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IL FLAUTO NUOVO DI CLAUDE DEBUSSY / 2

Il mistero pastorale delle Chansons de Bilitis


In seguito alla composizione del Prlude l'aprs-midi d'un faune, Debussy torna ad
affidare al flauto una parte di primo piano in occasione della strumentazione delle sue
Chansons de Bilitis (1901). Ciclo per molti aspetti atipico, di rara esecuzione e
scarsissamente frequentato tanto in sede critica quanto in sala d'incisione, quello delle
Chansons riveste tuttavia, a mio avviso, un ruolo importante in relazione non soltanto
alla produzione debussiana, ma anche ai successivi sviluppi della musica novecentesca.
L'intricata vicenda compositiva delle Chansons de Bilitis: dall'Algeria alla
pagina scritta
Per una curiosa coincidenza, la vicenda delle Chansons de Bilitis ha inizio nello stesso
anno di composizione del Prlude l'aprs-midi d'un faune, il 1894. Nel corso di
quell'anno, infatti, lo scrittore Pierre Lous, legato a Debussy da un'amicizia fraterna, si
reca in Algeria in compagnia di Andr Gide. I due soggiornano per qualche tempo presso
Biskra, dove anche lo stesso Debussy dovrebbe raggiungerli in un secondo tempo; ma il
progetto sfuma, ed egli non ha modo di condividere l'esperienza dei due amici.
Soprattutto, non ha modo di venire in contatto diretto con quel mondo affascinante di
musiche arabe e, pi genericamente, orientali che affascina Lous al punto tale da
spingerlo a trasferire le emozioni e le impressioni suscitate dall'ascolto in un ciclo di
componimenti poetici.1
Con il titolo di Les chansons de Bilitis, esso viene pubblicato l'anno successivo, il 1895.
La raccolta, parte in francese e parte in greco antico, presenta una duplice dedica: ad
Andr Gide e in ricordo di Meriem ben Atala, una giovane algerina con la quale Lous
aveva intrattenuto una relazione amorosa.
Il nome Bilitis rimanda, in realt, a un personaggio fittizio. Bilitis come viene
spiegato nella formidabile nota biografica introduttiva una poetessa greca del
sesto secolo di origini pastorali, contemporanea di Saffo; a lei Lous attribuisce la
composizione delle liriche presentate nel volume, riservandosi il solo merito di averne
curato l'edizione.
La prima versione musicale, per canto e pianoforte
Dei poemetti attribuiti a Bilitis, tre vengono musicati da Debussy, nella forma di liriche
per canto e pianoforte, tra il 1897 e il 1898: si tratta di La flte de Pan, La Chevelure e
Le tombeau des Naiades. Il compositore ne invia la partitura completa al poeta con una
dedica che, richiamandosi alla data del matrimonio di Debussy con Rosalie Texier (19
ottobre 1899), parrebbe voler porre l'opera come omaggio per lenire la mutata
situazione tra i due amici. Di l a poco, il 17 marzo 1900, lo stesso autore a presentare
il ciclo al pubblico parigino insieme alla cantante Blanche Marot presso la Socit
Nationale.2
Nelle Trois chansons de Bilitis, Debussy adotta un trattamento vocale molto vicino a
quello che sar proprio del Pellas et Melisande infatti, nella composizione della sua
opera che egli sta ora profondendo tutte le sue energie. La scrittura della voce, cio,
in una forma di recitativo prossima al parlato, mentre la parte strumentale, in questo
caso pianistica, si emancipa da una funzione di mero accompagnamento per prendere
in mano le redini del discorso musicale. Quest'ultimo prende vita da un tessuto
armonico in perenne movimento e dal continuo trascolorare di una timbrica cangiante.

