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PERSONAGGI

L'AUTORE
IL MONDO
IL RE
LA PRUDENZA
LA LEGGE DI GRAZIA
LA BELLEZZA
IL RICCO
IL CONTADINO
IL POVERO
UN BAMBINO
UNA VOCE
MUSICANTI
[Scena prima]
Entra l'Autore, con manto di stelle e raggi intorno al capo.
AUTORE
Edificio leggiadro
dell'inferiore, varia architettura
che tra ombre e fondali
alla celeste rapisci riflessi
poich con fiori belli
e innumeri tu emuli le stelle
e splendendo componi
un cielo umano di caduchi fiori;
campagna di elementi,
di monti, folgori, pelaghi e venti:
venti tra i quali, lente
imbarcazioni, veleggiano uccelli;
pelaghi e oceani dove in fitte schiere
vanno volando creature marine;
folgori ove divampa
ciecamente la collera del fuoco;
monti pei quali vagano
gli uomini e gli altri esseri viventi;
tu che in costante guerra
sei un mostro d'aria e fuoco, d'acqua e terra
e che sempre diverso
l'opera prima sei dell'universo
e prodigio felice, incomparabile
e per usare un solo nome, Mondo,
che come la Fenice nasci sempre
dalle tue ceneri...
[Scena seconda]
Entra il Mondo, da un'altra porta.
MONDO
Chi mai mi chiama,
chi dal roccioso centro
di questo globo che mi chiude e cela
mi trae con ala rapida?
Chi a me stesso mi strappa e fa il mio nome?

AUTORE
Il tuo Autore sovrano.
Della mia voce un alito, un sol cenno
della mia mano t'hanno dato forma
e una figura all'oscura materia.
MONDO
Che vuoi dunque da me, quali i tuoi ordini?
AUTORE
Come tuo Creatore, a te, fattura
mia, affido che sia data
esecuzione a un mio divisamento.
una festa che voglio
allestire a me stesso, giacch tutto
fa Natura affinch la mia grandezza
sia manifesta; e se quel che pi piace
una commedia ben rappresentata
ed l'umana vita uno spettacolo,
sia una commedia quanto
il cielo oggi vedr nel tuo teatro.
Io l'Autore, le mie creature attori
che con stile adeguato
alle parti che assegno sulla scena
del mondo sapran dare
vita. A ciascuno d'essi
dar il ruolo pi adatto
e affinch nella festa abbiano parte
gli scenar, il vestiario,
quanto diletti l'occhio,
voglio che tu, con ridente lusinga,
mi fabbrichi parvenze
che abbian l'aspetto della verit.
Dell'opera cos saremo, Autore
io, tu il teatro, l'uomo chi vi recita.
MONDO
Autore mio liberale
al cui potere e accento
deve ogni cosa obbedienza,
io, gran teatro del mondo,
perch vi possano gli uomini
rappresentare e ciascuno
trovi predisposto ci
ch' necessario alla parte,
obbediente (in quanto mero
esecutore di ordini
ch se pure mia l'azione
sei tu a compiere il miracolo),
in primo luogo, poich
d pi piacere, pi gusto
non vedere il palcocenico
prima ch'entrino in scena
gli attori, lo coprir
tutto con un velo nero,
caos dove gli elementi
stiano confusi, in disordine.
Ma dissoltasi la nebbia
fuggir il vapore oscuro
e affinch splenda il teatro
(ch senza luce non c'

vera festa) brilleranno


due astri: il divino faro
del giorno e il notturno lume
al quale mille rubini
faranno ardente corona.
Nel primo atto, un intreccio
semplice e candido ancora
della legge naturale,
si vedr un vago giardino
dagli splendidi disegni
e geniali prospettive,
da chiedersi come senza
maestro sia stata in grado
Natura di fare tanto.
Appena dischiusi i fiori
dai loro rosei boccioli
vedranno come in un velo
con occhio vergine l'alba.
Dolce peso per i rami
saranno gustosi frutti,
se la serpe dell'invidia
non vi cela gi il veleno.
Sui sassi s'infrangeranno
mille vetri e mille gocce
di rugiada specchieranno
l'alba ridente nel pianto.
E affinch spicchi di pi
l'umano cielo, gi penso
fargli intorno una cornice
di campagne incolte e brulle.
Dove serve disporr
monti e vallate profonde,
far che scorrano fiumi
nei letti, braccia che il mare
manda libere pel mondo.
Spoglio di edifici, nudo
lo scenario, si andr poi
popolando di repubbliche,
di citt, forti, castelli.
Ed apparse le montagne
gravi sulla terra, immani
nell'aria, a un tratto ogni cosa
muter, ch un mare d'acqua
coprir tutto, un diluvio.
Ma di mezzo al mareggiare
delle onde, nel riflesso
errante sotto le nubi
ecco che ara le acque
sicura un'imbarcazione
recando in salvo nel grembo
uomini, uccelli e animali.
Ed al segno che nel cielo
traccer di nuova pace
l'arcobaleno, la massa
dei flutti si schiuder
e in obbedienza alle leggi
antiche far che emergano
testa e volto della terra
che scotendosi dal giogo
mostrer le sue fattezze,
sia pure provate e spente.
Posta fine al primo atto

avr il suo inizio il secondo,


della legge scritta, in cui
spesseggeranno le immagini;
si dovran vedere infatti
fuggitivi dall'Egitto
guadare gli ebrei il mar Rosso
a piede asciutto ed il sole
ritiratesi le acque
ragger su abissi ignoti
fin qui celati al suo sguardo.
Con due colonne di fuoco
far luce nel deserto
dal quale dovr sbocciare
la terra a lungo promessa.
Per ricevere la Legge
a un duro monte Mos
rapir una nube, colta
nel suo veloce viaggiare.
E quest'atto finir
con un'eclissi in cui il sole
sembrer vicino a morte.
In un ultimo sussulto
si vedr l'orbe oscillare
annientando nel suo moto
i solstizi e gli equinozi.
Scossi nelle fondamenta
monti e mura tremeranno
seminando di rovine
il luogo dove si ergevano.
Comincer il terzo atto
con l'annuncio di pi grandi
portenti, segni ch' il tempo
della legge della grazia.
E cos in questi tre atti
si dir delle tre leggi
e delle tre et che il mondo
ha conosciute. E alla fine
sar invaso il palcoscenico
da una gran luce, da un fuoco
che ben si accorda alla festa.
da stupire se il labbro
balbetta, se ammutolisco?
Alla sola idea mi prende
un tremore, uno sgomento;
mi atterrisce il solo dire
quel che accadr... Ma la scena
si allontani, non la veda
alcun secolo futuro!
Molti saranno i prodigi
nei tre atti e dar a ognuno
d'essi il rilievo che merita.
Questo quel che ho predisposto
per il teatro; non manca
che il vestiario, ma son certo
che l'hai in mente, come tutto
quello che concerne gli uomini,
prima ancora che abbian vita.
E perch entrino in scena
e ne escano, ho pensato
di preparare due porte:
una quella della culla,
l'altra sar della tomba.

