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Viviamo nellepoca del design: il bello entrato nella vita di tutti (o almeno di tutti i
privilegiati della mondializzazione) e vi ha portato la sua promessa di felicit. Le
merci che occhieggiano negli ipermercati sotto casa o nello schermo del pc sono esse
stesse uno spettacolo di bellezza inaudito. E nel momento in cui onorano il
memorabile attacco del Capitale (La ricchezza delle societ nelle quali predomina il
modo di produzione capitalistico si presenta come unimmane raccolta di merci),
fanno di tutti noi i destinatari di un incanto carico di possibilit. Anche per questo,
parlare della bellezza risulta spesso unimprudenza neoromantica o una mistificazione
belle buona. Daltra parte la riflessione estetica ha spesso ispirato sospetto nella
tradizione del marxismo; e non senza ottime ragioni. La forma, ci ha ricordato per
tutti Fortini, attributo delle classi dominanti. Dietro ogni canto melodioso c lurlo
del torturato. I mandarini che godono dellarte presuppongono la divisione del lavoro
e i servi che la tutelino. Eppure sempre meglio abbiamo capito che la condizione
umana ha fin dalle origini della civilt bisogno di formalizzare lesperienza, che il
bisogno estetico , come si usa dire, un bisogno antropologico; e che ignorare la
necessit della bellezza vuol dire essere sopraffatti dai suoi aspetti pi regressivi e
classisti, fino al surrealismo di massa della civilt postmoderna. La fuga da questo
terreno contraddittorio non ha mai portato fuori dalla contraddizione, ma ha semmai
ceduto una vittoria senza combattimento al suo polo peggiore. Ed per questo che i
maggiori teorici della tradizione marxista si sono infine misurati con questo
continente pieno di insidie, sempre respingendo la pretesa autonomia dellarte e
indagando in vari modi i legami tra formalizzazione e realt. Fra questi teorici, i due
tenuti al centro delle riflessioni presenti in questo studio, e cio Lukcs e Gramsci,
sono senzaltro fra i pi importanti e rigorosi, luno impegnato a riprendere e piegare
verso la prospettiva del cambiamento rivoluzionario il grande modello dellEstetica
hegeliana, laltro costretto a confliggere con legemonia idealistica di quella crociana,
ed entrambi coinvolti nel complesso processo di elaborazione teorica interno alla
Terza Internazionale. Varr anzi la pena di osservare che la pi viva presenza di
Gramsci nel dibattito internazionale (nella provinciale Italia, naturalmente, le cose
sono diverse) potr dipendere, fra le altre cose, dalla maggiore autonomia del suo
pensiero dai noti limiti storicistici e perfino giustificazionistici che segnano la
stagione terzinternazionalista (fino allo zdanovismo).
Non nascondiamoci che nel campo della critica letteraria, soprattutto in Italia,
prevale da tempo la gestione specialistica della disciplina, allinsegna di un eclettismo
che fa comunque dei metodi praticati la rivendicazione implicita della separatezza
sociale e dellinessenzialit civile e politica, cio dellautonomia e del disimpegno. In
questo contesto ben si spiega che la riflessione teorica di pensatori come Lukcs e
Gramsci resti in un cono dombra: una sorta di rimosso emblematico. Lo studio di
Emiliano Alessandroni va in controtendenza, costringendo il lettore a uno sguardo
inattuale sulla letteratura, sullestetica e su molte questioni connesse. Fra i suoi meriti
maggiori, andr sottolineata la capacit di operare su due piani contemporaneamente:
quello teorico generale e quello specifico dellimpegno nel presente. Qui la riflessione
fondata sulle grandi questioni concettuali che hanno segnato il dibattito della
modernit, ed daltra parte indirizzata contro la deriva specialistica e disimpegnata
dei nostri anni. Un punto fermo qui lidea che la letteratura non si genera dalla
letteratura ma dalla storia, secondo un postulato materialistico di cui ci ricordiamo
sempre meno. Il rischio di determinismo che deriva da questo rapporto di dipendenza
daltra parte scongiurato indagando, e valorizzando, le forme di mediazione
concesse alla cultura, arte (e letteratura) incluse. Lo scrittore non il terminale di un
meccanismo pavloviano, ma il soggetto vivo di una dialettica concreta. Di qui deriva
la riflessione sulla figura dellintellettuale, e dello scrittore come intellettuale: una
impostazione che fa tabula rasa di tutti i surrogati recenti della coscienza (mitici,
orfici o regressivi). Vengono dunque riconsiderate le canoniche questioni
dellimpegno e del disimpegno, ripercorrendo per esempio criticamente i termini
della polemica fra Vittorini e Togliatti, mettendo a nudo i limiti teorici e politici della
pretesa vittoriniana di una cultura quale causa non causata. Nessuna scorciatoia
concessa al rapporto fra storia e coscienza, che si gioca innanzitutto sul terreno
dialettico di una scelta di prospettiva e di metodo, al di fuori di ogni pretesa
superiorit della cultura rispetto ai processi materiali che attraversano la societ, e di
cui la cultura non la suprema ricomposizione ma una parte. Ma daltra parte viene
passata a contrappelo e respinta anche lideologia filologica, cio la reale subalternit
ai processi sociali esistenti travestita da separatezza e da autonomia.
La costruzione positiva di una critica capace di proporsi quale assunzione di
responsabilit non solo soggettiva ma pubblica non pu fare a meno di confrontarsi
con due minacce in grado di paralizzarla. La prima deriva dalla scoperta del negativo
quale condizione di verit dei rapporti sociali e ha nel pensiero di Michelstaedter la