Sei sulla pagina 1di 8

Bollettino Filosofico XXV (2009)

Sensazione e immaginazione
a cura di Romeo Bufalo Pio Colonnello

Sensazione e immaginazione a cura di ROMKO BUFALO e Pio COLONNELLO Premessa SEZIONE MONOGRAFICA ADA BIAFORE Tra le paiole e le cose: il ruolo della sensazione e dell'immaginazione nellejorme di organizzazione dell'esperienza ROMEO BUFALO La base sensibile dell'immaginazione in Kant p. 7

p. 15 p. 28 p. 56

FELICE CIMATTI
// limite tattile dell'io. Storia naturale della soggettivit corporea

Pio COLONNELLO
Sensibilit e immaginazione tra la I e la II edizione della KrV di Kant. Rileggendo l'interpreta/.ione di Heidegger p. 69

VALENTINA Cuccio
La rappresentazione dello spazio e la sua espressione linguistica: l'invarianza nella variabilit p. 81 p. 95 p. 110 p. 135 p. 149

MARIA CHIARA GIANOLLA


Nudit e rivelazione

ALFREDO GIVIGLIANO
Copyright MMX ARACNE editrice S.r.l. www.aracnccditricc.it info@aracneeditrice.it via Raffaele Garofalo, 133/A-B 00173 Roma (06| 93781065 ISBN 978-88-548-3384-5 ISSN 1593-7178 / diritti di traduzione, di memoriizazionc elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell'Editore. I edizione: luglio 2010 L'immaginazione sociologica. Tra scienza, soggetto e strutture sociali

MARCO MAZZEO
Contro l'universale: immaginare il comune

LUCA PARISOLI
Concetti universali senza rappresentazione SANDRA PLASTINA La sospensione delle differenze. Scetticismo, immaginazione e questioni d genere a partire dai Saggi di Montaigne Rocco SACCONAGHI Merleau-Ponty e il rendersi visibile dell'inizio delle cose

p. 174 p. 193

STEFANO SANTASIUA
Della comunit del sentire. Evidenza e sensus communis in Eduardo Nicol p. 210

CARLO SERRA
Mahler lettore di Nietzsche p. 222

Della comunit del sentire. Evidenza e sensus communis in Eduardo Nicol

Se mi domandassero qual , di tutti i misteri, quel che resta per sempre impenetrabile, risponderei senza esitare: Vevidenza E. JABS

Ne II senso comune tra razionalismo e scetticismo, pubblicato nel 1992, Antonio Livi afferma che con il marxismo morto l'ultimo tentativo di costruire, al di fuori del realismo classico e cristiano, un pensiero "forte"; e cos adesso sembra che la cultura contemporanea conosca solo il pensiero "debole", che una forma di scetticismo nella quale confluiscono, oltre alla scuola italiana cos denominata e capeggiata da Gianni Vattimo, varie correnti europee e americane: la filosofia analitica, l'ermeneutica, la fenomenologia, lo strutturalismo, il pensiero dialogico'. trascorso pi di un decennio dalla pubblicazione di tali affermazioni, ed possibile affermare che, eccetto alcune correnti filosofchc citate da Livi (in effetti non so tino a che punto sia possibile considerare la tcnomenologia come una forma di scetticismo dato che, almeno nella sua fondazione, fare filosofia secondo il metodo fenomenologico avrebbe dovuto rispondere, o per lo meno tendere, all'ideale di scienza rigorosa ), il senso delle sue parole ha un valore estremamente profondo e importante ancora oggi. Lo scetticismo di cui parla Livi quello che mette in dubbio qualsiasi possibilit che si diano eventi o valori comunemente percepiti, un 'senso comune' della realt. La questione, appunto, del sensus communis non inteso cme semplicistico buon senso3, n
A. LIVI, // senso comune tra razionalismo e scetticismo, Milano, Massimo, 1992, p. 5. Cf. a tal proposito lo stesso scritto di EDMUND HUSSERL, Philosophie afe strenge Wsenschaji, pubblicato nel 1911 nella rivista Lagose, successivamente ripubblicato in Husserliana. Aajstze unJ Vortr'dge (1911-1921), voi. XXV, Nijhoff, Dodrecht 1987 (nel nostro caso ci avvaliamo della traduzione di Corrado Sinigaglia, Lafilosofia come scienza rigorosa, Roma-Bari, Latcrza, 2005). In fine a quella che possiamo definire come l'introduzione a! suo breve saggio, lo stesso Husserl afferma: se una svolta filosofici deve avere legittimit nel nostro tempo, necessario che essa sia in ogni caso animata dall'intenzione di una rifondazione della filosofa nel senso di una scienza rigorosa (ivi, p. 11). ' Riguardo alla 'confusione' spesso realizzatasi tra i due termini, in particolare nell'uso
1 2