Affinch poi non difetti


nulla dell'abbigliamento
a seconda delle parti,
a chi far il re dar
corona, porpora, alloro;
all'audace capitano
onori e armi; a chi deve
far da priore, libroni
e carte da meditare.
Ciascuno poi mostrer
qual il suo stato: obbedendo
il religioso; insultando
il facinoroso; al nobile
riserver grandi onori,
lascer libero il volgo.
Al contadino che deve
per colpa d'uno sventato
render fertile la terra
con la fatica, dar
gli strumenti convenienti.
A chi deve far la dama
ogni belt e perfezione,
dolce veleno per molti.
Solo al povero, cui tocca
la parte di andare ignudo
non dar niente; ma tutti
avranno quello che serve
e non potranno poi dire
che l'abito non andava,
e se ci sar chi recita
male, sar sua la colpa.
Ora tutto pronto e dunque
a me, uomini: indossate
queste vesti e siate attori
nel gran teatro del mondo!
Esce.
AUTORE
Mortali ancora non nati
ma che gi chiamo mortali
giacch ancor prima di essere
mi state innanzi: sebbene
non udiate la mia voce
venite in questo verziere
dove io cinto d'alloro
tra cedri e palme vi aspetto
per dividere tra voi
le parti di questo giuoco.
[Scena terza]
Entrano il Ricco, il Re, il Contadino, il Povero con la Bellezza, la Prudenza e un Bambino.
RE
Eccoci pronti a obbedirti,
nostro Autore e Creatore,
noi che ancor prima di nascere
siamo gi nella tua mente.
L'anima coi suoi poteri
e le sue virt, la vita,

la ragione, nulla nostro


n abbiamo forma o figura:
polvere siamo ai tuoi piedi.
Ma tu prestale il tuo soffio,
ci leveremo e faremo
la parte che ci hai assegnata.
BELLEZZA
Siamo, ma nella tua mente,
per noi stessi non viviamo,
non abbiamo tatto o sensi
n male sentiamo o bene;
ma se vuoi che nel tuo mondo
si debba rappresentare,
da' a ciascuno la sua parte
e ciascuno obbedir
a ci che avrai stabilito.
CONTADINO
Oh Autore mio sovrano
che solo oggi conosco,
sono pronto ai tuoi comandi
in quanto creatura tua
e poich tu sai, n Dio
pu ignorarlo, quale parte
mi si addice, se sbagliassi
a interpretarla sar
colpa mia, non della parte.
AUTORE
Non ignoro che se l'uomo
avesse modo di scegliere,
nessuno vorrebbe fare
la parte di chi patisce,
tutti quella di chi impera
e governa: ciechi al fatto
che in questa recita ognuno
non fa che rappresentare
mentre s'illude di vivere.
Ma, come Autore, io so bene
quale parte sia pi adatta
a ciascuno, ed cos
che le assegno. Tu, fa' il Re.
D a ciascuno la sua parte.
RE
Grande onore mi si offre.
AUTORE
Tu la dama, in cui racchiusa
ogni bellezza terrena.
BELLEZZA
Gioisco del privilegio.
AUTORE
Tu farai il Ricco, il potente.
RICCO
Dunque nasco fortunato.

AUTORE
E tu farai il Contadino.
CONTADINO
Che parte , ci guadagno?
AUTORE
Sappilo, un duro lavoro
che ti tocca.
CONTADINO
Duro? Allora
lavorer controvoglia.
Sebbene figlio d'Adamo
ve ne scongiuro, signore,
non mi date questa croce;
pur di evitarla, rinuncio
a ogni bene e propriet,
giacch ho il presentimento
che sar un gran fannullone.
Mi dice qualcosa dentro
che varr poco a zappare
e in tutti gli altri mestieri;
e se potesse servire
dire non ci sto, l'avrei
gi detto, ma temo proprio
che con un simile autore
non serva, e allora sar
fra tutti nella commedia
quello che recita peggio.
Nella vostra gran saggezza
il mestiere che mi avete
assegnato in proporzione
all'ingegno, ch mandate
il freddo secondo i panni;
giusto, non me ne lagno
e che ho gi il vostro perdono
lo dice la particina
che far, certo, ma adagio;
non vorrei stancarmi troppo.
AUTORE
E tu farai la Prudenza.
PRUDENZA
condizione invidiabile.
AUTORE
E tu il misero, il mendico.
POVERO
Proprio a me deve toccare?
AUTORE
Morrai, tu, senza esser nato.
BAMBINO
La parte non difficile.
AUTORE
Ho provveduto a che tutti
rappresentino, e ciascuno

ha avuto la parte adatta


alle sue spalle.
POVERO
Potessi
evitarla, lo farei.
assai grama in verit,
ma poich pi che lagnarmene
non m' dato, la far;
ma almeno ascolta, signore,
quello che penso al riguardo.
Perch mai toccata a me
questa parte? Gli altri godono:
solo io debbo patire?
Non ho forse anima uguale
a chi fa il re? I miei pensieri
e sentimenti non sono
gli stessi? E allora perch
fra noi tanta differenza?
Se m'avessi fatto, dico,
d'altro fango e un altro spirito
m'avessi infuso, pi breve
vita m'avessi concessa,
pi fievoli sensi, allora
lo si potrebbe capire;
ma a parit d'ogni cosa
sembra ingiusto, anzi crudele
che abbia una parte migliore
chi non meglio di me.
AUTORE
Sulla scena, chi fa il povero
e ci mette tutta l'anima
non ha merito minore
di chi fa il re, e quando poi
scende il sipario ambedue
si ritrovano alla pari.
Tu fa' bene la tua parte
e avrai la tua ricompensa.
Come povero patisci
di pi, vero, ma non credere
che io valuti di pi
le altre parti, e lo vedrai
quando a ciascuno dar
quello che avr meritato.
Credi pure che la vita
una rappresentazione
e finita la commedia
seder a cena con me
chi la sua parte avr fatta
senza pigrizia ed errori.
BELLEZZA
Ma la commedia che dite,
di grazia, come s'intitola?
AUTORE
Dio ti vede: opera bene.
RE
In lavoro tanto oscuro
bisogna che non si sbagli.

