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Roberto Casalbuoni
Dipartimento di Fisica dellUniversit`a di Firenze
a.a. 2004-2005
Indice
1 Le deviazioni dalla meccanica newtoniana
1.1 Esiste un limite superiore alla velocit`a? . .
1.2 Fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3 Linerzia dellenergia . . . . . . . . . . . .
1.4 Energia, impulso e massa . . . . . . . . . .
1.5 Commenti . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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3
3
9
11
14
18
19
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19
23
25
27
27
29
30
33
36
. 36
. 38
. 40
. 40
4 Le propriet`
a delle trasformazioni di Lorentz
48
4.1 Forma generale delle trasformazioni di Lorentz . . . . . . . . . 48
4.2 Contrazione delle lunghezze e dilatazione dei tempi . . . . . . 49
1
4.3
4.4
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6 Meccanica relativistica
6.1 Quadriforza e dinamica relativistica. . . . . . . . . . . .
6.2 Impulso ed energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.3 Sistema del centro di massa ed equivalenza massa-energia
6.4 Difetto di massa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.5 Applicazioni di meccanica e cinematica relativistiche . .
7 Elettrodinamica nel vuoto.
7.1 La corrente e la densit`a elettromagnetiche . . .
7.2 La forma covariante delle equazioni di Maxwell.
7.3 Le propriet`a di trasformazione dei campi. . . . .
7.4 Potenziali di gauge . . . . . . . . . . . . . . . .
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60
62
67
69
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75
75
79
83
85
88
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94
94
96
98
100
Capitolo 1
Le deviazioni dalla meccanica
newtoniana
1.1
In accordo alle legge di Newton non c`e un limite superiore per le velocit`a.
Infatti possiamo pensare di esercitare una forza costante ad un corpo e la sua
velocit`a aumenter`a linearmente con il tempo. Per esempio, se applichiamo al
corpo una accelerazione pari a quella di gravit`a, g = 9.8m/s2 , la sua velocita
al tempo t sar`a
v(t) = gt = 9.8 t m/s
(1.1)
Dato che in un anno ci sono
1 anno = 365 24 3600 s 3.15 107 s 107 s
(1.2)
(1.3)
(1.5)
Vediamo che
r
v =
s
2eV
2 1.6 1017 J
9.1 1031 Kg
(1.6)
2s
v
(1.7)
(1.8)
e quindi
v
v2
36 1012 m2 /s2
=
=
= 9 1015 m/s2
(1.9)
t
2s
4 103 m
Si pu`o vedere subito che laccelerazione in questo caso `e enormemente pi`
u
grande che nel caso gravitazionale. Infatti
a=
a
9 1015
1015
g
9.8
(1.10)
(1.11)
8.4
2.5 108 m/s
(1.13)
8
3.3 10 s
. Daltra parte la velocit`a, in accorda alla fisica di Newton, si pu`o anche
ottenere uguagliando lenergia cinetica K allenergia acquisita nel Van de
Graaf
1
K = mv 2 = eV
(1.14)
2
` subito chiaro che i risultati sono in
Si pu`o dunque costruire la tabella 1.1. E
contraddizione con quanto ci aspettiamo. Infatti nel passare da 0.5 M eV a
15 M eV di accelerazione ci saremmo aspettati che il quadrato della velocit`a
cambiasse di un fattore 30, mentre cambia solo di 1.3. In effetti, data la non
grande accuratezza di una misura di questo tipo, la differenza di velocit`a tra
0.5 e 4.5 M eV `e difficilmente rivelabile. Il risultato `e illustrato in figura 1.3.
Ovviamente occorre essere sicuri che gli elettroni ricevono effettivamente
lenergia pari a eV , ma questo viene verificato sperimentalmente effettuando una misura di tipo calorimetrico dellenergia degli elettroni che arrivano
v
Figura 1.2: La traccia delloscilloscopio mostra gli impulsi dovuti agli elettroni
da 0.5 M eV allinizio e alla fine del tratto di volo di 8.4 m. Da notare che una
divisione della scala corrisponde a circa 108 s.
Energia fornita
eV
0.5
1.0
1.5
4.5
15
Tempo di volo
t 108 s
3.23
3.08
2.92
2.84
2.80
Velocit`a dellelettrone
v 108 m/s
2.60
2.73
2.88
2.96
3.00
v 2 1016 m2 /s2
6.8
7.5
8.3
8.8
9.0
2eV
3.5 1017 V (M eV )
m
(1.15)
Predizione newtoniana
m 2 / s2
v 2 x 10
16
10
Predizione einsteiniana
4
2
1
Figura 1.3: Il grafico mostra il quadrato della velocit`a misurata dal tempo di
volo, in funzione dellenergia fornita dal van de Graaf e dal LINAC. La linea
tratteggiata `e la predizione che segue dalle equazioni di Newton. I punti sono i
dati sperimentali, e la linea continua `e la predizione che segue dalla relativit`a di
Einstein (vedi dopo).
essere reimpostato.
Una domanda che nasce spontanea dallesperimento che abbiamo studiato
`e che fine faccia lenergia che forniamo agli elettroni se esiste una velocit`a
limite. Dato che questa velocit`a coincide sperimentalmente con la velocit`a
della luce, sembra ragionevole andare ad esaminare pi`
u in dettaglio alcune
propriet`a della luce stessa.
1.2
Fotoni
y
x
E
v
z
H
Figura 1.4: La figura mostra la propagazione di unonda elettromagnetica che
incide su una particella di carica e.
(1.17)
(1.18)
Una conferma a queste idee venne anche dalleffetto Compton (1923), cio`e
nello studio della diffusione di un fotone su elettroni. Tutto succede come se
la radiazione fosse composta da particelle (fotoni) con energia pari a quella
della formula (1.18) ed impulso pari a
p=
E
h
=
c
c
(1.19)
Questa relazione tra energia ed impulso trasportato da unonda elettromagnetica `e facilmente dimostrabile nel contesto della teoria di Maxwell. Supponiamo infatti di avere unonda e.m. che si propaga nella direzione dellasse
delle x con campi elettrico e magnetico diretti rispettivamente lungo lasse y
e lasse z, come mostrato in figura 1.4. Quindi
~ = (0, E, 0),
E
~ = (0, 0, H),
H
E=H
(1.20)
Il lavoro fatto nel tempo dt dal campo elettrico su una particella di carica e
che si muove con velocit`a ~v `e dato da
~ ~v dt = eEvy dt
dL = eE
(1.21)
1
~ + ~v H
~ = e vy H
Fx = e E
(1.22)
c
c
Pertanto limpulso trasmesso dallonda alla particella `e dato da
e
dL
dp = vy Hdt =
c
c
(1.23)
(1.24)
che differisce per un fattore 2 da quella dei fotoni. In realt`a anche per gli
elettroni di alta energia si osserva sperimentalmente (tramite collisioni atomiche) che il loro impulso `e dato da K/c, in accordo con quanto vale per i
fotoni.
Nella prossima Sezione cercheremo di dare una risposta al quesito su dove
vada a finire lenergia degli elettroni o dei fotoni se non si ha un aumento
della velocit`a.
1.3
Linerzia dellenergia
L
a)
E
x
b)
Figura 1.5: La scatola passa dalla posizione a) alla posizione b) per effetto
dellemissione luminosa dal lato sinistro.
Consideriamo il seguente esperimento pensato (gedanken experiment) inventato da Einstein nel 1906. Immaginiamo che una quantit`a di energia
luminosa sia emessa dal lato sinistro della scatola nella posizione a) in figura
1.5. Per la conservazione dellimpulso la scatola deve acquistare un impulso
11
opposto a quello della radiazione e si muover`a verso sinistra. Quando la radiazione viene assorbita sul lato destro la scatola si fermer`a in una posizione
diversa da quella iniziale. Riesce per`o difficile immaginare che il centro di
massa del sistema si sia spostato, dato che si ha un sistema isolato. La sola
soluzione possibile sembra essere quella in cui il fotone trasporta una massa
dal lato sinistro al lato destro. Per calcolare questa massa, osserviamo che
limpulso acquistato dalla scatola sar`a pari a E/c e quindi si muover`a con
velocit`a
E
v=
(1.25)
Mc
In buona approssimazione la radiazione arriva sullaltro lato della scatola
dopo un tempo pari a
L
t =
(1.26)
c
e quindi lo spostamento della scatola in questo tempo sar`a
x = vt =
E
L
EL
=
Mc
c
M c2
(1.27)
Se associamo alla radiazione una massa equivalente m, che passa dal lato
sinistro al lato destro, la condizione che il centro di massa sia rimasto nella
posizione iniziale richiede
mL + M x = 0
da cui
m=
M
E
x = 2
L
c
(1.28)
(1.29)
Quindi
E = mc2
(1.30)
12
m1
m2
L
a)
E
b)
m'1
m'2
v1
v2
E
m02 c
13
(1.33)
E
x2 (t) = L + 0
m2 c
L
t
c
(1.34)
dove si `e tenuto conto che la massa m2 inizia a muoversi al tempo L/c quando
la radiazione la raggiunge (anche in questo caso si assume che le velocit`a delle
due acquisite dalle due masse siano piccole rispetto a c). La posizione del
centro di massa prima dellemissione era (M = m1 + m2 = m01 + m02 )
M x = m1 0 + m2 L
mentre dopo lassorbimento
E
E
L
EL
0
0
0
M x = m1 0 t + m2 L + 0
t
= m02 L 2
m1 c
m2 c
c
c
(1.35)
(1.36)
Richiedendo x = x0 segue
m2 L = m02 L
EL
c2
da cui
m = m02 m2 =
(1.37)
E
c2
(1.38)
E
c2
(1.39)
1.4
p
c
(1.40)
p
v
(1.41)
Quindi la (1.40) pu`o essere vista come un caso particolare della (1.41).