qualsivoglia pensiero filosofico: 'croce' perch il semplice fatto che vi sia un'evidenza che non necessita di alcuna dimostrazione, n di un iter speculativo che a questa conduca, rappresenta un reale problema per un pensiero che voglia mostrarsi come fondamento e spiegazione di tutto il reale; 'delizia' perch permette al pensatore di cogliere l'ombra di mistero che si cela alle sue spalle e che mostra, attraverso una sorta di 'chiaroscuro', la sua origine. Tutto ci indica che il sensus communis ha a che lare con ci che pi importante e problematico per l'uomo: l'evidenza. L'evidenza di per s si mostra come chiarezza e mistero: la chiarezza legata al contenuto dell'evidenza stessa, a ci che in tale esperienza si mostra come evidente; il mistero, invece, giace al fondo della stessa esperienza di evidenza, nel fatto che qualcosa si mostri come chiaro e venga automaticamente assunto come punto di partenza del ragionamento. L'evidenza, dunque, un'esperienza che non verifica alcuna ipotesi, bens verifica e assunzione, al tempo stesso, di un dato che diamo per assodato. L'essere evidente, per, non si gioca solo nell'ambito dell'individualit, non un'esperienza solipsistica, bens pretende il riconoscimento del suo valore nell'ambito intersoggettivo. Che qualcosa sia evidente solo ad una persona pone gi di per s dubbi sulla sua stessa evidenza (eccetto nel caso di alcune esperienze particolari quali, ad esempio, l'esperienza mistica)4. Come esempio esplicativo, vale la pena di riferirsi all'iter speculativo che conduce all'elaborazione-riconoscimento del cogito ergo sum cartesiano e alla sua validit come punto di partenza del conoscere, se non altro per il grande valore che il pensatore francese riconosce alla caratteristica della chiarezza come conditio sine qua non perche si dia una conoscenza certa ed autentica. La riflessione di Cartesio parte dalla ricerca di un'evidenza che non pos-

quotidiano del linguaggio, estremamente interessante l'analisi storicoetimologica svolta da A. LIVI nell'Introduzione al suo Filosofia del senso comune (Milano, Ares, 1990, pp. 1030); nello specifico, si guardi il primo paragrafo che reca appunto il titolo "Senso comune" e "buon senso". Di A. Livi cf. anche Senso comune e logica aletica, Roma, Leonardo da Vinci, 2005 e Metafisica e senso comune, Roma, Leonardo da Vinci, 2007. Sulle riflessioni elaborate da Livi cf. AA.VV. , Per una filosofiti del senso comune. Studi in onore di Antonio Livi, Milano, Italianova Publishing Company, 2009. 4 Cf! a tal proposito j. BEAUDE, La mistica, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1992 e i due interessanti studi effettuati dal teologo madrileno JUAN MARTIN VELASCO, I! fenomeno mistico. Antropologia, culture e religioni, Milano, Jaca Book, 2001 e 11 fenomeno mistico. Struttura del fenomeno e contemporaneit, Milano, Jaca Book, 2003. Riguardo differenze e affinit tra esperienza flosofca ed esperienza mistica cf. A. MOLINARO, E. SALMANN (eds.), Filosofia e mistica, hinerari di un progetto di ricerca, Roina, Studia Anselmiana, 1997.

