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26/03/14 08:03
1. Introduzione
La dottrina su Dio uno e trino pu essere riletta da una prospettiva essenziale anche per filosofia: gli attributi divini. L'unit,
infatti, l'attributo fondamentale dell'Assoluto, per il fatto stesso di essere tale. Il pensare Dio uno e trino implica
necessariamente una discussione dell'unit stessa, che deve essere ricompresa a partire dalla rivelazione cristiana.
La questione in gioco , pi in generale, quella del rapporto tra natura e sopranatura e, pi in particolare, quella del rapporto tra
fede e ragione. chiaro, infatti, che la ragione pu cogliere solo l'unit di Dio, perch la Trinit appartiene all'abito della fede.
Ma se si afferma che Dio uno nonostante sia trino, si sta praticamente negando la possibilit di trovare una ragione della fede,
una ragione che possa essere condivisa dal non credente. C', invece, un modo di intendere l'unit e la trinit di Dio che abbia un
valore filosofico oltre che teologico? Si pu trarre un guadagno autentico per il pensiero umano in generale dalla riflessione sulla
Trinit?
Una risposta sembra essere offerta dalla dottrina patristica del sec. IV sugli attributi divini, che qui si intende ripercorrere per
sommi capi, soffermandosi poi in modo specifico sulla dottrina dei Padri Cappadoci. In concreto, il loro pensiero sviluppa una
estensione della ontologia classica in chiave relazionale, per giungere ad affermare che Dio uno proprio perch trino. Questa
nuova comprensione dell'essere e della relazione costituisce un valore per ogni uomo, indipendentemente dalla sua fede.
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Giulio Maspero, Attributi divini ed ontologia trinitaria nel secolo IV (Elaborare l'esperienza di Dio)
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Si assiste cos ad una ricomprensione degli attributi filosofici di Dio a partire dalla visione personale e storica che caratterizza il
pensiero biblico. Questa operazione alla radice del procedere teologico e segna un cammino per tutto il pensiero successivo.
Certamente essa si trova, con Origene, ancora ad uno stadio iniziale. Ma la sua opera manifesta proprio lo sforzo per elaborare
un pensiero che renda conto dell'unit di Dio in un modo consono alla Rivelazione trinitaria.
Questo sforzo evidente nella difficolt per collegare gli attributi divini alla Trinit, come si nota in alcuni passi delle opere
dell'Alessandrino. Si vede, ad esempio, che solo il Padre si identifica perfettamente con gli attributi, mentre il Figlio immagine
di essi, in un senso ancora segnato dalla degenerazione platonica:
Allo stesso modo penso che con ragione si dir del Signore che l'immagine della bont di Dio (cfr. Sap 7, 26), ma non che il Bene in
s. E forse il Figlio anch'egli buono, ma non semplicemente solo buono. E come l'immagine del Dio invisibile (Col 1, 15), e per
questo Dio, pur senza essere colui del quale il Cristo stesso dice: Perch conoscano te, il solo vero Dio (Gv 17, 3), cos egli
l'immagine della sua bont, ma non identico come il Padre al Bene.[5]
Proprio perch immagine della Bont, la seconda Persona della Trinit non pu identificarsi perfettamente con la Bont stessa.
La metafisica di base ancora di taglio platonico: la molteplicit in seno al Primo Principio non pu essere ancora espressa,
senza cadere in una forma di subordinazionismo almeno verbale. Il fenomeno evidente anche a proposito della terza Persona:
In quanto solo l'Unigenito per natura Figlio fin dal principio, in modo tale che sembra che lo Spirito Santo abbia bisogno della sua
mediazione per sussistere, non solo per essere ( ), ma anche per essere sapiente, intelligente, giusto e tutto ci che bisogna dire
di lui, per la partecipazione agli attributi di Cristo gi enumerati.[6]
Si tocca qui il limite della concezione trinitaria origeniana[7]: l'essere ( ) della terza Persona non si identifica con l'essere
sapiente, intelligente, giusto ( , , ). Gli attributi divini del Figlio e dello Spirito sono solo
partecipati e non posseduti in pienezza.
