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Quaderni Corsari n. 3
Dicembre 2013 Hanno scritto e collaborato Rocco Albanese, Giuseppe Beccia, Michele De Palma,Mariano Di Palma, Fabio Ingrosso, Roberto Iovino, Alessandra Quarta, Claudio Riccio, Claudia Vago, Lorenzo Zamponi Si ringraziano Paolo Gerbaudo, Eugenio Iorio Progetto grafico e impaginazione Filippo Riniolo Correzione bozze Simona Ardito, Sara Corradi
in copertina Suso33 a Madrid

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Indice
4 9 30 37 48 74 81 88 95 100 107 Introduzione Collettivo Quaderni Corsari Politica e societ nel movimento operaio e socialista Appunti per una traccia storica Pino Ferraris Identit subalterne dentro la precariet: ricomporre senza comprimere Mariano Di Palma Forma partito e riforma della politica alla fine della Seconda Repubblica Lorenzo Zamponi Il sindacato del futuro: dialogo tra un precario e tre sindacalisti in movimento Lorenzo Zamponi, Fabio Ingrosso, Roberto Iovino e Michele De Palma Ripensare la democrazia rappresentativa tra costituito e costituente Alessandra Quarta La democrazia non un pranzo di gala. Appunti su partecipazione e rappresentanza Rocco Albanese Democrazia partecipata e pratiche di governo del territorio Giuseppe Beccia Like democracy, reti e organizzazione collettiva Claudio Riccio Decostruire i falsi miti della rete, coglierne le opportunit. Intervista a Eugenio Iorio Claudio Riccio Attivismo e social media oggi, da Occupy Wall Street al M5S. Intervista a Paolo Gerbaudo Redazione

Suso33

Introduzione
Collettivo Quaderni Corsari

l problema non la caduta, ma latterraggio. Cos recita la celebre frase de LOdio, il film di Mathieu Kassovitz sulle banlieues parigine. Ci ignoto a che punto della caduta siano le nostre vite, la nostra societ, ma di certo, nellepoca del posttutto, alla sensazione di essere bloccati in uneterna transizione di cui scriveva Vittorio Foa si unita quella della caduta perpetua, si precipita cos a lungo da scordarsi che a un certo punto arriva il contatto con il suolo, e che fa male. Precipitiamo, tra le macerie, sulle macerie, senza avere gli strumenti adeguati per reggere limpatto. Assistiamo a un cambio depoca (che cosa ben pi drastica di un cambiamento epocale), confrontandoci con la forza del processo storico e con la rapidit con cui il capitalismo senza attrito ne determina la direzione. Subiamo singolarmente e collettivamente gli effetti della crisi, che altro non che una trasformazione

delleconomia globale finalizzata a perpetuare con maggior vigore il costante saccheggio delle risorse pubbliche, dei beni comuni, in un enorme trasferimento di risorse dal basso verso lalto. Storicamente, chi sta in basso ha sempre reagito in un modo: organizzandosi. Il privilegio si pu difendere in solitudine, mentre il cambiamento ha bisogno di strumenti che diano forma, respiro e forza alla collettivit. Lazione collettiva, dalle forme pi fluide a quelle pi strutturate, stata lo strumento di qualsiasi processo di emancipazione. Chiaramente in tutto ci non c nulla di lineare, e la critica della delega, della gerarchia e della burocratizzazione fa strutturalmente parte del percorso della sinistra. Ma lindebolimento, in generale, di tutti i meccanismi di organizzazione collettiva, un problema che riguarda tutti. La tensione che vive lEuropa, tra la logica dellausterity e quella del populismo, entrambe ben lontane dai meccanismi della partecipazione democratica, riprodotta in maniera ancora pi accentuata in Italia, dove partiti sempre pi deboli si consegnano allo stato deccezione permanente del Quirinale e delle istituzioni UE, mentre a contendersi il consenso dellopposizione stanno i populismi di Grillo e Berlusconi. Ad oggi esiste potenzialmente uno spazio politico per chi ambisce a un cambiamento della societ in direzione egualitaria, radicalmente democratica, e per una politica che non neghi il conflitto capitale-lavoro e si schieri dalla parte degli ultimi. Tuttavia, questo spazio, di cui c estremo bisogno, oggi schiacciato: di fronte a politiche tecnocratiche elitarie e conservatrici, i popoli si trovano in mano solo larma spuntata dellurlo demagogico, espulsi dalla storia, ridotti a mero strumento o nemico indifeso dellazione politica e amministrativa. Mai abbiamo avuto tra le mani arnesi cos inservibili. Da un lato ci misuriamo con parole che se pronunciate ci si ritorcono contro: politica, sinistra parole nobili e dense che si sono infrante contro la realt, svuotate dal disuso o dal cattivo uso. Ci imbattiamo in parole svuotate dallinflazione come cambiamento, e in altre sgretolate dai fatti, come democrazia. Serve mettere in campo un lavoro profondo per riscrivere un nuovo lessico, e assumere la consapevolezza che non si tratta di un problema di strategie di comunicazione. La costruzione di una nuova grammatica culturale oggi imprescindibile per la costruzione di nuove identit e

processi collettivi, per ogni percorso di conflitto. Se la caduta ci spinge in basso serve organizzarsi, ricostruire spazi di pensiero e azione collettiva e di parte. Serve farlo, ma non per risalire, costruendo nuove piramidi umane in cui si salvi solo chi si trova in cima; serve, invece, organizzarsi per abitare il basso. Non questo un invito alla rassegnazione, o alla costruzione di spazi residuali di resistenza, di rassegnazione allesistente. Si tratta invece di definire nuove prospettive sul terreno della soggettivazione, dellorganizzazione politica e della partecipazione democratica, che consentano di ripartire dal basso, non solo dal punto di vista classico con cui viene usata tale espressione in riferimento al metodo, ma intendendo il basso come il luogo di insediamento sociale, tra gli ultimi, tra gli oppressi, come terreno di azione politica. Noi ripartiamo consapevoli del fatto che la crisi della politica, della rappresentanza, dellorganizzazione, ci coinvolge, come coinvolge tutti coloro che non si rassegnano a chiamare democrazia un mi piace su Facebook, ma consapevoli anche del fatto che non coinvolge tutti allo stesso modo. Se negli ultimi ventanni abbiamo assistito a una progressiva desertificazione dei luoghi di partecipazione collettiva in Italia, noi sentiamo lorgoglio e la responsabilit di essere stati tra quelli che hanno testardamente provato e riprovato a praticare unalternativa. Lesperienza del sindacato studentesco, come quelle di tanti altri movimenti e associazioni che hanno animato la societ italiana negli ultimi due decenni, dal movimento antimafia ai social forum, fino ai 27 milioni di s per lacqua bene comune, stata e continua a essere una faticosa ma preziosa eccezione, uno spazio libero e organizzato di impegno quotidiano per il cambiamento. Pensare che un modo diverso di fare politica sia possibile, per noi, non unillusione utopistica, ma una memoria recente, unesperienza vissuta, una certezza da continuare a sperimentare. da questo punto di vista che ci prendiamo la responsabilit, nel piccolo del nostro agile vascello corsaro, di provare ad aprire un dibattito, di porre a chi ci sta intorno una serie di domande. C ancora spazio, senso e utilit per la democrazia organizzata? Che forme assume in questo contesto la rappresentanza politica

e sociale? Esistono modelli e pratiche alternative a disposizione di partiti a sindacati? Quali forme nuove di soggettivazione e organizzazione possono aiutare la sinistra e, pi in generale, chi lotta per il cambiamento, a essere allaltezza della sfida? Come pu la difesa della Costituzione essere un rilancio programmatico e non una battaglia di retroguardia? In che modo il web e i social media rimodellano le pratiche dellazione collettiva? Lobiettivo di questo terzo numero dei Quaderni Corsari problematizzare queste questioni per aprire un dibattito allinterno dei movimenti e dei soggetti sociali e politici organizzati, nellottica di una riflessione collettiva che possa dare respiro alle nostre pratiche quotidiane. Iniziamo riprendendo uno spunto di qualche anno fa di Pino Ferraris, che a partire dalla ricostruzione dellesperienza storica del Partito Operaio belga provava a mettere in discussione la forma partito cos come labbiamo conosciuto nel 900, e a ipotizzare modi diversi, non gerarchici ma federali e cooperativi, per mettere in relazione il politico e il sociale. Passiamo poi, con Mariano Di Palma, a riflettere sul soggetto dellazione collettiva e sulle difficolt e le opportunit della costruzione di identit inclusive e mobilitanti in un mondo sempre pi complesso e frammentato. Lorenzo Zamponi sintetizza brevemente lo stato dellarte della formapartito oggi, ricostruendo litinerario della Seconda Repubblica e il dibattito di questi anni. Il Quaderni prosegue con un dialogo sullaltro grande strumento di organizzazione e partecipazione collettiva che abbiamo ereditato dal 900: il sindacato. Insieme a tre giovani attivisti impegnati nella rappresentanza sociale dei lavoratori, andiamo in cerca dei nodi problematici della crisi e delle esperienze gi in atto per tentare di superarla. La parte successiva dedicata al rapporto tra partecipazione e rappresentanza, tra innovazione e durata, con tre articoli che partono da tre punti di vista diversi ma convergenti: Rocco Albanese inquadra lo stato della democrazia e della partecipazione nellItalia di oggi, Giuseppe Beccia riporta alcune buone pratiche di democrazia partecipata a livello territoriale e Alessandra Quarta prova a liberare il dibattito sulla Costituzione dalla strumentale

dicotomia tra conservatori e innovatori, identificando i nodi attraverso i quali il testo costituzionale pu diventare uno strumento di cambiamento. La terza parte dedicata, infine, al rapporto tra nuove tecnologie e partecipazione politica: iniziamo con una riflessione di Claudio Riccio sulle opportunit e i rischi legati alluso dei social media in politica, per poi dialogare con due esperti come Paolo Gerbaudo ed Eugenio Iorio, con lobiettivo di uscire dallo schematismo tra apocalittici e integrati e identificare alcune strade da percorrere. La struttura di questo terzo numero dei Quaderni Corsari rende evidente lidea che ci ha animato: non una trattazione esaustiva e densa di analisi e conclusioni, come magari avvenuto in altre occasioni, ma una serie di spunti critici e provocatori, a partire in particolare dalle esperienze di militanza di noi corsari e corsare, con lobiettivo di stimolare nei prossimi mesi il dibattito dei mondi che viviamo, e con la presunzione di far fare a questi mondi qualche piccolo passo in avanti.

Ozmo, Roma

Politica e societ nel movimento operaio e socialista. Appunti per una traccia storica*

di Pino Ferraris

na vasta area di raggruppamenti sociali impegnati nella sperimentazione di nuove pratiche sociali (volontariato, cittadinanza attiva), in iniziative di economia solidale (commercio equo e solidale, banca etica, cooperative sociali) e in esperienze di neo-mutualismo e auto-aiuto esprime una rinnovata domanda di storia, va cercando punti di riferimento in unaltra tradizione della sinistra. Questo avviene mentre assistiamo a una gigantesca e

* Questo saggio stato pubblicato per la prima volta nel giugno 2011 in P. Ferraris, Ieri e domani. Storia critica del movimento operaio e socialista ed emancipazione dal presente, Edizioni dellAsino, Roma 2011 [n.d.R.]

irresponsabile liquidazione e svendita del patrimonio di memoria dei duecento anni di ricche e tormentate vicende del movimento operaio e socialista europeo. La storiografia elaborata e tramandata da quella che fu la sinistra ufficiale soprattutto storia dellazione politica-statuale, storia dei gruppi dirigenti dei partiti politici e, in forma derivata, di quelli dei sindacati. difficile ricostruire le fila di quella che potrebbe essere definita la terza dimensione dellagire politico-sociale, quella che si manifesta soprattutto come azione positiva e realizzatrice nel basso, come pratica dellobiettivo e autogestione dei risultati, come espressione delle capacit del far da s solidaristico, come creazione di spazi e di istituti dellautonomia della vita sociale1. Si pensi non solo alle societ di mutuo soccorso e alle cooperative di produzione e consumo, alle Universit popolari e alle Case del Popolo, ma anche alla rete ricca e vasta di servizi e di tutele che i movimenti sociali costruirono interagendo con il comunalismo socialista. La storia del fare societ che ha coinvolto milioni di uomini e donne, che ha fermentato e umanizzato questo straordinario spazio dellEuropa sociale, oggi messo a repentaglio, una storia dispersa, svalutata e, in gran parte, abbandonata. Giulio Marcon, che, nel suo libro Le utopie del buon fare2, ha cercato di ricomporre i percorsi della solidariet dal mutualismo al terzo settore, ai movimenti, ha fatto unopera pionieristica e ha incontrato grandissime difficolt. Belgio, fine 800: la breve avventura di un welfare senza Stato Lo scorso anno [nel 2010, n.d.R.], in un Master presso lUniversit di Roma, che era rivolto a giovani operatori e militanti impegnati nellarea del volontariato e delleconomia solidale, ho concentrato la mia lezione sulla ricostruzione delleccezionale esperienza del movimento operaio belga negli anni che vanno dal 1880 al 1914.
1 P. Ferraris, Buone pratiche di cittadinanza e mutualismo, Almanacco delle buone pratiche di cittadinanza, n. 2, Edizioni Una Citt, febbraio 2007. 2 G. Marcon, Le utopie del ben fare. Percorsi della solidariet dal mutualismo al terzo settore, ai movimenti. LAncora del Mediterraneo, Napoli 2004.

Il Belgio di quei decenni un piccolo Paese di sette milioni di abitanti ma fortemente e precocemente industrializzato e dotato di avanzate strutture di modernit capitalistica. Attorno al 1880 prende avvio, allinterno di una preesistente rete di societ di mutuo soccorso, uno straordinario movimento cooperativo militante3 inizialmente promosso dalle prime associazioni sindacali e quindi animato da un vivace e originale Partito operaio belga fondato nel 1885. Le cooperative inizialmente avevano concentrato la loro attivit nella produzione e vendita del pane. Il costo del pane allora incideva per il 35 per cento sul bilancio di una famiglia operaia. La cooperativa ne dimezzava il prezzo garantendone la qualit. La Casa del Popolo di Bruxelles nel 1905 produceva e vendeva dieci milioni di kg di pane allanno ed era la pi grande fabbrica di pane del Belgio. La Casa del Popolo Vooruit di Gand, sempre nel 1905, produceva 100 mila kg di pane la settimana. Queste due cooperative negli anni 80 dell800 avevano sostenuto lo sciopero di 26 mila minatori del Borinage inviando 30 tonnellate di pane. Laspetto particolare dellesperienza belga consiste nella sistematica interazione collaborativa tra le varie istituzioni operaie: le societ di mutuo soccorso depositano i contributi accantonati presso le grandi cooperative, le quali li usano per fare nuovi investimenti. Il sistema cooperativo apre farmacie cooperative che, abbattendo i prezzi dei medicinali, agevolano lassistenza medica e farmaceutica delle mutue. Le cooperative stesse erogano poi una sorta di previdenza integrativa, rispetto a quella della mutualit, la quale viene calcolata sulla durata e sulla quantit degli acquisti fatti presso gli spacci cooperativi. La cooperazione vista e vissuta dagli operai sindacalizzati come strumento fondamentale di lotta contro il caro-vita e come sostegno agli scioperi. La cooperativa poi la struttura economica che permetteva la costruzione degli spazi architettonici e sociali della rete delle Case del Popolo, luoghi di confluenza delle diversificate forme dellassociazionismo. La Nuova Universit di Bruxelles, gestita dai socialisti, non solo laurea medici e farmacisti che operano nel sistema mutualistico e
3 J. Puissant, La coopration en Belgique. Tentative dvaluation globale, Revue belge dHistoire contemporaine, vol. XXI, nn. 1-2, 1991, pp. 31-72.

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cooperativo, ma con i suoi professori promuove corsi decentrati di cultura generale e corsi di istruzione professionale. LUniversit di Bruxelles attiva le iniziative letterarie, musicali e teatrali delle Case del Popolo4. Nel Belgio di quegli anni possiamo vedere allopera una sorta di welfare senza Stato, nato dal basso, nel quale sono inserite centinaia di migliaia di famiglie operaie. Alcuni istituti e forme di tutela dei lavoratori scaturiti dallesperienza belga hanno ancora oggi una vitale operativit. Il cosiddetto sistema Gand di gestione della disoccupazione costituisce uno dei pi importanti elementi della forza del sindacalismo scandinavo. In Svezia, ad esempio, il sindacato che definisce lofferta di lavoro adeguata per il disoccupato, evitando linsorgere di un doppio mercato del lavoro. Inoltre, la gestione sindacale della mobilit incentiva il lavoratore disoccupato a conservare la sua adesione al sindacato5. Altra originale creatura dell800 operaio belga che oggi torna di attualit il cosiddetto sindacalismo ad insediamento multiplo, che si rivelato particolarmente efficace per la tutela di lavoratori precari e dispersi. Sindacalismo e mutualismo operano in modo congiunto. Il reciproco aiuto per servizi di tipo mutualistico diventa momento di costruzione della solidariet e della coesione necessaria per esprimere la forza della rivendicazione sindacale. Le Casse Edili, in Italia, sono la realizzazione storica di questo tipo di sindacalismo che, mutualizzando linstabilit del lavoro edile, costruisce potere contrattuale. Troviamo oggi esperienze di questo genere nel sindacato delle segretarie di Boston e tra i lavoratori della comunicazione in Gran Bretagna. Il mutuo soccorso poi la base sindacale della Freelancers Union dei lavoratori autonomi di seconda generazione di New York6.
4 J. Destre, E. Vandervelde, Le socialisme en Belgique, V. Giard & E. Briere, Paris 1898. 5 T. Boeri, A. Brugiavini, L. Calforms (a cura di), Il ruolo del sindacato in Europa, Universit Bocconi Editore, Milano 2002, pp. 154-155. 6 A. Curcio, Quel patto di mutuo soccorso per la classe creativa in rete, Il Manifesto, 14 novembre 2007.

Una diversa politica per fare societ Lesplorazione dellesperienza belga, quando si limita alla mera narrazione di forme di altra-societ e di altra-economia, risulta per scarsamente comprensibile. Non si pu prescindere dal modo di fare politica e dalla proposta ideale e programmatica del Partito operaio belga che fu protagonista allinterno di quelle vicende associative. G.D.H. Cole, nella sua monumentale Storia del pensiero socialista, segnala limportanza e loriginalit, nel movimento operaio europeo, della Carta di Quaregnon, approvata nel 1894 dal Partito operaio belga7. Essa, secondo Cole, rappresenta la risposta alternativa al Programma di Erfurt del 1891 della socialdemocrazia tedesca. Con estrema sintesi si pu dire che il programma tedesco afferma lassoluta centralit della costruzione di un partito politico centralizzato e gerarchico, quasi Stato nello Stato, come strumento supremo per ledificazione del socialismo mediante lo Stato. Il progetto del partito belga propone la convergenza del vasto pluralismo delle libere associazioni per far emergere unaltra societ dentro la societ, utilizzando anche strumenti istituzionali radicalmente democratizzati: i comuni e il parlamento. Le forme dellesperienza dei movimenti sociali difficilmente possono venire analizzate isolandole dal loro rapporto con gli strumenti della politica. Proviamo a delineare una sorta di traccia dello sviluppo di questa relazione nel lungo periodo, pur rischiando una drastica semplificazione e una temeraria torsione interpretativa. Il binomio mutualit-resistenza Due momenti esemplari e originari della risposta operaia alla questione sociale che scaturiva dal nascente industrialismo
7 G.D.H. Cole, Storia del pensiero socialista, Laterza, Bari 1967, vol. II, p. 503.