RICCO
Occorrer far le prove.
PRUDENZA
E come, se non abbiamo
anima, se siamo ciechi?
POVERO
Ma se non si prova, chi
si azzarda ad andare in scena?
CONTADINO
Il Povero dice bene,
sono anch'io del suo parere;
tanto, contadino e povero
sono come pane e cacio.
Anche una commedia vecchia
che si stufi di vedere,
se non la si prova, pu
far fare brutta figura:
figuriamoci una nuova!
AUTORE
Quello che dovete fare
(il cielo giudicher)
non sbagliare di un punto
negli atti che compirete
tra il nascere e il morire.
BELLEZZA
E come sapremo quando
ci toccher entrare e uscire
dalla scena?
AUTORE
Non c' modo
di saperlo: siate pronti
sempre a finire la parte;
penser io ad avvertirvi.
POVERO
Ma ci sentiremo persi!
AUTORE
Ci sar io ad aiutarvi,
non temete: chi sbagliasse
sar corretto, far
luce a tutti la mia legge.
E ora, poich vi s' dato
il potere di decidere
e il palcoscenico aspetta,
misurate la distanza
che va da nascita a morte.
PRUDENZA
Dunque si comincia?
TUTTI
S.
Dio ci vede: agiamo bene.

[Scena quarta]
Mentre stanno per lasciare la scena, entra il Mondo e li trattiene.
MONDO
Ogni cosa preparata
affinch si rappresenti
la commedia della vita.
Ditemi cosa vi occorre.
RE
Dammi l'alloro e la porpora.
MONDO
Perch tanto privilegio?
RE0
la parte che lo esige.
Gli mostra il foglio con la parte assegnatagli, prende la porpora e la corona d'alloro ed esce.
MONDO
Continuiamo: ora a chi tocca?
BELLEZZA
Mescola per me i colori
della rosa e del garofano
con quello del gelsomino.
Da ogni petalo e ogni raggio
mandino il loro fulgore
tutte le luci del giorno
e tutti i fiori di maggio;
si faccia fioco guardandomi
per l'invidia il sole e come
il girasole si volga
allo splendore che emano.
MONDO
Quanta vanit! Chi sei
per lodarti in questo modo?
BELLEZZA
la mia parte.
MONDO
E sarebbe?
BELLEZZA
La Bellezza umana.
MONDO
Neve,
cristallo dunque e rubino
ti diano riflessi ardenti.
Le d un mazzolino di fiori.
BELLEZZA
La mia veste ha mille tinte.
Siate il mio tappeto, fiori,
e voi il mio specchio, cristalli.

Esce.
RICCO
A me ricchezze e ogni gioia:
mi spettano di diritto.
MONDO
Schiuder il seno profondo
dove tenevo celati
oro e argento; mi far
prodigo per te, da avaro
che sono stato fin qui.
Gli d gemme.
RICCO
Tanta ricchezza mi rende
superbo, vano e orgoglioso.
[Esce.]
PRUDENZA
Per la mia parte, ti chiedo
solo terra su cui vivere.
MONDO
Dimmi, quale parte hai avuta?
PRUDENZA
La Prudenza riflessiva.
MONDO
Quel che ti si addice allora
il digiuno e la preghiera.
Le d cilicio e flagello.
PRUDENZA
Non sarei quella che sono
se da te volessi altro.
Esce.
MONDO
E tu, che non chiedi nulla?
BAMBINO
Di nulla infatti ho bisogno
per la parte che mi tocca.
Senza nascere morr
e in te star quanto basta
a passare da una carcere
all'altra. Ma quattro zolle
me le dovrai dare a forza
perch ci prenda dimora.
[Esce.]
MONDO
E tu, zotico, che vuoi?

CONTADINO
So quello che ti darei.
MONDO
Via, mostrami la tua parte.
CONTADINO
Ba', non ci penso neppure.
MONDO
Dai tuoi modi, ho gi capito
che ti guadagnerai il pane
come umile bracciante.
CONTADINO
la mia cattiva sorte.
MONDO
Se cos, prendi la zappa.
Gliela d.
CONTADINO
l'eredit d'Adamo.
E questi avrebbe potuto
tra le molte cose apprese
capire che la sua donna
era una vera pettegola;
poteva mangiarla lei
la mela, e lui farne a meno:
ma lo avr tanto pregato
da doverla accontentare
recitando, come me,
male o peggio la sua parte.
Esce.
POVERO
Poich a tutti hai dato gioia,
contentezza e ogni piacere,
a me d pure amarezza,
pene e disgrazie; non voglio
porpora n alloro, tinte
delicate, argento, oro:
ma, questo s te lo chiedo,
dammi qualche palliativo.
MONDO
Qual dunque la tua parte?
POVERO
La mia parte l'afflizione,
l'ambascia, la miseria,
la sfortuna, il patimento,
il dolore e il sospirare,
il destare compassione,
gemiti di sofferenza,
le preghiere che importunano,
non aver niente da dare
e sempre tutto da chiedere.
E poi disprezzo, disgusto,
ingiurie, vergogna, fame,

nudit, pianto, indigenza,


desolazione, sconforto,
immondezza, sete, stenti
e vile necessit.
Tutto questo la miseria.
MONDO
Non devo darti un bel niente,
ch chi fa il povero nulla
ha dal mondo, anzi ti tolgo
anche queste vesti: nudo
tu devi andare ramingo.
Lo spoglia.
POVERO
Dunque, questo tristo mondo
chi gi vestito riveste
e spoglia chi era gi ignudo.
MONDO
Ora che il teatro abbonda
di condizioni svariate,
giacch c' un re col suo scettro,
la bellezza che addormenta
e incanta i sensi, i potenti
riveriti, i miserabili,
contadini e religiosi,
tra i quali ho distribuito
le parti dei personaggi
di questa commedia, ognuno
col suo abito o i suoi cenci,
mstrati, divino Autore,
e guarda come ti onorano
gli uomini! Si schiuda il centro
della terra, giacch l
che si svolger la scena!
[Scena quinta]
Al suono di una musica s'aprono allo stesso tempo due globi: in uno apparir un trono su cui siede l'Autore; nell'altro
due porte, sulle quali saranno dipinte una culla e una bara.
AUTORE
Per la mia gloria soltanto
ho voluto questa festa,
e qui assiso sul mio trono
nel giorno che dura eterno
assisto alla vostra recita.
Uomini venuti al mondo
per una parte racchiusa
tra la culla ed il sepolcro,
rappresentatela bene
perch l'Autore vi guarda.
[Scena sesta]
Entra la Prudenza con uno strumento musicale, cantando.
PRUDENZA