Emerge cos la tensione tra concezione filosofica ed esigenze imposte dall'interpretazione del testo biblico: Origene riesce a
purificare e a portare la comprensione degli attributi sempre pi nella linea della libert, della spiritualit e della dimensione
personale ma, con la metafisica a sua disposizione, non riesce ancora a formulare perfettamente che Dio uno perch trino. Ci
vorr, per questo, il sec. IV, con i nuovi strumenti concettuali che esso porter.
3. Il secolo IV e l'arianesimo
Gli attributi divini sono al centro della riflessione teologica del sec. IV, perch Ario adduceva l'eternit e l'immutabilit di Dio
per negare la divinit del Figlio. La generazione implicava necessariamente un inizio e quindi escludeva che il Verbo fosse
eterno e immutabile.
Atanasio risponde sempre a partire dagli attributi divini, ma da una prospettiva soteriologica: se la vita che Cristo ha comunicato
all'uomo non la Vita di Dio, l'unica ad essere veramente vita eterna, allora la salvezza cristiana non reale. Cos egli afferma
che Dio semplice, infinito e privo di composizione,[8] immateriale ed incorporeo,[9] eterno, immenso, e che trascende il creato.
Nello stesso tempo, per, Atanasio afferma che questo Dio si incarnato, facendosi vicino ad ogni uomo.
Si gioca qui la partita della reinterpretazione teologica degli attributi filosofici di Dio: se l'eternit e l'onnipotenza escludono la
relazione, allora non possibile esprimere il mistero cristiano. Il Dio uno e trino, infatti, cos grande da mandare il Figlio per
farsi uomo, senza contraddire in questo Se stesso. L'entrare in relazione non contraddice l'essere di Dio, che in se stesso
relazione.
Punto fondamentale il passaggio dalla teologia del Logos, che vedeva nella seconda Persona della Trinit una figura di
mediazione ontologica tra Dio ed il mondo, alla teologia delle nature. Origene non riusciva a esprimere compiutamente la
divinit del Verbo proprio per lo strumento concettuale cui faceva ricorso: il Logos era segnato filosoficamente da una
subordinazione rispetto al primo Principio. Ci viene corretto mediante l'identificazione della Trinit con l'unica natura divina
increata ed eterna:
La Trinit non stata fatta, ma eterna. E nella Trinit la divinit unica, come unica la gloria della Santa Trinit. E voi osate
dividere la Trinit in nature diverse. E dite che, mentre il Padre eterno, ci fu un tempo nel quale non esisteva il Verbo che sta presso
di Lui.[10]
La distinzione tra il mondo e il Creatore ora netta, perch Dio l'unica natura eterna, mentre tutto il resto di ci che esiste ha
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una natura creata. In questo modo, la salvezza cristiana viene espressa dal fatto che il Figlio non solo ha, ma la Vita eterna del
Padre, cio si identifica con quell'unica natura increata che la Trinit. Allora il Padre non mai stato senza il Figlio. Cos la
rilettura teologica degli attributi va di pari passo con una purificazione del concetto di generazione: essa, a differenza di quanto si
osserva nel cosmo e, quindi, di quanto la filosofia ha formalizzato, nel caso del Dio uno e trino deve essere concepita come
eterna.[11] Il Padre Padre solo perch genera il Figlio, in modo tale che le Persone divine vengono presentate come correlative.
E ci viene richiesto proprio dall'esigenza di tenere insieme tutti gli attributi divini, perch se la generazione non fosse eterna
allora Dio avrebbe subito una mutazione iniziando ad essere Padre. La stessa immutabilit divina sostenuta dagli ariani verrebbe
meno.
Con Atanasio si vede all'opera il processo di teologizzazione degli attributi divini, che iniziano ad essere reinterpretati in chiave
relazionale. Questa dinamica non contraddice le esigenze filosofiche ma piuttosto, a partire dalla novit rivelata, mostra una
realizzazione dell'identificazione dei diversi attributi pi piena rispetto a dove era giunto il pensiero classico. E ci realizzato
introducendo il nuovo strumento della teologia delle nature e spostandosi al livello della dimensione personale.