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capitalistico sono senza dubbio, nellInghilterra del primo 800, il movimento luddista e lowenismo. La prima vicenda, che si colloca tra il 1811 e il 1814, secondo il grande storico inglese E.P. Thompson troppo denigrata come immagine di un moto rozzo e spontaneo di lavoratori manuali e analfabeti, che si opponevano ciecamente allintroduzione delle macchine8. Esso espresse invece un alto grado di organizzazione, contenuti politici e morali molto elevati e pu essere considerato la matrice della moderna azione di resistenza degli operai nella produzione. Lowenismo, che si pu collocare tra il 1824 e il 1833, tende ad affermare un orgoglioso socialismo cooperativo in senso antistatalista e nellautonomia dei lavoratori dai benefattori9. Esso struttura lazione sociale come ricerca dei lavoratori di sottrarre la propria esistenza alle spietate leggi del mercato, operando negli ambiti di vita con il mutuo soccorso e la cooperazione. Anche questesperienza stata giudicata dalla storiografia marxista con grande sufficienza come manifestazione ingenua e primitiva di conati utopistici. La fase iniziale dellautodifesa operaia, in tutta lEuropa industrializzata, comunque caratterizzata dal binomio resistenza/ mutualit. Queste forme associative sono rette dal principio di solidariet che sostituisce la fraternit della famosa triade della Rivoluzione francese. La fraternit afferma lesigenza di un aiuto oblativo e verticale tra diseguali (carit cristiana o filantropia massonica), la solidariet invece un principio che si impone soprattutto nel 1848 operaio parigino e che si manifesta come aiuto orizzontale e reciproco tra eguali (uno per tutti e tutti per uno). Il mutualismo un associazionismo per, esprime una solidariet positiva: esso non rivendica verso lalto, tende invece a realizzare nel basso lobiettivo. La resistenza poggia soprattutto sulla solidariet negativa, un
8 E.P. Thompson, Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra, Il Saggiatore, Milano 1969, vol. II, cap. 14. 9 G.D.H. Cole, Storia del pensiero socialista, cit., vol. I, cap. 10.

associazionismo contro che promuove la lotta rivendicativa verso lalto. Quando nel movimento operaio prevaleva la coppia mutualit/ resistenza si realizzava un bilanciamento tra solidariet positive e solidariet negative e un intreccio tra azioni di lotta nel lavoro e interventi di tutela negli ambiti di vita. Per comprendere gli sviluppi futuri e le nuove configurazioni di un movimento operaio pi strutturato e istituzionalizzato occorre anche aver chiara la distinzione tra associazione e organizzazione. Con il termine associazione si intende un raggruppamento volontaristico allinterno del quale tutti i soci hanno eguale accesso alla gestione e lo stare insieme viene regolato sulla base di vincolanti norme di diritto (statuti). Organizzazione una struttura cui si aderisce in modo volontario allinterno della quale vige per una divisione di fatto del lavoro tra un apparato che amministra e i seguaci che controllano. Allinterno della variegata esperienza dellassociazionismo operaio delle origini, la nascita del partito giunge relativamente tardi ed emerge faticosamente tra le divisioni e i contrasti che tormentano le vicende della Prima Internazionale (1864-1874). Il dibattito allinterno dellInternazionale non fu solo quello che divise coloro che proponevano la costituzione del partito come strumento autonomo di lotta politica dei lavoratori (marxisti) da coloro che rifiutavano la lotta politica per la conquista dello Stato (anarchici). Vi erano dissensi tra centralisti e federalisti, tra mutualisti e collettivisti. E vi era poi unimportante presenza degli eclettici, di coloro che rifiutavano rigide contrapposizioni dottrinarie e operavano per evitare la rottura della Prima Internazionale. Il far da s solidale Tra gli internazionalisti eclettici si colloca sicuramente Csar De Paepe10, protagonista della vita e delle battaglie della I
10 Su Csar De Paepe (1841-1890) si veda B. Louis, Csar De Paepe. Sa vie, son ouevre, Dechenne, Bruxelles 1909; B. Dandois (a cura di), Entre Marx & Bakounine. Csar De Paepe, Centre dhistorie du syndicalisme Franoise Maspero, Paris 1974.

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Internazionale, teorico e fondatore del Partito operaio belga (1885), ispiratore della Carta di Quaregnon cos distante dal quel programma tedesco di Erfurt che trov larghissimi consensi da Turati a Lenin. Nel pensiero di De Paepe e nellesperienza belga convergevano linfluenza del far da s cooperativo anglosassone, gli stimoli francesi del federalismo libertario di Proudhon e del socialismo integrale di Malon che dava grande rilievo al ruolo della morale e della cultura nei processi di trasformazione sociale, le istanze marxiane del classismo collettivista e della necessit di organizzare la lotta politica. In Italia si avvicina alle posizioni di De Paepe linternazionalista Osvaldo Gnocchi Viani11, promotore del Partito Operaio Italiano nel 1882 e, dai primi anni 90 dell800, fondatore delle Camere del Lavoro. Nella concezione di Gnocchi Viani erano fortemente presenti il principio del far da s solidaristico, il comunalismo federalista, la diffidenza verso lideologismo degli intellettuali, la netta distinzione tra il partito politico dei borghesi e il partito sociale degli operai. Il partito politico quello che ha il popolo come mezzo e la sua specializzazione sta nel garantire il dominio dei pochi sui molti. Il partito sociale quello che ha il popolo come fine e la sua specializzazione nella massima che loperaio deve fare da s12. Gnocchi-Viani fortemente critico nei confronti della scuola della riforma sociale per opera dello Stato di derivazione bismarckiana. Sostiene invece che le leggi non debbono intervenire per sottrarre spazi, materie, possibilit al far da s degli operai, ma debbono intervenire per togliere ostacoli, per agevolare lesercizio dellautogestione operaia dei problemi e degli interessi degli operai

11 Su Osvaldo Gnocchi-Viani (1837-1919), oltre al secondo capitolo di questo testo [P. Ferraris, Ieri e domani. Storia critica del movimento operaio e socialista ed emancipazione dal presente, Edizioni dellAsino, Roma 2011, n.d.R.], si veda O. Gnocchi-Viani, Oltre la politica. Antologia di scritti del 1872 al 1911, a cura di G. Angelini, Franco Angeli, Milano 1989; G. Angelini, Il socialismo del lavoro. Osvaldo Gnocchi-Viani tra mazzinianesimo e istanze libertarie, Franco Angeli, Milano 1987. 12 O. Gnocchi-Viani, I partiti politici e il Partito operaio, Tipografia sociale, Alessandria 1888, p. 15.

stessi13. La sua battaglia contro Turati, accusato di voler importare in Italia il partito tedesco, fu molto netta; la sua sconfitta signific anche esclusione e oblio. I primi fragili e piccoli partiti operai e socialisti che tentarono di emergere negli anni della Prima Internazionale prevedevano quasi tutti ladesione collettiva (erano federazioni di leghe di resistenza, di societ di mutuo soccorso, di cooperative...) e lesclusivismo operaio (la presenza dei soli lavoratori manuali). Essi furono travolti dalla crisi dellInternazionale. Nel periodo che va dallultimo decennio dell800 alla Prima Guerra Mondiale si afferma la seconda fase dellesperienza del movimento operaio europeo: la coppia mutualit/resistenza viene sostituita dalla coppia partito/sindacato, dallassociazione si passa allorganizzazione, declina il mutualismo. Prevale nel movimento socialista la solidariet negativa che caratterizza le organizzazioni di combattimento della classe operaia: il sindacato che rivendica contro i padroni e soprattutto il partito che lotta intorno alla conquista dello Stato. Sta nascendo quello che diventer il partito burocratico di massa, protagonista indiscusso del Novecento. Le forme del partito di massa Paolo Farneti, che stato uno dei pi acuti sociologi della politica, interpreta la Sociologia del partito politico di Roberto Michels14, che soprattutto lanalisi della socialdemocrazia tedesca, come una descrizione della transizione dal livello associativo o solidale (civile) a quello organizzativo-autoritario (politico). Ai rapporti di solidariet conclude Farneti subentrano rapporti di obbedienza e di comando e il passaggio dovuto alla divisione del lavoro richiesta dalla politica15. una tendenza reale operante nella genesi del moderno partito di massa. Per questa tendenza non lineare e univoca come la
13 O. Gnocchi-Viani, La marcia delle fasi, in Critica sociale, 16 marzo 1896. 14 R. Michels, La sociologia del partito politico, Il Mulino, Bologna 1966 (prima ed. Italiana Utet, Torino 1912). Sullopera del Michels si veda P. Ferraris, Saggi su Roberto Michels, Jovene Editore, Napoli 1993. 15 P. Farneti, Sistema politico e societ civile, Giappicchelli, Torino 1971, p.47.

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descrive Roberto Michels. Il campo della politica sempre sottoposto a un doppio movimento. Pizzorno ci dice dei due volti della politica: da un lato essa si presenta come un modo di fondare la legittimit e quindi verificare il consenso del nuovo Stato a sovranit popolare, dallaltro lato si manifesta come modo di lottare, con mezzi che possiamo chiamare politici, contro le condizioni di disuguaglianza proprie della societ civile16. Il doppio movimento si potrebbe anche descrivere come limpresa volta alla statualizzazione della societ civile che si incrocia e si scontra con ricorrenti processi di politicizzazione che partono dalla societ civile, come suggerisce Farneti. Inoltre questa tendenza non univoca. Infatti, si presentano modelli diversi di partiti di massa. Nella costruzione storica del moderno partito di massa vediamo sorgere precocemente il partito socialdemocratico tedesco nel 1875 e, con un certo ritardo, il partito laburista inglese nel 1900. In mezzo, nel 1885, nasce il Partito operaio belga. Essi rappresentano anche tre diversi modelli del partito di massa della sinistra europea. Utilizzando liberamente categorie interpretative elaborate da Paolo Farneti possiamo individuare un modello di partito alternativo alla societ civile. quello che tende a inglobare, a partitizzare, a sottomettere tutte le forme di espressione della societ. lesperienza della socialdemocrazia tedesca di Kautsky e dei partiti della Terza internazionale. Vi poi un secondo modello di partito, il vecchio Partito laburista, il quale nasce e vive come emanazione e rappresentanza dei sindacati nel parlamento. Farneti lo definisce come un partito complementare rispetto alle strutture della solidariet operaia. necessario aggiungere un terzo modello di partito che potremmo definire come il partito coordinatore delle forme plurime dellassociazionismo operaio. il Partito operaio belga della Carta di Quaregnon fondato dallinternazionalista Csar De Paepe.

16 A. Pizzorno, Introduzione allo studio della partecipazione politica, Quaderni di sociologia, vol. XV, nn. 3-4, 1966.

Lesperienza belga: autonomie confederate La ricerca storica e teorica della sinistra ha trascurato lesperimento belga. NellEuropa continentale ha vinto il modello della socialdemocrazia tedesca. Sovente i tentativi mancati e le tendenze sconfitte dal processo storico ci dicono molto e aprono interrogativi nel presente. Il Belgio dellultimo quarto del XIX secolo era un paese con notevoli differenziazioni culturali e linguistiche (Fiandra, Brabante, Vallonia). Il non vasto territorio si disarticolava in aree caratterizzate da strutture socio-economiche molto difformi: zone agricole convivevano allinterno di una realt fortemente industrializzata, i bacini industriali si distinguevano per una loro forte specializzazione (aree minerarie, distretti tessili, concentrazioni dellindustria chimica, metallurgica e del vetro). Nelle diverse regioni del paese prevalevano dei mix particolari di esperienze associative: nelle zone della Vallonia, ad esempio, era forte un sindacalismo di azione diretta che si innestava nelle strutture mutualistiche, mentre nelle Fiandre, a Gand, prevaleva lesperienza cooperativa originata dal sindacalismo tessile. Il Belgio si colloca poi al crocevia di diverse tradizioni culturali: questo variegato mondo associativo era percorso da culture politiche che provenivano dai paesi pi vicini la Francia, la Germania, lInghilterra. Il movimento operaio belga riesce rappresentare la variegata e differenziata articolazione sociale e culturale costruendo una rete federativa che unisce le autonomie senza omologarle. In secondo luogo, il partito operaio non si colloca come vertice gerarchico delle molteplici libere associazioni, ma si inserisce come attore di una politicizzazione pervasiva dentro la trama dellassociazionismo, costruendo il senso di una comune appartenenza. La manifestazione pi clamorosa dellanomalia belga, che fece scalpore nel movimento socialista del primo 900, fu limponenza degli scioperi politici di massa (per il suffragio universale) del 1893, 1902 e 1913, realizzati da un sindacalismo accusato di settorialismo e di disarticolato localismo. Rosa Luxemburg ripetutamente parla

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del fascino dellesempio belga e, nel 1913, pur criticando alcuni aspetti della gestione dello sciopero generale di quellanno, seccamente afferma che la potente, centralizzata e immobile macchina sindacale tedesca doveva provare vergogna di fronte allo slancio politico-sindacale dei lavoratori belgi17. La Luxemburg, pur acuta analista della forma partito, nel cogliere la distanza tra la concentrata e paralizzata potenza dei tedeschi e i decentrati, multiformi poteri attivi della societ del lavoro belga, non riusciva a individuare lorigine di queste divaricate esperienze nella diversa visione e struttura dei due partiti e nelle differenti loro relazioni con i raggruppamenti della societ civile. Ogni lavoratore belga che diventava socio di una cooperativa, che si iscriveva ad un sindacato o a una societ di mutuo soccorso, sottoscriveva un foglio di adesione al programma del Partito operaio. Scriveva nel 1906 Vandervelde che il Partito operaio non nientaltro che la federazione di questi raggruppamenti economici e sociali: togliete le mutualit, i sindacati e le cooperative che gli forniscono la maggioranza dei suoi membri e la quasi totalit delle sue risorse e nelle sue federazioni regionali non resterebbero che alcune piccole leghe operaie che non danno segni di vita se non alla vigilia delle campagne elettorali18. Il partito animava e guidava queste associazioni, ma era anche fortemente dipendente da esse e, quindi, rispettoso delle loro libert. Il partito socialdemocratico tedesco degli anni 90 dell800 aveva superato ladesione collettiva, e il sindacato appariva formalmente separato dal partito. In realt il partito, attraverso la penetrazione tra gli iscritti e negli organi dirigenti, controllava il sindacato e le altre forme associative come organizzazioni collaterali e gerarchicamente subalterne. Luniverso associativo belga era retto dal principio federativo. Un federalismo orizzontale articolava il partito in 26 federazioni
17 F: Mehring, R. Luxembourg, E. Vandervelde, Lexprience belge, une vieille polmique autour des grves gnrales de 1902 et 1913, Bureau deditions, de diffusion et de publicite, Paris 1927 (trad. it. Lo sciopero spontaneo di massa, Musolini Editore, Torino 1970). 18 E. Vandervelde, La Belgique ouvrire, . Cornly, Paris 1906, p. 124.

regionali con ampie autonomie, alle quali facevano capo complessivamente 500 raggruppamenti sociali e politici. A questo federalismo orizzontale si accompagnava poi un federalismo funzionale che faceva s che i diversi raggruppamenti (partito, cooperative, sindacati, mutuo soccorso), salvaguardando le loro autonomie, si incontrassero in modo sinergico e collaborativo nella vasta rete delle 172 Case del Popolo, centri polivalenti di vita sociale e nodi essenziali della rete federativa territoriale e funzionale. Sarebbe inesatto descrivere lesperienza belga come immune dai processi di istituzionalizzazione che, soprattutto a partire dal primo 900, coinvolgono linsieme del movimento. Potenti cooperative, importanti societ di mutuo soccorso, grandi Case del Popolo come quelle di Gand nelle Fiandre, di Bruxelles nel Brabante e di Jolimont in Vallonia, solide strutture sindacali locali e di categoria, ponevano imperativi gestionali che non sfuggivano alla divisione tecnica del lavoro e alla burocratizzazione. Ma il principio delle autonomie federate attiva, limitando la concentrazione e la vasta dimensione, la capacit di resistenza democratica allo sviluppo burocratico. La Grande Guerra e la militarizzazione della politica Con lesperienza della Prima guerra mondiale si pu dire che incominci unaltra storia del movimento operaio europeo. Il Belgio, Paese neutrale, viene brutalmente aggredito e occupato dalle armate germaniche. La partecipazione dei socialisti belgi al governo di union sacre, il coinvolgimento dei sindacati nella mobilitazione industriale, lattribuzione al movimento cooperativo di funzioni para-statali di approvvigionamento delle popolazioni affamate, travolgono le particolarit dellesperienza belga. La guerra civile europea dei trentanni (1914-1945) ha brutalmente plasmato e strutturato il conflitto sociale e politico in tutta lEuropa. La politica ha ormai un volto solo: quello della statualit. Scompare lidea stessa di una trasformazione della societ che possa avvenire attraverso processi di politicizzazione, di produzione di coscienza e

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di idealit dallinterno dellesperienza sociale del lavoro e della vita e nel corso dellazione diretta delle grandi masse19. La storiografia di sinistra mette in evidenza i solitari e disperati sussulti sociali dellimmediato primo dopoguerra, il mito dellOttobre rosso colora di illusioni future un presente che in realt blocca e chiude la grande ondata democratica e socialista partita dal 1848. In quegli anni giunge a compimento il lungo, tortuoso e sussultorio processo di nazionalizzazione delle masse20 attivato nei cervelli e nella sperimentazione politica delle classi dirigenti europee dal trauma della Comune di Parigi del 1871. Durante la Prima guerra mondiale e negli anni del primo dopoguerra si compie la militarizzazione della societ civile come estensione dellinterventismo dello Stato, burocratizzazione delle macchine politiche e sindacali e delle imprese. Richard Sennet descrive in pagine limpide e sintetiche la nascita e la diffusione del capitalismo sociale militarizzato21. Contemporaneamente non dobbiamo dimenticare che in quegli stessi anni del primo dopoguerra viene portato avanti il processo di democratizzazione, con la concessione del suffragio universale maschile in quasi tutte le nazioni europee (in alcuni paesi si ottiene anche il suffragio femminile). Si stabilizza un sistema di competizione democratica incardinato sullo scheletro dacciaio della burocrazia militare. Si fa realt la massima weberiana: la burocrazia lombra necessaria e inseparabile della democrazia. Partiti di massa e controllo della domanda sociale I partiti di massa, nati nellesperienza organizzativa del movimento operaio, si sono sviluppati anche in ambito borghese. Partiti di sinistra, partiti conservatori, cristiano-sociali e liberali competono non solo per il consenso elettorale di vaste masse
19 Si veda P. Ferraris, Sul sindacalismo europeo delle origini. Quattro lezioni allUniversit di Campinas, in questo testo [Ieri e domani, cit., n.d.R.] a p. 68. 20 G.L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse, Il Mulino, Bologna 1975. 21 R. Sennett, La cultura del nuovo capitalismo, Il Mulino, Bologna 2006.

popolari, ma si misurano anche sui grandi numeri degli iscritti attraverso la stabile espansione organizzativa e sub-culturale radicata dentro il tessuto sociale. Nel 1967 Stein Rokkan poteva scrivere che il sistema politico europeo degli anni 60 del secolo scorso riflette ancora, con poche eccezioni significative, la struttura delle fratture degli anni venti. E le fratture sociali, i cleavages che avevano strutturato la lotta partitica a partire dai primi decenni del 900, lo studioso norvegese li individuava nel conflitto tra capitale e lavoro, nella contrapposizione tra Stato e Chiesa, nellopposizione tra centro e periferia e nel contrasto tra citt e campagna22. Nel mezzo secolo che va dal 1918 al 1968 stato sospeso e interrotto quello che abbiamo definito il doppio movimento della politica? scomparsa la politicizzazione dal sociale? Ha operato soltanto il volto della politica come statalizzazione? Nel descrivere lo sviluppo e la strutturazione della politica di massa competitiva nei Paesi dellEuropa occidentale Rokkan annota: Sir Lewis Namier paragon una volta le elezioni alle dighe di un canale: queste consentono la crescita delle forze socio-culturali per farle poi confluire negli appositi canali del sistema ma consentono anche di arginare la marea e di contenere i flutti23. Questa metafora idraulica non nega che vi siano dei flussi sociopolitici montanti e che essi abbiano anche unincidenza sulla politica istituzionalizzata, ma essi sono sempre canalizzati e, quando si manifestano come maree, vengono risolutamente arginati. Il periodo precedente la Prima guerra mondiale ci appare, nellambito socialista, come una creativa fase costituente, i decenni successivi come una stagione di amministrazione del costituito. I flussi ascendenti della politicizzazione sociale non generano pi invenzione di nuovi istituti della sociabilit operaia, ma si proiettano come tensioni inter-burocratiche, scissione e frammentazione delle organizzazioni esistenti.
22 S. Rokkan, Cittadini, elezioni partiti, Il Mulino, Bologna 1982. 23 Ivi, p. 141.

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Il partito burocratico di massa, mentre veicola verso il basso la statalizzazione della societ, per vivere, espandersi e competere, deve anche attivare una giusta dose di socializzazione politica e di mobilitazione controllata. Luso della risorsa della militanza, la circolazione sociale della comunicazione politica, la costruzione e lutilizzazione di associazioni collaterali di interessi, le risposte ai problemi di identit e di espressivit sono componenti strutturali del tradizionale partito di massa che alimentano e orientano la domanda politica. Esse, in circostanze di acuto fermento sociale, possono generare conseguenze impreviste di eccesso della domanda sociale. I nuovi movimenti sociali ci che accaduto con la svolta segnata dallirrompere sulla scena dei movimenti politici di massa nel decennio 1965-1975. Si rompe la mediazione socialdemocratica tra promesse di sicurezza massima e richiesta di democrazia minima, va in crisi lo scambio fordista tra spazi di consumo e dispotismo sul lavoro. I partiti di massa strutturati sui cleavages sociali degli anni 20 diventano anacronistici: si riconferma, mutata, la frattura capitale/ lavoro, la secolarizzazione attenua le tradizionali tensioni tra Stato e Chiesa, scompare la rottura tra citt e campagna mentre riprendono forza i conflitti tra centro e periferia, si dispiega la frattura di genere da tempo latente, insorge con forza la contraddizione tra uso capitalistico della tecnica e natura. I partiti vengono contestati dal basso e sono messi in discussione dallalto, lungo un arco di tempo che, emblematicamente, potrebbe iniziare con il Manifesto di Port Huron24 della giovane sinistra americana nel 1962 che rivendica forme radicali di partecipazione politica, per giungere al rapporto della Trilaterale sulla Crisi della democrazia del 1975 che invoca invece unautoritaria governabilit liberata da vincoli sociali25.
24 P. Ortoleva, Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in America, Editori Riuniti, Roma 1988. 25 M. Crozier, S. Huntington, J. Watanuki, La crisi della democrazia. Rapporto sulla governabilit delle democrazie alla Commissione Trilaterale, Franco Angeli, Milano 1977.