210

cerca, che tutto pone al vaglio di quello che chiama "dubbio metodico", permette a Cartesio di risalire la china fino ad un punto che sembra inconfutabile, una certezza che non pu essere messa in discussione. Tale certezza quella del cogito: considerate adeguatamente tutte queste cose, bisogna alla fine stabilire che questa proposizione, Io sono, io esisto, necessariamente vera ogni volta che la pronuncio e ogni volta che la mente la concepisce . Tale base d'appoggio, per, non riesce ad uscire dal 'piccolo' recinto in cui stata concepita: quello di una certezza soggettiva che, sebbene chiunque possa provare, non ci permette di comunicare perch non riesce a dare conto del mondo che la circonda. Si pu obiettare che Cartesio su tale certezza sia riuscito a fondare tutto l'edificio del conoscere, soprattutto di uri conoscere scientfico che si rivelato essere verace. Tutto ci vero; come, per, lo allo stesso modo il latto che tale fondazione avvenga attraverso due passaggi emblematici: in primis per parlare di evidenza bisogna fare riferimento sempre a due caratteristiche, la chiarezza e la distinzione; in secundis, perch si dia una conoscenza verace, necessario affrontare la questione dell'esistenza di Dio. Il fatto che ci che si mostra come chiaro abbia un determinato valore, superiore a ci che si mostra oscuro, che si riferisca cio ad un'evidenza che o gi di per r s ne da certezza di esistenza, mostra come, in realt, tale chiarezza sia strumento metodologico che gi precede l'assunzione del cogito come punto di partenza. Il cogito si mostra gi nella sua evidenza, nella sua chiarezza, e questo permette che esso possa essere assunto senza dubbi6. Ma se il cogito ergo sum evidente, allo stesso tempo si fa misura dell'evidenza: l'evidenza, dunque, ancora una volta non si lascia enucleare in maniera concettuale ma solo espcrienziale e in tal modo fa s che l'esperienza dell'evidenza, ritenuta di massimo livello, sia il parametro al quale si debbano riferire tutte le altre conoscenze affinch siano considerate autcntiche. Siamo cos giunti al centro della questione: solo il cogito viene percepito con tale chiarezza o esistono altre esperienze che hanno come caratteristica, se non la stessa, per lo meno una forma di evidenza che le renda non confutabili? Quando per mi rivolgo alle cose che ritengo di percepire in modo molto chiaro, sono a tal punto persuaso da esse che sponR. DESCARTES, Meditazioni sulla filosofia prima, Milano, Mursia, 1994, p. 59. Cf. a tal proposito l'interessante saggio di PIERRE THEVENAZ, La question du point de dpart radjcal chez Descartes et Husserl, in AA.Vv., Prohlmes acluels de la Phnomnologie, Paris, Descle de Brouwer, 1 952, pp. 9-3 ].
5 6

per far s che io sia niente per tutto il tempo che penser di essere qualcosa; n potr far s che un giorno sia vero che io non sono mai esistito, poich ormai vero che io sono; e nemmeno potr far s che due pi tre facciano pi o meno di cinque, o simili cose nelle quali riconosco una manifesta contraddizione . Le ultime parole pronunciate in questa frase dal matematico e filosofo francese ci permettono di andare pi a fondo in quanto mostrano come, oltre al cogito, via siano altre cose chiare a tal punto che il metterle in dubbio creerebbe una situazione contraddittoria inconcepibile per lo stesso Cartesio. Tali cose riguardano, in questo caso, la matematica ma ci che a noi interessa che esse possano mostrare un grado di evidenza che le pone al riparo da qualunque possibilit di essere solo delle allucinazioni e questo perch, anche se stessimo sognando, secondo Cartesio il fatto che due pi tre faccia cinque rimarrebbe valido. Tali nozioni si manifestano come delle crepe in quello che potremmo definire come il solipsismo del cogito, costringendolo a guardare al di l di se stesso e allo stesso tempo a riconoscere che, sebbene parta da s, deve riconoscere delle evidenze anche al di fuori della sua stessa esistenza. In pi, proprio in quanto fuori dalla sua evidenza d'esistere, tali evidenze si connotano come patrimonio comune e, allo stesso tempo, come possibilit di comunicazione con gli altri uomini e quindi all'interno della comunit (da quella specifica di appartenenza a quella generalmente umana). Infatti, tali nozioni non sono evidenti se non in quanto relazione del pensiero a ci che fuori di esso, quindi a qualcosa di evidente che deve essere tale anche per gli altri uomini, e questo in ragione del fatto che ogni uomo dotato di pensiero, quindi di tale evidenza, cos come di quella del cogito. Gi, dunque, possiamo notare come il solipsismo cartesiano riconosca, e con questo riconoscimento inizi gi di per s a sfrangiarsi, la possibilit di un'evidenza che non sia pi chiusa nell'ambito del proprio pensiero, bens apra alla possibilit dell'extra, forse intuendo i rischi della tentazione idealistica. Non va, poi, dimenticato che l'intento cartesiano quello di individuare una certezza universale e, soprattutto di ispirarsi alla matematica e di seguire il suo metodo8. L'unica possibilit di mettere ancora in dubbio l'evidenza dell'alR. DESCARTES, Meditazioni sullafilosofia prima, cit., p. 71. A conferma di ci basti il solo riferimento alla seconda parte del Discorso sui metodo: Difatti, in fin dei conti, il metodo che insegna a seguire il vero ordine, e ad analizzare esattamente tutte le circostanze di quel che si cerca, contiene tutto ci che conferisce certezza alle regole dell'aritmetica (R. DESCARTES, Discorso sul metodo, Milano, Rizzoli, 1996, p. 66).
7 8