Tutto questo ancora pi evidente nel confronto con gli eredi di Ario. Eunomio, infatti, riteneva platonicamente che ci fosse una
connessione tra i nomi e le cose, secondo la sua affermazione riferita da Gregorio di Nissa: l'intimo legame tra i nomi e le cose
immutabile ( ).[12] A ciascun nome corrisponde una realt
distinta,[13] in base alla connessione necessaria che lega il mondo delle Idee alla realt materiale. Perci l'attributo ingenerato
() del Padre escluderebbe l'identit sostanziale con il Figlio generato ().
Il punto che Eunomio non riesce a distinguere due significati diversi dell'attributo ingenerato: il primo sinonimo di non creato,
che riguarda quindi il rapporto tra Dio ed il mondo; il secondo significato , invece, caratteristico dell'immanenza divina in
riferimento al Padre in quanto Principio delle altre due Persone, senza che per queste siano sue creature o effetti. Si tratta di una
distinzione cui ne corrisponde una parallela per generato: alla prima identificazione di questo termine con l'essere creato e
l'essere fatto, si aggiunge una concezione nuova, resa possibile solo dalla rivelazione, per la quale il Figlio generato
eternamente dal Padre senza aver mai iniziato ad essere. Si tratta di un significato puramente relazionale.
La posizione di Eunomio, invece, svaluta la conoscenza umana e il valore degli attributi divini: solo ingenerato esprimerebbe la
sostanza divina, mentre tutti gli altri termini come giustizia, bellezza o misericordia sarebbero solo creazioni soggettive e non
direbbero nulla veramente su Dio. Il valore della conoscenza umana cos mortificato. Per i Cappadoci, invece, proprio perch
nessun nome esprime l'essenza, bisogna ricorrere a molti nomi, in quanto ciascuno, per la partecipazione ontologica, riflette un
aspetto dell'essere divino.
la ragione umana che, nella sua limitatezza, deve scomporre quanto semplice unit e identit in Dio.[14] Ancora una volta ci
deriva dalla Scrittura stessa, che fa ricorso a diversi attributi divini. Il punto che l'essenza di Dio non solo semplice, ma anche
infinita, in modo tale che la molteplicit dei concetti l'unico modo per farsene una certa idea.[15]
Basilio introduce una classificazione dei nomi su Dio, distinguendoli in positivi e negativi. I primi dicono ci che Egli , i
secondi ci che non . Ingenerato ovviamente un nome negativo, come infinito, invisibile, etc. ma di per s non basta. Per
tentare di dire qualcosa dell'infinita ricchezza di Dio bisogna ricorre ad ogni tipo di attributo, usando anche quelli positivi, come
buono, giusto, buono e cos via.
Ma il salto metafisico pi rilevante si rivela nella distinzione tra nomi assoluti e nomi relativi, che sorge dalla distinzione tra
sostanza ed ipostasi: i primi si predicano di tutta l'essenza e quindi si applicano alle tre Persone divine, mentre i secondi si
possono riferire solo alla singola Persona. Gregorio di Nazianzo mostra con chiarezza come ingenerato pu essere inteso sia
come nome assoluto sinonimo di non creato, sia come nome relativo in riferimento al solo Padre, che non generato e non
procede.[16] Parallelamente il Figlio generato, ma non creato.
Ovviamente anche i nomi positivi, pur essendo i pi adatti e significativi, non possono mai esprimere pienamente Dio, che
rimane sempre al di l della capacit conoscitiva umana.[17] Il rapporto tra essere e linguaggio non pu venire invertito: prima c'
l'ente e solo dopo il nome.[18]
Questo tema particolarmente sviluppato da Gregorio di Nissa, che rispetto a Eunomio si muove in una gnoseologia di taglio pi
propriamente aristotelico, per la quale il nome di origine umana e non divina, ed assegnato dalla ragione in base all'analogia e
alla proporzione.[19] Per lui i nomi sono successivi rispetto alle cose e sono ombre delle cose ( ) , che
ricevono forma secondo il movimento di ci che sussiste in un'ipostasi ( ).[20]
La pretesa connessione necessaria tra i nomi e le cose sostenuta da Eunomio permetteva, teoricamente, una ascesa nella
conoscenza, risalendo i diversi gradi della scala ontologica. E proprio contro questa prospettiva si scaglia il Nisseno, accusando
l'avversario di proiettare dal basso verso l'altro e di violare cos il Mistero della teologia ( ) nell'applicare a
Dio quei nomi e quei ragionamenti che sono tratti dalla natura creata e quindi dall'ambito della necessit.[21]
Invece, per Gregorio, la conoscenza di Dio pu procedere solo dall'alto verso il basso, e quindi solo grazie al dono. l'agire di
Dio nella storia che permette di conoscerlo, mentre nessuna idea su di lui pu essere a priori. Le stesse nozioni comuni e la
conoscenza naturale di Dio sono fondate sull'atto creativo, frutto di libert e di amore. Cos l'unico nome che pu esprimere la
natura divina la meraviglia che sorge verso di essa nella nostra anima.[22] Dio si chiama stupore.