Diano lode al Signore in cielo il sole


con la luna e le stelle,
in terra i fiori belli
che ne scrivono in dolci tinte il nome;
lo lodino la luce, il fuoco, il gelo,
la rugiada e la brina,
l'inverno con l'estate
e quanto ancora sotto questo velo
che, riflesso celeste,
d'ogni bene signore e d'ogni male.
Esce.
AUTORE
Nulla mi suona pi caro
in bocca d'uomo dell'inno
che gi Daniele cant
per moderare il furore
di Nabucodonosor.
MONDO
Chi reciter la lauda?
Ma la Legge gi si appresta
a intonarla, e perch suoni
pi forte e chiara salita,
vedete, su quell'altura.
[Scena settima]
Appare la Legge di grazia, su un piedistallo pi alto del palcoscenico, con un foglio in mano.
LEGGE
Io, che son Legge di grazia
apro la festa; la carta
che reco in mano racchiude
(perch ognuno si ravveda)
la commedia, che entra tutta
in due versi, che ora canto:
(Canta.)
Ama gli altri quanto te.
Dio ti vede: opera bene.
MONDO
La Legge ha detto e cantato
come la carta voleva;
vorrei applaudire, ch
di me che si trattava.
Ma tacer, perch ha inizio
gi la rappresentazione.
[Scena ottava]
Entrano la Bellezza e la Prudenza dalla porta dov' dipinta la culla.
BELLEZZA
Vieni a vagare con me
per questi campi che sono
felice patria del maggio,
lusinga dolce del sole
e che rispondono ai raggi

e allo splendore dell'astro


rendendo in fiori e bagliori
la bellezza che ricevono.
PRUDENZA
Sai bene che sono amica
del rimanermene in casa
e non son solita infrangere
la prigionia che m' cara.
BELLEZZA
Dunque per te non c' altro
che austerit? Neanche un giorno
si pu godere e gioire?
Perch mai ha creato Dio
i fiori, se il nostro olfatto
non deve berne il profumo?
E perch cre gli uccelli,
cetre alate, se l'udito
non se ne deve allietare?
Tanta bellezza, a che fine
se il tatto non la conosce?
A che scopo i dolci frutti
se il gusto non se ne bea?
E perch Dio avrebbe fatto
monti e valli, cielo, sole
se gli occhi non li contemplano?
Ti dir che comportarsi
da ingrati non tener conto
di siffatte meraviglie.
PRUDENZA
Ammirarle cosa giusta
ed giusto essere grati;
il rischio sta nell'usare
della bellezza scordando
Chi a sua gloria l'ha creata.
Io di casa non mi muovo;
la mia una scelta di vita,
solo appartata sto bene.
E non sarei la Prudenza
se agissi diversamente.
BELLEZZA
Ma io che sono la Bellezza
voglio vedere e esser vista.
Si separano.
MONDO
Poco durato l'accordo
tra la bella e la prudente.
BELLEZZA
Leghi pure i suoi capelli;
lacci disponga il mio amore
per il pi timido affetto
e per il cuore pi schivo.
MONDO
Delle due, toccata a una
sola la parte che salva.

PRUDENZA
Come potr bene usare
del mio intelletto?
BELLEZZA
Che fare
per rifulgere di pi?
LEGGE (canta)
Dio vi vede: agite bene.
MONDO
Il consiglio risonato,
ma invano per la Bellezza.
[Scena nona]
Entra il Ricco.
RICCO
Se il cielo ha voluto darmi
ricchezze e potere, non
sian da meno gli appetiti
per quanto arreca delizia.
Nulla che mi piaccia o tenti
ha da mancarmi: arricchiscano
la mia tavola imbandita
a gara uccelli e animali,
regni Venere sul letto
ove giaccio; e l'indolenza,
i piaceri, l'ambizione,
la gola, l'invidia e ogni altro
vizio domini i miei sensi.
[Scena decima]
Entra il Contadino.
CONTADINO
Chi fatica pi di me?
Rompo il petto della terra
per ricavarne il mio cibo;
sono mie armi l'aratro
e falce e zappa, con cui
impegno una dura lotta
con le radici e le messi.
In aprile e maggio ammalo
per troppa acqua, ma se poi
me la tolgono, son morto.
Tributi, tasse, balzelli
fanno guerra al contadino
ma, perdio, dico che i frutti
del mio sudore dovranno
essere pagati a un prezzo
che lo compensi ad usura.
Non c' calmiere che tenga;
chi compra deve sborsare
tanto quanto mi conviene.
Il punto che se non piove

in aprile (e quel che chiedo


a Domineddio) varr
bei ducati il mio granaio.
Diverr un vero nababbo,
detter legge, dovr
inchinarmisi ciascuno.
Che far poi, giunto al colmo
della fortuna e degli agi?
LEGGE (canta)
Dio ti vede: opera bene.
PRUDENZA
Non hai sentito il consiglio?
CONTADINO
che a volte non ci sento.
MONDO
Guarda che te lo ripete...
CONTADINO
E io faccio di testa mia.
[Scena undicesima]
Entra il Povero.
POVERO
Tra quanti al mondo hanno vita
chi pi misero di me?
Per letto ho il suolo, e sebbene
gli faccia da baldacchino
il cielo col suo splendore
tuttavia non ha difesa
contro il gelo e il sole ardente;
e fame e sete mi assillano.
Fa' che resista, Signore!
RICCO
Come potr mai ostentare
le mie ricchezze?
POVERO
Potr
reggere alla mala sorte?
LEGGE (canta)
Dio vi vede: agite bene.
POVERO
Oh voce che mi conforti!
RICCO
Voce tediosa, irritante!
PRUDENZA
Il Re viene pei giardini.
RICCO
Che fastidio esser costretto

