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domenica 26 luglio 2009

"Un Cristianesimo che va d'accordo con tutto e che compatibile con tutto
superfluo". Intervista al cardinale Joseph Ratzinger (2002)

Intervista al cardinal Ratzinger


Uscita nel volume AA. VV., Il monoteismo. Annuario di filosofia 2002, Mondadori, Milano
2002.
La religione tra moderno e postmoderno
(a cura di Vittorio Possenti)
1) Quali mutamenti possibile diagnosticare nel passaggio d'epoca, di cui segno il nuovo
millennio, nell'ambito delle religioni mondiali e in particolare nel cristianesimo?
Oggi tutte le grandi religioni mondiali stanno vivendo un processo di profonde fusioni,
trasformazioni e crisi.
Nel XIX secolo si era giunti per la prima volta a un intenso contatto fra il cristianesimo e le
religioni dell'India. Esso ha portato al fenomeno sfaccettato del neoinduismo, a una nuova
interpretazione dell'eredit spirituale indiana, che accoglie sollecitazioni del cristianesimo, ma che
proprio cos facendo vuole conservare la sua identit e consolidarla di fronte alla religione cristiana.
Il fenomeno pi saliente a cui si assiste l'assunzione dell'universalismo cristiano, e dunque della
spinta missionaria, da parte dell'induismo; universalismo che fino a ora era del tutto estraneo alla
religione induista. In questa prospettiva la propria particolare religione viene vissuta come se fosse
universale: la radice mistica della religione indiana sarebbe ci che veramente accomuna e
abbraccia tutto, ci in cui tutte le singole espressioni religiose troverebbero la loro dimora. La

consapevolezza che dietro a tutte le forme di religiosit si nasconda l'Uno ineffabile, in cui noi tutti
siamo identici a Dio, si congiunge oggi con il relativismo occidentale ed esercita, a partire da qui,
una particolare forza d'attrazione.
Qualcosa di simile si potrebbe dire circa gli sviluppi del buddhismo, il cui concetto di
compassione viene avvicinato a quello dell'amore cristiano, intendendo cos di nuovo
evidenziare l'identit ultima delle religioni. Tuttavia alle tendenze universalistiche si
contrappongono anche reazioni particolaristiche, che vogliono consapevolmente racchiudere entro
ben definiti confini ci che estraneo, che intendono affermare la propria identit e che rifiutano il
cristianesimo in quanto estraneo e l'attivit missionaria in quanto imperialismo religioso.
Inoltre presente in tutto il mondo una tendenza alla politicizzazione della religione: la sua
universalit consisterebbe, in definitiva, nel suo utilizzo a fini politici per difendere la giustizia,
la pace e per preservare la creazione. Ben vengano questi obiettivi! Ma l dove la religione viene
misurata secondo i suoi scopi e secondo la sua utilit nella politica mondiale, la si distrugge
dall'interno. A ci collegata la tendenza all'universalizzazione della teologia della liberazione.
Al buddhismo, in primo luogo, nulla cos estraneo quanto l'idea di cambiare il mondo e di dare un
nuovo assetto alle istituzioni mondane. Ma sulla via che conduce a una diversa interpretazione
dell'idea di compassione K.N. Jayatilleke, per esempio, potuto giungere fino al punto di spiegare
la democratizzazione della societ come una esigenza insita nel buddhismo. Non stupisce allora che
nella situazione in cui si trovava il Medio Oriente potessero nascere teologie della liberazione di
impronta islamica. Si tratta di un fenomeno marginale nel processo della rinascita dell'islam.
Anche questo processo molto stratificato e non sarebbe concepibile senza il contatto con il
cristianesimo.
Esso trae vantaggio soprattutto dalla povert della fede dei cristiani, dal predominio di filosofie
radicalmente secolariste nel mondo occidentale, da cui il sentimento religioso dei popoli islamici
prende le distanze: il cristianesimo sembra aver perso la sua forza vitale, e ci fa s che si faccia
sentire ancora di pi la forza religiosa dell'islam.
In questi processi la componente politica rilevante, tanto pi che per l'islam l'elemento politico
non comunque scindibile da quello religioso. Tuttavia bisognerebbe guardarsi dall'interpretare
tutto questo solo in chiave politica misconoscendone la forza religiosa, tutt'altro che assente. Il
disgregamento del cristianesimo a opera del pensiero secolarista ha portato in Occidente a nuove
forme di religiosit, che si celano dietro la cangiante etichetta di "New Age".
Non si cerca la fede ma l'esperienza religiosa, si va alla ricerca dei sentieri che conducono
all'unione "mistica", e in tal modo si giunge anche a una riscoperta delle religioni precristiane,
si assiste a un ritorno di di e riti precristiani.
La madre terra e il padre sole, se considerati insieme, corrispondono alle idee egualitaristiche
dell'epoca pi che la fede nel Dio unico; le immagini mitiche sono in auge e i rituali semimagici
appaiono pi promettenti della sobria ebbrezza della liturgia cristiana, per non parlare delle sue
atrofizzazioni razionalistiche dei tempi recenti.
Siamo cos giunti al cristianesimo. Si possono subito riconoscere due tendenze fondamentali
che si contrappongono reciprocamente: da un lato i tentativi di un proseguimento sul
cammino della razionalizzazione e di un adeguamento, il pi completo possibile, ai moderni
standard di vita.
Questi conformismi non conducono per per loro natura a un rafforzamento del vincolo