Paolo Farneti nella seconda met degli anni 70 coglie con lucidit il significato dei processi in corso. Egli scrive: Nella mobilitazione del 68-69 c la chiusura di un cinquantennio di grandi investimenti ideologici iniziatisi con la prima guerra mondiale []. La coscienza delle nuove condizioni e delle vecchie strutture di aggregazione e di mobilitazione, dette il via ad un nuovo modo di fare politica e ad una nuova pratica politica e quindi ad una ridefinizione della societ politica, quella dei movimenti collettivi, dallassociazionismo intenso, in parte spontaneo, di rifiuto dellorganizzazione come forma di divisione del lavoro. Conclude con una considerazione sul lungo periodo: il partito di massa stato ed tuttora un tentativo di equilibrare interessi materiali e ideali, distribuzione di risorse e impegno ideologico []. Sembra che [] come pilastro della democrazia parlamentare contemporanea stia subendo irreparabili sconfitte. Se ci vero, limmaginazione politologica e sociologica degli anni a venire dovr impegnarsi anche ad ideare una struttura alternativa a quella societ politica che sin dagli inizi del secolo [] sembrava ereditare le grandi ideologie dell800 e capace di portarle a compimento26. Recentemente lo storico e sociologo americano Immanuel Wallerstein27 ha riproposto la coincidenza tra il fallimento dei tradizionali movimenti antisistemici (socialdemocrazia, comunismo, movimenti di liberazione nazionale) orientati verso lo Stato e basati sulle strategia delle due fasi (la conquista del potere statale e poi la trasformazione della societ) e quella che egli continua a chiamare la rivoluzione del 68 come matrice storica dei nuovi movimenti anti-sistemici. sbagliato considerare i nuovi movimenti sociali come effimeri cicli di protesta. Essi riproducono nel tempo, in modo carsico e con mobilitazioni di massa, quella politicizzazione dal sociale che si alimenta nella rottura dei poteri di fatto dentro la societ civile. Le traiettorie di trasformazione del sistema politico in Europa e levoluzione dei movimenti sociali tendono a divaricare, aumentano sempre pi le distanze che le separano.
26 P. Farneti, Introduzione, in Id. (a cura di), Politica e societ, vol. I, La Nuova Italia, Firenze 1979. 27 I. Wallerstein, Il declino dellAmerica, Feltrinelli, Milano 2004, cap. 12.

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Non limmaginazione sociologica e politologica che orienta levoluzione dei partiti politici, ma sono le dure leggi del potere oligarchico e i rudi comandi delleconomia di mercato. Partiti di Stato, partiti senza societ Il politologo americano Richard S. Katz, che da decenni studia i sistemi politici europei, ha colto la tendenza fondamentale che regola il mutamento delle organizzazioni partitiche allinterno della crisi del partito di massa. Katz sintetizza i risultati delle sue analisi elaborando il nuovo modello del cartel party. Egli colloca lavvio del processo di trasformazione dei partiti europei nei primi anni 70 del secolo scorso. Sono gli anni in cui la domanda sociale chiede ai partiti di fare di pi mentre essi possono fare sempre di meno. Essi tendono a uscire da questa contraddizione allentando i legami con la societ ed entrando in simbiosi sempre pi stretta con lo Stato. I partiti europei sostiene Katz non sono vittime della caduta della militanza e del declino degli iscritti, essi stessi hanno la necessit di scoraggiare la domanda politica che proviene dalla loro base. Le risorse di contributo economico, di comunicazione politica, di mobilitazione elettorale che provenivano dallattivismo di base ora vengono via via sostituite dalle risorse provenienti dallo Stato (finanziamento pubblico, accesso ai mass media, disponibilit di privilegi e di incentivi materiali che costruiscono dallalto reti diffuse di cariche pubbliche elettive e non elettive, di catene clientelari). Si passa da una forma di partito ad alta intensit di lavoro (vasta militanza di base) a un partito ad alta intensit di capitale (finanziamento pubblico, lobby, potenza dei mass media). Sostanzialmente il cartel party si identifica con il partito delle cariche pubbliche. Le conclusioni di Katz sono improntate a ruvido realismo politico: i partiti non sono pi associazioni di cittadini e per i cittadini ma societ di professionisti della politica che gestiscono agenzie parastatali28.
28 R.S. Katz, P. Mair, Cambiamenti nei modelli organizzativi di partito. La nascita del cartel party e anche Idd., Agenti di chi? Princpi, committenti e politica dei partiti, in L. Bardi (a cura di), Partiti e sistemi di partito, Il Mulino, Bologna 2006.

Non c conclude il politologo americano un declino dei partiti, ma cresce una sfida esterna alla forza di questi nuovi partiti, anche perch i cittadini preferiscono investire altrove le proprie energie dove possono svolgere un ruolo pi attivo. Questa analisi sul mutamento genetico dei partiti politici rinvia immediatamente ad indagini meno superficiali e contingenti sulla sfida che viene dalla societ non solo come movimento ma come nuovo associazionismo, come pratiche diffuse e culture emergenti. In Italia prevale lanalisi dei movimenti che fa riferimento a Sidney Tarrow29, il quale li concepisce come picchi momentanei di azione collettiva disgregante, come isolati cicli di protesta regolati da una sorta di legge del pendolo che oscilla tra gruppo in fusione e serializzazione (Sartre), tra stato nascente e istituzionalizzazione (Alberoni). Altri ricercatori, come Touraine, vedono il movimento come il punto di emersione di processi di lunga durata e di grande complessit che producono una socialit politica alternativa. Quello che stato chiamato movimento dei movimenti ci ha rivelato una grande crescita di maturit nello sviluppo dellazione sociale. Esso presenta momenti di convergente mobilitazione pubblica nata da stabili e differenziate sedi di impegno sociale (associazioni pacifiste ed ecologiste, centri sociali, gruppi di volontariato, organizzazioni anti-razziste e in difesa dei diritti umani...). Dallincontro e dal dibattito di massa fluiscono poi risorse politiche, sociali e cognitive che vanno a irrigare il reticolo delle azioni specifiche quotidiane. Siamo ben oltre il moto di andata e ritorno tra flusso della mobilitazione sociale e riflusso nel privato. Verso nuove forme di cooperazione politica? Da queste esperienze nasce una configurazione socio-politica che caratterizzata dallincrocio tra la diversificazione verticale di un arcobaleno associativo orientato alla single issue e una tensione orizzontale tra il globale e il locale.
29 P. Ferraris, Contro il disordine di Tarrow, in Id., Leresia libertaria. Interventi, polemiche e saggi intorno al biennio 1968-1969, Berta 80, San Severino Marche 1999.

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Assieme al conflitto, dopo lunga eclissi, riemergono le solidariet positive, il far da s cooperativo, la pratica dellobiettivo30. Si va oltre il movimentismo, ci si avvicina alla richiesta di unaltra forma di espressione della societ politica. Se teniamo presente lurgenza di invenzione politica e sociale che discende dal mutamento nel sistema partitico e dalla nuova qualit della sfida sociale, si pu comprendere perch in queste note di sommaria ricostruzione storica abbiamo dato spazio alla vicenda del movimento operaio e socialista belga tra gli ultimi decenni dell800 e il primo 900. Esperienze politiche e sociali cos lontane non possono darci ricette per il presente. La loro rievocazione pu per aiutare a porre al centro dilemmi che avevamo eluso, problemi che erano stati rimossi; pu offrire stimoli a formulare in modo pi chiaro gli interrogativi nel presente e per il futuro.La memoria criticamente elaborata si colloca in opposizione alla memoria nostalgica, essa rifiuta lamnesia e rompe lideologia delleterno presente. Ha un senso riportare alla luce gli orientamenti ideali e politici della dimenticata Carta di Quaregnon che si distingueva da quel Programma di Erfurt che ebbe grande successo come manifesto della lunga e dominante tradizione del socialismo statalista; ha una sua ragione il rilievo dato alle esperienze di costruzione di elementi daltra societ attorno alle Case del Popolo del Belgio dopo il lungo declino della capacit di realizzare dal basso obiettivi e risultati autogestiti. Ma il punto sul quale la lontana esperienza belga ci invita a una riflessione nelloggi riguarda soprattutto lapplicazione politica del principio federativo; quel federalismo funzionale che faceva convergere in autonomia e collaborazione sindacalismo e mutualismo, cooperazione e circoli di partito, innestandosi in un federalismo orizzontale, che teneva in relazione i distretti tessili di Fiandra di lingua fiamminga con i bacini minerari valloni francofoni. Quelle lontane vicende mandano echi in un presente nel quale lurgenza riguarda la capacit di trovare le forme della politica che siano in grado di far convergere, nel rispetto delle diversit, uno spettro arcobaleno di pratiche e di culture sociali; forme che
30 P. Ferraris, I movimenti sociali ieri e oggi, Lo Straniero n. 58, aprile 2005.

permettano inoltre di governare la tensione tra globale e locale con reti territoriali di cooperanti autonomie. Il vecchio modello del partito di massa, gerarchico e omologante, non serve. Il nuovo modello del partito delle cariche pubbliche va in tuttaltra direzione.

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Identit subalterne dentro la precariet: ricomporre senza comprimere

di Mariano di Palma

agionare delle soggettivit che vivono e subiscono la crisi vuol dire innanzi tutto affondare le radici nel rapporto tra le forme di dominio, di governance, e lattuale sistema economico, in un capitalismo con natura pi complessa di quella analizzata negli ultimi anni. Bisogna, per cominciare, partire da un fattore: il tempo. La velocit di mutamento e di agilit dei processi di accumulazione di ricchezza impressionante. Il capitalismo non pi univoco: , allo stesso tempo, finanziarizzazione ed estrazione di plusvalore dal lavoro vivo, alienazione di fabbrica ed esistenza messa a produzione. Dentro questo processo ad alta velocit, fondamentale costruire lesodo delle soggettivit poste ai margini della storia nei modi di produzione e nei processi della governamentalit neoliberale. Per questo sar necessario ragionare della precariet come processo, e dei subalterni come soggetto.

I subalterni sono le soggettivit segmentate inserite in un tempo e in uno spazio governato da un capitalismo divoratore. La forma famelica del capitale ha la funzione di dominare tempi e spazi di produzione e di vita, per sussumerli dentro le sue catene disgreganti. La precariet quindi , allo stesso tempo, condizione di sfruttamento e assoggettamento: due concetti in apparenza simili, ma che ci sono utili per distinguere due processi diversi. Il primo quello di alienazione e sussunzione, di erosione della terra e di sfruttamento degli esseri viventi; laltro quello della schiavit, ovvero di un rapporto di dominio delluomo sulla natura e sulluomo stesso. Oggi il governo capitalistico si estende e si ramifica dentro la societ, perch la societ intera a essere luogo di accumulazione e produzione di valore. Modi di produzione e governance sono due facce dello stesso capitalismo. Da semplice regolatore ed estrattore di ricchezza dal rapporto tra capitale e lavoro, al fine di aumentare la propria rendita, il capitalismo diventa forma di potere generale in grado di assoggettare la vita per sfruttare corpi e pensieri. Queste nella nuova macchina mondiale e complessa si danno in contemporanea e mai luna senza laltra, in un rapporto di dipendenza luna dallaltra. Lo sforzo di ricostruzione complessa di quello che avviene nei processi di accumulazione e in quelli di dominio significa dimostrare come leconomia politica a partire dalla devastazione delle politiche sociali e lintensificazione delle politiche securitarie e del regime demergenza siano frutto della stessa scelta, dello stesso processo. Lo sfruttamento diventa quindi assoggettamento, e viceversa. in questo legame che si evidenzia il processo dellevoluzione capitalistica e della sua egemonia mondiale. Le soggettivit che vivono la precariet, i subalterni, diventano loggetto di un continuo laboratorio di governo politico per garantire accumulazione massima di profitto. Se ogni spazio di vita deve essere sussunto dal paradigma economicista, per garantire tale capacit virale non ci pu essere libert reale, se non indotta. Per costruire una macchina produttiva in grado di precarizzare tutta lesistenza, occorre il massimo dellapparente libert individuale, per cancellare tutti i legami sociali possibili. La superideologia del neoliberismo, del resto, lennesimo gioco di maschere con cui il capitalismo si configura nella storia. La retorica del self-made man che pervade la societ, diffondendo il credo della libert individua-

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le, slegata da quella collettiva; il lavoro autonomo che non riesce a liberarsi realmente dai meccanismi di subordinazione; la riproduzione sociale stessa come fattore di accumulazione: sono questi gli altari di cartapesta del capitalismo targato occidente. La condizione di assoggettamento dunque una condizione vasta che, al di l delle condizioni materiali, comprime tempi e spazi di vita sia di chi vive nella City di Londra, sia delloperaio in Bangladesh: tutti inseriti dentro il moderno capitalismo, con diverse gradualit di rapporto intensivo. Come un vecchio sistema feudale, la macchina capitalista ha i suoi feudatari. Non a caso si parlato di un capitalesimo e cio di un sistema di potere che tende a costruire un rapporto verticale e unilaterale di servit allintera ideologia del sistema, tra chi possiede, decide e comanda il processo di produzione e chi lo subisce. Se lassoggettamento rappresenta il metodo e la risposta al come, con quali strumenti, quali modalit, quali nuovi rapporti di forze, lo sfruttamento la sostanza corposa e non meno complessa del processo capitalista. Il capitalismo, per evolversi in macchina mondiale, ha bisogno di strutturare tempo e spazio come elemento di percezione indotta e omologante, come propriet. Lutilizzo che fa di questa propriet sta proprio nel gioco delle maschere. Se il paradigma laccumulazione crescente, allora lerosione della terra e limmiserimento della vita ne sono le conseguenze inevitabili. Lo sviluppo massimo del capitalismo sempre pi coincidente con la fine del pianeta. La forma storica della piramide ci aiuta a rappresentare meglio il meccanismo di sussunzione e le maschere del capitalismo moderno. Alla base della piramide vi il nodo della produzione industriale, del lavoro nella sua forma fordista delocalizzato in gran parte e, a oggi, di nuovo oggetto di intensificazione lavorativa in occidente. I soggetti coinvolti per un ventennio in questo processo hanno avuto una chiara collocazione geografica: gli sfruttati, gli operai, gli intoccabili del sudest del mondo: le industrie vengono delocalizzate e, mentre il capitalismo finanziario assurge a dogma, si creano le premesse per un nuovo sfruttamento globale della manodopera. Oggi quel processo torna vittorioso in occidente e vive nelle politiche di diminuzione dei salari e dellaumento della produttivit. Ecco quindi la prima maschera: la produzione fordista non scompare (neanche in occidente tra laltro), come invece ci hanno voluto far credere con il mito della robotizzazione e della

fine del lavoro di fabbrica, ma, anzi, aumenta in intensit. Al centro della piramide c il processo di finanziarizzazione delleconomia: il gioco speculativo, la moltiplicazione fittizia delle ricchezze, lo sfruttamento delle conoscenze. Qui non sono solo i soggetti del cosiddetto lavoro immateriale a vivere lo sfruttamento. In questa fase dellaccumulazione, lestrazione di ricchezza non avviene sulla base del rapporto lavorativo, ma del profitto sulla vita, riguarda tutti. Come la crisi ci dimostra, questo processo non si autoalimenta, ma ha bisogno di trovare, in una determinata fase del processo speculativo, nuova linfa per riprendere la speculazione. Non ci sono pi ricchezze reali che possano sostenere il gioco finanziario. Se rendiamo questo passaggio unistantanea di una fotografia, rendiamo visibile tutto il quadro delle politiche di austerity. Il capitalismo da solo, tramite sfruttamento mondiale e finanziarizzazione, non regge la crescita intensiva del profitto. Bisogna quindi trovare il modo di lucrare ulteriormente. Eccoci alla punta della piramide. I subalterni, a questo punto del capitalismo, sono atomizzati, deprivati individualmente e collettivamente allo stesso tempo di ricchezza, diritti, dignit, identit; non solo non riconoscono i propri legami collettivi, ma non realizzano nemmeno la propria identit. Lo Stato, svuotato di senso dentro rapporti economici e sociali sempre pi continentali, svolge ancora il ruolo di declinare le politiche di austerity entro un preciso spazio geografico, entro il territorio nazionale. Diventa cos strumento del mercato per consentire nuovi sfruttamenti. la ragion di stato asservita alla ragion economica. Lerosione della terra, del sottosuolo, la precariet, lintensificazione della produttivit del lavoro, la propriet privata che diviene monopolio di pochi, sono il terreno nuovo su cui misurare lopposizione reale al capitalismo e la nuova composizione di soggettivit sociale e politica. Perdere questa battaglia politica, innanzi tutto dinsediamento e di costruzione collettiva di soggettivit, vuol dire essere destinati alla devastazione intera di vite e territori. Quello che avviene in Campania, rappresentato dalla parola biocidio, paradigmatico delle conseguenze prodotte da un capitalismo che ha prima sfruttato i lavoratori nella sua forma pi fordista possibile, poi ha speculato senza redistribuire ricchezze sul territorio e, una volta esaurite le ricchezze da espropriare al lavoro vivo, tale da aumentare crescita e guadagni, passato alla devastazione del territorio, provocando danni ambientali e alla vita senza pari.

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Come costruire identit dentro un processo cos generale e complesso? Ricostruita la frammentazione sociale in questi decenni, la costruzione di nuove soggettivit ha bisogno di tentare lintentato, sapendo che, ad oggi, nessuno pu aver alcuna risposta in tasca. Le soggettivit sono irriconoscibili nella rappresentazione monolitica di ci che abbiamo definito classe operaia durante tutto il Novecento. Fondamentale individuare le domande in grado di indicare la direzione su cui costruire un pezzo nuovo di pratica politica, pur conservando le buone esperienze. La costruzione di legami collettivi e politici pu avvenire ancora soltanto dentro i luoghi del lavoro? Se la produttivit investe tutto lo spazio e il tempo della vita, la prassi politica direttamente antagonista a questa forma di dominio vive solo di lotta attorno alle condizioni di lavoro? Se tutta la vita, nei suoi aspetti pi intimi, messa a produzione, bisogna ampliare il perimetro dellazione politica, pubblica e collettiva? La sfida nel momento della perdita dei luoghi collettivi di lavoro, di massa, deve essere quella di ricostruire il filo dei bisogni collettivi che vivano su uno spazio pi ampio di quello del semplice luogo di lavoro. Questo vuol dire misurarsi innanzi tutto sui bisogni materiali. Bisogna individuare i segmenti comuni, i minimi comun denominatori con cui costruire un rapporto nuovo. Lassenza di una casa, di un reddito, di servizi essenziali diventano i segmenti ampi su cui costruire strati sociali frammentati e ormai lontani e diversi tra loro, ma che vivono ugualmente la distanza da una giustizia sociale ad oggi irraggiungibile. Il rapporto, quindi, tra rivendicare e costruire bisogni si assottiglia. Il mutualismo e la cooperazione giocano in questo senso una partita nuova che, fuori dalla lotta necessaria e importante sui temi del lavoro, deve tendere non solo a risolvere il problema materiale, ma a mettere in rete soggetti che altrimenti sarebbero isolati perch in una condizione di lavoro e di sfruttamento completamente diversa luna dallaltra. Non sar dunque il reddito di cittadinanza a ricomporre la frammentazione sociale, ma tramite la lotta per il reddito potr nascere un senso diffuso di un bisogno comune. Del resto la costruzione di coscienza, come ci insegna Marx, vive di condizione materiale. Ma se ogni forma di dominio rivela sempre il suo contrario, se la compressione dei corpi nello spazio comporta unesplosione di questi nel tempo, allora i subalterni possono essere i soggetti direttamente opposti al capitalismo predatore desistenza. Se modi

di produzione e forme di dominio sono i paradigmi della frammentazione e della liquidit, se allapice del loro sviluppo ultimano il processo di atomizzazione, allora le soggettivit che si determinano non possono essere pi le stesse nel tempo. Occorre uno spazio in divenire che ricostruisca identit collettiva con diverse pratiche di composizione e costruzione. Interrogarsi da sinistra su questo vuol dire necessariamente rompere delle dicotomie e costruire una nuova sintesi di teorie e prassi: rottura della dicotomia ortodosso/eterodosso, marxista/femminista, sociale/politico. Lapertura alla valorizzazione delle identit, dentro la condizione di sfruttamento e alienazione, la potenzialit della liberazione dei soggetti in forma complessiva, sia come classe, sia come donne, uomini, migranti, singolarit diverse, ma connesse tra di loro. Dentro questo quadro, e non senza di questo, possiamo leggere il processo della precariet. Partire da qui vuol dire riconoscere lerosione degli spazi di vita e messi a produzione, lintimit delle esistenze come oggetto di controllo politico. La forma collettiva della subalternit non pu pi essere quella dellorganizzazione monolitica, comera nel corso del 900. Se, da un lato, la sfida resta di ricomporre un soggetto politico in cui le diverse precariet si autodeterminano, dallaltro bisogna indagare le potenzialit che emergono da tale frammentazione sociale. La condizione della donna, del migrante, il vivere una determinata condizione nel quartiere, lassenza di tempo libero, di spazi nelle citt, diventano forme diverse, ma necessarie per rappresentare la complessit che in campo. Non pi sufficiente rappresentare un aspetto dellumanit (quella immersa nel lavoro) e liberarla dalle condizioni di subordinazione in tale luogo. Bisogna aprirsi alla complessit che donne e uomini rappresentano: precariet e singolarit. Bisogna chiudere un epilogo nostalgico, per troppo tempo trascinato, della centralit della classe operaia, e lavorare sulla composizione complessiva della soggettivit. Se la liberazione non pi solo dai vincoli del lavoro, ma dai vincoli di dominio, se la ragione produttiva diventa la ragione di vita, bisogna sperimentare pratiche politiche nuove, che mantengano su un binario parallelo la materialit dei bisogni e la costruzione di identit e la realizzazione di desideri. Costruire politica, quindi, non solo sulle marginalit, ma anche sul-

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le potenzialit. La potenzialit sta proprio in questo retificare; in questo mettere in rete identit che emergono dentro questo sistema: lidentit di genere, lidentit migrante, lidentit dentro la cittadinanza, dentro il quartiere. La teoria della differenza, lo studio di genere diventano fondamentali. Cos come le culture migranti, le identit ibride possono essere importanti per indagare il rapporto che c tra la lotta per luscita dalle marginalit del soggetto migrante e le potenzialit di questi nel costruire una nuova societ. Linguaggi, narrazione post-coloniale, pratiche politiche, creazione e valorizzazione delle identit, riappropriazione di ricchezza espropriata possono essere dei punti sostanziali di una risposta allaltezza di questa crisi. Del resto, se i subalterni sono i frammenti di uno specchio, marginalit non raccontate dalla storia fatta di dominatori, forse la risposta proprio non solo ricostruire il nesso di una risposta collettiva, ma gli strumenti con cui le identit diventano valore sociale e non solo produttivo. Mettere in rete queste identit la risposta vera sul piano dialettico e della pratica politica, la risposta concreta radicalmente diversa dalle forme del potere omologante e divisorio. Assumere la prospettiva del racconto dalla parte dei dominati e non dei dominanti vuol dire rovesciare la storia per ribaltare il presente; questo processo, che inizia con lingresso delle masse nella storia dell800, oggi sicuramente il pi bieco dei tentativi di acuire la piramide del potere economico e politico. Al tempo della fine della democrazia e dei diritti collettivi, lespulsione che i potenti vogliono determinare non solo dalluniversit, dai luoghi del lavoro, ma dalla storia. Bisogna rovesciare il tavolo della prospettiva per non finire in soffitta, nel dimenticatoio, per non destinare le nostre vite al controllo e allo sfruttamento, alla perdita di chi deve prendere voce per raccontare e riprendersi la propria vita. Nuove biografie per nuovi mondi.