creatore malvagio che con intenzione mi inganna. Cartesio si pone questo dubbio al fine di giungere alla possibilit di una certezza completa e si interroga sull'esistenza di Dio, nella terza meditazione sulla filosofia prima. La soluzione, ben nota, che da a tale questione, riguarda l'innatismo di alcune idee, ed in particolare quello dell'idea di infinito, cio di un'idea il cui 'ideatimi (il contenuto) supera il contenitore facendolo, in qualche modo, esplodere sotto la sua portata . Riconoscendo ci, Cartesio spinto ad affermare che non potendo essere desunta dall' esperienza tale idea deve essermi stata posta nella mente da Dio stesso . Se da un lato ci pu sembrare dare ragione agli 'avversar! del sensus communis', in quanto tale idea non pu essere desunta dall'esperienza, pur vero che da un altro punto di vista rafforza proprio la convinzione che esista qualcosa di innato che possa essere focalizzato dall'uomo nel momento stesso in cui si rapporta al mondo. Non si parla infatti di un'esperienza di stampo scientifico, ma di un'esperienza primaria, un'esperire se stessi, di cui, quindi, anche il cogito diviene espressione. Se la certezza della propria esistenza rimanda alla certezza del mondo e viceversa, e la ricerca cartesiana lo mostra nel momento in cui dal cogito necessario uscire per cercare un fondamento di tutto, allora si pu intendere come il valore del sensus communis sta tutto nell'essere un sistema organico di certezze primarie, dove i primi principi [...] sono intimamente connessi all'esperienza". Tale connessione all'esperienza va intesa in una duplice maniera: sia nel senso di principi che la stessa esperienza insegna mostrandoli; sia nel senso di principi che emergono nel momento in cui facciamo esperienza di qualcosa, ma che possiamo conoscere anche riferendoci a noi stessi. Tale seconda maniera attraverso la quale intendo la connessione che, secondo Antonio Livi, si da tra senso comune e principi primi, non mira a chiudere l'uomo nella sua interiorit ma mostra come in esso vi sia gi una predisposizione a cogliere tali punti stabili della realt. Potremmo dire, semplificando, che senso comune e principi primi sono intimamente connessi e l'uomo giunge a tali principi proprio attraverso il senso comune. Il riferirci alla riflessione cartesiana ha come motivazione il fatto di mostrare come possibile individuare anche in un autore che mette in dubbio, e fa del dubbio il suo metodo, il valore dell'esperienza quotidiana, la traccia ineludibile del sensus communis. Tale traccia mostra come, sebbene l'intento
9 10 11

mondo, il punto di partenza si manifesti come qualcosa di pienamente evidente che elucida gli effetti pi che entrare nel merito della spiegazione causale. A tal proposito Pascal afferma: sarebbe ( . . . ) irragionevole negare la verit o, per lo meno, la possibilit, con il pretesto che assolutamente incomprensibile: giacch "l'uomo pi incomprensibilc senza questo mistero che questo mistero non sia inconcepibile per l'uomo" . L'ammonimento pascaliano, che parte proprio dalla riflessione sulla razionalit cartesiana, estremamente radicale e riconosce da subito che l'evidenza primaria non necessita di essere intelligibile bens, proprio in quanto evidenza, ci che permette di accettarla la sua capacit di dar ragione dei fatti. I principi primi, le evidenze, sono alla portata di tutti ma proprio per questo bisogna avere buona vista (ma buona davvero, perch tali principi sono cosi sfuggenti e cos diversi che pressoch impossibile che talvolta non ne sfugga uno: ora, basta ometterne uno che subito si cade in errore, e occorre dunque avere una vista ben chiara per contemplarli tutti insieme, e una mente rigorosa per non derivare conclusioni erronee da questi principi evidenti) . Il sensus communis, dunque, si connota come la 'buona vista', la capacit di cogliere tali principi che, in quanto evidenti, sono 'alla vista' ma, proprio perch evidenti, sfuggono ad uno sguardo ingenuo. Tale sfuggire non significa, per, che essi non siano validi e che non siano anche ci su cui si fonda, in maniera automatica, la nostra esperienza quotidiana. Infatti, le conclusioni erronee di cui parla Pascal sarebbero proprio quei tentativi di spiegazione che, ignorando i principi primi, tentano di adottarne altri, non rendendosi conto che in tal modo non riescono a dare ragione dei fatti. Il sensus communis, secondo ci che abbiamo detto finora, si mostra come capacit di cogliere quei principi primi, evidenti, che per non sono conoscibili attraverso un atteggiamento ingenuo, n attraverso una prospettiva razionalista che tenti di spiegare la realt in una maniera che potremmo definire 'totalitaria', intesa come tentativo di piegare la realt alla ragione senza tenere conto delle resistenze della realt stessa. Una ragione, dunque, che conosce i propri limiti, "limiti della ragione" (che] contengono gi la conoscenza metafsica della "cosa in s", perch presuppongono il "senso comune", vera conoscenza del mondo, di s e di Dio, anche se con tanta oscurit e tante incertezze dovute alla condizione umana 14 .
12 P. SBRINI, Introduzione i B. PASCAL, Pensieri, Milano, Mondadori, 1984, p. 51. ' M v i . p . 58. 14

Cf. a tal proposito E. LVINAS, Dio, la morte e il tempo, Milano, Jaca Book, 1996. R. DESCARTF.S, Meditazioni sullafilosofia prima, cit., pp. 79-80. A. LIVI, // senso comune tra razionalismo e scetticismo, cit., p. 6.