religioso, ma alla sua progressiva dissoluzione. Un cristianesimo che va d'accordo con tutto e
che compatibile con tutto superfluo.
Del resto nei razionalismi estremi sempre incombente il rovesciamento nel mito, che non ha
bisogno di una giustificazione razionale, bens rappresenta un irrazionale programma aggiunto per
la realizzazione della concezione secolarista del mondo. Dall'altro lato si hanno risvegli della fede
di rinnovata intensit, che all'interno della Chiesa si manifestano nei movimenti religiosi,
mentre al di fuori di essa assumono forme ecclesiali autonome. Ci che pi salta agli occhi la
rapida crescita delle Chiese pentecostali, che mostrano fervore religioso, fede salda e nel
contempo un interesse relativamente scarno per le questioni di carattere istituzionale; quello
che contraddistingue i pentecostali il forte risalto dato all'esperienza religiosa. Grande
successo hanno le cosiddette comunit fondamentaliste, che sono caratterizzate da una chiara
professione di fede e da nette delimitazioni di confini nei confronti del mondo secolare.
Chi crede vuole sapere in che cosa crede e perch crede; cerca fermezza, decisione e un percorso
chiaro. Tutti questi fenomeni, naturalmente, si possono osservare anche nella Chiesa cattolica.
Diventa sempre pi evidente come l'adeguamento progressivo, il continuo confondersi dei tratti
essenziali della fede, non apra alcuna via verso il futuro.
Per la Chiesa cattolica importante possedere una chiara consapevolezza della sua universalit, sia
nella prospettiva sincronica sia in quella diacronica: essa unisce uomini e culture di tutti i luoghi e
di tutti i tempi. La Chiesa cattolica una forza che unisce in un mondo minacciato dai
particolarismi. Questo nel contempo sta a significare il suo carattere metapolitico: in se stessa la
Chiesa non uno strumento politico, la fede ha il suo ambito proprio, che costituisce un correttivo
di tutto ci che politico e contemporaneamente forza morale per la sua giusta configurazione.
In definitiva, la fede d all'essere umano i contenuti essenziali sul suo "da dove" e sul suo
"verso dove": una certezza che ci accomuna e ci sostiene durante la vita e al momento della
morte. Tale fede da un lato aperta alla ragione; l'apertura nei confronti della ragione e la
responsabilit verso di essa essenziale per la fede.
Ma la fede conferisce alla ragione anche un'ampiezza di orizzonti e una certezza che la ragione,
proprio nelle domande essenziali dell'esser-uomo, da s sola non pu avere e che ci conduce
oltre la sola ratio, verso la profondit dell'intellectus (per riprendere una distinzione dei Padri e
del Medioevo), dischiudendo anche la dimensione della mistica, del contatto dell'anima da parte
del Dio vivente.
2) Dopo il declino della critica, lungamente sollevata, secondo cui la religione varrebbe come
oppio dei popoli, quali interrogativi e problemi verosimilmente interpellano con maggior
vigore la coscienza umana e religiosa del XXI secolo?
difficile fare previsioni, perch potrebbero sempre entrare in scena improvvisi cambiamenti della
coscienza storica. All'inizio del XX secolo chi avrebbe potuto prevedere che negli anni Venti il
liberalismo sarebbe stato improvvisamente considerato una ideologia borghese ormai superata, al
cui posto erano subentrati l'esistenzialismo, la filosofia dei valori e nuovi abbozzi della metafisica?
All'inizio degli anni Sessanta chi avrebbe potuto prevedere che nel 1968 sarebbe sopraggiunta una
svolta che a sua volta rigettava l'esistenzialismo come filosofia borghese e invece implicava di
rivolgersi con passione al marxismo? Allo stesso modo anche noi oggi non possiamo prevedere i
possibili cambiamenti della coscienza collettiva.
Come appare dalla situazione attuale, ci saranno da un lato una riabilitazione del mito e delle