Alexis Diaz, Londra

Forma partito e riforma della politica alla fine della Seconda Repubblica

di Lorenzo Zamponi

i crisi dei partiti si parla da almeno trentanni. Il mondo cambiato, la politica cambiata, esistono tanti modi per partecipare alle decisioni collettive senza avere una tessera in tasca, e questa stata ed anche lesperienza individuale di chi scrive. Allora perch la crisi dei partiti un problema, per la sinistra, per i movimenti, per chi in generale interessato al cambiamento? Non questa la sede per unapprofondita rassegna della questione del partito da Lenin alloperaismo italiano passando attraverso Michels e la socialdemocrazia tedesca. Ma una cosa va detta: dal 1944 in poi, i partiti, nel sistema politico italiano, sono stati il principale strumento necessario a far partecipare masse di cittadini a un gioco, quello del parlamentarismo liberale, che era stato costruito per tenerli fuori. Attraverso i partiti, la partecipazione di massa organizzata dalla politica forzava le regole del gioco

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senza farle saltare, salvaguardando il compromesso tra le forze antifasciste e le compatibilit della guerra fredda, ma allo stesso tempo fornendo ai cittadini degli strumenti reali attraverso cui determinare un cambiamento sulle politiche del governo, cos come sulleconomia o sullamministrazione locale. Insomma, come recita lart. 49 della Costituzione, tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Una crisi globale di rappresentanza e governabilit Questo meccanismo saltato da tempo. E non solo in Italia. La crisi della democrazia rappresentativa un dato ormai di assoluta evidenza, nellEuropa della troika. Ladozione delle politiche di austerity nelleurozona, decisa a livello sovranazionale da organismi come la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale, ha accelerato e reso visibili al grande pubblico le tendenze di lungo periodo di trasformazione verticale della democrazia che si erano andate sviluppando negli ultimi decenni: la denazionalizzazione delle interazioni sociali e gli evidenti limiti dellazione unilaterale da parte di uno Stato; la svolta verso politiche regolatorie e lintegrazione verticale in spazi politici sovranazionali1. I recenti problemi nelleurozona illustrano perfettamente questo punto: i governi degli Stati dellEuropa meridionale sono messi sotto pressione dai propri colleghi di altri Stati membri perch prendano le misure necessarie a salvare la moneta comune. [] Nel caso greco, il governo non solo ha ceduto alla pressione internazionale ed stato sostituito da un governo tecnocratico nel 2011. Ma ha anche dovuto affrontare la troika i rappresentanti di CE, BCE e FMI presente per sincerarsi del fatto che le condizioni domestiche per il sostegno internazionale fossero davvero rispettate2. difficile comprendere la reazione popolare alla crisi e il diffuso sentimento anti-rappresentanza in settori della societ
1 S. Lavenex, Globalization and the Vertical Challenge to Democracy, in H. Kriesi, S. Lavenex, F. Esser, J. Matthes, M. Buhlmann, D. Bochsler (a cura di), Democracy in the Age of Globalization and Mediatization, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2013, p. 93. 2 H. Kriesi, Conclusion: An Assessment of the State of Democracy Given the Challenges of Globalization and Mediatization, in H. Kriesi, S. Lavenex, F. Esser, J. Matthes, M. Buhlmann, D. Bochsler (a cura di), Democracy in the Age of Globalization and Mediatization, cit., p. 204.

tradizionalmente integrati in dinamiche moderate e liberaldemocratiche senza fare riferimento a questi processi come laccelerazione di una tendenza di lungo periodo, in cui i partiti sono passati da rappresentare gli interessi dei cittadini nei confronti dello Stato a rappresentare gli interessi dello Stato nei confronti dei cittadini3 e i governi si trovano ogni giorno di pi vincolati da agenzie e istituzioni, e la serie di principi che obbligano i governi a comportarsi in un determinato modo e che definiscono i punti di riferimento della responsabilit si enormemente ampliata4. La crisi dei partiti e la crisi della democrazia rappresentativa coincidono, essendo stati i partiti di massa il principale strumento, nel XX secolo, attraverso il quale la partecipazione popolare poteva entrare nei meccanismi rappresentativi del parlamentarismo liberale, che non era di certo stato progettato per la democrazia e il suffragio universale. La funzione di mediazione tra rappresentanza della volont popolare e governabilit che i partiti ricoprivano oggi messa fortemente in discussione: i vincoli allattivit di governo sono diventati molto pi grandi, labilit di rispondere agli elettori stata molto ridotta, e la capacit dei partiti di usare le proprie risorse politiche e organizzative per colmare o almeno gestire il conseguente gap stata fortemente limitata. Le conseguenze per il sistema di governo rappresentativo saranno probabilmente molto gravi5. Il caso italiano: la Seconda Repubblica tra bipolarismo e plebiscitarismo La crescente insufficienza dei partiti nel colmare la distanza tra le istituzioni rappresentative di governo e la partecipazione popolare particolarmente accentuata nellItalia della Seconda Repubblica. Ormai da ventanni vediamo il susseguirsi di tentativi sempre pi plebiscitari di reazione alla crisi del sistema dei partiti: leggi elettorali sempre pi distorsive del voto popolare, formazioni politiche sempre pi personalistiche, calo costante degli iscritti, scissioni e fusioni sempre pi frequenti, proposte programmatiche sempre pi tecniciste e post-politiche, nella speranza di forzare attraverso la popolarit trasversale di un leader, attraverso proposte in grado
3 P. Mair, Representative versus Responsible Government. MPIfG Working Paper 09/8. Max Planck Institute for the Study of Societies, Cologne 2009, p. 6. 4 Ivi, p. 14. 5 Ivi, p. 16.

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di solleticare paure universali o interessi particolari o attraverso il combinato disposto di premi di maggioranza e sbarramenti differenziati, la formazione di maggioranze parlamentari stabili. Il fallimento della cosiddetta Seconda Repubblica, per essere correttamente compreso, devessere interpretato alla luce della sua origine, e cio del crollo del modello precedente: la democrazia dei partiti uscita dalla Resistenza e dalla Costituente. Un sistema che era gi visibilmente pericolante, quando, tra il 1992 e il 1993, fin sotto i colpi di Tangentopoli e della riforma elettorale. La diagnosi fu effettuata, con una lucidit e una preveggenza che probabilmente superano le sue stesse intenzioni, da Enrico Berlinguer, nella celebre intervista concessa a Eugenio Scalfari nel 1981. Un testo divenuto famoso per la denuncia della questione morale e non, purtroppo, per quello che Lucio Magri ne Il sarto di Ulm definisce lo spunto per un nuovo sviluppo della riflessione comunista sul tema della democrazia, sul binario di Marx e Gramsci: I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della societ e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i pi disparati, i pi contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si ormai conformata su questo modello, e non sono pi organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e liniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un boss e dei sotto-boss. La carta geopolitica dei partiti fatta di nomi e di luoghi. Per la Dc: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e cos via. Ma per i socialisti, pi o meno, lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora...6. La sua analisi talmente impietosa da rendere evidente il carattere debole e propagandistico della soluzione che propone, cio la diversit comunista. Un dato soggettivo sicuramente reale, fatto di buona amministrazione e passione militante, ma non certo sufficiente a resistere alla forza di un processo storico e strutturale come quello descritto da Berlinguer, cio la professionalizzazione dei partiti come macchine per la gestione dellesistente, privi di quel dato di partecipazione di massa che allo stesso tempo li vincolava
6 Marziani o missionari?, La Repubblica, 28 luglio 1981, http://goo.gl/JtjZpY.

nelle scelte e nei comportamenti e ne legittimava la centralit nella democrazia italiana. Oggi riesce quasi impossibile pensarlo, ma chi aveva bisogno di preferenze o di primarie, in unepoca in cui il partito comunista aveva due milioni di iscritti e Dc e Psi stavano rispettivamente poco sopra e poco sotto il milione? Quella che Berlinguer identificava nel 1981 non era semplicemente una crisi etica, ma una crisi di legittimit e di forza: partiti svuotati e non pi capaci di riempire il vuoto di partecipazione democratica che connaturato alla rappresentanza parlamentare, interpretando correnti culturali e intrecciando bisogni sociali, fornendo allindividuo atomizzato della societ occidentale strumenti cognitivi per comprendere la realt e strumenti materiali per cambiarla. Nel 1981, Berlinguer stava denunciando la fine di quella fase, esattamente come, negli stessi mesi, constatava lesaurimento della spinta propulsiva della Rivoluzione dOttobre. I partiti di massa, costruiti sullItalia degli anni 40 e 50, non avevano resistito ai potenti cambiamenti prodotti dal boom economico degli anni 60, dalla rivoluzione culturale del 68 e dalla successiva crisi. Non erano pi in grado di tenere insieme rappresentanti e rappresentati, amministrazione e cambiamento, e questo era tanto pi grave per un partito come il Pci, che dagli anni 40 viveva nella costante tensione tra parlamentarismo e rivoluzione, sintetizzata nella difficile formula della via italiana al socialismo. Una situazione resa ancora pi grave dalla disgregazione dei soggetti sociali dovuta alla ristrutturazione capitalista e dalla riduzione dei margini di manovra dei poteri pubblici in seguito al taglio dello stato sociale e allegemonia del mercato. La questione morale, insomma, fin dallepoca si poneva come una questione democratica: se i partiti non funzionavano pi come pilastri della democrazia, che fare? Una domanda a cui il sistema politico italiano nella sua complessit non diede risposta per un intero decennio, autocondannandosi al suicidio collettivo del 1992-93. Allora, le scelte furono diverse: Dc e Psi si arroccarono nella strenua difesa del sistema dei partiti, considerando la corruzione un effetto collaterale inevitabile e denunciando la mancanza di alternative a quel sistema, pena la distruzione della rappresentanza democratica; il Pds, invece, scelse di cavalcare la tigre dellamericanizzazione, allineandosi alla battaglia contro il sistema dei partiti lanciata da Segni, dalla destra neofascista e dalla grande stampa. Maggioritario, bipartitismo e personalizzazione

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della politica come pilastri di un nuovo sistema di rappresentanza basato sullalternanza, in cui il problema della partecipazione democratica , semplicemente, rimosso. E fu questa linea a prevalere. In questo modo, il male denunciato da Berlinguer fu curato con una dose pi massiccia dello stesso veleno. E non solo in Italia, se prendiamo sul serio la tesi sui cartel party proposta nel 1995 dai politologi Richard Katz e Peter Mair7, che questo termine identificavano i sistemi di collusione e dipendenza dalle risorse statali attraverso i quali i partiti, nella democrazie avanzate dellEuropa occidentale, supplivano al declino di partecipazione e militanza. I nodi chiave identificati da Katz e Mair descrivono alla perfezione lItalia degli ultimi trentanni: compenetrazione crescente tra partito e Stato; collusione tra partiti; obiettivi politici che diventano talmente autoreferenziali, professionali e tecnocratici che la competizione politica si concentra solo sullefficienza della gestione amministrativa; campagne elettorali costose, professionali e centralizzate; forte dipendenza dallo Stato per il finanziamento della politica e per benefit e privilegi; tentativo di supplire al calo degli iscritti attraverso strumenti come le primarie; spoliticizzazione di fondo della societ. Da questo punto di vista, il dibattito tra i fautori di un modello bipartitico, maggioritario, personalistico e plebiscitario e i sostenitori dalla democrazia dei partiti e del proporzionale, che attraversa in varie forme la sinistra italiana ormai da 20 anni senza mai schiodarsi da queste due polarit (DAlema contro Veltroni, Bersani contro Franceschini, Cuperlo contro Renzi), privo di senso. Non stata la crisi del 1992-93, con il corollario della riforma elettorale, a cancellare il sistema dei partiti di massa. La democrazia dei partiti in senso tradizionale era gi finita allinizio degli anni 80, e basta pensare a quanto Bettino Craxi possa essere facilmente considerato il modello politico di Silvio Berlusconi per capire come la seconda repubblica non sia stata altro che levoluzione diretta dellultima parte della prima, cio degli anni 80. Insomma, chi rimpiange i partiti della prima repubblica sta in realt rimpiangendo le stesse forze politiche che, a partire dagli anni 80, con la fine della partecipazione di massa, costruirono il sistema spoliticizzato e tecnocratico in cui ci troviamo ora.
7 R.S. Katz, P. Mair, Changing Models of Party Organization and Party Democracy: the emergence of the cartel party, Party Politics, Vol. 1, n. 1, 1995, pp. 5-31.

Lalba della Terza Repubblica e il dibattito sul finanziamento pubblico A ventanni dal crollo della Prima Repubblica e a trenta dalla denuncia di Berlinguer, non cambiato praticamente nulla. I partiti sono ben lontani dallaver recuperato il radicamento e la capacit rappresentativa degli anni 50 e 60, e si trovano, strutturalmente e irrevocabilmente, in una condizione di subalternit totale sia ai poteri economici (vedi governo tecnico), sia ai media (vedi caso Unipol), sia ai loro stessi signorotti (vedi casi di corruzione che si susseguono uno dopo laltro, o vedi voto dei 101 contro Prodi). Il tentativo di Pierluigi Bersani e dei suoi sostenitori di restaurare un potere del partito nel campo del centrosinistra, emancipando il Pd dalla tutela di Repubblica che ne aveva pesantemente condizionato la nascita, fallito esattamente come fall la stessa operazione a Dc e Psi nel 1992: salvare i partiti come unico strumento di democrazia possibile, quando in realt i partiti sono ridotti a macchine elettorali con poche decine di migliaia di iscritti e nessun radicamento reale. Una linea assolutamente inefficace di fronte alloffensiva che, con la scusa della corruzione e dei costi della politica, mira semplicemente ad abbattere il potere pubblico in quanto tale e quindi la possibilit di una gestione democratica della societ e delleconomia, conquistando nuovi spazi allautoritarismo del mercato. in questo contesto che va inserita, per essere compresa, la questione del finanziamento pubblico ai partiti. Ovviamente chi scrive lontanissimo dalla retorica antipartito di Beppe Grillo o dalla demagogia interessata dei liberisti alla Matteo Renzi, che attaccano il finanziamento pubblico per attaccare la democrazia organizzata e aprire la strada alla totale dipendenza della politica dal potere economico. Ma sostenere, come fa gran parte del centrosinistra, che il finanziamento pubblico sia necessario per mantenere i partiti autonomi dai grandi poteri economici, per disincentivare la corruzione e per impedire che siano i miliardari a farla da padrone in politica, oltre i limiti del ridicolo, in un paese in cui, nonostante un ingente finanziamento pubblico ai partiti, la subalternit al potere economico trasversale (vedi caso Cancellieri-Ligresti, ma anche la connessione tra gli ingenti

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finanziamenti versati dalla famiglia Riva a Pd e Pdl e le politiche messe in campo sullIlva di Taranto), la corruzione tuttaltro che debellata e un miliardario domina la politica italiana da decenni. Insomma: esattamente come non si pu, nella critica della Seconda Repubblica, rimpiangere la Prima che la partor, allo stesso modo insensato difendere il finanziamento pubblico ai partiti in nome di obiettivi che, oggi, il finanziamento pubblico non raggiunge. Chi ha a veramente a cuore il rilancio di una stagione di partecipazione democratica dovrebbe avere il coraggio di riconoscere che, cos com, il sistema dei partiti non ha il tasso di credibilit e legittimit necessari a giustificare un sostanzioso finanziamento pubblico, che oggi non limita n la corruzione n la subalternit ai poteri economici, bens di fatto riempie i conti in banca di partiti in gran parte corrotti e subalterni ai poteri economici. Ci non significa, chiaramente, che non ci si debba opporre alle campagne demagogiche contro il finanziamento pubblico condotte da miliardari come Beppe Grillo o amici di miliardari come Matteo Renzi. Ma farlo in nome del sistema dei partiti oggi esistente significa semplicemente andare incontro a una sconfitta inevitabile. Qualsiasi proposta in questambito, dal finanziamento pubblico alla legge elettorale, passando per le riforme istituzionali o per eventuali processi ricostituenti a sinistra, deve basarsi su un progetto di radicale riforma dellorganizzazione politica. Per quanto sia malintenzionato chi vuole buttare a mare il sistema dei partiti, non si capisce cosa ci dovrebbe convincere a salvarlo cos com. Se non si vuole che solo la demagogia plebiscitaria, autoritaria e reazionaria di Berlusconi o dei suoi epigoni genovesi o fiorentini resti in campo, bisogna che, da sinistra e dal basso, arrivi una proposta nuova. Un nuovo patto per la democrazia. La riscrittura di meccanismi e strumenti di partecipazione e organizzazione che siano in grado di mettere in campo un nuovo modello. I movimenti, il cambiamento e il problema del soggetto generale A trentanni dalla denuncia di Enrico Berlinguer, il problema della rappresentanza democratica resta apertissimo, e i partiti sono, come allora, e forse pi di allora, strumenti assolutamente insufficienti a rispondere alla diffusa e crescente domanda di partecipazione e di cambiamento. La Seconda Repubblica sta

finendo con la stessa alternativa che chiuse la prima, quella tra la difesa del sistema dei partiti e il suo superamento in senso plebiscitario e anglosassone. La storia ha dimostrato linsufficienza di entrambe queste prospettive, e sarebbe forse il caso di ripartire se non dalle risposte da Berlinguer, quantomeno dalle sue domande: come si esprime la partecipazione democratica sul piano sociale e su quello della rappresentanza politica, in una societ complessa? Come possono i soggetti sociali, oggi articolati in maniera ben pi frammentata e complessa di qualche decennio fa, trovare unespressione allinterno e allesterno del quadro politico parlamentare? Quali strumenti di organizzazione possono tenere insieme soggetti sociali e politici, partiti e movimenti, associazioni e collettivi, cooperazione e mutualismo, in coalizioni pragmatiche ed efficienti? Questioni come queste, per tornare alla domanda che ci ponevamo allinizio, non riguardano solo i dirigenti e militanti dei partiti, ma anche e soprattutto chi fa politica in maniera diversa. Il tema del rapporto tra movimenti e partiti, tra conflitto e rappresentanza, non affrontabile se non assumendolo come una tensione irrisolvibile tra due poli, allinterno della quale un sistema complesso di attori in relazione tra loro trova una propria configurazione fatta di avanzamenti, ripiegamenti, cooperazioni virtuose e devastanti rotture, tentando per di mantenere un quadro generale di compatibilit prodotto da un orizzonte comune e condiviso, quello del cambiamento di questo sistema sociale e politico. Oggi questo quadro di compatibilit e questo orizzonte, pur nella differenza dei percorsi, non esistono. Negli ultimi cinque anni i movimenti hanno evitato la questione, in parte con buone ragioni (leffettiva delegittimazione della rappresentanza politica), in parte per opportunismo (criticare la politica nel suo complesso toglie molte castagne dal fuoco, tra le quali il difficile lavoro di discernimento tra il buono e il cattivo delle varie opzioni in campo, che pu essere facilmente tacciato di collateralismo), in parte perch le strutture organizzate sono state superate su questo terreno da un sentimento diffuso nella societ, e hanno assunto il paradigma del non ci rappresenta nessuno. Intendiamoci: chi scrive ha strillato quello slogan pi volte, nellautunno del 2008, e non se ne vergogna assolutamente: dietro quelle parole ci sono, come si diceva prima, ottime ragioni. Il problema che quel paradigma tiene insieme livelli di significato molto diversi: in parte, si riferiva alla ristrutturazione del quadro politico post-governo Prodi, con la virata verso un bipartitismo