Entra qui in gioco la distinzione tra l'immanenza e l'economia divine, fondamentale nella risposta ortodossa all'arianesimo. Il
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mistero della teologia, che Eunomio violerebbe, riguarda proprio la conoscenza della sostanza divina, che di per s
inconoscibile ed ineffabile.
Questo progresso nella epistemologia e nella gnoseologia teologiche si riflette a livello di comprensione degli attributi divini,
come mostra il Contra Eunomium III, una delle opere sintetiche e dogmaticamente pi mature di Gregorio di Nissa.
5. Attributi e relazione
Questa lettura sembra essere confermata dalla frequenza con la quale, nel corso del Contra Eunomium III, gli attributi e la
generazione appaiono collegati nell'argomentare di Gregorio. Fin dal primo capitolo si mostra, infatti, il legame tra attributi,
processione e relazione. Il nucleo del ragionamento, che poi viene sviluppato lungo l'opera, si fonda sull'affermazione di Gv 1,
18 che il Figlio nel seno del Padre[24]:
1. Dio pienezza ed ha in s, nel suo seno, la potenza, la sapienza, la luce, la parola, la vita, la verit.
2. Ma il Figlio, che nel seno del Padre, rende sempre questo seno pieno
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3. perch mai il Padre potrebbe essere pensato vuoto delle cose buone, ed il Figlio queste cose buone, cio potenza e vita
e verit e luce e sapienza.
Questo ragionamento proposto da Gregorio come chiave interpretativa del Dio vero da Dio vero (
) niceno.[25] Il punto che per Eunomio la generazione implica una diversit sostanziale, in modo tale che la
sostanza generata non pu essere la stessa della sostanza non generata.[26] In questa prospettiva, la processione diventa prova
della subordinazione.
La risposta di Gregorio si fonda sul rapporto di mutua immanenza del Padre e del Figlio, per il quale i nomi dati al Figlio sono
inconcepibili al di fuori della relazione tra le due prime Persone divine. Infatti:
Figlio, Destra, Unigenito, Logos, Sapienza, Potenza e tutti i titoli simili che indicano una relazione ( ), sono sicuramente tutti
usati con riferimento simultaneo a un certo legame relazionale con il Padre.[27]
La struttura argomentativa parte dagli attributi predicati del Padre per giungere agli stessi attributi predicati del Figlio attraverso
la preposizione derivativa . Il riferimento al seno del Padre serve proprio a forzare la lettura della derivazione nel senso della
mutua immanenza e quindi nel senso della relazione, che diventa chiave interpretativa della generazione.
Per Eunomio, invece, il generato e il non generato devono corrispondere a sostanze diverse. Da qui discende l'impossibilit di
leggere il Luce da Luce niceno nel senso dell'homoousios, poich le formule derivative significano, nella filosofia del linguaggio
di Eunomio, che la distanza tra le due luci la stessa di quella tra il generato ed il non generato.[28] La sua concezione
metafisica, che vedeva una serie continua di gradi ontologici discendenti tra il Primo Principio e il mondo, si traduceva
immediatamente in una gnoseologia indistinguibile dalla ontologia stessa.