Combinando questa relazione con m = E/c2 ed eliminando m si ottiene
E=
c2 p
v
(1.42)
dp
dx = v dp
dt
(1.43)
(1.44)
E 2 = c2 p2 + E02
(1.45)
che integrata da
da questa possiamo trovare E in funzione della velocit`a riesprimendo p in
funzione di v tramite la (1.42). Si trova
2
vE
2
E=c
+ E02
(1.46)
c2
da cui
E(v) = p
E0
1 v 2 /c2
(1.47)
(1.48)
E0 = m0 c2
(1.49)
Vediamo che il secondo termine non `e altro che lenergia cinetica newtoniana,
mentre il primo termine `e lenergia associata alla massa inerziale. In meccanica newtoniana il prime termine viene ignorato perch`e `e una costante,
mentre adesso abbiamo visto che ci pu`o essere un trasferimento tra la parte
15
!
1
K = m0 c2 p
1
(1.50)
1 v 2 /c2
Se da questa si ricava v in funzione di K
m20 c4
2
2
v =c 1
(K + m0 c2 )2
(1.51)
p(v) = p
1 v 2 /c2
Questa, assieme
E(v) = p
m0 c2
1 v 2 /c2
(1.52)
(1.53)
E = m(v)c2
(1.54)
da cui
m0 v
1 v 2 /c2
v 2 m 0 v 2
1 2 =
c
Ft
m c 2
v2
0
1= 2 1+
c
Ft
e finalmente
v(t) = p
(1.57)
(1.58)
(1.59)
(1.60)
c
F
=
t
(m0 c/F t)
m0
1 m 0 c 2
v c 1
c
2 Ft
17
(1.61)
(1.62)
1.5
Commenti
18
Capitolo 2
Laffermazione del principio di
relativit`
a
2.1
Il principio di relativit`
a in meccanica e le
trasformazioni di Galileo
vt
S
S'
x
x'
P
v
x
x'
Figura 2.1: Il punto P come descritto dai due riferimenti S e S 0 in moto uno
rispetto allaltro con velocit`a costante v.
y 0 = y,
z0 = z
(2.1)
F~ 0 = F~
(2.4)
(2.5)
d2~x 0
~0
02 = F
dt
(2.6)
21
(2.7)
sin
cos v/u
(2.8)
e, quadrando e sommando:
u0 = (u2 + v 2 2uv cos )1/2
o anche
u =u 1+
v 2
u
v
u
1/2
cos
(2.9)
z'
X'
V
O'
u'
'
x x'
y'
22
2.2
Assumiamo per il momento latteggiamento che le equazioni di Maxwell siano vere in un riferimento privilegiato, quello dell etere. Quindi in ogni
riferimento diverso da questo le equazioni di Maxwell devono avere delle correzioni, che ci aspettiamo essere piccole, almeno di ordine v/c, dove v `e la
velocit`a del riferimento in relazione a quello delletere. Ci aspettiamo dunque di poter mettere in evidenza queste correzioni con esperimenti di tipo
ottico. Ai fini di questa discussione introduciamo una propriet`a particolare
delle onde piane, cio`e l invarianza della fase.
S'
z'
n
Q
P'
P
V
x x'
O'
L
23
~n ~x
(~x, t) = A cos t
c
(2.10)
dove
2
~n ~
= k; |~k| =
; ~n2 = 1
(2.11)
c
~n ~x
F (~x, t) = t
(2.12)
c
= 2;
L
t
= F (~x, t)
(2.13)
c
dato che
L = ~n ~x
(2.14)
0x
0
~
~
n
~n ~x
0
0
0
F (~x , t) = t
= F (~x, t) = t
(2.15)
c0
c
1
Attualmente la velocit`a della luce viene usata per definire lunit`a di lunghezza. Il metro
`e definito come la distanza percorsa da un raggio luminoso in un intervallo di tempo pari
a 1/299792458 secondi. Dunque per definizione si ha c = 2.99792458 1010 cm/s.
24
n~ 0 x~ 0
t
c0
~n (x~ 0 + ~v t 0 )
t
c
~n ~v
0
= 1
c
(2.16)
!
(2.17)
(2.18)
~n 0
~n
=
(2.19)
0
c
c
Questultima ci dice che ~n e ~n 0 sono vettori paralleli, ma essendo versori
dovranno essere uguali. Quindi
0
0
=
0
c
c
~n = ~n 0 ,
(2.20)
0
~n ~v
0
c =c =c 1
= c ~n ~v
(2.21)
2.3
Effetto Doppler
~n ~v0
(2.22)
0 = 1
c
25
dove ~v0 `e la velocit`a della sorgente rispetto alletere. Possiamo usare questa
equazione per eliminare la frequenza che `e la frequenza dellonda considerata nel riferimento delletere. Usando ancora la (2.18) tra S 0 e S ed eliminando
si ha
~n ~v
1
c
(2.23)
0 = 0
~n ~v0
1
c
con ~v la velocit`a dellosservatore rispetto alletere. Dato che `e possibile
misurare la velocit`a relativa tra la sorgente e losservatore
~vr = ~v ~v0
(2.24)
2 !
(~
n
~
v
)
~
n
~
v
(~
n
~
v
)
0
0
0 0 1
1+
+
c
c
c
(2.25)
c
c2
Quindi la velocit`a assoluta ~v = ~v0 + ~vr `e contenuta solo nei termini del
secondo ordine. Leffetto Doppler viene osservato negli spettri stellari dove
le linee sono spostate verso il rosso o verso il violetto a seconda che la terra
si allontani o si avvicini all stella. Dato che la velocit`a della terra sulla sua
orbita `e dellordine di 3 106 cm/s e le velocit`a stellari sono dello stesso
ordine di grandezza, si ha tipicamente v/c 104 . Dunque gli effetti del
secondo ordine sono circa 108 , praticamente inosservabili. Questo effetto
si pu`o misurare anche in sorgenti terrestri. Stark [1] nel 1906 misurava le
frequenze emesse da atomi idrogenoidi in movimento con velocit`a dellordine
di 108 cm/s. Adesso si hanno valori tipici v/c 1/300 che danno per`o
effetti del secondo ordine ancora inosservabili. Nel 1938 Ives [2] sfruttando i
notevoli miglioramenti tecnici fu in grado di osservare gli effetti del secondo
ordine dimostrando che questi non erano in accordo con il risultato da noi
trovato, ma che invece dipendevano dalla sola velocit`a relativa in accordo con
la teoria della relativit`a di Einstein (vedi dopo).
26
2.4
Velocit`
a di fase, velocit`
a di gruppo e aberrazione della luce
(2.26)
2.4.1
La velocit`
a di fase e la velocit`
a di gruppo
Sia f (~x, t) un segnale e.m.. Per esempio si pu`o considerare una componente
del campo elettrico o magnetico. Possiamo rappresentarlo come trasformata
di Fourier
Z
~
~
f (~x, t) = A(~k)ei[(k)tk~x] d3~k
(2.27)
In questa relazione `e una funzione assegnata di ~k, determinata dallequazione donda. Questa relazione tra la frequenza angolare e il vettore
di propagazione ~k si chiama relazione di dispersione. Il rapporto /|~k| `e la
velocit`a di fase vf ed `e la velocit`a di propagazione di quellonda che ha come
vettore di propagazione ~k e come lunghezza donda = 2/k. Nel caso della
propagazione della luce nel vuoto si ha = c|~k|. Quindi, la velocit`a di fase
`e costante ed `e uguale a c.
27
~
~
~
~
= 0 + (k0 ) (k k0 ) t ~k ~x =
~ ~k0 ) t ~x (
~ ~k0 )t ~k
= 0 ~k0 (
(2.28)
e poniamo
f (~x, t) = ei(0 k0 (k0 ))t M (~x, t),
Z
~
~ ~
M (~x, t) =
A(~k)e+i[(~x(k0 )t)k] d3 k
~ ~
(2.29)
(2.30)
(2.31)
(2.32)
(2.34)
2.4.2
|~k| =
c
e ~n `e la sua direzione, lequazione (2.18) si pu`o scrivere
0 = ~k ~v
(2.35)
(2.36)
(2.37)
2.4.3
Tornando alla determinazione della velocit`a assoluta della terra, gli esperimenti fatti a questo scopo non dettero alcun risultato, pur tenendo conto che
` per`o
la velocit`a da considerare `e la velocit`a di gruppo e non quella di fase. E
da tener presente che ci`o `e vero per gli effetti del primo ordine in v/c. Negli
esperimenti citati (Fizeau), nei quali si misurava la velocit`a di un raggio di
luce su di un cammino chiuso, la precisione della misura permetteva di tener
conto dei soli termini del primo ordine.