forme di religiosit di impronta mitica, in cui l'essere umano cerca l'esperienza della comunit,
dell'unit di anima e corpo, dell'unitotalit e la fuoriuscita dai vincoli del mondo della tecnica
come momenti di libert, di oblio, in sintesi di felicit.
A tale riguardo potrebbe ulteriormente aumentare la frattura fra il mondo del razionale e i mondi
dell'esperienza irrazionale. Ci significherebbe poi in ambito filosofico un ulteriore allontanamento
dalla metafisica e un consolidamento del dominio del positivismo come unica forma della
razionalit, per cui la capacit di comprendere che cosa sia la ragione e che cosa sia razionale si
riduce sempre pi.
Ma vedo anche possibili nuovi risvegli della fede cristiana, di una cattolicit viva, e da ci
giungeranno anche nuovi impulsi per la filosofia. Come negli anni Venti del secolo scorso la
fenomenologia husserliana all'improvviso aveva aperto le porte per un rinnovamento della
metafisica e il personalismo aveva mutato il quadro della filosofia, cos una fede rinnovata aprir di
nuovo alla filosofia le porte delle domande primigenie dell'essere umano - domande fondamentali e
mai risolte - sulla sua origine e il suo futuro, sulla vita e la morte, su Dio e l'eternit.
3) Il liberalismo filosofico, di cui nota la considerevole diffusione ai vari livelli della cultura
occidentale, continua a sostenere che il primo e fondamentale "bisogno umano" debba
ravvisarsi nella libert. Considerando questo assunto, si fa strada la riflessione se non siano
presenti nell'uomo bisogni, domande, esigenze almeno (e forse pi) fondamentali di quello
vertente sulla libert, la quale dal liberalismo filosofico intesa solo come libert di scelta.
Non sembra questa una seria restrizione del problema?
In effetti ci troviamo di fronte a una pericolosa unilateralizzazione delle domande fondamentali
sull'esistenza umana. Il concetto stesso di libert viene ridotto indebitamente.
In generale il concetto di libert non solo ridotto a quello di libert di scelta, ma anche
concepito da un punto di vista esclusivamente individualistico; per fare un esempio, nel senso in
cui una volta era stato formulato dal giovane Marx: La libert consiste "nel fare oggi questo,
domani quello... proprio a seconda di come ne ho voglia".
Ma in tal modo si dimentica che l'umanit ci data solo nel nostro essere l'uno con l'altro e che la
mia libert pu funzionare solo in unione con la libert degli altri. Siamo collegati l'un l'altro in un
sistema di prestazioni reciproche: solo cos nutrimento, salute, lavoro e tempo libero possono essere
assicurati.
La mia libert sempre una libert dipendente, una libert con gli altri e attraverso gli altri.
Senza la sinergia con le altre libert, la mia libert annienta se stessa. Dunque, la libert in
primo luogo deve tener conto del reciproco essere l'uno con l'altro. Non pu essere
arbitrariet, ma ha bisogno dell'ordinamento delle libert e dell'osservanza delle sue regole.
Se cos , segue subito la duplice domanda: chi stabilisce queste regole? E qual il criterio
secondo cui vengono istituite?
Alla prima domanda oggi rispondiamo rinviando alla democrazia come forma regolatrice delle
libert, e ci giusto. Tuttavia rimane la seconda domanda, perch devono pur esserci dei criteri
per il giusto ordinamento delle libert. Ora, noi diciamo: la maggioranza che decide. Ma ci
possono anche essere maggioranze malate, e il secolo scorso lo ha dimostrato. Ci pu essere una
maggioranza che decide che una parte della popolazione deve essere sterminata perch ostacola
il godimento della propria libert.