Invece per i Cappadoci la fonte di conoscenza degli attributi divini solo l'economia, cio l'agire salvifico di Dio, in quanto non
c' nessuna connessione necessaria tra la creatura e il Creatore. Per questo Gregorio di Nissa scrive:
Ma io, istruito dalla Scrittura divinamente ispirata, dichiaro con forza che Colui che al di sopra di ogni nome diventa di molti nomi
per noi, con titoli che corrispondono ai suoi diversi atti di beneficenza: Luce quando scaccia le tenebre dell'ignoranza; Vita quando dona
l'immortalit, Cammino quando guida dall'errore alla verit; cos anche detto Torre di forza, Citt fortificata, Fonte, Roccia, Vite,
Medico, Risurrezione e tutti i nomi simili che sono dati a Lui in relazione a noi, per il suo distribuirsi in diversi modi nei suoi benefici
per noi.[29]
In questo testo emergono i nomi Luce e Vita. Essi non sono nomi propri dell'essenza, ma sono attributi divini, qualit, cio, che
possono caratterizzare solo la natura divina e che l'uomo conosce attraverso l'agire di Dio stesso.
importante mettere in evidenza che questi attributi costituiscono una autentica conoscenza di Dio, perch sono effetti che
possono caratterizzare solo la Sua natura: effetti propri, fondati in una operazione che solo la natura divina pu compiere. Nello
stesso tempo, la distinzione tra Creatore e creatura netta. Per questo Gregorio scrive ad Eunomio in riferimento al Prologo
giovanneo:
La creazione non era in principio, n era presso Dio, n era Dio; n Vita, n Luce, n Risurrezione, n nessun altro dei nomi propri di
Dio.[30]
La radicalit di questa distinzione spinge la riflessione sul rapporto tra gli attributi divini e la relazione. Infatti il Vangelo ci fa
conoscere il Figlio come Dio, Vita, Luce, Risurrezione, etc.: in questo modo, colui che indaga il senso della Scrittura, attraverso
la narrazione dell'economia, si trova di fronte non solo alla Luce e alla Vita di Dio, ma anche a Colui che Luce da Luce e Vita
da Vita. E si tratta di una realt che si impone, perch il Cristo risorge e salva, comunicando la Vita eterna. Da qui le accese
parole nel cap. 8 del Contra Eunomium III:
Lo sciagurato non si accorto che il Vangelo ci insegna a vedere la vita eterna allo stesso modo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito
Santo: il testo dice del Padre che conoscerlo la vita eterna (Gv 17, 3); del Figlio, che chiunque crede in Lui ha la vita eterna (Gv 3,
15); e dello Spirito Santo, che per colui che ha ricevuto la sua grazia, Egli sar sorgente d'acqua viva per la vita eterna (Gv 4, 14).
Quindi, chiunque desideri la vita eterna, quando trova il Figlio -- intendo il Figlio vero, e non quello che ha un nome falso -- trova in
Lui tutto ci che desiderava, perch anch'Egli in s vita e ha la vita in se stesso.[31]
L'identificazione di Vita e Trinit cara a Gregorio, ed fondata nel riconoscimento della Vita come una di quelle caratteristiche
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proprie di Dio, sorgente di ogni Bene. Cos, l'Unigenito deve essere riconosciuto della stessa natura del Padre, perch:
Dio essenzialmente Vita (), e l'Unigenito Dio Dio e Vita, e Verit e ogni cosa concepibile che sia sublime e propria di
Dio.[32]
Invece tutte le altre realt solo partecipano della vita, ma non si identificano con essa. Per Gregorio diventa, dunque, assurdo,
negare al Figlio la piena divinit.