Questi esperimenti furono condotti anche in presenza di un mezzo rifrattivo, con gli stessi risultati.
In conclusione, solo con esperimenti in grado di misurare termini di ordine
superiore si poteva sperare di ottenere un risultato significativo, perche allora,
come mostra lequazione (2.25), si possono misurare termini che dipendono
dalla velocit`a assoluta.
Prima di passare alla descrizione del pi`
u famoso di questi esperimenti, cio`e
quello di Michelson, discutiamo laltro effetto che si pu`o ricavare dalla legge
di trasformazione di un pacchetto di radiazione e.m. (2.37), cio`e la variazione
della direzione di un raggio luminoso dovuta al moto della sorgente; questo
effetto si chiama aberrazione della luce.
Se e 0 sono gli angoli tra la direzione di ~v con ~vg e ~v 0g rispettivamente,
dalla (2.37) si ricava, tenendo conto della Fig. (2.4),
Vg
'
Vg'
(2.38)
sin
cos + v/vg
(2.39)
(2.40)
che `e dovuta al fatto che gli angoli che si misurano sono appunto quelli
indicati in Fig. (2.4), mentre gli angoli che i vettori ~vg e ~v 0g formano con la
direzione di ~v , coerentemente con la Fig. (2.2), sarebbero quelli aumentati
di nel senso positivo (antiorario).
Dalle (2.38) si pu`o ricavare anche il modulo di ~v 0g ,. Portando v a primo
membro e poi quadrando e sommando si ottiene
2
(2.41)
(2.42)
(2.43)
Quindi vediamo che a meno di termini del secondo ordine la velocit`a di fase
e quella di gruppo si trasformano nello stesso modo.
Possiamo anche verificare che per esperimenti effettuati su percorsi chiusi
di un raggio luminoso non ci sono effetti del primo ordine dovuti al moto
rispetto alletere. In un arrangiamento sperimentale come in figura 2.5, se
indichiamo con ~ei i versori dei lati del poligono e con `i i lati si ha:
e2
e1
e3
O
eN
e4
Figura 2.5: Percorso chiuso di un raggio luminoso come usato negli esperimenti
di Fizeau e di Foucault.
~ei `i = 0
(2.45)
X
i
+
=
2
c ~v ~ei
c
c
c
i
i
i
(2.47)
Quindi non sono visibili effetti al primo ordine. Questo completa gli argomenti precedenti.
32
2.5
Lesperimento di Michelson
Abbiamo visto che tutti gli esperimenti citati mostrano accordo con il principio di relativit`a esteso ai fenomeni e.m. (indipendenza del moto del sistema
rispetto al sistema assoluto). Tuttavia non avevano laccuratezza necessaria
per testare i termini del secondo ordine in v/c.
Fu Michelson (A.A.Michelson, 1881, e poi A.A.Michelson e E.W.Morley,
1887) che misur`o la velocit`a della luce con un interferometro con una precisione che permetteva di determinare i termini del secondo ordine in v/c.
S2
d
2
L
1
d
S1
V
T
Figura 2.6: Schema dellinterferometro di Michelson
33
(2.48)
(2.49)
d
d
2d
+
=
cv c+v
c(1 v 2 /c2 )
(2.50)
c2 v 2
e il tempo t2 impiegato `e
34
(2.51)
t2 = 2d
1
c2 v 2
(2.52)
Per F si ha
"
2d
2d
F = (t1 t2 ) =
p
2
2
c(1 v /c ) c 1 v 2 /c2
p
2d 1 1 v 2 /c2
=
c
1 v 2 /c2
(2.53)
35
Capitolo 3
La critica della simultaneit`
ae
la cinematica relativistica
3.1
37
3.1.1
(3.1)
38
(3.2)
(3.3)
(3.4)
per quanto detto in (b). Poiche il tempo in cui il segnale transita per O0 `e
dato da tOO0 = t0 + (l0 /c), eliminando tOO0 P O dalle due equazioni (3.3), (3.4)
si ha
tOO0 P t0 =
l0 + l 0
c
(3.5)
l0
l0 + l 0
tOO0 P tOO0
=
c
c
e quindi
tOO0 P tOO0 = tO0 P =
che `e quello che si voleva dimostrare.
39
l0
c
(3.6)
(3.7)
3.1.2
Relativit`
a della simultaneit`
a
3.1.3
Le trasformazioni di Lorentz
=
=
=
=
(3.8)
(3.9)
(3.10)
(3.11)
e
Infine, per le scelte fatte, i piani x = 0 e x0 = 0 coincidono a t = t0 = 0.
Pertanto
a12 = a13 = a42 = a43 = 0
(3.12)
In definitiva si ha
x0
y0
z0
t0
=
=
=
=
a11 x + a14 t
a22 y
a33 z
a41 x + a44 t
(3.13)
Ovviamente a22 (ed anche a33 ) possono dipendere solo dalla velocit`a. Dunque
se ricaviamo le coordinate di P in S dalle coordinate in S 0 dovremo avere
y = a(v)y 0
41
(3.14)
S'
S
y
y'
V
O'
x
x'
z'
Figura 3.1: I sistemi di riferimento S e S 0 .
1 0
y
a(v)
(3.15)
e quindi
a(v)a(v) = 1
(3.16)
(3.17)
e quindi
a2 (v) = 1
(3.18)
. Dunque avremo a22 = 1 (e per lo stesso motivo a33 = 1). Si ottiene cosi
x0
y0
z0
t0
=
=
=
=
a11 x + a14 t
y
z
a41 x + a44 t
(3.19)
Per determinare i coefficienti rimanenti consideriamo unonda luminosa emessa a t = t0 = 0 dallorigine comune di S e S 0 . In virt`
u della costanza della
velocit`a della luce in ogni sistema inerziale, le equazioni dei fronti donda nei
due riferimenti saranno
x2 + y 2 + z 2 = c 2 t 2 ,
x0 + y 0 + z 0 = c2 t0
(3.20)
c2 t2 x2 = c2 t0 x0
(3.21)
(3.22)
ca41 = sinh
(3.23)
(3.24)
(3.25)
da cui
Sostituendo questa relazione nella seconda delle (3.22) si ha infine
a44 = cosh ,
a14 = c sinh
43
(3.26)
(3.27)
(3.28)
x0 = ct sinh
(3.29)
da cui
x0 = (c tanh )t
e quindi
tanh =
Segue
sinh = p
v/c
1
v 2 /c2
v
c
cosh = p
(3.30)
(3.31)
1
1 v 2 /c2
(3.32)
x0 = p
1 v 2 /c2
y0 = y
z0 = z
t vx/c2
t0 = p
1 v 2 /c2
(3.33)
si ha
0
x0 = x0 cosh + x1 sinh
1
x0 = x0 sinh + x1 cosh
(3.35)
Risulta cosi evidente che questa trasformazione lascia invariata la forma quadratica (x0 )2 (x1 )2 , infatti per le propriet`a delle funzioni iperboliche si ha
subito
0
1
(x0 )2 (x0 )2 = (x0 )2 (x1 )2
(3.36)
` anche interessante notare che se si introduce formalmente una coordinata
E
x4 tale che
x4 = ix0
(3.37)
allora le trasformazioni di Lorentz assumono la forma
1
(3.38)
= i
(3.39)
Ponendo
e osservando che
cosh = cos ,
sinh = i sin
(3.40)
si ha
1
x0 = x1 cos + x4 sin
4
x0 = x1 sin + x4 cos
(3.41)
formale perche in realt`a non si ha a che fare con coordinate reali, visto che
x4 `e immaginaria pura. Infatti nelle coordinate reali (x0 , x1 , x2 , x3 ) la forma
quadratica ha segnatura (, +, +, +). Poiche una forma quadratica definisce
anche una forma metrica, cio`e una forma per la distanza tra due punti in
uno spazio assegnato, le forme quadratiche definite positive corrispondono a
metriche a segnatura positiva, o metriche euclidee. Le metriche a segnatura
non definita positiva sono dette anche metriche pseudo-euclidee, dato che si
possono riportare a metriche euclidee ridefinendo come immaginarie pure le
coordinate corrispondenti alla parte negativa della segnatura. Dunque lequazione che definisce la propagazione del fronte donda di un raggio luminoso da
luogo ad una metrica pseudoeuclidea. Le trasformazioni che lasciano invariate le metriche pseudoeuclidee sono dette pseudo-ortogonali perche si riducono
ovviamente a trasformazioni ortogonali passando a coordinate immaginarie.