A. LIVI, // senso comune tra razionalismo e scetticismo, cit., p. 64.

mento che, a partire dal proprio rapportarsi col mondo, si attua e verifica all'interno della comunit umana. questo l'assunto fondamentale sul quale poggia la propria riflessione Eduardo Nicol . Nel primo capitolo della sua opera maggiore, la Metafsica de la expresin, Nicol afferma che l'evidenza apodittica, in effetti non e un contenuto n una forma, n tanto meno una norma o assioma: un atto, e un atto comunicativo. Vapoditticit inerente alla primaria dichiarazione della presenza dell'essere'6. L'essere delle cose si manifesta in maniera evidente solo perch tale evidenza comunicativa. Se, come afferma anche Cartesio, necessario individuare un punto
15 Eduardo Nicol (1907-1990) nacque in Spagna, per la precisione in Catalunya, e si form a Barcclona studiando filosofa presso la Universitat de Barcelona sotto la guida di Jaimc Serra Hunter (1878-1911) e Joaquin Xirau (1895-1946). Nel 1939, all'indomani della sconfitta repubblicana da parte delle forze franchiste, dopo aver combattuto per la repubblica sul fronte catalano, fugge in Francia dove si imbarcher per giungere in Messico. A Citt del Messico porter a compimento i suoi studi conseguendo il dottorato di ricerca e iniziando la sua carriera di docente universitario presso.la Universidad Nacional Autnoma de Mxico. Per ci che conceme la vita e il pensiero di Nicol cj. "Eduardo Nicol. La filosofia como razn simblica", Anthropos 3 (1998), numero monografico dedicato ad Eduardo Nicol; J.L. ABELLN, / exihofilosfico en America: los transtermdos de 1939, Madrid, FCE, 1998; ID., Histoiia critica del pensamiento espanol, 5 voli., Madrid, Espasa-Calpe, 1979-1991; M. GONZLEZ GARCA, E hombrey la historia en Eduardo Nicol, Salamanca, Universidad Pontifcia de Salamanca, 1988; P. COLONNELLO, Itinerar difilosofia ispanoamericana, Roma, Armando, 2007; A. CASTINEIRA (ed.), dvard Nicol: Semblanca d'unflosf, Barcelona, 1991; j. GONZLEZ, La metafisica dialttica de Eduardo Nicol, Mxico, UNAM, 1981; lD.,L.SAGOLS (eds.), E ser y la expresin, Mxico, UNAM, 1990. Nicol appartiene a quella grande cerchia di intellettuali che lasciarono la Spagna a causa della dittatura franchista e decisero di rifugiarsi in America Latina considerando l'identit linguistica un dato fondamentale al fine di "ristrutturare la propria vita al di l dell'oceano". Riguardo a tale esilio v' una vasta letteratura; qui ci limitiamo a segnalare alcuni testi, riguardanti per lo pi l'ambito degli studi filosofici: J.L. ABELLN, Filosofia espaiiola en America (1936-1955), Madrid, Guadarrama, 1966; ID., El exiliofilosfico en America: los uansterradoi de 1939, cit. ; J. IZQUIERDO ORTEGA, "Pensadores espanoles fuera de Espana", Cuadernos Americanos, enero-febrero 1965; J.L. ABELLN, Panorama de lafilosojia espanoa actual. Una situacin escandalosa, Madrid, EspasaCalpe, 1978; AA.VV., E exilio espanol en Mxico 1932-1982, Mxico, FCE, 1983; ]D., A. MONCLUS, El pensamiento espanol contemporneo y la idea de America, 2 voli., Barcelona, Anthropos, 1985; G. VARGAS LOZANO (ed.), Cincuenta anos de exilio espano/ en Mxico, Mxico, Universidad Autnoma de Tlaxcala, 1991; L. DE LLERA, I. BUONAFALCE, "L'esilio repubblicano del 1936 in Messico: filosofa e identit del pensiero in lingua spagnola", Cultura Latinoamericana. Annali del'lSLA 1-2 (1999-2000), pp. 399-437. Per uno sguardo pi ampio sulla questione dell'esilio "repubblicano" rinviamo a L. DE LLERA, El ltimo exilio espanol en America, Madrid, Mapfre, 1996. 16 E. NICOL, Metafisica dell'espressione, Napoli, La Citt del Sole, 2007, p. 73.