a inchinarmi!
BELLEZZA
Se mi mostro
c' caso che la mia grazia
lo conquisti.
CONTADINO
Io mi nascondo;
temo che, appena mi vede,
mi appioppi una nuova tassa.
[Scena dodicesima]
Entra il Re.
RE
I confini del mio regno
stentano ormai a contenere
il mio retaggio. Signore
assoluto d'ogni terra
che il mare cinge ed il sole
illumina, venerato
dai miei vassalli, che altro
potrei mai chiedere o fare?
LEGGE (canta)
Dio ti vede: opera bene.
MONDO
Questa voce suggerisce
a ciascuno il suo dovere.
POVERO
Dal fondo della miseria
vedo ciascuno felice.
Il re impera indifferente
senza fermarsi a pensare
ai miei bisogni; la dama
bada solo alla toletta
come non ci fosse al mondo
dolore e fame; la monaca
prega Dio, vero, ma in cambio
ha tutto quanto le occorre;
il contadino, tornando
stanco dal lavoro, trova
apparecchiata la tavola,
sia pure grama la cena;
e al ricco tutto d'avanzo.
Ma io ho bisogno di tutto
e di tutti: ora mi provo
a chieder la carit.
Comincio dalla Bellezza:
bella dama, l'elemosina.
BELLEZZA
Fonti, specchi al mio splendore,
quali ornamenti, che vesti
mi stanno meglio?
POVERO

Ma dunque
non mi vedete?
MONDO
Sei sciocco:
come vuoi che badi a te
se trascura quanto pi
dovrebbe premerle?
POVERO
Voi,
ricco come pochi al mondo,
una piccola elemosina.
RICCO
Come siete entrato qui?
Potevate ben fermarvi
alla porta o nel vestibolo.
POVERO
Non siate cos severo.
RICCO
Via di qui, mi importunate.
POVERO
Voi che tanto scialacquate
pei vostri piaceri, avete
la durezza di negarmi
una monetina?
RICCO
S.
MONDO
Sono il povero e l'avaro
della parabola.
POVERO
Allora,
poich non c' chi mi ascolti,
mi appeller al Re in persona.
L'elemosina, signore.
RE
A tali cose provvede
il grande elemosiniere.
MONDO
Delegando tutto agli altri,
mette a posto la coscienza.
POVERO
Contadino, tu che semini
pochi chicchi e li moltiplica
per te Dio, non mi negare
l'elemosina.
CONTADINO
Sar
anche Dio a moltiplicarli,
ma l'arare e il seminare

e il sudore sono miei.


E tu non provi vergogna,
grande e grosso come sei,
a pitoccare? Lavora!
O ti piace stare in ozio?
E se non hai da mangiare
prendi questa zappa e un pane
potrai bene guadagnartelo.
POVERO
Io in questa commedia faccio
la parte del poverello,
non quella del contadino.
CONTADINO
Ma tu credi che l'Autore
se la prenda, se ti vede
fare qualcosa? Anzi, al povero
la fatica sta a pennello.
POVERO
Sei troppo duro con me.
CONTADINO
Sei tu che mi ci costringi.
POVERO
Da voi forse avr qualcosa.
PRUDENZA
Prendete, non ho che questo.
Gli d un pane.
POVERO
Me lo aspettavo, da voi.
Il pane che ci sostenta
ce lo d la Religione.
PRUDENZA
Ahim!
RE
Che accade?
POVERO
in pericolo
la Religione, vacilla!
RE (sorreggendo la Prudenza)
Sono riuscito a impedire
che cadesse.
PRUDENZA
Nessun altro
avrebbe potuto farlo.
AUTORE
Potrei correggere, vero,
gli errori in cui son caduti,
ma hanno il libero arbitrio
proprio affinch le passioni

sian tenute a freno e possa


ciascuno scegliere il meglio.
Dunque a ognuno la sua parte:
io li guardo a uno a uno
e li avverto solamente
per mezzo della mia legge.
LEGGE (canta)
Dio vi vede: agite bene.
(Dice.)
Avvertiti che vi abbia,
ogni errore sar colpa.
(Canta.)
Ama gli altri quanto te
e fa' il bene: Dio ti vede.
RE
Se questa vita non
che una recita, giacch
lo per tutti e a un solo fine
siamo tutti qui, propongo
che si ragioni un po' insieme.
BELLEZZA
Se la parola mancasse
neanche il mondo esisterebbe.
RICCO
Racconti ognuno una storia.
PRUDENZA
Troppo lungo: meglio dire
quello che ciascuno ha in mente.
RE
Io vedo l'estensione dei miei regni,
la maest, la gloria, la grandezza
di cui mi stata prodiga Natura.
Forti, castelli, tutto mi obbedisce;
la belt stessa nata per servirmi.
A caso nascono umili e potenti;
e per reggere un tale variegato
mostro a pi colli, il cielo mi conceda
la necessaria saggezza, ch arduo
tante cervici a un sol giogo piegare.
MONDO
Chiede, come Salomone,
la scienza del governare.
Canta una voce triste, dietro la porta dov' dipinta la bara.
VOCE
Cessi, Re, la tua ambizione;
la tua parte ormai finita.
RE
finita la mia parte,
sento che dice una voce
che mi ha lasciato di sasso.
Mi tocca andar via; ma dove?
Non posso certo avviarmi

l di dove sono entrato:


sarebbe tornare a nascere.
Rimane solo la tomba.
Il fiume, uscito dal mare,
torni mare; la sorgente
fiume, il ruscello polla;
e l'uomo torni al suo centro,
a non essere... Che turbine
mi s'agita dentro! Autore
mio supremo, se finita
la mia parte, perdonate
le mie colpe: son pentito.
Esce dalla porta dov' dipinta la bara, dalla quale tutti poi usciranno.
[Scena tredicesima]
MONDO
Il Re, chiedendo perdono
ha chiuso bene la parte.
BELLEZZA
mancato, al colmo d'ogni
agio e pompa, ai suoi vassalli.
CONTADINO
Purch non ci manchi l'acqua
di maggio, anche senza re
passeremo un anno buono.
PRUDENZA
Certo, il dispiacere grande.
BELLEZZA
E grande la confusione.
Che faremo senza re?
RICCO
Torniamo ai nostri discorsi.
Tu, cos' che immaginavi?
BELLEZZA
Ora ve lo dico.
MONDO
Visto
come fanno presto i vivi
a consolarsi dei morti?
CONTADINO
Tanto pi quando chi muore
lascia beni da spartirsi.
BELLEZZA
Contemplo, io, la mia pura bellezza;
non invidio n re n altra potenza
poich il mio regno non ha pari al mondo,
Il re difatti vuole assoggettare
solo le vite, io i cuori; e nelle anime
quel che impera sovrana la bellezza.
"Piccolo mondo" chiam gi il filosofo