Per Eunomio la derivazione implica una diversit di sostanza ed una discesa nel grado ontologico. In questo senso la sua esegesi
dettata dai presupposti filosofici della metafisica aristotelica e neoplatonica, che prevede la scala ontologica. Se una realt
deriva da un'altra, quindi se possiede relazioni, necessariamente deve essere inferiore e non pu essere il Primo Principio. Mentre
per Gregorio tra il Creatore e la creatura c' una distanza incolmabile, per Eunomio esistono gradi di essere intermedi. Per
questo, nell'ultimo capitolo del Contra Eunnomium III, questi sar accusato dal Nisseno di seguire la religione egiziana
caratterizzata dalla concezione di esseri demonici, cio ontologicamente a met strada tra il Cielo e la terra.[33]
In questo modo, la distinzione tra immanenza ed economia, insieme all'affermazione della netta separazione tra la natura divina e
le nature create, spinge Gregorio verso la formulazione della connessione tra attributi e relazione. Infatti, a Eunomio, il quale
sostiene che la Destra del Padre creata, in quanto sostanza diversa da quella del Primo Principio, scrive:
Colui che ha occhio per guardare la verit, vedr che ci che l'Altissimo, lo stesso vedr essere anche la Destra dell'Altissimo:
increata dell'increato, buona del buono, eterna dell'eterno, e per nulla compromessa nella sua eternit per il fatto di essere nel Padre per
la generazione.[34]
Si vede qui in azione la relazione che viene espressa attraverso l'uso dell'attributo ripetuto in forma genitiva:
. Infatti, il nome stesso di Destra del Padre un nome relativo, cos come il nome
Figlio, termine che parla del Padre, perch indica la relazione con Lui ( ).[35]
L'essere dentro l'altro di una Persona rispetto all'altra tradotto da Gregorio, con grande abilit espressiva, a livello di essere
l'uno nell'altro dei rispettivi attributi. Se il Figlio nel Padre che l'eternit, non pu non essere eterno:
essendo nel Padre, Egli non in Lui solo per un solo aspetto, ma tutto ci che il Padre riconosciuto essere, quello stesso per ogni
aspetto in Lui il Figlio. Cos Questi incorruttibile perch nell'incorruttibilit del Padre, buono perch nella Sua Bont, potente
perch nella Sua potenza, e poich Egli tutti quegli attributi che di predicano del Padre secondo il meglio, egli anche eterno nella
Sua eternit.[37]
E ci vale nelle due direzioni, come reciproca l'immanenza delle due Persone divine espressa dal Io sono nel Padre ed il Padre
in me di Gv 14, 10,[38] in modo tale che l'attributo vero proprio perch esso relazionale:
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Una sola bont, sapienza, giustizia, prudenza, potenza, incorruttibilit e tutto ci d'altro che appartiene ai significati pi elevati, tutto
detto di entrambi e in un certo modo ciascuno ha la sua forza nell'altro ( ): il Padre fa ogni cosa attraverso il
Figlio e l'Unigenito, che la Potenza del Padre, realizza ogni cosa.[39]
Ci si trova di fronte a un cambio di prospettiva metafisica, perch quello che, in chiave aristotelica, letto come accidente e
segno di inferiorit ontologica, cio la relazione, diventa qui segno della realt e della assolutezza dell'attributo. Tradotto in
termini di unit, si potrebbe dire che per Gregorio Dio uno proprio perch trino, cos come vita proprio perch genera ed
generato.
Quello che entrato in gioco un altro livello dell'analisi metafisica, che reso accessibile solo grazie alla rivelazione trinitaria:
il livello propriamente personale e relazionale. Cos, per Gregorio, l'essenza divina rimane inconoscibile, eppure l'uomo pu
conoscere qualcosa dell'immanenza. Il muro apofatico impedisce di passare sulla via del possesso della sostanza divina, ma apre
la strada alla conoscenza personale, alla conoscenza relazionale, che tocca la profondit dell'essere, senza che il Mistero di Dio
perda la sua radicale incomprensibilit. Questo livello indicato dal :
Esistere in modo non generato uno degli attributi di Colui che , ma la definizione dell'Essere una cosa, la definizione del modo di
essere ( ) un'altra.[40]
Non generato nome che riguarda l'essenza, ma dire che il Figlio generato non tocca la sua identit di natura con il Padre, ma
esprime il suo modo di esistere come Dio. In questo senso il si identifica con il , cio con la relazione
().
L'argomento il nucleo stesso del capitolo 8, che vuole mostrare come essere in modo assoluto e proprio non escluda l'essere in
relazione, perch, se cos fosse, nemmeno il Padre sarebbe in modo assoluto. Il filo del ragionamento il seguente:
1. in primo luogo Gregorio accetta la possibilit che solo l'essere senza relazione () sia assoluto.[41]
2. Giovanni, per, non solo dice che il Figlio Logos del Padre e nel seno del Padre, ma anche che Dio, senza aggiungere
altro. Cos dice che Luce e Vita in modo assoluto (cfr. Gv, 1, 1-4).
