indipendente della
conoscenza in quanto che norma l'attivit conoscitiva del soggetto che produce
la specie. Secondo questa concezione generale, deve spiegarsi la conoscenza in
senso realista.

ARTICOLO QUARTO
L'Antiintellettualismo in generale
Senso dell'articolo. - Dell'impossibilit dell'Idealismo integrale, si conclude
legittimamente che la verit assoluta si fonda sull'ente reale, o sull'ente che
trascende la conoscenza mediante la quale si giudica in atto. Ora, gli
Antiintellettuali moderni, non negano che possiamo cogliere la realt che ci
offre lesperienza, negano piuttosto che sia l'intendimento chi capti
genuinamente questa realt. Perci, per completare l'investigazione sulla
conoscenza della verit, conviene esaminare di proposito se la nostra verit in
senso proprio di stampo intellettuale.
TESI X. - La natura intellettuale della nostra verit la cogliamo exercite,
in tal modo che non ha bisogno di una dimostrazione diretta. Le filosofie
che seguono tendenze Antiintellettuali evitano il relativismo solo
ammorbidendo il principio che professano.
Prenozioni - 1. Col nome di Antiintellettualismo abbracciamo nella tesi quelle
tendenze filosofiche che: a) pensando che la nostra conoscenza intellettuale,
che procede mediante concetti essenziali e quindi mediante giudizi e raziocini
sistematici, sia insufficiente ed invalida; b) affermano che noi cogliamo la
realt dell'esperienza per un'intuizione originaria di per s non
concettualizabile, o per una intenzionalit volitiva, emotiva o attiva, estranea
all'intelletto e non subordinata ad esso.
L'Antiintellettualismo non una teoria determinata, bens un modo tipico
di filosofare che prende diverse forme nei diversi filosofi, e sorge
frequentemente come una reazione esagerata contro l'eccessivo razionalismo
idealistico, scientista, e cos via.
Condividono questa tendenza Antiintellettuale: a) Il Fideismo e

Sentimentalismo religioso; b) LEmozionalismo empirico o sopra-empirico; c)


La Filosofia della vita ed il Pragmatismo, e cos via. Nei nostri giorni la
tendenza Antiintellettuale si osserva di modo speciale nella d) la crisi
bergsoniana del concetto e nelle filosofie esistenzialiste, come spiegheremo
dopo.
Gli Antiintellettuali, soprattutto i pi recenti, reagendo contro il metodo
analitico-deduttivo del Razionalismo esagerato, respingono ogni speculazione
di ordine concettuale essenziale e sviluppano le proprie filosofie in un ordine
empirico esistenziale, escludendo programmaticamente ogni mediazione
filosofica propriamente detta da ci che immediatamente empirico.
I Realisti Intellettuali, sono daccordo con queste nuove filosofie nel
riconoscere l'illegittimit del Razionalismo esagerato, e nellammettere la
legittimit di sviluppare una filosofia di tutto l'uomo, in quanto aperto alla
realt concreta e trascendentale (bench avvertano che, nei tentativi per
superare l'Idealismo, non raramente perdurano presupposti non solo empiristi
ma anche soggettivistici). Ma affermano simultaneamente che la reazione
contro il Razionalismo delle essenze non deve portare all'Irrazionalismo
esistenziale, bens a quellIntellettualismo moderato che procede mediante una
considerazione sintetica dell'ordine essenziale ed esistenziale. E cos
concludono che bisogna considerare tutte le nostre intenzionalit ammettendo
quel proprio valore complementare che hanno, o quella coordinazione concreta
reale che prendono in noi; ammettendo cio la priorit della conoscenza
intellettuale sulla sensazione, l'emozione, la volizione e l'azione.
2. In questa tesi pretendiamo difendere inizialmente la legittimit del
Realismo intellettuale moderato, considerando l'impossibilit radicale
dell'Antiintellettualismo. Nelle tesi seguenti vedremo sistematicamente
l'ulteriore spiegazione della nostra verit intellettuale.
Le filosofie moderne di stampo Antiintellettuale, nel distinguersi dello
Scetticismo e Relativismo, non negano che abbiamo una coscienza certa di
alcune verit empiriche e di fatto nel loro sviluppo esercitano qualche
Intellettualismo.
Nella tesi affermiamo prima di tutto che la nostra coscienza certa della
verit in definitiva una coscienza giudiziale, mediante la quale diventiamo
exercite certi della natura intellettuale della nostra verit. Poi, procediamo
alla difesa di questa asserzione notando che l'Antiintellettualismo, preso
radicalmente, si risolve logicamente nel Relativismo universale. Con tali
premesse, concludiamo che i filosofi che professano tendenze Antiintellettuali,
evitano il Relativismo universale nella misura che limitano il principio che
professano.
La prova della tesi, come nella tesi anteriore, si divide del seguente

modo. Nella prima parte mostriamo esplicitamente che la natura intellettuale


della nostra verit non pu essere strettamente dimostrata, perch questa natura
noi la cogliamo exercite nella stessa coscienza della verit. Nella seconda
parte, che l'Antiintellettualismo radicale si risolve logicamente nel Relativismo.
Nella terza parte, che in realt evita il Relativismo solo nella misura che riduce
il principio che professa. Poi nel corollario concludiamo sull'ordinamento
naturale dell'uomo alla verit assoluta dell'ente reale intelligibile.
Opinioni. - L'Antiintellettualismo moderno ha connessioni con la teoria
kantiana dell'incapacit del nostro intelletto per cogliere la realt noumenale, e
con le tendenze romantiche ed il volontarismo esagerato di Schopenhauer. Ha
elementi dellumanesimo nietzschiano e del vitalismo diltheyano, ma dipende
pi prossimamente dell'anticoncettualismo bergsoniano e sopra tutto
dell'antirazionalismo kierkegaardiano.
A met del secolo scorso, in contrapposizione al monismo razionalistico
hegeliano, che risolveva le esistenze dei singoli nella dialettica universale,
Kierkegaard cominci ad insistere nella cosa irripetibilit della nostra esistenza
singolare, esagerando l'opposizione tra l'ordine logico inautentico dei
concetti essenziali e l'ordine a-logico autentico dell'intenzionalit esistenziale
volitivo-affettiva, e sviluppando concezioni nuove e proprie sul peccato,
l'angoscia, la verit soggettiva, la decisione volontaria, il salto alla fede, i
paradossi della fede in Cristo ed in Dio.
Poi, allinizio di questo secolo, in reazione contro lo scientismo
meccanicista, Bergson distinse l'intellezione concettuale dell'intuizione. I
concetti sono elaborazioni frammentarie, quantificate, stabili; non hanno valore
speculativo, bens solo pratico, per luso della vita umana. L'intuizione invece
un atto di interiorizzazione semplice ed emotivo, per il quale tutto l'uomo
coincide con la stessa realt metafisica; e questa realt si chiama impeto vitale
(lan vital) e durata continua, qualitativa, sempre fluente (dure).
All'intellezione ricorre lhomo faber, all'intuizione lhomo sapiens.
Sotto questo influsso le Filosofie Esistenziali moderne si svilupparono
con un certa tendenza Antiintellettuale. Bench differiscano molto tra loro,
generalmente rimangono d'accordo nellaffermare l'insufficienza ed
inautenticit dell'ordine logico delle essenze universali e nel cercare una
soluzione al problema della vita e della filosofia per via esistenziale, spesso in
un senso sopra-logico o infra-logico.
Secondo Heidegger la struttura dell'esistenza, come si manifesta nei
momenti esistenziali pu essere espressa mediante qualche generalizzazione
universale, ma non con categorie essenziali; lo stesso essere si manifesta di un
modo non concettuale. Secondo Jaspers l'esistenza e le sue determinazioni

sono colte mediante una verit individuale incondizionata, non con categorie
essenziali che appartengono al grado inferiore della coscienza in quanto tale,
e hanno un valore fenomenico. Secondo Sartre, n l'ente in s, n l'ente per
s sono determinabili con concetti essenziali; le essenze che attribuiamo agli
enti sono proiezioni dell'esistenza umana, e l'esistenza umana libert
contingente e radicale. Marcel professa apertamente di non negare il valore
dell'ordine essenziale, ma che preferisce sviluppare un'analisi filosofica fondata
sull'ordine esistenziale.
La corrente esistenzialista la seguono oggi molti filosofi, e la sviluppano
diversamente sotto i vari aspetti gnoseologico, psicologico, individuale, umano,
ontologico, trascendentale, etc. Per giudicare le nuove tendenze
Antiintellettuali sar utile anche osservare il modo come considerano la
rivelazione ante-predicativa in relazione all'espressione concettuale e
all'affermazione del giudizio, e il valore che attribuiscono ai concetti e principi
supremi nei quali si fonda la metafisica, alla stima che mostrano per le prove
razionali dell'esistenza di Dio, e cos via.
Prova della prima parte della tesi: La natura intellettuale della nostra verit
non pu essere dimostrata strettamente, perch noi la cogliamo exercite nel
cogliere la stessa coscienza della verit
Per un riconoscimento dichiarativo. Dalla confutazione dell'Idealismo e
Relativismo, si deduce legittimamente che noi abbiamo una coscienza
indubitabile su alcune verit, in senso realistico. Ci si conferma proprio
considerando quelle verit di esperienza, nelle quali coincidiamo coi filosofi
moderni. Per esempio: che io esisto individualmente, che scelgo in situazioni
determinate, che la mia attivit ha come scopo o termine il mondo concreto
degli uomini e delle cose, che cerco una vita autentica, e cos via. Con tali
premesse, arguiamo cos:
Cos come non possiamo dimostrare che conosciamo la verit, neanche
possiamo dimostrare le altre cose che necessariamente cogliamo quando
abbiamo una coscienza certa della verit. cosicch quando abbiamo una
coscienza certa della verit cogliamo necessariamente la natura intellettuale
della nostra verit. Quindi
La minore consta per l'analisi di quella coscienza. Perch consta
mediante unintrospezione interna (che solo si pu negare con parole) che
quando siamo coscientemente certi di alcuna verit: a) siamo coscienti che ci
che cogliamo della cosa empirica, esiste realmente nella stessa cosa empirica;
perch altrimenti seguiremmo incerti. E pertanto, b) Siamo coscienti di
riflettere completamente, cio che della cosa conosciuta noi ritorniamo sul
nostro atto, cogliendolo proprio come conveniente o conforme alla cosa. E

pertanto, c) Siamo coscienti che nell'esercizio dell'atto (exercite) noi


conosciamo la natura intellettuale della nostra verit.
Questa conclusione si conferma considerando un'altra testimonianza
stabile della coscienza, cio, che noi vogliamo ci che previamente abbiamo
capito di essere appetibile, ed operiamo ci che previamente abbiamo capito
che bisogna fare; e che, mediante un'ulteriore riflessione intellettuale,
confermiamo ci che abbiamo voluto ed operato bene, o correggiamo ci che
abbiamo voluto ed operato male. Da tutto ci si deduce: a) la priorit
dell'intenzionalit intellettuale sulla volizione, lemozione e lazione vitale; b)
l'insufficienza della sola volizione, emozione o azione vitale, per una verit
genuina.
Pi particolare, possiamo argomentare cos contro i filosofi che
professano lAntiintellettualismo:
Nessuna teoria filosofica pu svilupparsi senza l'uso intellettuale di
concetti, giudizi e raziocini. Questo fatto: a) lo manifesta la nostra coscienza; b)
consta considerando le espressioni con cui i filosofi proposero le loro teorie; e
c) si conferma per lo stesso modo di esprimersi dei filosofi moderni. Quindi, o
si nega il valore di tutti i concetti, giudizi e raziocini, ed allora bisogna negare
la stessa possibilit della filosofia; o si sostiene la possibilit della filosofia, ed
allora bisogna affermare il valore di alcuni concetti, giudizi e ragionamenti.
Obiezione: L'esercizio di una facolt nel senso direttivo-pratico, non implica
l'accettazione del valore speculativo di quella facolt. cosicch gli
Antiintellettauli possono usare l'intelletto in un senso direttivo-pratico. Quindi
gli Antiintellettuali possono usare l'intelletto senza accettare il valore
speculativo dello stesso intelletto.
Risposta: Distinguo la maggiore: non implica laccettazione del valore
speculativo della stessa facolt rispetto a quelle cose che non sono
necessariamente connesse con la stessa azione, concedo o lascio passare;
rispetto a quelle cose che sono necessariamente connesse, nego. Concedo o
lascio passare la minore ed ugualmente distinguo il conseguente.
Perch l'accettazione dell'uso dell'intelletto in senso direttivo pratico
l'accettazione del valore dell'intendimento rispetto a quelle cose che
appartengono alla direzione e l'azione. Quindi un'accettazione del valore
dell'intelletto in quanto manifesta lo scopo-termine e il modo di tendere a tale
scopo-termine. E poich tutte queste cose si manifestano sotto la ragione di
ente e alla luce del principio di contraddizione, l'accettazione del valore
direttivo pratico dell'intelletto anche l'accettazione del valore speculativo
dello stesso intelletto.

Prova della seconda parte: L'Antiintellettualismo radicale si risolve


logicamente nel Relativismo universale.
Partendo della conseguenza logica. L'Antiintellettualismo, intesso
radicalmente e universalmente, nega il valore di tutte le nozioni intelligibili
essenziali. cosicch la teoria che nega il valore di tutte le nozioni intelligibili
essenziali, si risolve logicamente nel Relativismo universale. Quindi
l'Antiintellettualismo, radicale e universale, si risolve logicamente nel
Relativismo universale.
La minore consta per il fatto che le nozioni intelligibili essenziali,
innalzandosi sull'esperienza singolare, diventano cos stabili e comuni. Con
questi presupposti, argomentiamo cos:
La teoria che nega il valore di tutte le nozioni stabili e comuni rispetto
alla realt concreta: a) sarebbe una teoria della realt del tutto instabile, o del
puro divenire: ed in questo senso dovrebbe risolversi nel Relativismo sotto
l'aspetto ontologico; b) sarebbe una teoria per s stessa mai identica e sempre
diversa, cio, non avrebbe connotati propri stabili e distintivi: ed in questo
senso dovrebbe risolversi nel Relativismo sotto l'aspetto logico; c) in una
parola, sarebbe una teoria valida per questo individuo in questo momento
esistenziale, ma non sarebbe valida per gli altri momenti e gli altri individui: e
cos non avrebbe nessun valore nel vero senso, obiettivo ed assoluto.
Prova della terza parte: In realt evita il Relativismo solo nella misura in cui
riduce il principio che professa.
Partendo delle caratteristiche dell'Intellettualismo. Dovunque si trovino
constatazioni stabili, principi propri e conclusioni proprie, si trova anche
qualche esercizio dIntellettualismo. cosicch nelle filosofie che professano
tendenze antiintellettuali, sempre si trovano di fatto: a) alcune constatazioni
stabili, per esempio, quelle che si traggono della fenomenologia dell'esperienza;
b) alcuni principi propri, per esempio, quelli che determinano una filosofia nei
suoi motivi e connotati specifici per cui si distingue delle altre; c) alcune
conclusioni proprie, per esempio, quelle che spiegano la natura dell'uomo e
dirigono la sua azione concreta. Quindi nei filosofi che professano le tendenze
antiintellettuali, si trova sempre qualche esercizio dIntellettualismo. Perci,
evitano il Relativismo universale, solo nella misura in cui di fatto
ammorbidiscono il principio che professano.
Corollario. - L'intelletto umano quindi naturalmente ordinato alla verit
assoluta dell'ente reale intelligibile.
La ragione del primo asserto, cio che l'intelletto umano si ordina alla
verit assoluta, si deduce dall'impossibilit dello Scetticismo e Relativismo:

perch se lo Scetticismo e Relativismo universali sono per noi impossibili ed


assurdi, la conoscenza di alcuna verit assoluta per noi necessaria e
infallibile, cio naturale.
La ragione del secondo asserto, cio che la verit assoluta la verit
dell'ente reale intelligibile, si deduce ugualmente dall'impossibilit
dell'Idealismo e Antiintellettualismo radicali; perch se l'Idealismo e
l'Antiintellettualismo radicali sono per noi impossibili ed assurdi, alcuna
conoscenza dell'ente reale intelligibile per noi naturale.
Obiezioni. - 1. Quella realt che suscita problemi intellettuali sempre pi
difficili ed antinomici non intelligibile per noi. cosicch la realt concreta
dell'esperienza umana suscita per noi problemi intellettuali sempre pi difficili
ed antinomici. Quindi non intelligibile per noi.
Risposta. Distinguo la maggiore: non intelligibile per noi quella realt
che suscita problemi intellettuali sempre pi difficili e realmente tra loro
antinomici o contraddittori, concedo; solo apparentemente antinomici e
contraddittori, nego; e contradistingo la minore.
La proposizione iniziale di un problema pu certamente nascere da
alcune antinomie, ma cade sotto la stessa luce naturale direttiva del primo
principio, che mostra che l'antinomia era solo apparente. Questo modo
mediante il quale di fatto si sviluppa sempre il nostro processo umano
filosofico, mostra la natura intelligibile della realt di esperienza e la natura
intellettuale della filosofia umana.
2. Non si pu dire razionalmente spiegabile quella realt che
imperfetta, deficiente, colpevole, etc. cosicch tale la realt dell'esperienza
umana. Quindi
Risposta. Distinguo la maggiore: non si pu dire razionalmente
spiegabile come indeficiente e perfetta, concedo; come deficiente ed imperfetta
e cos relativa alla Realt perfetta ed indeficiente, nego. Concedo la minore e
ugualmente distinguo il conseguente.
3. Non possiamo arrivare all'esistenza singolare per deduzione logica.
cosicch le filosofie razionali procedono per deduzione logica. Quindi le
filosofie razionali non possono arrivare all'esistenza singolare.
Risposta. Distinguo la maggiore: non possiamo arrivare ad affermare per
prima l'esistenza singolare per deduzione logica, concedo; a spiegarla
successivamente, nego. Lascio passare la minore e ugualmente distinguo il
conseguente.
Lasciamo passare la minore perch gli Antiintellettuali moderni reagendo

contro un Razionalismo esagerato, respingono globalmente ogni uso


sistematico della ragione; mentre al contrario deve distinguersi tra il modo di
procedere del Razionalismo esagerato e dell'Intellettualismo moderato.
L'Intellettualismo moderato, supposta l'esperienza oggettiva e soggettiva,
procede alla spiegazione filosofica mediante concetti e giudizi motivati
nell'esperienza e oggettivi sulla stessa esperienza, come dopo spiegheremo.
4. I dati originari che si ottengono precedentemente all'esercizio
dell'intelletto che concepisce e giudica, non possono dirsi intelligibili.
cosicch le condizioni esistenziali sono dati originari che si ottengono
precedentemente all'esercizio dell'intelletto che concepisce e giudica. Quindi le
condizioni esistenziali non possono dirsi intelligibili.
Risposta. Distinguo la maggiore: non possono dirsi intelligibili in atto,
concedo o lascio passare; non possono dirsi intelligibili almeno in potenza,
nego. Concedo la minore ed ugualmente distinguo il conseguente. Lasciamo
passare il primo senso della maggiore, perch dopo vedremo come i dati che si
ottengono per l'esperienza sensibile devono dirsi intelligibili in potenza, mentre
i dati che si ottengono per un'esperienza intellettuale interna, in quanto
spirituali, devono dirsi gi secondo il loro modo proprio intelligibili in atto.
Istanza: Sull'ordine concreto dell'esperienza esistenziale non possibile
un'intellezione concettuale. Quindi neanche possibile la sua intellezione
giudiziale.
Risposta. Distinguo: non possibile secondo un modo comprensivo,
concedo; secondo un modo adeguato e progressivo, nego. Ed ugualmente
distinguo il conseguente.
Concediamo che l'esperienza oggettiva per la quale otteniamo i dati
sensibili precede la formazione del concetto diretto (per la quale siamo capaci
di leggere intimamente, intus-legere, la loro essenza) e del giudizio diretto
(per il quale siamo capaci di affermare il loro essere); concediamo anche che
l'esperienza soggettiva, per la quale cogliamo exercite i dati interni, precede
la formazione del concetto riflesso e del giudizio riflesso. Ma avvertiamo, come
abbiamo gi detto nelle prime tesi, che questi dati, se sono qualcosa, sono ente;
e che in questo senso devono dirsi per s stessi intelligibili nella loro essenza e
per la stessa ragione giudicabili nel loro essere: non certamente in un modo
comprensivo, ma s in un modo adeguato e progressivo, come spiegheremo
nelle questioni seguenti.

ARTICOLO QUINTO

Il Soggettivismo sull'esistenza del mondo sensibile


Senso dellarticolo: Il Realismo critico la dottrina che afferma che noi
conosciamo con certezza lente reale. Esso si distingue in Realismo in generale
e Realismo riguardo al mondo sensibile; il primo afferma che noi conosciamo
qualche ente reale, il secondo che noi conosciamo anche lente reale sensibile.
Dal rifiuto negativo dello Scetticismo, Relativismo, Idealismo e
Antiintellettualismo, possiamo concludere legittimamente che noi conosciamo
con certezza qualche ente reale. Supposto ci, bisogna ancora esaminare
esplicitamente se conosciamo lente sensibile come esiste in se stesso, per poi
poter procedere coerentemente la formazione del concetto universale a partire
dalle cose sensibili.
TESI XI. - L'esistenza del mondo concreto sensibile, pi che un postulato
esplicativo, un fatto reale conosciuto con evidenza naturale. Le ipotesi
contrarie non diminuiscono questa certezza.
Prenozioni. 1. Col nome di Soggettivismo sull'esistenza del mondo sensibile
comprendiamo tutte quelle teorie che negano in noi la possibilit di una
certezza speculativa sulla reale esistenza del mondo sensibile degli uomini e
delle cose.
Questo Soggettivismo presenta due forme principali. La prima il
Fenomenismo, che dubita dell'esistenza del mondo sensibile perch pensa che
noi solo conosciamo i fenomeni che appaiono soggettivamente. Laltra forma
la dellIdealismo Acosmista, che nega la stessa esistenza del mondo sensibile,
perch pensa che lessere dei corpi si risolve nel loro percepirli. A queste si pu
aggiungere quella forma di Soggettivismo Antiintellettuale che accetta
lesistenza del mondo sensibile ma con una certezza volontarista o emotiva o
attiva, perch pensa che la conoscenza speculativo dellintelletto insufficiente
e invalida.
2. I Soggettivisti sul mondo, in quanto rigettano il Relativismo,
lidealismo e lAntiintellettualismo universali sono daccordo o possono esserlo
col Realismo in ci che riguarda lesperienza reale soggettiva. Ma in quanto
applicano presupposti relativisti, o idealisti o antiintellettuali alla esperienza
oggettiva, a) pensano che la certezza spontanea sulla realt del mondo sensibile
non si fonda su un'evidenza genuina; b) prendono tutti i dati dell'esperienza
mondana come meri dati soggettivi; e c) affermano che partendo di dati di
coscienza soggettivi, non si pu concludere con certezza sulla realt di un
mondo in se esistente.

Il Soggettivismo sullesistenza del mondo sensibile, si origin con un


triple passo: a) prima incominci negando la realt oggettiva dei sensibili
propri, o delle qualit secondarie (v. gr. Locke); b) poi neg la realt oggettiva
anche dei sensibili comuni, o delle qualit primarie (v. gr.. Leibniz); c)
finalmente neg la stessa esistenza reale del mondo sensibile, o almeno la
certezza speculativa su questa esistenza, come poi si spiegher.
Giacch dalla negazione della realt delle qualit primarie si segue
logicamente la negazione delle secondarie e dalla negazione dellesistenza reale
del mondo segue logicamente la negazione delle realt primarie, il problema del
Realismo sul mondo sensibile, deve evolversi con un triplice passo: a) prima si
deve esaminare se consta con certezza lesistenza del mondo sensibile; b) poi,
supposta lesistenza del mondo sensibile, se consta con certezza la realt delle
qualit primarie; c) finalmente, supposta lesistenza delle qualit primarie, se e
come consta con certezza la realt delle qualit secondarie. Nella tesi presente
cominciamo a fondare il Realismo sul mondo sensibile, analizzando
esplicitamente la sua esistenza.
3. Per determinare lo stato della questione utile raccogliere ci che gi
possiamo supporre nella presente tesi riguardo al valore e allordine delle
nostre conoscenze.
Sul valore della conoscenza, supponiamo nella tesi: a) che il nostro
intelletto si ordina naturalmente alla verit assoluta dell'ente reale intelligibile;
b) che il criterio naturale dellente reale intelligibile in definitiva la sua stessa
evidenza oggettiva; e c) che alla luce di questa evidenza vediamo gi con
certezza l'esistenza reale dei nostri atti e del nostro io.
Sull'ordine della conoscenza, supponiamo gi dalla manifesta
introspezione e diversit degli oggetti: a) la distinzione ovvia tra il senso e
lintelletto, in quanto che spontaneamente distinguiamo lattivit che
chiamiamo intellettiva (per la quale concepiamo, giudichiamo e ragioniamo) da
lattivit che chiamiamo sensitiva (per la quale esperimentiamo le cose
colorate, estese, sonore, dure, etc.); b) la subordinazione ovvia dei sensi
all'intelletto, quanto che siamo capaci di intendere ci che appartiene alla
sensazione, ma non siamo capaci di sentire ci che appartiene alla intellezione;
e simultaneamente c) la dipendenza ovvia dell'intelletto dai sensi, in quanto che
lintelletto primariamente e direttamente viene portato alle cose sensibili e poi
si eleva alle cose intelligibili con laiuto delle sensibili.
4. Con tali supposti, nei quali conveniamo o possiamo convenire coi
Soggettivisti, affermiamo nella tesi che cos come da parte del soggetto
abbiamo la certezza speculativa dell'esistenza dei nostri atti e nostro io, cos
anche da parte dell'oggetto abbiamo la certezza speculativa dell'esistenza del

mondo. Consideriamo dunque il mondo secondo le caratteristiche sensibili per


il quale si d; ma lasciamo per le tesi seguenti la determinazione esplicita
dell'oggettivit delle qualit primarie e secondarie.
Poich i Soggettivisti normalmente prendono i dati dell'esperienza come
meri fatti soggettivi: a) incominciamo preparando la soluzione, notando che
questi dati, anche considerati solo soggettivamente, richiedono a modo di
spiegazione pi spontanea l'affermazione di qualche mondo in s. Ma poi,
considerando gi oggettivamente i dati dell'esperienza, b) procediamo a dare la
soluzione, mostrando che l'esistenza del mondo sensibile un fatto reale
conosciuto con evidenza naturale. Finalmente, c) passiamo a completare il
senso della soluzione esaminando le principali ipotesi contrarie. Di qua
sorgono le tre parti da provare nella tesi. Nel corollario, trattiamo della natura
conoscitiva dei sensi.
Opinioni. - Anticamente Protagora, equiparando l'intelletto ai sensi, neg
l'esistenza del mondo sensibile, e inoltre partendo dal principio che l'uomo la
misura delle cose, arriv al Relativismo sulle nostre sensazioni della realt
esterna.
Berkeley, fu il primo dei moderni a proporre l'Idealismo Acosmista.
Dopo Locke (che diceva che noi abbiamo un'idea oscura della sostanza, e
faceva una critica speciale dell'oggettivit delle qualit secondarie), Berkeley fu
pi lontano, negando l'oggettivit delle primaria e criticando l'idea di sostanza
materiale, concludendo che l'essere dei corpi percepirli (esse est percipi)
nella nostra immaginazione sotto l'influsso immediato di Dio.
Hume, partendo inoltre della critica del principio di causalit, afferm
riguardo al soggetto, che in noi si da solo un fascio di percezioni, negando la
certezza critica della sostanzialit del nostro Io; mentre riguardo all'oggetto
afferm che noi solo abbiamo percezione di alcune impressioni pi forti di
altre, negando cos la certezza critica dell'esistenza del mondo sensibile.
Kant ammise l'esistenza della cosa in s. E nell'Analitica dei principi
adduce perfino un argomento per provare la sua esistenza. Ma della sua teoria
sulla passivit dei sensi nel ricevere le impressioni sensibili e sulla spontaneit
informativa della sensibilit e dell'intelletto, concluse che noi ignoriamo ci
che la cosa in se stessa .
Husserl tratt di proposito la conoscenza del mondo, considerandola
come un correlato oggettivo della coscienza trascendentale. Husserl pens che
per ottenere la visione del mondo come correlato della coscienza si deve
prescindere dalle persuasioni spontanee e naturaliste sull'essere della realt
mondana.
N. Hartmann cerc di mostrare la realt in s del mondo materiale. In

questo tentativo, distinse gli atti trascendenti, per i quali cogliamo l'ente reale,
in conoscitivi ed emozionali, e afferm che solo per gli atti emozionali
diventiamo definitivamente certi della trascendenza della realt.
In opposizione alle diverse forme del Soggettivismo, oggi si d una
tendenza progressiva verso il Realismo, che si suole fondare su una
considerazione oggettiva dei dati della coscienza. Generalmente gli
Esistenzialisti, riconoscono, come dato originario, la realt del mondo che ha
consistenza propria e ci resiste, con la quale siamo sempre intenzionalmente
uniti, e della quale siamo certi, come siamo certi della nostra coscienza ed
esistenza concreta. Ma rispetto alle altre propriet, che normalmente
attribuiamo spontaneamente al mondo, frequentemente, professano il
relativismo, perch le considerano come sottomesse alla nostra interpretazione
soggettiva. Gli Scolastici convennero sempre nel riconoscere e difendere
l'evidenza dell'esistenza del mondo sensibile. Recentemente si discusso se
questa evidenza si deve dire immediata o mediata, come esplicitamente
vedremo nella tesi seguente.
Considerazioni previe: 1. Per preparare la prova della tesi seconda, abbiamo
accennato per via di constatazione descrittiva che il dato primo e originario per
il quale si danno tutti gli altri dati la nostra stessa coscienza, che coscienza di
un io individuale e personale, che per i suoi atti tende al mondo sensibile
opposto, che si comporta come il suo oggetto diretto.
2. Attendendo pi in concreto a questa nostra intenzionalit diretta al
mondo delle cose sensibili, possiamo facilmente costatare che la nostra attivit
intellettiva dipende in tal modo dalle cose sensibili che solo pu conoscere le
cose insensibile con l'aiuto delle cose sensibili. Infatti, non solo: a) tutti i nostri
concetti riflessi che abbiamo sui nostri atti e sul nostro io, si formano in noi per
una conversione ad un fantasma sensibile; ma anche b) tutti i nostri concetti di
oggetti non sensibili, si formano in noi ricorrendo a qualche fantasma sensibile:
come appare da un analisi del modo come ad esempio concepiamo il niente, lo
spirito, Dio, e cos via.
3. Questa dipendenza del nostro intelletto dai sensi, pu spiegare
ulteriormente notando che abbiamo una chiara coscienza del fatto che la nostra
conoscenza intellettiva si origina dall'esperienza sensibile, in tal modo che,
quando manca in noi ogni conoscenza sensibile, manca anche in noi ogni
conoscenza intellettiva; come appare dal fatto che, sospendendo ogni
sensibilit, si sospende anche ogni esercizio dellintelletto.
4. Da queste constatazioni e deduzioni simili, concluderemo
esplicitamente pi avanti che l'oggetto formale adeguato del nostro intelletto
l'ente in tutta la sua ampiezza, e che l'oggetto formale proprio e diretto del

nostro intelletto, nello stato presente di unione dell'anima col corpo, la


quiddit dell'ente sensibile. Noi adesso ricordiamo questa conclusione, per
mettere in luce che la questione presente sull'esistenza reale del mondo
sensibile non diversa della stessa questione sull'esistenza dell'oggetto proprio
e diretto del nostro intelletto.
Prova della prima parte della tesi. - La realt del mondo sensibile si offre
come un postulato spontaneo esplicativo dei dati dell'esperienza.
Per un'analisi dei dati della coscienza soggettivamente considerati.
Infatti, anche se dovuto a pregiudizi soggettivistici, tutti i dati della coscienza
obiettiva si prendessero come meri fatti soggettivi, nessuno potrebbe negare
che tra questi fatti soggettivi, si devono anche enumerare, per esempio, il senso
di passivit che frequentemente sperimentiamo nell'esercizio della nostra
sensibilit; la subordinazione delle nostre attivit ad alcune condizioni gi
conosciute come adatte per ottenere qualche fine; il frequente raggiungimento
del fine preteso, ed la frequente verificazione delle nostre aspettative; e quindi
la coerenza della nostra vita pratica con la cos detta immagine del mondo, da
noi formata e stabilmente ritenuta, e cos via.
Orbene, questo senso di passivit si spiega facilmente e spontaneamente
supponendo che esiste alcuna cosa in s che in qualche modo agisce sulla
nostra sensibilit; la subordinazione alle condizioni, la pretesa del fine e la
verifica delle aspettative, si spiegano facilmente e spontaneamente, supponendo
che la cosa in s possiede gi un certo ordine; e con maggiore ragione la
coerenza della vita pratica con l'immagine del mondo, si spiega facilmente e
spontaneamente, supponendo che la cosa in s fondamentalmente stabile.
Quindi, bench tutti i dati dell'esperienza si prendano come meri fatti
soggettivi, bisogna sempre dire che questi fatti soggettivi si spiegano
facilmente e spontaneamente, supponendo alcuna cosa in s fondamentalmente
stabile; e che in questo senso, la realt del mondo sensibile si offre come un
postulato spontaneo esplicativo dei dati dell'esperienza.
Obiezione: La sola considerazione dei dati della coscienza, soggettivamente
considerati, non basta per l'affermazione filosofica del mondo come esistente in
s.
Risposta. Distinguo: non basta per una definizione filosofico apodittica
del mondo come esistente in s, concedo; non basta per preparare
un'affermazione filosofica, ed anche per confermare un'affermazione filosofica
gi fatta, nego. Perch per l'affermazione filosofica del mondo come esistente
in s, bisogna considerare i dati, indipendentemente di qualunque pregiudizio,
cio come essi si offrono, come adesso spiegheremo nel seguente argomento.

Seconda parte. - Il mondo concreto sensibile si deve dire un fatto reale,


conosciuto con evidenza naturale.
Per un'analisi dei dati della coscienza obiettivamente considerati.
Innanzitutto conviene distinguere tra quelle rappresentazioni sensibili che
secondo la testimonianza della coscienza dipendono in un certo modo da noi, e
quei dati sensibili che non dipendono da noi, ma che ci si impongono.
Considerando questi dati cos come si offrono, procediamo cos:
Ci che si offre a noi con un'evidenza genuina come esistente in s, e in
quanto esistente in s misurando la nostra attivit speculativa e pratica, si deve
dire un fatto reale, conosciuto con evidenza naturale. cosicch il mondo
concreto sensibile, ci viene offerto mediante una evidenza genuina come
esistente in s, e in quanto esistente in s, come misurante in atto la nostra
attivit speculativa e pratica. Quindi, il mondo concreto sensibile si deve dire
un fatto reale conosciuto con evidenza naturale.
La minore si mostra sistematicamente mediante un'analisi dichiarativa, e
mediante una difesa ulteriore per via di riduzione all'assurdo:
1. Mediante un riconoscimento dichiarativo. Perch sottomettendo alla
nostra analisi lesperienza oggettiva, necessario riconoscere che il mondo
concreto degli uomini e delle cose, si offre solo mediante un'esperienza
sensibile e che in questa esperienza sensibile si offre con evidenza: a) come in
atto opposto a noi, cio, non si offre mai come uno stato soggettivo, ma sempre
come un termine oggettivo della nostra intenzionalit; e in quanto termine
oggettivo, come consistente in s stesso con un ordine stabile, cio, esattamente
determinabile secondo le sue leggi astronomiche, fisiche, chimiche, biologiche,
sociali, e cos via; e in quanto fondato in s stesso con un ordine stabile,
frequentemente ci resiste non solo moralmente, ma anche naturalmente, cio
come esistente in s, e precisamente in quanto esistente in s: b) non solo come
progressivamente intelligibile per noi, o sempre meglio conoscibile sotto alcuni
aspetti prima sconosciuti, ma anche come determinatamente appetibile sotto
diversi fini, ed in parte operabile, o come imponendosi per s stesso sulle nostre
elezioni e limitando le nostre azioni su di esso: cio, come qualcosa che misura
in atto la nostra attivit tanto speculativa come pratica.
L'autenticit di questevidenza con la quale stabilmente ci si offre il
mondo degli uomini e delle cose, pu essere ulteriormente mostrata:
2. Mediante una riduzione all'assurdo. Perch impossibile che
l'evidenza stabile con la quale il nostro intelletto giudica sulla realt del mondo
sensibile non sia genuina. Perch l'intelletto una facolt conoscitiva
naturalmente ordinata alla verit dell'ente reale intelligibile, il suo criterio
naturale la stessa evidenza dell'oggetto, ed il suo oggetto proprio e diretto
l'ente in quanto intelligibile nelle cose sensibili. Ora, se il nostro intelletto

sbagliasse nell'evidenza stabile per la quale giudica della reale esistenza del
mondo sensibile, l'errore bisognerebbe imputarlo alla stessa natura
dell'intelletto (proprio in quanto stabilmente giudicante sul suo stesso oggetto
proprio e diretto), e quindi l'intelletto dovrebbe dirsi fallibile per la sua stessa
natura, il che impossibile.
Obiezione: Le tendenze spontanee devono essere giudicate e corrette per
una riflessione filosofica.
Risposta. Distinguo: le tendenze spontanee devono essere giudicate per
una riflessione filosofica, concedo; devono essere corrette, suddistinguo: in
quanto che deviano dalla propria tendenza naturale, concedo; in quanto che
seguono la propria tendenza naturale, nego. Perch appartiene alla riflessione
filosofica riconoscere la tendenza naturale delle nostre facolt conoscitive e
correggere le tendenze spontanee riconducendole alla tendenza naturale. Se
l'intelletto dovesse correggere la sua tendenza naturale per una riflessione
filosofica, dovrebbe correggere ci stesso mediate cui corregge, il che
impossibile.
Gli argomenti anteriori possono confermarsi con molte considerazioni,
per esempio, per l'assurdit del Solipsismo: perch tutta la nostra vita umana si
fonda sulla comunicazione con gli altri uomini, in quanto che esercitano la loro
propria conoscenza, volont ed attivit individuali, e cos via. La stessa
comunicazione o dialogo filosofico solo si pu dare, in questa supposizione.
Ora, noi comunichiamo con gli altri uomini solo mediante una esperienza
sensibile. Perci, negata l'oggettivit di ogni esperienza sensibile, bisognerebbe
negare anche ogni certezza speculativa sull'esistenza degli altri uomini; e dato
che noi solo abbiamo coscienza del nostro soggetto individuale, bisognerebbe
professare la Solipsismo radicale. Ma il Solipsista svuota di senso l'esercizio
della sua vita, tutta la comunicazione umana e filosofica, ed in questo senso la
sua stessa comunicazione.
Terza parte. - Le ipotesi contrarie, non diminuiscono la certezza sull'esistenza
del mondo sensibile concreto.
Dopo la presentazione esplicita dell'evidenza naturale per la quale
giudichiamo della reale esistenza del mondo sensibile, possiamo procedere ad
una rimozione sistematica delle ipotesi contrarie pi importanti.
1. L'ipotesi del genio maligno. Abbiamo gia osservato che nella stessa
ipotesi del genio maligno, sempre resta vero che se sbagliamo, pensiamo, e se
pensiamo, siamo, e se pensiamo qualcosa, pensiamo lente; da ci avevamo
concluso che l'ipotesi del genio maligno non serve per debilitare la certezza
naturale sulla realt dell'ente (cf. tesi VII, obiezione 4).