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costruito sullasse Berlusconi-Veltroni, che pretendeva di limitare il campo della rappresentanza a due sole opzioni, entrambe variazioni sullo stesso tema neoliberista, escludendo ogni proposta radicale o alternativa al sistema dominante; in parte, sottintendeva un discorso pi ampio sulla crisi della rappresentanza, sullo svuotamento di potere e di rappresentativit delle istituzioni della cosiddetta Seconda Repubblica, sulla necessit di assumere obiettivi nella societ e in livelli politici diversi, come quello europeo; in parte, alludeva a un ragionamento di fondo, alla critica della delega e al bisogno di partecipazione diretta e senza intermediari che patrimonio dei movimenti sociali almeno dagli anni 70, o addirittura alle proposte di democrazia partecipata di cui tanto si discuteva nei social forum dei primi anni 2000; in parte, riportava lodio per le forme partitiche, che alcuni avrebbero voluto sostituire con unautorappresentanza dei movimenti; in parte, testimoniava la critica contro la casta dei corrotti; in parte, era solo incazzatura; in parte, si proponeva di cambiare la politica ricostruendola su basi pi democratiche e partecipate, ma senza mai mettersi seriamente a discutere di quali fossero queste basi, tanto da alimentare il sospetto per alcuni si trattasse solo di sostituirsi, in termini generazionali, alla casta per poter approfittare degli stessi privilegi; in parte, non si poneva proprio il problema di come costruire, in alcuni per gusto del nichilismo e del deve bruciare tutto, in altri per mancanza degli strumenti culturali necessari ad affrontare questo dibattito. Cavalcare londa della spoliticizzazione pi comodo che scovare nuovi e originali percorsi di ripoliticizzazione. E cos abbiamo fatto finta di non vedere che per molti il grido non ci rappresenta nessuno era pi vicino alle campagne contro gli indagati in parlamento che al rifiuto della delega e del parlamentarismo borghese. Chiaramente c una grossa differenza tra il que se vayan todos delle proteste argentine del 2001 e quello del V-Day di Beppe Grillo. Mettere ogni protesta contro il sistema politico sotto letichetta comoda di populismo o di antipolitica un vecchio trucco ideologico dellestablishment per delegittimare la critica. Ma ci non significa che fenomeni diversi non si muovano, in qualche modo, in un discorso comune, che il pesce della mobilitazione sociale e quello del plebiscitarismo grillino non abbiano nuotato nello stesso stagno, che le parti pi organizzate e politicizzate dei movimenti non abbiano giocato in maniera cinica e opportunistica con questambiguit e con questequivoco per anni, fingendo di non vedere cosa si muoveva intorno a loro, flirtando con la

pericolosissima idea che vi fossero soluzioni semplici a portata di mano, una volta saltato il tappo della rivolta, tanto che ogni tentativo di provare a elaborare proposte alternative era bollato come riformista, come se lelemento vertenziale non fosse costitutivo di ogni mobilitazione sociale che non voglia limitarsi allevocazione di una redenzione messianica. Criticare la rappresentanza parlamentare e prendere atto della crisi dei partiti non pu significare rinunciare alla costruzione di soggetti generali. E questa necessit non pu essere ridotta alla questione della rappresentanza e al momento elettorale. Gli esperimenti di conversione parlamentarista dei movimenti, come quello predicato negli Usa da Micah White, uno dei promotori di Occupy Wall Street, sono probabilmente destinati a fallire. Essi sono per un segnale, per quanto confuso, del fatto che anche la street politics deve uscire dallautoreferenzialit se non vuole soffocare. Laccelerazione delle dinamiche sociali impressa dalla crisi e i processi di politicizzazione e radicalizzazione di massa prodotti dalle mobilitazioni contro lausterity, in alcuni paesi, hanno creato il contesto giusto per la sperimentazione di nuovi percorsi di contaminazione tra politico e sociale, che sappiano buttare lacqua sporca del partito burocratico statalista salvando il bambino della capacit di tenere insieme pezzi diversi della societ in un comune e coordinato progetto di cambiamento. In Italia, probabilmente, la situazione molto pi complessa e difficile. Ma da un certo punto di vista questo ci permette di ragionare con pi libert, almeno sul piano teorico, di come sia possibile ricostruire, nellepoca della frammentazione assoluta, strumenti politici di aggregazione e ricomposizione. La strada lunga, ma affrontarla necessario. Il sistema di democrazia rappresentativa basata sui partiti che ha caratterizzato lEuropa nella seconda met del 900 in crisi da svariati decenni, cos come la cosiddetta Seconda Repubblica in Italia sembra avvicinarsi alla fine. Per gestire una transizione di questo tipo, a prescindere dallesito, c bisogno di soggetti politici generali, indipendenti e radicati nella societ. Serve una riforma della politica che sappia assumere lanalisi della fase che abbiamo vissuto e impostare nuovi percorsi su basi diverse, allaltezza dei tempi e delle sfide che abbiamo di fronte. Ragionare sulle forme dellorganizzazione politica, sui modelli di finanziamento dellattivit militante, sul rapporto tra professionalizzazione e burocratizzazione, tra partecipazione e accountability, tra radicalit e radicamento, unimpresa non pi rimandabile.

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Banksy

Il sindacato del futuro: dialogo tra un precario e tre sindacalisti in movimento

di Lorenzo Zamponi

a crisi di fiducia, di credibilit e di efficacia che minaccia oggi la rappresentanza politica non risparmia certo quella sociale. Se la fiducia nei partiti, secondo i sondaggi, ormai a percentuali da prefisso telefonico, quella nei confronti dei sindacati non supera un terzo della popolazione. E alcuni dei fenomeni politici di maggiore successo degli ultimi messi, da Beppe Grillo a Matteo Renzi, hanno fatto della demagogia antisindacale un punto di forza della loro retorica. Ma anche allinterno dello stesso mondo sindacale non manca lautocritica: l8 novembre scorso, il segretario generale della FiomCgil Maurizio Landini ha ammesso apertamente in unintervista a La Repubblica che il sindacato in grande difficolt e se

vuole avere un futuro deve cominciare a fare i conti con il fatto che si trova allinterno di una profonda crisi di rappresentanza, riferendosi in particolare ai milioni di precari, giovani ma non solo, che non vedono nelle organizzazioni sindacali un soggetto che li possa rappresentare.1 Nel tentativo di uscire dalla retorica e dalle semplificazioni, e iniziare invece ad affrontare seriamente il nodo della ricostruzione della rappresentanza sindacale, a partire dallesperienza concreta dei luoghi di lavoro, ci siamo rivolti a tre giovani sindacalisti, che hanno partecipato al progetto dei Quaderni Corsari sin dalla sua nascita, approdati, attraverso un percorso di militanza e attivismo nei movimenti sociali, a esperienze di rappresentanza in settori molto diversi del mondo del lavoro italiano: lagroalimentare (settore primario), lindustria dellauto (secondario) e luniversit (terziario). Quella che segue la sintesi di un lungo dialogo tra il sottoscritto, dottorando di ricerca, quindi precario per definizione, e tre sindacalisti anomali: Michele De Palma, ex coordinatore nazionale dei Giovani Comunisti, protagonista delle mobilitazioni iniziate con il G8 di Genova del 2001, e ora coordinatore nazionale Fiat-auto della Fiom; Roberto Iovino, ex coordinatore nazionale dellUnione degli Studenti e portavoce nazionale della Rete della Conoscenza, attivista antimafia con Libera e ora membro dellUfficio Legalit e Sicurezza della Cgil nazionale e collaboratore della Flai-Cgil (Federazione Lavoratori dellAgroindustria); Fabio Ingrosso, tra i fondatori di Link-Coordinamento Universitario e tra i protagonisti delle mobilitazioni studentesche tra il 2008 e il 2011 alla Sapienza, ora segretario dellFlc-Cgil (Federazione Lavoratori della Conoscenza) Roma Est e componente del coordinamento nazionale precari dellFlc. Zamponi: Iniziamo da una considerazione generale. In Italia oggi c un partito che ha preso il 25% dei voti, il primo partito tra studenti, disoccupati e operai, e sostiene che il sindacato andrebbe chiuso. Com possibile? Qual in questo momento la situazione della rappresentanza del mondo del lavoro in Italia, e perch secondo voi c un sentimento di questo tipo, anche in fasce non certo lontane da quelle che il sindacato rappresenta?
1 Landini: Il sindacato morto se non cambia, grave crisi di rappresentanza, La Repubblica, 8 novembre 2013, http://goo.gl/UQEnSl.

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De Palma: Pi che dalle opinioni di leader politici e di formazioni politiche sul tema del tiro al piccione sul sindacato un tema su cui credo ultimamente ci sia anche una discreta concorrenza, da Beppe Grillo arrivando a Matteo Renzi penso sia il caso di partire dalla crisi di legittimazione della rappresentanza, che in atto, e che riguarda tutti: organizzazioni politiche, sindacali e di rappresentanza del mondo dellimpresa. il sistema della rappresentanza uscita dal 900 che in discussione in questo momento. Ed in atto un tentativo di instaurare un meccanismo di legittimazione reciproca tra le organizzazioni: a fronte della scelta di Fiat uno dei maggiori gruppi privati nazionali di uscire da Confindustria e di fare un proprio contratto nazionale, Confindustria tende a costruire con i sindacati delle intese che poi, nella pratica sindacale, le stesse imprese ad essa associate non rispettano. La stessa cosa accade per le organizzazioni sindacali. AllIlva di Taranto uno degli stabilimenti al centro della vita nazionale nonostante laccordo siglato dalle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil preveda una rappresentanza proporzionale tra tutti, Fim-Cisl e Uilm hanno aperto le procedure di elezione della rappresentanza sindacale Rsu conservando per se stesse un terzo della rappresentanza, in virt dellaccordo firmato con Federmeccanica sul contratto nazionale: di fronte alla perdita di rappresentativit si punta a perimetrare la rappresentanza. In Italia ciclicamente si pone il problema della rappresentativit delle organizzazioni sindacali. Ci che mi stupisce che nessuno si chieda quanto rappresentino in questo momento le organizzazioni datoriali, visto che stiamo assistendo a una frammentazione della rappresentanza nel mondo delle imprese, con un proliferare di nuove organizzazioni dopo luscita di Fiat da Confindustria. Credo che in questo momento il problema sia quello della democrazia, cio del rapporto tra le organizzazioni e la propria base di riferimento. Lunico sistema che ripristina un elemento reale nel complesso delle relazioni sindacali legittime quello democratico una testa, un voto senza il quale facciamo tutti una brutta fine, e anche noi sindacalisti veniamo percepiti come una casta. Iovino: difficile ragionare di questo tema se non apriamo una parentesi su quello che successo negli ultimi 20-30 anni nel mondo

del lavoro: c stato un percorso di graduale frammentazione anche delle identit di lavoro e poi, di conseguenza, anche dei contratti, e la crisi di legittimit del sindacato nasce in primo luogo perch il sindacato lo specchio del mondo del lavoro. Nel momento in cui si rompe la dimensione unitaria, attraverso lattacco alla contrattazione sul piano nazionale e allintroduzione di nuove forme, ormai prevalenti, di lavoro precario, difficile, ma non impossibile, dare una dimensione di rappresentativit unitaria del mondo del lavoro che dia forza e legittimit al sindacato. Quindi, a mio parere, il primo tema che il sindacato paga un processo ventennale di trasformazione del mercato del lavoro che lha visto di fatto impreparato: a questi cambiamenti il sindacato ha spesso reagito in modo quasi conservatore, non ponendosi il problema che lesistenza di nuovi contratti che non sono oggetto di contrattazione collettiva indebolisce molto la capacit di essere pienamente rappresentativi del mondo del lavoro. Paradossalmente c stata la difesa di presdi storici oggi comunque messi in discussione la grande unit della fabbrica, la grande unit aggregativa dellufficio pubblico. Si tratta di presdi che per diventano sempre pi deboli perch emergono sempre pi fattori di ribassabilit del costo del lavoro (dumping contrattuale) attraverso lintroduzione di contratti non collettivi, quali tutti i contratti di parasubordinazione. Allo stesso tempo, nei grandi siti industriali, non da sottovalutare limpiego sempre maggiore di contratti sostitutivi del contratto di categoria, che rompono la coesione dei lavoratori nellunit produttiva. Un esempio rappresentato dallutilizzo distorto dei contratti di cooperazione, di servizi, di subappalto e dallutilizzo della somministrazione sostitutiva del lavoro subordinato. Questa frantumazione del mercato del lavoro ha indebolito il sindacato. Non perch di per s la frantumazione indebolisca il sindacato, ma perch questultimo non si organizzato adeguatamente e non riuscito a dare una risposta ad un bisogno di rappresentanza di un mondo del lavoro in continua evoluzione. Di conseguenza, prende sempre pi piede sempre pi unidea a mio parere sbagliata, e che stiamo provando a contrastare di sindacato di servizi, utile agli occhi del lavoratore solo quando c un problema, una vertenza collettiva o individuale, un pericolo di

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esubero, una cassa integrazione. Il sindacato viene quindi visto comunque come uno strumento di tutela, ma non come un veicolo di emancipazione collettiva allinterno di un contesto unitario come il mondo del lavoro dovrebbe essere. Anche in un settore come quello dellagroindustria e dellagricoltura, che paga di meno la crisi di domanda interna e legata allexport, si diffondono sempre pi forme di dumping contrattuale a causa dellintroduzione dei nuovi contratti che, di fatto, rischiano di introdurre nuove forme di sfruttamento e sottosalario. In questo senso stiamo provando, attraverso una strategia di reinsediamento sindacale, a ricondurre a unit e a ricostruire un elemento di solidariet tra chi storicamente ha dei presdi sindacali organizzati e oggetto di contrattazione, e chi invece lavoro sommerso, sfruttato, invisibile (questultimo concetto estendibile a tante categorie di lavoratori) non riesce ad accedere a diritti e tutele costituzionalmente sanciti. Quando il sindacato prova a dare queste risposte, riesce a smontare il teorema propagandistico secondo cui i corpi intermedi sarebbero inutili. In questo contesto il tema della democrazia, posto in precedenza, si rivela fondamentale, perch configura il sindacato come uno strumento e non un fine di partecipazione, di organizzazione e di contrattazione, in grado di cambiare e di migliorare realmente le condizioni dei lavoratori. Solidariet e democrazia sono i due elementi su cui il sindacato si gioca i prossimi ventanni, il suo futuro prossimo: se non si riesce a ricondurre a solidariet il rapporto tra lavoratori, attraverso un percorso partecipativo e di democrazia, il sindacato rischier di essere sempre pi marginale, non solo sul piano della contrattazione ma anche per quanto riguarda la capacit di rappresentare realmente le istanze dei lavoratori e delle lavoratrici. Ingrosso: Io credo ci siano tre temi: la rappresentativit, quanto rappresenta il sindacato, e chi rappresenta il sindacato. Questi tre temi si sono sviluppati in modo anomalo non sempre e solo per colpa del sindacato, ma anche per come mutato il mercato del lavoro. Ad esempio, nel sindacato si sente spesso dire che bisogna ripartire dai luoghi di lavoro; spesso e volentieri ci si trova per a rispondere: ma quali sono questi luoghi di lavoro?.

Al di l dei grandi aggregati, oggi la frantumazione non solo delle forme contrattuali, ma degli stessi luoghi di lavoro: le stesse filiere sono frantumate e non si capisce pi dove siano e cosa facciano gli stessi lavoratori. E questo si collega con la seconda questione, cio quanto rappresenta oggi il sindacato. Oggi, se penso ai luoghi in cui opero, come le universit o gli enti di ricerca, do per scontato che oltre il 50 per cento dei lavoratori, tra ricercatori e personale tecnico-amministrativo, non a tempo indeterminato, quindi non partecipa allRsu e, di conseguenza, non rappresentato, non ha possibilit di eleggere, di discutere, di agire. Lo stesso si pu dire della scuola: non partecipano allRsu tutti i supplenti, tutti gli insegnanti chiamati annualmente. Lultima questione il chi si rappresenta. In questi anni il sindacato ha faticato a dare risposta a una parte della nuova popolazione lavoratrice. Con la consulta delle professioni, la Cgil sta ultimamente iniziando a dare le prime risposte sulle partite Iva. Ma il tema che oggi si pone non solo la forma contrattuale: i nuovi lavoratori hanno spesso unalta mobilit, ovvero fanno due o tre lavori contemporaneamente o cambiano continuamente settore, quindi per ognuno necessario identificare lattivit primaria, linteresse specifico di rappresentanza, e le modalit con cui ricostruire un processo di sindacalizzazione allinterno dei luoghi di lavoro. De Palma: Mi aggancio al tema della scomposizione. Nel corso di questi anni abbiamo assistito a una scomposizione dei luoghi di lavoro, ed mancata da parte nostra, ovvero da parte del sindacato, una rilettura del tema della catena del lavoro. Ci siamo trovati per anni a inseguire, e lesperienza del Nidil Cgil paradigmatica da questo punto di vista: mentre il capitale scomponeva, noi ci trovavamo a inventare cose come le nuove identit del lavoro, per tentare di riaggregare. Ma il problema che se non si hanno un tempo e uno spazio, ovvero se non c la fisicit del rapporto tra quei lavoratrici e lavoratori, chiaro che non si in grado di metterli insieme per aprire una contrattazione. In questa fase, oggi, c un cambiamento ulteriore: il sistema industriale a 360 gradi, dallimmateriale al materiale sostanzialmente espiantato dal Paese. C una ridefinizione della filiera produttiva e della catena del valore in Europa, una riorganizzazione su base europea della produzione, in

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cui lItalia sta pagando a mio parere il prezzo pi alto. Tutto il settore manifatturiero rischia di saltare, dalla trasformazione dellagroalimentare al chimico, passando per il metalmeccanico. La prima cosa che il sindacato dovrebbe dire ai lavoratori che va creata nuova occupazione e va mantenuta quella che c. Per poterlo fare necessario uno sciopero generale che stabilisca un punto: il sindacato discute con Confindustria delle politiche utili a stabilire un sistema di relazioni, ma a una condizione preliminare, vale a dire il mantenimento in Italia del sistema industriale. Altrimenti, oggi saremo sempre e comunque sotto il ricatto della delocalizzazione. Oggi, negli stabilimenti che visito per fare assemblee, la maggior parte dei lavoratori sono in cassa integrazione e, quindi, sono fuori dallo stabilimento. Li incontro, ma per fare cosa? Per chiedere sei mesi di proroga della cassa in deroga? Qual la prospettiva, e perch quei lavoratori dovrebbero ascoltarmi? Da parte loro c la paura di perdere definitivamente il loro posto di lavoro. La seconda questione parlare a quelli che un lavoro non ce lhanno. I dati attuali mostrano una disoccupazione giovanile pi alta che mai. Con quel mondo rischiamo di non poter pi dialogare, almeno fino a quando in uno sciopero generale ci limiteremo a chiedere di recuperare uno sconto fiscale per chi un rapporto di lavoro ce lha sconto fiscale che, tra laltro, ammonta a soli 10 euro lordi, come rivelano Banca dItalia e Istat, e non a 14 euro, come aveva affermato Letta. Dobbiamo provare a ripartire prima di tutto dal mantenimento delloccupazione, e ragionare di strumenti utili in questo senso, come la riduzione dellorario di lavoro, e poi parlare con chi inoccupato. Purtroppo non con la contrattazione che si risolve il problema della condizione giovanile, perch i giovani non hanno n un contratto n un lavoro. Quindi la questione : come sottrarli al ricatto? Uno strumento, e sar oggetto di discussione pi ampia, lo strumento di un reddito. Che lo si chiami reddito di base o reddito minimo, limportante che uno strumento di questo tipo ci sia, perch nella fase della vertenza che si possono avvicinare allorganizzazione sindacale quelle ragazze e quei ragazzi inoccupati e quei disoccupati che oggi sono fuori dal perimetro

della vertenzialit. Se il sindacato oggi non riparte da questi elementi, finir, come dice Roberto, a fare il sindacato dei servizi. E in questo c qualcuno bravo, che ha costruito delle connection, come la Cisl che in questi ultimi anni lha scritto recentemente Il Fatto Quotidiano ha messo in piedi un sistema di rendita sul piccolo impiego in particolare, e che intende fare lo stesso anche nel settore privato, con gli enti bilaterali. A mio parere, anche quel modello non destinato a reggere, in una fase di crisi, perch ci sar sempre qualcuno in grado di sostituire il sindacato nellofferta di servizi, in particolare nel privato. Credo piuttosto si debba provare a lavorare in senso contrario rispetto alla frammentazione, cercando di accorpare una situazione contrattuale troppo disgregata. Nello stesso luogo di lavoro abbiamo oggi contratti di tipo diverso, dalla cooperativa allinterinale al tempo indeterminato, mentre dovremmo avere grandi contratti, come nel sistema tedesco, che costringono le organizzazioni sindacali ad essere vincolate a un rapporto democratico con le proprie iscritte e i propri iscritti. La Fim, lo riportava Il Sole 24 Ore2, ha recentemente organizzato un convegno con le pi grandi multinazionali presenti sul territorio, in cui ha posto il problema della cosiddetta cogestione. Huber, segretario del sindacato dei metalmeccanici tedeschi, IG Metall, ha affermato che la cogestione stata possibile in Germania alla luce della presenza di aziende dai duemila dipendenti in su, e che nelle aziende sotto i duemila dipendenti tale sistema non esiste. Non ha perci senso illudersi che in Italia, con un sistema dimpresa cos frammentato, il problema del lavoro e del futuro dellindustria si possa risolvere attraverso il sistema della cogestione. Iovino: Va detto anche che in Germania ci possibile perch c un peso reale dei lavoratori in termini di democrazia. C ununit sindacale che non basata sulle sigle ma sulla volont dei lavoratori. Ben altro rispetto a ci a cui siamo abituati noi. Rispetto al tema della propaganda contro il sindacato, vorrei capire quali sono le politiche a favore dei lavoratori che mettono in
2 G. Pogliotti, Partecipazione allimpresa, governo pronto al decreto. Il Sole 24 Ore, 31 ottobre 2013, http://goo.gl/3qOGDe