In sostanza si passa da trasformazioni ortogonali a pseudo-ortogonali considerando parte degli angoli delle rotazioni come immaginari puri. Luso della
coordinata tempo di tipo x4 , cio`e immaginaria pura, `e usato nei testi pi`
u
0
vecchi ma oggi `e quasi sempre sostituita dalla versione reale, cio`e x .
Concludiamo questo paragrafo con alcune osservazioni. Primo che le trasformazioni di Lorentz inverse si possono ottenere semplicemente osservando
che la situazione relativa di S e di S 0 si pu`o ottenere mandando v in v.
Infatti se S vede S 0 muoversi con velocit`a v, S 0 vede S muoversi con velocit`a v. Quindi le formule inverse si ottengono immediatamente con questo
scambio
x0 + vt0
x = p
1 v 2 /c2
y = y0
z = z0
t0 + vx0 /c2
t = p
1 v 2 /c2
(3.43)
=
=
=
=
x vt
y
z
t
46
(3.44)
=p
1
1 2
(3.45)
Si ottiene cio`e
x0
y0
z0
t0
=
=
=
=
(x vt)
y
z
(t x/c)
(3.46)
Capitolo 4
Le propriet`
a delle
trasformazioni di Lorentz
4.1
(~
v
~
x
)
(~
v
~
x
)
~v +
~v ~v t ,
~x = ~x
2
v2
v
(4.1)
(~v ~x)
.
t = t
c2
Infatti i primi due termini della prima equazione dicono che la parte di ~x
perpendicolare a ~v `e inalterata, mentre la parte in parentesi mostra che la
48
(4.2)
(4.3)
(y, z) = y 1 z 1 + y 2 z 2 + y 3 z 3 y 0 z 0 )
(4.4)
dove
Dunque dato che abbiamo visto che una trasformazione di Lorentz lascia
invariata lespressione (x, x), lascer`a invariate si (y + z, y + z) che (y, y) e
(z, z). Dalla formula (4.3) vediamo che anche lespressione (4.4) `e invariante.
Quest `e molto importanteperche si pu`o dimostrare che le trasformazioni di
Lorentz nella loro forma estesa, che comprende anche il caso delle inversioni
spaziali e dellinversione temporale, sono le pi
u generali trasformazioni che
lasciano invariata questa forma quadratica.
4.2
l0
S'
x'2
x'1
S
x'
Figura 4.1: Illustrazione dei due riferimenti coinvolti nella discussione sulla
contrazione delle lunghezze.
l0 = x02 x01 .
(4.5)
(4.6)
cio`e
p
l = l0 1 v 2 /c2 ,
(4.8)
che `e indipendente da t. Questa `e la famosa espressione della contrazione
delle lunghezze.
E chiaro dalla derivazione che se il regolo fosse stato perpendicolare alla
velocit`a ~v , la sua lunghezza sarebbe rimasta invariata. Quindi, se si considera
un corpo esteso di volume V , misurato in S e di volume V 0 se misurato in
S 0 , avremo la seguente relazione
r
v2
V = V0 1 2,
(4.9)
c
50
(t02
t01 )
t02 t01
=p
1 v 2 /c2
(4.11)
4.2.1
Orologio a luce
2`0
c
(4.13)
dove `0 `e la lunghezza dellorologio misurata in S 0 . Se il riferimento S 0 (solidale con lorologio) si muove di velocit`a v (vedi Figura 4.2) rispetto ad un
riferimento fisso S, losservatore in S vedr`a il raggio luminoso fare il percorso
ABC, rappresentato nella Figura. Se t `e il tempo impiegato dalla luce a
fare questo percorso, come visto in S, avremo
vt
(4.14)
2
Se assumiamo, come ragionevole e come visto quando abbiamo studiato
le trasformazioni di Lorentz, che le coordinate perpendicolari al moto non
cambino, la lunghezza `0 dellorologio vista in S 0 coincider`a con la lunghezza
vista in S. Quindi
q
p
AB + BC = 2 (BN )2 + ((AN )2 = 2 `20 + v 2 t2 /4
(4.15)
AN = N C =
(4.16)
da cui
c2 t2 = 4`20 + v 2 t2
(4.17)
2`0
t = p
c 1 v 2 /c2
(4.18)
t = p
1 v 2 /c2
52
(4.19)
S'
v
A
C
N
S
Figura 4.2: Lorologio luce descritto nel testo.
(4.21)
`
2`
`
1
+
=
cv c+v
c 1 v 2 /c2
53
(4.22)
t=0
v t 1
t = t 1
v t 2
t = t 2
Figura 4.3: In questo caso lorologio luce serve per illustrare la contrazione delle
lunghezze.
Ma poiche si ha
t =
segue
`=
4.2.2
1
2`0
p
c
1 v 2 /c2
p
1 v 2 /c2 `0
(4.23)
(4.24)
Inversione temporale
Vogliamo ora studiare le condizioni sotto le quali un evento A che nel riferimento S precede temporalmente levento B possa essere osservato, da un
osservatore S 0 in moto rispetto a S, come posteriore a B. Le coordinata di A
saranno (xA , tA ) e quelle di B, (xB , tB ). Per ipotesi tA < tB . Nel riferimento
S 0 dovremmo avere
0
0
tA tB = (tA xA ) (tB xB ) = (tA tB ) (xA xB ) > 0
c
c
c
(4.25)
54
(xB xA )
c
(4.26)
ct
A=0
(4.28)
ed `e possibile trovare un riferimento in cui gli eventi si invertono. Se assumiamo la validit`a del principio di causalit`a, cio`e che la causa deve precedere
leffetto, segue che nessun agente fisico (o segnale) che trasporti informazioni
pu`o propagarsi a velocit`a superiori a quelle della luce, perche in questo caso
la connessione tra i due eventi soddisfa
tB tA <
(xB xA )
c
(4.30)
4.3
dy 0 = dy,
(4.31)
0
dz
=
dz,
0
dt = (dt vdx/c2 ),
dalle quali, ponendo ~u = d~x/dt e ~u0 = d~x0 /dt0 , si ha subito
u0x
u0y
u0z
ux v
vux
1 2
c
uy
=
vux
(1 2 )
c
uz
=
vux
(1 2 )
c
=
(4.32)
In modo analogo possiamo anche ricavare lanaloga formula per la trasformazione (4.1):
(~v ~u)
~u + ~v ( 1) 2
v
0
~u =
,
(4.33)
(~v ~u)
1
c2
che si riduce, per ~u parallelo a ~v , a ~u0 = ~u ~v nel limite c .
4.4
~n ~x
)],
c
(4.34)
Esattamente lo stesso ragionamento usato in sezione (2.2) dimostra linvarianza della fase di questonda, dove per`o questa volta la trasformazione `e
una trasformazione di Lorentz, cio`e
~n0 ~x0
~n ~x
) = (t
),
(4.35)
c
c
dove le grandezze con lapice sono misurate nel sistema S 0 , che al solito si
muove rispetto a S di moto rettilineo uniforme con velocit`a ~v .
Se si considera la trasformazione di Lorentz (3.43) e si identificano i
coefficienti di x0 e t0 , si ha
0 (t0
0 = (1
per ci`o che riguarda i coefficienti di t0 e
57
nx v
),
c
(4.36)
v
0
(nx ) = n0x
c
c
c
0
ny = n0y
c
c
0 0
nz = nz
c
c
(4.37)
(4.39)
(4.40)
(4.41)
sin
(cos v/c)
(4.42)
Lequazione (4.38) si riduce alla corrispondente equazione non relativistica (2.18) nel limite c . Essa rende conto delleffetto Doppler relativistico. Infatti, se in S 0 c`e un osservatore e in S una sorgente, per esempio
di luce con frequenza = /2, la sorgente si allontana dallosservatore con
velocit`a costante v. Allora losservatore osserva una radiazione con frequenza
0 = 0 /2, data da
0 = (1
58
~n ~v
)
c
(4.43)
Per quanto riguarda laberrazione della luce abbiamo gi`a osservato che ci`o
che conta non `e la velocit`a di fase, cio`e la velocit`a w che compare nella (4.34),
ma la velocit`a di gruppo. Abbiamo anche visto che la velocit`a di gruppo si
trasforma come la velocit`a di una particella nel caso non relativistico. Si pu`o
dimostrare che ci`o vale anche nel caso relativistico, per cui dobbiamo usare
le equazioni (4.32) piuttosto che lequazione (4.42).
Dalle (4.32), prendendo ~u e quindi ~u 0 nel piano (x, y), e chiamando con
e 0 gli angoli che ~u e ~u 0 formano con lasse delle x, si ha
u 0 cos 0
u 0 sin 0
u cos v
1 vu cos /c2
u sin
=
(1 vu cos /c2 )
=
(4.44)
sin
(cos v/u)
(4.45)
Questa formula rende conto dellaberrazione della luce se, come nel caso della
(2.39), si opera la sostituzione (2.40)
+ ; 0 0 + ,
(4.46)
dove adesso e 0 sono gli angoli come in figura (2.4). Si ottiene allora
tan 0 =
sin
.