Da questa osservazione possiamo concludere ulteriormente che il genio


maligno non pu cambiare la natura conoscitiva del nostro intelletto. Quindi
pu influire su qualche nostra conoscenza particolare e non naturale, ma non
sulla conoscenza naturale in quanto naturale; e a maggior ragione non pu
influire sulla conoscenza naturale dello stesso oggetto proprio del nostro
intelletto.
2. L'ipotesi dell'influsso divino. Dio influisce sulle azioni delle creature
secondo la natura delle stesse cose da Lui create, e quindi influisce sul nostro
intelletto affinch questo giudichi secondo la sua natura visiva sulla realt del
suo oggetto. Quindi ripugna in Dio che sotto il suo influsso il nostro intelletto
veda con evidenza che esiste ci che non esiste; e a maggior ragione ripugna
che sotto suo influsso il nostro intelletto si sbagli nell'evidenza naturale con la
quale giudica dell'esistenza del suo oggetto proprio.
3. L'ipotesi dell'attivit conoscitiva. Secondo questa ipotesi il soggetto
conoscente mediante la sua attivit produrrebbe per s come oggettivamente
reale quello stesso mondo degli uomini e delle cose che non reale.
Apertamente si esclude l'ipotesi di un'attivit cosciente, perch noi non
abbiamo nessuna coscienza di questa attivit. Ma bisogna escludere anche
l'ipotesi di un'attivit incosciente, perch addurrebbe per concludere che il
nostro intelletto rispetto all'esistenza del suo oggetto proprio, sarebbe in
continuit simultaneamente e sotto lo stesso aspetto visivo e non visivo, il che
impossibile.
Corollario. Quindi noi cogliamo naturalmente che appartiene alla natura del
nostro dispositivo sensitivo conformarsi, secondo il suo proprio modo, alle cose
sensibili.
Ragione del primo asserto. Si deduce da quanto abbiamo detto sulla
riflessione completa mediante la quale noi cogliamo "exercite" che della
natura del nostro intelletto il conformarsi alle cose. Applicando questa dottrina
al giudizio naturale che abbiamo sulla realt della cosa sensibile, si deve dire
che noi cogliamo nello stesso esercizio dell'atto (exercite), per riflessione
completa, che appartiene alla natura del nostro intelletto conformarsi alle cose
sensibili; e quindi che simultaneamente cogliamo che appartiene alla natura del
nostro dispositivo sensitivo conformarsi alle cose sensibili.
Ragione del secondo asserto. Che i sensi si conformino alle cose
sensibili secondo il loro modo proprio, si manifesta considerando la natura
della sensazione e la fallibilit della natura sensitiva. Infatti: a) il senso riceve
le cose estese colorate, dure, mobili, e cos via, ma solo l'intelletto penetra
l'essenza della cosa sensibile, e propriamente giudica del loro essere; inoltre, b)
il senso una facolt organica ed imperfetta, e quindi viene pi facilmente

perturbata, e si abbatte, dando cos l'occasione all'intelletto affinch questo


sbagli sui particolari, come vedremo dopo.
Qui utile menzionare brevemente, come mediante la riflessione
completa la conoscenza intellettuale si continua fino ai fantasmi, e per i
fantasmi fino alle sensazioni e le cose stesse. I fantasmi sono per il nostro
intelletto come le cose sensibili per il nostro senso..., quindi, come la specie,
che si trova nel senso, si astrae [cio, si prende] delle stesse cose, e mediante
questa la conoscenza dei sensi si prolunga fino alle stesse cose sensibili, cos il
nostro intelletto astrae la specie dai fantasmi, e per essa la sua conoscenza si
prolunga in qualche modo fino ai fantasmi... Ma la somiglianza che si trova
nell'intelletto non si astrae dal fantasma come da un oggetto conoscibile, bens
come da un mezzo di conoscenza... Quindi il nostro intelletto... non portato a
conoscere i fantasmi, bens a conoscere la cosa della quale il fantasma (De
Verit, q.2, a.6).
Obiezioni. - 1. Se il giudizio stabile sull'esistenza del mondo si fonda
sull'evidenza naturale, non sbaglieremo mai quando giudichiamo su esso.
cosicch sbagliamo. Quindi
Risposta. Distinguo la maggiore: non sbaglieremo mai quando
giudichiamo sull'esistenza dello stesso mondo, concedo; quando giudichiamo
sulle cose di questo mondo, suddistinguo: non sbaglieremo mai per s,
concedo; non sbaglieremo mai per incidente, nego. E contradistingo la minore.
Cos come noi conosciamo naturalmente la verit dell'ente in generale,
mentre sbagliamo per incidente sulla verit degli enti particolari, a maggior
ragione conosciamo naturalmente la verit del mondo sensibile, e sbagliamo
per incidente sulla verit degli enti particolari che fanno parte del mondo:
perch la conoscenza sensitiva particolare viene perturbata o bloccata pi
facilmente, e perci, l'intelletto sbaglia pi facilmente giudicando i particolari.
2. Molte constatazioni ci mostrano che l'oggetto sensibile relativo alle
nostre condizioni fisiologiche e psicologiche. cosicch l'oggetto relativo alle
nostre condizioni fisiologiche e psicologiche conosciuto come
soggettivamente appare. Quindi
Risposta. Distinguo la maggiore: ci mostrano che l'oggetto sensibile
relativo alle nostre condizioni fisiologiche e psicologiche o rispetto al modo
come sentiamo, concedo; rispetto a ci che sentiamo, suddistinguo: qualche
volta e per accidente, cio in casi anormali o non ordinari, concedo; sempre e
per s, cio, in casi normali ed ordinari, nego. Contradistingo la minore e
ulteriormente distinguo il conseguente.
3. Nel sonno percepiamo molte determinazioni sensibili simili alle

determinazioni percepite nella veglia. cosicch si concede che le


determinazioni sensibili percepite nel sonno non si trovano da parte della cosa.
Quindi ugualmente deve concedersi che anche le determinazioni sensibili
percepite nella veglia non si trovano da parte della cosa.
Risposta. Distinguo la maggiore: nel sonno percepiamo molte
determinazioni sensibili simili alle determinazioni percepite nella veglia, senza
la stessa chiarezza di coscienza e certezza che abbiamo nella veglia, concedo;
con la stessa chiarezza di coscienza e certezza che abbiamo nella veglia, nego.
Concedo o lascio passare la minore e nego la parit.
Per spiegare la risposta bisogna notare: a) Nello stato di veglia abbiamo
la coscienza chiara che i nostri sensi sono impressionati per l'oggetto reale, e
che abbiamo un uso spedito del nostro intelletto, la nostra libert e la nostra
responsabilit. b) Nei momenti precedenti al sonno abbiamo la coscienza di una
progressiva diminuzione dell'uso spedito dell'intelletto, della libert, e
responsabilit; nei momenti che seguono al sonno abbiamo la coscienza di una
progressiva liberazione dei nostri sensi interni ed esterni, e di una progressiva
acquisizione dell'uso spedito dell'intelletto, la libert e la responsabilit. c)
Nell'esperienza degli altri uomini, che abbiamo nel tempo di veglia, capiamo
che a quelli che incominciano a dormire, ed che incominciano a svegliarli
succedono le stesse cose che succedono a noi, e inoltre capiamo anche che nel
sonno profondo non usano i sensi esterni n hanno un esercizio spedito
dell'intelletto, la libert e la responsabilit, n in realt si trovano nelle
situazioni che dicono aver sognato; inoltre, delle testimonianze che essi ci
danno nel tempo di veglia deduciamo che le stesse cose che succedono ad essi
quando dormono, succedono anche a noi. d) Da tutte queste cose riconosciamo
legittimamente che nello stato di sonno non abbiamo quella certezza motivata
nell'evidenza obiettiva che abbiamo nello stato di veglia. e) Questa certezza
pu confermarsi notando l'incoerente confusione dei sonni e la coerente
chiarezza della veglia; e pu difendersi notando che i filosofi solo considerano
come speculativamente valide le considerazioni che fanno durante la veglia, e
che precisamente in questa supposizione suscitano il problema sugli stessi
sonni. Lasciamo passare la minore perch nei sonni usiamo le specie della
veglia, di tale modo che dobbiamo dire che alcuni determinazioni sognate, in
ragione della struttura oggettiva dei nostri sensi interni, in realt si trovano
anche da parte della cosa.
4. Tra il conoscente e la cosa conosciuta deve darsi identit. Quindi: o
bisogna identificare lo spirito con la materia, o bisogna identificare la materia
con lo spirito. La prima cosa non si pu dire perch sarebbe l'annientamento
della conoscenza. Quindi la seconda.

Risposta. Distinguo l'antecedente: deve darsi identit nell'ordine


conoscitivo, concedo; nell'ordine reale, nego. Conseguentemente aggiungo un
terzo alla maggiore alternativa: o il conoscente nell'atto del conoscente lo
conosciuto nell'atto dello conosciuto, mediante la specie intelligibile della cosa.
Infatti, lintelligibile la stessa perfezione dell'intelletto: perci l'intelletto in
atto e lintelligibile in atto sono uno (Contra Gent, II c. 5).
5. Le cose che sono eterogenee non possono assimilarsi nella
conoscenza. cosicch la materia eterogenea rispetto allo spirito. Quindi non
pu assimilarsi allo spirito nella conoscenza.
Risposta. Distinguo la maggiore: le cose che sono del tutto eterogenee,
concedo; in parte, suddistinguo: non possono assimilarsi nell'ordine reale,
concedo; nell'ordine intenzionale, nego. Contradistingo la minore, e
ulteriormente distinguo il conseguente.
Istanza: La materia che non prodotta per lo spirito del tutto
eterogenea rispetto allo spirito.
Risposta. Distinguo l'asserzione: la materia che non prodotta per
nessun spirito, concedo, ma nego l'ipotesi; quella che non prodotta per lo
spirito umano, ma prodotta per lo Spirito divino, nego.
Come spiegazione della risposta possiamo aggiungere ci che segue. La
materia, o in questo caso la cosa materiale mondana, se qualcosa, ente; ed
anche lo spirito, o nel nostro caso l'intelletto che conosce, se qualcosa, ente.
Quindi la materia e lo spirito non sono del tutto eterogenei, ma convengono
nella ragione analoga di ente.
Con queste premesse per rispondere alla difficolt aggiungiamo inoltre,
come mostreremo pi avanti, che la materia e lo spirito precisamente perch
secondo il loro modo convengono nella ragione analoga di ente, devono dirsi
partecipazioni dell'Ente Primo, cio di Dio che ordina il nostro intelletto
affinch intenda le cose sensibili, e le cose sensibili, affinch siano intese dal
nostro intelletto. In questo senso, si spiega in definitiva come il nostro intelletto
pu, mediante la specie, assomigliarsi alle cose, cio, identificarsi con le cose
nell'ordine intenzionale.
6. Consta per esperienza mediante l'intenzionalit alogica, volontarista,
emozionale, attiva, aderiamo con maggiore certezza all'oggetto reale. Quindi
mediante l'intenzionalit alogica possiamo aderirci con maggiore certezza al
mondo nella sua totalit.
Risposta. Distinguo l'antecedente: aderiamo con maggiore fermezza
all'oggetto reale sconosciuto, nego; al conosciuto, suddistinguo: in quanto che

l'intenzionalit alogica ci dispone ad una conoscenza pi certa ed evidente,


concedo; in quanto che elargire una conoscenza pi certa ed evidente, nego. Ed
ugualmente distinguo il conseguente.

ARTICOLO SESTO
Il Realismo mediato
Senso dell'articolo. - Il Realismo sull'esistenza della realt sensibile, si
distingue in spontaneo o critico, secondo che doni solo una persuasione
naturale sull'esistenza del mondo sensibile (valida per rimuovere indirettamente
le difficolt), o anche riflessa e sistematica (valida anche per rimuovere
direttamente le difficolt). I filosofi Realistici moderni disputano se Il Realismo
Critico afferma l'esistenza dell'ente sensibile mediatamente o immediatamente;
distinguendosi cos, in Realisti Mediati o Immediati.
La questione critica tra i Realisti mediati ed immediati versa
principalmente sulla realt sensibile, che senza dubbio sta allorigine della
nostra conoscenza intellettiva, ed alla quale si orienta direttamente la nostra
intenzionalit. Per completare la dottrina della tesi precedente, conviene trattare
di proposito se l'evidenza genuina che abbiamo dell'esistenza del mondo
sensibile mediata o immediata, e quindi, se il Realismo mediato idoneo per
stabilire criticamente l'esistenza del mondo sensibile.
TESI XII. - Il giudizio costante dell'uomo sull'esistenza della realt
sensibile , nel suo senso fondamentale, immediato. Gli argomenti del
Realismo Mediato possono impiegarsi a modo di preparazione previa o di
conferma susseguente.
Prenozioni. - 1. Il Realismo Mediato la teoria critica della conoscenza che
afferma che noi conosciamo: a) immediatamente, solo l'idea o rappresentazione
interna, b) e mediatamente, cio, per una dimostrazione strettamente detta l'ente
reale sensibile corrispondente all'idea o alla rappresentazione.
Appartiene alla coerenza del Realismo Mediato: a) considerare la specie
come ci che ("id quod) conosciamo; b) suscitare il problema come un
problema strettamente detto; c) offrire la soluzione per mezzo del principio di
causalit a modo di dimostrazione strettamente detta.
Il Realismo Mediato puramente metodico, se nel dare la soluzione usa
un processo mediato, ma ritiene che la conoscenza dell'ente sensibile nella
sua spontaneit immediata; definitivo se usa un processo mediato e ritiene
anche che la conoscenza dell'ente sensibile nella sua spontaneit mediato.

Le principali ragioni che adduce il Realismo Mediato sono: a) la facile


constatazione in noi dell'esistenza di alcuna rappresentazione interna; b)
l'esistenza di alcune rappresentazioni sensibili non oggettive, tanto nel sonno
come fuori del sonno; c) la distinzione o separabilit che esiste nell'ordine
spaziale e temporale tra il soggetto conoscente e la realt conosciuta; d) la
materialit e instabilit della realt dell'esperienza in opposizione
all'immaterialit e stabilit delle idee del conoscente. Partendo da queste e
simile ragioni i Realisti Mediati stabiliscono il principio generale che solo
possiamo conoscere immediatamente ci che per s stesso presente al
soggetto conoscente. Quindi passa a suscitare il problema del ponte, o del
ragionamento strettamente detto mediante il quale si fa il transito del conoscere
all'essere.
2. Il Realismo Immediato, la teoria critica della conoscenza che: a)
afferma che la conoscenza della realt sensibile naturalmente immediata; b)
procede affermando la sua esistenza senza un ragionamento propriamente detto.
Appartiene alla coerenza del Realismo Immediato: a) considerare la
specie come ci per cui (id quo) o ci in cui (in quo) si conosce l'ente reale;
b) suscitare il problema come un problema ampiamente detto; c) offrire la
soluzione per mezzo di un riconoscimento dichiarativo e di una difesa indiretta.
Il Realismo Immediato si chiama Esagerato, se afferma che l'ente reale
sensibile immediatamente manifesto al soggetto che conosce, senza nessuna
specie vicaria dell'oggetto; si chiama Moderato se afferma che l'ente reale
sensibile immediatamente presente al soggetto che conosce mediante le
specie vicarie dell'oggetto. Di questo Realismo Moderato trattiamo nella tesi.
3. Ammettiamo che i dati ricevuti nella sensibilit esterna sono unificati,
rappresentati e coordinati nella sensibilit interna, anche sotto l'influsso
dell'intelletto che concepisce e compara, giudica, induce e deduce.
Ci presupposto ed ammesso, ci domandiamo nella presente tesi se
l'evidenza che abbiamo dell'esistenza delle cose sensibili immediata o
mediata; e rispondiamo che nel suo senso originario e fondamentale questa
evidenza immediata. Rispetto agli argomenti del Realismo mediato,
pensiamo: a) che da soli non offrono una dimostrazione apodittica rigorosa; b)
bench possano usarsi utilmente, tanto per preparare l'affermazione filosofica
della realt del mondo sensibile, come per confermare l'affermazione una volta
fatta.
Dividiamo la prova della tesi in due parti: nella prima mostriamo che noi
originariamente e immediatamente giudichiamo sull'esistenza della realt
sensibile; nella seconda consideriamo l'utilit degli argomenti del Realismo
mediato.

Nota I. Il Realismo Immediato la dottrina propria della filosofia


aristotelico-scolastica. Comunemente gli Scolastici distinguono le enunciazioni
per se stesse conosciute dalle enunciazioni conosciute per un altro, cio per un
medio. Le enunciazioni per se stesse conoscente si distinguono in: per se stesse
conosciute a partire dai termini, (per esempio: per s conosciuto che il tutto
maggiore che le sue parti); per se stesse conosciute a partire dall'esperienza
interna (per esempio: per s conosciuto che la verit esiste); e per se stesse
conosciute a partire dall'esperienza sensibile (per esempio: per s conosciuto
che la natura esiste). E comunemente affermano che le cose per se stesse
conosciute sono indimostrabili, e che il tentativo di dimostrare una cosa
indimostrabile solo pu essere illusorio, perch impossibile mediare ci che
necessariamente immediato, come abbiamo visto nello scoglio alla fine del
capitolo I, n. 4.
Nota II. Il Realismo Immediato anche la dottrina pi comune tra gli
scolastica moderni. Il Realismo Immediato si illustra soprattutto quando si
parla dell'astrazione immediata dei concetti a partire dalle cose sensibili, e della
formazione immediata dei principi per s conosciuti a partire dall'esempio
sensibile. Non mancano comunque trattati pi ampi che considerano
esplicitamente i problemi critici. Si veda, per esempio, G. Mattiusi, Fisica
razionale, parte II: In verit quel ponte non pu trovarsi perch non esiste, e
non esiste perch non abbiamo nell'ordine della cognizione due rive tra le quali
esso possa slanciarsi. Le due rive sarebbero la sensazione soggettiva e la realt
oggettiva. Ma la sensazione gi include l'oggetto che le conviene, cio come
appreso o rappresentato: se l'oggetto non fosse inchiuso cos, non ne sapremmo
nulla mai, e sarebbe assurdo il paragone che pur si dice di voler istituire... In
quanto contenuto nella sensazione [l'oggetto] gi si trova sulla stessa riva e
non sulla opposta (p. 147); J. Maritain, Les degrs du savoir, c. III, Choses et
objet: La tragedia della noetica moderna cominci quando gli scolastici della
decadenza, con Cartesio al seguito, separarono l'oggetto dalla cosa. Da allora la
cosa, nascosta dietro l'oggetto, diventa un doppio problematico" (p. 177); L.
Noel, Le Ralisme immdiat, Inmdiatisme ontologique et inmdiatisme
critique: Non solamente il ponte fragile, inesistente... Il principio di
causalit non cambier niente: ad un chiodo dipinto in una parete solo si pu
appendere una catena ugualmente dipinta nella parete... La credenza o
l'affermazione dogmatica lo cambier meno ancora: lo sforzo interno non pu
farci uscire dai limiti della nostra prigione. Ma siamo in una prigione? Ci siamo
abituati male a parlare di conoscenza e di cose in termini di spazio. Abbiamo
dimenticato che la conoscenza immateriale e che, pertanto, non ha spazio

(pp. 159-160); F. Van Steenberghen, Epistmologi: Il Realismo indiretto che


inizia con Cartesio, e che oggi professano ancora alcuni filosofi neoescolasti,
solo pi una forma larvata di idealismo. Riscalda il pregiudizio della
coscienza murata, dissociando l'oggetto (trascendente) dalla sua
rappresentazione (immanente), unico termine immediato della percezione (p.
235); F. Olgiati, I fondamenti della metafisica classica: L'idealismo
berkeleyano, in fondo, aveva ragione di deridere tutti i tentativi di costruire
questo famosissimo ponte; ed per l'impossibilit dell'impresa che l'idealismo
trascendentale pens bene di ridurre il reale a puro oggetto pensato... La
fenomenizzazione del reale e la conseguente idealizzazione di esso furono non
gi la conclusione di un esame diretto dell'atto di conoscere, ma uno svolgersi da questa premessa delle inevitabili conseguenze (p. 202); C. Giacon, Le
grandi tesi del tomismo, Como 1945: La filosofia scolastica e S. Tommaso
furono indotti allo studio delle condizioni di possibilit di detta cognizione [=
immediata] dalla dottrina aristotelica dell'intelletto agente. Tutta questa dottrina
e indirizzata a far intendere in che modo si giustifica il realismo immediato (p.
93); V. Miano, Critica del Realismo mediato": Un conoscere non
immediatamente aperto sul reale (che in ultima analisi l'esistente singolare
concreto) non merita pi il nome di conoscere... e da una coscienza
inizialmente chiusa in s stessa, finisce per risultare impossibile ogni tentativo
di evasione (Salesianum, 13 (1951) p. 231); L. Bogliolo, Saggio sulla
metafisica del conoscere: Ogni facolt conoscitiva rispetto al suo oggetto
proprio e naturale ha rapporto di immediatezza intuitiva... Dire che una
conoscenza naturale, e negare che sia intuitiva, lo stesso che negare la
facolt stessa (Ibid. 18 (1955) pp. 39-40); R. Lpez di Munain,
(Salmanticensis (2) 1955): La riflessione filosofica e l'esperienza storica
hanno mostrato di comune accordo che una volta rotti i lacci del contatto
immediato con la realt esterna, tutti gli sforzi che si facciano partendo
dall'esperienza interna sono risultati, e per forza devono risultare, inutili (p.
139); R. Verneaux, Epistmologie gnrale: Il principio di causalit, applicato
ad uno stato di coscienza passivo, come la sensazione, non permetter dedurre
l'esistenza di una cosa in s? No; esso conduce solo ad una cosa pensata, come
causa della sensazione. Siamo nell'immanenza e rimaniamo in essa, soprattutto,
aggiungeremmo noi, quando il sentimento di passivit pu spiegarsi bene,
come lo sosteneva Fichte, con l'incoscienza dello spirito sulla sua propria
attivit: l'oggetto sembra dato, quando solo posto. Il realismo, o immediato,
o non esiste (p. 65).
Opinioni. - Si oppongono direttamente alla tesi quelli che pensarono
espressamente ad un mezzo propriamente detto per arrivare alla cosa esterna.

Cartesio, alla fine del suo dubbio metodico, arriv da un Cogito chiuso, poi
suscit la questione del ponte, e si avvi alla soluzione poggiando sul principio
della veracit divina. Spesso, molti Realisti Moderni, aderiscono al Realismo
Mediato, come per esempio Klpe, Orestano.
Mercier propose, nella sua Criteriologia, un Realismo mediato solo
metodico. Infatti, una volta ammesso il dubbio metodico universale negativo,
prima procede a mostrare la certezza immediata di alcune verit ideali; dopo,
adoperando il principio di causalit, legittimato solo nell'ordine ideale,
conclude che i concetti delle cose sensibili sono oggettivi applicati alla cosa in
s, argomentando soprattutto a partire dalla passivit della nostra sensibilit.
Ma Mercier ammette anche esplicitamente l'intuizione sensibile diretta delle
cose, e l'astrazione immediata del concetto universale.
Zamboni, propose un Realismo Mediato definitivo. Nell'esperienza
sensitiva sono immediatamente presenti al soggetto conoscente le qualit
sensibili spaziali, la cui realt si concepisce come a-soggettiva (esserci) ma non
ancora come ontologica (essere). Quindi nessuna conoscenza dell'esistenza dei
corpi esterni immediata. Nell'esperienza intellettuale soggettiva
immediatamente autotraspare la stessa realt una ed ontologica del soggetto
conoscente, agente e cos via. La nostra elaborazione logico verbale procede in
primo luogo alla quiddit e l'esistenza del soggetto che conosce; e dopo, alla
luce del principio di causalit e per analogia con la realt interna, alla quiddit
ed esistenza dei corpi esterni.
Tra gli Scolastici Moderni, De Vries sostiene che l'essere reale degli enti
sensibili non immediatamente evidente, e procede alla loro affermazione
critica con la luce del principio di causalit e di ragione sufficiente; Veuthey,
partendo dell'esperienza della verit assoluta, procede all'esistenza di Dio che,
essendone la fonte di ogni realt e conoscenza, fa intelligibile e legittima la
proporzione del nostro intelletto con la cosa esterna; Ancel, bench escluda il
processo per ragionamento strettamente detto, si inclina alla spiegazione
mediata come la pi probabile.
Oltre agli autori gi citati, aderiscono al Realismo Immediato, nei loro
trattati latini, Geny, Naber, Boyer, D'Avila, Salcedo, Alejandro, Miano, e molti
altri.
Prova della prima parte della tesi. - Noi giudichiamo originariamente e
immediatamente sull'esistenza della realt sensibile.
1. Per un'analisi del giudizio di esperienza. Se sottomettiamo a un analisi
i nostri giudizi di esperienza, coi quali giudichiamo con evidenza sull'esistenza
di alcuna cosa sensibile, necessario riconoscere che: a) abbiamo la coscienza
exercita del fatto che la nostra conoscenza corrisponde alla cosa, ma non

abbiamo nessuna coscienza del fatto che la nostra conoscenza finisca nella
rappresentazione interna, e del fatto che da essa proceda adoperando un
ragionamento fino alla cosa esterna; b) abbiamo, piuttosto, la chiara coscienza
dell'evidenza della cosa esterna come esistente in s e della natura della nostra
conoscenza come proporzionata alla cosa stessa. Orbene, se i nostri giudizi di
esperienza fossero necessariamente motivati da un ragionamento strettamente
detto, come vogliono i Mediatisti, dovremmo avvertire questa mediazione,
almeno quando riflettiamo esplicitamente sul motivo di questi giudizi.
Con queste premesse che servono per fondare gli argomenti successivi,
questa parte si pu provare, partendo tanto dell'immediatezza dell'oggetto
proprio, come dell'impossibilit (ex impossibili).
2. Partendo dell'immediatezza dell'oggetto proprio: Come annotavamo
nella tesi anteriore, e proveremo sistematicamente pi avanti, l'oggetto formale
proprio del nostro intelletto l'ente cos come si trova nelle cose sensibili.
cosicch l'oggetto formale proprio del nostro intelletto nel suo senso
fondamentale, viene da noi concepito immediatamente secondo la sua essenza e
viene da noi giudicato immediatamente secondo il suo essere. Quindi, l'ente
cos come si trova nelle cose sensibili, nel suo senso fondamentale, viene da noi
concepito immediatamente secondo la sua essenza, e viene da noi giudicato
immediatamente secondo il suo essere.
La minore. Infatti, l'oggetto formale proprio quell'oggetto che viene
conosciuto per prima e per s; e, in ragione del quale, si conoscono tutti gli
altri. Quindi necessario: a) che venga concepito immediatamente, sotto quel
senso fondamentale che presupposto per tutte le concezioni ulteriori dello
stesso; e b) che venga giudicato immediatamente, sotto quel senso
fondamentale che presupposto per tutte le ulteriori affermazioni sullo stesso.
3. Partendo dell'impossibilit (ex impossibili): Se l'intelletto non
giudicasse immediatamente che l'ente sensibile esiste da parte della cosa, cos
come i sensi lo testimoniano, questo si dovrebbe provare infallibilmente
mediante il principio di causalit. cosicch non si pu provare infallibilmente
mediante il principio di causalit. Quindi, l'intelletto giudica immediatamente
che l'ente sensibile esiste da parte della cosa, cos come i sensi lo testimoniano.
La maggiore consta per il fatto che, in quanta ipotesi, non abbiamo altri
mezzi per provare la cosa sconosciuta.
La minore. Perch supposta l'ignoranza del fatto che appartiene alla
natura della facolt sensibile testimoniare la cosa esterna, anche se il principio
di causalit si formasse a partire dei concetti ricavati dai dati interni, l'intelletto
potrebbe concludere ad alcuna causa indeterminata, distinta della

modificazione soggettiva, ma non a quella determinata causa esterna


testimoniata dai sensi: perch in questo caso si presentano molte ipotesi.
Cos, per esempio, gli Idealisti possono presentare questa ipotesi: Della
natura dello Spirito che sia un unico Soggetto che necessariamente si
autocontrae in una molteplicit di oggetti empirici. Ma gli oggetti empirici non
possono essere molti, se prima non vengono separati nello spazio e gli oggetti
spaziati non possono essere molti se prima non diventano separati nel tempo.
Quindi appartiene alla natura dello Spirito autocontrarsi nelle cose empiriche
secondo un ordine spazio-temporale. Da ci concludono gli Idealisti che i dati
spazio-temporali, non si spiegano necessariamente mediante la supposizione
della cosa in s.
Non si stabilir mai in una maniera rigorosa che il mondo delle mie
rappresentazioni implichi, oltre le mie rappresentazioni, un mondo corporale
pi o meno somigliante a quello che io percepisco (le mie rappresentazioni
potrebbero essere il prodotto di un Genio maligno, o pi semplicemente una
proiezione inconscia del mio io: la via si apre all'idealismo pi radicale, il
solipsismo). Inoltre, perfino supponendo che l'esistenza di un mondo corporale
in s possa essere dimostrata a partire da rappresentazioni, non si potr mai
determinare in che misura queste sono fedeli all'oggetto che rappresentano,
poich il paragone del modello e dell'immagine impossibile per ipotesi (F.
Van Steenberghen, Epistmologie, pp. 245-246).
Seconda parte. - Gli argomenti del realismo mediato possono impiegarsi a
modo di preparazione previa o di conferma susseguente.
Partendo dalla spiegazione spontanea pi facile. Gli argomenti del
Realismo mediato tendono a mostrare che i dati della coscienza concepiti
soggettivamente, richiedono, a modo di spiegazione necessaria l'affermazione
della cosa in s. Ora, bench questi argomenti non servano per dare una
spiegazione necessaria, non pu negarsi che almeno servono per dare la
spiegazione spontanea pi facile. Perci possono impiegarsi con utilit per
preparare l'affermazione filosofica, come gi facemmo nella prima parte della
tesi anteriore; o per confermare l'affermazione gi fatta, come faremo quando di
nuovo tratteremo la realt del mondo sensibile.
La conclusione della tesi la seguente: a) I Realisti che concedono che
l'oggetto formale proprio dell'intelletto la quiddit della cosa sensibile,
logicamente devono arrivare a professare l'Immediatismo. b) Invece, i Realisti
che non professano l'immediatismo, per essere conseguenti con s stessi,
devono negare che l'oggetto formale proprio sia la quiddit della cosa sensibile;
perci devono dire che l'oggetto formale proprio del nostro intelletto, o
qualcosa di soprasensibile, o sono i nostri atti interni, o almeno le nostre

rappresentazioni interne soggettivamente colte. Nel primo caso, sviluppano una


gnoseologia che non appartiene pi all'intelletto umano. Nel secondo caso,
contraddicono l'esperienza interna, perch essa mostra che noi ci innalziamo
alle cose insensibili con l'aiuto dei fantasmi sensibili oggettivamente colti.
Obiezioni. - 1. Noi conosciamo immediatamente solo l'oggetto presente nella
facolt. cosicch la cosa esterna non presente nella facolt. Quindi la cosa
esterna non si conosce immediatamente.
Risposta. Distinguo il maggiore: Noi conosciamo immediatamente solo
l'oggetto presente nella facolt o per s stesso o per la specie causata dalla sua
azione per il mezzo, concedo; solo per s stesso, nego. Contradistingo la
maggiore.
Istanza: Un oggetto distinto e distante non pu essere presente nel
conoscente, mediante la specie.
Risposta. Distinguo: non pu essere presente, mediante una specie che si
comporta come ci che (id quod) si conosce, concedo; come ci mediante cui o
in cui (id quo vel in quo) si conosce, nego.
Alla difficolt che niente della cosa conosciuta si trova nellintelletto
intelligente in atto, tranne la specie intelligibile astratta; e quindi questa specie
lo intesso in atto" cio ci che (id quod) si intende, S. Tommaso risponde: si
deve dire che ci che si intende si trova nell'intelligente mediante la sua
somiglianza. E di questa maniera si dice che lo intesso in atto l'intelletto in
atto, in quanto che la somiglianza della cosa intessa diventa la forma
dell'intelletto... Quindi non si segue che la specie intelligibile astratta sia ci
che (id quod) si intende, ma ci mediante cui (id quo) si intende (I q.85, a.2 ad
1).
2. Cogliere le determinazioni sensibili quantitative o qualitative, non
cogliere l'ente reale. cosicch i nostri sensi colgono le determinazioni
sensibili quantitative e qualitative. Quindi non colgono l'ente reale.
Risposta. Distinguo la maggiore: cogliere le determinazioni sensibili
nello stato straordinario del sonno o della malattia non cogliere l'ente reale,
concedo; nello stato ordinario, suddistinguo: non cogliere l'ente reale in
quanto ente reale, concedo; non cogliere ci che reale, nego o chiedo la
prova. Concedo la minore e ugualmente distinguo il conseguente.
Istanza: Se qualche volta cogliamo determinazioni sensibili che non
sono l'ente reale, deve concludersi che non cogliamo mai immediatamente lo
stesso ente reale.

Risposta. Se qualche volta e per s, concedo; se qualche volta e per


accidente, nego.
Per chiarire queste risposte utile ricordare che anche il Realismo
Mediato condivide qualcosa dello Scetticismo. Infatti, non solamente condivide
il principio che noi immediatamente cogliamo solo le affezioni soggettive, ma
condivide anche il modo di argomentare di alcuni casi a tutti (de quibusdam ad
omnia). Gli Scettici, dal fatto che in alcune cose sbagliamo, concludono che
possiamo errare in tutto; i Mediatisti, dal fatto che qualche volta cogliamo di
percepire immediatamente solo rappresentazioni interne, concludono che
sempre cogliamo immediatamente solo rappresentazioni interne. Ma i
Mediatisti, in polemica contro gli Scettici, ammettono che bisogna distinguere
tra ci che succede per accidente, e ci che succede per s. I Mediatisti, contro
gli Scettici, ammettono che per determinare la natura dell'intelletto non basta
procedere principalmente a partire dai difetti e dai limiti dell'intelletto.
Possiamo notare inoltre che i Mediatisti, per rimanere conseguenti, quando
partendo dei dati intesi soggettivamente procedono a dimostrare la realt in s,
non dovrebbero assumere esempi che hanno eccezione, perch secondo essi gli
esempi che ammettono eccezione non possono essere validi.
3. Dalla convergenza dei dati ordinata, stabile, coerente, etc. si postula
legittimamente una realt distinta e causativa. Quindi il processo del Realismo
Mediato legittimo.
Risposta. Distinguo l'antecedente: si postula legittimamente, cio, si
congettura con probabilit, o si suppone con spiegazione, concedo o lascio
passare; si afferma con certezza, suddistinguo: si afferma alcuna realt distinta
e causativa indeterminatamente, concedo o lascio passare; determinatamente,
nego.
La stessa cosa deve rispondersi a quelli che cercano di dimostrare
l'esistenza reale del mondo a partire dal senso psicologico della passivit della
conoscenza, o del fatto che la conoscenza si trova in potenza, e cos via. Questi
argomenti da soli non valgono per superare il Realismo Mediato universale,
perch nell'ignoranza metodica dell'ente reale, le nozioni di passivit e di
potenza possono avere un'interpretazione e una spiegazione soggettivistica o
idealistica. Allo stesso modo, questi argomenti non servono per superare il
Realismo Mediato limitato ai corpi, perch nell'ignoranza metodica dell'ente
reale corporeo, le nozioni di passivit e di potenza possono avere
un'interpretazione e una spiegazione soggettivistica o idealistica. Se al
contrario, essi si presentano a modo di conferma della certezza naturale gi
riconosciuta, possono senza dubbio impiegarsi legittimamente.

4. Dalla considerazione dei dati interni, possiamo procedere


legittimamente a provare l'esistenza di Dio e, dall'esistenza e veracit di Dio gi
provata, possiamo procedere a mostrare l'autenticit della nostra persuasione
stabile sull'esistenza del mondo. cosicch questo processo pu chiamarsi
Realismo Mediato. Quindi qualche Realismo Mediato legittimo.
Risposta. Distinguo la maggiore: dalla considerazione dei dati interni
possiamo procedere legittimamente a provare l'esistenza di Dio, concedo o
rimetto a ci che si espone in un altro trattato; dall'esistenza e veracit di Dio
gi provata, possiamo legittimamente procedere a mostrare l'autenticit della
nostra persuasione stabile dell'esistenza del mondo, distinguo: supposta
l'ignoranza del valore oggettivo dei nostri sensi, e pertanto procedendo al modo
di una dimostrazione strettamente detta, nego; supposto il valore oggettivo
delle nostre conoscenze validamente riconosciuto, e pertanto procedendo al
modo di una conferma riflessa, concedo. E contradistingo la minore. Infatti, se
il senso non fosse una natura che attesta l'oggetto come in s, niente potrebbe
concludersi mediante la veracit divina, perch Dio ci d l'intelletto affinch
noi giudichiamo sulla natura vera del senso. Si deve inoltre notare che colui che
prova l'esistenza del mondo mediante l'esistenza di Dio, per essere coerente,
non pu provare pi l'esistenza di Dio per l'esistenza del mondo.
5. Se qualche volta conosciamo con certezza la cosa esterna mediante il
principio di causalit ed analogia, non esiste pi nessuna difficolt per
ammettere che sempre si conosce cos. cosicch qualche volta, senza luogo a
dubbio, conosciamo la cosa esterna per il principio di causalit ed analogia.
Quindi non c' nessuna difficolt per ammettere che la conosciamo sempre cos.
Risposta. Distinguo la maggiore: se qualche volta conosciamo la cosa
esterna per il principio di causalit ed analogia, senza che necessariamente
preceda nessuna conoscenza immediata della cosa esterna, non esiste pi
nessuna difficolt per ammettere che la conosciamo sempre cos, concedo;
necessariamente precedendo qualche conoscenza immediata della cosa esterna,
nego. Ed in questo senso contradistingo la minore.