l'uomo, e se io regno su lui e sul creato


"piccolo cielo" si dir la donna.
MONDO
Non rammenta che Ezechiele
dice che perse ogni vanto
la belt e la perfezione
fu mutata in laidezza.
VOCE (canta)
Tutta la bellezza umana
un breve fiore. Appassisca,
le sopraggiunta la notte.
BELLEZZA
Abbia fine la bellezza,
dice la triste canzone.
No, non abbia fine, torni
invece al suo primo fiore.
Non c' rosa, vero, ahim,
rossa o bianca, che superba
dischiude al sole i suoi petali
che poi non si sfogli, senza
tornare alla sua verdezza.
Tale il destino dei fiori,
ma ha da essere anche il mio?
C' paragone possibile
tra il fiore che dura un attimo
e la mia bellezza eterna?
Il sole che lo mortifica
lascia intatto il mio fulgore.
Che cosa mi dici, voce?
VOCE (canta)
Sei eterna, s, ma nell'anima;
il corpo mortale e muore.
BELLEZZA
Nulla posso replicare
al tuo sottile "distinguo".
Entrai in scena dalla culla;
la lascio ora per la tomba.
Mi duole non aver fatto
meglio la parte che m'era
toccata.
Esce.
[Scena quattordicesima]
MONDO
L'ha fatta bene
invece, e meglio finita
giacch s' pentita.
RICCO
Dunque
coi suoi ornamenti e lusinghe
ci mancata la Bellezza.
CONTADINO

Purch non ci manchi il pane,


il vino e la carne e a Pasqua
un bel porcellino, manchi
finch vuole la Bellezza.
PRUDENZA
Ma resta una gran tristezza.
POVERO
E ora che si fa?
RICCO
Torniamo
a quello che si diceva.
CONTADINO
Quando guardo la fatica
che duro al sole ed al gelo
sento che l'anima ha torto
ad esser grata alla terra
e non a Dio del raccolto.
MONDO
Se riconosce i suoi debiti
gli manca poco a esser grato.
POVERO
Sento rispetto per lui
sebbene mi abbia ripreso.
VOCE (canta)
Contadino, giunta l'ora
che tu smetta la fatica.
Lavorerai un'altra terra:
Dio solo sa ove si trovi.
CONTADINO
Permettimi di appellarmi
a un tribunale pi alto
contro questa tua sentenza.
Non posso morire adesso,
aspetta ancora un momento.
La terra attende il mio braccio;
sai che sono stato pigro,
lo vedi dalle mie vigne
invase da cardi ed erbe
cos alte che a guardarle
discosti, ci si domanda
se non si tratti di grano.
Se le spighe del vicino
son giganti da ammirare,
le mie sono nani che
non s'alzano dalla zolla.
Qualcuno dir magari
che mi conviene morire
col campo spoglio, ma io dico:
se anche lasciando gran frutto
agli eredi non si fa
del tutto il proprio dovere,
chi addirittura non lascia
alcun frutto, che giudizio
dovr subire? Ma sguita

la voce a dirmi: ormai tempo


di morire, l che aspetta
il sepolcro; e allora, invece
di perdermi in bagattelle
dir che se la mia parte
non l'ho fatta come andava
mi spiace che non mi spiaccia
di provare pi dolore.
Esce.
[Scena quindicesima]
MONDO
Io l'avevo giudicato
un po' rozzo, ma ora vedo
che pu dar dei punti a tutti.
Meglio non poteva chiudere.
RICCO
Con la sua zappa e il suo aratro,
fatica, sudore e polvere
ci ha lasciati il Contadino.
POVERO
E si rimane dolenti.
PRUDENZA
Provo gran pena.
POVERO
Io, sconforto.
PRUDENZA
Son commossa.
POVERO
Io assai turbato.
PRUDENZA
Che fare ora?
RICCO
Torniamo
a quello che si diceva.
E per fare come tutti
dir schietto quel che penso.
Se un fiore questa vita
che nasce all'alba e sfiorisce
a sera, se tanto breve
godiamone finch dura,
sia dio per noi il nostro ventre.
Si mangi dunque e si beva,
domani non ci saremo!
MONDO
Questo il credo dei pagani,
come gi annot Isaia.
PRUDENZA
A chi tocca adesso?

POVERO
A me.
Perisca, Signore, il giorno
in cui nacqui a questo mondo.
Perisca la notte buia
in cui venni concepito
per non avere che pena.
Non giunga mai a illuminarla
la luce pura del sole
ma sia ombra sempiterna,
paurose tenebre, oscura
caligine priva del lume
della luna e delle stelle.
Non conosca sole e aurora.
Ma se mi lamento, Dio,
non tanto per lo stato
in cui mi vedi, bens
per esser nato in peccato.
MONDO
Ha tenuto bene a bada
il disperare; anche Giobbe
col giorno della sua nascita
malediceva il peccato.
VOCE (canta)
Come ha una fine la gioia
l'ha anche il dolore; sta a voi
di trarne le conclusioni.
RICCO
Ahim!
POVERO
Che lieta notizia!
RICCO
La voce che ci ha chiamati
non ti fa fremere?
POVERO
S.
RICCO
E non tenti di fuggire?
POVERO
No, giacch se Dio in persona
in quanto uomo potrebbe
provar timore, fuggire
non l'han tentato il potente
n la bellezza, che avevano
forse dove rifugiarsi.
Quanto a me, dove potrei?
Quel che provo gratitudine
invece, ch con la vita
avr fine anche il dolore.
RICCO
E non ti duole lasciare
la scena?