(cos + v/u)
(4.47)
Si vede che questa formula differisce da quella non relativistica per il fattore
, cio`e per termini del secondo ordine in v/c.
59
Capitolo 5
Elementi di calcolo tensoriale
5.1
Spazi vettoriali
(5.2)
(5.3)
hf , v + wi = hf , vi + hf , wi
(5.4)
od anche
Vediamo ora come sia possibili assegnare a V la struttura di spazio vettoriale. Definiamo a questo scopo la somma di due applicazioni
hf + g, vi = hf , vi + hg, vi
(5.5)
(f + g)(v) = f (v) + g(v),
1
Qui e nel seguito adotteremo la convenzione di Einstein, cio`e quando si scriva una
coppia di indici uguali, uno in alto ed uno in basso, una somma su questo indice `e sottintesa.
60
hf , vi = hf , vi
(f )(v) = f (v),
(5.6)
(5.7)
Notiamo anche che il piu generale mapping lineare potra essere rappresentato nella forma
f (v) = fa v a
(5.8)
dove v a sono le componenti di v nella base data. Pertanto lapplicazione f
potra essere sempre decomposta nella forma
f = fa a
(5.9)
hfa a , vi = fa h a , v b eb i = fa v b ba = fa v a
(5.10)
dato che
Questo mostra che in effetti le a formano una base per V e quindi anche
V e uno spazio vettoriale n-dimensionale.
Se consideriamo il caso V = Rn , potremo scrivere il generico elemento
come il vettore riga
(5.11)
v = (v 1 , v 2 , , v n )
Una base e data allora da
e1 = (1, 0, , 0), , en = (0, 0, , 1)
61
(5.12)
(5.13)
Pertanto i vettori duali possono essere pensati come vettori colonna. Il generico elemento del duale potra allora essere scritto come f = fa a , con la
base duale data da
1
0
0
0
.
.
1
n
= , , =
(5.14)
.
.
.
.
0
1
I vettori dello spazio duale V saranno chiamati vettori covarianti.
5.2
Tensori
Usando una procedura analoga a quella seguita per la costruzione del duale
e possibile costruire altri spazi vettoriali che ci permetteranno di definire i
tensori di rango (r, s). A tal fine costruiamo il seguente spazio ottenuto come
prodotto cartesiano di r copie di V e di s copie di V :
sr = (V )r (V )s
(5.15)
i V ,
Yi V
(5.16)
Lo spazio T (r, s) puo essere dotato della struttura di spazio vettoriale cosi
come abbiamo fatto per lo spazio duale. Definiremo cioe la somma di due
elementi T (r, s)
(T + T 0 )( 1 , 2 , , r ; Y 1 , Y 2 , , Y s )
= T ( 1 , 2 , , r ; Y 1 , Y 2 , , Y s )
+ T 0 ( 1 , 2 , , r ; Y 1 , Y 2 , , Y s )
(5.17)
(5.19)
(5.20)
h 1 , ea1 i h r , ear ih b1 , Y 1 i h bs , Y s i
(5.21)
in
Cioe
1 2
r
s
tba11ba22b
ar ( , , , ; Y 1 , Y 2 , , Y s )
= h 1 , ea1 i h r , ear ih b1 , Y 1 i h bs , Y s i
(5.22)
Possiamo vedere facilmente che gli nr+s elementi di T (r, s) costituiscono una
base. Infatti la generica applicazione multilineare sara
ar 1 2
T ( 1 , 2 , , r ; Y 1 , Y 2 , , Y s ) = Tba11ba22b
a1 a2 arr Y1b1 Y2b2 Ysbs
s
(5.23)
i
dove abbiamo introdotto le componenti degli e degli Y i :
i = ai a ,
Y i = Yia ea
(5.24)
63
(5.25)
Infatti
T ( 1 , 2 , , r ; Y 1 , Y 2 , , Y s )
ar b1 b2 bs
= Tba11ba22b
ta1 a2 ar ( 1 , 2 , , r ; Y 1 , Y 2 , , Y s )
s
ar 1 2
= Tba11ba22b
a1 a2 arr Y1b1 Y2b2 Ysbs
s
(5.26)
ar
Le quantita Tba11ba22b
sono le componenti del tensore T . E ovvio dalle
s
definizioni date che:
a a a
ar
ar
(T + T 0 )ab11ba22b
= Tba11ba22b
+ T 0 b11b22bsr
s
s
(5.27)
e
ar
ar
(T )ab11ba22b
= Tba11ba22b
s
s
(5.28)
(T T 0 )( 1 , , r+r , Y 1 , , Y s+s0 )
= T ( 1 , , r , Y 1 , , Y s )
0
(5.29)
o, in componenti
a1 a
ar+1 a
ar
r+r
r+r
(T T 0 )b1 bs+s
= Tba11b
Tbs+1 bs+s
0
0
s
0
(5.30)
Questa definizione giustifica la scrittura usata nella formula (5.19) per indicare gli elementi della base di T (r, s) che possono dunque essere ottenuti come
prodotto tensoriale delle basi di V e di V . Pertanto le regole del calcolo
per i prodotti tensoriali sono molto semplici poiche e sufficiente decomporre
ogni tensore nella propria base e poi moltiplicare tensorialmente tra loro le
basi stesse. Per esempio
v w = v a ea wb eb = v a wb ea eb
(5.31)
(5.32)
(5.33)
v = v a ea = v a ea0 = v a aa0 ea
e pertanto
v a = aa0 v a
(5.34)
(5.35)
(5.36)
Segue dunque
a0 a0 = b00
a b
a
(5.38)
Dunque la matrice che trasforma la base e quella che trasforma la base duale
sono luna linversa dellaltra. Facendo attenzione alla posizione degli indici
scriveremo
0
0
aa (1 )aa
(5.39)
Possiamo allora invertire la relazione (5.34)
0
v a = aa v a
(5.40)
65
(5.41)
(5.42)
v a = h a , vi = aa h a , vi = aa v a
(5.43)
Segue allora
0
ar
Tba110 ba220 b
0
s
ar
= aa11 aa22 aarr bb11 0 bb22 0 bbss 0 Tba11ba22b
s
(5.44)
(5.45)
C11 (T ) T (r 1, s 1) e dato da
b2
bs
2 ar
C11 (T ) = T aa
ab2 bs ea2 ear
(5.46)
Affinche la contrazione sia ben definita e necessario verificare che la definizione data sia indipendente dalla base. Infatti si ha
0
C11 (T )
ar
b2
= Taa0 ba220 b
bs
0 ea2 0 ear 0
s
0
ar
= aa ba0 Tbbaa22b
ea2 0 ear 0 b2 bs
s
= C11 (T )
(5.47)
1
(ST )( 1 , 2 ) =
T ( 1 , 2 ) + T ( 2 , 1 )
2
(5.48)
1
T ( 1 , 2 ) T ( 2 , 1 )
2
66
(5.49)
Si verifica immediatamente che ST ed AT sono tensori (cioe che le definizioni date non dipendono dalla base). Le componenti di questi tensori son
rispettivamente
(ST )ab =
5.3
1 ab
T + T ba ,
2
(AT )ab =
1 ab
T T ba
2
(5.50)
Spazi metrici
Un altro tensore che ci sara utile nel seguito e il tensore metrico. Questi e
un tensore simmetrico di rango (0,2), cioe una applicazione g di V xV R.
Le componenti di g si ottengono valutandolo su una base
g(ei , ej ) = gij
(5.51)
gij = gji
(5.52)
(5.53)
(5.57)
(5.58)
(5.60)
(5.61)
(5.62)
(5.63)
dx dx
(5.64)
(5.65)
(5.66)
(5.68)
5.4
Lo spazio di Minkowski
Nel caso della relativita ristretta ricordiamo che abbiamo ottenuto le trasformazioni di Lorentz usando linvarianza dellonda sferica al variare del sistema
di riferimento. Poiche lequazione che descrive tale onda e
x2 + y 2 + z 2 c 2 t 2 = 0
(5.69)
(5.70)
(5.71)
Interpreteremo questa distanza (che pero non e definita positiva) come una
distanza nello spazio-tempo a quattro dimensioni. Se facciamo uso di coordinate reali x (x0 = ct, x, y, z) possiamo allora introdurre una metrica nello
spazio-tempo come
ds2 = g dx dx = c2 dt2 dx2 dy 2 dz 2
69
(5.72)
Pertanto
g
+1 0
0
0
0 1 0
0
=
0
0 1 0
0
0
0 1
(5.73)
g = g0 0
(5.75)
= 0, 1, 2, 3
(5.77)
(5.78)
(5.79)
(5.80)
g = g
(5.81)
Chiaramente
2
Ricordiamo che x0 = x . x .