ESCOLIO
Il metodo fenomenologico
1. La parola fenomeno dal greco" fano" (mostro, manifesto) significa ci che
appare, o ci che si manifesta; si impieg principalmente per significare il dato
dell'esperienza sensibile, ma pi recentemente s estense anche a significare in
qualche modo ogni dato presente alla coscienza. Nella terminologia realistica,

fenomeno ci che appare alla coscienza com in s, cio, ci che appare alla
coscienza in tal modo che si capisce che in s cos come appare. Secondo
questa accezione, Aristotele usa frequentemente il nome di fainmena (De
Coelo I, c. 3, 270 b 4; De Anima II, cc. 7-12, 417-424), e S. Tommaso usa
l'espressione "le cose che appaiono: ea quae apparent (Comm. in ll. cc.; De
Unit. Intell. c. IV, n. 39).
Nella terminologia relativistica, fenomeno ci che appare alla coscienza
non com in s, cio, ci che appare alla coscienza in tal modo che questa
ignora se loggetto in se stesso cos come appare. Cos nelle antiche
discussioni sofistiche e scettiche, nella concezione fondamentale di Hume,
nella terminologia critica kantiana, e nelle posteriori teorie fenomeniste.
Il nome di fenomenologia cominci ad impiegarsi nella filosofia moderna
nel senso di scienza dei fenomeni sensibili. I. H. Lambert chiam
fenomenologia alla quarta sezione dell'opera Neues Organon (Leipzig) 1764,
nella quale svilupp la dottrina dei fenomeni naturali. Anche E. Kant us il
nome di fenomenologia in un senso simile (I. Kants Werke, IV, p. 466). Hegel,
nella Fenomenologia dello Spirito, deline il processo per il quale lo Spirito da
una coscienza sensibile infima, mediante fasi successive, si alza fino alla piena
coscienza di se stesso. Tra quelli che usarono il nome di fenomenologia
bisogna ricordare a: W. Hamilton, che considera la fenomenologia della mente
come quella parte della filosofia che ha come funzione trattare i fatti mentali
come si danno nell'esperienza interna (Lectures on Metaph. and Logic, Ed.
1877 p. 121); E. von Hartmann, che chiam fenomenologia della coscienza
morale alla descrizione e lo studio dei fatti empirici della coscienza morale
(Phnomenologie des sittlichen Bewusstsein, 1 Aufl. Berlino 1879). S. C.
Pierce propose la fenomenologia come una disciplina descrittiva che
contempla i fenomeni come sono (Collected Papers, V. 37). Normalmente
oggi si impiega il nome di fenomenologia per significare la visione,
descrizione, rivelazione e studio dei dati della coscienza.
Secondo questa recente concezione, col nome di metodo
fenomenologico, si intende normalmente il metodo filosofico che cerca di
procedere mediante un'analisi e descrizione dei dati della coscienza,
considerandoli in quanto manifesti o manifestativi. Il metodo fenomenologico
si distingue in iniziale o esclusivo, secondo che il processo filosofico inizi per
la descrizione senza limitarsi alla descrizione, o cominci dalla descrizione e si
limiti ad essa.
2. La recente fenomenologia fu proposta per E. Husserl, e sotto il suo influsso
diretto o indiretto si svilupp tra molti moderni. Husserl cerc di trovare una
filosofia primordiale nella quale tutti inizialmente coincidessero. Vedendo
che bisogna procedere non dal alto (von oben), ma dal basso (von unten), cio,

che bisogna volgersi alle stesse cose (zu den Sarchen sebst) o ai dati immediati
ed originari della coscienza, stabil il principio che tutto quello che si d
originariamente nell'intuizione, bisogna prenderlo dentro i limiti nei quali si
d. Cos cominci a sviluppare la filosofia come una fenomenologia della
nostra coscienza intenzionale. Ora, per ottenere un'adeguata visione
fenomenologica della nostra intenzionalit, si deve procedere con una sincerit
radicale, purificando la visione da ogni pregiudizio, soprattutto psicologico e
naturalista. In questo senso conviene fare non solo una riduzione eidetica che
prescinde dalla concretezza (hic et nunc) dei dati, ma soprattutto una riduzione
trascendentale che inizia con una sospensione fenomenologica (o con una
epoch fenomenologica) dogni persuasione naturalista sull'essere reale dei
dati della coscienza, tanto oggettivi quanto soggettivi. Cos si ottiene una
visione disinteressata, fondata su un'evidenza apodittica dellintenzionalit
della coscienza trascendentale. Da essa poi, si pu procedere a descrivere la
struttura trascendentale di tutti i significati del mondo concreto comune a tutti
noi, cominciando dai dati primordiali della nostra intuizione mondana
originaria. Bench esplicitamente si escluda che la coscienza husserliana sia
produttiva dell'oggetto nel senso di Berkeley o dell'Idealismo post-kantiano, e
bench il metodo husserliano implichi alcuni tendenze che esigono uno
sviluppo in senso realistico, sembra tuttavia che, anche come conseguenza della
sospensione metodologicamente adottata, si mantengano molti elementi
fondamentali non realisti.
La fenomenologia heideggeriana ha come fine manifestare l'essere per il
quale ogni ente . Heidegger, accetta il principio husserliano che bisogna
andare alle cose. Fenomeno, originariamente, ci che si manifesta, bench in
parte e nel suo fondamento possa rimanere nascosto. Logos, la manifestazione
o rivelazione di ci su cui versa il discorso. Quindi, il termine di
fenomenologia pu in greco illustrarsi cos: lgein t fainmena; ma lgein
indica apofinesthai. Quindi fenomenologia significa apofinesthai t
fainmena: fare che quello che si manifesta, in quanto che si manifesta da se
stesso, si offra da s stesso alla visione (Sein und Zeit, 7, C). Heidegger usa
il metodo fenomenologico per determinare, mediante successive fasi
preparatorie ancora incomplete, il problema ontologico sul senso dello stesso
essere. La fenomenologia heideggeriana in un primo periodo si muove piuttosto
in un piano esistenziale infra-concettuale, e in un secondo periodo procede
piuttosto di un modo supraconcettuale. L'investigazione heideggeriana esclude
la questione critica, si limita all'essere temporale e storico come si manifesta
nella nostra esistenza e, almeno fino ad ora, non sembra risalire fino all'essere
trascendentale ed analogo.
La fenomenologia hartmanniana si ordina a stabilire il Realismo. N.

Hartmann distingue, nella fondazione del Realismo, il momento


fenomenologico, nel quale si descrivono i dati che appartengono alla nostra
conoscenza, il momento aporetico nel quale si prende coscienza dell'aspetto
problematico dei dati e dell'impossibilit di spiegare questi dati mediante teorie
immanentiste, ed il momento teoretico che conclude in una teoria realistica
della conoscenza. La fenomenologia hartmanniana considera la correlazione ed
irriducibilit tra il soggetto e l'oggetto, le parti proprie del soggetto e
dell'oggetto nella conoscenza, l'aposteriorit dell'oggetto, la sua intelligibilit
inesauribile, e in questo senso la sua irrazionalit, etc., concludendo alla
relazione necessaria tra il soggetto conoscente e l'oggetto mondano
trascendente. Hartmann distinse inoltre gli atti emozionali dagli atti conoscitivi,
ed afferm che sono gli atti emozionali a renderci definitivamente certi
dell'esistenza della cosa in s. La filosofia hartmanniana realistica. Ma in
quanto che ammette la certezza emozionale sulla realt e aspetti irrazionali
della realt, bisogna dire che condivide il pregiudizio antiintelectuale. E, in
quanto che si chiude nell'ordine umano e mondano, bisogna dire che una
filosofia non aperta all'ordine dell'ente trascendentale e agnostica rispetto a
Dio.
3. Con queste premesse a modo desempio e osservando che l'uso della
fenomenologia diventa oggi molto diffuso non solo tra gli scienziati, ma anche
tra i filosofi, possiamo fare le seguenti osservazioni.
Il nostro processo umano filosofico non consiste solo nella pura
constatazione e descrizione dell'esperienza. Perch, partendo dai principi che
formiamo nellesperienza, il nostro intelletto non solo procede a conclusioni
che spiegano l'esperienza, ma anche a conclusioni che trascendono la stessa
esperienza. In questo senso bisogna dire che la filosofia, pu usare certamente
il metodo fenomenologico, ma non pu limitarsi alla sola fenomenologia o
identificarsi con la sola fenomenologia.
Supposto tutto ci e considerando l'uso del metodo fenomenologico,
bisogna poi distinguere bene tra le varie fenomenologie particolarmente
considerate e la fenomenologia in generale.
a) La Fenomenologia considerata in generale quell'accezione generica
e programmatica della fenomenologia nella quale convengono tutti quelli che
usano il metodo fenomenologico, cio, che bisogna cominciare con sincerit
prescindendo da ogni pregiudizio o teoria prestabilita per constatare e
descrivere i dati cos come si danno o si manifestano nell'esperienza. Secondo
questo senso generico, l'uso del metodo fenomenologico pu essere utile per
suscitare i problemi, iniziare le soluzioni, e confermare le soluzioni gi date.
b) La Fenomenologia determinatamente considerata la fenomenologia
presa storicamente cos come fu proposta per questo o quel filosofo, cio, con

le caratteristiche speciali proprie di questo o di quello filosofo. Poich


frequentemente le fenomenologie particolari implicano lagune e tendenze
negative, bisogna esaminarle criticamente, integrarle e correggerle, tanto nelle
loro posizioni iniziali come nel loro sviluppo e conclusioni.
4. Rispetto alle fenomelogie particolari bisognerebbe fare molte osservazioni,
come per esempio si deduce delle seguenti avvertenze. Le cecit degli
analizzatori sono frequenti; le loro negazioni sono spesso premature; questo
dipende dal non aver essi scoperto un qualche elemento importante (G.
Zamboni, La persona umana, p.18). La concezione naturalista dell'essere,
rimproverata alla metafisica tradizionale, si trova proprio in chi contrappone
l'essere alla coscienza, perch non sa concepire l'essere se non come natura. E il
modo per superare il naturalismo si trova invece proprio nella dottrina della
analogia dell'essere, che ci permette di concepire l'essere senza naturalizzarlo"
(S. Vanni-Rovighi, La filosofia di Edmund Husserl, Milano 1939, p.139). Se
si vede... che l'essere norma il conoscere, il volere, il valutare, e se non si
sceglie semplicemente di sopprimere la coscienza, bisogna che si faccia della
coscienza un certo modo di essere (G. van Riet, Ralisme thomiste et
phnomenologie husserlienne, in Problmes d'pistmologie, p. 201). Si
domanda, in effetti, come una filosofia che vuole praticare un metodo
descrittivo acquisti il diritto di decidere, prima dogni descrizione, che il
fondamento dei fenomeni rimanga da principio totalmente nascosto. Neanche si
vede come si giustifichi, da un punto di vista fenomenologico puro, la
distinzione tra ci che fondamentale e ci che non lo . Quale il criterio
descrittivo di questa distinzione? Come, ammettendo che esista, possibile
riferirsi ad esso prima di ogni analisi fenomenologica? Simili distinzioni
prendiamone atto - dipendono necessariamente da una filosofia gi costituita. E
questo, per la sua stessa natura, restringe di modo considerabile la portata reale
del metodo" (A. De waelhens, La Philosophie di Martin Heidegger, Lovaina
1954 p. 18).
5. Anche tra gli Scolastici moderni si parla di utilizzare il metodo
fenomenologico o descrittivo, e questa descrizione normalmente precede (ma
senza staccarla da) la valutazione susseguente. Sul metodo descrittivo in ordine
ad una fondazione critica del Realismo, bisogna notare sotto l'aspetto
metodologico:
a) Quando si tratta di quei problemi, chiamati da noi strettamente detti,
nei quali ancora la soluzione che si cerca si ignora, e quindi bisogna mostrarli
per una dimostrazione strettamente detta, allora il metodo chiede di proporre la
descrizione iniziale prescindendo semplicemente dalla verit da provare.
Questa osservazione vale sempre che l'esame critico versa su verit che non si

conoscono necessariamente e che quindi possono ignorarsi in atto: perch


lecito prescindere metodologicamente dalle cose che ancora si ignorano.
b) Quando al contrario si tratta di quei problemi, chiamati da noi
ampiamente detti, nei quali la soluzione che si cerca gi si conosce
implicitamente e nell'esercizio dellatto, e che pertanto bisogna mostrarli
mediante un riconoscimento declaratorio, allora il metodo chiede di proporre la
descrizione iniziale senza prescindere semplicemente dalla verit da esplicitare.
Questa osservazione vale soprattutto quando l'esame critico versa su quelle
verit naturali e fondamentali alla cui luce esercitiamo la stessa descrizione:
perch non lecito prescindere metodologicamente da quelle cose che
necessariamente ed infallibilmente si conoscono sempre in atto.
Quindi, il metodo descrittivo ha senso ed applicazione legittima, nella
misura che consta di una serie ordinata di giudizi veri che descrivono i dati
come realmente si danno, cio, come realmente si manifestano e col loro essere
misurano tutti i giudizi che li descrivono.
6. Da tutto ci si deduce che se il metodo fenomenologico considerasse tutti i
dati della coscienza in un senso solamente relativistico, non avrebbe nessuna
utilit, neanche propedeutica. In questa ipotesi si dovrebbe notare che tale
metodo risolve la filosofia in una forma di fenomenismo universale che
intrinsecamente contraddittorio e di fatto impossibile. Le moderne
fenomenologie particolari normalmente non procedono in un senso puramente
fenomenistico, ma tentano di presentare i dati come oggettivamente manifesti o
manifestativi; ma il senso di questa oggettivit varia pi o meno in ogni caso.
Pu succedere cos che, nonostante la professione di una radicale sincerit e
l'intenzione di procedere liberi di pregiudizi, si mantenga ancora qualche
presupposto soggettivistico e antiintelectuale.
Quindi per giudicare di una fenomenologia in particolare utile tenere in
conto:
a) Se la fenomenologia procede coerentemente con la certezza naturale e
si ordina rettamente a stabilirla in modo riflesso; e quindi se le idee direttive
che, esplicitamente o almeno implicitamente, dirigono l'inizio e lo sviluppo
della fenomenologia sono in coerenza con l'esigenza filosofica e critica cos
come sorge legittimamente.
b) Se la materia, su cui versa la fenomenologia, si sceglie oggettivamente
e adeguatamente; e se alcune caratteristiche speciali vengono troppo esagerate
o troppo dimenticate, in modo che le conclusioni dedotte contraddicano altri
fatti o non possano comporsi logicamente tra loro.
In generale possiamo dire che l'uso del metodo fenomenologico
legittimo se, libero di pregiudizi, si orienta coerentemente a giudicare i dati cos
come realmente sono; e che, proprio sotto questo aspetto, il filosofo deve

discernere e giudicare i diversi metodi fenomenologici nei loro sviluppi


particolari.

Francesco Morandini, S. J.

RICERCHE SULLA VERIT


Pug, Roma 1971
(Ad uso privato)

PARTE SECONDA
NATURA DELLA VERIT CONOSCIUTA
Avvertenza. - In queste note diamo una sintesi dei punti fondamentali, per
facilitare la comprensione del testo latino di Critica, come viene spiegato nelle
prelezioni. Gli studenti di lingua inglese possono anche consultare O'Neill R.
F., Theories of Knowledge, chaps. 7-15, 22-24.
Senso e divisione della trattazione. - Svolgendo la trattazione sul fatto della
cognizione vera, si ha gi occasione di fare accenno alla dottrina della verit da
noi conosciuta, perch spesso le difficolt che sorgono contro un fatto si
sciolgono alla luce della dottrina sul fatto stesso. Conviene quindi fare una
trattazione sistematica sulla natura della verit da noi conosciuta, per
completare la teoria della cognizione e per contribuire alla soluzione del
problema della scienza.
Poich la nostra scienza si svolge come ordinato complesso di raziocini,
evidente che dobbiamo specialmente attendere alla natura del nostro raziocinio.
chiaro che non possiamo adeguatamente trattare della natura del raziocinio se
non trattiamo anche della natura del giudizio, perch i raziocini sono composti
di giudizi; e che non possiamo adeguatamente trattare della natura del giudizio
se non trattiamo prima della natura del concetto, perch i giudizi sono composti
da concetti. Dirigeremo quindi la nostra ricerca allo studio della verit dei

concetti, dei giudizi e dei raziocini; e dopo questa triplice ricerca tratteremo
anche alcune questioni concernenti il possesso della verit, nonch la
limitatezza e la deficienza della nostra mente nei riguardi della verit.
Il momento della presente trattazione appare dalla sua propria
sistematicit. La teoria della conoscenza si inizia con un esplicito
riconoscimento e difesa del fatto della conoscenza vera, e prosegue
sviluppando lo studio della distinzione e subordinazione dei nostri atti
conoscitivi in quanto ordinati alla conclusione vera. Divideremo pertanto
questa nostra trattazione in quattro capitoli. Anzitutto, nel capitolo terzo
inizieremo lo studio della esistenza, della oggettivit e della natura degli
elementi semplici del giudizio, ossia della verit dei concetti. Quindi nel
capitolo quarto esamineremo quale sia la natura propria del giudizio, della
verit conosciuta, della falsit in quanto opposta alla verit, e cos avremo
modo di trattare, in ultima analisi, della verit del giudizio in quanto tale.
Ulteriormente nel capitolo quinto procederemo alla considerazione della natura
del raziocinio, dei giudizi universali immediati nei quali si fonda il raziocinio,
dei giudizi mediati nei quali il raziocinio conclude, e quindi della
argomentazione deduttiva e della induzione argomentativa. Infine nel capitolo
sesto completeremo il nostro studio sulla natura della verit conosciuta,
considerando in particolare i diversi stati della nostra mente in ordine alla
verit.

CAPITOLO TERZO
VERIT DEI CONCETTI
Senso e divisione del capitolo. - 1. Da quanto gi stato spiegato, si ricava che
noi abbiamo la capacit di formare giudizi veri, ossia oggettivi delle cose. Da
ci per mezzo di una riflessione analitica possiamo stabilire che:
Noi abbiamo la capacit di formare concetti semplici. Infatti il giudizio una
speciale composizione mentale di predicato e soggetto. Poich ogni
composizione suppone, almeno natura prius, gli ele-menti da cui composta,
possiamo legittimamente concludere che noi formiamo gli elementi semplici di
cui il giudizio si compone, cio i concetti.
Noi abbiamo la capacit di formare concetti oggettivi. Infatti il giudizio vero
una predicazione vera, ossia oggettiva delle cose. Ma la predicazione oggettiva
consta necessariamente di concetti oggettivi. Possiamo quindi legittimamente

concludere che noi formiamo concetti oggettivi, dalla cui composizione risulta
il giudizio vero.
2. Con questa generica osservazione si fonda, ma non si esaurisce, la teoria del
valore e della natura dei nostri concetti. Infatti, se si fa attenzione al modo con
cui la comune scienza umana significata per mezzo della parola e degli scritti,
possiamo facilmente constatare che le affermazioni scientifiche hanno una
significazione universale. Di qui la questione: che cosa corrisponde, nella
nostra mente, ai segni orali? Corrispondono concetti singolari o concetti
universali? E ulteriormente: quale realt corrisponde ai nostri concetti? Una
realt singolare o una realt universale?
3. L'importanza di questa ricerca (che tratta sotto l'aspetto logico e critico la
fondamentale questione filosofica de multiplicitate reducenda ad unitatem)
appare anche dalla differenza delle soluzioni proposte. Le principali, che
diversificano ogni ulteriore teoria della cognizione e della realt, si possono
ridurre a quattro, cio al Nominalismo, al Concettualismo, al Realismo
esagerato, ed al Realismo moderato (pi che ai nomi, utile badare a ci che
con questi nomi intendiamo significare). In linea di principio:
a) Il Nominalismo ammette i nomi universali, ritenendo che tutte le nostre idee
sono singolari e che la realt sensibile debba dirsi omnino singularis; e da ci
conclude che sono universali soltanto i nomi.
b) Il Concettualismo ammette i nomi universali e i concetti mentali universali,
ritenendo per coi Nominalisti che la realt omnino singularis; e da ci
conclude che i nostri concetti universali, anche quoad id quod concipitur, non
sono oggettivi della realt singolare.
c) Il cos detto Realismo esagerato ammette che ai nostri nomi universali
corrispondano nella nostra mente concetti universali, ritenendo che la realt che
corrisponde a questi concetti formaiiter universalis; e da ci conclude che le
nostre idee universali sono oggettive della realt anche quoad modum quo
concipitur.
d) Il Realismo moderato ammette che ai nomi universali corrispondono concetti
universali, ritenendo che la realt che corrisponde a questi concetti similis,
cio formaiiter singularis et fundamentaliter universalis; e da ci conclude che i
nostri concetti universali sono oggettivi della realt quoad id quod concipitur,
non autem quoad modum quo concipitur.

4. In questo capitolo svolgeremo la dottrina del Realismo moderato nella sua


organica sistematicit, come ci sembra che oggi debba essere intesa. Anzitutto,
nel primo articolo tratteremo della esistenza e della oggettivit dei nostri
concetti universali, tenendo presente il radicale Nominalismo e
Concettualismo; nel secondo mostreremo la non esistenza di una realt
formalmente universale, avendo presenti le istanze principali del Realismo
esagerato; infine nel terzo e quarto articolo svilupperemo gradualmente la
teoria del Realismo moderato.

ARTICOLO PRIMO
Nominalismo e Concettualismo
(p. 141-151)
Senso della ricerca. - Abbiamo gi accennato nella Logica (p. 49-52) che cosa
intendiamo per universale e quali siano le sue cinque divisioni. facile
avvertire che in tanto possiamo parlare di universale in significando e e di
universale in praedicando, in quanto gi supponiamo la legittimit
dell'universale in essendo. Quindi la questione critica e logica sugli universali
si riduce ultimamente a ricercare "se e come sia legittimo l'universale in
essendo". Poich la questione parte dal fatto, ammesso da tutti, che esistono
nomi universali, essa si venuta cos determinando: se gli universali sono
soltanto nomi, o anche concetti; e se sono concetti, se sono soltanto nel
concetto o anche nella realt. Questa questione oggi si pone con questa
formulazione: "se esistono concetti universali oggettivi delle cose".
TESI XIII. - L'intelletto umano forma dall'esperienza concetti universali,
che sono oggettivi delle cose secondo ci che si concepisce, non per
secondo il modo con cui si concepisce.
Prenozioni. - 1. Il nome detto universale in due sensi: o solo per quanto
concerne la comprensione, e allora quel termine che significa aliquid unum
senza significare le determinazioni individuali; o anche rispetto all'estensione, e
allora quel termine che significa aliquid unum (senza le determinazioni
individuali) relativamente a pi cose particolari.
2. Il concetto detto similmente universale in due sensi: o solo per quanto
concerne la comprensione, e allora quel concetto che attinge aliquid unum
senza attingere le sue determinazioni individuali; o anche rispetto

all'estensione, e allora quel concetto che significa aliquid unum (senza le


determinazioni individuali) relativamente a pi cose particolari.
Il concetto pu esser considerato come universale sia in senso lato che in senso
stretto. In senso lato il concetto analogo, che contiene actu, confusamente, le
sue differenze, e perci ha una unit imperfetta (come p. es. la nozione di ente).
In senso stretto il concetto univoco, che contiene solo in potentia le sue
differenze, e perci ha una unit perfetta (come p.es. il concetto di uomo, che
non attinge la petreit o la paoleit).
Un concetto si dice oggettivo delle cose quando secondo la sua
intelligibile comprensione corrispondente alle cose. Il concetto rispondente
alle cose considerato nella tesi sotto un duplice aspetto, ossia per quanto
concerne ci che si concepisce, e per quanto concerne il modo con cui si
concepisce. Ci che si concepisce tutto ci che l'intelletto concependo
apprende (concetto oggettivo). Il modo con cui si concepisce il modo con cui
la cosa conosciuta accolta nel l'intelletto che si trova nella funzione di
concepire la cosa stessa (p. es. senza le determinazioni individuali).
3. Come gi dicemmo, il Nominalismo nega che ai nomi universali
possano corrispondere concetti universali in senso proprio;questa teoria tende
ad equiparare l'intelletto ai sensi, ed implica almeno virtualmente un certo
materialismo. Il Concettualismo ammette concetti universali, ma nega che essi
siano obiettivi delle cose dell'esperienza; pertanto non equipara l'intelletto ai
sensi, ma virtualmente implica un certo soggettivismo o un certo
antiintellettualismo. Li consideriamo insieme, perch ambedue convengono nel
medesimo presupposto, che cio la realt omnino singularis, come
spieghiamo nel testo latino, a p. 142-143.
Nella tesi parliamo sia del concetto univoco sia di quello analogo, e asseriamo
che la nostra mente forma concetti universali, oggettivi per quanto si
concepisce, non per per il modo con cui si concepisce.
Divideremo la prova della tesi in tre parti: nella prima mostreremo che
formiamo concetti universali; nella seconda, che essi sono oggettivi per quanto
si concepisce; nella terza, volendo iniziare la dottrina del Realismo moderato,
mostreremo che i nostri concetti non sono oggettivi per quanto concerne il
modo con cui si concepisce.
Opinioni. - Si pu dire che tra gli antichi filosofi greci, gli Epicurei procedano
secondo un certo presupposto nomincilisiico o meglio un sensismo

materialistico. Gli Stoici, pur procedendo in un presupposto materialistico ed


empiristico, ammettevano una interna elaborazione delle nozioni comuni.
Nel periodo iniziale della Scolastica si attribuisce dai coevi a ROSCELLINO la
sentenza delle voci secondo la quale gli universali sarebbero "flatus vocis"; ma
oggi si dubita se si debba considerare come l'iniziatore del Nominalismo
medievale. Nell'ultimo periodo della Scolastica medievale GUGLIELMO DI
OCKHAM ebbe propensione per la conoscenza diretta dei singolari,
ammettendo l'inclinazione naturale a formare termini interni universali, che
tuttavia non hanno essere se non nell'anima; e in questo senso la sua dottrina
stata interpretata come un Concettualismo fondato nel presupposto empirico.
(Vi sono per recenti interpretazioni pi mitigate). Gli Occamisti furono
chiamati Nominali o Terministi.
Nell'et moderna il Nominalismo proposto da HOBBES in un senso
rigidamente materialistico. Quindi con un titolo speciale dagli Empiristi, ossia
virtualmente da LOCKE e formalmente da BERKELEY, HUME, J. STUART
MILL e SPENCER, che pensano che per cogliere il significato del nome
universale sia sufficiente o un'idea singola-re assunta a significare gli altri
singolari simili, o una idea collettiva di molti singolari simili. Con gli Empiristi
convengono i Sensisti, come DE CONDILLAC. I presupposti empiristici
spesso si trovano presso i Positivisti, e pi recentemente sono stati assunti
radicalmente dai primi Neopositivisti. Per ulteriori determinazioni di queste
opinioni, si veda a p. 144-145.
Nella filosofia moderna KANT introdusse una nuova forma di Concettualismo,
fondata nel presupposto aprioristico. I dati della esperienza, o impressioni
sensibili, si suppongono provenire dalla cosa in s, amorfa e caotica, cio senza
stabile determinazione e ordine. I dati dell'esperienza sono ricevuti nelle forme
a priori della sensibilit esterna ed interna, cio nelle forme dello spazio e del
tempo, e cos si costituisce il fenomeno sensibile. Questo a sua volta reso
intelligibile quando sussunto sotto una categoria o concetto a priori
dell'intelletto, e per tale sussunzione esso acquista ordine necessario e
universale. Quindi i nostri concetti, sia vuoti che riempiti, sono concetti
universali che non hanno valore oggettivo nei riguardi della cosa in s.
Si pu aggiungere che nella filosofia contemporanea si ha una nuova forma di
Concettualismo fondata in un presupposto antiintellettualistico. Come si
accenna nella tesi decima, la tendenza antiintellettualistica si evolve sia nel
senso sopralogico, ossia ponendo lo iato fra l'intuizione e la
concettualizzazione; sia nel senso infralogico, ossia ponendo lo iato fra

l'esperienza estranea all'intelletto e la concettualizzazione. Quindi in ambedue i


casi si ha il presupposto dell'insufficienza e dell'invalidit della nostra attivit
concettuale, e conseguentemente la negazione del valore oggettivo dei concetti
essenziali astratti (v. Encicl. Filos., 2 ed. voi. I col. 1 547-1 551).
PRIMA PARTE. - 1. Questa parte consta in primo luogo dell'analisi della
nostra esperienza interna. Riflettendo infatti nella nostra interna esperienza,
necessario che assumiamo la coscienza esplicita che, oltre le immagini
sensibili, sempre singolari, ci sono nella nostra mente giudizi universali, cio
formati con concetti universali (ad es. i giudizi definitorii). Spontaneamente
infatti e sicuramente definiamo il corpo senza la differenza di animato e
inanimato, e l'animale senza la differenza di razionale e irrazionale, e l'uomo
senza la differenza individuale della petreit o paoleit. Ma poich i
Nominalisti ammettono i nomi universali e le idee collettive dei simili, si
sogliono desumere in questa questione gli argomenti:
1. Dal fatto della predicazione orale vera: Infatti come consta chiaramente dal
consenso comune, possiamo veramente dire con verit che Pietro uomo, che
Paolo uomo ecc.; non possiamo per affermare con verit che Pietro sia Paolo
o che Pietro sia popolo. Ci premesso, cos argomentiamo: Come consta
dall'uso del linguaggio, col nome orale significhiamo ci che comprendiamo
con il concetto. Da ci consegue che ai nomi aven-ti significato irriducibile,
corrispondono nella nostra mente concetti irriducibili. Ora si danno nomi
universali che hanno un significato irriducibile al significato singolare o
collettivo. Dunque si danno concetti universali che sono irriducibili al concetto
singolare e al concetto collettivo.
A conferma dell'argomento utile osservare che gli stessi Nominalisti
ammettono la irriducibile significazione del nome singolare (Pietro), del nome
collettivo (popolo) e del nome universale (uomo).
2. Dal fatto delle idee collettive: In effetti gli stessi Empiristi concedono che
noi abbiamo idee intellettuali collettive, con le quali coaduniamo insieme una
classe di singolari simili. Ora la coadunazione intellettiva di singolari simili
presuppone un concetto universale. Dunque esistono nella nostra mente
concetti universali.
A chiarificazione dell'argomento necessario avvertire che la coadunazione dei
singolari simili presuppone che comprendiamo quel determinato aspetto in cui i
simili convengono: altrimenti non vi sarebbe alcuna ragione di coadunare nel
concetto di popolo soltanto uomini, e non anche, ad es., alberi o cani. Ma

questo aspetto comune lo stesso concetto universale di uomo. Dunque la


coadunazione intellettiva di singolari simili presuppone un concetto universale.
3. Da quanto detto possiamo ricavare nei riguardi del Nominalismo anche una
riduzione all'assurdo: Infatti il Nominalismo o Empirismo universale: o
asserisce che noi non possiamo attingere se non una successione di singolari
meramente contingenti e dissimili; o concede che noi possiamo attingere a una
certa stabile somiglianza tra le cose singolari. Nel primo caso, procede
coerentemente, ma logicamente si risolve in un agnosticismo scettico: poich si
troverebbe nella impossibilit di elevarsi al disopra di questa esperienza con
una affermazione stabilmente vera. Nel secondo caso, si contraddice: poich
lo stesso capire una stabile similitudine tra cose singolari e capire un aspetto
conveniente a pi singolari.
SECONDA PARTE. - Dall'analisi della nostra esperienza oggettiva e
soggettiva: Infatti, se guardiamo la realt oggettiva, facile rilevare: a) che la
realt da noi conosciuta non del tutto dissimile, n del tutto identica, ma
simile, cio costante di individui fra loro simili; b) che siamo in grado di
formare di questi individui simili delle nozioni comuni e dei principi non solo
comuni, ma comunissimi, alla luce dei quali giudichiamo tutto. Ma poich i
Concettualisti, (in quanto si distinguono dagli Scettici) ammettono la verit
assoluta di alcune affermazioni scientifiche, gli argomenti si sogliono
sviluppare:
1. Dal fatto della predicazione mentale vera: La pre-dicazione vera Composta
di concetti oggettivi delle cose secondo ci che si concepisce: se infatti i
concetti non fossero oggettivi, la predicazione sarebbe falsa. Ma si d qualche
predicazione vera che composta di concetti universali. Dunque si danno
concetti universali che sono oggettivi delle cose secondo ci che si concepisce.
La minore risulta dalla verit dell'affermazioni scientifiche. Infatti
l'affermazione scientifica vera formata da un predicato universale applicato a
un soggetto universale, cos che si pu distintamente distribuire ai singoli
inferiori. Cos per esempio, chiunque rifiuta lo scetticismo perch
contradditorio, ammette l'affermazione universale che ogni scettico si
contraddice, e ammette anche la sua applicazione distributiva questo scettico si
contraddice.
2. chiaro che possiamo procedere anche nei riguaj di del Concettualismo per
riduzione all'assurdo: Il Concettualismo, universale (in quanto precisamente si
eleva al di sopra della pura successione empirica): o asserisce; che tutte le

nostre affermazioni universali sono elaborazioni soggettive, senza vera


oggettivit; o di fatto, concede che esiste qualche giudizio universale
affermante l'oggetto come veramente . Nel primo caso, procede
coerentemente, ma si risolve logicamente in un agnosticismo fenomenistico:
perch non ammette alcuna affermazione scientifica se non relativa al soggetto
conoscente Nel secondo caso si contraddice: perch un giudizio universale che
afferma l'oggetto come veramente , si deve dire composto di concetti misurati
dallo stesso essere dell'oggetto (come avemmo occasione di esplicitare nella
tesi sull'idealismo).
Dopo aver mostrato che abbiamo concetti universali oggettivi per quanto
concerne ci che concepiamo, utile osservare che conveniamo coi
Concettualisti nell'ammettere che i nostri concetti universali non sono oggettivi
per quanto concerne il modo con cui noi concepiamo. Per ci che riguarda altri
possibili argomenti e l'argomento generale della terza parte, rimandiamo al
testo latino.

ARTICOLO SECONDO
Il Realismo Esagerato
Senso della ricerca. - In opposizione al Nominalismo ed al Concettualismo,
abbiamo mostrato che si devono ammettere concetti universali oggettivi
secondo ci che concepiamo, avvertendo per inizialmente che essi non sono
oggettivi secondo il modo con cui concepiamo. I Realisti Esagerati affermano
che i nostri concetti sono oggettivi anche per quel che concerne il modo con cui
concepiamo, cio che le cose sono formalmente universali. A complemento
quindi della precedente questione, rimane da ricercare se le cose siano
formalmente universali, ossia, in altre parole, se gli universali siano separati dai
singolari o almeno realmente distinti dai principi individuanti.
TESI XIV. - Gli universali non sussistono separati dai singolari, n si
distinguono realmente dai principi individuanti. Tra questi esiste solo una
distinzione di ragione, con fondamento nelle cose stesse.
Prenozioni. - 1. Qui per universale intendiamo natura senza le determinazioni
individuali (che da noi concepita come comune a molti). Singolare qui lo
stesso che ente reale indiviso in s e diviso da ogni altro (ossia la realt che si

coglie concretamente nell'esperienza). La singolarit, o note individuanti, o


principi individuanti, sono le determinazioni che costituiscono la differenza
individuale. I principi individuanti, sono chiamati da Scoto col nome di
haecceitas.
2. Secondo il modo comune di parlare, sono distinte le cose delle quali l'una
non l'altra; quindi la distinzione la negabilit dell'uno rispetto all'altro; e in
questo senso da considerarsi come assenza di identit. La distinzione reale o
di ragione secondo che antecedente o conseguente all'operazione
dell'intelletto. La distinzione reale adeguata, se fra un tutto e un altro tutto, o
tra una parte e un'altra parte; inadeguata se fra un tutto e una sua parte.
La distinzione di ragione detta rationis ratiocinatae o rationis ratiocinantis, se
ha o non ha il fondamento nelle cose. La distinzione di ragione raziocinata si
distingue ulteriormente in maggiore e minore: la maggiore quella che vige tra
due concetti dei quali nessuno dei due include l'altro, quantunque uno sia
determinato dall'altro; la minore quella che vige tra due concetti dei quali uno
include implicitamente l'altro.
Il fondamento oggettivo della distinzione in ultima analisi una distinzione che
nella realt corrisponde alla distinzione dei concetti, rendendo legittima la
distinzione dei concetti.
3. Dal fatto che nel nostro modo di parlare noi di-stinguiamo tra natura
universale e individui concreti, e tra iiatura universale e principi individuanti,
chiaro che tra questi deve esistere una qualche distinzione. Nella tesi asseriamo
che questa distinzione non reale, ma soltanto di ragione con fondamento nella
cosa stessa.
Dividiamo la prova della tesi in tre parti: nella prima, mostreremo che non c'
reale distinzione adeguata tra gli individui e la natura universale, ossia che gli
universali non sussistono separati dai singoli; nella seconda, che non vi una
distinzione reale inadeguata fra gli individui e la natura universale, ossia che gli
universali non si distinguono realmente dai principi individuanti; nella terza
brevemente chiarificheremo come vi sia tra la natura universale e i principi
individuanti la distinzione di ragione raziocinata maggiore, ossia con
fondamento nelle stesse cose delle quali viene predicata la natura specifica.
Opinioni. - Per ci che riguarda la prima parte, PLATONE suppone che oltre al
complesso delle cose sensibili sussista un complesso di Idee intellegibili, cio
di perfezioni universali, ad es. Cavallo, Uomo, Bene. Dalla partecipazione reale

delle Idee si costituisce qualsiasi cosa singolare sensibile, come questo uomo,
questo cavallo ecc. Dalla partecipazione logica delle Idee l'anima nostra, prima
di unirsi al corpo, ha gi intuito immediatamente l'Uomo, il Cavallo ecc. Dalla
reminiscenza imperfetta delle Idee, eccitata in noi dalla conoscenza sensibile, si
ha nel presente stato il complesso dei nostri concetti universali con i quali si
forma la nostra scienza. Secondo la concezione platonica, la conoscenza
intellettiva scientifica si converte pertanto alle cose singolari sensibili mediante
l'idea universale distinta e separata dalle cose singolari.
Al realismo esagerato platonico affine la concezione degli Ontologisti, i quali
ritengono che noi immediatamente vediamo le divine idee delle cose, e per
mezzo di esse le creature sensibili; di questo avviso sono, nella filosofia
moderna, Malebranche e Gioberti,
Per ci che riguarda la seconda parte, alcuni Medievali, all'inizio della filosofia
scolastica, asserivano che gli universali esistessero realmente distinti dai
principi individuanti. Riguardo alla terza parte sono contrari gli Scotisti, i quali
ritengono che la natura specifica, antecedentemente alla considerazione della
mente, formaliter ex natura rei si distingua dalla haecceitas.
PRIMA PARTE. - 1. Dal fatto della predicazione vera: Come abbiamo visto
nella tesi precedente, gli universali si predicano con verit dei soggetti
singolari: diciamo infatti che Pietro uomo, animale, vivente ecc. Ma ci che si
predica con verit del soggetto, realmente identificato con lo stesso soggetto.
Dunque gli universali sono realmente identificati coi singolari; quindi non
sussistono separati. Per comprendere il senso di questo argomento, occorre
rilevare che se il predicato non si identificasse realmente col soggetto, la
predicazione sarebbe falsa: perch non possiamo mai dire che una cosa ci
che da essa realmente si distingue.
Per una pi esatta comprensione di questo argomento, e anche dell'argomento
primo della seconda parte, rimandiamo alle citazioni latine di alcuni testi di S.
Tommaso, a p. 155.
2. Sulla dottrina platonica, anche oggi, si suole proporre un argomento
negativo, ex inconvenientibus, che si pu cos accennare: L'idea che si dice
partecipata dai singolari sensibili: o pone in essi una perfezione intellegibile, o
non ne pone alcuna. Se non pone una perfezione intellegibile, i singolari sono
intrinsecamente inintellegibili, e il mondo delle Idee una duplicazione
INANE (ossia non serve a comprendere le cose sensibili). Se pone una
perfezione intellegibile, i singolari sono intrinsecamente intellegibili, e quindi il

mondo delle Idee una duplicazione INUTILE (ossia non necessaria per
comprendere le cose sensibili).
Gli argomenti addotti valgono proporzionalmente anche per gli Ontologisti.
Infatti per il fatto della predicazione vera, si deve escludere che ci che
predichiamo delle creature sia reale distintamente dalle creature. Il ricorso poi
all'idea divina, o priva le creature di intellegibilit intrinseca, o una
duplicazione inutile nel nostro ordine conoscitivo.
SECONDA PARTE. - L'opinione dei medievali realisti esagerati non ha
importanza; ha per importanza l'argomento sistematico con cui si rimuove
questa opinione. Questa parte si prova:
1. Dal fatto della predicazione vera: Abbiamo visto nella parte precedente che
gli universali si predicano per identit reale dei singolari. Perch siano predicati
per identit reale, chiaro che tutto quello che significa il predicato deve
realmente identificarsi con tutto quello che significa il soggetto; ossia, in altre
parole, occorre che il predicato sia detto del soggetto ut totum de toto, perch la
parte non identica al tutto. Possiamo quindi concludere che se gli universali si
predicano con verit dei singolari, essi sono predicati ut totum de toto. Ci
premesso, cos argomentiamo:
Gli universali si predicano con verit dei singolari, ossia si predicano dei
singolari ut totum de toto. Ora, l'universale che si predica del singolare ut totum
de toto, non si pu distinguere realmente dai principi individuanti. Dunque
l'universale non si distingue realmente dai principi individuanti.
Per completare l'argomento occorre chiarificare la minore, osservando che se
nel singolare Pietro, l'universale uomo e i principi individuanti petreit si
distinguessero realmente, uomo sarebbe parte reale di Pietro, e quindi non
potrebbe pi predicarsi ut totum de toto di Pietro.
proprio in questo senso che abbiamo avvertito con S. Tommaso, nei testi
sopra citati, che possiamo dire Petrus est homo, e Petrus est albus, ma non
possiamo dire Petrus est humanitas o Petrus est albedo.
2. L'inconveniente di ogni realismo esagerato, sia platonico che medievale, pu
esser messo in evidenza per la sua intrinseca contraddizione. Infatti, dire che
esiste una natura universale, una contraddizione, perch in quanto una ed
esistente, questa natura ens indivisum in s e divisum a quolibet alio, cio
singolare; e in quanto universale, non singolare.