dell'evidenza, allora la ragione che riconosce tale evidenza deve svolgere un ruolo particolare nella costruzione del sapere. Secondo Nicol, infatti, la ragione opera non solo nell'ambito concettuale, bens in tutte le dimensioni della nostra esistenza'7, ed per questo motivo che non v' ragione che non sia, allo stesso tempo, comunicazione. L'uomo, infatti, al di l dell'epoca storica in cui situato, pu essere definito sempre in base alla sua capacit di comunicare: l'uomo l'essere che esprime . La ragione, in quanto umana, sar allora senza alcun dubbio 'ragione comunicativa'. Cosa abbia a che fare, con il sensus communis, la riflessione nicoliana sull'essere e l'agire della ragione, lo si pu comprendere solo se si fa un passo indietro rivolgendo l'attenzione alla radice culturale nella quale lo stesso autore va a collocarsi. Senza mezzi termini, Nicol si ascrive a quella tradizione di studi sviluppatasi in Catalunya che viene generalmente riconosciuta con il nome di Escuela de Barcelona" e ne assume anche tutta l'elaborazione della 'problematica del senso comune' elaborata dagli altri autori appartenenti a tale 'scuola' . Un brevissimo sguardo alle riflessioni elaborate da alcuni degli esponenti di tale tradizione pu permetterci di leggere in maniera pi chiara le affermazioni del pensatore in questione. Rivolgendo la nostra attenzione ad alcuni pensatori che lo stesso Eduardo Nicol annovera tra i maestri appartenenti alla tradizione catalana, quali Jaime Balmes (1810-1848) 21 e Llorens i Barba (1820-1872) 22 , da subito ci
ID., Historicismoy existencialismo, Mxico, FCE, 1950, p. 268. ID., Metafisica dell'espressione, cit., p. 189. 19 In realt sembra essere Nicol il primo ad aver proposto la definizione Escuela de Bar celona e non sapremmo davvero riportare scritti precedenti al suo nel quale si ipotizzi l'esistenza di un tale nucleo di pensatori; va aggiunto, inoltre, che ogni testo di storia della filosofia spagnola (basta confrontare i testi di Jos Luis Abelln, Alain Guy, Eusebio Colomer) riporta come punto di partenza del dibattito su tale questione le affermazioni che Nicol scrive ne El problema de lafilosofia hispnica (E. NICOL, // problema della filosofia ispanica, Napoli, La Citt del Sole, 2007, p. 171). 20 Id., 11 problema della filosofia ispanica, cit., p. 192. 21 Personaggio chiave della storia del pensiero spagnolo, filosofo al quale fu dato il soprannome, in stile medievale, di doctor humanus, visse negli stessi anni di Llorens i Barba. Si dedic allo studio della filosofa scolastica, in particolare del tomismo, tentando una conciliazione fra questo e la moderna gnoseologia. Tra le sue opere pi importanti possiamo ricordare la sua Filosofia fundamental (Barcelona, 1846), il Carso de filosofia fundamental (Madrid, 1847), che tanto colp l'altro noto filosofo dell'esilio Jos Caos, e l'opera che gli don pi fama vale a dire El Criterio (Madrid, 1845), un insieme di norme da utilizzare per
17 18

condurre bene il proprio intelletto, una sorta di discours de la mthode. 22 Tale pensatore, professore della Universitat de Barcelona, fa parte di una genera-