70
Quindi si ha
v = g v
(5.82)
(5.84)
x1
x0 x1
= p
1 2
x0 + x1
= p
1 2
(5.85)
Le equazioni degli assi coordinati (x00 , x01 ) nel nuovo riferimento sono rispettivamente
0
0
x0 : x1 = 0 x1 = x0
(5.86)
e
x1 :
x0 = 0 x0 = x1
(5.87)
x0
x '0
x 1'
tA = t B
t A'
C
t 'B
x1
Figura 5.1: Il piano di Minkowski. In particolare si `e mostrato come due eventi
simultanei nel riferimento S non lo siano pi`
u nel riferimento S 0 .
x0
tipo-tempo
tipo-luce
tipo-spazio
x1
Scegliendo quindi
tanh =
si ha
v0 =
v2,
|~v |
v0
1
v0 = 0
(5.89)
(5.90)
(5.91)
v 0 = 0,
v0
|~v |
(5.92)
v 2
(5.93)
v0 =
(5.94)
74
(5.95)
Capitolo 6
Meccanica relativistica
6.1
(6.1)
tt+b
(6.2)
(6.4)
ds
(6.5)
c
che tra laltro mostra esplicitamente linvarianza del tempo proprio.
Come abbiamo detto, le trasformazioni di Lorentz lasciano invariate le
equazioni di Maxwell, per cui queste ultime soddisfano al principio di relativit`a. La contropartita `e che le equazioni della dinamica di Newton non
d =
75
soddisfano pi`
u il principio di relativit`a, se non nel limite di velocit`a piccole
rispetto alla velocit`a della luce. Occorre allora modificare le equazioni di
Newton in modo che lo soddisfino.
Supponiamo che una particella materiale si muova in un campo di forze
a velocit`a relativistica, per cui non sia possibile applicare ad essa la seconda legge della dinamica. Supponiamo per`o di saper calcolare la forza in un
riferimento in cui la particella sia momentaneamente ferma. Possiamo allora effettuare una trasformazione di Lorentz in modo da portarci in tale
riferimento e determinare cos` il moto della particella. Lidea `e cio`e quella di utilizzare le trasformazioni di Lorentz per porci in una situazione in
cui possiamo applicare la dinamica di Newton. Ora noi sappiamo come si
trasformano le velocit`a e da ci`o possiamo determinare la legge di trasformazione dellaccelerazione. Vediamo subito per`o che questa legge sar`a alquanto
complicata (basta dare uno sguardo alle (4.32) per rendersene conto).
Allo scopo di semplificare la trattazione, possiamo sfruttare il fatto che
il tempo proprio d `e un invariante e che si riduce a dt se la particella `e a
riposo.
Allora, invece di studiare il comportamento sotto trasformazioni di Lorentz dellaccelerazione possiamo studiare la grandezza
d2 x
,
d 2
che, data appunto linvarianza di d , si trasforma come x :
(6.6)
2
d2 x0
d x
=
,
(6.7)
d 2
d 2
essendo costante in . Lidea `e allora quella di definire un quadrivettore,
la quadriforza, tramite la relazione
f = m
d2 x
d 2
(6.8)
dove f sar`a chiamata la forza relativistica, che, per quanto detto sopra, si
trasforma secondo la legge
f 0 = f
(6.9)
La (6.8) ci fornir`a la generalizzazione relativistica della seconda legge di Newton e, ovviamente, dovremo riottenere le equazioni di Newton nel limite
v c. Ora la f si pu`o calcolare osservando che, se la particella `e momentaneamente ferma, lintervallo di tempo proprio d coincide con dt. Ne segue
76
(6.10)
inoltre
fi = m
d2 xi
,
dt2
(6.11)
(6.12)
F
(~
v
F
+ ~v
+
f~ = F~ ~v
v2
v2
c
"
#
(~v F~ )
f0 = F0 +
(6.13)
c
dove per`o F 0 = 0. In definitiva, tenendo conto che dalla prima di queste
equazioni segue
~v f~ = (~v F~ )
Quindi
(~v F~ )
f~ = F~ + ~v ( 1)
v2
(~v F~ )
(~v f~)
f0 =
=
c
c
77
(6.14)
Inserendo queste espressioni nella (6.8) si ha la generalizzazone della seconda legge della dinamica di Newton, espressa come un sistema di equazioni
differenziali in . Se si risolvono e si determinano le x in termini di , si pu`o
poi eliminare a favore di t e ottenere le consuete equazioni orarie per ~x.
In realt`a queste sono quattro equazioni, mentre le equazioni di Newton sono
solo tre. Ma si vede che queste equazioni non sono indipendenti. Infatti,
definendo la quadrivelocit`a
dx
= (c, ~v )
d
(6.15)
dx dx
ds2
= 2 = c2
d d
d
(6.16)
V =
si ha
V2 =
e quindi
Inoltre si ha
2
d 2
dV
d x
0=
V =V
=V
d
d
d 2
(6.17)
V f = cf 0 ~v f~ = 0
(6.18)
dove si `e fatto uso della (6.14). Quindi la componente delle equazioni del
moto (6.8) lungo la direzione di V (ottenuta moltiplicando le equazioni del
moto (6.8) per V ) `e soddisfatta identicamente per qualunque forma delle
x ( ) e le equazioni che determinano il moto del sistema sono solo tre.
Pertanto la proiezione delle equazioni del moto lungo la direzione della quadrivelocit`a `e nulla e quindi si hanno solo tre equazioni indipendenti.
Abbiamo visto che, nella forma (6.8), la seconda legge della dinamica si
trasforma da un riferimento inerziale ad un altro con la legge
f = m
d2 x
,
d 2
(6.19)
(6.20)
In termini di f~N si ha
(6.22)
dx
(6.23)
d
Nel limite c , usando la (6.14) e la (6.20) si ritrova la usuale seconda
legge di Newton
d~p
= F~
(6.24)
dt
con F~ la forza misurata nel riferimento istantaneamente solidale con la particella.
p = m
6.2
Impulso ed energia
(6.26)
p~ = m~v ,
(6.27)
79
(6.28)
nella meccanica di Newton il lavoro fatto da una forza `e uguale alla variazione
di energia cinetica. Definiremo quindi lanalogo dellenergia cinetica come
lespressione
K = mc2 + K0
(6.29)
dove K0 `e una costante che sceglieremo in modo tale che K si annulli a
velocit`a zero, come nel caso classico. Quindi K0 = mc2 dato che (0) = 1
pertanto lenergia cinetica relativistica `e definita da
!
1
K = mc2 p
1
(6.30)
1 v 2 /c2
Notiamo che per piccole velocit`a si ha
p~ = m~v + O
cp
v2
c2
m
= mc + ~v 2 + O
2
2
v4
c2
(6.31)
1
K m~v 2
(6.32)
2
Vediamo dunque che la meccanica di Einstein riproduce perfettamente i risultati della Sezione (1.4) che, come avevamo visto, sono in perfetto accordo
con gli esperimenti di accelerazione fatti con il LINAC. Tra laltro lespressione di cp0 nel limite di basse velocit`a suggerisce di introdurre lenergia totale
come
mc2
E = cp0 = mc2 = p
(6.33)
1 v 2 /c2
da cui vediamo che lenergia cinetica non `e altra che lenergia totale alla quale
si sottrae lenergia di riposo della particella.
K = E mc2
(6.34)
p~ 2 c2
p~ 2 + m2 c2
p~ 2 + m2 c2 ,
80
(6.35)
(6.36)
(6.37)
(6.39)
n
X
(f )
p~k
k=1
n
X
(i)
p~k = 0,
(6.40)
k=1
(i)
p~k
(f )
(6.41)
(6.42)
(6.43)
n
X
(f )
pi
= P (i) =
i=1
n
X
(i)
pi
(6.44)
i=1
Questa legge di conservazione giustifica il nome di energia dato alla grandezza E in (6.36), poche `e una quantit`a conservata che si riduce allenergia
classica nel limite non relativistico, salvo laggiunta dellenergia di riposo.