TERZA PARTE. - 1. Per esclusione. Se la natura specifica ed i principi


individuanti non si distinguono realmente, devono dirsi distinti soltanto ratione.
Questa distinzione di ragione: a) non pu dirsi rationis mere ratiocinantis,
perch la natura specifica ed i principi individuanti hanno definizioni diverse;
b) non pu dirsi rationis ratiocinatae minoris, perch la natura specifica si
predica univocamente dei suoi individui, e perci non contiene actu i principi,
individuanti. Dunque deve dirsi rationis ratiocinatae maioris.
2. Dalla diversa separazione mentale e reale: Quelle nozioni oggettive che nel
medesimo individuo sono real-mente identificate, ma nella mente sono
concepite come separate e in diversi individui esistono separate, sono distinte
distinctione rationis maiore con fondamento nelle cose stesse.
Tali devono dirsi le nozioni oggettive della natura specifica e dei principi
individuanti, perch:
a) nel medesimo individuo sono realmente identificate, giacch la natura
specifica predicata dall'individuo per identit reale e come un tutto di un
tutto;
b) nella mente si concepiscono separate, poich il concetto univoco non include
actu le proprie differenze;
c) in diversi individui esistono come separati, perch gli individui sono simili,
tra loro distinti, e quindi l'uomo che in Pietro non l'uomo che in Paolo, e la
ecceit di Pietro non la ecceit di Paolo.
A complemento della dottrina, avvertiamo che questi argomenti sono da
estendersi a tutti i generi, le differenze e le specie predicamentali.

ARTICOLO TERZO
Il Realismo Modrato
(p.161-173)
Senso della ricerca. - Dalle due tesi precedenti possiamo concludere alla
legittimit dei tre presupposti fondamentali del Realismo moderato, ossia a) che
la realt deve dirsi simile, cio formalmente singolare e fondamentalmente

universale; b) che i concetti universali sono oggettivi secondo ci che si


concepisce e non secondo il modo con cui si concepisce; c) che il modo con cui
si concepisce consiste nel non attingere le note o determinazioni individuali.
proprio del Realismo moderato distinguere un duplice universale, spiegando
sia il modo con cui acquisito da noi, sia il modo con cui si fonda nelle cose.
Nel presente articolo ricercheremo se si devono ammettere due universali, e in
che modo ambedue sono acquisiti; nel seguente tratteremo del loro fondamento.
TESI XV. - Noi concepiamo un duplice universale, cio il diretto ed il
riflesso; dei quali il primo si forma per astrazione precisiva totale, ed il
secondo con semplice comparazione.
Prenozini. - Questa tesi sistematica, e quindi deve essere spiegata con
accurate prenozioni.
1. Nella presente tesi ci limitiamo all'universale univoco, poich ci che
riguarda l'universale analogo si suole spiegare in altro trattato; e anzitutto
asseriamo che l'universale deve distinguersi in diretto e riflesso. L'universale
diretto la natura delle cose considerata assolutamente, che nella sua
intelligibile comprensione non contiene la singolarit n la pluralit, p. es.
''uomo". L'universale riflesso la medesima natura considerata relativamente
agli individui, nei quali o almeno pu essere, p.es. ''uomo in molti individui"
o "uomo atto ad essere in molti individui".
L'universale diretto detto reale o metafisico, perch secondo ci che si
concepisce nelle cose (prima intenzione). L'universale riflesso detto logico,
perch una natura identica a molti, o che pu essere identicamente in molti, non
si trova nelle cose, ma solo nella mente (seconda intenzione). Col concetto
universale diretto consideriamo soltanto la comprensione, mentre col concetto
universale riflesso consideriamo la stessa comprensione rispetto all'estensione.
Nota. L'universale diretto si chiama anche potenziale, materiale, negativo
perch, essendo absolutum dalle determinazioni individuali, in potenza alla
forma dell'universalit e n contiene n esclude la nota positiva di universalit.
Il riflesso al contrario si chiama attuale, formale, positivo perch ha gi in atto
la forma di universalit e include la nota positiva di universalit La forma di
universalit la relazione di inerenza attuale o attitudinale ai molti.
2. L'astrazione, etimologicamente separazione di uno da un altro, si dice fisica
o intenzionale secondo che separazione nell'ordine reale o solo nell'ordine

conoscitivo. L'astrazione intenzionale pu avvenire per modum efficientiae o


per modum considerationis; qui la consideriamo in quanto avviene per modum
considerationis. Essa anzitutto da distinguersi in negativa e precisiva: a) la
negativa, o per modum compositionis et divisionis, quella separazione del
predicato dal soggetto che ha luogo nel giudizio negativo; b) la precisiva, o per
modum simplicitatis, l'intellectio o la consideratio unius, alio non intellecto
vel non considerato.
Sia che si attenda a ci che astratto, sia che si attenda al modo con cui si
astrae, l'astrazione precisiva viene a distinguersi in due modi:
a) Astrazione precisiva parziale la considerazione di una parte di un tutto, non
considerando le altre parti; questa astrazione si chiama formale quando di un
tutto, comunque composto di soggetto e forma, consideriamo la forma senza il
soggetto, per es. quando di Pietro consideriamo l'umanit o del bianco la
bianchezza.
b) Astrazione precisiva totale l'intellezione della forma con il soggetto e nel
soggetto,senza intendere le note individuanti, p. es, quando di Pietro
apprendiamo che "uomo" senza apprendere la sua "petreit". In questo caso:
a) si ha vera astrazione, perch si abbandonano le determinazioni individuali;
b) si ha astrazione totale, perch ci che si appreso totum de toto individuo,
cio contiene indeterminatamente, ossia implicitamente e indistintamente, tutto
ci che nell'individuo.
Nota. Per determinare rettamente il senso della tesi utile avvertire che
nell'astrazione parziale: prima si fa l'apprensione confusa del tutto, poi
l'apprensione distinta delle parti, quindi si procede a considerare una parte
lasciando di considerare le altre parti; e perci nell'astrazione parziale ci che
non si considera, non ignorato, cio remanet seorsum in intellectu nostro.
Quindi l'astrazione parziale derivata, ossia dissociativa di un tutto gi
preintelletto.
Al contrario nell'astrazione totale: a) nessuna precedente conoscenza
intellettiva prerequisita, ma soltanto la sensitiva: come infatti nella cognizione
sensibile visiva si sente spontaneamente il colore di una mela, tralasciando il
sapore; cos nella cognizione intellettiva precisiva totale si apprende
spontaneamente l'essenza delle cose sensibili tralasciando le determinazioni
individuali; perci nell'astrazione totale b) ci che si lascia non solo non

considerato, ma ignorato (cio ''non remanet seorsum in intellectu nostro").


Pertanto questa astrazione subitanea e originaria, ossia appartiene al modo
spontaneo con il quale noi concepiamo.
3. La comparazione la considerazione di uno in ordine ad un altro, e pu
aversi con un giudizio, cio con il modo di composizione e divisione, o con una
semplice apprensione, cio con il modo di semplicit. Questa semplice
comparazione pu esser di due realiter relativi (padre rispetto al figlio) o di due
ratione relativi predicato riguardo al soggetto, specie riguardo agli individui).
4. Da quanto abbiamo spiegato in queste prenozioni, si ricava che il
nome di astrazione secondo il senso etimologico significa separazione; ma
secondo l'uso filosofico nostro significa visione, ossia conoscenza penetrativa
dell'essenza di una cosa, in un modo un po' precisivo.
Ci supposto, asseriamo nella tesi che con l'astrazione precisiva totale dai
fantasmi (ossia dalle immagini sensibili interne) formiamo l'universale diretto;
e che con la semplice comparazione riflessiva formiamo l'universale riflesso. E
conseguentemente asseriamo che l'universale riflesso lo stesso attuale
UNIVERSALE IN ESSENDO (uno in molti o atto ad essere in molti) a cui
consegue come proprio quell'altro universale riflesso che si chiama
UNIVERSALE IN PRAEDICANDO (uno predicato o predicabile di molti) che
pu essere inteso in cinque modi.
Divideremo la prova della tesi in quattro parti. Nella prima mostreremo che si
d l'universale diretto, e nella seconda che si acquista con l'astrazione totale.
Nella terza mostreremo che d l'universale riflesso, e nella quarta che si
acquista con la comparazione semplice. Le ulteriori avvertenze relativamente
alla natura che da noi si concepisce, le rimandiamo al corollario.
Opinioni. - Come si constata dal gi detto nelle tesi precedenti, i
NOMINALISTI non ammettono l'esistenza dell'universale diretto, i
CONCETTUALISTI negano la sua obbiettivit per quel che riguarda ci che si
concepisce, i REALISTI ESAGERATI affermano la sua oggettivit anche per
quel che concerne il modo con cui si concepisce.
La tesi, cos come la presentiamo, dal sec. XVI sostanzialmente comune tra
gli Scolastici. Solo alcuni Autori pensarono che gli universali diretti fossero
ottenuti con una precisione inadeguata (che chiamarono formale) con la quale
gli individui concreti sono attualmente trattenuti nel concetto, quantunque in
modo confuso.

Inoltre occorre avvertire che al di fuori della speculazione scolastica, spesso


con la parola astrazione si intende quella che noi abbiamo chiamata astrazione
parziale e dissociativa. In questo senso alcuni Filosofi moderni negano che il
concetto universale sia acquisito per astrazione. Citiamo due esempi. Secondo
ROSMINI si ha l'universalizzazione attraverso l'unione dell'idea innata
dell'ente alla percezione sensitiva, nello stesso atto della percezione intellettiva,
mentre l'astrazione si ha attraverso l'ulteriore riflessione dissociativa. Secondo
BERGSON la dottrina dell'astrazione e della generalizzazione implica un
circolo vizioso, perch una natura non pu generalizzarsi senza prima essere
astratta e non pu astrarsi senza prima essere generalizzata.
PRIMA PARTE. - L'argomento desunto sistematicamente dalla verit della
predicazione. Come abbiamo sviluppato nelle tesi precedenti, si danno dei
concetti che si predicano:
a) con verit delle cose,
b) per identit reale di molti,
c) come un tutto del tutto dei singoli.
Ora facile osservare che questi concetti sono universali diretti, nel preciso
senso che abbiamo spiegato nelle pre-nozioni. Infatti questi concetti:
a) perch sono predicati con verit delle cose, attingono la natura delle cose;
b) perch sono predicati per identit reale di molti, non contengono la
singolarit;
c) perch sono predicati come un tutto del tutto dei singoli, non contengono la
pluralit. Dunque sono nature assolutamente considerate, cio universali diretti.
SECONDA PARTE. - Dalla stessa natura dell'universale diretto. Per mostrare
che noi acquistiamo gli universali diretti per astrazione precisiva totale, basta
inizialmente mostrare che essi a) sono desunti dai fantasmi delle cose sensibili
b) tralasciando le note o determinazioni individuanti.
Che siano desunti dai fantasmi delle cose sensibili, qui lo si pu stabilire
riflettendo sulla nostra interna esperienza: siamo infatti coscienti che ogni
nuovo concetto noi lo ricaviamo da una nuova esperienza sensibile, e che

sempre noi conosciamo per con-versione ai fantasmi delle cose sensibili.


Che siano desunti tralasciando le determinazioni individuali, lo si pu
semplicemente stabilire dal fatto che queste determinazioni non sono contenute
nei nostri universali diretti.
Che poi gli universali diretti siano acquistati ignorando di tralasciarle, si pu
ulteriormente illustrare osservando che se noi, acquistando quei concetti,
sapessimo gi di tralasciare le note individuanti e di apprendere una natura
comune, non formeremmo originariamente concetti di ente reale, ma di ente di
ragione, ed i concetti cos formati non potrebbero esser pi predicati delle cose:
infatti Pietro reale non ''uomo senza i principi individuali'' e nemmeno ''un
uomo comune''. Dunque l'astrazione degli universali diretti spontanea ed
immediata, cio appartiene al modo stesso con cui naturalmente concepiamo.
TERZA PARTE. - Dall'esperienza interna: Di fatto noi non solo concepiamo
le nature delle cose in modo assoluto, ma le concepiamo anche relativamente
agli individui nei quali sono o possono essere. Tali nature sono universali
riflessi, ossia in essendo. Dunque si danno universali riflessi ossia in essendo.
La prima parte della minore si ricava dalla stessa definizione, spiegata nelle
prenozioni, dell'universale riflesso; la seconda cos si mostra: A costituire
l'universale in essendo si richiede: a) una natura, b) comune a molti. Orbene
l'universo riflesso: a) una natura, perch ha una unit specifica; b) comune a
molti, perch intesa attualmente come identica a molti individui. Dunque
l'universale riflesso universale in essendo.
QUARTA PARTE. - Infatti, l'universale riflesso lo stesso universale diretto
considerato secondo la relazione di identit riguardo a molti. Dunque: a) ente
di ragione, perch l'universale diretto gi considerato in quanto mancante di
note individuanti, ossia in quanto nella mente; b) costituito da una relazione
di ragione perch, nulla essendo nella realt identico a molti, questa relazione
di identit non pu essere se non nella mente. Ci premesso, cos
argomentiamo:
Dalla stessa natura dell'universale riflesso. L'universale riflesso ente di
ragione costituito da una relazione di ragione. Ma per costituire un tale ente si
richiede ed sufficiente la semplice comparazione. Dunque l'universale riflesso
costituito dalla semplice comparazione.
Riguardo alla minore: a) si richiede una comparazione, perch la relazione di

ragione non esiste se non quando si conosce; b) basta la semplice


comparazione, poich per comprendere una relazione di ragione, non
necessario. affermare o negare.
Nota. Ci pu essere confermato da questo esempio: il giudizio: "l'uomo
natura identica a molti": falso, se uomo suppone per universale diretto o reale;
vero se uomo suppone per universale riflesso o logico. Questo giudizio vero
presuppone gi acquisite le semplici apprensioni con le quali stato composto.
Dunque prima del giudizio uomo gi stato concepito come universale riflesso.
COROLLARIO. - Dunque la natura che da noi si concepsce esiste in modo
duplice ed considerata in modo triplice.
Ragione del primo. Le nature che apprendiamo, esistono oggettivamente o nelle
cose o. nell'intelletto: infatti non si d medio tra l'ente reale e l'ente di ragione.
Nel primo caso, hanno un modo di essere proprio delle cose, e cos sono
singolari. Nel secondo caso hanno un modo di essere proprio dell'intelletto, e
cos sono senza condizioni materiali, cio universali.
Ragione del secondo. Non si pu intendere che la stessa natura sia in modo
diverso nelle cose e nella mente, senza che si comprenda quell'aspetto identico
che si trova in ambedue i modi. Questo identico la natura considerata in modo
assoluto, che per prima riluce nel concetto universale diretto. Infatti, a) perch
diventi singolare, basta che sia considerala come reale in questo o in quello
individuo; b) perch diventi universale, basta che sia considerata secondo il
modo di essere che ha nella mente. Dunque la natura che da noi si concepisce
esiste in modo duplice, ma considerata da noi in tre maniere, ossia in modo
triplice: come in potenza alla singolarit ed alla pluralit come attuale nella
singolarit e come attuale nella pluralit.
Per chiarificare esattamente questo corollario, rimandiamo ai testi latini
citati a p. 170; e a complemento della dottrina rimandiamo a quanto detto
nella Logica, p. 86 Nota, p. 51-52 Note, p. 53-54 Note.

ARTICOLO QUARTO
Fondamento di entrambi gli universali
(p. 174-180)

Senso della ricerca. Spiegate quelle cose che sono pertinenti alla distinzione
dell'universale diretto e riflesso e al diverso modo col quale da noi sono
acquisiti, per completare la dottrina del Realismo moderato rimane da
esaminare quale sia il loro reale fondamento. Il senso di questa ricerca
completivo, perch tende a sistematicamente determinare le ragioni necessarie e
sufficienti dell'universale diretto e riflesso, sia da parte del soggetto conoscente
sia da parte della realt conosciuta.
TESI XVI. - IL fondamento soggettivo dell'univer-sale diretto la forza
astrattiva, dell'universale riflesso la forza comparativa del nostro intelletto. Il
fondamento oggettivo di ambedue gli universali sono le cose simili, in questo
senso: che il diretto si fonda in esse in modo prossimo, ed il riflesso in modo
remoto.
Prenozioni. - 1. Per fondamento si suole intendere qualsiasi cosa che
prerequisita perch se ne abbia un'altra. Questa parola si applica alle cose
intelligibili per similitudine alle cose sensibili. Questa similitudine pu esse-re
intesa in due modi: rispetto all'ordine, perch il fondamento precede le altre
parti, e rispetto alla virtuosit, perch il fondamento sostiene tutte le altre parti
(p. es. di un edificio).
Il fondamento del concetto ci che prerequisito per avere un concetto vero:
e se questo prerequisito si trova nel soggetto conoscente, si chiama fondamento
soggettivo; se si trova nella realt conosciuta, si chiama fondamento oggettivo.
Il fondamento oggettivo di un concetto ci che nella cosa corrisponde al
concetto; infatti la cosa, misurando il concetto e corrispondendo al concetto, fa
sr che il concetto sia vero. Perch la realt talora immediatamente corrisponde
al concetto, e talora solo mediamente, cio mediante una cosa gi prima
concepita, il fondamento oggettivo ulteriormente si distingue in immediato o
prossimo, e mediato o remoto.
2. Come spiegammo nella tesi precedente, noi con i concetti diretti cogliamo
l'universale diretto, che oggettivo delle cose per quanto concerne ci che si
concepisce, non per per quanto riguarda il modo con cui si concepisce; e con i
concetti riflessi cogliamo l'univer-sale riflesso che l'universale diretto inteso
come relativo agli inferiori dai quali stato ricavato.
Nella tesi asseriamo che: a) il fondamento soggettivo dell'universale diretto la
forza astrattiva del nostro intelletto umano, e il fondamento soggettivo
dell'universa-le riflesso la forza comparativa dello stesso nostro intelletto; b)
il fondamento oggettivo dell'universale diretto sono le cose che sono simili tra

loro; e il fondamento dell'universale riflesso sono le stesse cose comprese come


simili tra loro; c) e che l'universale diretto si fonda in esse in modo prossimo e
l'universale riflesso in modo remoto. Quindi tre parti nella prova della tesi.
Opinioni. - Questa tesi accettata da tutti quelli che ammettono la tesi
precedente, e logicamente fluisce dalla comune dottrina del Realismo
moderato.
PRIMA PARTE. - 1. Il fondamento soggettivo dell'universale diretto la forza
astrattiva dell'intelletto umano. Il nostro intelletto la facolt spirituale che
riceve il suo oggetto dai sensi. Pertanto, affinch possa conoscere il suo
oggetto, deve liberarlo dalle sue condizioni materiali; ora, liberare l'oggetto
dalle condizioni materiali equivale ad astrarlo dalle sue determinazioni
individuanti. Dunque il nostro intelletto non pu conoscere il. suo oggetto se
non astraendolo dalle sue determinazioni individuali; e in questo senso il
fondamento soggettivo dell'universale diretto la forza visivoastrattiva del
nostro intelletto umano.
2. Il fondamento soggettivo dell'universale riflesso la forza comparativa
dell'intelletto umano. Il nostro intelletto una facolt spirituale, e in quanto
spirituale capace di riflettere sul proprio atto e di cogliere le relazioni
intelligibili esistenti fra il proprio atto e le cose. Proprio perch tale, pu
considerare il proprio oggetto secondo l'essere che ha nella sua mente e
secondo le relazioni intelligibili che pu avere rispetto alle cose. Procedendo in
tal modo si pu stabilire l'universale riflesso. Dunque il fondamento soggettivo
dell'universale riflesso la forza riflessivo-comparativa del nostro stesso
intelletto.
Il nostro intelletto potenza attiva. In quanto attiva concorre alla
conoscenza dell'oggetto, e in questo senso occorre cercare il fondamento degli
universali nella stessa attivit conoscitiva. In quanto passiva, dipende nella
propria conoscenza dai sensi ed misurato dalle stesse cose sensibili; dunque al
di fuori di ogni dubbio si d anche il fondamento oggettivo dei concetti
universali. Abbiamo gi accennato che i nostri concetti sono fondati sulle cose,
in quanto corrispondono alle cose. Occorre pertanto che consideriamo
accuratamente anche in quale senso le cose si debbano dire fondanti.
SECONDA PARTE. - 1. Il fondamento oggettivo dell'universale diretto la
cosa che simile. Poich l'universale diretto la natura delle cose qua e est
absoluta, cio sciolta (liberata) dalle determinazioni materiali, e quae est
communis, chiaro che il fondamento oggettivo dell'universale diretto la cosa

singolare (perch ci che agisce in noi una cosa concreta) che simile ad altre
cose (poich ci comunica quella forma comune, nella quale conviene con altre
cose singolari). In questo senso occorre dire che il fondamento oggettivo
dell'universale diretto la cosa singolare che simile ad altre cose singolari.
2. Il fondamento oggettivo dell'universale riflesso sono le cose comprese come
simili. L'universale riflesso la natura compresa come identica a molti. Una
natura pu essere compresa come identica a molti, in quante le cose singolari
sono comprese come convenienti nella medesima natura, cio come simili.
Dunque ci che da parte della cosa corrisponde all'universale riflesso gi sono
le cose singolari comprese come simili.
TERZA PARTE. - 1. L'universale diretto si fonda in modo prossimo nelle
cose. Infatti si fondano in modo prossimo nelle cose quei concetti che sono
immediatamente veri della stessa cosa. Ma l'universale diretto
immediatamente vero della stessa cosa: perch predicato con verit delle cose
stesse. Dunque l'universale diretto si fonda in modo prossimo nelle cose.
2. L'universale riflesso si fonda in modo remoto nelle cose. Infatti sono fondati
nelle cose in modo remoto quei concetti che sono immediatamente veri rispetto
alla cosa come nella mente, ma mediante la cosa come nella mente sono veri
anche riguardo alle stesse cose. Tale l'universale riflesso, perch: a) riguarda
la natura della cosa come comune, in quanto precisamente mancante di note
individuanti, ossia come concepita nella mente; dunque immediatamente vero
solo della cosa come nella mente; b) riferisce questa natura alle stesse cose
dalle quali ricavata: dunque, mediante la cosa come nella niente, vero
anche delle cose come sono in s.
A complemento della teoria del concetto utile avere presenti anche le
principali difficolt, che nel testo si trovano dopo le singole tesi, sino alla fine
del capitolo.

CAPITOLO QUARTO
VERIT DEL GIUDIZIO
Senso e divisione del capitolo. - Come abbiamo visto nel capitolo precedente,
il nostro intelletto comincia astraendo una quiddit o essenza assoluta (cio
absolute considerata) dai fantasmi (ossia dalle immagini sensibili interne delle
cose esterne), e poi procede, sempre per conversione ai fantasmi sensibili, a

considerare queste quiddit o indirettamente come reali nei singolari, o


comparativamente come comuni a molti. Da ci ne segue che noi possiamo
procedere a giudicare nei riguardi delle cose sensibili:
a) con giudizi singolari, nei quali, facendo attenzione al singolare presente nel
fantasma, della cosa significata dal soggetto predichiamo una quiddit assoluta
(p. es. hic est homo);
b) con giudizi universali assoluti, nei quali, della quiddit o natura significata
dal soggetto predichiamo un'altra quiddit assoluta (p. es. homo est animai);
c) con giudizi universali distributivi, nei quali, degli inferiori di una essenza o
natura, significati indeterminatamente dal soggetto, predichiamo un'altra
quiddit o nozione assoluta (p. es. omnis homo est animai).
2. Si suole comunemente avvertire che la parola iudicium nella sua prima
denominazione significa l'atto del giudice che d la sentenza (v. Forcellini); e
che nell'uso filosofico si estende a significare l'atto deliamente umana che d la
sua sentenza sulla realt delle cose, in quanto "dicit esse quod est, vel non esse
quod non est". Su questo atto giudicativo abbiamo gi fatto alcune riflessioni
iniziali nella Logica (p.es. p. 72-74); qui le riassumiamo e le completiamo, per
dare fondamento a quanto verremo ulteriormente spiegando sulla verit del
giudizio.
Volendo fare una breve analisi fondamentale del giudizio, utile cominciare
col rilevare che l'atto del giudizio ci sempre chiaramente cosciente come atto
visivo, e che in questo senso esso detto actus mentis formaliter conscius et
formaliter visivus. Una ulteriore analisi ci porta ad esplicitare tre sue
caratteristiche, tra loro complementari: a) che sempre una affermazione,
positiva o negativa, sull'essere della realt; b) che sempre un atto mentale
complesso, in cui di una cosa, significata dal soggetto, affermiamo una nozione
intelligibile significata dal predicato (I q. 16 n. 2); c) che una composizione
intellettiva, cio, secondo il senso della nota espressione aristotelica, una
synthesis duorum termino rum intelligibilium tamquam unum et idem in re
existentium (cfr. De Anima, III, e. 6, 430 a 27-28). Esplicitando ulteriormente,
possiamo concludere che con questo atto formaliter conscius et visivus noi
conosciamo contemporaneamente: la cosa giudicata, l'atto del giudicare, e il
soggetto giudicante; ossia, in altre parole, che l'atto del giudizio actus mentis
perfecte reflectens, in quanto a re cognita redit ad ipsum actum, et per actum ad
ipsum subiectum a quo actus procedit (cfr. De Verit., q. 1 a. 9).

3. Per fare una prima comparazione tra semplice apprensione e giudizio,


necessario ricordare quanto abbiamo accennato nella Logica (p.es. p. 29-30), e
quanto gi stato illustrato nel capitolo precedente. Limitandoci per ora alla
simplex apprehensio absoluta, possiamo dire che l'atto dell'apprendere
ordinato all'atto del giudicare, e, saltem per se, non separabile dal giudizio.
L'apprensione quindi l'atto con cui il nostro intelletto, che originariamente
dipende dai sensi, comincia con l'apprendere la quiddit assoluta delle cose
senza ancora affermare o negare; il giudizio invece l'atto con cui il nostro
intelletto procede all'affermazione o alla negazione.
Secondo questa fondamentale comparazione, possiamo ulteriormente
aggiungere: a) che la apprensione attingit unum, il giudizio plura ad modum
unius; b) che la apprensione comincia con la conoscenza della quiddit o
essenza delle cose, il giudizio si estende anche al loro essere; c) che
l'apprensione attinge rem qua e est intellectui opposita, il giudizio rem quatenus
intellectui oppositam, nel pieno valore secondo il quale il giudizio atto
perfettamente riflettente.
Abbiamo premesso queste tre osservazini unicamente per concludere in quale
senso si possa legittimamente dire che la semplice apprensione atto della
mente imperfetto e viale, mentre il giudizio l'atto della mente perfetto e
terminale (il quale, come abbiamo accennato nella Logica, l. c., secondo i suoi
aspetti complementari si chiama compositio et divisio, o anche compositio vel
divisio, oppure semplicemente compositio o coniunctio).
Da queste prime osservazioni prende le mosse la presente investigazione sulla
verit del giudizio. Divideremo quindi questo capitolo in quattro articoli: nel
primo studieremo la verit del giudizio; nel secondo faremo un accenno alle sue
propriet; nel terzo tratteremo del suo motivo o criterio ultimo; nel quarto
completeremo la teoria del giudizio parlando della falsit in quanto opposta alla
verit.

ARTICOLO PRIMO
La Verit Logica
Senso della ricerca. - persuasione spontanea e comune che una cognizione
intellettiva vera quando conveniente o conforme alla realt conosciuta; e
che quindi la verit consiste nella convenienza o conformit tra l'intelletto e la
realt. Questa persuasione, nel suo senso ovvio, viene riflessamente giustificata

sin dall'inizio della Critica; quindi noi ora possiamo legittimamente definire la
verit come convenienza, o conformit, o adeguazione tra l'intelletto e la realt,
cio come adaequatio intellectus et rei.
Questa ultima formula ci sembra da preferirsi alle altre, purch si spieghi bene
che cosa si intende significare con la parola adaequatio, e con l'applicazione
della parola adaequatio ai due termini intellectus e res.
Intendiamo la parola adaequatio come convenientia perfecta duorum in aliquo
uno; avvertendo: a) che non si pu dare adaequatio se non sono dati due termini
tra loro distinti, che convengano in uno stesso, identico aspetto, b) che questa
convenienza non si pu trovare nell'ordine reale materiale, ma soltanto
nell'ordine intenzionale intellettivo e comparativo, perch, solo in una
cognizione intellettiva comparativa, due termini realmente distinti si colgono e
si vivono come convenienti in un unico medesimo aspetto.
Applichiamo la parola adaequatio ai due termini intellectus e res, per
significare che l'intelletto non pu cogliere questa adaequatio se non
comparando il proprio atto con la cosa, cio riflettendo sopra il proprio atto
interno e vedendolo conveniente alla cosa; e b) comparando la cosa col proprio
atto e vedendola conveniente con questo atto. In altre parole con la parola
adaequatio applicata all'intellectus e alla res, intendiamo dire che la conoscenza
della verit non consiste nella sola visione diretta della cosa che si manifesta,
n nella sola visione riflessa dell'atto intellettivo che conosce la cosa, ma nella
cosciente unione simultanea di queste due visioni. Vogliamo cos chiarificare
che la verit umana, di cui noi parliamo, la conscia convenientia intellectus et
rei. Avremo occasione di spiegare un po pi accuratamente questi primi
accenni nello sviluppo della nostra presente ricerca.
Essa si pu formulare in questa maniera: supposta la legittima definizione di
verit, come adaequatio tra l'intelletto e la cosa, che cosa si deve precisamente
intendere per intellectus e per res? chiaro che questa questione destinata a
determinare sempre meglio lessenza della nostra verit intellettiva.
TESI XVII. - La verit logica formalmente conosciuta nell'atto del
giudizio; perci i due termini della adeguazione sono ci che l'intelletto
giudicando dice, e la realt della cosa intesa come avente essere in s. (p.
189 - 197)
Osservazioni preliminari. La presente questione posta cos come si svolta
dai primi rilievi aristotelici ai successivi ripensamenti e ampliamenti

aristotelico-scolastici, fino ai nostri giorni. chiaro quindi che per determinare


il senso della questione, occorre anzitutto distinguere ci che si ritiene
comunemente acquisito, e ci che ulteriormente viene ad esser problematizzato.
Si ritiene comunemente acquisito: a) la ovvia distinzione, senza per
esagerarla, tra il momento apprensivo e astrattivo della quiddit e il momento
giudicativo ed assertivo dell'essere, e la qualifica della apprensione quale atto
imperfetto e viale, e del giudizio quale atto perfetto e terminale, come gi
abbiamo spiegato all'inizio di questo capitolo; b) la legittimit della definizione
della verit come adaequatio, e la necessit di precisare in quale senso si
debbano intendere i termini intellectus et res, come abbiamo gi spiegato nel
senso della ricerca; ed infine c) che per arrivare a questa precisazione occorre
ricercare come si trovi la verit nella semplice apprensione e nel giudizio. Si
conviene inoltre in una soluzione iniziale, cio: che essendo l'apprensione il
momento imperfetto e il giudizio il momento perfetto, si pu genericamente
dire che la verit si trovi imperfettamente nella semplice apprensione e
perfettamente nel giudizio.
Questa prima soluzione ha la sua importanza, e permette di risolvere con
comune consenso alcune questioni sulla verit. Lascia per aperta una ulteriore
problematizzazione: i termini intellectus et res debbono esser intesi come si
trovano nella semplice apprensione, o come si trovano nel giudizio?
Trattandosi di una precisazione riguardante l'essenza della nostra verit,
crediamo di non dover sottrarci a questa domanda. Riconosciamo per che la
questione ampia e difficile. In questi appunti ci limitiamo ad alcuni accenni
indicativi,utili aduno studio pi accurato della presentazione latina e dei suoi
eventuali sviluppi.
Prenozioni e prove. - Riteniamo che la precisazione dei due termini debba
esser fatta spiegando come essi sono conosciuti nell'atto del giudizio. Siamo
portati a questa conclusione non soltanto perch il giudizio l'atto perfetto e la
verit la perfezione propria del nostro intelletto, ma anche perch crediamo
che la verit non da noi formalmente conosciuta nel momento viale della
semplice apprensione astrattiva, ma soltanto nel momento terminale del
giudizio assertivo.
A. Per giustificare questo riconoscimento occorre anzitutto una chiarificazione
di terminologia. Una perfezione esiste formlmene quando esiste in atto (est
actu) secondo il senso proprio della sua defizione. Ci premesso, avvertiamo
che la verit, che definiamo adaequatio intellectus et rei, esiste formalmente
quando, secondo il senso proprio della sua definizione, conscia convenientia

intellectus et rei, come abbiamo gi accennato nel senso della ricerca; cio, in
altre parole, che la verit esiste formalmente soltanto nell'intelletto in quanto
conosciuta. Alla luce di questo principio, procediamo ad esaminare se essa
esiste in quanto conosciuta nel momento dell'apprensione, o solo nel momento
del giudizio. E rispondiamo: a) che non ancora conosciuta nel momento della
apprensione, perch in quel momento formiamo il concetto di una quiddit
senza ancora affermare o negare, cio senza ancora pronunciarci se esiste cos
come noi l'abbiamo conosciuta, ossia senza fare comparazione tra l'atto del
nostro intelletto e la realt come essa in s; b) che indubbiamente conosciuta
all'atto del giudizio, perch in questo atto, che perfecte reflectens,
compariamo simultaneamente la cosa conosciuta con l'atto con cui la
conosciamo, consciamente vedendo la convenienza dell'intelleto e: della cosa, e
precisamente in questo senso affermando o negando. Crediamo quindi di poter
legittimamente concludere che la verit esiste formalmente solo nell'atto del
giudizio. Per un ulteriore complemento di questo argomento, si veda il testo a
p. 192-193.
B. Se la verit non si trova formalmente se non nell'atto del giudizio, chiaro
che la precisazione dei due termini deve esser fatta nel senso in cui sono
conosciuti nel giudizio.
Per illustrare questa precisazione utile premettere due altre chiarificazioni
terminologiche, richiamandoci ad una caratteristica del giudizio a cui abbiamo
accennato fin dall'inizio. L'espressione ci che l'intelletto giudicando dice non
si riferisce al giudizio in quanto operatio, ma all'operatum, cio quel verbo
interno complesso che in Logica (p. es. p. 74) abbiamo chiamato enunciazione
mentale; l'espressione la realt della cosa come essa in s si riferisce
all'oggetto del giudizio in quanto indipendente e misurante il giudizio, cio alla
realt giudicata in quanto esistente in s, o considerata in quanto avente essere
in s. Ricordiamo che caratteristica propria del giudizio quella di essere
interna compositio mentalis subiecti et praedicati tamquam unum et idem in re
existentium. Proprio secondo questa caratte-ristica intendiamo ora provare che
la parola intellectus significa "ci che l'intelletto giudicando dice" e che la
parola res significa "la cosa intesa come avente essere in s".
Svolgeremo la prova cominciando con una osservazione preliminare. chiaro
che per conoscere una adaequatio, il nostro intelletto deve vedere i due termini
della adeguazione come tra loro distinti, perch, solo avendoli presenti come
distinti, pu crederli in un medesimo aspetto convenienti. Quindi perch il
nostro intelletto conosca la sua adeguazione alla cosa, deve comparare
l'intellectus e la res in quanto gli si presentano come distinti. Si presentano

come distinti quando si conosce ci che proprio della cosa e che l'atto
intellettivo non ha, e ci che proprio dell'atto intellettivo e che la cosa non ha.
Ci che proprio della sola cosa, il suo essere indipendente e misurante il
giudizio, perch questo suo essere la cosa non lo riceve dal giudizio. Ci che
proprio del solo suo atto intellettivo la mentale composizione di soggetto e
predicato, perch nella cosa soggetto e predicato non si compongono, ma si
identificano. Dunque nel giudizio i due termini si presentano come distinti in
quanto la cosa intesa come avente essere in s, e l'atto intellettivo inteso
come interna composizione mentale. chiaro che questa composizione mentale
non compresa come adeguata alla cosa secondo che una operazione
soggettiva, perch la operazione soggettiva spirituale mentre la cosa spesso
materiale. Dunque compresa come adeguata alla cosa secondo ci che
giudicando dice, come verbo complesso obbiettivo, cio in quanto affermante
che la cosa come realmente . Possiamo quindi legittimamente concludere che
il termine res la cosa intesa come avente essere in s, e che il termine
intellectus l'atto intellettivo inteso secondo ci che giudicando dice. Per un
ulteriore complemento di questo argomento, rimandiamo al testo, p. 193-194.
Nota. 1. La dottrina che abbiamo svolto accennata in vari testi aristotelici. S.
Tommaso la fa sua non solo nei Commentari ma in tutte le sue principali opere.
Gli argomenti sono vari secondo le questioni toccate, come si pu vedere a p.
191-192; a noi sembra che l'aspetto fondamentale si trovi nei testi della Somma
e De Veritate.
2. In questi appunti abbiamo sviluppato la questione della essenza della verit
secondo una formulazione che ci sembra pi semplice; per una formulazio-ne
pi ampia, si veda a p. 188-189 e 219-222.

ARTICOLO SECONDO
Propriet della Verit
(p. 197-202)
Senso della ricerca. - Impostando la questione del Relativismo universale, si
comincia col distinguere ci che noi conosciamo ed il modo con cui noi
conosciamo, concedendo che la nostra verit relativa secondo il modo con cui
noi conosciamo, e impostando la questione solo riguardo a ci che noi
conosciamo. In questo senso impostata, la questione risolta rilevando che il
Relativismo universale di fatto impossibile e teoreticamente contradditorio, e

concludendo che la nostra mente naturalmente ordinata alla verit assoluta.