3. Per di pi, se fosse vero che l'essere nella relazione esclude l'essere in modo assoluto, nemmeno il Padre sarebbe in modo
assoluto, perch Gv 14, 10 dice che Egli nel Figlio.
Il testo molto chiaro e costituisce un punto di arrivo nella risposta di Gregorio, che porta all'assurdo gli argomenti di Eunomio.
L'evangelista Giovanni dice, infatti:
che il Verbo era Dio, ed era Luce, ed era Vita (cf Gv 1. 1-4), e non soltanto che era nel principio e presso Dio e nel seno del Padre,
cosicch mediante questa specificazione il Signore privato dell'essere in senso proprio. Dicendo che era Dio, egli taglia la strada a
coloro che corrono verso la malvagit e, ancor pi importante, egli prova la cattiva intenzione dei nostri avversari. Perch, se essi
sostengono che essere in qualcosa un segno del non essere in senso proprio, loro sicuramente saranno d'accordo che nemmeno il
Padre in senso proprio. Infatti, essi imparano dal Vangelo che come il Figlio nel Padre, cos anche il Padre nel Figlio, secondo ci
che dice il Signore (Gv 14. 10). Dire che il Padre nel Figlio e che il Figlio nel seno del Padre , infatti, lo stesso.[42]
Anche il nome Padre indica il modo concreto di esistere come Dio della prima Persona della Trinit. Si tratta di un nome che
esprime relazione al Figlio. Le due Persone divine sono correlative: la loro natura l'Essere stesso, assoluta, nello stesso tempo
ciascuno di loro esiste nella relazione con l'altro. Il dato dal , in modo tale che, se per assurdo si dicesse che
il Figlio non esiste, ne seguirebbe necessariamente anche la non esistenza del Padre ( ).[43]
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classica, la completa e la supera. Gli attributi divini sono reinterpretati in senso autenticamente teologico venendo compresi nella
loro dimensione propriamente relazione. Si scorge, allora, come Dio non sia uno nonostante sia trino, ma sia uno proprio perch
trino, cos come la vera Vita quella che consiste nell'eterna generazione del Figlio da parte del Padre e la vera Bont ancora
questa stessa Vita come Dono infinito ed eterno che sgorga dal seno del Padre. Tutti gli attributi vengono a identificarsi nella
dimensione personale e relazione di Dio uno e trino.
Ma la scoperta di questa dimensione specificamente teologica, proprio perch tocca il fondo dell'essere, riguarda ogni uomo,
indipendentemente dalla fede. Il valore assoluto della persona e la centralit della relazione rappresentano un guadagno per tutto
il pensiero umano. Come non si pu parlare di Dio senza purificare il linguaggio umano tratto dall'esperienza naturale, cos la
trascendenza della persona esige che il linguaggio del singolo, fondato sulla sua esperienza particolare, venga purificato nella
relazione con l'altro. Il percorso teologico del sec. IV pu rappresentare, quindi, un modello per apprezzare la dimensione
dialogica anche a livello antropologico, una dimensione di cui ha particolarmente bisogno l'uomo di oggi, che rischia sempre pi
di dimenticare il Dio uno perch trino.
Copyright 2011 Giulio Maspero
Giulio Maspero. Attributi divini ed ontologia trinitaria nel secolo IV. Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno La
Trinit, Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**52 B].
Note
1. Questo un punto centrale per tutta la teologia di Origene, cfr. M. Simonetti, articolo Spirito Santo, in A. Monaci Castagno (Ed.),
Dizionario Origene, Citt Nuova, Roma 2000, p. 451.
2. Origene, Contra Celsum, 3, 70: SC 136, 160.
3. Cfr. ibidem, 6, 55: SC 147, 316-8.
4. Cfr. ibidem, 2, 20: SC 132, 336.
5.
. .
. (Idem, Frammento di Giustiniano (Ep. ad Menam), SC 253, n. 75,
pp. 53-54).