Quanto alle propriet`a di trasformazione queste si ricavano immediatamente dalla (6.23). Nel caso della trasformazione di Lorentz (3.46) si ha
(tenuto conto dei fattori c)
0
p x = (px vE/c2 ),
p 0 = p ,
y
y
(6.45)
0
p
=
p
z,
0
E = (E vpx ),
mentre nel caso di un trasformazione con ~v generica, ma senza rotazione degli
assi, si ha come in (4.1)
p~
E0
(~v p~)
(~v p~) E
= p~ ~v 2 + ~v
2
v
v2
c
= [E (~v p~)]
82
(6.46)
6.3
n
n
n
X
X
X
E 2 c2 P~ 2
2 2
=
=
g pi pj =
mi c +
g pi pj =
2
c
i,j=1
i=1
i6=j=1
n
X
i=1
m2i c2
n
X
(6.47)
i6=j=1
Dato che per una particella di massa mi si ha p2i = m2i c2 > 0 i singoli
quadrimpulsi sono di tipo tempo e quindi
p0i > |~pi |,
(6.48)
da cui
p0i p0j |~pi ||~pj | cos ij > 0
(6.49)
P
(~
v
P
P~ = P~ 0 ~v
+ ~v
+ 2
v2
v2
c
h
i
E = E 0 + (~v P~ 0 )
(6.50)
si vede che ci`o `e possibile con una velocit`a relativa di S 0 rispetto a S data da
~v =
c2 P~
;
E
(6.51)
~uE
P~ = 2 ,
c
E = E 0
(6.52)
2
E 02
E 2 c2 P~ 2
2E 0
2 2
=
1
u
/c
= 2
c2
c2
c
(6.53)
E =
n
X
i=1
n
n
q
X
X
2
2 2
02
E =
c mi c + p~i c
mi
i0
i=1
da cui
(6.55)
i=1
n
M=
E0 X
mi
c2
i=1
(6.56)
scrivono
(
P~
E
= M~u
= M c2
(6.57)
Possiamo allora definire lenergia cinetica nel sistema del centro di massa K 0
come
n
X
0
E =
mi c2 + K 0
(6.58)
i=1
6.4
Difetto di massa
85
(6.60)
(6.61)
+63 Li 32 He +42 He
(6.63)
Si ricorda che lunit`a di massa atomica e 1/12 della massa di un atomo di carbonio
12.
86
del
00
00
00
00
00
00
1
1H
6
3 Li
3
2 He
4
2 He
= 1, 0078250
= 6, 0151223
= 3, 0160293
= 4, 0026032
(6.64)
=
=
=
=
0,
0, 0343474 u.m.a. ' 32 MeV,
0, 0082856 u.m.a. ' 7, 72 MeV,
0, 0303766 u.m.a. ' 28, 3 MeV
(6.65)
Queste sono masse atomiche, che comprendono le masse degli elettroni. Per`o nel
calcolo del difetto di massa ci`o non influisce, poich`e il loro contributo si elide tra primo e
secondo termine della reazione. I dati sono ripresi da http://www2.bnl.gov/ton/.
87
(6.66)
Nella figura (6.1) `e riportata lenergia di legame media per nucleone (cio`e
il difetto di massa diviso il numero dei nucleoni) in funzione del numero
atomico3 .
6.5
e
p~ = m~v ,
p0 = mc,
=p
1
1 v 2 /c2
(6.67)
(6.68)
~v
d~v
= f~N 2 ~v f~N
(6.70)
dt
c
Supponiamo di avere una forza costante diretta, per esempio, lungo lasse
delle x. Quindi porremo
f~N = (F, 0, 0)
(6.71)
m
88
vx2
d~vx
m
= F 1 2
dt
c
d~vy
vx vy
m
= F 2
dt
c
d~vz
vx vz
m
= F 2
dt
c
Se assumiamo allistante iniziale
(6.72)
(6.73)
vediamo che
vy (t) = vz (t) = 0,
(6.74)
Dato che le equazioni del moto richiedono che anche le derivate prime siano
ct
2
mc
F
Figura 6.2: Il moto relativistico di una particella soggetta ad una forza costante.
nulle a t = 0. Dunque, il moto `e unidimensionale e lungo la direzione della
forza. Ponendo vx = v segue
m
dv
F
= 2
dt
89
(6.75)
da cui
dv
F
=
dt
(1 v 2 /c2 )3/2
m
(6.76)
v/c
x
v
p
= c
=
(1 x2 )1/2 0
1 v 2 /c2
F
t =
m
(6.77)
dx
c
Ft
1
p
=
=p
dt
m 1 + (F t/mc)2
1 + (mc/F t)2
(6.78)
Lultima espressione per v `e identica a quella che avevamo trovato in base a considerazioni euristiche nella Sezione (1.4) (vedi equazione (1.60)).
Effettuando una ulteriore integrazione si ha (si assume x(0) = 0)
Z
F t
tdt
p
x(t) =
(6.79)
m 0
1 + (F t/mc)2
Ponendo
t=
mc
y
F
(6.80)
segue
Z
iF t/mc
mc2 h p
2
p
=
2 1+y
=
2F
0
1 + y2
0
mc2 p
1 + (F t/mc)2 1
=
F
mc2
x(t) =
2F
F t/mc
dy 2
(6.81)
mc2
x+
F
2
c2 t2 =
m2 c4
F2
(6.82)
Il moto `e rappresentato nella figura 6.2 ed `e ovviamente detto moto iperbolico. Notiamo che per F t mc, cio`e quando limpulso della forza F t `e piccolo
90
!
2
mc2
1 Ft
1F 2
x(t)
1+
1 =
t
(6.83)
F
2 mc
2m
che `e la soluzione classica, dato che F/m `e laccelerazione newtoniana. Invece
nel limite opposto (limite relativistico), F t mc segue
x(t) ct
(6.84)
Quindi la particella si muove con velocit`a pari a quella della luce, come `e
anche evidente dalla equazione (6.78).
2 - Cinematica del laboratorio e del centro di massa
Linvarianza di una teoria rispetto ad un insieme di trasformazioni permette in genere una grande semplificazione dei problemi. La trattazione
formale di questo aspetto `e descritta da una apposita parte della matematica
che si chiama teoria dei gruppi. Sebbene questa sia una teoria abbastanza
sofisticata, in molte applicazioni fisiche si riduce allo studio di quelle quantit`a che non cambiano sotto le trasformazioni considerate. Per esempio se
abbiamo una teoria invariante sotto rotazioni spaziali e sappiamo che una
certa osservabile dipende solo da un vettore, risulta che pu`o dipendere solo
dal modulo. Infatti linvarianza per rotazioni ci permette di dire che losservabile non dovr`a cambiare ruotando il sistema di riferimento e quindi pu`o
dipendere solo dal modulo del vettore. Pi`
u in generale se dipende da un certo
numero di vettori, potr`a essere funzione solo dei prodotti scalari indipendenti. Luso degli invarianti permette delle semplificazioni notevoli, per esempio
pu`o evitare di calcolare direttamente come le quantit`a si trasformano sotto
trasformazioni di Lorentz. Come esempio consideriamo un processo durto
tra due particelle. In generale da questo urto possono generarsi nuove particelle solo se si ha sufficiente energia nel sistema del centro di massa. Quindi
allenergia totale a disposizione va sottratta lenergia del centro di massa.
Nasce pertanto il problema di mettere in relazione lenergia totale nel riferimento del laboratorio con lenergia nel riferimento in cui il centro di massa
`e fermo (sistema del c.d.m.). Questa relazione la si pu`o ottenere effettuando
91
p2 = (mc, ~0)
(6.85)
Invece nel sistema del c.d.m. (assumendo le due particelle della stessa massa
m)
p1 = (Ecm /c, p~), p2 = (Ecm /2c, ~p)
(6.86)
Infatti dato che nel c.d.m. gli impulsi sono uguali ed opposti e le particelle
hanno la stessa massa, segue da
p21 = p22 = m2 c2
(6.87)
che le energie delle due particelle nel c.d.m. sono uguali. Inoltre abbiamo
chiamato con Ecm lenergia totale nel c.d.m.. Calcoliamo allora il quadrato
di (p1 + p2 ) . Dato che questo `e un invariante ha lo stesso valore nel c.d.m.
e nel laboratorio. Pertanto
2
E
2
(p1 + p2 ) =
+ mc q 2 nel laboratorio
(6.88)
c
e
2
Ecm
nel c.d.m.
c2
Uguagliando queste espressioni si ha
2
2
E
Ecm
2
+ mc q = 2
c
c
(p1 + p2 )2 =
da cui
Ecm = c
2m(E + mc2 )
(6.89)
(6.90)
(6.91)
Questa relazione permette di capire la differenza tra un acceleratore a bersaglio fisso ed un collisionatore (o collider). Nel primo caso una delle particelle `e
ferma e laltra viene accelerata. Nel secondo caso entrambe vengono portate
allo stesso impulso ma con direzioni opposte e poi fatte collidere. Quindi nel
primo caso la cinematica `e quella stessa del sistema del laboratorio, mentre
nel secondo caso di fatto siamo nel riferimento del cdm. Vediamo dunque
92
2
Ecm
mc2
2mc2
(6.92)
(6.93)
p3 = p1 p2 ,
p2 = p1 p3
(6.95)
(6.96)
(6.97)
e
da cui
E3 =
(6.98)
2E2 E3
+ 2|~p|2 (m22 + m23 + 2m2 m3 )c2 = (m2 + m3 )2 c2
c2
(6.99)
da cui si ha la condizione cinematica per il decadimento
m21 c2 = (m22 + m23 )c2 +
m1 m2 + m3
93
(6.100)
Capitolo 7
Elettrodinamica nel vuoto.