Ci premesso e presupposto, conveniente completare la teoria della verit
ricercando, sempre in modo generico, in che senso la nostra verit si debba dire
assoluta ed immutabile o relativa e mutevole.
TESI XVIII. - La verit della nostra mente, oggettivamente intesa,
assoluta ed immutabile; soggettivamente intesa, relativa e mutevole.
Quindi ogni nostra proposizione vera, nella sua determinata significazione
originaria, deve dirsi invariabile. (p.197 - 202).
Osservazioni preliminari. - Anche in questa tesi, da-ta la sua non facile
complessit, procederemo come nella tesi precedente, in modo sommario ed
integrativo. Per illustrare il suo senso, cominceremo col dire che tra i nostri
Autori la questione proposta sotto diversi aspetti, che per sono tra loro
complementari.
Alcuni cominciano osservando che una proposizione, quando afferma un
oggetto come esso in s, deve dirsi vera, perch in questo caso il predicato
realmente conviene al soggetto; ed ulteriormente osservano che ogni
proposizione, in quanto applica un predicato intelligibilmente determinato ad
un soggetto determinatamente esistente, deve dirsi invariabilmente o
immutabilmente vera, perch come ci che determinate est, impossibile est non
esse, cos ci che determinate fuit, impossibile est non fuisse.
Ci supposto, pongono la questione se la nostra verit possa ammettere gradi. E
per risolvere esattamente la questione cominciano col distinguere tra verit
formaliter e materialiter spectata. La verit di una proposizione formalmente
intesa, quando la si intende secondo il suo oggetto formale, cio secondo
quell'aspetto che considerato nell'attuale affermazione; materialmente
intesa, quando la si intende secondo il suo oggetto materiale, cio secondo
quegli aspetti che di fatto l'oggetto ha in s, ma che non sono considerati
nell'attuale affermazione.
Premessa questa distinzione, concludono a) che la verit formalmente intesa
non ammette gradi, per-ch se l'aspetto considerato nell'affermazione non ci
fosse nell'oggetto, la proposizione sarebbe oggettivamente falsa, se invece c',
la proposizione oggettivamente vera, cio non pi vera o meno vera, ma
semplicemente vera; b) che la verit materialmente intesa ammette gradi,
perch una proposizione vera che considera meno o pi aspetti dell'oggetto, si
pu dire meno o pi adeguata all'oggetto, e in questo senso meno o pi vera. A

chiarificare questa conclusione si fa questo esempio: se si dice che "Dio


motore immobile, sommamente semplice, infinito", si ha pi verit di quando
soltanto si dice che "Dio motore immobile".
Questa spiegazione proposta p. es. dal GENY (Critica, th. III-V) e dal
NABER (Critica, p. 207 Assertum III e th. 7).
Prenozioni e prove. - Nella presente tesi sviluppiamo la questione
cominciando col distinguere tra veritas obiective e subiective accepta, e
mostrando che nel primo caso la nostra verit deve dirsi absoluta et immutabilis
e nel secondo caso relativa et mutabilis; quindi applichiamo la teoria della
veritas obiective accepta al problema della invariabilit delle nostre
proposizioni in quanto determinatamente vere.
Per comprendere la terminologia che usiamo nella tesi, utile avvertire che
essa si pone nell'ambito della generale teoria della potenza ed atto, in cui la
verit considerata come atto, cio come forma o perfezione dell'intelletto, e
l'intelletto come potenza, cio come soggetto che in s riceve la verit. In
questo senso, la verit oggettivamente intesa la forma della verit intesa nel
suo oggettivo contenuto intelligibile, secondo la sua generica accezione
essenziale; la verit soggettivamente intesa la forma della verit intesa come
ricevuta nel nostro intelletto umano, in quanto specificamente ed
individualmente tale. Le due prime asserzioni della tesi si possono provare coi
seguenti argomenti:
1. Dalla nozione di forma: La verit oggettivamente intesa una forma
oggettivamente considerata come essenza avente un suo proprio e determinato
contenuto intelligibile, cio come avente questo contenuto e niente altro die
questo contenuto. Ora una essenza oggettivamente considerata in quanto avente
il suo contenuto e niente altro che il suo contenuto, oggettivamente assoluta
ed immutabile. Dunque la verit oggettivamente intesa assoluta ed
immutabile (come ogni quidditas absolute considerata, che ci che , e niente
altro che ci che ).
Nota. A ulteriore chiarimento e sviluppo dell'argomento, utile rilevare che
come ci che si dice della nozione oggettiva dell'ente, p.es. che uno, vero e
buono, deve esser detto di ogni ente particolare; cos ci che si dice della
nozione oggettiva di verit, p.es, che assoluta ed immutabile, deve dirsi di
ogni verit particolare.
2. Dalla natura del soggetto ricevente: La verit soggettivamente intesa la

verit intesa carne ricevuta nell'intelletto. Essa deve perci dirsi: a) relativa,
perch quidquid recipitur, per modum recipientis recipitur, e perci la verit, in
quanto ricevuta nell'intelletto nostro, ha il modo umano, e quindi le
imperfezioni e limitazioni proprie della nostra umana potenzialit intellettiva
(p. es., di esser ricevuta in un atto componente e dividente, il quale formato
con concetti astratti, che possono essere adeguati alla realt, ma non possono
essere perfetta-mente comprensivi della realt, ecc.); b) mutevole,perch
formae mutantur secundum mutationem subiecti, e perci la verit, in quanto
ricevuta nell'intelletto umano, subisce la mutabilit del nostro intelletto (il
quale, come ci attesta l'esperienza interna, passa dalla verit alla falsit, o da
una verit ad un'altra verit, o da un grado minore di verit ad un grado
maggiore, ecc.).
3. Applicazione alla proposizione vera. - Quando si parla di proposizione
vera, si deve distinguere l'atto interno dei giudizio e ci che con questo atto
interno esprimiamo, che il determinato significato oggettivo della
proposizione stessa. Questo determinato significato oggettivo non altro che
una verit oggettivamente intesa, la quale sempre assoluta ed immutabile,
cio invariabile. In questo senso legittimo concludere che ogni proposizione
vera, nella sua determinata originaria significazione, invariabile.
Sono quindi da dirsi invariabili anzitutto le proposizioni in materia necessaria;
e poi anche le proposizioni in materia contingente, in quanto significanti
l'oggetto esistente nel determinato momento in cui stato affermato.
precisamente in questo senso che la proposizione "Socrate siede" si pu
legittimamente dire invariabile (come brevemente accenniamo nel testo, p.
201-202),

ARTICOLO TERZO
Criterio della Verit
Senso della ricerca. - 1. Il nome di criterio (che dal greco si traduce in latino
iudicatoriun o discretorium) secondo la sua prima denominazione significa
medium per quod vel secundum quod iudex ad sententiam adducitur. Nell'uso
filosofico ci che prerequisito per fare un giudizio certo, e si distingue in
soggettivo, o mezzo del quale si serve il soggetto, ed oggettivo, o norma
secondo la quale il soggetto giudica.
Il criterio oggettivo a) speculativo o pratico, se serve a discernere il vero dal

falso o il bene dal male; b) prossimo o ultimo, se suppone un altro criterio o


non ne suppone nessuno; c) particolare o universale se vale per qualche verit o
per tutte le verit (e in questo senso il criterio ultimo coincide col criterio
universale).
Il problema del criterio si pone successivamente per gradi. Esso comincia
ricercando se esiste un criterio valido per conoscere la verit, ed inizialmente si
risolve constatando esplicitamente che conosciamo certamente qualche verit, e
quindi senza dubbio abbiamo un valido criterio per conoscerla. Ulteriormente
procedendo, rileviamo che se conosciamo qualche verit, abbiamo senza
dubbio un criterio particolare, e quindi anche un criterio prossimo. Per il fatto
poi che ogni criterio prossimo suppone un criterio in cui ultimamente si fonda,
possiamo concludere che esiste un criterio ultimo, il quale, appunto perch
ultimo, anche generale.
4. Alle singole investigazioni scientifiche compete ricercare quali siano i criteri
particolari e prossimi; alla investigazione filosofica compete ricercare quale sia
il criterio generale ed ultimo.
TESI XIX. - Il criterio ultimo e generale delle verit da noi conosciute la
genuina evidenza oggettiva; le teorie che si oppongono, o propongono un
criterio inadatto, o in ultima analisi si fondano sulla stessa evidenza. (p.
203-213)
Prenozioni. - 1. Che cosa si debba intendere per criterio, e quali siano le sue
prime divisioni, gi stato spiegato nel senso della ricerca. Qui utile
aggiungere, per evitare confusioni terminologiche, che il criterio ultimo pu
esser inteso in sensu stricto ed in sensu lato. Il criterio in senso stretto,
appartiene all'ordine del giudizio, ed la verit alla cui luce giudichiamo delle
conclusioni (e questa la veritas primorum principiorum, come spiegheremo
pi avanti). Il criterio in senso pi largo appartiene all'ordine della semplice
apprensione comparativa, ed il motivo oggettivo alla cui luce ci determiniamo
al giudizio vero. Di questo criterio noi parliamo nella presente tesi.
2. Il nome di evidenza oggettiva, desunto dalla chiarezza visibile delle cose,
nell'uso filosofico si estende a significare la chiarezza intelligibile delle cose; e
poich
la chiarezza intelligibile di una cosa da enunciare non pu esser altro che la
obiettiva necessit dell'enunciabile, noi qui per evidenza intendiamo la
necessit oggettiva dell'enunciabile in quanto manifesta alla mente. Intesa in

questo senso, l'evidenza principalmente si fonda nell'oggetto (perch la


necessit dell'enunciabile si fonda nella necessit della cosa); ma implica,
anche una relazione al soggetto (perch se non fosse manifesta alla mente, non
potrebbe determinare la mente al giudizio certo).
3. L'evidenza oggettiva si suole distinguere in evidenza di verit ed evidenza di
credibilit. L'evidenza di verit l'evidenza interna allo stesso enunciabile, e
pu essere immediata (tra due termini) o mediata (nelle conclusioni).
L'evidenza di credibilit la evidenza estrinseca all'enunciabile, ed l'evidenza
della scienza e veracit del testificante, come spiegheremo pi avanti.
4. Nella tesi asseriamo che l'evidenza oggettiva l'ultimo e generale criterio
della verit, in questo senso: che il nostro intelletto a) non pu dare l'assenso ad
una enunciazione testificata, se non dopo aver conosciuto con evidenza
intrnseca la scienza e la veracit del testificante; b) non d l'assenso alle
conclusioni mediate, se non quando le vede risolte in alcune prime premesse
fondate in una evidenza immediata; c) che d l'assenso agli enunciabili fondati
nella evidenza immediata, perch questa evidenza requiritur et sufficit ad
eliciendum iudicium certum. Conseguentemente a questa affermazione,
asseriamo nella tesi che la certezza della evidenza una certezza naturale.
Dividiamo quindi la prova della tesi in due parti: nella prima espliciteremo che
l'evidenza il criterio ultimo della nostra verit; nella seconda mostreremo che
le teorie opposte all'evidenza, o propongono un criterio inadatto o si fondano
nella stessa evidenza che negano.
Opinioni. - Anzitutto utile ricordare che nella filosofia antica SESTO
EMPIRICO, in polemica con gli Stoici e con i Peripatetici, propose e determin
accuratamente il problema del criterio, concludendo per che non consta che ci
sia dato un criterio valido.
Volendo fare una sintesi delle opinioni, anzitutto ricorderemo che la teoria che
ammette il criterio della evidenza oggettiva, comune nella tradizione
filosofica a tutti quelli che aderiscono al Realismo intellettualistico (non ostante
una differenziazione terminologica tra criterio strettamente o pi largamente
inteso, come abbiamo gi detto nelle prenozioni).
Le negazioni dell'evidenza intelligibile oggetti-va si possono generalmente
distinguere secondo che propendono per un criterio soggettivo o per un criterio
non intellettivo.

Al criterio soggettivo, cio all'attivit soggettiva concepita come produttiva


dell'oggetto conosciuto, propendono: a) nella filosofia antica Protagora, che
considerava l'uomo come misura di tutte le cose, e dopo di lui quegli altri
antichi i quali reputavano che la natura delle cose da noi conosciute consistesse
nel loro sentiri vel opinari (cfr. In IX Metaph., lect. 9 n. 1800); b) nella filosofia
moderna Kant nella Critica della ragion pura, in quanto considera l'oggetto
come costruito dalla attivit formale a priori, e quegli Idealisti moderni che
concepiscono l'attivit trascendentale come integralmente produttrice di ogni
oggetto.
Al criterio non intellettivo propendono gli Antiintellettualisti che asseriscono il
primato di lucidit di quelle attivit che essi sostituiscono all'intelletto, cio a) o
la chiarezza della intuizione sopraconcettuale, e non concettualizzabile, b) o la
forza manifestativa dell'esperienza infraconcettuale non subordinata
all'intelletto, cio l'esperienza volitiva, emozionale, puramente pratica, vitale ed
esistenziale.
3. All'inizio della filosofia moderna la questione del criterio stata vividamente
suscitata da DESCARTES, il quale, considerando che la certezza del Cogito
ergo sum era fondata nel solo fatto che questa affermazione gli appariva
chiaramente e distintamente, giudic di poter prendere come regola generale
che tutto ci che vedeva ben chiaro e ben distinto, era tutto vero, e cos fin con
assumere il criterio della idea chiara e distinta.
Dopo Descartes altri ripresero il problema, p. es. JACOBI e la sua Scuola, i
PRAGMATISTI ecc.; per brevit rimandiamo a quanto accennato nel testo, p.
205-206.
PRIMA PARTE. - Questa prima parte si pu esplicitare dalla comune
persuasione umana, secondo la quale sempre viviamo; quando infatti vogliamo
giustificare le nostre affermazioni immediate, ricorriamo sempre alla loro
evidenza. Si pu riconfermare questa nostra spontaneit avvertendo: che noi
non siamo certi se non quando vediamo che ad un determinato soggetto si deve
applicare un determinato predicato, escludendo il predicato contradditorio;
cio, che noi non siamo certi se non quando giudichiamo alla luce del principio
di non contraddizione, ossia alla luce di una evidenza oggettiva in cui vediamo
l'oggetto ita et non aliter. In auesto senso qui presentiamo due argomenti, uno
preparatorio dell'altro.
Il primo si ricava dall'esperienza interna, e si pu brevemente presentare cos:
Quando considerando l'oggetto, esso ci appare ne e esse ita ne e esse aliter,

rimaniamo nel dubbio; quando ci appare potius ita quanti aliter, siamo inclinati
alla opinione; quando lo vediamo ita et non aliter, siamo certi. Ora vedere
l'oggetto ita et non aliter lo stesso che vederlo nella sua necessit oggettiva,
cio nella sua evidenza oggettiva. Possiamo quindi concludere: Quando non
vediamo l'evidenza oggettiva, rimaniamo sempre incerti; quando invece la
vediamo, siamo sempre certi. Dunque l'ultimo e generale criterio di verit
l'evidenza oggettiva.
Il secondo argomento si ricava dalla natura del nostro intelletto umano, e tende
a concludere a quel concetto di evidenza che abbiamo definito nelle prenozioni:
Ci che requiritur et sufficit al nostro intelletto per esser portato a fare un
giudizio certo, deve dirsi l'ultimo e generale criterio della nostra verit. Ora il
nostro intelletto a) una facolt visiva e necessaria, b) che giudica per
composizione di concetti. Perch a) una facolt visiva e necessaria, si richiede
ed sufficiente la manifesta necessit delloggetto; perch b) giudicativo per
composizione di concetti, si richiede ed sufficiente che questa necessit
dell'oggetto si manifesti nella apprensione comparativa di un enunciabile,
Dunque l'ultimo e generale criterio della verit la necessit oggettiva
dell'enunciabile in quanto manifesta alla mente.
Ad ulteriore chiarificazione, utile ricordare che, nell'ordine conoscitivo, il
criterio motivo cio causa, ed il giudizio motivato, cio causato. Ora la
causa deve dirsi, almeno natura prius, precedente il suo effetto. Da ci ne segue
che la necessitas obiectiva enunciabilis deve esser manifesta prius quam
iudicium eliciatur. Dunque deve dirsi manifesta nella semplice apprensione
comparativa che precede l'atto del giudizio (cfr. anche il testo, p. 211, 3).
SECONDA PARTE. - La certezza di conoscere la verit una certezza
naturale. Siccome non si pu conoscere la verit senza un valido criterio, anche
la certezza del criterio deve dirsi certezza naturale. Ora, come il problema della
certezza della verit si risolve esplicitandola e poi difendendola con
argomentazioni indirette, p. es. osservando che chi la nega o nulla dice o si
contraddice: cos proporzionalmente il problema della certezza del criterio si
risolve prima esplicitandola e poi difendendola, p. es. osservando che chi la
nega o propone un criterio inadatto, o si fonda sullo stesso criterio che dice di
non accettare.
Abbiamo gi accennato che le negazioni dell'evidenza intelligibile oggettiva si
possono sintetizzare in tendenze che propendono 1) o a un criterio soggettivo,
cio all'attivit soggettiva produttrice dell'oggetto, 2) o ad un criterio non

intellettivo, cio di ordine sopralogico o infralogico. Riguardo a queste due


fondamentali tendenze, qui proponiamo due brevi argomentazioni indirette ed
una applicazione.
1. Il criterio dell'attivit soggettiva, a) se si propone radicalmente, si deve dire
inadatto, perch ripone la misura della verit nel soggetto conoscente, e quindi
non d la possibilit di conoscere la verit assoluta, delle nostre affermazioni;
b) se non si propone cos radicalmente, e quindi si ammette che le
caratteristiche del soggetto conoscente e dell'oggetto conosciuto si considerano
come si manifestano alla nostra riflessione, cio come misuranti la nostra
riflessione, necessario concedere che in questi casi si procede alla luce di una
evidenza oggettiva.
2. Il criterio non intellettivo d il primato o ad una intuizione di ordine
sopralogico, o ad una vis manifestativa di ordine infralogico.
Il criterio di una intuizione sopralogica, a) se si propone radicalmente, deve
dirsi inadatto, perch sarebbe radicalmente estraneo alla concettualizzazione ed
alla coerente argomentazione che propria della umana filosofia; b) se non si
propone cos radicalmente, e quindi la teoria del criterio si fonda in alcune
considerazioni filosofiche preparatorie e determinanti, necessario concedere
che in questi casi la teoria si propone come fondata in qualche evidenza
oggettiva.
Il criterio della intenzionalit infralogica, a) se si propone radicalmente, deve
dirsi inadatto, perch la sola volont, o la sola emozione, o la sola azione vitale
ecc., non sono sufficienti a distinguere tra vero e falso; b) se non proposto
cos radicalmente, cio se la teoria del criterio preceduta da alcune previe
determinazioni intellettive, necessario concedere che in questi casi la teoria si
propone come fondata in qualche evidenza oggettiva.
3. Supponendo questi argomenti generali, agevole passare alla critica delle
opinioni particolari. Per quanto riguarda il criterio dell'idea chiara e distinta,
cos possiamo procedere: O la chiarezza e distinzione dell'idea si propone come
antecedente alla cosa reale e prescindente da essa; o si prende insieme alla cosa
reale e come manifestazione della cosa per mezzo della idea. Nel primo caso
dobbiamo dire che si propone un criterio non adatto, perch ci che antecede la
realt e prescinde da essa non pu essere criterio per giudicare la cosa, e perch
la chiarezza e la distinzione della idea che non proviene dalla cosa, si dovrebbe
dire proveniente dall'attivit della mente producente l'idea, e cos si dovrebbe
concludere che la misura della verit viene attribuita alla attivit soggettiva che

produce l'idea. Nel secondo caso si propone un criterio che con buona
terminologia si riduce agevolmente alla evidenza oggettiva.
Per brevit rimandiamo la considerazione delle altre opinioni al testo, p.
209-210.

ARTICOLO QUARTO
La Falsit Logica
Senso della ricerca. - Abbiamo visto che il nostro intelletto vero quando dice
essere ci che , o non essere ci che non ; e che quindi la verit si pu
legittimamente definire come adeguazione o conformit tra l'intelletto e la cosa.
Da ci ne segue che il nostro intelletto falso quando dice essere ci che non ,
o non essere ci che ; e che quindi la falsit si pu legittimamente definire
come inadeguazione o difformit tra l'intelletto e la cosa.
Ci supposto, chiaro che per completare la dottri-na sulla verit occorre anche
trattare del suo opposto, cio della falsit. Come si pu ricavare dagli articoli
precedenti, tre domande si presentano spontaneamente nei riguardi della falsit:
anzitutto quale sia il senso preciso della sua definizione; poi in che modo si
opponga alla verit; ed infine, in quale atto della nostra mente essa si trovi.
TESI XX. - La falsit, che difformit positiva tra l'intelletto e la cosa, si
oppone in modo contrario alla verit ed esiste formalmente nell'atto del
giudizio. (p. 214-219)
Prenozioni. - 1. La difformit tra l'intelletto e la cosa si pu intendere in modo
negativo o in modo positivo. La difformit negativa si ha quando l'intelletto
non dice tutto ci che c' nella cosa, sebbene ci che dice si trovi nella cosa;
cio quando l'intelletto adeguato alla cosa, ma non comprensivamente
adeguato alla cosa. La difformit positiva si ha invece quando ci che
l'intelletto dice della cosa, di fatto nella cosa non c'. Secondo questo senso
intendiamo mostrare nella prima parte che la falsit positiva difformit tra
l'intelletto e la cosa.
Nella Logica (p. 42-43) abbiamo gi accennato che l'opposizione reale
quadruplice, cio contradditoria, privativa, contraria e relativa; ed abbiamo
anche proposto un'accurata definizione di queste quattro opposizioni.
Supponendo che la falsit difformit positiva, nella seconda parte intendiamo

mostrare che la falsit contrariamente opposta alla verit.


Nella tesi decima settima, in prenozioni e prove, abbiamo gi spiegato che una
forma esiste formalmente quando esiste in atto secondo il senso proprio della
sua definizione. utile rilevare che altro dire che una forma per se ordinata
ad esser ricevuta in un soggetto, ed altro dire che questo soggetto per se
ordinatus a ricevere in s questa forma. Nella tesi noi semplicemente
affermiamo che la falsit per s ordinata ad esser ricevuta nell'intelletto, e
propriamente nell'intelletto giudicante; ma in nessun modo intendiamo dire che
il nostro intelletto, e particolarmente l'intelletto giudicante, per s ordinato a
ricevere in s la falsit. In questo senso nella terza parte asseriamo che la verit
si trova formalmente nel giudizio; poi passeremo a fare un'ultima conclusione
sulla nostra cognizione della falsit.
Opinioni. - La tesi si pone nell'ambito del Realismo intellettualistico, e quindi
accettata da quanti ammettono questo Realismo; non invece accettata da
quelli che negano la conoscenza di una verit assoluta, cio misurata dall'essere
delle cose. In particolare si pu dire che a) gli Idealisti che identificano il
processo reale col processo ideale, e concepiscono questo processo ideale come
sviluppo dialettico, concludono che la falsit momento negativo necessario
allo sviluppo della verit, e b) i Relativisti che non concepiscono altra verit
assoluta che quella integralmente comprensiva di tutte le cose, concludono che
nelle nostre affermazioni umane falsit e verit si trovano mescolate, senza
definitiva possibilit di discernimento.
PRIMA PARTE. - Dalla distinzione tra atto vero ed atto falso. Supponendo,
alla luce del principio di non contraddizione, che nell'atto intellettivo vero c' la
verit e nell'atto intellettivo falso c' la falsit, cos possiamo argomentare:
Quando un atto intellettivo ha soltanto difformit negativa col suo oggetto, in
ci che afferma dell'oggetto adeguato all'oggetto stesso; e quando adeguato
all'oggetto, l'atto intellettivo vero, e quindi in esso c' la verit e non la falsit.
Dunque la falsit non si pu dire che sia pura difformit negativa. Quando
invece l'atto intellettivo ha difformit positiva col suo oggetto, cio afferma
dell'oggetto ci che nell'oggetto non c', allora il giudizio semplicemente
falso, e mai vero. Dunque la falsit positiva difformit tra l'intelletto e la cosa.
SECONDA PARTE. - 1. Supposto che l'opposizione sia quadruplice,
possiamo anzitutto procedere per esclusione. Infatti, l'opposizione tra verit e
falsit: a) non si pu dire contradditoria, perch i contradditori si oppongono
come ente e non ente, nulla lasciando che sia comune: ora la falsit si oppone

alla verit lasciando in comune il soggetto, cio l'intelletto; b) non si pu dire


privativa, perch i privativi si oppongono in quanto uno ha una forma e l'altro
questa forma non l'ha: ora non si pu dire che l'intelletto sia falso unicamente in
quanto non ha la forma di verit: perch l'intelletto che ignora, non ha la forma
di verit, ma non per questo si pu dire falso; c) non si pu dire relativa, perch
noi conosciamo che l'atto intellettivo vero o falso, comparandolo con la cosa,
dalla quale misurato e condizionato: e non comparandolo con un altro atto
intellettivo. Dunque l'opposizione tra verit e falsit si deve dire contraria.
2. Dalla nozione di contrari: I contrari sono forme positive, che convengono nel
medesimo genere, ma che si escludono dal loro soggetto proprio. Ora la verit e
la falsit: a) sono due forme positive, cio positiva conformit e positiva
difformit; b) convengono nel medesimo genere, cio nel genere della semplice
qualit intellettiva; c) si escludono dal loro proprio soggetto, perch l'atto
intellettivo non pu simultaneamente essere vero e falso. Dunque la falsit
contrariamente opposta alla verit.
TERZA PARTE. - Dalla identit del soggetto: I contrari sono per se ordinati
ad esser ricevuti nello stesso prossimo soggetto. Ora, come abbiamo gi detto,
la verit esiste formalmente nell'atto del giudizio. Dunque anche la falsit esiste
formalmente nell'atto del giudizio.
Nota conclusiva. Se verit e falsit sono tra loro contrarie, si deve dire che,
supposta la differenza, hanno le medesime caratteristiche generali. Abbiamo
spiegato che la verit esiste formalmente come conosciuta nell'atto del giudizio
vero. Dunque anche la falsit esiste formalmente come conosciuta nell'atto del
giudizio falso. Ma non si pu dire che esiste nel giudizio falso evidentemente
conosciuta come difformit (perch in questo caso non proferiremmo il
giudizio falso, ma sospenderemmo l'assenso). Dunque si deve dire che esiste
nel giudizio falso illusoriamente conosciuta come conformit (perch il
giudizio falso, cio erroneo, come spiegheremo anche pi avanti, sempre in
qualche modo un giudizio illusorio).
A complemento della teoria, ricordiamo che per una formulazione pi ampia
del problema si pu vedere quanto diciamo nel testo, p. 213-214 e 219-222.

CAPITOLO QUINTO
VERIT DEL RAZIOCINIO

Senso e divisione del capitolo. - 1. Dopo lo studio sulla verit del concetto, e
sulla verit del giudizio in quanto composizione mentale di concetti nella quale
conosciamo formalmente la verit, possediamo esplicitamente tutti gli elementi
necessari per lo studio sistematico del raziocinio.
2. L'esistenza del raziocinio ricavata dalla nostra esperienza interna. Infatti,
constatando che noi facciamo dei rigorosi raziocini e che con alcuni di questi
perveniamo sicuramente a conoscere nuove verit, ci certifichiamo
esplicitamente che noi abbiamo la capacit di fare raziocinii rigorosi e veri. Il
fatto del raziocinio non si pu dimostrare, perch ogni tentativo di dimostrare la
dimostrazione si risolverebbe in una petizione di principio. Si pu per sempre
difendere, ogni volta che, chi nega il raziocinio, d una ragione di questa sua
negazione; perch questa ragione non pu essere altro che un raziocinio.
3. Con queste osservazioni si fonda lo studio del raziocinio, e si preparano le
ulteriori ricerche. Queste ricerche possono riguardare sia la veritas
consequentiae, cio la rigorosit formale della argomentazione, sia la veritas
consequentis, cio la legittima verit delle conclusioni. Le ricerche si
riferiranno principalmente alla argomentazione deduttiva, ma saranno estese
anche a quell'organico complesso di giudizi che chiamiamo induzione
argomentativa. Divideremo quindi il presente capitolo in quattro articoli. Nel
primo considereremo la nostra argomentazione in quanto tale e in quanto
deduttiva, per giustificarla nel suo aspetto formale; nel secondo e nel terzo,
supposta questa giustificazione, riercheremo quali siano le verit che fondano
le nostre conclusioni vere, e cos tratteremo dei primi principi e del loro primo
fondamento, che il principio di non contraddizione. Infine nel quarto articolo
completeremo la teoria del raziocinio svolgendo la teoria dell'induzione, sia per
completare la teoria dei principi, sia per spiegare il valore di quella induzione
argomentativa che ha sempre avuto un ruolo decisivo nel progresso delle
scienze.
Nota introduttoria. La teoria del raziocinio ha per noi speciale importanza, e
quindi crediamo utile accennare qui in anticipo secondo quali considerazioni
essa si svolge, in modo da rendere poi chiare le conclusioni a cui termina.
Abbiamo gi accennato che noi formiamo i concetti universali liberandoli dalle
materiali condizioni individuanti, e che noi formiamo i giudizi nei quali
riflettiamo completamente sopra noi stessi. Da queste ed altre constatazioni, a
suo luogo si prover che l'anime nostra, intellettiva e volitiva, una forma
spirituale attuante una materia corporale. Possiamo quindi anche noi parlare
della spiritualit del nostro intelletto.

Da ci si deduce che il nostro intelletto, a) in quanto facolt di un'anima


spirituale, che al di sopra della materia, e quindi della molteplicit spaziale e
della contingenza temporale, spontaneamente astrae dalle cose sensibili il loro
aspetto stabile e necessario, cio l'universale; b) in quanto facolt di un'anima
attuante una materia corporale, segue nel suo conoscere il modo di attuarsi
successivo, cominciando dalle nozioni pi semplici e procedendo alle nozioni
pi complesse, cio dal pi generico al sempre meno generico, ossia dal pi
facile al pi difficile.
Conseguentemente si deduce anche che, quando da una medesima cosa
abbiamo desunto pi concetti, siamo spontaneamente portati a comporli
tamquam unum et idem in eadem re existentes, cio a giudicare; e quando nei
nostri giudizi avvertiamo un concetto medio, siamo spontaneamente portati a
passare da una prima composizione nota ad una composizione ignota, cio a
ragionare.
In questo senso alla domanda perch noi formiamo pi concetti di una
medesima cosa, rispondiamo perch l'intelletto nostro una facolt che conosce
successivamente e progressivamente. Alla domanda perch noi giudichiamo
componendo due concetti, rispondiamo perch non comprendiamo subito una
cosa quanto essa intelligibile, ma progrediamo formando di essa pi concetti,
che poi spontaneamente componiamo riguardo alla cosa stessa. Ed alla
domanda perch noi ragioniamo, rispondiamo perch, formando di una cosa pi
concetti, e componendoli poi nei giudizi, quando avvertiamo che due concetti
giudicati convengono con un concetto medio, spontaneamente ragioniamo,
progredendo in questo modo ad una sempre maggiore cognizione delle cose
(cfr. I q. 85 a. 5).
Proprio in questo senso all'inizio della Logica (p. 18) dicevamo che la ragione
umana quell'intelletto che desume i suoi concetti dalle cose sensibili,
procedendo poi a comporli prima in giudizi immediati e poi in giudizi mediati;
e in questo senso abbiamo proposto la logica aristotelica quale essa si venuta
evolvendo ed ampliando. Proprio perch il presente capitolo indirizzato a
giustificare e spiegare questa logica, abbiamo creduto utile accennare fin
dall'inizio a quelle considerazioni fondamentali secondo le quali la ricerca si
svolge.

ARTICOLO PRRIMO

La Dimostrazione Deduttiva
Senso della ricerca. - La logica aristotelica riguarda principalmente ogni tipo
di deduzione che pu essere compreso sotto la definizione aristotelica di
sillogismo; ma non esclude dalla sua considerazione l'induzione. Volendo
cominciare con la giustificazione della deduzione, necessario prima ricercare
quale sia la natura della dimostrazione in genere, poi quale sia la distinzione tra
la deduzione e l'induzione, ed infine quale sia il senso legittimo della deduzione
sillogistica.
TESI XXI. - La dimostrazione processo secondo causalit logica, per
comparazione con un termine medio. Ogni dimostrazione non induttiva si
riduce al sillogismo, per mezzo del quale si giunge a conoscere in atto ci
che era prima virtualmente conosciuto. (p. 224-234)
Prenozioni. - 1. Per dimostrazione qui intendiamo l'argomentazione orale in
quanto segno esterno della interna argomentazione mentale vera; e la
chiamiamo induttiva secondo che ascende dai singolari all'universale o dai
meno universali al pi universale, e deduttiva secondo che discende dai pi
universali ai meno universali o dagli universali ai particolari. Che questo
processo ascensivo o discensivo sia legittimo, lo si pu inizialmente ricavare da
quanto abbiamo detto sulla legittimit dell'universale diretto e riflesso.
2. La dimostrazione, intesa nella sua generalit, senza dubbio un discorso,
ossia un processo. Nella tesi cominciamo con l'asserire a) che un processo
secondo causalit logica, ossia nell'ordine conoscitivo, in cui cio la mente
necessitata al giudizio ultimo del motivo proposto nei giudizi precedenti; e
aggiungiamo b) che in questo processo la mente necessitata al giudizio ultimo
dalla comparazione di due termini con un termine medio.
Dopo queste chiarificazioni sulla dimostrazione in genere, procediamo
ulteriormente ad esaminare quante siano le specie d dimostrazione, ed
asseriamo che sono due, in questo senso: che ogni argomentazione non
induttiva si riduce sempre a un sillogismo. Per provare questa asserzione
useremo il nome di forma argomentativa. Con questo nome intendiamo un
discorso orale in cui si pone in risalto un qualunque termine medio.
Se la dimostrazione processo secondo causalit logica per comparazione con
un termine medio, e se ogni dimostrazione non induttiva si riduce al sillogismo,
chiaro che nel sillogismo le premesse contengono causalmente, cio

virtualmente, la conclusione. Dato per che nei riguardi del sillogismo


aristotelico si sono mosse non poche obbiezioni, crediamo conveniente studiare
esplicitamente la natura logica del sillogismo. Il problema si pu cos
formulare: nelle premesse del sillogismo, si conosce la conclusione in atto,
oppure in potenza? e se in potenza, solo potenzialmente, oppure virtualmente?
Nelle premesse: si conosce in atto la conclusione se, conoscendo le premesse, si
conosce attualmente, almeno implicitamente, la conclusione stessa (cio
implicite formaliter); si conosce solo potenzialmente la conclusione, se
conoscendo le premesse si pu conoscere la conclusione, ma non la si deve
conoscere; si conosce virtualmente la conclusione, se conoscendo le premesse,
sebbene non si conosca in atto la conclusione, si conosce ci che prerequisito
a necessitare la mente alla conclusione. Nella tesi asseriamo che nelle premesse
si conosce virtualmente la conclusione (cio implicite virtualiter).
Divideremo quindi la prova in quattro parti: nella prima mostreremo che la
dimostrazione processo secondo causalit logica, e nella seconda che per
comparazione con un termine medio; nella terza che ogni argomentazione non
induttiva si riduce al sillogismo, e nella quarta che nel sillogismo la
conclusione virtualmente conosciuta nelle premesse.
Opinioni. - 1. Anzitutto si deve dire che SESTO EMPIRICO fece gi una
vivida critica del sillogismo peripatetico, osservando che esso si riduce o a non
dire nulla di nuovo, o ad una petizione di principio. Egli prende in esame il
sillogismo Omnis homo est animai, Socrates est homo, Ergo Socrates est
animai, ed osserva: Se quando si dice Socrates est homo, gi si sa che homo est
animai, nella conclusione non si dice nulla di nuovo; se non si sa, si fa una
petizione di principio cominciando con l'asserire che Omnis homo est animai,
perch appunto questo ci che sta in questione. Questa difficolt scettica
riaffiora sia nell'et antica sia nell'et moderna (noi la esaminiamo nel testo, a
p. 233, 6).
2. PLATONE ammette il processo scientifico, ma lo riduce a reminiscenza
dell'ordine dialettico con cui le idee si relazionano tra loro. D anche l'esempio
del servo ignorante, che risponde alle domande scientifiche (come spieghiamo
nel testo, p. 231, 1). Gli ONTOLOGISTI convengono con Platone nel negare
che il processo dimostrativo sia propriamente illativo; p.es. GIOBERTI, che
asserendo l'intuizione originaria dell'Ente che crea l'esistente, conclude che le
nostre dimostrazioni sono esplicitazioni fondate in questa primitiva intuizione.
3. Alcuni Filosofi empiristi non negano il processo illativo, ma lo concepiscono
come nesso ipotetico tra singolare e singolare. Tra essi ricordiamo J. STUART

MILL, che parte dal presupposto empiristico che la proposizione universale, p.


es. Omnis homo est mortalis, non sia se non una collezione di fatti gi avvenuti,
e cos osserva: Se la minore riguarda un uomo gi morto, p. es. Socrates est
homo, essa gi contenuta come fatto nella maggiore collettiva, e quindi la
conclusione non dice nulla di nuovo. Se invece la minore s riferisce ad un
uomo ancora vivo, per es. Dux de Wellington est homo, la conclusione deve
esser spiegata come una conclusione induttiva, fatta in base alla supposizione
che il futuro sar simile al passato.
4. Nella filosofia moderna, da ricordare che F. BACON ritiene il sillogismo
inetto al progresso delle scienze perch assensum constringit, sed non rem.
Anche DESCARTES fece una sua critica al sillogismo, dicendo che noi
formiamo un sillogismo dopo che abbiamo gi trovata una verit, e che quindi
la dialettica, pi che appartenere alla filosofia, appartiene alla retorica.
PRIMA PARTE. - Dall'esperienza interna: Se riflettiamo sulla nostra
esperienza umana, dobbiamo riconoscere che: a) quando udiamo la
formulazione di un teorema o di una tesi, la nostra niente rimane incerta; b)
quando abbiamo compresa la dimostrazione del teorema o della tesi, la nostra
mente certa, cio necessitata alla conclusione; c) quando poi, finita la
dimostrazione, ci domandiamo perch siamo certi, ci riferiamo espliertamente
al motivo proposto nelle premesse. Ci significa che nelle premesse stato
proposto il motivo per necessitare la mente alla conclusione, ossia, in altre
parole, che la dimostrazione processo secondo causalit logica.
SECONDA PARTE. - Dalla natura del nostro intelletto: Il nostro intelletto,
come abbiamo gi spiegato, si determina al giudizio certo quando vede la
convenienza o la disconvenienza dei termini. Ma quando necessitato alla
conclusione, non vede la convenienza o la disconvenienza immediata, dei
termini: perch in questo caso non si sarebbe dovuto premettere un processo
dimostrativo. Dunque vede una convenienza o disconvenienza mediata, cio
per comparazione con un termine medio (ope cogniti medii).
TERZA PARTE. - Per analisi della forma argomentativa: Se la dimostrazione
procede per comparazione con un termine medio, essa si pu legittimamente
significare con una forma argomentativa: perch la forma argomentativa si usa
appunto a mettere in risalto il termine medio. Se questo termine medio ha
estensione minore del soggetto della conclusione, si ha sempre una induzione
(cio l'ascenso dal singolare all'universale o dal meno universale al pi
universale). Se il termine medio individuale come individuale il soggetto
della conclusione, abbiamo un sillogismo espositorio; se il termine medio pi

universale del soggetto della conclusione (o anche egualmente universale) si ha


un discensivo sillogismo comune, come abbiamo gi spiegato nella logica. Per
ulteriori chiarificazioni, rimandiamo al testo p. 228-229.
QUARTA PARTE. - 1. Per esclusione: Nelle premesse la conclusione pu
essere conosciuta: o attualmente, o solo potenzialmente, o virtualmente. Ora
non si pu dire che sia conosciuta attualmente, perch a) conoscendo solo la
maggiore, p. es. ci che spirituale incorruttibile, ed ignorando la minore, p.
es. che l'anima umana spirituale, si ignora anche la conclusione che l'anima
umana incorruttibile; a fortiori b) conoscendo la sola minore, ed ignorando la
maggiore, si ignora anche la conclusione; quindi c) anche nella cognizione
meramente sommata delle due premesse, la cognizione rimane ancora ignorata.
N si pu dire che sia conosciuta solo potenzialmente, perch la conclusione
nel sillogismo non pu seguire, ma deve seguire. Dunque la conclusione nelle
premesse conosciuta virtualmente.
2. facile confermare questa conclusione con un argomento positivo: Quando,
dopo aver affermate le due premesse, riflettiamo su di esse apprendendole
comparativamente, noi vediamo i due estremi in comparazione col medio, cio
li apprendiamo secondo la loro convenienza o discrepanza, e cos siamo
necessitati ad affermare questa convenienza o discrepanza nella conclusione.
Dunque nelle premesse, prima affermate e poi comparate, si conosce
virtualmente la conclusione.
Nota. Da quanto abbiamo mostrato nella tesi, si conclude che sia la maggiore
che la minore concorrono a causare la conclusione, sebbene in modo diverso.
La maggiore contiene la conclusione virtualmente, in modo indeterminato:
perch essendo distributiva, esige di esser applicata a tutti i suoi inferiori. La
minore determina la virtualit della maggiore ad un caso inferiore, e cos
subordinatamente alla maggiore, concorre a causare la conclusione, come
spieghiamo nel testo a p.230.
Si conclude inoltre che il processo deduttivo della nostra scienza si fonda su
maggiori universali che portano a conclusioni meno universali, le quali a loro
volta diventano maggiori che portano a conclusioni sempre meno universali,
fino a terminare a conclusioni particolari.
Si conclude infine che la inferenza, o illazione, avviene nel momento in cui,
fatta la apprensione comparativa delle premesse, la nostra mente necessitata a
procedere all'affermazione della conclusione. Questo momento chiamato nella
logica aristotelica resolutio conclusionis in praemissas. In questo senso si suol

distinguere: la via acquisitionis, cio il processo in cui prima si conosce la


maggiore, poi la minore, e poi la conclusione; e la via resolutionis in cui, alla
fine della via acquisitionis, si risolve la conclusione nelle premesse. Questa
risoluzione, che avviene in ipso actu exercito iudicii conclusivi, si chiama
resolutio naturalis. utile per avvertire che talvolta si adopera la parola
risoluzione per significare la resolutio artificialis, che si pu fare dal filosofo
quando, ottenute alcune conclusioni, riflette su di esse per riconoscere
ordinatamente ed esplicitamente tutte le premesse da cui sono state ricavate.
COROLLARIO. - Dunque le premesse sono causa efficiente della
conclusione; la quale si fonda in premesse pi certe perch pi universali.
Questo corollario serve a completare la tesi sotto due aspetti: 1) spiegando
quale sia la determinata causalit logica del sillogismo, e 2) quale sia la
gerarchia di certezza tra le premesse e la conclusione.
1. La causalit,come spiega a suo luogo, quadruplice, cio materiale e
formale (che sono dette intrinseche all'effetto) ed efficiente e finale (che sono
dette estrinseche all'effetto). chiaro che le premesse non possono dirsi causa
materiale o formale della conclusione, perch la precedono e si distinguono
adeguatamente da essa. Nemmeno possono dirsi causa finale, perch, essendo
ordinate alla conclusione, la conclusione il loro fine. Dunque devono dirsi
causa efficiente. Difatti, la causa efficiente quella influit esse ad aliud a se, e
la cognizione delle premesse influisce a far s che la mente conosca la
conclusione che prima non conosceva.
2. Per quello che riguarda la gerarchia di certezza, chiaro che la conclusione
non pu essere pi certa delle premesse, perch l'effetto non pu superare la
virt della sua causa. Ma nemmeno si pu dire certa nello stesso grado, perch,
in un medesimo ordine di causalit efficiente, la causa particolare non pu
avere la stessa virt della causa generale. Dunque la conclusione, pur essendo
certa, meno certa delle premesse.
Qui viene spontanea la domanda: e come si spiega che le premesse sono
pi certe ed evidenti della conclusione? chiaro che la domanda riguarda
specialmente la maggiore, perch nel sillogismo discensivo, soprattutto la
maggiore che contiene virtualiter la conclusione. La risposta si desume dalla
natura progressiva del nostro intelletto, che comincia formando prima concetti
pi facili, cio pi semplici e generali, e poi concetti pi difficili, cio pi
complessi e pi determinati. Da ci ne segue che i giudizi formati con concetti
pi universali, per la nostra mente sono pi facili ed evidenti che i giudizi

formati con concetti meno universali.


precisamente in questo senso gerarchico che gi Aristotele osservava che il
sillogismo procede ex certioribus quia universalioribus. Questa osservazione ha
una sua speciale importanza nella teoria logica della argomentazione, come
successivamente vedremo.