6.
. (Idem, In Joannem, 2, 10, 76, 2-7: SC 120, 256)
7. Cfr. D.L. Bals, The Idea of Participation in the Structure of Origen's Thought. Christian Transposition of a Theme of the Platonic
Tradition, in Origeniana I, 257-275.
8. Cfr. Atanasio, De decretis Nicaenae synodi, 22: Athanasius Werke, II, p. 18.
9. Cfr. ibidem, 10: Athanasius Werke, II, p. 9.
10. , ,
(Idem, Contra arianos, 1, 18: Athanasius Werke, I, p. 127).
11. Ibidem, 1, 14: Athanasius Werke, I, p. 123-4.
12. Gregorio di Nissa, Contra Eunomium III, 5,32,6-8: GNO II, 171,22-24.
13. Cfr. ibidem 5,18: GNO II, 166,11-25.
14. Cfr. Basilio, Adversus Eunomium, 1, 6: SC 299, 184-6.
15. Cfr. ibidem, 1, 10: SC 299, 204-6.
16. Gregorio di Nazianzo, Oratio 29, 10: SC 250, 196-8.
17. Cfr. Idem, Oratio 30, 18: SC 250, 262-4.
18. Cfr. Basilio, Adversus Eunomium, 1, 12: SC 299, 212-6. Si veda anche l'Oratio 28 di Gregorio di Nazianzo.
19. Gregorio di Nissa, Contra Eunomium, II, GNO I, 298, 10-19.
20. (Ibidem, 150, 12-13: GNO I, 269,
11-14).
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Giulio Maspero, Attributi divini ed ontologia trinitaria nel secolo IV (Elaborare l'esperienza di Dio)
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21. Cfr. Idem, Contra Eunomium, III, 2,24: GNO II, 59,28-60,9.
22. (Ibidem,
6,4,14-5,1: GNO II, 187,9-11).
23. Cfr. J.I. Ruiz Aldaz, articolo Contra Eunomium III, in L.F. Mateo-Seco e G. Maspero, Dizionario di Gregorio di Nissa, Citt
Nuova, Roma 2007, pp. 143-146.
24. Cfr. Gregorio di Nissa, Contra Eunomium, III,1,48-49: GNO II, 20,8-21,5.
25. La formula nicena nel Contra Eunomium III appare esplicitamente in 1,65,12 (GNO II, 27,3) e in 1,85,9-10 (GNO II, 33,15-16), in
questo caso accompagnata dal luce da luce ( ).
26. Cfr. ibidem, 1,67: GNO II, 27,21-28,6.
27.
. (Ibidem, 1,133,9-134,1: GNO II, 48,19-22)
28. (Ibidem, 10,18,4-6: GNO II,
296,7-9).
29.
. (Ibidem, 8,10,7-11,1: GNO II, 242,8-18)
30. Cfr. ibidem, 6,64,4-6: GNO II, 208,24-26.
31.
.
.
(Ibidem, 8,20,11-21,4: GNO II, 246,10-20)
32.
(Ibidem, 6,75,1-3: GNO II, 212,15-18).
33. Cfr. ibidem, 10,41: GNO II, 305,11-27.
34.
(Ibidem, 4,26,4-8: GNO II, 144,5-9).
35. Cfr. ibidem, 2,143,6-7: GNO II, 99,9-10.
36.
. (Ibidem, 2,143,7144,1: GNO II, 99,10-15)
37. .
(Ibidem, 6,10,7-12:
GNO II, 189,17-22).
38. Cfr. ibidem, 7,53,1-54,1: GNO II, 233,25-234,6.
39.
(Ibidem, 5,47,3-8: GNO II, 177,18-21).
40.
(Ibidem, 5,60,8-10: GNO II, 182,11-13).
41. Cfr. ibidem, 8,39,6 -40,1: GNO II, 253,12-15.
42.
.
.
. (Ibidem, 8,40,11-41,6: GNO II, 253,25-254,11)
43. Cfr. ibidem, 6,50,7-51,1: GNO II, 203,21-23.
http://mondodomani.org/teologia/maspero2011.htm
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