Bilitis sulla scena


A sei mesi di distanza da quella prima esecuzione, lo stesso Lous a commissionare
all'amico la realizzazione della parte musicale di un adattamento in forma scenica delle
Chansons de Bilitis per il Thatre des Varits. Tale versione teatrale appare
caratterizzata da un'estrema essenzialit e da un carattere evocativo: si tratta, infatti, di
un'esecuzione a quadri viventi, in cui alla recitazione di parola si affianca il mimo. A
Debussy fatta esplicita richiesta di una partitura breve e contenuta; che egli, sebbene
impegnato sul doppio fronte della composizione del Pellas e delle prove dei Nocturnes,
realizza in tutta fretta (e, per la verit, senza troppa convinzione). Lo spettacolo va in
scena il 7 febbraio 1901; non presso il Thatre des Varits, come si era
originariamente progettato, ma nel salone delle feste del Journal.3
Per la versione scenica, vengono scelti dodici dei poemi di Lous. In tale selezione non
figurano, per, i tre precedentemente musicati da Debussy, bens: Chant pastoral, Les
comparaisons, Les contes, Chanson, La partie d'osselets, Bilitis, Le tombeau sans nom,
Les courtisanes gyptiennes, L'eau pure du bassin, La danseuse aux crotales, Le
souvenir de Mnasidika e La pluie au matin.
Se in quella prima realizzazione musicale la parola era valorizzata da una scrittura tesa
a riprodurre nel canto le inflessioni del linguaggio parlato, qui l'enunciazione delle liriche
affidata a una voce recitante. Intorno a quest'ultima gli strumenti intessono brevi
quanto intensi interventi nel corso dei quali fanno loro lo spirito che anima le
composizioni poetiche di Lous, e tra i quali i suoi versi risultano suggestivamente
incorniciati. La poesia, con tutta l'intensit espressiva della parola, si trova cos al centro
dell'esperienza artistica, come una pietra preziosa incastonata in un monile; e mentre la
voce porta sulla scena la parola poetica nella sua nudit, la musica non pu che
alludervi, ammantandola di risonanze appena accennate, circondandola di vibrazioni
misteriose.
Una veste strumentale originale
E la sensibilit di Debussy per i colori, incline alle mezzetinte, alle sfumature sottili, gli
suggerisce di accostare alla voce nuda i tessuti sonori pi impalpabili, affinch la parola
non ne sia ricoperta e camuffata, ma appena velata, in modo tale che i suoi accenti ne
risultino valorizzati e illuminati, per cos dire, come dal di dentro.
Per l'occasione, il compositore raccoglie, dunque, un complesso strumentale quantomai
raro e prezioso, costituito da due flauti, due arpe e una celesta (strumento la cui parte
originale , purtroppo, andata perduta); orientato, pertanto, verso i timbri pi chiari,
aerei, trasparenti. Il ruolo principale ricoperto perlopi dalla coppia di flauti.
Il flauto, infatti, qui impiegato nella sua veste di strumento pastorale e mitico, che la
sua estrema semplicit colloca in prossimit del mistero. Come gi nel Prlude, la
purezza, nel suo inevitabile alludere alle verit ultime dell'Essere, rivela un'intima
oscurit, e una natura sensuale emerge dal suo carattere impalpabile. 4 Con la differenza
che il materiale melodico qui impiegato assai pi semplice: nel loro diatonismo quasi
ostentato, le linee melodiche attraverso le quali si dipanano le Chansons de Bilitis
appaiono tutto sommato pi inquietanti del contorto cromatismo del Prlude. Come si
vedr, prevalentemente diatonica sar anche la scrittura delle successive composizioni
debussiane per flauto, e segnatamente di Syrinx; poich essa costituisce anche un
rimando all'essenzialit della musica arcaica, e, attraverso questa, alla grecit
idealizzata del mito. E proprio il carattere arcaicizzante della musica delle Chansons
colpisce i primi ascoltatori, suscitando la loro ammirazione.

Il processo di eterna trasformazione


Il carattere che pi contraddistingue la musica delle Chansons de Bilitis quello che,
con un gusto per il paradosso tipicamente debussiano, si potrebbe definire di unitariet
nella frammentariet. Dal punto di vista propriamente musicale, infatti, il ciclo si
compone di una serie di miniature di dimensioni talvolta minime: esse si pongono
all'ascolto in maniera non dissimile da quei frammenti di musiche arcaiche, come una
forma che emerge brevemente dall'oscurit lasciando intuire di essere parte di un
disegno pi vasto per poi tornare irrimediabilmente a scomparire. Questi di Debussy
non vogliono essere quadretti, e nemmeno schizzi, ma accenni, che non si lasciano
dietro null'altro che un'impressione, o, magari, un profumo.
Poich essi davvero fanno parte di qualcosa di pi grande: la parola stessa, nelle
Chansons de Bilitis, a farsi musica. Voce recitante e strumenti costituiscono i due
elementi inscindibili di un'unica esperienza sonora ed espressiva.
proprio la commistione di linguaggio parlato e linguaggio musicale a dare continuit
allo svolgimento del ciclo. Infatti, i frammenti musicali incorniciano, inframezzano,
compenetrano l'esposizione dei versi poetici: ne diventano di fatto parte integrante. E le
sonorit della voce recitante assumono a loro volta una funzione coloristica.
Attraverso la stretta interazione di voce recitante e strumenti musicali si attua in modo
del tutto inedito il principio dell'arabesco. Dall'enunciazione iniziale del flauto solo
una melopea che principia dal registro grave per salire mollemente verso l'acuto, in
modo da sfruttare le sonorit pi vuote, fluide e ovattate dello strumento fino alla
chiusura del ciclo, gli interventi strumentali si presentano come parte di un processo di
continua trasformazione; i frammenti melodici che si susseguono richiamano pi o meno
distintamente quel tema esposto dal flauto, scoprendovi di volta in volta nuove valenze
espressive. Per esempio, la melodia che compare in Le tombeau sans nom richiama
distintamente quella dell'inizio, collocata per in una regione pi acuta, cos da
assumere una tinta pi vuota e fredda, conformemente all'argomento poetico.
Le risorse tecniche degli strumenti, e del flauto fra tutti il pi versatile vengono
dunque messe a frutto per dare vita a colori e sfumature sempre differenti. L'invenzione
di Debussy ora si spande nell'effusione lirica, ora prende la forma di gustosi episodi di
natura puramente espressiva che paiono usciti dai Quadri musorgskijani; e proprio al
flauto spetta dar ragione di tutte le inflessioni di quei disegni in continuo movimento,
che erompono dall'eco di una parola per spegnersi nell'oscurit che prelude alla
pronuncia del verso successivo. Cos, vengono messi in gioco tutti i registri flautistici: la
chiarezza di quello centrale nei trilli e nelle rapide volatine di Les comparaisons, ma
anche le tinte fredde assunte (a causa dell'ampiezza assunta dal foro d'imboccatura per
evitare le asprezze di un suono altrimenti schiacciato e oltremodo penetrante) nei
passaggi verso l'acuto di Chanson; o la sfumatura un po' nasale dell'accostamento delle
sonorit pi chiare, ricche di risonanze, della prima ottava a quelle penetranti della
tessitura acuta nelle volute orientaleggianti di Les courtisanes gyptiennes, nel cui
breve spazio risuona una danza vorticosa. L'uso di variazioni dinamiche estreme nelle
regioni mediane ne sfrutta tutto il potenziale coloristico in Le souvenir de Mnadisika, e il
registro grave assume una sonorit pi piena in La pluie au matin, per poi tornare a
svuotarsi, perdendo consistenza fino a spegnersi del tutto nella chiusa finale.
A dare coesione al tutto la cifra sonora della voce umana; essa costituisce l'elemento
di continuit per mezzo del quale e rispetto al quale i diversi brani strumentali si
raccordano. Ma il timbro del flauto, con la sua amplissima tavolozza di sfumature e
inflessioni, a stabilire un legame espressivo tra l'enunciazione dei versi poetici e il
linguaggio a-significante della musica, e a permettere che l'una trascolori nell'altro.