ARTICOLO SECONDO
I Primi Principi
Senso della ricerca. - Dopo aver giustificata e spiegata la veritas
consequentiae, cio la rigorosa struttura del sillogismo, in quanto oggetto
della Logica formale, necessario prendere in esame anche ci che riguarda la
veritas consequentis, ossia ci che prerequisito per avere la conclusione vera,
in quanto oggetto della Logica materiale. chiaro che per avere conclusioni
vere necessario che le minori siano vere; ma soprattutto necessario che le
maggiori siano vere, perch, come abbiamo detto nell'articolo precedente, sono
le maggiori che contengono virtualmente le conclusioni. Ricercheremo quindi
che cosa sia anzitutto prerequisito perch siano vere le nostre maggiori, nella
cui applicazione si sviluppa il processo deduttivo della nostra scienza.
TESI XXII. - Perch la nostra scienza sia possibile, essa deve fondarsi in
alcuni principi immediati e per s noti a tutti gli uomini. (p. 234 - 244)
Prenozioni. - 1. Il nome di scienza talvolta si usa per significare una qualunque
cognizione certa ed evidente, come p. es. quando diciamo che ognuno di noi
della sua capacit al vero ha naturale scienza, o anche quando parliamo di
scienza e veracit del testificante. Talvolta lo si usa per significare la
cognizione delle cose e delle loro cause, p.es. quando dopo aver accertato un
fatto storico, cominciamo a determinare quali di fatto sono state le sue cause. In
senso proprio cognizione certa ed evidente ottenuta per dimostrazione in cui
le cause logiche manifestano le cause reali (cfr. Logica, p. 9 e p. 176); in senso
proprio e completo l'ordinato complesso di queste conclusioni riguardo a un
medesimo oggetto formale (e in questo senso parliamo p. es. di aritmetica come
scienza dei numeri, e di geometria come scienza delle figure).
Qui utile avvertire che oltre alla divisione di oggetto materiale, formale quod
e formale sub quo (cfr. Logica, p. 10), esiste in Aristotele e in molti Autori
aristotelici la distinzione di soggetto materiale e formale, e di oggetto materiale

e formale (di cui facciamo accenno nel testo, a p. 235). Secondo questa
terminologia, la scienza in senso proprio completo l'ordinato complesso di
conclusioni riguardo a un medesimo soggetto formale.
Nella presente tesi parliamo di scienza in senso proprio ed in senso completo; e
asseriamo che questa scienza necessariamente fondata in principi immediati e
per s noti a tutti. Per spiegare il significato di questa nostra asserzione, sono
necessarie alcune ulteriori precisazioni terminologiche.
2. La parola principio, nel suo senso pi generale, significa ci da cui
qualunque cosa prende un qualunque inizio. Il principio reale, principio
nell'ordine reale. Il principio logico principio nell'ordine conoscitivo, e
anzitutto si divide in incomplesso e complesso, secondo che un concetto dal
quale partiamo per formare altri concetti, o un giudizio dal quale partiamo per
formare altri giudizi. I principi complessi si chiamano spesso e senza aggiunte
primi, principi della dimostrazione. Caratteristica di questi principi a) che
siano universali, perch altrimenti non conterrebbero virtualmente le
conclusioni; e b) che siano immediati, perch altrimenti non sarebbero primi.
3. I principi immediati, cio non ottenuti con medio sillogistico, si distinguono:
in principi per s noti (o ex terminis noti), ossia in principi che sono conosciuti
senza nessun medio, cio per semplice originaria comparazione dei loro termini
(p. es. il tutto maggiore di una sua parte); ed in principi noti per esperienza
(ex experientia noti), che sono bens conosciuti senza medio sillogistico, ma
che richiedono un mezzo impropriamente detto, cio il mezzo dellesperienza
(p. es. ogni metallo si dilata al calore).
4. I principi per s noti si devono distinguere, in un senso umanamente vero in
per s noti ai dotti, cio che sono conosciuti solo da coloro che, o per maggior
ingegno, o per proprio studio, o per magistero, riescono spontaneamente a
capirli subito (p. es. Angeli non sunt circumscriptive in loco); e in per s noti a
tutti gli uomini, in quanto i loro termini sono conosciuti da tutti come
evidentemente convenienti o disconvenienti (p. es. il principio di non
contraddizione). Questi principi, in quanto fondanti ogni scienza umana, sono
detti axiomata o dignitates.
Dopo queste prenozioni, chiaro che cosa intendiamo provare nelle tesi.
Anzitutto, nella prima parte, cominceremo rilevando che la scienza umana si
fonda in principi immediati, nella seconda in principi per s noti, nella terza in
per s noti a tutti, proponendo cos una previa soluzione naturale al problema
sulla possibilit della nostra scienza.

Opinioni. - Le asserzioni fondamentali di queste tesi sono state accettate da


molti pensatori, anche se di diverse tendenze filosofiche; ed anche oggi sono
condivise da molti, i quali si richiamano a queste concezioni aristoteliche anche
quando nella logica moderna si studiano le posizioni iniziali della
assiomatizzazione.
Si possono considerare direttamente contrari alla tesi quegli Antichi che al
tempo di Aristotele esigevano che tutto in filosofia fosse dimostrato; e dopo di
essi gli Scettici, i quali prendendo a pretesto che la conoscenza della verit non
si pu dimostrare, concludevano alla sospensione di ogni assenso. Si possono
dire indirettamente opposti alla tesi coloro che, pur non negando la dottrina dei
primi principi, nel proporre il problema critico esigono una legittimazione
dimostrativa dei fondamenti stessi su cui si fonda ogni dimostrazione o
legittimazione.
Da quanto abbiamo gi detto riguardo ai concetti universali, chiaro che gli
Empiristi negano lesistenza di principi propriamente universali, nei quali il
predicato universale sia immediatamente attribuito ad un soggetto universale. I
Concettualisti negano il valore oggettivo di questi principi universali, sia che si
fondino nel presupposto della priori soggettivistico, sa che professino la
insufficienza, del nostro intelletto in ci che riguarda la formazione di concetti
e principi universali essenziali.
Nota. Nella Introduzione alla Critica della ragion pura, Kant distingue i nostri
giudizi in a) a priori ed a posteriori, secondo che il predicato congiunto al
soggetto indipendentemente o dipendentemente dallesperienza; e in b) analitici
e sintetici, secondo che il predicato gi contenuto nel soggetto, di cui una
esplicitazione che non apporta nulla di nuovo, o secondo che il predicato non
contenuto nel soggetto, apportando una nuova nota, che non contenuta nel
soggetto; e poi distingue giudizi c) sintetici a priori ed a posteriori, secondo che
sono proferiti indipendentemente o dipendentemente dallesperienza.
Consequentemente a queste concezioni Kant, ulteriormente, conclude a) che i
principi analitici sono a priori, ma non servono al progresso della scienza,
perch non fondano nulla di nuovo, b) che i principi sintetici a priori servono al
progresso della scienza, ma dovendo esser spiegati per informazione a priori,
hanno applicazione soltanto entro i limiti della nostra esperienza soggettiva. A
questi principi noi facciamo un accenno nel testo, a p. 241-242, 5, 6, ed una
comparazione al principio dellarticolo quarto.
PRIMA PARTE. - Questa prima parte anzitutto consta per analisi della nostra

esperienza interna. Infatti, se riflettiamo sopra alcuni giudizi mentali, come p.


es. circa i principi di non contraddizione, di identit comparata ecc., dobbiamo
constatare che affermiamo la discrepanza o convenienza dei termini perch le
vediamo spontaneamente e subito, cio con evidenza immediata. Si usa per in
questo caso procedere per riduzione allassurdo (come si pu vedere, ad es., In
I Post. Anal., lect. 8 e 7):
Se la nostra scienza non si fondasse su alcuni principi immediati, nella scienza
tutte le nostre affermazio-ni sarebbero mediate: quindi, o mediate per circolo, o
mediate allinfinito. Ma non si possono dire mediate per circolo, perch in
questa ipotesi si finirebbe col provare una affermazione incerta per mezzo di
unaltra affermazione incerta, e cos tutto resterebbe incerto. Nemmeno si
possono dire mediate allinfinito, perch in questa ipotesi, tra il soggetto e il
predicato di una conclusione, ci sarebbero infiniti medii in atto, e cos non si
concluderebbe mai nulla. Dunque la nostra scienza fondata su alcuni principi
immediati.
SECONDA PARTE. - Questa seconda parte si prova sotto un aspetto per
definizione, e sotto un altro aspett per necessaria presupposizione. In questo
momento supponiamo quanto gi stato detto, cio che il nostro, intelletto
una facolt conoscitiva della realt, e che afferma i primi principi in quanto
necessitato dalla evidenza oggettiva. Ci premesso, cos procediamo:
I principi immediati, o ci sono noti senza alcun medio, per immediata
comparazione dei due termini, o senza medio sillogistico; ma col mezzo
impropriamente detto dellesperienza. Nel primo caso abbiamo principi per s
noti, secondo la definizione data nelle prenozioni. Nel secondo caso abbiamo
principi noti per esperienza, che non si acquistano se non alla luce di un
principio per s noto. Dunque la nostra scienza si fonda in alcuni principi per s
noti.
Ci che abbiamo accennato riguardo al secondo caso, in questo momento si pu
provare con due rilievi:
1) I principi universali noti per esperienza, non si conoscono con la sola
esperienza: perch la sola esperienza fonda soltanto giudizi singolari. Dunque
si conoscono con un passaggio ascensivo induttivo, da alcuni giudizi singolari
ad un giudizio universale.
2) Ora questo passaggio induttivo: a) non si pu fare se non alla luce di un
principio universale, perch altrimenti il passaggio da alcuni singolari a tutti

sarebbe illegittimo; b) non si pu fare se non alla luce di un principio per s


noto: perch se questo principio fosse un principio per esperienza noto, si
richiederebbe un altro principio, e cos continuando, si andrebbe allinfinito.
Ritorneremo a chiarificare questo argomento quando tratteremo espressamente
dellinduzione.
TERZA PARTE. - Per risoluzione: La nostra scienza si fonda inizialmente in
quei principi nei quali ultimamente risolve le sue conclusioni. Ora evidente
che le sue conclusioni ultimamente le risolve in principi universalissimi, ossia
comunissimi: perch la risoluzione ascende progressivamente da una maggiore
meno universale ad una maggiore pi universale, e cos di seguito. Ma questi
principi comunissimi, sono i principi dellente, cio sono quei principi alla cui
luce giudichiamo di tutti gli altri enti; e gi sappiamo che i principi, alla cui
luce giudichiamo di tutti gli altri enti, sono naturaliter noti: cio
necessariamente infallibilmente conosciuti da tutti, perch se noi sbagliassimo
in questi principi, sbaglieremmo in tutte le loro applicazioni. Dunque la scienza
nostra si fonda in principi comunissimi naturalmente noti, ossia per s noti a
tutti gli uomini.
Da questa conclusione si comprende che alla iniziale domanda se sia possibile
la scienza umana, noi sistematicamente rispondiamo che naturalmente
possibile: perch naturalmente passiamo da una composizione vera, per un
termine medio, ad una conclusione vera, e perch i principi comunissimi da cui
prendono inizio le conclusioni vere, sono principi naturalmente: noti, cio
necessariamente ed infallibilmente conosciuti da ogni uomo.
Per quanto riguarda lo habitus principio rum, rimandiamo a quanto si dice nel
testo, p. 243-244.

ARTICOLO TERZO
Il Principio di non Contraddizione
Senso della ricerca. - Abbiamo gi spiegato che cosa noi intendiamo per
principio incomplesso e complesso. Il primo principio incomplesso
evidentemente la nozione comunissima di ente, perch in questa nozione si
risolvono ultimamente tutte le altre nostre nozioni, le quali non sono altro che
determinati modi dellente stesso. chiaro allora che ci deve essere anche un
primo principio complesso, in cui si risolvono tutte le altre nostre proposizioni,

le quali devono essere considerate come determinati modi dello stesso


principio.
Nel presente articolo, continuando lo studio gi iniziato sui primi principi,
ricercheremo esplicitamente quale sia il primo principio complesso, e quale sia
il rapporto che con questo principio hanno gli altri principi e tutte le altre nostre
proposizioni sia universali che particolari.
TESI XXIII. - Il principio di non contraddizione legge della mente perch
legge dellente, ed il principio primo, ossia il pi noto e pi certo.(p.
244-252)
Prenozioni. - 1. Il principium contradictionis, che nel linguaggio moderno per
evitare fraintendimenti si chiama anche principio di non contraddizione, fu
proposto da Aristotele con la formula Idem simul inesse et non inesse eidem,
et secundum idem, impossibile est (Metaph. IV (Gamma) c. 3, 1005 b 19-20).
Questo principio si suole considerare nel suo senso reale, secondo la classica
formula Non potest aliquid simul et secundum idem esse et non esse, o nel suo
senso logico, cio Del medesimo soggetto non si pu contemporaneamente
affermare e negare lo stesso predicato.
In queste formule i termini sono lente e la negazione dellente, cio il non ente;
lavverbio impossibile si prepone per significare esplicitamente lassoluta
universalit del principio; e le parole contemporaneamente e sotto il medesimo
aspetto sono incluse per significare che non si pu avere linfallibile esclusione
se non quando i due termini sono opposti sotto il medesimo aspetto, sia
nellordine del tempo, che per noi il pi ovvio, sia in qualunque altro ordine.
La verit significata dal principio laffermazione dellidentit dellente per
mezzo della rimozione della diversit. Noi ora lo consideriamo come
esprimente questa verit, avvertendo che essa pu essere espressa anche con
altre formule equivalenti.
2. chiaro che il principio di non contraddizione, nel suo senso logico, legge
della mente, e che nel suo senso reale legge dellente. Nella tesi anzitutto
precisiamo che legge della mente perch legge dellente.
Ci premesso, passiamo a risolvere la questione del primato, asserendo che il
principio di non contraddizione il primo principio, e in questo senso il pi
noto e certo di tutti gli altri principi.

Non intendiamo per asserire che il principio di non contraddizione sia la prima
premessa da cui logicamente si deducono tutte le conclusioni: perch essendo
comunissimo e fondante ogni altro giudizio, non pu da solo portare la mente
ad una affermazione nuova. Intendiamo semplicemente asserire che con la sua
verit illumina ogni altro nostro giudizio, ossia: tutti gli altri primi principi, che
non si possono negare se non negando il principio di non contraddizione che
implicito in essi; e tutte le nostre proposizioni, sia universali che particolari,
nelle quali sempre proporzionalmente implicito e fondante. Si veda una
ulteriore spiegazione della dottrina aritotelica nel testo, p, 245-246.
Divideremo la prova della tesi in tre parti: nella prima cominciamo con
lavvertire che il principio di non contraddizione deve dirsi legge della mente;
nella seconda che deve dirsi legge della mente perch legge dellente; nella
terza concluderemo che il principio primo.
Opinioni. - Generalmente parlando, si deve dire che il principio di non
contraddizione negato sia dal radicale Scetticismo e Relativismo, sia dal
radicale Nominalismo e Concettualismo. Al di fuori di questa negazione,
crediamo di dover dire che il principio non mai radicalmente rifiutato, ma
solo in qualche sua applicazione e limitazione. Qui faremo un accenno alle due
tendenze pi note ed esplicite.
1. Alcuni Filosofi del divenire. Secondo la concezione aristotelica che
spieghiamo nella tesi, il principio di non contraddizione si applica ad ogni ente,
e quindi anche allente che diviene, il quale non contraddittorio perch e
non sotto diverso rispetto.
Le difficolt cominciano a manifestarsi nelle diverse opinioni che inclinano ad
affermare il puro divenire della realt. Tra i Presocratici, ERACLITO ritenuto
assertore del del puro divenire della realt, come risultante dalla opposizione di
contrari, nel senso che in un medesimo fiume scendiamo e non scendiamo:
siamo e non siamo. Aristotele avverte che alcuni pensarono che Eraclito abbia
detto che una medesima realt e contemporaneamente non , aggiungendo
per che questo lo poteva dire, ma non lo poteva realmente pensare.
Nella filosofia moderna HEGEL disse di voler riprendere e rinnovare la
concezione eraclitea, nel senso che tutto ci che reale razionale, e tutto ci
che razionale reale. La realt non statica ed immobile, cio meramente
identica, ma mobile ed evolutiva, cio dialettica, in quanto la contraddizione
intrinseca alla realt, che si sviluppa superando la contraddizione nella sintesi
degli opposti. Da tempo parecchi studiosi interpretano questa contraddizione

come opposizione contraria o relativa, e la dialettica come superamento della


opposizione nella coerente sintesi degli opposti; ed in questo senso concludono
che Hegel non nega il principio di non contraddizione, perch procede al
superamento coerente degli opposti, cio proprio alla luce del principio di non
contraddizione. Esiste per anche oggi qualche interpretazione differente.
2. Alcuni moderni MONISTI, tra i quali alcuni contemporanei Idealisti, che
non intendono semplicemente negare la evidente molteplicit della nostra
esperienza, per ritenere lunit fondamentale del Principio di tutte le cose
finiscono con affermare che la realt lidentit dei diversi; e con questa
affermazione, non soltanto negano la immediata applicazione del principio di
non contraddizione alla realt cos come da essi spiegata, ma si mettono in
una posizione che virtualmente nega la oggettiva necessit universale del
principio stesso.
A complemento delle opinioni possiamo ricordare che DESCARTES, pur
ammettendo che la realt esistente sotto la legge del principio di non
contraddizione, insinua che ci non si impone alla mente divina, perch, se Dio
avesse voluto, avrebbe potuto far si che due contradditori esistessero
contemporaneamente. KANT ammette il principio di non contraddizione; lo
ritiene principio generale e sufficiente di ogni conoscenza analitica, e lo
determina in questa formula: A nessuna cosa conviene un predicato che ad essa
contraddica, escludendo dalla formula sia la parola simul, cio
contemporaneamente, perch questa parola lo restringerebbe allordine
temporale, sia la parola impossibile, perch il primo principio deve essere
enunciazione categorica e non enunciazione modale.
PRIMA PARTE. - Questa parte non pu positiva-mente constare se non per
esplicitazione, riconoscendo che ogni nostro giudizio composto da un
predicato determinatamente intelligibile, applicato ad un soggetto
determinatamente intelligibile; il che significa che ogni giudizio verte su di un
oggetto determinato, ossia questo e non altro; in altre parole: sotto la legge del
principio di non contraddizione. Questa constatazione esplicitativa si pu
confermare anche con una argomentazione indiretta: Se il principio di non
contraddizione non fosse legge della nostra mente, sarebbe possibile negare il
principio senza cadere in cpntraddizione. Ma questo impossibile, perch ogni
negazione del principio di contraddizione avrebbe sempre una determinata
significazione, questa e non altra. Dunque il principio di non contraddizione
legge della nostra mente.
Dallargomento segue che il contradditorio per noi impensabile, cio assurdo.

SECONDA PARTE. - Anche questa parte consta positivamente per


esplicitazione, p.es. avvertendo che ogni nostro giudizio ha un senso
determinato perch si riferisce ad un oggetto determinato. E si pu anchessa
confermare con una argomentazione indiretta: Se il principio di non
contraddizione fosse legge dellente conosciuto perch legge della mente
conoscente, si dovrebbe dire che sarebbe conosciuto come determinatamente
costruito dalle nostra mente, e non come esiste determinatamente in s: ed in
questa ipotesi si dovrebbe concludere alluniversale relativismo fenomenistico.
Dunque il principio di non contraddizione legge della mente perch legge
dellente.
Dallargomento segue che ci che per noi assurdo, realmente impossibile.
TERZA PARTE. - Dalle caratteristiche del primo principio: chiaro che due
sono le caratteristiche del primo principio: che sia presupposto da ogni altra
verit, e che non presupponga alcun altra verit. Ora il principio di non
contraddizione a) presupposto da ogni altra verit, perch legge dellente e
della mente; b) non presuppone alcun altra verit, perch al di fuori dellambito
del principio di non contraddizione non ci potrebbe essere che limpensabile
assurdo, cio limpossibile.
Nota. Aristotele tra le condizioni proprie del primo principio elenca anche che
sia conosciuto naturalmente e immediatamente, perch altrimenti dovrebbe
derivarsi da unaltra verit pi nota, e quindi non sarebbe notissimo. Che questa
condizione si si verifichi nel principio di non contraddizione si pu brevemente
chiarificare come segue, a) Ogni uomo conosce naturalmente lente e la
pluralit dellente: perch desume i suoi concetti dalla molteplicit empirica.
Ora la pluralit non si conosce se non conoscendo luno, e luno non si conosce
se non conoscendo la divisione che deve esser rimossa dalluno, e la divisione
non si conosce se non conoscendo la negazione. Dunque ogni uomo conosce
naturalmente lente e la negazione dellente, b) I termini semplicissimi tra loro
primariamente opposti, non hanno medio. Orai termini ente e non ente sono
semplicissimi e tra loro primariamente opposti. Dunque non hanno medio, e
quindi sono subito appresi come disconvenienti.
COROLLARIO. - Dunque il puro divenire assurdo.
La chiarificazione di questo corollario si desume dal fatto che i fautori del puro
divenire lo propongono come realt che totalmente si nega (perch se si
negasse parzialmente, tra due diversi momenti del divenire resterebbe qualche

cosa di stabile e comune, e non si avrebbe pi il puro divenire, ma lente che


diviene). Ora la realt che totalmente si nega, deve dirsi puramente
indeterminata e puramente contingente (perch si ritenesse qualche
determinazione e necessit, non sarebbe pi una realt che totalmente nega s
stessa). Dunque il puro divenire dovrebbe dirsi una realt puramente
indeterminata e contingente. Ma, come abbiamo spiegato nelle tesi, la realt
puramente indeterminata e contingente, impensabile ed impossibile, ossia
assurda. Dunque il puro divenire assurdo.
Il corollario si conferma rilevando che i fautori del puro divenire, di fatto non
lo pensano realmente, ma illusoriamente; perch gli attribuiscono molti
predicati stabili, senza i quali non sarebbe possibile proporre una stabile teoria
del puro divenire. Proprio in questo senso fin dallinizio della tradizione
aritotelica avvertendo che i predicati sullente reale non possono essere tutti per
accidens, cio contingenti, si conludeva alla necessit di ammettere qualche
ente reale sotanziale; come acceniamo nel testo, p.250.

ARTICULO QUARTO
LInduzione del Principi
Senso della ricerca. In questo articolo intendiamo completare la teoria dei
primi principi, inizialmente giustificando e spiegando la logica aristotelica della
induzione. Per poterlo fare adeguatamente, utile premettere alcune
considerazioni sulla legittima divisione dei principi.
1. Il principio legittimo della divisione dei nostri atti e delle nostre facolt
conoscitive, si fonda sulla trascendentale ordinazione delle potenze conoscitive
al proprio atto e dellatto al proprio oggetto formale, e si suole esprimere cos:
potentiae specificantur per actus, et actus per obiecta.
In base a questo principio si procede anzitutto alla affermazione di alcune
differenze specifiche. Avvertendo che a) loggetto ens absolute consideratum
oggetto formale specificamente differente dalloggetto singolare coloratum
sonorum, ecc. si procede ad affermare la distinzione specifica tra gli atti con cui
conosciamo questi diversi oggettti formali, e quindi alla distinzione specifica
tra le facolt elicitive di questi atti, cio alla distinzione tra intelletto e senso; e
avvertendo che b) il colorato differisce specificamente dal sonoro ecc., si
procede ad affermare la distinzione specifica tra latto visivo, auditivo ecc., e
quindi, entro lambito sensibile, alla distinzione specifica tra la facolt visiva,

auditiva, ecc. (e cos di seguito, per tutto ci che riguarda le nostre facolt
sensibili esterne ed interne).
Sempre alla luce del principio anzidetto, si procede anche ad alcune distinzioni
accidentali, nellambito di una medesima facolt. Cos per esempio rilevando
che loggetto formale intelligibile qualche volta una semplice quiddit o
essenza, qualche volta un complesso enunciabile, e qualche volta una
conclusione, ed avvertendo che questi tre oggetti intelligibili convengono
sempre nel comune aspetto intelligibile di ente, concludiamo che una sola la
facolt intellettiva, che si attua progressivamente in modo accidentalmente
differente, cio o concependo, o giudicando, o ragionando.
2. Sempre in base a queste considerazioni, nel testo diciamo che una ulteriore
divisione (accidentale) dei nostri giudizi si pu legittimamente desumere dalla
(accidentale) diversit delloggetto formale del giudizio, e quindi dalla diversit
del motivo per cui noi siamo necessitati al giudizio: perch il motivo appartiene
alloggetto formale del giudizio (ossia, in altre parole, perch loggetto formale
del giudizio vero levidenza con cui loggetto manifesta la sua realt,
necessitando la mente al giudizio certo).
La divisione dei nostri giudizi si pu giustificare come segue. Se si attende al
motivo che ci muove a giudicare, ossia a comporre due termini, chiaro che
esso pu esser duplice: o la convenienza dei termini assolutamente considerati,
o la convenienza dei termini come ci sono dati nellesperienza.
Se la convenienza dei termini ci appare per comparazione con un termine
medio assolutamente considerato, abbiamo un giudizio conclusivo, come gi
stato spiegato nella tesi ventesima prima, parte seconda. Se ci appare
immediatamente, c ancora una sfumatura da distinguere: se la nozione
oggettiva del predicato si vede inclusa nella nozione oggettiva del soggetto,
abbiamo un principio per s noto ex terminis in cui il predicato formalmente
incluso nel soggetto; se si vede necessariamente connessa con la nozione del
soggetto, abbiamo un principio per s noto ex terminis in cui il predicato
appare virtualmente incluso nel soggetto.
Se invece la convenienza dei termini ci appare come ci data di fatto
nellesperienza, i casi sono due: o ci appare come immediatamente fondante un
giudizio di esperienza, ed in questo caso abbiamo giudizi singolari o
particolari; o ci appare come fondante un giudizio universale, per mezzo di un
processo ascensivo, ed in questo caso abbiamo giudizi universali, cio principi
noti per esperienza, come abbiamo cominciato a spiegare nella tesi ventesima

seconda, parte seconda.


Nota. La divisione dei giudizi che qui proponiamo, si fonda nel principio che i
nostri giudizi hanno per oggetto formale la evidenza oggettiva realistica. Essa
quindi differisce dalla divisione kantiana di giudizi analitici, sintetici a priori e
sintetici a posteriori (a cui abbiamo accennato nelle prenozioni della tesi
ventesima seconda), che si fonda sulla pertinenza o non pertinenza delle interne
nozioni del soggetto e del predicato, e che non ammette che i nostri giudizi
siano fondati nella evidenza oggettiva realistica.
Aristotele e S. Tommaso usano anche la terminologia di per se notum ad
intellectum (prima principia sunt per se nota, veritatem esse est per se notum) e
di per se notum ad sensum (naturam esse est per se notum).
La terminologia usata da Kant usata anche da alcuni nostri Autori,
naturalmente in senso realistico facile rilevare che ci avvenuto in due
maniere differenti, come brevemente accenniamo nel testo, a p. 253, nota 1.
Proprio per evitare queste differenze, noi qui abbiamo presentato la divisione
dei nostri giudizi con una terminologia in cui ci sembra che tutti possano
convenire.
3. I principi per s noti, nei quali il predicato formalmente o virtualmente
incluso nel soggetto, sono la veritas primorum principiorum al cui lume
giudichiamo di tutte le conclusioni, (ossia sono il lumen rationis a cui abbiamo
accennato nella Logica, p. es. p. 175 nota 1, e p. 10 e). Essi si dividono in
comuni a tutte le scienze e propri: delle singole scienze.
I principi comuni a tutte le scienze sono i principi fondamentali della
Metafisica, che riguardano lente in quanto ente: in primo luogo il principio di
non contraddizione, ed alcuni altri principi comunissimi, come ad es. il
principio di identit comparata due enti identici ad un terzo, sono tra loro
identici, ed il principio di ragione sufficiente ogni ente ha la sua ragione
sufficiente ossia intelligibile e quindi razionalmente spiegabile; poi i principi
di causalit e di finalit, fondati nella luce del principio di ragione sufficiente,
dei quali si tratta esplicitamente in altri trattati.
I principi proprii delle scienze, sono, ad es. a) nelle scienze matematiche, il
principio di divisibilit e di figurabilit ogni estenso divisibile e figurabile,
ed il principio di eguaglianza delle quantit le quantit eguali ad una terza,
sono eguali tra di loro, b) nelle scienze fisiche, il principio di costanza, o di
stabilit della natura le nature corporee sono determinate, ed operano sempre

determinatamente, se non interviene impedimento, ed il principio di


eguaglianza delle intensit le qualit che nella intensit convengono con una
terza, nella intensit convengono tra di loro.
chiaro che questi principi per s noti, appunto perch ottenuti per immediata
comparazione di due concetti essenziali, sono necessari come sono necessarie
le essenze, cio non si possono negare se non contraddicendo alla stessa
essenza, e quindi sono assolutamente necessari.
4. I principi per esperienza noti riguardano sia lordine fisico, sia lordine
morale.
Riguardano lordine fisico, cio la relazione tra la natura fisica e le sue
operazioni, alcune speciali leggi fi-siche, come p. es. i corpi cadono o i
metalli si dilatano al calore, ecc. Di questi principi si occupano le Scienze
fisiche e naturali.
Riguardano lordine morale, cio la relazione tra la nostra libera volont e gli
atti a cui essa stabilmente inclinata, alcune speciali leggi morali, come ad es.
le madri amano i loro figli, o nessun uomo mente gratis, cio senza alcuna
ragione. Di queste leggi si occupa la Storia, in quanto esposizione e studio
dello svolgimento della vita umana.
facile avvertire che mentre i principi per s noti esprimono la relazione tra le
essenze, i principi per esperienza noti esprimono la relazione tra la natura e le
sue operazioni. Siccome la natura pu permanere anche se mancassero alcune
sue operazioni, e questo noi lo possiamo chiaramente comprendere, i principi
per esperienza noti non si possono dire assolutamente necessari, ma soltanto
ipoteticamente necessari.
5. Ci premesso, abbiamo quanto necessario per determinare esattamente il
senso della nostra presente ricerca. Quando parlavamo degli universali,
abbiamo esaminato come i concetti universali si acquistino e come essi si
fondino nella realt. A complemento della teoria dei principi universali
dobbiamo quindi ora esaminare come si acquistino i principi per s noti ed i
principi per esperienza noti, e come essi si fondino nella realt. Siccome per
rispondere a queste domande dovremo parlare anche della induzione
argomentativa, completeremo la nostra ricerca sulla verit del raziocinio
esaminando quale sia il valore di questa induzione, e quale sia il suo rapporto
con la deduzione sillogistica.

TESI XXIV. - I principi per s noti si acquistano per induzione astrattiva,


quelli per esperienza noti per induzione argomentativa, che un processo
legittimo specificamente differente dal sillogismo. (p. 254 - 263)
Prenozioni. - 1. Abbiamo gi spiegato che cosa intendiamo per principi per s
noti, e come questi principi debbano dirsi assolutamente necessari; e che cosa
intendiamo per principi per esperienza noti, e come questi principi debbano
dirsi ipoteticamente necessari. Nella tesi cominciamo con lesaminare con quale
induzione noi di fatto acquistiamo questi principi, partendo dallesperienza.
2. Lesperienza la cognizione immediata di un fatto concreto, e si dice
esterna, se di un fatto sensibile, e interna, se di un fatto di coscienza. La parola
esperimento, nelluso moderno, lesperienza metodicamente provocata, con
lintento di verificare una ipotesi e di stabilire una legge. Nelluso aristotelico
la parola experimentum ha un significato proprio, a cui ora dobbiamo fare
attenzione; essa significa un atto collativo fatto nella nostra interna sensibilit
(cio dalla cogitativa, con laiuto della memoria e della immaginativa o
fantasia), con cui conferiamo pi individui simili gi sensibilmente
sperimentati. Questo atto collativo della nostra sensibilit precede e fonda
loperazione intellettiva della induzione.
3. La parola induzione (come avvertiamo nel testo a p. 255 e 264) stata usata
per significare qualunque passaggio dal singolare alluniversale (e quindi
usato da Aristotele anche per significare il passaggio dai singolari al concetto
universale, per mezzo dellastrazione precisiva totale). Noi nella tesi, come
oggi si suole, lo adoperiamo per significare il passaggio dai singolari ad un
giudizio universale.
Chiamiamo induzione astrattiva il passaggio dei singolari sensibili al giudizio
universale, senza dover prima fare un giudizio singolare (passaggio questo, che
non richiede altro che lastrazione di due concetti dai singolari sensibili e la
semplice visione comparativa di questi due concetti; come p. es. quando, dopo
aver ricavato dallesperienza sensibile il concetto di tutto ed il concetto delle
sue parti, spontaneamente e subito giudichiamo che il tutto maggiore delle
sue parti).
Chiamiamo invece induzione argomentativa il passaggio dai singolari sensibili
al giudizio universale, dovendo per prima fare uno o pi giudizi singolari;
passaggio questo, che dopo lastrazione di due concetti, richiede prima alcuni
giudizi singolari, dopo i quali diventa possibile il passaggio al giudizio
universale; come quando, dopo alcuni giudizi singolari desperienza, p. es.