Oppure che un popolo confinante deve essere combattuto perch restringe il proprio spazio vitale.
Ci sono norme che nessuna maggioranza pu abrogare. Cos davvero necessario porre la
domanda: quali sono i beni che nessuno pu distruggere senza distruggere l'essere umano e in tal
modo anche la libert? La domanda sull'incondizionatamente buono e sull'incondizionatamente
malvagio non pu essere elusa, se ci deve essere un ordinamento della libert che sia degno
dell'uomo. La libert un bene, ma tale solo in una rete di rapporti con altri beni, dai quali solo
risulta chiaro che cosa sia libert effettiva e che cosa libert illusoria.
4) Nonostante la fine catastrofica dell'"ateismo scientifico-dialettico" di origine marxista,
permane nella cultura occidentale postmoderna una forte obiezione nei confronti del
cristianesimo, che si esprime come agnosticismo e ateismo aggressivi di origine empiristica,
scientistica, scettica. Stanno vincendo Hume e Bentham? Come valutare l'atteggiamento che
intende prescindere sistematicamente da Dio nel campo civile, procedendo etsi Deus non
daretur? Sarebbe questo il canone centrale di ogni autentica morale laicista?
In effetti sembra che attualmente il pensiero continui a svilipparsi in questa direzione. Dopo che il
marxismo, di fronte alla svolta del 1989, continua ancora oggi a trovarsi in una pausa di riflessione,
le filosofie simili a quella del razionalismo critico di Popper corrispondono maggiormente al senso
contemporaneo di ci che si pu considerare razionale. La verit in quanto tale - cos si pensa - non
pu essere conosciuta, ma si pu avanzare a poco a poco solo con i piccoli passi della verificazione
e della falsificazione. Si rafforza la tendenza a sostituire il concetto di verit con quello di consenso.
Ma ci significa che l'uomo si separa dalla verit e cos anche dalla distinzione tra il bene e il male,
sottomettendosi completamente al principio della maggioranza. Ho gi cercato poc'anzi di indicare
dove ci possa condurre e quale tirannia della falsit possa essere istituita nel dominio esclusivo del
principio del consenso. Il cammino in questa direzione comincia gi, naturalmente, nell'idealismo
tedesco, quando si parte dal presupposto che l'uomo possa conoscere non la realt in quanto tale ma
solo la struttura della sua coscienza. Nel frattempo filosofie come quelle di Singer, Rorty, Sloterdijk
indicano ulteriori radicalizzazioni nella stessa direzione: l'uomo progetta e "monta" il mondo senza
criteri prestabiliti e cos supera necessariamente anche il concetto di dignit umana, sicch anche i
diritti umani diventano problematici. In una siffatta concezione della ragione e della razionalit non
rimane spazio alcuno per il concetto di Dio. E tuttavia la dignit umana alla lunga non pu essere
difesa senza il concetto di Dio creatore. Essa perde cos la sua logica. Naturalmente noi non
possiamo e non ci consentito di costringere alcuno a credere in Dio. Tanto pi urgente allora il
compito di far di nuovo valere il concetto di Dio creatore nella sua razionalit e di tenerlo presente
nel conflitto della ragione. Riguardo a ci i pensatori cristiani hanno una grande missione davanti a
s.
5) Osservatori di varia estrazione sostengono che in atto un abbandono interno alla Chiesa
delle "prove" della verit del cristianesimo, della sua pretesa alla verit. Si adduce a conferma
che gli esponenti cristiani amino dialogare solo con quei settori della cultura che accolgono
solo la funzione sociale della religione, la sua utilit civile, i suoi simboli, mentre si
mostrerebbero indifferenti alla verit degli asserti di fede. A suo parere, si pu assegnare
validit a tale diagnosi, secondo la quale la prassi attuale del cattolicesimo riterrebbe
secondaria la verit dei propri contenuti?
Probabilmente vero che importanti settori del cattolicesimo attualmente nel dialogo con i
non credenti accantonino la domanda sulla verit considerandola priva di prospettive e quindi
sterile e vogliano focalizzare il dibattito sull'utilit sociale della fede. Per specifiche fasi della
discussione questo pu essere ammesso oppure pu costituire l'unica via percorribile.
Ma se complessivamente si volesse lasciar cadere la pretesa alla verit e in tal modo si intendesse

declassare il cristianesimo da "verit" a (utile) abitudine ("tradizione"), questo significherebbe