POVERO
Proprio per niente,
giacch di buono non c'era
niente per me.
RICCO
Ma io ci lascio
il cuore; le mie sostanze
erano tutto per me.
POVERO
Che gioia!
RICCO
Quale tristezza!
POVERO
Che sollievo!
RICCO
Quale pena!
POVERO
Che fortuna!
RICCO
Che dolore!
Escono.
[Scena sedicesima]
MONDO
Nella morte, Ricco e Povero
non meno che nella vita
hanno sentimenti opposti.
PRUDENZA
Non son rimasta che io
sulla scena.
MONDO
vero, l'ultima
che resta la Religione.
PRUDENZA
La Religione, s, l'unica
a non avere mai fine;
ma io non sono da tanto,
ho solo scelto di starmene
appartata e solitaria.
E ora prima che la voce
inviti anche me al sepolcro
mi ci avvio da sola: tanto
m'ero gi sepolta in vita.
Per me finita la recita,
verr l'Autore a tirare
le somme. E chi ha visto quanto
si sbagliato, si corregga.

Si chiude il globo della terra.


AUTORE
Come ho promesso dar
il castigo o il premio a chi
abbia oggi recitato
bene o male la sua parte.
Si chiude il globo celeste e in esso scompare l'Autore.
[Scena diciassettesima]
MONDO
Breve stata la recita, e cos
sempre la commedia della vita,
tanto pi per chi sa considerare
che tutto a questo mondo entrarvi e uscirne.
Ecco che tutti lasciano il teatro,
ridotta alla materia originaria
la forma che indossarono e godettero.
Fatti di polvere, tornino polvere.
Ma voglio che ciascuno ora mi renda
quanto gli detti perch si adornasse
per la recita: si tratt di un prestito.
Mi metter sulla porta a evitare
che ne oltrepassi la soglia qualcuno
senza restituire le sue vesti.
[Scena diciottesima]
Entra il Re.
MONDO
Di' un po', tu che mi cpiti per primo,
quale stata la tua parte nel mondo?
RE
Hai gi scordato, Mondo, quello ch'ero?
MONDO
Si fa presto a scordare quel ch' stato.
RE
Fui colui che stendeva il proprio scettro
su quanto il sole dora, dal chiarore
dell'alba all'infittire delle ombre.
Regnai, emisi verdetti, ressi popoli,
ereditai memorie, altre lasciai,
conobbi le apprensioni e le vittorie.
Pi d'uno mi dovette grado e onori,
fornii materia per scrivere storia,
vestii porpora, fui cinto d'alloro.
MONDO
Ebbene, ora abbandona la corona,
(gliela toglie)
scorda la maest che ti adornava;
la tua persona, spogliata di tutto,
lasci nuda la farsa della vita.
La porpora, di cui fai tanto vanto,

presto vestir un altro; a te non resta


niente di quell'alloro che dicevi.
RE
Mi togli tutto quello che mi desti?
MONDO
T'era stato prestato per il tempo
della parte da recitare; pompe,
onori, maest, nulla pi tuo.
Ora servono a un altro, devi rendermeli.
RE
Non ti si pu certo chiamare ricco
se per darli devi spogliare me.
E io che ci guadagno, dopo tanta
fatica spesa a fare il re a teatro?
MONDO
Quanto a questo, l'Autore che decide
se ti spetta il castigo oppure il premio,
secondo come tu abbia recitato;
io non ci ho proprio niente da vedere.
A me basta che tu mi renda manto,
scettro e corona; devi ritornare
quale venisti al mondo, nudo essere.
[Scena diciannovesima]
Entra la Bellezza.
MONDO
La tua parte?
BELLEZZA
La grazia, la bellezza.
MONDO
Io, che ti detti?
BELLEZZA
Belt senza macchia.
MONDO
E dov' ora?
BELLEZZA
Giace nella tomba.
MONDO
Questa cosa da fare meraviglia:
la bellezza ha durata tanto breve
che non c' modo di riaverla indietro.
Ecco, tu non l'hai pi e io che credevo
di poterla riprendere, non posso.
Il Re ogni suo ornamento m'ha lasciato,
ma tu hai perso ogni cosa. Guarda un po'
in questo specchio.
BELLEZZA
Mi son gi guardata.

MONDO
E la bellezza, la grazia che avesti?
BELLEZZA
Ha consumato tutto ormai il sepolcro.
L ho lasciato i soavi colori
del gelsomino e del corallo e ho perso
con l'avorio e la rosa quanto ornava
la gentile persona. Ogni riflesso
di bellezza s' spento, non rimane
che ombra e polvere di tanta grazia.
[Scena ventesima]
Entra il Contadino.
MONDO
Villano, la tua parte?
CONTADINO
Se mi chiami
villano, nome che si d a chi suda
sulla terra, evidente che la parte
che m' toccata di contadino.
Son quello che il cortigiano disprezza
e cui si d del tu senza riguardi.
MONDO
Rendimi quel che ti detti.
CONTADINO
Cos'era?
MONDO
Una zappa.
CONTADINO
Davvero un bel regalo!
MONDO
Bello o brutto, tu me lo devi rendere.
CONTADINO
da non credere; di quanto al mondo
si pu desiderare, la mia parte
era una zappa, e lo so solo io
se ci ho penato! Ebbene, neanche quella
posso tenermi, gliela debbo rendere.
[Scena ventunesima]
Entrano il Ricco e il Povero.
MONDO
Chi va l?
RICCO
Chi da te n oggi n mai
vorrebbe andarsene.

POVERO
Chi da te sempre
se ne sarebbe andato.
MONDO
E perch mai
questo vostro volermi e non volermi
lasciare?
RICCO
In quanto ricco io, e potente.
POVERO
Io, perch povero e senza fortuna.
MONDO [al Ricco]
Lascia questi gioielli.
Glieli toglie.
POVERO
La fortuna
mia tutta qui, di andarmene contento.
[Scena ventiduesima]
Entra il Bambino.
MONDO
E tu, che non hai detto una parola?
BAMBINO
Per me stato tutt'uno culla e bara.
Ti lascio quello che m'hai dato: niente.
[Scena ventitreesima]
Entra la Prudenza.
MONDO
Tu, bussando alle porte della vita,
che avevi chiesto da poter sfoggiare?
PRUDENZA
Nient'altro che disciplina e obbedienza,
cilicio, sferza e perfetta astinenza.
MONDO
Rendimi tutto, ch anch'io debbo rendere
conto di tutto quello che ho prestato.
PRUDENZA
No, non dovranno restare nel mondo
sacrifici, preghiere e opere buone.
Mi seguiranno, perch l'hanno vinta
sulle altre tue passioni; se no, prvati
a portarmeli via, se ti riesce.