7.1
La corrente e la densit`
a elettromagnetiche
(7.2)
(7.3)
Questo mostra che la densit`a di carica si trasforma come dx0 cio`e come la
quarta componente di un quadrivettore. Consideriamo adesso la relazione
d3~xdx =
94
dx 4
dx
dx0
(7.4)
dx
dx0
(7.5)
(7.7)
Introduciamo la notazione
=
=
x
1
,
c t ~x
(7.8)
e consideriamo la quadri-divergenza di j Si ha
j =
1 ~ ~ 1 1 ~ ~
+j =
+ J =0
c t
c t
c
(7.9)
2
2
p
1
= 1 2
(7.10)
(7.11)
j = p
95
(7.12)
(~x, t) =
d~xn (t)
dt
(7.13)
(7.14)
(7.16)
7.2
Il teorema di Stokes si pu`o applicare alla forma = J 1 dx2 dx3 + ciclic., il cui
differenziale `e d = J i /xi d3 x.
96
~ =
a) E
~ =0
b) B
~
~ = 1 B
c) E
c t
~
~ = 1 J~ + 1 E
d) B
c
c t
(7.17)
F ij = ijk B k
(7.19)
~ eH
~ sono rispettivamente il campo elettrico ed il campo magnetico
dove E
nel vuoto. Queste equazioni possono anche essere scritte in forma matriciale
0
Ex Ey Ez
+Ex
0
Bz +By
F =k F k=
(7.20)
+Ey +Bz
0
Bx
+Ez By +Bx
0
` facile verificare che le equazioni di Maxwell (a) e (d) si possono scrivere in
E
forma compatta
F
= j ,
(7.21)
x
mentre le equazioni (b) e (c) si scrivono
F
= 0,
x
(7.22)
97
(7.23)
si chiama tensore duale di F . Come abbiamo detto F `e un tensore antisimmetrico di rango due. Ci`o si verifica dallequazione (7.21), dove il secondo
membro sappiamo che `e un quadrivettore e naturalmente x `e anche un quadrivettore. Ci`o garantisce il carattere tensoriale di F , come si pu`o verificare
anche esplicitamente.
Quindi le equazioni di Maxwell sono adesso scritte in forma covariante.
7.3
Le propriet`
a di trasformazione dei campi.
= F
(7.24)
(7.25)
0 0
0 0
=k . k=
(7.26)
0
0
1 0
0
0
0 1
Effettuando il prodotto matriciale si ottiene
0
Ex
(Ey Bz ) (Ez + By )
Ex
0
(Bz Ey ) (By + Ez )
F0 =
(Ey Bz ) (Bz Ey )
0
Bx
(Ez + By ) (By + Ez )
Bx
0
(7.27)
2
98
Dunque
Ex0 = Ex ,
Bx0 = Bx ,
Ey0 = (Ey Bz ),
By0 = (By + Ez ),
Ez0 = (Ez + By )
Bz0 = (Bz Ey )
(7.28)
~ e B
~ sono i campi misurati nel sistema S e E
~0 e B
~ 0 sono i campi
dove E
misurati nel sistema S 0 , che si muove rispetto a S con velocit`a ~v = v~i. Possiamo facilmente estendere queste trasformazioni alle componenti parallele e
perpendicolari dei campi rispetto alla velocit`a notando che
~ k = Ex~i, E
~ = Ey~j + Ez~k
E
~ k = Bx~i,
B
~ = By~j + Bz~k
B
(7.29)
e
~ = vEz~j + vEy~k
~v E
~ = vBz~j + vBy~k
~v B
(7.30)
Segue allora
~0 = E
~ k,
E
k
~0 = B
~ k,
B
k
~ 0 = (E
~ + ~v B/c)
~
E
~ 0 = (B
~ ~v E/c)
~
B
(7.31)
~ e B
~ con E
~0 e B
~ 0 e ~v
La trasformazione inversa si ottiene scambiando E
con ~v . Dunque le componenti parallele alla velocit`a non si trasformano,
mentre si trasformano quelle perpendicolari. Notiamo che il secondo termine
~ 0 al primo ordine in v/c, altro non `e che la forza di
nellespressione di E
Ma
~
~ 0 = i d` ~r
B
4cr3
(7.32)
id~` = dV (~v )
(7.33)
99
7.4
Potenziali di gauge
~ =
~ A
~
B
(7.35)
(7.37)
In questo modo le equazioni omogenee di Maxwell (7.22) sono automaticamente soddisfatte dato che
F
= ( A A ) = 0
x
(7.38)
1 2
~2
(7.40)
c2 t2
`e loperatore di DAlembert in quattro dimensioni spazio-temporali.
Ovviamente il quadri-potenziale A non `e univocamente definito, dato
che se effettuiamo la trasformazione (detta di gauge)
= =
A = A +
(7.41)
(7.42)
100
1
c t
(7.43)
101
Appendice A
Appendice sulle unit`
a di
misura.
A.1
Equazioni di Maxwell
~ = 4k1
E
B = 0
~
B
(A.1)
~
E
=
k
B
~ = 4k2 J~ + k4 E
t
Alle equazioni di Maxwell occorre aggiungere lequazione di continuit`a, che
non contiene costanti arbitrarie, dato che fissata lunit`a di carica rimane
fissata anche quella di corrente, quindi
~ ~
+J =0
t
102
(A.2)
~
v
~ + B
~
F~ = q E
(A.3)
Nel termine del campo elettrico non appare una costante perche la si pu`o
assorbire nella definizione della carica. Queste cinque costanti sono correlate,
infatti si possono stabilire tre relazioni tra di loro. Prendendo la divergenza
della quarta equazione di Maxwell (A.1) si ha
~ ~
~ J~ + 4k4 k1
E = 4k2
(A.4)
t
t
dove si `e fatto uso della prima delle equazioni (A.1). La compatibilit`a con
lequazione di continuit`a richiede
~ J~ + k4
0 = 4k2
k4 =
k2
k1
(A.5)
Il calcolo della forza per unit`a di lunghezza che agisce tra due fili indefiniti
posti a distanza d e percorsi da correnti I1 e I2 si riconduce al calcolo della
forza di Lorentz del campo magnetico generato da una delle correnti. Questo
campo pu`o a sua volta essere determinato in termini della corrente dalla
quarta delle (A.1). Quindi si vede subito che la forza `e proporzionale a k2
I1 I2
dF
= 2k2
(A.6)
d`
d
In modo analogo la forza tra due cariche statiche (forza coulombiana) si
determina dalla prima equazione di Maxwell e dalla relazione tra forza e
campo elettrico. Si trova
q1 q2
F = k1 2
(A.7)
r
Vediamo dunque che le dimensioni del rapporto k1 /k2 sono
" 2 #
2
k1
`2 F Q2
`
=
=
=
v
(A.8)
k2
(F `1 ) ` Q2 t2
t
Quindi questo rapporto non dipende dalle unit`a di misura usata per la carica elettrica e pu`o essere misurato sperimentalmente facendo uso solo delle
definizioni di unit`a meccaniche. Il risultato `e che
k1
= c2
(A.9)
k2
103
dove c `e la velocit`a della luce. Prendendo poi il rotore della quarta equazione
di Maxwell con corrente nulla, si ha
2~
~ (
~ B)
~ =
~ E
~ = k3 B
c2 t
c2 t2
(A.10)
3
X
3
X
ijk j (klm l Bm ) =
j,k,l,m=1
(il jm im jl )j l Bm =
j,l,m=1
~ B) 2 Bi = 2 Bi
= i (
(A.11)
(A.12)
(A.13)
k3 =
1
,
k4 =
c2
(A.14)
1
= 107 c2 ,
40
k2 =
0
= 107 ,
4
k3 = 1,
k4 =
1
,
c2
=1
(A.15)
~ =
D
B = 0
~
B
~
E
=
H
~ = J~ + D
t
104
(A.16)
~ eB
~ legati ai campi elettrici e magnetici E
~ eB
~ da
dove abbiamo definito D
~ = 0 E,
~
D
~ = 0 H
~
B
(A.17)
~ =
E
B = 0
~
~ = 1 B
c t
1
B
~ = J~ + 1 E
c
c t
k1 =
1
~
~
~
F = q E + ~v B
c
(A.18)
(A.19)
(A.20)
A.2
Unit`
a di energia
Per unit`a di energia abbiamo usato leV, che `e stato definito come lenergia
acquistata da un elettrone nellattraversare la differenza di potenziale di 1
Volt.
Tenuto conto che la carica di un eletrone `e data da
e = 1, 602 1019 Coulomb,
si ha
105
(A.21)
(A.22)
(A.23)
(A.24)
106
Bibliografia
[1] J. Stark, Ann. d. Phys. 21, 40 (1906); J. Stark and K. Siegel, ibidem
21, 457 (1906); J. Stark, W. Hermann and S. Kinoshita, ibidem 21, 462
(1906).
[2] H.E. Ives and G.R. Stilwell, Journal of the Optical Society of America,
28, 215 (1938).
[3] C. Moller, The Theory of Relativity, Oxford at the Clarendon Press,
1952.
[4] W.G.V.Rosser, An Introduction to the Theory of Relativity, London
Butterworths, terza ed. 1071.
107