la rinuncia del cristianesimo a se stesso. Il cristianesimo sarebbe certo perfettamente inglobato
nel sistema del mondo moderno, per avrebbe perso la sua anima. Dunque Cristo non potrebbe
pi dire: "Io sono la verit", ma sarebbe retrocesso all'ordine di grandezza di un uomo con una
significativa esperienza religiosa oppure a quello di un riformatore della societ che purtroppo ha
fallito. Del resto la Chiesa proprio grazie all'altezza della sua pretesa rende un servizio alla societ;
essa non permette di rimanere ancorati alle filosofie del consenso o alle tecniche sociali; la Chiesa
ci esorta sempre di nuovo a porci la domanda sulla verit, solo cos la statura dell'uomo pu essere
preservata.
A partire da ci mi spiego una buona parte dello scandalo ma anche l'intrinseca necessit della
dichiarazione "Dominus Iesus", che appunto non permette di acquietarsi nella compresenza di
differenti "tradizioni religiose", ma pensa pi in grande dell'uomo: egli chiamato alla verit,
ed costituito in modo tale che non ci sono solo differenti forme di esperienza religiosa, ma c'
anche l'uomo che Dio. Questa pretesa non pu essere taciuta oppure sminuita per comodit.
6) Dal lato del cristianesimo e del suo rapporto con le altre religioni si presenta la questione
della sua verit (parziale? storica? universale?). Quale posizione assumere fra chi sostiene che
il cristianesimo funzionalmente idoneo a soddisfare i bisogni religiosi, in linea di principio
storicamente variabili e situati secondo le culture, del solo uomo europeo e chi difende la
portata universale del cristianesimo? Come mantenere la pretesa cristiana alla verit, se si
assume che l'idea stessa di verit non sia applicabile alla religione, la quale verterebbe solo
sulla piet e i costumi ed escluderebbe la conoscenza?
In parte ho gi risposto alla domanda con quanto ho appena detto. Ho fatto poc'anzi allusione a una
bella frase di Tertulliano: "Cristo non ha detto di essere l'abitudine, bens la verit" (Virg. 1,1). Se
Cristo non la verit, allora non c' pi alcun fondamento per la pretesa cristiana all'universalit e
per la missione. Se la fede cristiana solo una tradizione religiosa, anche se certamente una
tradizione significativa, non pi comprensibile il motivo per cui dovrebbe essere impartita agli
altri. Al contrario, la verit per tutti una sola, e se Cristo la verit, allora riguarda tutti; allora
una colpa occultarla agli altri. Se si definisce il cristianesimo una religione europea si dimentica che
non nato in Europa e che nei primi secoli si diffuso in modo uniforme sia in Europa sia in Asia;
la missione nestoriana aveva raggiunto l'India e la Cina; l'Armenia e la Georgia sono antiche terre
cristiane. Anche nella penisola arabica c'era una rilevante presenza di cristiani; presenza che fu
notevolmente indebolita dal successo dell'islam, ma che ci nonostante non si riusc a far
scomparire. Queste comunit cristiane orientali, per le quali gi Antiochia e a maggior ragione
Costantinopoli e Roma erano considerate "occidente", non hanno mai smesso di esistere. Oggi
l'opposizione pi forte al cristianesimo proviene dall'Europa e dalla sua filosofia postcristiana,
mentre nei paesi extraeuropei la fede trova un sostegno sempre pi forte. A questo si obietta che il
cristianesimo, nella manifestazione concreta che ha assunto, ha ricevuto la sua impronta soprattutto
dalla filosofia greca e dai suoi sviluppi nel pensiero medievale nonch dal pensiero europeo
moderno, per far derivare da ci il diffuso postulato della deellenizzazione e del puro ritorno alla
Bibbia. In questa prospettiva si dimentica per in primo luogo che la filosofia greca nell'incontro
con il messaggio cristiano ha subito un profondo processo di ri-fusione. In opposizione a ci ci fu
una reazione in campo filosofico che si contrappose a questa trasformazione cristiana e alla nuova
sintesi delle culture, con l'intento di preservare l'elemento autenticamente greco. Ma qui si
dimentica anche che gi nell'Antico Testamento ha avuto luogo un incontro tra il pensiero greco e
l'antica tradizione biblica: il processo dell'incontro fra le culture quindi gi avviato nella Bibbia
stessa. Inoltre si dimentica che, viceversa, la filosofia greca, in particolare con Platone, ha ricevuto
forti influssi dalle tradizioni orientali, e dunque essa stessa presuppone una fusione di culture; con
Plotino il pensiero greco si rivolge di nuovo alle tradizioni dell'Asia ed entra in contatto con alcuni

orientamenti dello spirito indiano. Ma soprattutto si dimentica il senso autentico e profondo


dell'incontro della fede biblica con la filosofia greca: si tratta di impedire un autoisolamento e una
riduzione della fede biblica in una tradizione religiosa particolare, di esporsi alla pretesa della
ragione che accomuna tutti gli uomini e di tener ancorato il cristianesimo alla domanda sulla verit
come unica chiave della sua universalit e come obbligazione che gli viene conferita dalla figura di
Cristo. Chi voglia liquidare questo confronto con la ragione e con la domanda sulla verit
considerandolo una "ellenizzazione" particolarizza il cristianesimo e lo riduce a espressione di una
forma particolare e giammai universale di esperienza religiosa. Il Papa nell'enciclica Fides et ratio
ha inserito queste connessioni nel dibattito filosofico e teologico contemporaneo: si tratta di
superare l'"abitudine" e di rimanere sulla via della verit. un appello che riguarda tutti.

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