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campo coloro che portano avanti questi attacchi alle organizzazioni sindacali: qual la proposta politica di chi dice che il sindacato non serve pi? A mio modo di vedere, intollerabile che da un lato si dica il sindacato ha smesso di avere una funzione, uno strumento conservativo si veda tutta la propaganda di questo tipo, da Renzi a Grillo, per non parlare della campagna ventennale del centrodestra su questo tema mentre dallaltro lato gli stessi soggetti da ventanni mettono in campo politiche di fatto contrarie ai lavoratori, come larticolo 8 del 2011 sulla deroga ai contratti collettivi nazionali3. Il Movimento 5 Stelle introduce in forma di spot degli elementi di novit, come il tema del reddito, ma poi ignora la questione del superamento della precariet. Non ci si pone il problema di ridefinire una nuova strategia di insediamento industriale per creare nuova occupazione. In sostanza non c neanche una dinamica di scambio, per cui si propone di aumentare loccupazione e, contestualmente, di diminuire il potere contrattuale del sindacato. Niente di tutto ci, a dimostrazione che si tratta solo di una campagna ideologica nellinteresse esclusivo del profitto delle imprese e, su scala pi ampia, delle multinazionali. Sono idee a mio parere intollerabili: in questottica i lavoratori diventano non solo merce, ma anche mero oggetto di propaganda e speculazione politica. Zamponi: Soffermiamoci un attimo sul tema della rappresentanza politica del lavoro. Roberto giustamente si chiedeva quale fosse il modello proposto da chi attacca il sindacato. Nei dibattiti parlamentari, deputati e senatori grillini intervengono spessissimo con interrogazioni su crisi aziendali in determinati territori lo stesso modello portato avanti dalla Lega per ventanni e dalla Democrazia Cristiana nei precedenti quaranta, con il deputato del territorio che denuncia in parlamento la chiusura dellazienda stracciandosi le vesti, con la speranza che lo Stato ci metta i soldi, in termini di cassa integrazione. Insomma: una logica localistica e clientelare, che interpreta la politica come un modo di portare a casa interventi di natura beceramente assistenziale, per tutelarsi dal punto di vista elettorale, mentre il tema del futuro del lavoro viene ignorato. C unalternativa di rappresentanza
3 Art. 8 Legge 148/2011, http://goo.gl/UsZtJ0

politica del mondo del lavoro a questa, in cui ognuno si limita a portare a casa i soldi per il collegio e, di fatto, a monetizzare la deindustrializzazione? Ingrosso: Come giustamente facevi notare, tutto questo non una novit. Il meccanismo fiduciario tra un deputato o un senatore e le aziende del territorio si involuto notevolmente dai tempi della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista ad oggi. Nel tempo quel rapporto peggiorato, perch oggi il massimo che i partiti fanno linterrogazione parlamentare, o farsi riprendere dalla web tv con la magliettina dellazienda occupata, per dimostrare su Twitter o su Facebook che sono stati l, mentre prima magari si faceva anche qualcosa di pi serio o, comunque, si doveva sicuramente dare maggior conto allelettorato locale. Il problema di fondo, a mio parere, che il sistema dei partiti, in Italia, ha smesso di riflettere sul tema del lavoro. La politica industriale in questo paese non esiste pi, e non vero che cos anche in altre parti dEuropa. Purtroppo in Italia troppo spesso assistiamo a un dibattito sul mercato del lavoro polarizzato intorno ad alcuni grandi temi come larticolo 18 e ignoriamo tanti problemi altrettanto rilevanti. Da Treu in poi abbiamo assistito a uno smantellamento totale di tutti i diritti e di ci che rimasto della legge 300 del 1970. in atto dagli anni 90 un processo disintegrativo di tutte le conquiste degli anni 70. Mentre discutevamo dellarticolo 18, le nuove forme di indennit di disoccupazione, Aspi e mini Aspi, escludevano gran parte dei lavoratori italiani. Negli stessi anni scomparivano ferie, malattia e diritti di cittadinanza derivanti dal lavoro. Il welfare stato smantellato, la precariet diventata la forma primaria con cui si sta nel mercato del lavoro. E oggi chi osa parlare di Pacchetto Treu o di Legge Biagi fa la figura del nostalgico arroccato su ragionamenti vecchi. I punti sono due. Da una parte c il fronte della comunicazione di massa, dove pi facile esprimersi per slogan che entrare nel merito delle questioni e questo, in particolare, nel contesto di frantumazione dei luoghi di lavoro che abbiamo gi descritto, ci mette automaticamente in condizione di svantaggio, vista la difficolt di ricostruire un terreno di lotta comune. complesso analizzare tecnicamente tutte le tipologie contrattuali, trovare una sintesi tra le varie problematiche, assumere in termini generali e

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confederali le battaglie irrinunciabili. Gli slogan alla Beppe Grillo o alla Matteo Renzi sono sicuramente pi facili. Dallaltra parte, c il fronte politico, perch gli stessi cittadini che dicono che il sindacato deve chiudere, dicono anche che i politici devono morire. evidente che c un problema generale legato alla rappresentanza, che va affrontato nel suo complesso senza pensare, per, che con le generalizzazioni si vince. Assumere il dato che i corpi intermedi oggi non servono pi a nulla o devono essere dei comitati elettorali di questo o quellaltro partito comporterebbe la messa in seria discussione del funzionamento stesso del modello democratico vissuto fino ad oggi. Iovino: Provo a rispondere con un esempio concreto. Noi abbiamo stimato che nel settore dellagricoltura ci sono circa 400 mila stranieri, comunitari ed extracomunitari impiegati in modo irregolare lavoratori in nero o in grigio. Con un semplice calcolo possibile quantificare in circa 600 milioni il danno erariale dovuto allintermediazione illecita dei caporali, a cui va aggiunto il mancato gettito fiscale dovuto allimpiego irregolare di manodopera. C mai stata una forza politica che abbia riflettuto sul fatto che questi 400 mila lavoratori uomini e donne pagati dai nostri imprenditori con salari paraschiavistici (circa 3 euro lora!) porterebbero un grandissimo vantaggio in termini di competitivit per le imprese italiane, per non parlare del maggiore gettito fiscale che la loro regolarizzazione potrebbe assicurare? Oppure abbiamo sentito solo una retorica securitaria per cui lo straniero un pericolo da combattere? Nel momento in cui lo straniero diventa esclusivamente un pericolo, mentre in realt non cos perch in agricoltura c bisogno di manodopera, la politica (e, soprattutto, la sinistra) avrebbe il compito di organizzare un discorso pubblico legato al contrasto di ogni forma di populismo, un contrasto in senso alternativo a quello che stato il pensiero unico degli ultimi decenni, fortemente restrittivo dei diritti di cittadinanza e del lavoro. Questo esempio per dire che quello che manca realmente unalternativa al pensiero unico populista e di destra, che ha contaminato negli ultimi decenni anche chi, storicamente, aveva lambizione di rappresentare le istanze del mondo del lavoro. Nel momento in cui la politica smette di avere questa funzione, cio

quella di avere una visione complessiva del mondo e di combattere le ingiustizie, allora evidente che qualcosa non va. Quello che successo in termini di espressione di voto negli ultimi anni, a mio parere, lo dimostra. La politica diventata e ridiventata sempre pi (forse non ha mai spesso di esserlo) un presidio fortemente clientelare. E negli ultimi anni il clientelismo si sta ulteriormente imbastardendo, perch quando si cura solo il proprio orticello, il proprio interesse particolare, senza una visione dinsieme, si fa solo propaganda. Tutto questo discorso per sottolineare quanto profonda sia ormai la distanza tra politica, societ e mondo del lavoro. Per colmarla sarebbe necessaria la forza di unidea complessiva del mondo, ma non mi pare che ci non sia allordine del giorno della discussione politica che abbiamo davanti. De Palma: Dobbiamo dirci onestamente che sul piano politico, culturale e sociale, la sinistra in Italia non c pi. Non c pi un punto di vista autonomo che pu confrontarsi senza subalternit e senza dipendenza nei confronti delle controparti. La prima variante che si pu aprire nellarco parlamentare il grillismo, per certi versi un paracorporativismo: si costruisce il rapporto con questo o quel delegato, lavoratore, situazione di fabbrica, poi si va in parlamento e si fa una sparata, che per non si colloca allinterno di un ragionamento, un criterio, un punto di vista. Laltra variante, nel campo del centrosinistra, la testimonianza, da Sinistra Ecologia Libert alle formazioni che oggi sono fuori dal parlamento, o la subalternit manifesta al punto di vista delle controparti, espressa dal Partito Democratico. Un punto di vista alternativo quello che permetterebbe di giungere a una contrattazione, a una mediazione; ma sparito il punto di vista della sinistra, basato sulla democrazia e sul lavoro. E poi c il tema dellEuropa. Ho la sensazione che nel nostro popolo, cio il popolo di chi lavora, lEuropa sia diventata unantagonista, e questo comporta il rischio di un netto spostamento a destra di questo popolo e di un imbarbarimento delle relazioni sociali. Proprio per questo il ruolo del sindacato, in particolare della Cgil, in questa fase fondamentale. Per quante critiche si possano muovergli, il sindacato resta lunico soggetto in grado di presidiare

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uno spazio di resistenza e di costruzione di unalternativa basata su democrazia, lavoro ed Europa. Del resto nella tradizione europea spesso capitato che dal fronte sindacale siano venute le svolte anche nei partiti di tradizione socialdemocratica o laburista. In questo momento in Inghilterra il nuovo segretario del Partito laburista viene da unesperienza sindacale, e oggettivamente ha delle idee che hanno aperto una nuova discussione in Inghilterra rispetto alle posizioni tradizionali del blairismo e dei suoi cascami. Per ripartire, serve lincontro tra la componente precaria, non rappresentata, che era in piazza il 19 ottobre, e il mondo del lavoro organizzato. Altrimenti non penso ci possa essere una sinistra o comunque una forza politica che rappresenta o si pone il problema di rappresentare efficacemente la condizione del lavoro e del non lavoro. Il punto che in questo momento la politica non si pone affatto il problema: basta guardare le cronache dei giornali. impressionante: mentre in parlamento si discute del voto palese o segreto su Berlusconi, ci rivolgiamo al Ministero dello Sviluppo Economico per le crisi industriali, ci presentiamo al tavolo, e lunica cosa che il Ministero in grado di dirci che forse potr ottenere altri sei mesi di cassa integrazione in deroga fino alla cessazione dellattivit dello stabilimento. Iovino: Una nota dattualit rispetto allultimo anno. La Cgil, attraverso il Piano del lavoro4, ha proposto alle forze politiche prima delle elezioni una discussione pubblica sulla creazione di nuova e buona occupazione in tempi di crisi. Quello era uno sforzo che andava nella direzione di cui parlava Michele, cio dare un contributo di merito anche a una crisi di analisi, in cui oggettivamente versano gran parte delle forze di sinistra in Italia. Lerrore stato confidare nel fatto che ci sarebbe stato un cambio di fase, cio che il Paese sarebbe uscito dal periodo delle larghe intese, dal governo Monti, con un governo di cambiamento capace anche di interpretare alcune intuizioni presenti allinterno di quel Piano del lavoro: un approccio timido, che non teneva conto della necessit del sindacato di ritrovare forza nella sua indipendenza dalla politica. Assistiamo sempre di pi a un nuovo conflitto tra capitale e lavoro
4 Presentato a gennaio 2013: http://goo.gl/41czXX

(forse pi del capitale nei confronti del lavoro che viceversa): questo resta per me un elemento qualificante, che si esprime in modo diverso rispetto a come labbiamo conosciuto nel secolo scorso, ma che di stretta attualit rispetto a quello che vediamo e facciamo nelle aziende. Secondo la gran parte dei rappresentanti politici, invece, questo un tema superato, e questo punto di vista racconta un grande limite nella capacit di leggere i processi economici e sociali, qualit imprescindibile per chi impegnato in politica. Zamponi: Torniamo al tema della rappresentativit. Quali sono gli strumenti per questo processo di reinsediamento sindacale? Mi riferisco sia agli strumenti concreti, operativi, allinterno dei luoghi di lavoro, sia alle proposte politiche che possano facilitare questa ricomposizione, come ad esempio la questione del welfare. Ingrosso: Alla Sapienza due anni fa abbiamo aperto uno sportello dedicato ai precari, per la prima volta, in un luogo di lavoro in cui di fronte a ottomila lavoratori a tempo indeterminato ce ne sono altrettanti precari, tra parasubordinati, autonomi e a tempo determinato. stato un primo esperimento sicuramente utile, ma senza dubbio parziale da tanti punti di vista. La domanda che fai non ha secondo me una risposta univoca n completa. Intanto c il tema degli strumenti: oggi molti lavoratori non hanno gli strumenti di agibilit sindacale classici, come i permessi, tramite cui banalmente possibile riunirsi, vedersi, discutere. troppo facile dire che questi diritti dovrebbero essere di tutti, ma nel frattempo dobbiamo organizzarci. un dovere del sindacato. Come si fa? Nelle forme pi svariate, in base ai luoghi di lavoro, in base alle condizioni. Ad esempio lorganizzazione delle camere del lavoro, delle sedi sindacali, della stampa sindacale oggi deve mutare. Spesso e volentieri le sedi non possono pi assurgere al ruolo di prima, ma deve essere il sindacato ad andare dal lavoratore, anche perch spesso il lavoratore non ha pi neanche un luogo di lavoro ben preciso. Oltre agli spazi, poi, cambiano anche i tempi: capita e capiter sempre pi spesso di tenere, nello stesso luogo, allinterno della stessa filiera produttiva, riunioni, incontri e assemblee in orari e modalit molto diverse tra loro. E

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poi c la paura. Ci sono lavoratori che ci contattano e chiedono di incontrarci in segreto, perch la natura contrattuale debole della precariet, insieme al terrore della disoccupazione, crea un meccanismo di ricatto continuo. Dobbiamo inoltre riuscire a ridefinire anche le proposte per i contratti collettivi nazionali. Il tema complesso, perch da una parte c la paura di istituzionalizzare il precariato allinterno dei contratti, e quindi di dare per persa la battaglia per la sua eliminazione, e dallaltra c la necessit di sperimentare forme di contrattazione inclusiva, di affermare che, al di l della tipologia contrattuale, tutti devono avere dei diritti, dei minimi, delle soglie di agibilit. La contrattazione va ripensata. Un esempio pratico: il policlinico Umberto I di Roma il classico contesto in cui insistono tante categorie dello stesso sindacato. Ci sono i lavoratori universitari, quelli della funzione pubblica, dei servizi, i metalmeccanici e quelli dei trasporti. Cinque categorie del sindacato che operano nel medesimo luogo di lavoro, perimetrato dalle stesse quattro mura, e che spesso allinterno di quel luogo di lavoro neanche si parlano. Allora oggi, nella frantumazione dei luoghi di lavoro, dobbiamo provare a dare al lavoro una rappresentanza confederale, vera, seria, in forme molto differenti dal passato. Iovino: Riparto da una suggestione sul tema del reinsediamento sindacale. Nel 1914, Giuseppe Di Vittorio scriveva in una lettera al Corriere delle Puglie5, in merito alla sindacalizzazione dei braccianti agricoli del Tavoliere delle Puglie e del Foggiano, che il lavoro agricolo era (ed ) soggetto alle stagionalit agricole e ai flussi dei lavoratori migranti, dunque un lavoro strutturalmente migrante usa proprio questa dizione. Questo ragionamento, a distanza di 99 anni, ancora valido. Quindi cosabbiamo fatto sul tema del reinsediamento? Nel caso dei migranti, ci siamo detti: invece di aspettarli nelle nostre sedi, usciamo, prendiamo dei camper, andiamo nei loro ghetti, andiamo dove sono costretti a vivere in condizioni di schiavit, e cerchiamo di costruire un rapporto di fiducia tra loro e il sindacato. Ci ha determinato una nuova strategia dinsediamento, il sindacato di strada, che va oltre la camera del lavoro, che fa le assemblee nei ghetti fatiscenti che
5 G. Di Vittorio, Le strade del lavoro. Scritti sulle migrazioni, Donzelli, Roma 2012.

ospitano migliaia di lavoratori agricoli, spesso nellinvisibilit totale. Il secondo tema quello della contrattazione di rete e della contrattazione inclusiva, di cui parlava Fabio. Anche nelle aziende di trasformazione, ad esempio, coesiste lapplicazione di diversi contratti: c la cooperativa di servizio, ci sono gli interinali, gli operai subordinati e gli impiegati. Dobbiamo sperimentare sempre di pi una contrattazione inclusiva, cio ricondurre la frammentazione a una dimensione di unitariet e di solidariet nellazione contrattuale. Poi il terzo punto: il welfare universale. Ho salutato molto positivamente il fatto che la mia categoria, la Flai, abbia recentemente inserito allinterno di un ordine del giorno del suo organismo direttivo la necessit di aprire una riflessione importante allinterno della Cgil sul tema di un nuovo welfare, inclusivo, espansivo e universale. Si parla di reddito: capiamo in che modo, e se c un nesso o no tra il fatto che Italia e Grecia siano gli unici due Paesi che non hanno uno strumento di questo tipo e il fatto che sono i due Paesi che pagano di pi la crisi e lavanzare disarmante di nuove povert. Secondo me s. Serve una forma di reddito capace di redistribuire ricchezza e rappresentare una forma di tutela universale. Allora questi tre punti, welfare, contrattazione inclusiva e reinsediamento, li sintetizzo in una parola: confederalit, a maggior ragione in una fase di crisi. I nodi della crisi sono talmente trasversali che oggi non riesco a individuare una differenza tra la difficolt di avere un posto di lavoro, ovvero il tema della disoccupazione giovanile, e la difficolt a pagare un affitto, avere una casa, avere un diritto di cittadinanza non direttamente associato alla propria condizione di lavoro. Per me oggi la missione confederale del nostro sindacato anche questa; avere la capacit di programmare una discussione nuova, in grado di smontare alcuni miti, alcune contrapposizioni ideologiche (tra reddito e lavoro, ad esempio) che non hanno ragione di esistere in seno allattuale realt dei fatti. Alcune cose le sperimentiamo gi. Penso, ad esempio, che la cassa integrazione in deroga non sia altro che, di fatto, un ammortizzatore secco, un provvedimento antipovert. Allora perch non immaginiamo invece unidea di welfare diversa, che non sia solo assistenziale ma capace di generare mobilit sociale a