Le successive reincarnazioni delle Chansons de Bilitis


La sostanziale perplessit nutrita da Debussy nei confronti della versione scenica delle
Chansons de Bilitis lo spinge a ritornarvi dopo alcuni anni, nel 1914, per riprenderne
parte del materiale in un nuovo ciclo di composizioni: le Six pigraphes Antiques per
pianoforte, che mette a punto in due varianti, per singolo esecutore e a quattro mani.
Tuttavia, quel singolare esperimento teatrale ha prodotto un certo impatto nel mondo
musicale. Tanto da per cos dire sopravvivere a s stesso, vivendo una sorta di
seconda esistenza sotterranea ma non per questo meno ricca di sviluppi. Se, infatti,
come ho accennato in precedenza, le Chansons de Bilitis hanno goduto e tuttora godono
di una fortuna assai limitata sul fronte esecutivo, la loro fugace apparizione ha
nondimeno gettato un seme; esso ha attecchito in profondit, cos da condizionare i
successivi sviluppi della musica da camera, con e senza voce.
Sulla scorta del ciclo debussiano, infatti, si fa strada un gusto per le combinazioni
strumentali in cui il preziosismo timbrico si sposa con l'essenzialit, affidando sempre
pi spesso alla versatilit sonora degli strumenti a fiato l'espressione dell'anima
mutevole e frammentata del Novecento. Tra i primi a far propria la lezione delle
Chansos, Maurice Ravel ne riprende il modello nei Trois Pomes de Stphane Mallarm
e nelle Chansons Madcasses; mentre lo stesso Sprachgesang schoenberghiano rivela,
se non una filiazione, perlomeno una certa parentela con l'originale trattamento che
Debussy riserva qui alla voce recitante e al ruolo musicale assunto dalla parola.

1 Le informazioni relative alla genesi delle diverse versioni delle Chansons de Bilitis sono desunte, se non
diversamente specificato, dal testo di autore purtroppo anonimo riportato presso il sito internet studiomusica alla
pagina http://www.studiomusica.net/ita/artisti/pamelavilloresi_d.htm sotto il titolo Chansons de Bilitis - Omaggio
a Claude Debussy.
2 LESURE, Franois, Claude Debussy avant Pelleas, ou Les annes symbolistes, Klincksieck, Paris 1992; ed. it.
Debussy Gli anni del Simbolismo, trad. di Carlo Gazzelli, E.D.T., Torino 1994, pagg. 175-9.
3 LESURE, op. cit., pagg. 181-3.
4 La damoiselle lue, Mlisande, l'Egiziana della quinta pigraphe, la fille aux cheveux de lin, son queste le
enigmatiche figure femminili nel quale il mistero debussiano si incarnato e condensato. E, se vogliamo finalmente
chiamarlo con il suo nome, diremo che questo mistero un mistero di innocenza, poich, essendo privo di
profondit allegorico-dialettica, si risolve interamente nel puro fatto di esserci, nella limpida e superficiale verginit
dell'apparenza. JANKLVITCH, Vladimir, Debussy et le mystere, Editions de la Baconnire, Neuchtel 1949;
ed. it. Debussy e il mistero, a cura di Enrica Lisciani-Petrini, trad. di Carlo Migliaccio, Societ Editrice Il Mulino,
Bologna 1991, pag. 135.

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