.v. v^u .^uuia acu^zese (in particolare dalle riflessioni di Thomas Reid). Llorens i Barba definisce il suo pensiero proprio come una dottrina del senso comune, nella quale la coscienza si comporta come lumen naturalis al quale attribuito il compito di individuare le condizioni basiche dell'esperienza; condizioni che la stessa esperienza non pu n spiegare n fondare. Il senso comune, allora, si connota come capacit di riconoscere il dato originario che costituisce la possibilit stessa della conoscenza e fornisce, in tal modo, il discrimine tra vero e falso per ci che concerne i principi primi . In maniera alquanto simile, Jaime Balmes, nella sua Filosofia Jundamental, parla del senso comune come di una legge dello spirito che si manifesta come inclinazione naturale e che ci permette di dar credito ad alcune verit fondamentali che non possono essere n fondate n giustificate dalla ragione. Verit che, per, sono necessarie per lo sviluppo della vita intellettuale e morale24. Si pu affermare che per i su citati autori, riconosciuti dallo stesso Nicol come fondamentali nell'ambito della propria formazione, il problema dell'apoditticit, intesa come esperienza basica che costituisce il punto di partenza di qualsiasi riflessione filosofica, un problema di estrema importanza. L'individuazione dell'evidenza fondamentale e condivisa costituisce, per tali autori, la positivit dell'io che si riscopre come punto di partenza gi in relazione con il mondo e con gli 'altri io', unico punto di avvio dell'autentica conoscenza . Questa concezione del senso comune , per Nicol, pi che una vera e propria dottrina, un orientamento di base nel quale anch'egli si riconosce26. Si tratterebbe della capacit di riconoscere i principi comuni gi condivisi che precedono e rendono possibile il nostro essere consapevoli di ci che siamo
zione di studiosi catalani ai quali appartengono anche i nomi di Jaime Balmes e Ramon Marti d'Eixal, tutti legati da una concezione spiritualista che, pur aprendosi alla tradi/.ione moderna, non respingeva il legato della tradizione, di una tradizione che si pu far rimontare fino alla figura di Ramon Llull, e che cercava nella filosofa dello spirito un accordo tra quel carattere particolare tipicamente catalano che il seny e la dottrina del senso comune (Cf. N. BlLBENY, Filosofia contemporaina a Catalunya, Barcelona, Edhasa, 1985, p. 177). Riguardo al seny, inteso come forma di saggezza pratica riconosciuta come carattere peculiare della tradizione catalana, cf. ]. FERRATER MORA, Lasjormas de vida catalana, Madrid, Alianza Editoria!, 1987.
2' 24

questo necessario che esista un senso, comune a tutti noi, che ci permetta di riconoscere la loro evidenza primaria e fondamentale . Tutti coloro che hanno parlato di senso comune, sottolinea il pensatore ispanico, hanno sempre voluto mostrare che questo giudizio non la nostra facolt che abbiamo di intendere le cose, ma quella di intenderci rispetto alle cose28. Ci indica che i principi di base costituiscono il 'luogo comune' nel quale si incontrano 'le ragioni di tutti': in questo implicita l'idea secondo la quale i principi supremi devono essere un patrimonio comune, anche se le scienze stesse che si formano sui principi non sono, per l'intrinseca difficolt del loro sviluppo, cosa di dominio pubblico . In Historicismo y existencialismo, considerato da Nicol come i prolegomeni alla Metafisica de la expresin, si afferma che la ragione opera prima ancora di formulare concetti a partire dalle percezioni, ossia che l'agire razionale sia in atto gi in una fase che potremmo definire 'preconcettuale'; fase nella quale avviene una selezione delle percezioni, momento in cui la ragione forma il mondo comprendendolo30. Per comprendere bene la questione dell'evidenza comunicativa, cos come viene posta da Eduardo Nicol, necessario soffermarsi un attimo su tale formare il mondo comprendendolo. Con tale affermazione, Nicol non intende dire che la ragione costruisca il mondo a partire da se stessa, senza alcun riferimento alla realt. Questo soprattutto perch non esiste ragione alcuna che non sia parte integrante del reale. Il 'formare' di cui parla il pensatore ispanico gi di per s il riconoscimento di un ordine, di una trama di relazioni: parlare di logos equivale, allora, al parlare della ragione immanente al reale 3 '. Pensare sempre pensare un ordine , inteso come insieme di relazioni che costituiscono la trama del reale, ri conosciuta comunemente. Questa la condizione che permette a Nicol di affermare che dinanzi all'evidenza del reale non v' possibilit alcuna di assumere una posizione personale. La realt una verit apodittica proprio perch non scienza. N scienza n opinione . Dal momento stesso in cui prende l'avvio il nostro ragionare, e concettualizzare,
" Ivi, p. 195. Ibia. 2 9 Ivi, p. 196. !0 E. NICOL, Histoncismoy existencialismo, Mxico, FCE, 1950, p. 280. 31 Io., l.os principiai de la cienca, Mxico, FCE, 1965, p. 497. " ID., Critica de la razn simblica, Mxico, FCE, 2001!, p. 185. 33 ID., Metafisica dell'espressione, cit., p. 159. emblematico che il capitolo dell'opera in cui Nicol tratta di questo problema abbia come titolo // controdiscorso sul metodo.