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tutti i livelli? Attuare strumenti di tutela universalistici non risolve certo il ricatto della precariet, non penso che un reddito minimo garantito sia risolutivo rispetto alla negazione dei diritti e delle tutele nel mondo del lavoro; ma allo stesso tempo errato pensare che strumenti di questo tipo indeboliscano la contrattazione. Ogni provvedimento espansivo in termini di diritti e tutele nellesercizio di diritti di cittadinanza universalmente riconosciuti alleato del mondo del lavoro e non viceversa. cos che io intendo il reddito minimo garantito. De Palma: Il punto da cui partirei io quello che sempre stato concepito come un luogo tradizionale, la grande fabbrica, che dal punto di vista sindacale aveva le sue regole e anche le sue liturgie. A un certo punto accade che quella grande azienda, quella multinazionale, cancelli tutta la contrattazione, e decida unilateralmente che se si non riconosce allazienda il potere di definire gli elementi contrattuali, si perdono i diritti derivanti dalla contrattazione di secondo livello. il caso emblematico della vicenda Fiat. I nostri delegati e delegate hanno resistito per tre anni, pagando un prezzo salatissimo. Se io dovessi pensare al sindacato del futuro, penserei a ci che nato in questi tre anni allinterno degli stabilimenti Fiat. stata una prova del fuoco, abbiamo anche perso iscritti, ma il consenso tra i lavoratori e le lavoratrici aumentato, anche se magari per paura ancora non si iscrivono alla Fiom, perch se sei tesserato Fiom ti cambiano di turno, non fai gli straordinari, e cos via. In questi tre anni abbiamo sperimentato un sindacato anomalo. Non c pi diritto ai permessi sindacali, quindi le riunioni si fanno alluna di notte, come alla CNH di Jesi, oppure nazionali e al sabato. Non c pi diritto allassemblea, e quindi, come accade a Brescia, quando gli altri sindacati convocano unassemblea, il funzionario sindacale della Fiom va fuori dallo stabilimento, i lavoratori escono dal posto dove si tiene lassemblea, vengono sui cancelli e si sta l fuori a parlare ai lavoratori che stanno dentro, che abbandonano lassemblea delle altre organizzazioni sindacali. Oppure, quando si devono discutere questioni complicate, si dichiara sciopero e si fanno le assemblee in sciopero col funzionario sindacale fuori dallo stabilimento, con lazienda che ovviamente verifica la partecipazione, sa quali sono i lavoratori presenti e opera di

conseguenza. Fino ad arrivare al paradosso pi recente: in uno stabilimento Fiat, la Magneti Marelli di Bologna, noi abbiamo fatto sciopero per le condizioni di lavoro. I nostri delegati non hanno tutti i diritti degli altri, i permessi, e cos via, ma la credibilit che hanno nei confronti dei lavoratori ha determinato il fatto che la fabbrica si fermata, e Fim e Uilm hanno dovuto aderire allo sciopero, con il risultato che lazienda ha applicato sanzioni disciplinari ai delegati di Fim e Uilm, perch a loro viene applicato il contratto collettivo specifico del lavoro, mentre ai nostri no. Se penso al sindacato del futuro, dico che dobbiamo rompere un meccanismo burocratico di organizzazione sindacale. Quanti sono i funzionari sindacali che non fanno unassemblea, che non vanno sui luoghi di lavoro? Questo vero anche da noi, anche in Cgil. Sulla confederalit, a mio parere dal punto di vista della contrattazione la titolarit ce lhanno le categorie. Penso che la confederazione abbia invece tre compiti. Per prima cosa, stabilire delle regole che valgano per le imprese e per le altre organizzazioni sindacali allinterno della confederazione. Poi, il rapporto con le istituzioni e col sistema legislativo, perch non possiamo continuare a subire uniniziativa legislativa che smonta pezzo dopo pezzo elementi consolidati della nostra legislazione e della nostra contrattazione. Il terzo elemento anche per me il tema del welfare. Penso a una camera del lavoro di un territorio: poter mettere insieme i lavoratori del pubblico impiego, della scuola, i metalmeccanici, e cos via, per contrattare il fatto che il diritto alla casa un diritto per tutti. Invece purtroppo si sta facendo strada unipotesi di contrattazione di secondo livello che sostituisce i diritti universali e il welfare. Il ministro Delrio ha raccontato in un libro6 la sua esperienza di sindaco di Reggio Emilia. Delrio propone che per garantire lasilo si utilizzino i contratti aziendali, e quindi di fatto il lavoratore metta dei soldi dal proprio salario per avere un servizio che non pi universale, ma solo di chi lavora e ha un contratto; perch le risorse del Comune servono invece a garantire
6 G. Delrio, Citt delle persone. LEmilia, lItalia e una nuova idea di buon governo. Donzelli, Roma 2011.

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quel servizio a chi quel lavoro e quel contratto non ce li ha. Questo significa che domani, quando i trasferimenti dallo Stato alle Regioni e ai Comuni si ridurranno ulteriormente, laccesso a determinati diritti sar riservato solo a chi lavora, e cos chi perder il posto di lavoro, non perder soltanto il salario, ma anche laccesso al welfare. Questa una proposta in campo, in termini di rapporto tra la cittadinanza e il lavoro, e credo che su questo la Cgil debba produrre uno scatto. Non possiamo pensare che debbano essere solo i movimenti a porre il problema della casa. Il problema della casa per i lavoratori e i disoccupati un problema del sindacato. Ultimo elemento, se dovessi pensare al sindacato del futuro rifletterei sul fatto che ci sono stati recentemente troppi scandali che hanno coinvolto il sindacato in giro per lItalia. E questo apre un problema di credibilit. Oggi, purtroppo, se si chiede a un lavoratore qualsiasi, anche tradizionale, che impressione abbia del sindacato, nella stragrande maggioranza dei casi ci si sente rispondere in modo non particolarmente positivo. Dato che il mio problema invece convincere i lavoratori che il sindacato una coalizione che costruiamo tra di loro, allora necessario trasferire risorse dal centro e investirle sulle periferie, per riconquistare quella credibilit persa. importante ad esempio lesperienza del reinsediamento che citava Roberto. Il punto che le risorse dovrebbero servire, piuttosto che a mantenere la struttura, a diffondere le camere del lavoro sui luoghi di lavoro sul territorio. Serve un sindacato di strada e di luogo di lavoro. Noi lo siamo stati per tre anni: dato che eravamo fuori dalla fabbrica Fiat, abbiamo montato le roulotte e i camper davanti allo stabilimento e abbiamo portato l i servizi del patronato Inca e la presenza fisica dei lavoratori degli altri stabilimenti, che a turno venivano a fare il presidio insieme ai lavoratori Fiat. Questo tipo di azione costruisce una comunit. Cambia la mentalit rispetto anche al rapporto con i delegati. Essere un delegato Fiom oggi significa non essere il delegato di quellazienda, ma contribuire a una vertenza generale dei metalmeccanici. Per cui se c unazienda in crisi, il punto come costruire una solidariet attiva, e questa una funzione secondo me fondamentale che dovrebbe avere la confederazione.

Zamponi: Metto sul tavolo due argomenti diversi. Per prima cosa, a partire dalle ultime osservazioni sia di Michele, sia di Roberto sul funzionamento del sindacato, vorrei che riflettessimo su chi sono i quadri del sindacato, da dove vengono, come si formano, sempre nellottica della ricostruzione di una rappresentanza. Poi vorrei che ci soffermassimo sul rapporto tra sindacato e movimenti: ci sono state periodicamente delle fasi anche recenti della storia di questo Paese in cui il sindacato, in particolare la Cgil, riuscito a essere un punto di riferimento per mobilitazioni pi ampie della societ. possibile riaprire una fase di questo tipo ora? In che modo? Su che battaglie? Ingrosso: Sulla prima questione, sono perfettamente daccordo con quanto detto prima da Michele: il tema di come vengono spese le risorse del sindacato allinterno un tema di interesse generale e strategico. Per me la risposta una, per dirlo con una battuta: ci dovrebbero essere meno funzionari e pi missionari. Il reinsediamento va praticato: i camper, gli sportelli, i gazebo davanti alle fabbriche, le riunioni nei luoghi pi impensabili, la sperimentazione di pratiche differenti e un ripensamento totale delle stesse camere del lavoro. O si va in quella direzione o si soccombe. Ma il reinsediamento va anche praticato in ordine allorganizzazione del sindacato stesso. La nostra lunica categoria che ad oggi ha un coordinamento nazionale che riunisce tutti i precari. Non ci sarebbe forse oggi la necessit per tutta la Cgil di porsi il problema di come far discutere tra di loro tutti quei lavoratori che oggi vivono la precariet contrattuale sulla propria pelle? Il quadro sindacale non assolutamente utile alla collettivit, se solo colui che un po pi esperto degli altri perch si studiato il contratto. Oggi il nuovo funzionario sindacale deve fare di pi. Ci sono delle regole che per fortuna in Cgil sono molto chiare: prima della firma di un contratto si deve unassemblea. Io sostengo che questo dovrebbe avvenire in tutti gli ambiti della nostra attivit, e non solo per quanto riguarda i contratti. Proviamo a far partecipare veramente tutti i lavoratori, e non solo gli iscritti. Se un lavoratore non iscritto alla Cgil, se magari un precario che non si fa la tessera per paura, io non devo forse provare ad aiutare e rappresentare anche lui?

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E poi c un aspetto molto importante: la tutela individuale devessere sempre ricondotta a quella collettiva. La Cgil non pu essere il sindacato della tutela individuale. La Cgil il sindacato della tutela collettiva. Lavorare in questo senso fondamentale per rispondere alle questioni che mi vengono poste tutte le settimane allo sportello precario e in Flc nel coordinamento nazionale precari. Dobbiamo avere il coraggio di porre con forza questo tema, perch penso che un precario strapperebbe la tessera se ascoltasse ogni tanto le discussioni che fanno i colleghi a tempo indeterminato sul salario accessorio, la quattordicesima, e cos via. Poi c il tema del welfare. LFlc ha lanciato poco tempo fa la campagna Il lavoro discontinuo, la vita no, per porre il tema della dignit di quanti oggi vivono una condizione nuova di ricattabilit a tempo indeterminato come gli intermittenti, i parasubordinati, gli interinali, gli autonomi, i vecchi e i nuovi disoccupati. Il tema del diritto alla dignit, dei diritti di cittadinanza, del diritto ad avere diritti stato troppo spesso affrontato in maniera antica e frettolosa nel sindacato. Listituzione di un reddito minimo lunica indicazione europea che questo Paese non rispetta: negli ultimi anni ci siamo fatti imporre dallEuropa qualsiasi cosa e su questo punto la sinistra italiana ha una responsabilit storica e lunica che abbiamo rifiutato stata la sola direttiva che andava nella direzione opposta allausterity. Il sindacato non pu perdere questoccasione. Se pongo il tema della maternit e dico che una ragazza che fa un figlio e non ha un lavoro ha comunque diritto alla maternit, ovviamente nessuno mi risponder di no. Allora perch si incontrano resistenze quando si estende questo ragionamento ai trasporti, alla sanit, allistruzione o pi in generale ai diritti di cittadinanza? Per il sindacato sarebbe un errore strategico mettere in contraddizione i diritti, e non investire sul tema del reddito, delluniversalizzazione del welfare, di una dignit che non finisce quando finisce un contratto di lavoro. Quanto ai movimenti, il rapporto tra questi ultimi e il sindacato stato sempre complesso, labbiamo vissuto in prima persona. Oggi vanno dette due cose. La prima che un movimento tale quando ognuno si spoglia della propria identit di parte e riempie uno spazio pi ampio. E questo vuol dire che allinterno dei movimenti, com normale che sia, ci sono tante e tanti iscritti della Cgil e tante e tanti

sindacalisti, che non per forza esibiscono la spilletta. In secondo luogo, il sindacato deve porsi il problema di come organizzare una relazione costruttiva con movimenti importanti e duraturi, come quello per la casa ad esempio, cercando di fare proprie quelle battaglie e di farsi contaminare in termini di pratiche, di contenuti e di elaborazione. Una relazione virtuosa con i movimenti non si costruisce sul tema della solidariet con i movimenti, ma sulla base dei contenuti che questi pongono. I movimenti possono avere pratiche difformi dal sindacato ma condividere la stessa battaglia. Allora perch fermarsi sempre alle forme e non scendere nel profondo del merito? Perch questo avvenga, per, serve che il sindacato riscopra il primato dellautonomia sindacale. Troppo spesso la Cgil ha assunto posizioni timide non per una vera volont politica, ma per sudditanza rispetto ai meccanismi della sfera partitica. Ci vogliamo dire che le riforme degli ultimi ventanni circa lo smantellamento dellistruzione pubblica italiana non sono solo colpa di Berlusconi? E che la sinistra italiana, per tatticismo o convenienza, ha svenduto quellidea per cui i saperi, la conoscenza, la cultura e la ricerca sono oggi beni imprescindibili? Negli ultimi anni, anche quando ha governato il centrosinistra, ho solo visto passi indietro. Questi meccanismi, per quanto mi riguarda, sono cose del secolo scorso. Di Vittorio sedeva al comitato centrale del Pci, ma non mi pare che oggi quella situazione esista ancora, e perci oggi, allo stesso modo in cui decido se firmare o no un contratto, voglio decidere in massima autonomia anche se stare o no al fianco di un determinato movimento. Iovino: Se immagino il sindacato del futuro, come diceva prima Michele, immagino i lavoratori stranieri costituirsi parte civile insieme a noi, per denunciare i caporali e le organizzazioni criminali che li sfruttano. Immagino il rapporto di fiducia che il sindacato sta costruendo con loro attraverso il sindacato di strada. Questo come primo punto, come suggestione, perch credo, per me veramente importante sottolinearlo, che in questo momento per quanto riguarda la mia categoria il futuro (e il presente) sia l. Il futuro l perch, a proposito di selezione e di quadri dirigenti, dobbiamo ritrovare un elemento di credibilit. Michele ricordava, giustamente, che il sindacato viene spesso visto come un ente burocratico, e se non si ricostruisce un elemento di fiducia con

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chi sta nei luoghi di lavoro, rischiamo di non essere pi credibili. I funzionari devono fare il proprio lavoro: proselitismo, dare ai lavoratori strumenti per difendersi e organizzarsi nei luoghi di lavoro e difendere i loro diritti. Ritrovare una funzione di strumento e non di fine del sindacato, in questa fase molto complesso, per penso sia una scelta obbligata. Sul rapporto con i movimenti: noi abbiamo vissuto anche fasi in cui la Cgil ha avuto un ruolo molto importante, ma questo successo anche perch il sindacato in alcuni casi, come il movimento dei movimenti, ha avuto la capacit di fare autocritica. La Cgil come confederazione non era a Genova, ma dopo i fatti di Genova fu capace di esprimere una riflessione autocritica che ridefin il rapporto tra quellenorme movimento e la Cgil in tutte le sue articolazioni. Non vorrei che si ripetesse lo stesso errore, che si arrivasse con un po di ritardo, tra qualche anno, a dover fare autocritica sul rapporto con determinati movimenti. I movimenti sono uno specchio della societ, fanno emergere bisogni che fino a quel momento magari erano nascosti, sono espressioni di conflitto non convenzionali ma indicative di cosa oggi la nostra societ. Allora credo che in una dinamica costruttiva serva un rapporto tra sindacato e movimenti, nelle istanze pi che in termini di rapporti tra strutture. Insomma, per me il grande tema del rapporto costruttivo tra sindacato e movimenti non legato alla necessit di fare delle alleanze, ma soprattutto alla volont di avere letture condivise e uniniziativa politica allaltezza del mondo che cambia, di nuove istanze che spesso e volentieri il sindacato non riesce a intercettare e che si esprimono fuori dal recinto delle organizzazioni. Sono portato a pensare, anche un po per mia formazione, che in questo processo il sindacato possa solo crescere e arricchirsi. Purtroppo talvolta c un approccio un po di chiusura, una reazione conservatrice, legata allidea un po malsana che il sindacato debba solo avere la sua funzione contrattuale nel luogo di lavoro e che tutto il resto attenga alla sfera della politica. Penso invece che la storia del sindacato italiano ci insegni tuttaltro. Un tema su cui ho lavorato tanto, ad esempio, il rapporto tra sindacato e il movimento antimafia. E su questo tema ritorna la questione della credibilit, perch i casi di corruzione ci sono stati, perch c stato

qualche sindacalista che stato arrestato, ci sono stati funzionari infedeli che hanno preso le mazzette. Riconquistare una forte credibilit da questo punto di vista fondamentale per chi vuole riaffermare la funzione sociale del sindacato, che pu basarsi solo sulla ricostruzione di un rapporto di fiducia con i lavoratori. De Palma: Per me il primo punto oggi come ricostruire un movimento dei lavoratori. Il maggiore impedimento, in questo senso, la separazione tra le organizzazioni sindacali. Com possibile, oggi, in una crisi cos drammatica, una simile separazione? A mio modo di vedere, la ragione lassenza di uno stringente vincolo democratico tra organizzazioni sindacali e lavoratori. Sarebbe altrimenti impensabile che avvengano episodi come quello recente in cui Cgil, Cisl e Uil avevano stabilito insieme di fare quattro ore di sciopero, e due giorni dopo il segretario della Cisl ha dichiarato: se il governo interviene, smontiamo lo sciopero. Questa una presa in giro nei confronti dei lavoratori. chiaro che un simile episodio fa capire ai lavoratori di essere di fronte quasi a una presa in giro. Quindi serve un nuovo vincolo democratico per ricostruire un movimento dei lavoratori, che includa i precari, gli inoccupati, i disoccupati. Il secondo punto da affrontare il rapporto tra il sindacato e le giovani generazioni. Ha ragione Roberto ha ricordare la fase del G8 di Genova: dopo quel periodo il sindacato ha smesso di percorrere quella strada. E oggi purtroppo c una sostanziale incomunicabilit tra le organizzazioni sindacali confederali e qualsiasi manifestazione di conflitto in questo Paese che nasca al loro esterno. Basta guardare alla manifestazione del 12 ottobre scorso, che aveva al centro la questione della Carta costituzionale. Sia chiaro che non credo che quella manifestazione abbia segnato la nascita di un movimento, per mi risulta complicato capire come, di fronte a quello che sta succedendo, e in mancanza di qualsiasi ipotesi alternativa sul tema della difesa e dellapplicazione della Costituzione, la Cgil non ci sia stata. Ma guardiamo anche a quello che sta succedendo in Campania, nella cosiddetta Terra dei Fuochi: la nostra categoria stata presente alla manifestazione del 16 novembre scorso, ma c una sostanziale incomunicabilit tra quel movimento di popolo e la confederazione.

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Io penso che in questo momento dobbiamo stare in ogni posto in cui si muova, nella societ, unipotesi non solo di opposizione, ma di proposta in alternativa, di solidariet, di relazione, di conflitto. Altrimenti il sindacato rischia di produrre una separazione, un corto circuito definitivo con coloro che vuole rappresentare. Dinanzi a una crisi della rappresentanza politica come quella che abbiamo descritto in apertura della nostra discussione, se vogliamo tenere la porta aperta sul tema complesso di che cos la democrazia oggi in Italia, o pensiamo a una grande organizzazione di massa costituzionale che includa il rapporto tra le istituzioni democratiche e il fermento allinterno della societ, oppure il rischio che veniamo tutti fatti fuori dalle tensioni autoritarie e populistiche il presidenzialismo, da una parte, e il grillismo, dallaltra. Nel rapporto tra societ e istituzioni sono successe parecchie cose in Europa nel corso degli ultimi anni. E il problema che il grande assente, nel confronto con la troika che decide le politiche di bilancio e con la messa in competizione dei lavoratori nello scacchiere europeo, il sindacato. O il sindacato sviluppa una dinamica europea, un meccanismo di confronto europeo sulle grandi questioni, o il futuro segnato: in Francia il governo socialista ha stretto laccordo di competitivit che riduce salari e diritti tagliando fuori una delle pi grandi organizzazioni confederali, la Cgt; in Spagna, di fatto, i contratti non ci sono pi e si deroga a qualsiasi cosa, leggi comprese; in Portogallo e in Grecia la situazione ancora pi grave. In Italia, lo scenario quello che conosciamo, con il blocco dei contratti nel pubblico impiego, lAbi che disdice unilateralmente il contratto nazionale di lavoro dei dipendenti di banca, e cos via. Non pi pensabile risolvere situazioni del genere nello spazio nazionale. In occasione degli incontri dei coordinamenti europei dellauto abbiamo proposto di concordare tre riferimenti fondamentali: elementi salariali comuni in Europa, investimenti che tendano a rendere ecocompatibili le produzioni e a salvaguardare loccupazione, e un orario di lavoro uguale per tutti in Europa. Altrimenti c poco da discutere: se a un tavolo di trattativa nazionale mi batto per difendere la contrattazione e il salario, ma nel frattempo quei fattori competitivi sono ridotti in un altro paese europeo, finiamo fuori dalla dialettica reale che le

nostre controparti stanno costruendo in uno scacchiere un po pi complicato. Perch la delocalizzazione non solo in Cina o in Vietnam, ma anche e soprattutto in Europa: intere filiere produttive vengono spostate nella Repubblica Ceca, in Romania, in Polonia, in Turchia, per produrre merci rivolte al mercato europeo. Dobbiamo fare una battaglia per ottenere un sistema salariale, di orario di lavoro, di welfare, di tassazione sia per le imprese, sia per i lavoratori che abbia della caratteristiche comuni. Altrimenti possiamo cambiare tutti i governi che vogliamo, ma il pareggio di bilancio resta, e lesempio di Hollande in Francia mi sembra istruttivo.