questo corpo cade, e questaltro corpo cade, ecc., constatando la stabilit di


queste esperienze, passiamo a concludere che ogni corpo cade.
Nella tesi anzitutto intendiamo provare che i principi per s noti si acquistano
con induzione astrattiva, ed i principi per esperienza noti con induzione
argomentativa.
4. A questo punto per noi sorge un problema critico e logico. chiaro che tanto
valgono i principi per esperienza noti, quanto vale il processo induttivo con cui
sono acquisiti. Quale allora la legittimit dellinduzione argomentativa? E se
una legittimit si deve ammettere, quale il rapporto di questa induzione al
sillogismo? Per spiegare il senso esatto di queste domande, sono necessarie
alcune chiarificazioni.
Il processo induttivo si pu considerare come interno e come oralmente
significato. Il processo interno, o mentale, comincia con alcuni giudizi
singolari, p. es. questo ferro si dilata al calore, e questaltro ferro, e quellaltro
ecc.; poi, quando la stabilit sperimentata in alcuni casi diventa motivo
sufficiente per capire ci che proprio della natura, si passa al giudizio
assoluto il ferro, per natura sua, si dilata al calore; quindi il processo si
conclude col giudizio distributivo ogni ferro si dilata al calore. Il segno orale, o
esterno, di questo processo si pu, ad es., riassumere in questa forma
argomentativa: Il ferro abc si dilata al calore, Il ferro abc ogni ferro. Dunque
ogni ferro si dilata al calore.
Questo processo a suo modo un organico complesso di giudizi, in cui da una
prima verit nota (questo ferro si dilata al calore) si passa ad una verit che
prima era ignota (ogni ferro si dilata al calore) alla luce di un motivo desunto
dallesperienza,, cio per mezzo dellesperienza di uno o pi singolari. Esso
quindi verifica a suo modo la definizione di raziocinio che si suol dare nella
Logica (v. p. 119), ed in questo senso si chiama induzione argomentativa.
In quanto argomentativo, questo processo ha il suo medio ed i suoi principi o
fondamenti. Il medio il motivo desunto dalla esperienza, che ci porta a
comporre i due termini della conclusione. Questo medio, in comparazione col
medio propriamente detto del sillogismo, si suol dire mezzo impropriamente
detto. Il fondamento reale il principio di costanza della natura, di cui abbiamo
gi data la formula nel senso della ricerca. Questo principio si fonda sulla luce
del principio di ragione sufficiente e dei principi di causalit e finalit, e deve
dirsi per s noto, perch la natura corporea, appunto perch n intelligente n
libera, determinata cos nella sua natura come nelle sue operazioni (e che

debba dirsi per s noto lo abbiamo gi inizialmente accennato nella tesi


ventesima seconda, prova della seconda parte). Il fondamento logico, in
opposizione al fondamento logico del sillogismo dictum de omnibus, dictum
de singulis, il principio dictum de uno qua tali, dictum de omnibus, nel
senso che ci che si dice di un singolare, in quanto avente una tale natura, deve
esser detto di tutti gli altri singolari di questa natura.
5. Nella presente tesi parliamo della induzione argomentativa cos come la
abbiamo chiarificata. Prima asseriamo che essa un processo legittimo in
quanto pu portare alla affermazione certa di un principio ipoteticamente
necessario; e poi concludiamo che la si deve dire specificamente differente dal
sillogismo.
Divideremo quindi la prova in quattro parti. Nella prima mostreremo che i
principi per s noti si acquistano con una induzione astrattiva, e nella seconda
che i principi per esperienza noti si acquistano con una induzione
argomentativa. Nella terza chiarificheremo in quale senso linduzione
argomentativa si debba dire un processo legittimo, e nella quarta per quale
ragione si debba dire specificamente differente dal sillogismo.
Opinioni. - Questa tesi si fonda nella teoria del concetto universale cos come
labbiamo proposta, e quindi trova consenzienti tutti quelli che sostanzialmente
la ammettono. Essi inoltre ammettono a) che i nostri principi si acquistano per
induzione da un esempio, o da un experimentum, sensibile, e b) che i nostri
principi si distinguono in assolutamente o ipoteticamente necessari. Esiste solo
una piccola differenza nel fatto che alcuni Autori sembrano confondere sotto il
nome di induzione sia quella astrattiva dei principi assolutamente necessari sia
quella argomentativa dei principi ipoteticamente necessari, e che qualche
Autore propone la induzione argomentativa come riducibile al sillogismo.
Tra i Filosofi che hanno diversa opinione sugli universali, chiaro che non
convengono con la tesi coloro che negano la esistenza di concetti e giudizi
propriamente universali, cio gli Empiristi, e coloro che negano la oggettiva
verit realistica dei concetti e giudizi universali, cio i Concettualisti.
D. HUME nega il valore universale del principio di causalit, anche perch lo
ritiene fondato nella con-suetudine di aspettarsi che i casi futuri siano simili ai
passati. J. STUART MILL estende questa concezione allinduzione, come
abbiamo gi accennato nella tesi ventesima prima, opinioni. Negli sviluppi pi
radicali del NEOPOSITIVISMO, si parlato del problema dellinduzione come
di problema privo di senso, perch da una proposizione empirica non si passa

ad una proposizione universale, ma soltanto ad una proposizione indeterminata


e convenzionale, che riprende il suo senso quando determinata ad un caso
singolarmente verificabile.
Secondo KANT, come abbiamo accennato, i principi analitici hanno senso
universale e necessario, ma non servono al progresso delle scienze, perch
tautologici o quasi tautologici. I principi sintetici a priori, se fossero acquisiti
per induzione, sarebbero una totalizzazione delle esperienze, senza valore
universale; hanno per valore universale, ma per informazione categoriale, e
perci non hanno applicazione alla cosa in s, ma soltanto entro i limiti della
soggettiva esperienza sensibile.
A complemento delle opinioni da ricordare che i Cultori delle Scienze
sperimentali, mentre dalla fine del secolo scorso generalmente ammettevano il
valore necessario ed universale delle leggi della natura, che fondavano sul
principio di costanza della natura inteso in senso rigidamente meccanicistico,
sono poi passati ad affermarne solo il valore approssimativo e probabile, in
base ai presupposti filosofici dellempirismo (E. Mach), o del contingentismo
(E. Boutroux) o del convenzionalismo (E. H. Poincar). Conseguentemente ad
alcuni sviluppi di teorie pi recenti, poi avvenuto che le leggi della fisica
classica si considerassero come leggi statistche, e che la realt venisse
concepita secondo il principio di indeterminazione proposto da W.
Heinsemberg.
PRIMA PARTE. - Dalla natura del principio per s noto: Se i principi che noi
affermiamo consiano di concetti astratti dallesperienza sensibile, e se il motivo
per cui noi li componiamo o dividiamo si trova nella sola comparazione di
questi concetti assolutamente considerati, si devono dire acquisiti con uno
spontaneo processo che dallesperienza sensibile passa al giudizio universale
senza prima dover fare un giudizio singolare: cio si devono dire acquisiti con
induzione astrattiva. Ora chiaro che i principi per s noti: a) constano di
concetti astratti dallesperienza sensibile, perch questa lorigine dei nostri
concetti, b) hanno il loro motivo nella sola comparazione di questi concetti
assolutamente considerati, perch noi non vediamo la necessaria relazione tra
due essenze se non quando le compariamo nei loro concetti essenziali, cio
assolutamente considerati. Dunque i principi per s noti li acquistiamo con
induzione astrattiva. Si consulti nel testo la nota a p. 258.
SECONDA PARTE. - Dalla natura del principio per esperienza noto: Se i
concetti di cui constano i principi per esperienza noti sono astratti
dallesperienza sensibile, e se il motivo per cui noi li componiamo o dividiamo

deve esser desunto dallesperienza, cominciando con alcuni giudizi singolari,


per poi passare al giudizio universale, si deve dire che i principi per esperienza
noti si acquistano con induzione argomentativa. Ora a) i concetti dei principi
per esperienza noti sono astratti dallesperienza sensibile, per la stessa ragione
che abbiamo data nella parte precedente, b) il loro motivo deve essere desunto
dallesperienza, appunto perch, non essendo sufficienti i soli termini
assolutamente considerati, dobbiamo ricorrere al motivo dellesperienza, c)
cominciando con alcuni giudizi singolari, perch il motivo desperienza non
fonda immediatamente se non un giudizio singolare, d) per poi passare al
giudizio universale, perch, solo dopo una sufficiente esperienza di casi
singolari, possiamo applicare il principio di costanza della natura, e cos
passare al giudizio universale. Dunque i principi per esperienza noti si
acquistano con induzione argomentativa. Si consulti nel testo la nota a p. 259.
TERZA PARTE. - La prova di questa parte si fonda sulla constatazione di un
duplice fatto, a) Anzitutto del fatto umano che noi spontaneamente procediamo,
attendendo alla nostra esperienza quotidiana, a formarsi molte persuasioni
sullordine stabile del mondo in cui viviamo, b) In secondo luogo del fatto
scientifico che i Cultori delle scienze metodicamente procedono, con accurati
esperimenti, a trasformare le ipotesi in leggi, le quali nel loro complesso, entro
limiti esattamente determinabili, senza dubbio esprimono uno stabile ordine
esistente nel nostro universo. chiaro che questo mirabile risultato della
ricerca scientifica ha un suo senso indubbiamente valido. Ci premesso, cos
argomentiamo:
Dalla certezza dellordine naturale; proprio del nostro intelletto conoscere gli
aspetti stabili delle cose sensibili, e di giudicare di questi aspetti stabili alla luce
dei principi di ragione sufficiente, di causalit e di finalit. Se dunque,
possiamo comprendere, con laiuto di esperienze sensibili, che la ragione
sufficiente della stabilit di queste esperienze si trova nella stessa natura delle
cose sensibili, si deve dire che linduzione argomentativa un processo
legittimo. Ora senza dubbio qualche volta lo possiamo comprendere: perch
con laiuto degli esperimenti scientifici arriviamo a conoscere uno stabile e
determinato ordine esistente nel nostro universo. Dunque linduzione
argomentativa deve dirsi un processo legittimo.
A chiarificazione dellargomento utile osservare che, conoscendo uno stabile
e determinato ordine esistente nel nostro universo, siamo certi di escludere il
puro caso universale; e che essendo certi di escludere il puro caso universale,
siamo certi che la ragione sufficiente della stabilit delle nostre esperienze si
trova nella stessa natura delle cose sensibili. utile anche ricordare quanto

abbiamo accennato dopo il corollario della tesi precedente, da cui si ricava che i
predicati stabili sulle cose sensibili portano logicamente alla affermazione
dellente sostanziale.
QUARTA PARTE. - Dalla differenza del medio, e del procedimento: Le
argomentazioni che differiscono nel medio e nel processo, debbono dirsi
specificamente differenti. Ora manifesto che linduzione e il sillogismo: a)
differiscono nel medio, perch il sillogismo, per un medio propriamente detto,
cio di media estensione, mostra che il termine di maggior estensione conviene
al termine di minore estensione, mentre linduzione, per un medio
impropriamente detto, cio di minore estensione, mostra che il termine di
maggior estensione conviene al termine di media estensione; b) differiscono nel
processo, perch il sillogismo dal precognito pi universale e pi certo
discende al meno universale o al particolare, mentre linduzione dai precogniti
singolari ascende alluniversale, o dai meno universali al, pi universale.
Dunque linduzione ed il sillogismo devono dirsi specificamente differenti. A
chiarimento dellargomento si veda nel testo la Nota a p. 261.
A spiegazione e complemento di quanto abbiamo qui detto sullinduzione
argomentativa, si veda tutto lart. IV del C. III della Logica, p. 160-171.
Nota conclusiva. Al principio di questo capitolo abbiamo premesso una nota
introduttoria per far conoscere quali erano le considerazioni fondamentali
secondo le quali si sarebbe sviluppata la nostra ricerca. Giunti alla fine del
capitolo, utile riprendere il discorso per dare una breve sintesi delle
considerazioni a cui la nostra ricerca pervenuta.
un dato di esperienza interna che noi conosciamo progressivamente,
cominciando col desumere dallesperienza i concetti diretti pi semplici e pi
facili, cio i pi generali, per poi procedere a concetti sempre meno semplici e
pi difficili. Dopo aver formati i concetti pi generali, e quindi pi
fondamentali, il nostro intelletto portato a comporli, in virt del suo habitus
naturalis primorum principiorum, cio a formare per spontanea induzione
astrattiva quei primi principi fondamentali per s noti a tutti, alla luce dei quali
giudichiamo di ogni altra cosa (p. es. il principio di non contraddizione, di
ragione sufficiente, di causalit e finalit, ecc.). Formati questi principi, la
nostra mente in possesso stabile della fundamentalis veritas primorum
principiorum. Questa fondamentale verit dei primi principi ha una duplice
funzione riguardo alla possibilit della nostra scienza.
Essa anzitutto ci rende possibile la formazione di principi per s noti meno

universali, p. es. il principio di costanza della natura corporea, il quale,


applicato allesperienza, rende possibili e legittime le induzioni argomentative,
che portano alla acquisizione dei principi per esperienza noti e delle leggi della
natura.
Lesistenza nella nostra mente di principi per s noti, sia pi comuni che meno
comuni, sia propri di una scienza o di una sola branca di essa, fa sorgere in noi
il processo deduttivo sillogistico, secondo la sua rigorosa forma e secondo il
suo valore di verit. Infatti, questi principi, essendo enunciazioni distributive,
cio esigendo la loro applicazione ai propri inferiori, possono diventare
premesse maggiori. Lo diventano quando la nostra mente, progredendo a
concetti sempre meno semplici, e quindi ad enunciazioni sempre meno
universali, le sussume sotto i principi, determinando in tal modo la loro
virtualit. Cos sorge nella nostra mente il processo da una verit pi
universale, per comparazione con un termine medio, ad una verit meno
universale, o particolare. In questa maniera si perfeziona sempre pi in noi
lhabitus ratiocinandi, ossia deducendi.
Queste conclusioni si possono confermare riflettendo sul modo con cui noi
spontaneamente parliamo e dialoghiamo. facile infatti avvertire che ogni
nostro discorso dialogato consiste nel proporre i nostri punti di vista; e che
questi punti di vista non sono altro che alcune considerazioni generali da noi
applicate al tema particolare che sta in discussione.
Proprio in questa naturale tendenza ad applicare i principi generali ai casi
particolari, si fonda il fatto umano della nostra logica naturale; ed proprio
dalla consapevolezza di questo fatto, che prende le mosse la ricerca esplicita e
metodica della scienza logica formale e materiale.

CAPITOLO SESTO
STATI DELLA MENTE
Senso e divisione del capitolo. - 1. Dopo lo studio sulla verit dei nostri
concetti, giudizi e raziocinii, per completare la trattazione sulla verit da noi
conosciuta non resta che esaminare quali siano gli stati della nostra mente in
ordine alla verit. Scopo di questo esame sar lo studio del possesso della verit
e della limitatezza e deficienza del nostro intelletto nei riguardi della verit.
2. Per cominciare ordinatamente questo studio, utile far presente quale sia la

divisione sistematica di questi stati. Cominceremo col distinguere gli stati in


cui non c adesione alla verit, da tutti quegli altri stati in cui c una qualche
adesione; diciamo una qualche adesione, perch questa adesione si pu avere o
in potenza o in atto, e se in atto, o in atto imperfetto o in atto perfetto.
a) Siamo in atto perfetto quando sicuramente sappiamo di possedere la verit,
cio quando siamo certi. La certezza quindi lo stato perfetto della nostra
mente. Essa si distingue spontaneamente: in certezza di visione, quando si
fonda sulla evidenza intrinseca immediata dei termini, o in quanto
assolutamente comparati, o almeno in quanto dati nellesperienza; in certezza di
scienza, quando fondata in una evidenza intrinseca mediata; ed in certezza di
fede, quando fondata sullevidenza estrinseca, cio sulla sola scienza e
veracit dellattestante.
b) Siamo in atto imperfetto, quando non possediamo la verit, ma ci troviamo
in una attuale tendenza ad essa. Ci pu avvenire in due modi: o in quanto ab
biamo un assenso non fermo (iudicium infirmum) o in quanto tratteniamo
lassenso, rimanendo in sospensione (cio in apprensione comparativa). Nel
primo caso siamo in stato di opinione. Nel secondo caso, o ci sentiamo inclinati
verso una parte piuttosto che verso laltra, e allora ci troviamo in stato di
suspicione; o non ci sentiamo inclinati ad una parte piuttosto che allaltra, e
allora ci troviamo in uno stato di dubbio.
c) Siamo in potenza, quando siamo in stato di disposizione pi o meno
prossima alla verit.
d) Non c nessuna adesione alla verit quando siamo in stato di defezione
dalla verit. Questa defezio-ne pu essere negativa o positiva. La defezione
negativa pu essere meramente negativa o privativa: nel primo caso abbiamo lo
stato di nescienza, cio di semplice mancanza di scienza (intesa in senso lato);
nel secondo caso abbiamo lo stato di ignoranza, cio di carenza di quella
scienza che dovremmo avere. La defezione positiva lo stato di errore, in cui
assentiamo a ci che falso, cio aderiamo al falso.
3. Non tutti questi stati hanno eguale importanza, e perci noi in questo
capitolo tratteremo esplicitamente solo dei principali. Nel primo articolo
tratteremo della certezza in genere e della certezza fondata nella evidenza
intrinseca, e nel secondo considereremo a parte la certezza fondata nella
evidenza estrinseca; nel terzo articolo tratteremo dellopinione in quanto
imperfetto assenso o di fatto vero o di fatto falso, e nel quarto considereremo a
parte lerrore in quanto imperfetto assenso falso. Degli altri stati faremo un

breve accenno in una nota.

ARTICOLO PRIMO
Certezza in Genere e Certezza Triplice
Senso della ricerca. - Il problema della certezza deve porsi anzitutto riguardo
alla certezza in genere, poi riguardo alla certezza fondata nellevidenza
intrinseca, ed infine riguardo a quella fondata nella evidenza estrinseca.
Nel presente articolo esamineremo quale sia lessenza della certezza in genere;
quindi esamineremo se si devono ammettere diverse certezze fondate
nellevidenza intrinseca, e supposto che si devono ammettere, se si debbano
dire tutte incompossibili col falso.
TESI XXV. - Motivo essenziale della vera certezza non pu essere che una
genuina evidenza; quindi le diverse certezze fondate nellevidenza
intrinseca devono dirsi, ciascuna a suo modo, incompossibili col falso. (p.
268-278)
Osservazioni preliminari. - Nella tesi si studiano due problemi: il primo, pi
importante e fondante ogni ulteriore dottrina sulla certezza; il secondo meno
importante, e non sempre facile a determinarsi. Crediamo quindi conveniente
svolgerli separatamente.
1. Abbiamo gi spiegato che quando facciamo un giudizio certo, ad una realt
significata dal soggetto applichiamo un predicato, contemporaneamente
escludendo il predicato contradditorio, cio affermando che quella realt esiste
cos e non altrimenti (ita et non aliter). Precisamente in questo senso la
certezza, in quanto stato perfetto della nostra mente, si suol definire adesione
della nostra mente ad una parte della contraddizione, senza alcun timore
dellaltra parte.
2. In questa formula la parola timore, che per s si riferisce al sentimento,
applicata per analogia allintelletto, per significare la esclusione della
possibilit, o almeno della compossibilit, dellaltra parte. chiaro che la
certezza, in quanto stato perfetto di una fa-colt visiva e necessaria:
negativamente, implica lesclusione dellaltra parte (exclusio oppositi); e
positivamente implica a) ex parte subiecti, la determinazione della mente ad
una parte (determinatio mentis ad unum), e b) ex parte obiecti una evidenza

oggettiva dellenunciabile, necessitante la mente al giudizio. Cos avviene che


con la parola certezza soggettiva, o formale, si intenda comunemente
significare lo stato soggettivo di fermezza della mente, che esclude lopposto; e
con la parola certezza oggettiva, il motivo oggettivo in quanto necessitante.
3. Noi qui anzitutto intendiamo provare che la certezza oggettiva inseparabile
dalla vera certezza soggettiva, ossia, in altre parole, che levidenza oggettiva
motivo essenziale di ogni nostra certezza.
La prova si desume dalla natura stessa del nostro intelletto: La certezza lo
stato perfetto della nostra mente, cio lattuazione perfetta del nostro intelletto
in quanto facolt essenzialmente visiva e necessaria. Ora questa attuazione
perfetta si pu avere soltanto quando presente levidenza delloggetto, perch
a) se si avesse la perfetta attuazione quando levidenza non c, intelletto non si
potrebbe pi dire facolt essenzialmente visiva, e b) se non si avesse la perfetta
attuazione quando levidenza c, lintelletto non si potrebbe pi dire facolt
essenzialmente necessaria. Dunque la certezza si pu avere soltanto quando
presente levidenza delloggetto: ed in questo senso levidenza oggettiva deve
dirsi motivo essenziale di ogni nostra certezza.
Largomento si pu proporre anche con altra terminologia, e si pu confermare
dalla logica rimozione dello Scetticismo, come accenniamo nel testo, p. 273.
Dopo questa nostra asserzione preliminare possiamo passare al secondo
problema, per risolvere il quale dobbiamo premettere alcune pi determinate
prenozioni.
Prenozioni e prove. - Quando abbiamo spiegato levidenza (che si chiama
anche certezza oggettiva) osservavamo che essa si fonda principalmente nella
realt delloggetto, ma implica anche una relazione al soggetto, perch se non
fosse manifesta al soggetto non potrebbe determinare la mente al giudizio certo.
Adesso che abbiamo cominciato a spiegare la certezza formale, possiamo dire
che essa principalmente stato del soggetto, ma implica anche una relazione
alloggetto, perch se il nostro intelletto non vedesse la oggettiva necessit
dellenunciabile, non si determinerebbe al giudizio certo. Secondo questa
correlazione tra evidenza fondante e certezza fondata noi svilupperemo il
nostro esame sulla diversit delle nostre certezze.
1. Cominceremo premettendo una chiarificazione. Se si ritiene la divisione
aristotelica della scienza umana in speculativa o pratica; se ulteriormente si
ritiene che la scienza speculativa pu essere o dellente reale o dellente di

ragione; e se infine si ritiene che la scienza dellente reale si distingue secondo


i tre gradi di astrazione: si deve concludere che la scienza umana speculativa
a) o dellente di ragione, cio logica, o dellente reale, e allora b) o dellente
di prima astrazione, cio fisica c) o dellente di seconda astrazione, cio
matematica d) o dellente di terza astrazione, cio metafisica; e che la scienza
umana pratica e) fondalmente etica. In questo senso non neghiamo che il
problema della certezza possa essere quintuplice, cio: quale sia la certezza
logica, metafisica, matematica, fisica e morale, Di fatti per il problema stato
posto con una terminologia un po differente, ed in questi termini: se oltre alla
certezza chiamata metafisica, si debba anche ammettere una certezza chiamata
fisica e morale; e in che senso queste due ultime certezze si possano dire vere
certezze, incompatibili col falso. In questo senso il problema della certezza
diventato triplice, e cos noi ora lo svilupperemo.
2. Questa questione non facile, ed anche oggi soggetta a discussioni. Qui ci
limitiamo alle prenozioni necessarie per chiarificare la soluzione che a noi
sembra da preferirsi.
La certezza specificata dal suo motivo formale, cio dalla necessit oggettiva
dellenunciabile in quanto manifesta alla niente. Nel suo aspetto reale, questa
necessit la determinazione stessa della cosa, in quanto sotto la legge del
principio di non contraddizione. Nel suo aspetto logico questa stessa necessit
reale in quanto manifesta in forma di enunciabile movente la mente allassenso.
Questa necessit logica pu essere assoluta, quando manifesta la relazione tra
due concetti essenziali, o ipotetica quando manifesta lordine tra la natura e le
sue operazioni. La necessit ipotetica chiamata fisica o morale, secondo che
manifesta lordine tra le cause fisiche ed i loro effetti, o tra le cause libere ed i
loro atti. Possiamo quindi concludere che la certezza umana pu essere assoluta
o ipotetica, e se ipotetica o fisica o morale.
3. In base a queste considerazioni, noi cos determiniamo queste tre certezze:
a) Chiamiamo certezza assoluta, che si dice anche metafisica, quella che ha per
motivo la necessit dellordine intelligibile che vige tra le essenze, che
oggettivamente assoluto; questo motivo porta la mente ad applicare il predicato
al soggetto in maniera assoluta, cos che lopposto escluso come impossibile.
b) Chiamiamo certezza fisica, quella che ha per motivo la necessit ipotetica
che vige tra la natura fisica e le sue operazioni; e nellordine di questa certezza
distinguiamo due casi, a) Chiamiamo certezza fisica reduttivamente metafisica
il caso in cui presente alla mente non solo il principio fisico ipoteticamente

necessario, ma anche un motivo positivo che esclude lipotetica eccezione, e


quindi esclude lopposto come impossibile; come p. es. quando diciamo: ogni
fuoco brucia, eccetto lipotesi di un miracolo; ma ripugna che il miracolo
avvenga costantemente; dunque, in moltissimi casi, il fuoco brucia, b)
Chiamiamo invece certezza in senso proprio fisica il caso in cui presente alla
mente il principio fisico ipoteticamente necessario ed assente ogni ragione in
contrario, come p. es. quando spontaneamente diciamo: questo corpo cadr,
questo fuoco brucer ecc. chiaro che in questo caso non c certezza
reduttivamente metafisica, e che lopposto non escluso come impossibile.
c) Chiamiamo similmente certezza morale, quella che ha per motivo la
necessit ipotetica che vige tra le cause libere e gli atti ai quali sono stabilmente
inclinate; ed anche nellordine di questa certezza distinguiamo due casi, a)
Chiamiamo certezza morale reduttivamente metafisica il caso in cui alla mente
presente non solo il principio morale ipoteticamente necessario, ma anche un
motivo positivo che esclude leccezione, e che quindi esclude lopposto come
impossibile; come p. es. quando diciamo: ogni madre ama i suoi figli, eccetto
un caso di mostruosit; ma ripugna che la mostruosit sia costante; dunque in
moltissimi casi, le madri amano i propri figli, b) Chiamiamo certezza in senso
proprio morale il caso in cui alla mente presente il principio morale
ipoteticamente necessario, ed assente ogni ragione in contrario, come p. es.
quando spontaneamente diciamo: questuomo non mente, questa madre ama il
suo figlio ecc. chiaro che questa certezza morale ha le stesse caratteristiche
della corrispondente certezza fisica.
4. Queste prenozioni ci sembrano sufficienti per rendere chiaro il senso del
nostro triplice problema, la prima soluzione sicura che gi si pu dare, e la
possibile soluzione che rimane ancora da ricercare. chiaro che si deve
senzaltro ammettere come genuina certezza quella assoluta o metafisica, e
anche quella fisica e morale reduttivamente metafisiche; purch in tutti questi
casi aderiamo aduna parte della contraddizione senza timore dellopposto, il
quale escluso come impossibile.
5. Il problema resta aperto per la certezza in senso proprio fisica e morale. La
difficolt del problema appare anche dal fatto che sono state proposte tre
diverse soluzioni. Alcuni, infatti, per restare fedeli al principio fondamentale
che la certezza, fondata nella evidenza, esclude lopposto, e reputando che
lopposto non si esclude se non quando impossibile, concludono che quella
da noi chiamata certezza in senso proprio fisica e morale non sono vere
certezze. Altri ammettono il fatto umano delle certezze fisica e morale, e le
spiegano come categoriche, inclinando per a dire che qualche volta possono

essere connesse col falso (per accidens). Altri infine ammettono queste
certezze, spiegandole comeestrinsecamente ipotetiche e formalmente
categoriche, nel senso che lipotesi tacitamente supposta anche se non
formalmente considerata, e che proprio in questo senso, cio nellambito
formale del loro motivo, escludono lopposto, non come impossibile, ma come
incompossibile. Poich non possiamo sottrarci alla questione, noi diciamo che,
omnibus perpensis, incliniamo a questa terza opinione, anche se essa si pone
con una terminologia pi difficile, come accenniamo nel testo a p. 272.
6. Ci premesso, non ci resta che dare le ragioni in favore della terza opinione.
Due cose intendiamo provare: a) che legittimo ammettere una certezza fisica e
morale, e b) che nel senso in cui ammessa si deve dire incompossibile col
falso.
La prima prova si desume dal fatto umano, che nella filosofia non deve esser
negato, ma riconosciuto e spiegato: consta infatti che noi viviamo la nostra vita,
nel suo senso pratico e speculativo, consciamente aderendo a molte
applicazioni delle leggi fisiche e morali perch non vediamo alcun motivo per
ritardare il nostro assenso a queste applicazioni, come p. es. quando diciamo:
questo uomo non mente, questo fenomeno deve esser gi avvenuto, questo
fuoco brucer, ecc. Orbene questa adesione: a) vera certezza, perch la
coscienza ci certifica che in questa nostra adesione ci sono ambedue gli
elementi della certezza, cio la fermezza della mente e la esclusione
dellopposto, b) non certezza reduttivamente metafisica, perch non abbiamo
un motivo positivo per escludere lopposto come impossibile, c) certezza in
senso proprio fisica e morale, perch, oltre alla legge generale che urge la sua
applicazione per assenza di ragioni in contrario, non abbiamo altro motivo. In
questo senso si pu legittimamente dire che esiste una umana certezza fisica e
morale.
La seconda prova si desume dalla generale osservazione che ogni negativo si
fonda in un positivo, e che nel caso della certezza lelemento negativo l
esclusione dellopposto, e lelemento positivo linterna fermezza della mente.
Da ci ne consegue che quando la fermezza della mente differente, anche
differnte la esclusione dellopposto. Ora altra la fermezza della certezza
fondata nella oggettiva necessit assoluta, ed altra la fermezza della certezza
fondata nella necessit ipotetica. Dunque altra lesclusione dellopposto nella
certezza metafisica (in cui lopposto escluso come impossibile) ed altra
lesclusione nella certezza fisica e morale (in cui lopposto semplicemente
escluso come incompossibile). Inoltre: altra la fermezza della certezza fondata
nella determinazione della natura fisica, e altra la certezza fondata nella

stabile inclinazione della libera volont. Dunque altra lesclusione


dellopposto nella certezza fisica, ed altra nella certezza morale.
Nota. Il problema della certezza fa parte del problema della verit e partecipa
della sua importanza fondamentale; per questo lo abbiamo trattato. Restano
alcune spiegazioni complementari a cui accenneremo brevemente. La prima
che, secondo la teoria proposta nella tesi, il concetto di certezza deve dirsi un
concetto analogo proporzionale, in quanto non si determina alle diverse
certezze per laggiunta di una nuova nota differenziale, ma per determinazione
delle stesse note che costituiscono la sua definizione. La seconda, conseguente
alla prima, che le tre certezze non si differenziano come specie, ma come
quasi specie. La terza, che ovvia, che ciascuna delle tre certezze pu avere
gradi accidentali.

ARTICOLO SECONDO
Certezza Fondata nel Testimonio
Senso della ricerca, - Dopo aver considerata la certezza fondata nellevidenza
intrinseca, a complemento occorre fare almeno un breve esame sulla certezza
fondata nella evidenza estrinseca. Prima per di fare questo, necessario
esaminare se il testimonio umano, in determinate circostanze, pu causare in
noi una vera certezza.
TESI XXVI. - Il testimonio umano, non solo storico ma anche dottrinale,
pu causare vera certezza. Las senso di fede un atto dellintelletto, che
posto sotto un qualche influsso diretto della volont. (p. 278-291)
Osservazioni preliminari. - Da questa tesi sino alla fine del capitolo dovremo
considerare anche linflusso della volont sul nostro intelletto. Ci sembra
quindi utile dare in sintesi alcune fondamentali considerazioni su questo
influsso, in modo da poterle poi agevolmente applicare ai problemi che si
presenteranno.
1. Che la volont influisca sul nostro intelletto anzitutto un dato interno di
coscienza: giacch spesso siamo coscienti di pensare quello che scegliamo e
vogliamo pensare. La giustificazione teoretica di questo fatto la possiamo
ricavare dalla natura stessa della volont, che tende al bene in genere, e quindi
pu tendere ad ogni bene (come il nostro intelletto conosce lente in genere, e
quindi pu conoscere ogni ente). Non v dubbio che tra i beni convenienti

alluomo c anche il vero, e quindi gli atti con cui possediamo il vero, e la
facolt elicitiva di questi atti; chiaro perci che la volont pu influire sul
nostro intelletto affinch ponga gli atti con cui possa pervenire a possedere il
vero. Per la stessa ragione si deve dire che la volont pu influire sui nostri
sensi, che sono i mezzi naturali di cui lintelletto si serve per conoscere il suo
oggetto.
Qui ci sembra utile fare subito una chiarificazione. La volont non tende se non
al bene che gli fa conoscere lintelletto (nihil volitum, nisi praecognitum). In
questo senso si deve dire che la causalit tra lintelletto e la volont mutua.
Lintelletto influisce sulla volont presentandole un vero come un bene; dopo,
la volont, appetendo questo bene, influisce sullintelletto perch possa
pervenire a possedere questo vero (come spieghiamo nel testo, a p. 288).
Per sviluppare una teoria esatta dellinflusso della volont sullintelletto,
necessario conoscere alcune determinate terminologie. Qui ne ricordiamo due.
1. La prima distingue linflusso della volont riguardo allesercizio dellatto
intellettivo e riguardo alla specificazione dellatto stesso. Si ha il primo influsso
quando la volont influisce perch latto si ponga (sia di semplice apprensione,
sia di giudizio). Si ha il secondo influsso quando la volont influisce perch
latto sia specificato da un oggetto formale piuttosto che da unaltro oggetto
formale (sia per quanto riguarda loggetto di una semplice apprensione, sia per
quanto riguarda loggetto di un giudizio).
2. La seconda terminologia distingue linflusso della volont in remoto e
prossimo, e suddivide linflusso prossimo in indiretto e diretto. Linflusso
remoto a fare una semplice apprensione assoluta di una cosa; linflusso
prossimo indiretto a fare una semplice apprensione comparativa, per trovare
in essa un motivo necessitante al giudizio; linflusso prossimo diretto a fare
un giudizio, che senza linflusso della volont non si potrebbe fare.
3. Queste terminologie non sono opposte, si possono integrare a vicenda, e
sono utili per proporre una prima teoria fondamentale dellinflusso della
volont sullintelletto.
Da quanto abbiamo detto sullastrazione del concetto universale dalle immagini
sensibili delle cose esterne, chiaro che si deve ammettere linflusso remoto
della volont: per soltanto riguardo allesercizio dellatto, e non riguardo alla
sua specificazione: perch la volont non pu influire sullintelletto perch
astragga dalla immagine sensibile, p.es. di un leone, un concetto che non sia di

leone.
Dalla nostra interna esperienza possiamo ricavare che si deve ammettere anche
un influsso prossimo indiretto, perch spesso, volendo capire una composizione
che ancora non comprendiamo, applichiamo la nostra intelligenza a compararne
attentamente i termini, e a confrontarli con un medio. In questo caso linflusso
della volont legittimo, perch legittimo aspirare a possedere il vero. Questo
influsso della volont di fatto prerequisito per lo studio delle verit difficili, e
specialmente per la comprensione di alcune verit morali e religiose: perch
come la negligente o cattiva volont pu influire a far s che lintelletto si
distragga e non attenda ai motivi, cos la volont diligente e virtuosa pu
influire a far si che lintelletto si concentri e attenda, e dopo lattenzione
finalmente veda, il motivo necessitante e decisivo. Anche in questo caso
linflusso della volont riguarda lesercizio dellatto, e non la sua
specificazione: perch una volta visto il motivo, questo stesso motivo che
necessi ta lintelletto al giudizio; e quindi in questo momento la volont non
pu pi avere un peso decisivo.
Resta ancora unultima domanda: si pu dare linflusso prossimo diretto, che
sempre riguardante la specificazione dellatto? Da quanto abbiamo or ora
accennato, possiamo legittimamente avvertire che davanti allevidenza
oggettiva intrinseca dellenunciabile, sia immediata che mediata, linflusso
della volont non pu avere un peso decisivo: perch il nostro intelletto, che
facolt visiva e necessaria, necessitato da questa evidenza al giudizio certo,
cio specificato dalla stessa evidenza.
Resta ora da esaminare quale peso possa avere la volont riguardo agli assensi
che non sono fondati nella evidenza intrinseca, cominciando con lesame
dellatto di fede fondato nella attendibile autorit dellattestante.
Prenozioni e prove. - Due problemi esaminiamo nella tesi. Anzitutto se il
testimonio umano pu causare vera certezza. Poi, quale sia la natura dellatto di
fede umana fondato nella attendibilit del testificante.
1. Il testificante (o attestante, o testimoniante, o semplicemente teste)
propriamente colui che, dopo aver conosciuto una verit, con segni esterni la
comunica ad altri, senza per procurare ad essi una evidenza intrinseca; ed in
questo il testificante differisce dal maestro, ed il testimonio dal magistero.
Secondo la sua connessione con la cosa conosciuta, il testificante si distingue in
immediato e mediato; secondo il tempo in coevo, quasi coevo, e remoto o
posteriore. (Ad evitare fraintendimenti, utile avvertire che nel linguaggio

usuale qualche volta il testimoniante detto anche testimonio).


2. Il testimonio (o testimonianza o testificazione) nel suo senso pi ampio
latto con cui il testificante manifesta agli altri la cosa che ha conosciuta. Il
testimonio si distingue anzitutto in divino ed umano, secondo che viene da Dio
o da un uomo; poi in storico e dottrinale, secondo che fa conoscere un fatto o
una dottrina; e poi in orale, scritto, o in qualunque altro modo significativo. Si
distingue inoltre in formale e materiale o virtuale, secondo che la testificazione
fatta con lintenzione di. testificare, o senza questa intenzione.
3. Col nome di autorit qui intendiamo ci che rende idoneo il testificante a far
credibile ci che attesta, ossia ad ottenere lassenso allenunciabile testificato.
Lautorit risulta da una duplice qualit del testificante, cio dalla sua scienza
(o cognizione certa) e dalla sua veracit (o sincerit), in modo che consti che
egli n si sbagliato, n ha voluto ingannare. Questa autorit del testificante
pu esser intesa a) o in senso stretto, cio come permanente ed abituale (che in
Dio assoluta ed illimitata, nella creatura partecipata e limitata),b) o in senso
lato, cio come contingente ed accidentale, ad es. in un testificante occasionale.
4. Col nome di credibilit intendiamo tutto ci che prerequisito per portarci
allassenso sopra un enunciabile testificato. In questo senso levidenza di
credibilit levidenza del fatto del testimonio, e della scienza e veracit del
testificante.
Qui opportuno avvertire che la scienza del testificante ci consta per la sua
veracit; ma perch consti necessario che si comprenda che essa fu,
nellattestante, possibile. La veracit dellattestante consta nel medesimo
fondamentale modo con cui consta la sincerit degli uomini, cio dalle
determinate circostanze di sincerit, comprese alla luce di alcune generali leggi
morali (p. es. che luomo socialmente comunicativo, che non mente quando
non ha alcuna ragione per mentire, ecc.).
5. Col nome di fede intendiamo latto di assenso che diamo ad un enunciabile
testificato. chiaro che perch questo assenso sia certo, si richiede che
lenunciabile sia accettabile come vero, in modo da escludere il timore
dellopposto. Si suol distinguere nella fede loggetto materiale, cio
lenunciabile testificato, e loggetto formale, cio lautorit dellattestante, la
quale, sebbene estrinseca allenunciabile testificato, per il fatto stesso della
testificazione con questo enunciabile necessariamente connessa.
6. Nella presente tesi anzitutto asseriamo, in opposizione allo scetticismo e

relativismo storico, che il testimonio storico pu, in determinate condizioni,


causare vera certezza (prima parte), e che pu causare certezza, in qualche caso,
anche il testimonio dottrinale (seconda parte). chiaro che il realismo
intellettualistico conviene col realismo storico spiegato nella tesi (si cfr. il testo,
p. 283-284).
Ci stabilito, faremo un breve accenno alla fede umana fondata nel testimonio
umano, limitandoci a considerare lassenso in quegli enunciabili testificati che
a) n sono per s noti, n sono risolvibili in un principio per s noto, e che b) si
presentano credibili per la sola attendibilit del testimonio dottrinale o storico
dellattestante. Ed asseriamo, in opposizione allesagerato volontarismo, che
lassenso di fede un atto giudicativo dellintelletto (terza parte); ed in
opposizione allesagerato razionalismo, che questo atto di fede posto sotto un
qualche influsso diretto della volont (quarta parte).
PRIMA PARTE. - Dalla necessaria connessione: Se ci consta il fatto del
testimonio storico, e la scienza e veracit dellattestante, ci consta che
lenunciabile testificato pu esser accettato come vero; e se ci consta che pu
esser accettato come vero, lo possiamo afferma re con fermezza e senza timore
dellopposto. Ora chiaro che qualche volta ci consta il fatto del testimonio, e
la scienza e veracit dellattestante, e quindi ci consta che lenunciabile
testificato pu esser accettato come vero. Dunque lo possiamo affermare con
fermezza, e senza timore dellopposto: ed in questo senso si deve dire che il
testimonio storico pu causare vera certezza.
Per stabilire la conclusione occorre mostrare che qualche volta possiamo
conoscere il fatto del testimonio, e la scienza e la veracit dellattestante. Lo
faremo in queste note sinteticamente, dando lo stesso schema sia nei riguardi
della vita umana, sia nei riguardi della storia (rimettendo per altri particolari a
ci che detto nel testo, p. 284-285).
1. Riguardo alla vita umana: a) Il fatto del testimonio, pu facilmente constare
per esperienza sensibile, quando p. es. si conosce la lingua e gli usi, e si
partecipa alla comune mentalit, ecc. b) La scienza possibile dellattestante,
pu constare quando p. es. comprendiamo che si tratta di un fatto semplice e
pubblico, che lattestante ha le facolt conoscitive normalmente ben disposte, e
la memoria capace di ritenere in modo facile le cose facili, ecc. c) Per la
veracit occorre distinguere quando si tratta di un solo testificante o di
parecchi. Se si tratta di un solo testificante, la sua veracit pu constare dai suoi
concreti segni di sincerit, ecc. specialmente se si tratta di persona ben
conosciuta per la sua abituale modestia e correttezza, ecc. Se si tratta di

parecchi testificanti, la loro veracit pu constare non solo perch in ciascuno


di essi si possono verificare le condizioni prerequisite per i singoli, ma anche
perch dalla loro convergenza si ricava un nuovo motivo per escludere una
menzogna collettiva.
2. Riguardo alla storia: a) Il fatto del testimonio pu facilmente constare
quando lo si legge, o lo si ha sotto gli occhi, e lo si sottopone ad esame
studiando la forma ed il modo suo proprio, tenendo presenti le consuetudini
della vita umana, ecc. b) La scienza possibile dellattestante, pu constare
quando il fatto riferito pubblico, illustre, facilmente divulgatale, e lattestante
coevo o quasi coevo, oppure gi noto per la erudizione con cui vaglia le;
testimonianze del passato, ecc. c) Per la veracit si richiede spesso una accurata
inquisizione. Se si tratta di un solo testimonio, la veracit pu constare quando
p. es. si sottopone la testificazione ad esame accurato, rilevando i concetti segni
di sincerit, considerando che i coevi avrebbero potuto facilmente contraddire,
o che la testimonianza non poteva essere interessata, in quanto la si sapeva
soggetta a forti difficolt, ecc. Se si tratta di parecchi testimoni, la veracit pu
constare p. es. quando, oltre alle condizioni prerequisite per i singoli, si verifica
che si tratta di testificanti tra loro indipendenti, che attestano in modi differenti
un fatto sostanzialmente identico: perch in questi casi, alla luce del principio
di ragione sufficiente, si ricava un nuovo e valido motivo per escludere la
menzogna preordinata.
SECONDA PARTE. - Occorre avvertire che altro prender atto di una
dottrina comunicata per dedicarsi ad investigare nel senso di questa dottrina, e
altro accettare questa dottrina come vera per il fatto che essa comunicata,
cio per fede umana nellautorit del dotto che la comunica. Qui intendiamo
semplicemente affermare che anche questo caso pu talvolta verificarsi.
Largomento sempre desunto dalla connessione col vero.
Se consta che una determinata dottrina comunica-ta come acquisita, con
sincerit scientifica, da un competente che pu averne la scienza, consta che la
dottrina comunicata pu esser accettata come vera; e quindi possiamo dare a
questa dottrina il nostro consenso certo. Orbene qualche volta possibile che
riguardo a qualche determinata dottrina si verifichino queste condizioni.
Dunque possiamo dare a questa dottrina il nostro consenso certo: e in questo
senso si pu dire che il testimonio dottrinale pu causare una vera certezza.
A chiarimento della conclusione ci limitiamo a rilevare: a) Il fatto della
comunicazione dottrinale pu facilmente constare, perch spesso basta
lesperienza sensibile, la cognizione della terminologia e la partecipazione della