N. BlLBENY, Filosofa contemporaina a Catalunya, cit., pp. 192-194.

J. BALMES, Filosofa Jundamental, in Obras completa*, voi. XVI, Barcelona, Bibliotca Balmes, 1927, p. 316.
25 26

Cf. A. GUY, Histora de lafilosofa espanda, Barcelona, Anthropos, 1985, pp. 233-234. E. NICOL, 11 problema dellajilosofia ispanica, cit., p. 194.

binomio scienza-opinione, la conoscenza certificata o il giudizio soggettivo, e che l'apoditticit sia pertinente solo al conoscere scientifico. Tale conoscere, per, per Nicol pertinente all'essenza e non alla presenza, quest'ultima infatti, data la percezione, non pu essere messa in dubbio; la presenza gi di per s comunicazione, comunit che converge nell'unica e indubitabile affermazione della presenza stessa: l'autentica apprensione degli oggetti sensibili la si ricava con i sensi, con il logos, che pensiero e parola34. La presenza del reale gi comunicata nel nostro dire ed agire, pertanto percepita in maniera pre-concettuale proprio perch pre-scientifca. Tale apoditticit indubitabile e inconfutabile ma solo perch sempre comune, ossia comunicata. La ragione che percepisce sulla base di una gi ri-conosciuta presenza , perci, anch'essa comune e lo perch possibilit stessa della comunit che riconosce la presenza, ovvero la realt. L'apoditticit della presenza , dunque, fondamento sia della scienza che dell'opinione, ma fondamento di carattere fenomeno-logico in quanto gi dia-logico. Il dia-logos, infatti, altro non che il logos condiviso, comune, e, per questo, gi da sempre parola comunicata, parola comune. Ci che Eduardo Nicol ravvisa in maniera chiara che se vi sono principi comuni basici, allora v' anche una ragione comune, luogo condiviso e manifestazione della comunit del senso. , infatti, il comune sentire che, come per un gioco di parole, alla base del sensus communis. 11 sentire comune , per, evidente solo nel momento stesso della comunicazione, momento in cui la ragione mostra la sua essenza simbolica. Il senso comune qui trasfigurato in una comune ragione comunicativa che un sentire prima ancora d'essere un concettualizzare. Un sentire che non esiste se non nella duplice relazione col mondo e con l'altro: 'comunione' che costituisce la stessa consapevolezza di s mostrando come nel fondo di qualsiasi 'io' si manifesti un 'tu' costitutivo . La ragione comune espressione e fondamento della stessa comunit, di un solo sentire che sempre manifesto e in dialogo, appunto ia-logos. 'Scienza' e 'opinione' non sono altro che le due possibilit che si aprono a partire dal 'sentire comune', dalla ragione condivisa, dall'apoditticit della presenza36. La comunit del sentire
Ivi, p. 160.

mette appunto che il sapere abbia una ratto, ossia un senso tontiativo. fecondo Nicol ci comune e primario perch l'uomo stesso non che l'essere del senso, l'essere che costituisce la sua esistenza in perenne dialogo trasformante con il mondo e con l'altro uomo . La verit si costituisce, dunque, come comunitaria, condivisa, sentita, ma solo attraverso una dimensione relazionale. Secondo Nicol, la verit gi apertura in quanto coscienza e manifestazione della condivisione: la ricerca si intraprende a mani aperte, simbolo di penuria e speranza; e osservate con quale frequenza colui che possiede o crede di possedere la verit chiude questa mano per assicurarsene il possesso. La mano chiusa la si chiama pugno, e questo gi simbolo di aggressione . Chiaramente, quel che chiuso non condiviso e ci impedisce il suo essere evidente. Se l'uomo l'essere del dialogo, allora il nostro comunicare, come sentire comunemente, la piena realizzazione dell'essere uomini, ossia della nostra verit: ci esprimiamo per nostalgia e speranza. Nostalgia del nostro stesso essere, di quella parte di noi che non abbiamo; e speranza di recuperarlo nel dialogo con l'altro39. Nostalgia e speranza precedono ogni possibile chiarificazione dell'esistenza e si mostrano attive in quel sentire che costituisce la comunit e in essa si manifesta. Sentire che ragione comune, dialogo, comunit del senso. Ci piace allora concludere ammettendo, con le parole di Nicolas Gmez Dvila, che la ragione un atto dello spirito che analizza un atto spirituale previo. La ragione non genera ma educa ci che generato .

34
n

interessante, riguardo tale momento del pensiero nicoliano, sottolineare l'affinit tra l'esisto dell'indagine del pensatore ispanico e quelli delle riflessioni di EMMANUEL LVINAS (Totaht a infini, L'Aja, Nijhoff, 1961) e di PIETRO PIOVANI (Principi di una filosofia della mora/e, Napoli, Morano, 1972).
6E.

NICOL, Metafisica dell'espressione, cit., p. 215.

"Ivi, p. 243 e sgg. 38 E. NICOL, 11 problema dellafilosofia ispanica, cit., p. 57. 39 lD., Metafisica dell'espressione, cit., p. 78. 4 0 N. GMEZDAviLA, Escoliosa un texto implicito, voi. I, Bogota, Villegas, 2005, p. 20.

Potrebbero piacerti anche