MONDO
Non posso, lo sai bene; son le sole
cose che l'uomo pu tenersi strette.
RE
Oh, non avessi avuto scettri e regni!
BELLEZZA
Non avessi mai ambito la bellezza!
RICCO
Non avessi ammassato oro e tesori!
CONTADINO
Avessi lavorato un po' di pi!
POVERO
Oh se avessi sofferto ancora un po'!
MONDO
Troppo tardi, la prova terminata.
E ora che ho fatto incetta di corone,
bellezza, vanit, zappe ed orpelli,
tutti al teatro della verit,
ch la recita stata una finzione.
RE
Com' diverso il saluto con cui
ci accogli e ci congedi!
MONDO
C' il motivo
e ve lo spiego. Quando l'uomo deve
ricevere qualcosa, atteggia in modo
ben diverso le mani che se deve
rifiutarla; e cos la culla accoglie
l'uomo alla nascita, poi rovesciata
ne diviene la tomba. Questo tutto.
[Scena ventiquattresima]
POVERO
Poich il mondo ci respinge
con tanta durezza, andiamo
alla cena che per premio
l'Autore ci ha apparecchiata.
RE
Come ti azzardi a precedermi?
Hai scordato cos presto
d'esser stato mio vassallo?
POVERO
Ma, finita la tua parte,
nel vestiario del sepolcro
siamo tutti tali e quali.
Quel che fosti non importa.
RICCO
Di', non ti ricordi pi
d'aver chiesto l'elemosina?

POVERO
E tu di averla negata?
BELLEZZA
Non sai che ho la precedenza,
bella quale sono e ricca?
PRUDENZA
Nel vestire siamo uguali:
il sudario sempre quello.
RICCO
Mi passi innanzi, villano?
CONTADINO
Lascia i tuoi fumi, fratello;
sei l'ombra di quel che eri.
RICCO
Non so che timore provo
alla vista dell'Autore.
POVERO
Autore di cielo e terra,
la povera compagnia
che ha fatto quel che poteva
rappresentando la vita,
qui alla cena che tu
ci hai promessa; si schiudano
le cortine e manifstati.
[Scena venticinquesima]
Suona una musica e appare nuovamente il globo celeste e in esso una mensa col calice e l'ostia,
e l'Autore seduto; entra il Mondo.
AUTORE
Questa mensa su cui un pane
posa, adorato dai cieli
e temuto dall'inferno,
vi aspetta; ma occorre prima
sapere chi siano i degni
di prender parte alla cena.
Ne escluso chi non ha fatto
bene la sua parte, immemore
della mia misericordia
e di quanto ho amato l'uomo.
Vengano dunque alla cena
il povero e l'anima pia:
il pane spezzo per loro.
I due salgono alla mensa.
POVERO
Maggiori pene e sventure
avrei durate, giacch
vedo che la ricompensa
le ripaga con usura!
PRUDENZA

E io mi dico beata
se le aspre penitenze
fatte han meritato un premio
qui, dov' salvo chi piange
confessando i propr errori.
RE
Al colmo del mio potere
non ti ho chiesto, Dio, perdono?
Perch non me lo concedi?
AUTORE
La Bellezza ed il Potere
che sebbene fatui han pianto
saran salvi, ma non sbito;
e con essi il Contadino
che quantunque abbia negato
l'elemosina, non fu
per durezza ma perch
voleva spronare il Povero
a uscire dalla sua inerzia.
CONTADINO
Sar vero, ma confesso
che ebbi in uggia i vagabondi.
AUTORE
Poich vi siete pentiti
tutti e tre nel purgatorio,
luogo di penosa attesa,
sarete ammessi.
PRUDENZA
Signore,
quand'ero in angustie il Re
mi porse la mano e ora
tocca a me porgerla a lui.
D la mano al Re, salendo.
AUTORE
Gli rimetto la sua pena
per quel gesto di piet;
e poich visse sperando
voli il tempo, sia annullata
l'attesa che gli toccava.
CONTADINO
Piovano tante indulgenze
sulle mie pene, da fare
un contrappeso benefico,
giacch da Roma il Pontefice
decreta che esse han potere
di liberare dal carcere
del purgatorio.
BAMBINO
E di me
che farai, signore, dato
che non ho sbagliato in niente?
AUTORE

Ma neppure hai avuto modo


di far bene; non ti tocca
perci premio n castigo.
Nato anche tu dal peccato,
non godrai n soffrirai.
BAMBINO
Buia notte mi d'intorno;
sto, cieco, immerso in un sonno
privo di pena e di gioia.
RICCO
Se il Potere e la Bellezza,
con tante lagrime sparse
perch vani, ancora temono
e il Contadino che a gemiti
spezzerebbe il cuore a un sasso
trema alla vista di Dio,
io la potr sostenere?
Pure non posso fuggirla.
Signore!
AUTORE
Tu osi invocarmi?
Son l'Autore anche per te,
s, ma non dire il mio nome.
Non potrai sedermi accanto!
Ti precipito nel baratro
dove in pene sempiterne
sconterai la tua alterigia.
RICCO
Ahim! Gi cado entro un vortice
di fuoco nel cupo abisso
a straziarmi sulle rocce!
Ma almeno non mi vedr.
PRUDENZA
Beatitudine infinita!
BELLEZZA
M' concesso di sperarla.
CONTADINO
Lasciane un pochino a me.
RICCO
Io non posso pi sperare.
BAMBINO
Mi sono preclusi i cieli.
AUTORE
Quello che state vedendo
sono i Novissimi: morte,
giudizio, premio e castigo
eterni. E il premio ora voglio
assegnare: su, venite
qui, Bellezza e Contadino;
siete degni della mensa
per aver tanto penato.

I due salgono.
BELLEZZA
Felicit!
CONTADINO
Mi consolo!
RICCO
Sventura a me!
RE
Dunque ho vinto!
RICCO
Che dolore!
PRUDENZA
Che sollievo!
POVERO
Quale dolcezza!
RICCO
Che tossico!
BAMBINO
Io soltanto non gioisco
fra tutti, n sento pena.
AUTORE
Tutti pieghino i ginocchi,
angeli, demoni, uomini
innanzi al Pane celeste.
Si odano per ogni dove
dal paradiso all'inferno
soavi accenti che lo esaltino.
Si sente il suono di zampogne, mentre molte voci intonano il Tantum ergo.
MONDO
E poich solo una recita
questa vita che ci ospita,
meriti il vostro perdono
quella cui avete assistito.

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