mentalit scientifica, b) La sincerit scientifica anche pu facilmente constare,


specialmente quando si tratta di persona onestamente impegnata, dedita
seriamente allo studio, a cui una flagrante menzogna porterebbe gravi
inconvenienti, ecc. c) La loro scienza possibile non sempre pu facilmente
constare; ma non si pu escludere che qualche volta possa constare, p. es. a)
quando gi si conoscono gli studi precedenti dellattestante, la sua perizia nella
propria materia, ecc. b) quando si tratta di un esperimento importante per
determinare una teoria a cui pi studiosi gi attendono, o di un calcolo
matematico sviluppato in maniera nuova, o di una conclusione non
estravagante, ma coerentemente integrante le altre conclusioni gi acquisite,
ecc.
Nota. stato giustamente osservato che il testimonio dottrinale pi
facilmente ricevuto dai progrediti e dai dotti, perch questi sono in grado di
comprendere meglio il valore di una dottrina comunicata; e che senza la fiducia
in ci che comunicano i competenti nelle diverse materie, il progresso umano
scientifico non sarebbe possibile.
Per quanto riguarda la terza e quarta parte, ci limitiamo ad alcune spiegazioni.
Largomento della terza parte si desume dalloggetto della fede: In base al
principio a suo tempo illustrato, che le potenze conoscitive sono specificate
dallalto e latto dalloggetto, si deve concludere che latto di assenso in un
enunciabile vero non pu esser posto che dalla facolt la cui perfezione il
possesso del vero, cio dellintelletto. Ora chiaro che lassenso di fede in un
enunciabile comunicato come vero ed accettato come vero. Dunque latto di
fede posto dallintelletto.
Poich la verit si conosce perfettamente nel giudizio, latto di fede un atto
dellintelletto giudicante. Si veda la chiarificazione che proposta da S.
Tommaso, citato nel testo ap.287.
Nota. Qui crediamo sia utile una precisazione terminologica sulle diverse
evidenze. Nella tesi sullevidenza come criterio della verit abbiamo spiegato
che per evidenza intendiamo la chiara intelligibilit dellenunciabile, ossia la
necessit oggettiva dellenunciabile, in quanto manifesta alla mente. Questa
evidenza stata da noi distinta in evidenza intrinseca o estrinseca allo stesso
enunciabile. Levidenza intrinseca consiste nella chiara intelligibilit che
lenunciabile ha in s stesso, ed stata da noi distinta in immediata o mediata.
Levidenza intrinseca immediata si trova anzitutto negli enunciabili che

fondano la certa cognizione dei giudizi universali assoluti immediati, perch in


questi giudizi il motivo intrinseco alla apprensione comparativa dei termini
assolutamente considerati (principia stricto senso per se nota ad intellectum).
Poi si trova anche negli enunciabili che fondano i certi giudizi immediati
desperienza, perch in questi giudizi il motivo desperienza, sebbene
estrinseco ai termini assolutamente considerati, non pu dirsi estrinseco alla
comparazione dei termini concretamente considerati, cio alla evidenza
dellenunciabile che fonda il giudizio di esperienza (iudicium per se notum ad
sensum).
Levidenza intrinseca mediata si trova nella apprensione comparativa di due
premesse intrinsecamente evidenti che fonda il certo giudizio conclusivo,
perch allinterno di questa comparazione che gli estremi sono visti come
convenienti col medio, ossia come necessitanti al giudizio conclusivo.
Levidenza estrinseca si attribuisce a quegli enunciabili che hanno il loro
motivo non solo estrinseco ai termini assolutamente considerati, ma anche ai
termini concretamente considerati; e proprio in questo senso essi si dicono
fondati in un motivo estrinseco. Questi sono gli enunciabili credibili per la sola
autorit dellattestante, che esterna allenunciabile testificato, sebbene per il
fatto della testificazione sia con essi necessariamente connessa.
Largomento della quarta parte pensiamo sia fondato nel principio che il nostro
intelletto, essendo facolt essenzialmente visiva e necessaria, per s
necessitato quando vede la convenienza del predicato col soggetto, e non per
s necessitato quando non vede la convenienza del predicato col soggetto. Ora
chiaro che quando presente una genuina evidenza intrinseca
dellenunciabile, lintelletto vede la convenienza del predicato col soggetto;
quando invece questa evidenza intrinseca dellenunciabile non presente,
lintelletto questa convenienza non la vede. Da ci ne segue: a) che lintelletto,
in quanto visivo e necessario, per s determinato allassenso dalla sola
evidenza intrinseca, immediata o mediata; b) che quando presente la sola
evidenza estrinseca, lintelletto deve esser determinato da un influsso della
volont.
Che negli assensi di cui ora ci occupiamo non sia presente una evidenza
intrinseca, risulta dal fatto che, come abbiamo detto nelle prenozioni, non
consideriamo enunciabili immediatamente evidenti o mediatamente risolvibili
in un principio per s noto.
Che in questi assensi sia presente una evidenza estrinseca di credibilit, si pu

chiarificare osservando a) che il motivo per cui crediamo soltanto la


precognita evidenza del fatto del testimonio, e dellattendibile scienza e
veracit del testificante, e b) che questo motivo sufficiente a farci
comprendere che lenunciabile testificato credibile come vero, ed in questo
senso presentabile alla volont in quanto appetibile come bene dellintelletto.
superfluo aggiungere che in questo caso lappetibilit di questo bene deve dirsi
legittima.
Ci premesso, cos possiamo riassumere largomento. Dalla mancanza della
evidenza intrinseca: Lassenso di fede per la sola attendibile autorit
dellattestante umano, non fondato nella evidenza intrinseca dellenunciabile.
Dunque posto per un legittimo influsso diretto dalla volont.
COROLLARIO. - Dunque il consenso moralmente stabile e universale del
genere umano in alcuni enunciabili (che giustamente si dicono appartenere al
senso comune della natura), non solo valido per fare una argomentazione
indiretta, ma anche per causare in ciascuno di noi, con propria autorit, una
vera certezza.
In questo corollario facciamo un breve accenno a quei giudizi spontanei, certi
ed uniformi, che sono detti patrimonio del genere umano, perch stabilmente si
ritrovano, nel loro ovvio senso, in tutta o quasi la generalit degli uomini, e che
sono assunti a fondamento direttivo della vita umana, come p. es.: Esiste un
Nume superiore. Il bene si deve fare, ed il male si deve evitare. Lanima
sopravvive al corpo. La vita deve essere sociale. I patti legittimi devono essere
osservati, ecc.
Non abbiamo difficolt a concedere che questi giudizi, perch spontanei, certi,
e stabilmente direttivi della vita umana, non hanno ragione sufficiente se non
nella stessa natura dellintelletto umano; e quindi devono esser accettati come
infallibili, perch la natura in ci che necessario e fondamentale non pu
essere defettibile: come gi notava dallantichit M. T. Cicerone (Omnis autem
in re consensio omnium gentium, lex naturae putanda est), e vividamente
Tertulliano (Quanto communia, tanto naturalia: quanto naturalia, tanto divina).
Concediamo quindi che da questo uniforme consenso si pu argomentare
indirettamente, avvertendo che la negazione di questi giudizi si rifonderebbe
nella natura stessa del nostro intelletto. necessario per determinare
accuratamente questi argomenti.
Nel Corollario aggiungiamo che questo consenso moralmente uniforme ed
universale del genere umano, ed in questo senso di tutti gli uomini, pu

causare, anche sotto laspetto autoritativo, una sua propria certezza: in quanto
uno pu capire che tutti, collettivamente presi, giudicano meglio che lui solo.
La prova si desume dal fatto che il consenso moralmente uniforme ed
universale di tutti gli uomini, oltre la autorit che le individuali testimonianze
possono avere, acquista speciale peso di autorit quando considerato come
unione della persuasione di tutti, ed in questo senso come testimonianza di tutti.
Infatti, come dalla convergenza delle probabilit, alla luce del principio di
ragione sufficiente, si pu ricavare un nuovo motivo che non si pu desumere
dai singoli separatamente presi: cos dalla unione della persuasione di tutti gli
uomini, sempre alla luce dello stesso principio, si pu ricavare un nuovo
motivo di autorit, che non si pu desumere dalla sola testimonianza
individuale dei singoli.

ARTICOLO TERZO
LOpinione
Senso della ricerca. - Dopo la considerazione dellassenso certo, necessaria
anche una adeguata considerazione dellassenso non certo, che si risolve
sempre in una opinione, o di fatto vera, o di fatto falsa. Tratteremo quindi prima
della opinione in genere, e poi dellerrore. Riguardo alla opinione, non c
problema per la sua definizione; ma dobbiamo esaminare che cosa sia il timore
dellopposto che sempre implicato in ogni opinione. Poi dovremo esaminare
quali siano le cause dellopinione, cio quale sia il suo motivo, e quale sia
linflusso della volont. Infine faremo anche un breve accenno sulla relazione
tra le opinioni pi o meno probabili. Dellassenso erroneo tratteremo
nellarticolo seguente.
TESI XXVII: - Lopinione un assenso non fermo che implica una qualche
cognizione della possibilit dellopposto; si fonda sulla probabilit
dellenunziabile, e si pone sotto un influsso diretto della volont: perch
pu essere sia del vero che del falso, della pi probabile non si pu
concludere alla falsit della meno probabile. (p.292-298).
Prenozioni. - 1. Comunemente si ammette che lopinione uno stato
intermedio tra la fermezza propria della certezza e la sospensione propria del
dubbio; e che si distingue dal dubbio perch uno stato di assenso, e dalla
certezza perch un assenso non fermo (assensus infirmus), cio con timore
dellopposto. In questo senso la opinione si suol definire adesione della mente

ad una parte della contraddizione, ma con timore dellaltra. Mentre dunque la


certezza un assenso fermo perch fondata in un motivo necessario, la
opinione assenso non fermo perch fondata in un motivo contingente, cio
non necessitante.
Abbiamo gi spiegato nella tesi precedente che la espressione senza timore
dellopposto, in quanto si riferisce allintelletto certo, significa esclusione della
possibilit dellopposto. Quindi la espressione con timore dellopposto, che qui
usiamo per definire lopinione, significa: con una qualche cognizione della
possibilit dellopposto (cogitatio de opposito, o anche preoccupazione
dellopposto).
Qui si apre un problema: che cosa si deve intendere per cognizione della
possibilit dellopposto? Si deve intendere cognizione formale o virtuale? La
cognizione formale la cognizione attuale della possibilit dellopposto, cio
attualmente implicata nellatto stesso dellassenso opinativo (implicite
formaliter). La cognizione virtuale la cognizione virtuale della possibilit
dellopposto, cio virtualmente implicata nellatto stesso del giudizio opinativo
(implicite virtualiter); ossia la cognizione di alcuni aspetti oggettivi e
soggettivi del nostro giudizio opinativo, che sono requisiti e sufficienti per
portarci alla cognizione attuale della possibilit dellopposto.
Nel linguaggio usuale col nome di opinione qualche volta si intende sia il
giudizio opinativo diretto, sia il giudizio riflesso sulla opinabilit o probabilit
dellenunciabile. Noi qui per opinione intendiamo il giudizio opinativo diretto.
Ed asseriamo che, nel momento in cui poniamo questo giudizio, abbiamo la
cognizione virtuale dellopposto, in questo senso: che non essendo coscienti di
un motivo oggettivo necessitante e della fermezza del nostro assenso, cio
avendo una implicita coscienza di un motivo contingente e della non fermezza
nel nostro assenso, conosciamo ci che requisito e sufficiente per poter
riflettere sullatto opinativo gi fatto, e per conoscere attualmente che lopposto
possibile.
2. Ci premesso, cominciamo ad esaminare le cause dellassenso opinativo,
cio il motivo in cui questo assenso si fonda, e linflusso della volont sotto il
quale esso posto.
Riguardo al motivo, asseriamo che esso consiste nella probabilit o
verosimiglianza dellenunciabile opinato. Il verisimile non il vero, ma ci che
appare simile al vero, ossia ci che appare forse vero; quindi lapprensione di
un enunciabile verisimile, suppone che si sia gi conosciuto qualche vero, ma

consiste nel vedere lenunciabile come forse, cio probabilmente, vero. Mentre
quindi levidenza motivo oggettivo, assoluto e necessario, la probabilit
motivo contingente, relativo e complessivamente soggettivo: contingente,
perch non necessitante, relativo, perch non assoluto; soggettivo, perch cos
apparente al soggetto conoscente.
La probabilit si suole distinguere: a) in prevalente (detta anche assoluta) e non
prevalente (detta anche relativa), secondo che il motivo dellassenso vale ad
inclinare al giudizio tutti o quasi tutti gli uomini prudenti, o solo qualcuno; b)
in intrinseca o estrinseca, secondo che il motivo dellassenso si fonda sulla
natura verisimile dellenunciabile o soltanto sulla proporzionale, autorit di chi
lo presenta. utile ricordare che Aristotele chiama probabile ci che appare
approvabile a tutti o a molti, specialmente se pi prudenti, o pi dotti, o pi
stimati.
Nella tesi asseriamo che le cause dellassenso opinativo sono, ex parte obiecti,
una probabilit o verosimiglianza dellenunciabile; il quale essendo
contingente, non sufficiente a necessitare il nostro intelletto al giudizio. E
quindi asseriamo che lassenso opinativo, ex parte subiecti, non si pu porre se
non sotto un influsso diretto della volont.
3. Risolte queste questioni, passeremo ad esaminare altri problemi che sono
stati posti circa lopinione. Si suole considerare lopinione come un assenso
orientato verso la verit, anche se ancora non la raggiunge. Il primo problema
se lopinione cada su ci che vero o su ci che falso; il secondo problema,
supponendo concesso come ovvio che ci sono gradi nella probabilit, se dalla
opinione pi probabile, o addirittura probabilissima, si possa concludere alla
falsit della opinione meno probabile.
Rispondiamo che lopinione pu cadere sia sul vero che sul falso: cio che
lopinione o di fatto vera, o di fatto falsa; e da ci concludiamo che, supposto
un giudizio riflesso sulla graduale probabilit di alcune opinioni, non
possibile dalla pi probabile concludere alla falsit della meno probabile.
Divideremo quindi la prova della tesi in cinque parti. Nella prima diremo che
nellatto opinativo diretto vi virtuale cognizione dellopposto; nella seconda
che il motivo che inclina allopinione la probabilit dellenunciabile; e nella
terza che lassenso opinativo posto sotto linflusso diretto della volont.
chiaro che queste tre parti si integrano a vicenda. Quindi nella quarta e quinta
parte, dopo aver mostrato che lopinione pu essere sia di ci che vero, sia di
ci che falso, concluderemo che dalla pi probabile non possibile inferire la

falsit della meno probabile.


Opinioni. - Per ci che riguarda la prima parte, non ci sembra che ci sia vera
differenza tra gli Autori, se non fosse nel fatto che alcuni sotto il nome di
opinione comprendono anche il giudizio riflesso di opinabilit (in cui ci pu
essere la formale cognizione dellopposto) mentre noi nella tesi ci riferiamo al
solo giudizio opinativo diretto.
Per ci che riguarda la seconda e la terza parte, si oppone lesagerato
razionalismo che risolve lopinione nel solo atto intellettivo e lesagerato
volontarismo che attribuisce lopinione soprattutto o esclusivamente alla
volont. Al di fuori di queste tendenze, ci sembra che ci sia il comune consenso
per ci che si spiega nella tesi.
Per ci che riguarda gli ultimi problemi della quarta e quinta parte, non
conveniamo con alcuni Autori che sembrano concepire la probabilit maggiore
come pi vicina alla verit, e che sembrano dire che la volont deve essere
specificata da questa probabilit, come accenniamo nel testo a p. 294.
PRIMA PARTE. - Dalla unicit delloggetto formale. Abbiamo gi accennato
che occorre distinguere il giudizio riflesso sulla probabilit o sulla opinabilit
di un enunciabile, (che pu essere un interno giudizio riflesso certo) dal
giudizio opinativo diretto, che sempre non fermo.
Ogni assenso non fermo implica una qualche cognizione dellopposto: perch
se non la implicasse, lassenso sarebbe fermo, cio certo. Dunque anche
lopinione implica una qualche cognizione dellopposto. Ora nellatto diretto
della opinione non implicata una formale cognizione dellopposto. Dunque
implicata una cognizione virtuale.
Che nellatto diretto opinativo non sia implicata una formale cognizione
dellopposto, si pu giustificare in due modi. Anzitutto, avvertendo che se noi
conoscessimo formalmente che lopposto pu esser vero, sospenderemmo
lassenso, e resteremmo nello stato di dubbio o di suspicione. In secondo luogo,
avvertendo che un atto intellettivo non pu essere specificato che da un oggetto
formale, cio da un motivo. Ora se latto opinativo implicasse una formale
cognizione dellopposto, esso sarebbe specificato non da un oggetto formale,
ma da due, tra loro contradditorii, cio dal motivo che fa inclinare ad una parte
della contraddizione, e contemporaneamente dal motivo che fa inclinare
allaltra parte della contraddizione: il che appare manifestamente impossibile.
Dunque nellatto opinativo diretto non implicata una formale cognizione

dellopposto.
Questo argomento sar confermato quando concluderemo lanalisi dellassenso
erroneo. Altre chiarificazioni si possono vedere nel testo, a p. 295.
SECONDA PARTE. - Dalla necessit di un motivo: Ogni giudizio intellettivo
deve fondarsi su qualche motivo: perch altrimenti lintelletto giudicherebbe
contro la sua natura. Dunque anche il giudizio opinativo deve fondarsi su
qualche motivo. Ora questo motivo, dato che lopinione intermedia tra la
certezza e il dubbio, deve essere a) qualche cosa di pi che leguaglianza o
quasi eguaglianza del pr e del contro, che il motivo specificante la
sospensione propria del dubbio o della suspicione, b) deve esser qualche cosa
di meno della necessit dellenunciabile, che il motivo specificante la
determinazione propria della certezza; ossia non pu essere altro c) che la
probabilit o verosimiglianza dellenunciabile.
TERZA PARTE. - Dalla mancanza dellevidenza intrinseca: Come abbiamo
gi spiegato, lintelletto determinato allassenso o dalla evidenza oggettiva
dellenunciabile o da un influsso diretto della volont. Nella opinione non c
evidenza oggettiva dellenunciabile. Dunque c sempre un influsso diretto
della volont.
Nota. Il processo con cui noi di fatto perveniamo allopinione si pu cos
spiegare.
a) Prima il nostro intelletto si forma quei concetti che gli sono necessari per
formare lapprensione comparativa di un enunciabile, in ordine al futuro
giudizio.
b) Quando in questa apprensione comparativa vede un enunciabile
oggettivamente necessitante, forma il giudizio certo.
c) Quando invece apprende un enunciabile verisimile, lintelletto, dopo averlo
comparato col suo opposto, pu esser portato ad apprenderlo come conveniente
ad affermarsi.
d) Quindi la volont interviene, influendo sullintelletto perch trasformi la sua
apprensione del verisimile in assenso al verisimile.
e) Cos, sotto linflusso della libera volont, lintelletto forma un qualche
assenso, quasi presumendo che esso sia conforme alla realt.

Per la quarta e la quinta parte ci limitiamo in queste note ad un breve accenno


conclusivo.
Largomento della quarta parte si pu desumere dalla natura stessa dellatto
opinativo che, in quanto non fermo e implicante una virtuale cognizione
dellopposto, si deve dire non necessariamente connesso col vero, e quindi
possibilmente connesso sia col vero che col falso. In questo senso si deve
coneludere che lopinione pu cadere sia sul vero che sul falso. La conclusione
si conferma anche dalla nostra esperienza; ci accade infatti di verificare che
parecchie opinioni da noi avute, di fatto erano vere; e che altre, di fatto erano
false.
Largomento della quinta parte si desume da quanto ora detto. Se infatti ogni
opinione, anche quella pi probabile, pu esser sia del vero che del falso, anche
la opinione probabilissima, in quanto opinione, pu esser falsa. Quindi da essa
non si pu con certezza concludere che la meno probabile sia falsa.
Per unulteriore chiarificazione di questi argomenti, e di altre piccole questioni
riguardanti lopinine, rimandiamo a quanto riferito nel testo.
Note. Qui utile fare un breve accenno agli altri stati della mente di cui non
facciamo esplicita trattazione.
1. Il dubbio differisce dalla suspicione, in quanto la suspicione, pur essendo
senza assenso, inclinazione pi ad una parte della contraddizione che non
allaltra. Il dubbio definito come fluttuazione della mente tra le due parti della
contraddizione. Questo stato di fluttuazione si verifica propriamente nel dubbio
positivo, in cui lintelletto vede motivi pr e motivi contro. Ma poich il dubbio
detto stato di indeterminazione della mente, si parla anche di dubbio negativo,
in cui lintelletto n vede motivi pr n motivi contro; ed chiaro che questo
dubbio negativo affine allignoranza. utile avvertire che qualche volta,
impropriamente, si chiama dubbio la successione alterna di opposte opinioni. Il
dubbio si distingue in universale o particolare, reale o fittizio, metodico
(quando assunto come punto di partenza problematico per risolvere una
questione) o definitivo (quando ritenuto sino alla fine della questione, ed in
esso si rimane). Il dubbio si distingue inoltre in prudente ed imprudente,
secondo che o non fondato in un motivo ragionevole. utile anche rilevare
a) che possiamo sempre uscire dal dubbio con un giudizio riflesso certo sulla
dubitabilit di due enunciabili opposti, e b) che consentaneo al nostro
intelletto affermare la verit per motivo di evidenza, o sospendere lassenso

quando non c levidenza, per evitare il pericolo dellerrore.


2. La disposizione pu essere naturale e spontanea, o artificialmente acquisita.
Sopratutto in questo senso, si distingue in remota e prossima; e secondo questa
seconda caratteristica si suole propriamente chiamare disposizione. La
disposizione acquisita prossima merita speciale considerazione in chi ha fatto
progresso nello studio di una scienza, in quanto meglio disposto a procedere
ulteriormente.
3. La ignoranza si distingue dalla semplice nescienza (che pura assenza di
scienza) perch implica privazione della scienza che si dovrebbe avere. utile
qui fare un accenno allorigine dellignoranza. Da parte dellintelletto, la
ignoranza originata dal fatto che il nostro intelletto conosce successivamente,
dovendo formare molti concetti di una stessa cosa, per arrivare a conoscerla
sempre un po di pi, desumendo questi suoi concetti dalle cose sensibili, che
sono materiali, e in questo senso meno intelligibili. Da parte della volont, la
ignoranza dipende anche da incombenti preoccupazioni esteriori, ma
soprattutto dipende da pigrizia, o leggerezza, o presunzione, o superbia. Poich
lorigine dellignoranza ha affinit con lorigine dellerrore, utile averla
considerata prima di trattare esplicitamente dellerrore.

ARTICOLO QUARTO
LErrore
Senso della ricerca. - La questione dellerrore sotto diversi aspetti interessa il
filosofo. Anzitutto per poter esattamente stabilire in che cosa consista, quali
siano le sue origini, e quale possa essere la sua propria spiegazione; poi per
prendere esplicita coscienza dei modi con cui pu essere evitato; ed infine per
poter ulteriormente concludere quando non sia possibile, e quando e come sia
possibile.
TESI XXVIII. - Lerrore il giudizio falso, che originato dalla
defettibilit del nostro intelletto e della nostra volont; la sua natura
sembra propriamente spiegabile avvertendo che lintelletto erra perch
pronuncia una falsa sentenza su ci che ignora. (p. 289-307)
Prenozioni. - 1. Non difficile stabilire che cosa sia lerrore, perch gi nella
cognizione spontanea abbiamo chiara coscienza della conoscenza vera e della
conoscenza falsa. La difficolt comincia quando si cerca di spiegare come la

conoscenza falsa sia possibile. Nella tesi cominciamo con lasserire che lerrore
ladesioine della mente al falso, ossia il giudizio falso.
2. Conseguentemente a questa prima definizione, facile osservare che lerrore
ha per fondamentali caratteristiche che sia un atto positivo di assenso, mai
connesso col vero. Conseguentemente a quanto abbiamo spiegato nella tesi
precedente, lerrore si deve dire: a) assenso, per quanto riguarda lintelletto,
non fermo (assensus infirmus), perch non necessitato da una evidenza
oggettiva, b) che implica virtuale cognizione dellopposto, perch specificato
da un solo oggetto formale, c) fondato in una apparente verosimiglianza
dellenunciabile, perch, in mancanza di motivo evidente, lintelletto non pu
essere inclinato allassenso se non dallapparente verisimile, d) posto sotto
linflusso diretto della volont, perch lapparente verisimile non da solo
sufficiente a determinare la mente al giudizio. Avremo occasione di confermare
queste osservazioni anche nella conclusione della presente tesi.
3. Stabilita la nozione e le caratteristiche dellassenso erroneo, passiamo ad
esaminare quale sia la sua origine; ed avvertendo che essa affine a quella
della ignoranza, asseriamo nella tesi che lerrore originato dalla difettibilit
del nostro intelletto e della nostra volont. Per quanto riguarda la deficienza
della nostra volont, chiaro anzitutto che essa deve dirsi maggiore o minore
secondo che la volont pi o meno pertinacemente vuole e conserva lassenso
erroneo. Aggiungiamo inoltre che linflusso della volont deve dirsi pi o meno
imputabile secondo che lerrore moralmente vincibile o invincibile; e secondo
che non c o c una causa scusante: sempre per ritenendo che in ogni caso
c di fatto una qualche almeno minima inordinazione (inordinatio) della
volont.
4. Dopo aver spiegato le origini dellerrore, resta aperta la possibilit di iniziare
una qualche propria spiegazione dellerrore. Si sono proposte due formule, che
ci sembrano fondamentalmente convenienti. La prima che lintelletto,
errando, estende il suo assenso oltre ci che ha appreso, nel senso che a ci che
ha appreso della cosa quasi sovrappone qualche altra apprensione che di fatto
non ha appreso. La seconda che lintelletto, errando, proferisce una sentenza
falsa su ci che ignora, presuntuosamente dicendo essere ci che non , o non
essere ci che . Noi preferiamo usare questa seconda formula.
Prima diremo che lerrore si pu legittimamente definire giudizio falso (prima
parte); poi, che originato dalla difettibilit della volont e dello stesso
intelletto (seconda parte); infine, che si pu propriamente spiegare come falsa
sentenza su ci che si ignora (terza parte).

Ulteriori spiegazioni sulla natura, sulle caratteristiche e sulle cause dellerrore


saranno accennate nelle Note e nel Corollario.
Opinioni. - La tesi comunemente accettata nel realismo intellettualistico; e
trova consenzienti anche Filosofi di altre tendenze.
In genere si pu dire che gli Scettici negarono la possibilit di distinguere la
certezza dallerrore; ed inclinarono a dire che lerrore atto del solo intelletto.
Tra i razionalisti, SPINOZA afferm che la cognizione intellettiva sempre
intuitiva del vero, e spieg lerrore come cognizione incompleta. Alcuni
Idealisti neohegeliani concepirono lerrore come momento negativo del
processo dialettico della cognizione.
DESCARTES attribuisce lerrore alla sola volont, in questo senso: che
lintelletto finito, e la volont di capacit infinita; quindi la sola volont pu
estendersi oltre a ci che stato conosciuto dallintelletto.
Anche CROCE asserisce che lerrore non pu esse-re che un abuso della
volizione: Se non fosse cos, quale garanzia avrebbe mai la verit? Se una sola
volta si potesse errare in pura e perfetta buona fede, e la mente potesse
confondere vero e falso, abbracciando il falso come vero, come si potrebbe pi
distinguere luno dallaltro? Il pensiero sarebbe radicalmente corrotto, laddove
esso , radicalmente, incorrotto e incorruttibile (Filosofia della pratica, 7 ed.
Laterza 1957, p. 45).
PRIMA PARTE. - Dalle caratteristiche dellerrore: Una buona definizione
dellerrore si ottiene indicando ci in cui lerrore conviene con gli stati della
mente pi prossimi, e ci in cui da essi differisce. Ci in cui conviene.
cui conviene, che sia stato di assenso, perch verit e falsit si trovano nel
giudizio, escludendosi per a vicenda. Ci in cui differisce, che sia assenso
nel falso, perch con questa espressione si indica non solo ci in cui lerrore
differisce dallassenso certo, che sempre determinato al vero, ma anche
dallassenso opinativo in genere, che pu essere del vero e del falso. Dunque si
pu dare una buona definizione dellerrore dicendolo assenso nel falso, cio
semplicemente giudizio falso.
SECONDA PARTE. - Dalle cause che impediscono la cognizione vera.
Lerrore un giudizio falso, cio una falsa composizione di predicato e

soggetto, fatta dal nostro intelletto, che facolt visiva e necessaria


naturalmente ordinata al vero. Da ci ne segue che lorigine dellerrore deve
esser ricercata nelle cause che impediscono a questo nostro intelletto di
raggiungere la verit.
Una causa si trova sicuramente in una deficienza della nostra volont. Infatti,
lintelletto, in quanto facolt visiva e necessaria, non pu esser determinato se
non dallevidenza oggettiva dellenunciabile, che nel caso dellerrore non mai
presente. Dunque il nostro intelletto determinato da un influsso diretto della
volont: il quale si deve dire sempre in qualche modo indebito ed inordinato,
perch lerrore un male per lintelletto.
Unaltra causa deve dirsi una deficienza dello stesso nostro intelletto. Infatti, in
tanto lintelletto viene ad un assenso incerto, in quanto apprende un enunciabile
apparentemente verisimile, come abbiamo gi spiegato. Ora in questa
apprensione lintelletto sotto due aspetti deficiente: in quanto apprende come
simile al vero ci che dal vero difforme; ed in quanto propone alla volont
come appetibile bene, ci che invece da escludersi come male.
Possiamo quindi concludere che lorigine dellerrore da ricercarsi nella
defettibilit della nostra volont e dello stesso nostro intelletto.
TERZA PARTE. - Dallorigine dellerrore. Una propria spiegazione
dellerrore si pu legittimamente dare con una formula che esprima la natura
dellerrore e le cause da cui lerrore originato. Ora per il fatto che lerrore
detto falsa sentenza dellintelletto, si esprime a) la sua natura, che quella di
esser giudizio falso, b) la sua origine da parte della volont, perch senza
linflusso della volont il giudizio falso non si porrebbe. Per il fatto poi che
lerrore detto circa ci che ignora, si esprime c) la sua origine dallo stesso
intelletto, che partendo da qualche indizio o segno generale ed oscuro, porta
presuntuosamente il suo assenso su ci che non sa, e che realmente non c
(recedendo in questo senso dalla sua naturale ordinazione alla verit, secondo
la quale dovrebbe, o aderire a ci che realmente evidente, o sospendere la sua
adesione, limitandosi a qualche giudizio riflesso).
Note esplicative. Volendo continuare nella spiegazione dellerrore,
conveniente fare un accenno al processo con cui ci si perviene, ad altre sue
caratteristiche, alla sua causa prossima, e ad alcune principali cause meno
prossime e remote, dalle quali pi ovvio guardarsi.
1. Il processo con cui di fatto si perviene allerrore si pu cos spiegare.

a) Il nostro intelletto conosce con certezza spontanea, sia metafisica, sia


reduttivamente metafisica, sia fisica e morale, sia fondata nellautorit, molte
verit sulle quali si fonda la concreta vita umana, sia in senso speculativo che
pratico.
b) A somiglianza di queste verit lintelletto di fatto forma parecchi assensi
opinativi. Quando alcuni di questi assensi cadono sul falso, si comincia a
incorrere nellassenso erroneo, che deve sempre dirsi imprudente e sfortunato.
c) Siccome per nelle nostre opinioni si trova pi frequentemente la verit che
la falsit, e non sempre si scopre chiaramente un errore gi fatto, pu sorgere la
inclinazione ad aderire a ci che pi probabile, o probabilissimo, come se
fosse certo. Cos pu sorgere la non legittima consuetudine di confondere
levidenza non genuina con levidenza genuina.
d) Da questa consuetudine si pu passare alla formazione dei pregiudizi falsi,
ed al sentimento di ritenerli e di applicarli; e cos si pu arrivare a formare
quelli che si chiamano mali habitus errandi, dai quali potrebbe esser
condizionata la ulteriore speculazione.
2. Altre caratteristiche dellerrore. Ad alcuni passi assai opportuni di S.
Tommaso, citati nel testo a p. 303, crediamo utile aggiungere alcune altre
considerazioni.
Gli Scettici asseriscono che quando erriamo, erriamo senza conoscere di errare,
perch se lo conoscessimo, non cadremmo nellerrore; e da ci concludono che
forse sempre sbagliamo senza sapere di sbagliare. A questa obiezione si suole
rispondere che, nel giudizio erroneo diretto, non conosciamo formalmente di
errare, ma lo conosciamo virtualmente, nel senso che in ogni giudizio non
fermo conosciamo virtualmente la possibilit dellopposto, come abbiamo
accennato nella tesi sullopinione, parte prima.
In questo stesso senso da avvertire che lerrore assenso nel falso, ma non nel
falso conosciuto come falso, e nemmeno nel falso conosciuto come vero., ma
nel falso illusoriamente appreso come verosimile e forse vero; come abbiamo
gi accennato nella tesi della falsit, nella nota conclusiva dopo la terza parte.
3. Per quanto riguarda la causa prossima dellerrore, si deve dire che, come la
causa prossima dellassenso vero la legittima complessit dellenunciabile
oggettivamente appreso come evidente, cos la causa prossima dellassenso

erroneo la illegittima complessit dellenunciabile illusoriamente appreso


come verisimile. Questa illegittima complessit si suol chiamare indebita
composizione (indebita compositio). Quindi la ricerca di ogni altra causa meno
prossima o remota dellerrore, deve esser indirizzata alla ricerca di ci che pu
concorrere a causare la indebita composizione, p. es. principi in parte veri ed in
parte falsi, termini medii non congruenti, false complessit di fantasmi
accoppiati o volutamente provocati, e cos di seguito.
4. Tra le cause meno prossime e pi o meno remote dellerrore, si possono
considerare la confusione in quanto porta alla equivocazione; i diversi modi
con cui la non ordinata volont interviene a distrarre ed a perturbare lintelletto;
la trascuratezza di ci che rende efficace lo studio; la ostentazione e malizia del
sofista; la superficialit, la presunzione e la superbia intellettuale. Di queste
facciamo qualche esplicita menzione nel testo, p. 303-304.
COROLLARIO. - Dunque nessun atto di opinione, e nessun atto di errore, si
pu dire fisicamente necessario sebbene di fatto sia moralmente impossibile
astenersi da ogni opinione ed evitare ogni errore.
Che nessun atto di opinione e di errore sia fisicamente necessario, si deduce
dalla natura del nostro intelletto, che necessitato soltanto dalla evidenza
oggettiva; perci lintelletto non pu esser mai fisicamente, cio naturalmente,
necessitato dalla sola verosimiglianza. E perch la enunciabilit di un
verisimile non appresa dal nostro intelletto come semplicemente bene, ma pu
esser solo appresa come un bene particolare, la nostra volont non mai
necessitata ad imporre una opinione o un errore.
Che astenersi da ogni opinione sia moralmente impossibile, si pu dedurre dalla
inclinazione al vero ed al bene del nostro intelletto e della nostra volont, e
dalla difficolt che di fatto spesso si prova a sospendere ogni as-senso quando
non c la genuina evidenza, ed a limitarsi a qualche giudizio riflesso: tanto pi
che non di rado un enunciabile appreso in un primo momento solo come
probabile, in un secondo momento o si riesce a dimostrarlo, o lo si verifica
come vero.
Che evitare ogni errore sia moralmente impossibile, lo si pu dedurre: a) per
parte dellintelletto, dalla debolezza del nostro lume conoscitivo, dalla oscurit
e complessit del nostro oggetto, dalle esigenze impellenti della vita pratica,
ecc.; b) per parte della volont, dalla difficolt di sospendere ogni assenso
quando non c la genuina evidenza, specialmente quando la volont inclinata
alla precipitazione dalle circostanze o dagli impulsi.

A ultima conferma di quanto abbiamo detto per spiegare come sia possibile che
il nostro intelletto, naturalmente ordinato alla verit evidente, cada nellerrore,
si possono leggere le risposte che diamo alle difficolt proposte nel testo a p.
305-307.
Osservazioni conclusive. - Esiste in ogni uomo la certezza spontanea che si
conosce la verit quando si giudica essere ci che o non essere ci che non .
Questa certezza spontanea si giustifica sin dallinizio della riflessione filosofica
come autentica certezza naturale. Su questa certezza naturale del fatto del
giudizio vero (o assenso vero, o composizione vera o predicazione vera)
abbiamo fondato le nostre ricerche sulla natura della verit da noi conosciuta.
1. Sul fatto della predicazione vera abbiamo anzi-tutto fondato la nostra ricerca
sulla verit del concetto, cominciando col riconoscere che formiamo concetti
oggettivi. Poi dal fatto della predicazione orale e mentale vera abbiamo
mostrato che abbiamo concetti universali irriducibili ai singolari e collettivi:,
che sono oggettivi della realt. Quindi rilevando che la predicazione vera
predicazione per identit reale del predicato e del soggetto, in cui il predicato
detto del soggetto come tutto di un tutto, abbiamo escluso la esistenza di una
realt universale separata dai singolari o realmente distinta dai principi
individuanti. Infine, sempre sistematicamente fondandoci sulla verit della
predicazione, abbiamo mostrato che astraiamo luniversale diretto, il quale
oggettivo delle cose simili secondo ci che si concepisce, e che formiamo
luniversale riflesso, il quale fondato remotamente nelle stesse cose in quanto
simili.
2. Considerando il giudizio vero come composizione vera, cio come
composizione di due concetti oggettivi affermati come identici nella realt,
abbiamo sviluppato la ricerca sulla natura, le caratteristiche e le cause della
verit da noi conosciuta, mostrando che la sua essenza consiste nellessere
conscia adeguazione dellintelletto e della cosa; che la sua caratteristica
generale di essere oggettivamente assoluta ed immutabile e soggettivamente
relativa e mutevole; e che la sua causa o motivo la chiara intelligibilit
dellenunciabile, cio la necessit oggettiva dellenunciabile in quanto
manifesta alla mente. Quindi abbiamo completato lo studio della verit del
giudizio considerando la falsit secondo la sua definizio-ne e la sua
opposizione contraria alla verit.
3. Se la verit a cui tende lintelletto come a sua perfezione pienamente
posseduta nellatto del giudizio, si deve conchiudere che latto terminale della

mente il giudizio, perch anche il raziocinio tende come a suo fine ad un


giudizio. Precisamente sotto questo aspetto abbiamo studiato la verit del
raziocinio come fondante il giudizio mediato. La nostra ricerca ha cominciato
con lo studio della verit della conseguenza, particolarmente illustrando la
verit conseguenziale del sillogismo. Poi siamo passati allo studio di ci che
prerequisito per ottenere la verit del conseguente, e cos abbiamo illustrato la
verit dei principi strettamente per s noti, dei principi per esperienza noti, e del
primo principio per s notissimo di non contraddizione. Infine, per completare
la dottrina dei primi principi, abbiamo chiarito che quelli per s noti si
acquistano per induzione astrattiva, e quelli per esperienza noti per induzione
argomentativa, cogliendo cos loccasione per spiegare la legittima struttura
formale di quella specie di argomentazione che si chiama induzione
argomentativa. Cos abbiamo proposte le considerazioni fondamentali per la
giustificazione della logica formale e materiale aristotelica, come essa si
sviluppata ed ampliata.
4. Sempre rimanendo sul piano del giudizio, cio dellassenso, abbiamo
riassunto ed illustrato le caratteristiche principali del nostro assenso mentale,
cominciando dalla spiegazione della certezza in genere, della certezza fondata
nella evidenza intrinseca, della certezza causata dal testimonio umano, della
certezza di fede fondata nella attendibile autorit di un uomo attestante. Poi
abbiamo studiato ci che appartiene allassenso, per parte dellintelletto, non
fermo, cio allassenso opinativo ed allassenso erroneo, spiegando in
particolare come sia possibile lerrore, ed indicando i mezzi idonei per poterlo
evitare.
In questo senso, sempre fondandoci sulla verit del giudizio, abbiamo iniziato e
completato il nostro studio sulla natura della verit.

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