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Escif, Valencia

Ripensare la democrazia rappresentativa tra costituito e costituente

di Alessandra Quarta

l rapporto tra forme della democrazia e Costituzione si presta a un dibattito particolarmente suggestivo, se lo si indaga alla luce del processo di crisi che lo investe. Bench si registri unampia condivisione circa la necessit di ripensare le forme classiche della democrazia rappresentativa, a fronte della inarrestabile crisi dei corpi intermedi (partiti e sindacati), il dibattito diventa pi aspro e meno ecumenico quando a salire sul banco degli imputati la Costituzione. Da questa angolatura, si scorgono due diverse prospettive. Da una parte, i tentativi di modificare la Carta appaiono tanto concreti quanto pericolosi la banalit del male, verrebbe da dire, considerate le biografie degli artefici del progetto; dallaltra, lassenza di una progettualit politica di breve e lungo periodo, su cui movimenti e associazioni possano effettuare un investimento politico ampio, individua nella difesa della Costituzione laffinit elettiva attraverso cui ricreare una condivisione su progettualit

comuni, capace quindi di tenere insieme soggettivit diverse, con lobiettivo di creare mobilitazioni ampie e partecipate. La posizione descritta, in assenza di contenuti che vadano anche oltre la dimensione costituzionale, si presta facilmente a essere etichettata come conservatorismo e percepita come difesa del costituito, in contrapposizione con quei piani di vertenze locali e conflitto che aspirano, invece, a farsi momento costituente, a rappresentare cio dinamiche politiche nuove in termini di pratiche di azione e di collocazione teorica complessiva in grado di determinare trasformazioni significative dellassetto costituzionale. Questo asserito scontro tra costituito e costituente , quindi, in realt molto pi profondo di un semplice posizionamento attorno al tema della difesa della Carta costituzionale: il merito della contesa riguarda infatti lutilit attuale dellassetto normativo disegnato nel 1948 per la tutela del lavoro, dei soggetti pi deboli, del patrimonio pubblico contro le privatizzazioni, del welfare, dei diritti della persona, in un contesto in cui le politiche neoliberiste degli ultimi anni hanno di fatto travolto quanto pur impresso nel marmo costituzionale. In altre parole, linterrogativo che parrebbe emergere se la Costituzione sia davvero dietro le nostre spalle, come dicono alcuni, oppure se essa continui a essere uno strumento utile per la costruzione di percorsi di rivendicazione. Lanalisi non affatto scontata, n tanto meno da sottovalutare. Nellultimo periodo, la contesa attorno alla Costituzione o per meglio dire attorno a cosa sia costituzionale e cosa no si particolarmente diffusa, generando una discreta confusione; al contempo, molto spesso le posizioni contrapposte non sono cos inconciliabili, se si accetta un punto di vista differente. La percezione di inutilit della Carta deve probabilmente molto allassenza dei suoi interpreti dalla partecipazione alle vertenze sociali, quelle in cui i diritti costituzionalmente tutelati sono messi quotidianamente in discussione. Lincapacit di comunicarne i contenuti e definirne i limiti ha prodotto una radicalizzazione del dibattito e ha spostato la contesa politica sul piano costituzionale. Difficile chiedere unappassionata difesa della Costituzione, che rischia presto di tradursi in uno stucchevole feticismo, se manca una capacit di interpretazione delle lotte che si muova in quel quadro di valori e sappia proporre uno scatto in avanti in termini di proposta, per tornare a quello che poi resta il problema centrale, ossia la crisi della democrazia rappresentativa.

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Ma il discorso si complica, e conviene procedere con ordine. La Costituzione, un reperto archeologico Se la nostra democrazia rappresentativa fosse un museo, la Costituzione sarebbe certamente un reperto in esposizione. Un reperto grondante passione civile e carico di rivoluzioni promesse, di novit giuridiche e sociali, ma pur sempre un reperto. Secondo chi sostiene questa interpretazione, la Costituzione stata messa allangolo da almeno tre avvenimenti. Da una parte, ladesione dellItalia allUnione Europea e la conseguente dimensione del diritto comunitario hanno notevolmente condizionato lassetto delle fonti nazionali e, per certi versi, hanno altres comportato una inversione dei valori. La nostra Carta costituzionale contiene norme che sono molto di pi di un semplice compromesso tra anime diverse dellAssemblea costituente, e il ruolo che essa riserva alla persona e al principio di solidariet senza dubbio centrale. Al contrario, a livello europeo, i dispositivi normativi si muovono attorno al principio della concorrenza e alla creazione del mercato comune, e gli sforzi che pur ci sono stati con il Trattato sul Funzionamento dellUnione Europea non hanno in realt scalfito una impostazione che permea la stessa architettura istituzionale dellUnione. Allo stesso modo, la Carta dei diritti fondamentali adottata nel 2001, che oggi ha piena efficacia essendo diventata parte integrante dei trattati europei, rappresenta un semplice catalogo di diritti, privo di una cornice di senso complessivo. Non mancano peraltro i punti di arretramento rispetto alle tradizioni costituzionali nazionali, come ad esempio accade per la definizione del diritto di propriet il quale, nella nostra Costituzione collocato allinterno dei rapporti economici e sociali e sottoposto alla funzione sociale, mentre a livello comunitario torna ad assurgere al grado di diritto fondamentale dellindividuo. Un arretramento senza dubbio problematico che, trovando buona compagnia nelle previsione della Carta Europea dei Diritti dellUomo, genera conseguenze non da poco in materia, ad esempio, di espropriazione della propriet privata e ammontare del relativo indennizzo. Altro fattore determinante in questo processo che ha reso la nostra Costituzione un reperto archeologico sarebbe la crisi dei corpi intermedi: partiti e sindacati avevano rappresentato al meglio la contesa politica in ordine allapplicazione dei diritti costituzionali, e la loro attuale condizione vegetativa certamente muta gli equilibri. In ultimo, le stesse trasformazioni del lavoro dal modello fordista

alla precariet hanno determinato un cambiamento della composizione della forza lavoro, comportando la perdita di un altro motore del cambiamento. Oltre a queste cause che potremmo definire sistemiche, gli interventi di modifica della Costituzione che ci sono stati vedi la riforma del Titolo V e la pi recente lintroduzione del principio dellequilibrio di bilancio allart. 81 hanno inciso sul testo costituzionale che, in sintesi, oggi resta il documento normativo in cima al sistema delle fonti, ma privo di qualsiasi significato emancipatorio e, in quanto tale, risulta incapace di legittimare le pratiche di conflitto sociale che siano allaltezza dellevoluzione del capitalismo. La difesa della Costituzione come applicazione Seguendo questa impostazione, viene da chiedersi cosa resti dellidea di democrazia costituzionale, di una democrazia, cio, in cui accanto alla legge si colloca la Costituzione con il compito di garantire i diritti fondamentali e i diritti politici e che, pertanto, va tutelata nella sua integrit, pena la sopravvivenza di una democrazia per sottrazione. Ci significherebbe sminuire il ruolo dei diritti nel nostro ordinamento, prestando il fianco a quanti intendano sottolineare in maniera strumentale la dimensione dei doveri, con il solo scopo di ridurre il sistema di tutele e di mercificare i diritti, retrocedendo verso una sorta di democrazia censitaria. In questo discorso, la Costituzione viene raccontata principalmente attraverso i diritti che essa tutela e che rappresentano quel catalogo minimo accresciuto dai diritti di nuova generazione (tra tutti, quello allambiente) che dovrebbe orientare le scelte di chi governa in tema di distribuzione delle risorse, soprattutto quando queste ultime sono scarse a causa della crisi economica e finanziaria. Cos la Costituzione, pi che difesa, meriterebbe di essere applicata, perch soltanto attraverso la politica i diritti non sono deboli, e portata in Europa, in termini di estensione del quadro di tutele. Attorno a questa impostazione, personalit di diversa provenienza (Stefano Rodot, Maurizio Landini, Gustavo Zagrebelsky tra i vari) hanno costruito una piattaforma, La via maestra, e convocato per il 12 ottobre 2013 una manifestazione nazionale per rivendicare lapplicazione della Carta. Uniniziativa meritoria se la si considera in prospettiva: il processo di revisione della Carta avviato dal governo Letta arriver certamente a conclusione e la necessit

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di organizzare le forze in vista di un referendum costituzionale si rivela reale. Allo stesso modo, stata offerta una vera e propria agenda politica a cartelli di gruppi organizzati e non, da tenere insieme in potenziali comitati territoriali. Parliamo di offerta di unagenda politica perch nel momento in cui attraverso la Carta costituzionale sono individuate delle priorit (lavoro, istruzione, salute, ambiente), i binari lungo cui far viaggiare un percorso politico sono ben chiari. Resta per irrisolto il nodo del mezzo che andr a percorrerli, e il punto non di poco conto. Il valore delle pratiche costituenti per ripensare la democrazia Tra il superamento della Costituzione e il discorso attorno alla sua applicazione, si collocano quei movimenti che cercano di creare momenti costituenti, trasformazioni dellassetto costituzionale attraverso prassi politiche. Il fenomeno quello delle occupazioni di teatri e spazi pubblici e privati abbandonati che, a partire dal 2011 con lesperienza romana del Teatro Valle a cui altre sono seguite, ha assunto una nuova dimensione. Infatti, va detto che la prassi delloccupazione, come modalit di rivendicazione, non costituisce certamente una novit, mentre il quadro di senso costruito ha ambizioni teoriche di pi ampio respiro rispetto al passato. Ci che si voluto far emergere lassenza di un ragionamento politico sulla distribuzione delle risorse, di una critica agli assetti proprietari, per sottolineare il divario esistente e sempre pi profondo tra proprietari e non proprietari. Tali contraddizioni rivelano linsufficienza del riconoscimento di un catalogo di diritti se a mancare sono scelte politiche che tutelino laccesso alla propriet, allistruzione, ai servizi. Far proprio il portato e il linguaggio della Costituzione stato in questo discorso un passaggio importante: ricordare che in base allart. 42 la propriet deve avere una funzione sociale rappresenta uno scudo concettuale per dare forza a pratiche che, legittime dal punto di vista delle rivendicazioni avanzate, si muovono nellambito dellillegalit. Per queste pratiche la Costituzione non alle spalle, ma uno strumento per acquisire spessore teorico, da utilizzare in senso controegemonico. Allo stesso modo, la questione non ridotta alla mera applicazione della Carta, perch a rendere scivoloso il crinale la dinamica legittimit/illegalit. Queste definizioni negative del fenomeno consentono di sostenere la capacit costituente di quelle pratiche di conflitto sociale che

sappiano inscriversi in una dimensione teorica che parta dalla persona e dai suoi diritti, in termini individuali e sovraindividuali: le disobbedienze proprietarie le pratiche, cio, che rifiutano lattuale assetto proprietario e a questo si oppongono possono avere la capacit di determinare trasformazioni significative, facendo emergere questioni scomode che altrimenti non troverebbero spazio in un sistema immobile e cristallizzato e che richiede un gesto di rottura. A guardarle con gli occhi del giurista positivo, linterrogativo che si apre quale spazio ci sia per formulare una proposta normativa che accolga le istanze di questi percorsi; a guardarle in una prospettiva pi ampia la stessa da cui siamo partiti c da chiedersi se questi fenomeni possano incidere in qualche modo sulla crisi della democrazia rappresentativa. Ancora una volta, ci si muove su un terreno difficile. I gruppi di persone che hanno dato vita a percorsi di occupazione (tutti originali e non facilmente replicabili) rappresentano dei microcosmi, comunit allinterno delle quali vengono sviluppati i temi della partecipazione politica e della rappresentanza e che rivendicano la gestione dei beni di cui si sono riappropriati. Si tratta di uno dei profili di maggiore complessit nel discorso dei beni comuni perch una volta composta la di griglia di caratteristiche attraverso cui definirli necessario individuare la comunit di riferimento, capire come essa stessa riesce ad essere inclusiva, contemplando lautonomia dellindividuo, e concepire i metodi decisionali. Il discorso evidentemente meriterebbe ben altro approfondimento, il punto ora per attiene al rapporto tra comunit e democrazia rappresentativa. Senza cadere in inutili manicheismi, queste esperienze possono essere valutate in modo positivo, come un motore di aggregazione e partecipazione, attraverso canali di impegno politico, strumentalmente utile anche in una chiave di rappresentanza. In un sistema che su questultima si basa, sarebbe infatti ingenuo ritenere di potere farne a meno, se ovviamente lobiettivo sul lungo periodo quello del cambiamento complessivo. Se cos non fosse, se questa autorappresentazione non sfociasse in un discorso pi ampio, allora i movimenti avrebbero soltanto abbaiato alla luna. In questo, bisogna trovare con pazienza che non significa mancanza di determinazione la giusta dimensione della propria azione, che in questa fase probabilmente pi efficace se ha una dimensione locale e cerca di agire sul cambiamento delle citt, ricostruendone il tessuto sociale e politico, proponendo punti chiari di governo che siano realmente inclusivi e inceppino i blocchi di potere;

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contemporaneamente, bisogna evitare la burocratizzazione e la perdita della partecipazione, senza la quale la rappresentanza non pi strumento di realizzazione collettiva ma fine di pochi. Adottando questo approccio, che ha lumilt di sparare ad un bersaglio forse poco ambizioso ma certamente pi raggiungibile, senza rinunciare ad un collante teorico efficace e robusto, si percepisce la ricostruzione della democrazia rappresentativa come unimpresa sostenibile, che non ingabbia le energie in meccanismi partitici poco penetrabili e comunque non agevolmente modificabili dallinterno. La Costituzione torna a essere quello che , il documento normativo che indica un percorso aperto di normalit democratica, da preservare mettendo a nudo tutte quelle asserite emergenze che consentono di fatto la sovversione delle regole del gioco; ma la difesa per s stessa non pu appassionare e divenire punto di avanzamento politico, rischia di blandire buoni sentimenti senza generare energia e pathos, elementi imprescindibili della partecipazione politica. Per questo, la democrazia non pu essere vissuta soltanto come procedura nel quotidiano: la qualit della vita democratica non dipende soltanto dal buon funzionamento delle istituzioni ma anche dal livello di dibattito pubblico, che oggi va interamente ricostruito con pratiche che non possono considerare il portato costituzionale come dotato di autoevidenza, dovendolo al contrario interpretare in modo strumentale per sostenere percorsi politici che sappiano sfidare il costituito, anche attraverso azioni illegali che, se compiute alla luce del sole (e in questo lesperienza del Municipio dei Beni Comuni pisano particolarmente significativa), sono idonee a farsi atti politici, diffondendo partecipazione.

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La democrazia non un pranzo di gala


Appunti su partecipazione e rappresentanza
di Rocco Albanese

artecipazione, rappresentanza, istituzioni. Attorno al senso profondo di queste tre parole deve articolarsi quella che si pu definire la pi importante sfida che tutti noi abbiamo davanti. Pi importante della crisi economico-finanziaria e anche della questione ecologica. Una sfida che investe sia gli angoli, apparentemente familiari, dei quartieri che abitiamo, sia le vertigini che lo spazio pubblico europeo o globale potrebbe provocare. Il triangolo partecipazione-rappresentanza-istituzioni crea la principale sfida di civilt oggi in campo, perch mette in discussione i nostri modi di con-vivere nella dimensione pubblica: riguarda i metodi della vita individuale e sociale e, dunque, la possibilit di costruire le condizioni per uscire davvero dalle crisi che viviamo, inaugurando una nuova epoca.

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Sarebbe quasi superfluo dare conto dellagonia, drammatica e a ogni livello, di tutte le istituzioni politiche e sociali. La fiducia degli italiani nel Parlamento e nei partiti ben sotto il 10 per cento, un dato confermato in modo inquietante dal tasso di astensione registrato in tutte le pi recenti tornate elettorali. Durante il suo Tsunami Tour, Beppe Grillo ha potuto urlare che i sindacati dovrebbero essere aboliti. Le politiche economiche dei Paesi dellEuropa mediterranea sono decise dalla troika, vale a dire da soggetti privi di legittimazione popolare che operano al di fuori di qualsiasi minima procedura di garanzia costituzionale. La funzione di governo nel nostro Paese si ormai risolta nel nauseante spettacolo delle larghe intese, creato e garantito dal Presidente Napolitano. Lo stesso Re Giorgio, secondo Ilvo Diamanti1, ispira fiducia ormai solo al 50 per cento degli italiani, e con la sua dubbia condotta istituzionale che il vuoto della politica non dovrebbe in alcun modo giustificare somiglia sempre pi a quel giocatore dazzardo che, non accorgendosi del proprio accanimento, concluder la serata rovinato. Sentiamo, insomma, ripetere praticamente in ogni dove che la rappresentanza morta una diagnosi non solo profondamente sbagliata, ma anche gravemente pericolosa. La rappresentanza, infatti, una componente strutturale dei gruppi umani, e ha una dimensione che si potrebbe definire antropologica. Per spiegare una simile lettura del fenomeno-rappresentanza, baster pensare che quando ascoltiamo parlare una persona e condividiamo pienamente quanto affermato, ci limitiamo a tacere e annuire: questo silenzio significa che qualcuno sta dando forma alle nostre idee, le sta rappresentando. Il punto, allora, non la fine della rappresentanza. Il problema che abbiamo riguarda, invece, la fine della rappresentativit: oggi quasi non esistono, nella societ e nel panorama politico, luoghi e istituzioni in grado di farci identificare in essi, di farci sentire parte di qualcosa. Una simile situazione si concretizza in diverse epifanie: oltre a quelle descritte sopra, altre vicende particolarmente simboliche sono la personalizzazione della politica, la compiuta trasformazione della nostra vita pubblica in quella che Bobbio definiva democrazia dellapplauso (tutta fatta di marketing politico, primarie e periodiche liturgie elettorali) o, ancora, il fatto che un personaggio come Matteo Renzi possa essere seriamente considerato lalfiere della nuova sinistra.
1 I. Diamanti, LItalia degli spaesati, La Repubblica, 11 novembre 2013, http://goo. gl/7cyim7.

In altri termini, occorre riconoscere che le istituzioni, cos come i partiti e in buona misura i sindacati, non appaiono oggi davvero compatibili con lobiettivo di promuovere la democrazia. Una significativa radice di tale incompatibilit pu essere rintracciata nelle due varianti di significato che ha la parola potere: non solo un sostantivo, ma anche e soprattutto un verbo. Per quanto riguarda il potere-sostantivo, appena il caso di ricordare ancora a quale livello di autoreferenzialit siano giunti i partiti politici: anche al di l del solito riferimento allart. 49 della Costituzione2, chiunque abbia esperienze di attivismo politico e sociale potr testimoniare dello squallore della vita interna ai soggetti partitici, specialmente in fase congressuale. Praticamente privi di un pensiero forte e di una visione sociale ed economica di lungo periodo, i partiti si sono ridotti a carrozzoni elettorali, a contenitori contendibili da correnti e leader, a luoghi claustrofobici nei quali il cinismo diventa brodo di coltura anche per la corruzione (cos moltiplicando il risentimento e le interpretazioni pi sterili della polemica anti-kasta). Giulio Andreotti, in questo senso, non seppe guardare al di l del proprio tempo quando afferm che il potere logora chi non ce lha. A forza di rincorrere un potere del tutto vuoto e fine a se stesso, quando non esercitato in modo clientelare, anche le organizzazioni politiche si stanno logorando sino a scomparire: viene da domandarsi ad esempio, pensando alle scelte di fondo compiute dal PD negli ultimi tre anni, quale sia oggi la funzione storica e sociale di quel partito. Guardando alla gestione del potere-sostantivo, siamo quindi di fronte al frutto marcio dellautonomia del politico. Si potuti arrivare a questo punto perch quellautonomia, forse sensata in altri contesti storici e sociali, diventata una separazione che ha portato, da un lato, il politico a essere scavalcato da nuovi sovrani (tecnocrazia, troika, narrazione dellemergenza), dallaltro le istituzioni e i partiti a eliminare dal proprio DNA il loro carattere di strumenti per la cura e la promozione della qualit della vita e dei processi democratici. Peraltro, istituzioni e partiti non solo appaiono sempre pi deboli e meno credibili, ma attivano anche reazioni difensive che innescano circoli viziosi e aggravano la loro crisi di legittimit: ogni movimento sociale che si sviluppa sui territori trattato come una controparte e una mera questione di ordine pubblico; ogni forma di dissenso marginalizzata e definita
2 Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

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irresponsabile, in nome di un pilota automatico3 che non ammette alternative. Nellattuale quadro di crisi, si assiste dunque al paradosso per cui i luoghi deputati a rappresentare la collettivit sono svuotati di senso, oppure lavorano quotidianamente per smantellare la collettivit stessa. Un simile paradosso si sviluppa in un contesto che tutti noi viviamo sulla nostra pelle: precarizzazione del lavoro e della vita e accentramento in senso autoritario dei meccanismi decisionali. Chi detiene il potere-sostantivo ripete quotidianamente che loro stanno lavorando per il nostro bene, che si intravede la luce in fondo al tunnel e che dunque non possibile criticarli proprio adesso che i sacrifici iniziano a dare i propri frutti. Ma il problema sta precisamente in questo: nel fatto che una simile logica nega in radice opzioni democratiche di vita e di decisione; nega, cio, lesistenza di quei processi complessi che permettono alle persone, singole e associate, di definire e perseguire il bene comune nel modo pi autonomo possibile. E ci anche a prescindere dal fatto che tutte le scelte italiane ed europee di politica economica, negli ultimi cinque anni, sono state scellerate e (davvero) irresponsabili per la maggior parte degli economisti (anche mainstream) del mondo. In breve, si pu affermare scoprendo lacqua calda che il discorso pubblico italiano ed europeo oggi caratterizzato da modi di gestione del potere-sostantivo che legano pericolosamente la violenza dellideologia neoliberista a unaltra forma di violenza, quella del paternalismo. Questa combinazione che ha generato negli ultimi trentanni interazioni complesse sul piano politico, mediatico, culturale ed economico sta purtroppo portando a compimento la distruzione di un patrimonio delicatissimo e difficilmente rinnovabile, vale a dire di quel legame sociale che precondizione di esistenza delle stesse democrazie. La situazione appare, onestamente, tanto desolante quanto inquietante. Ma se cos stanno le cose, non esagerato affermare che la democrazia odierna finta, o che soffre di una malattia profonda che potrebbe sfociare in esiti imprevedibili. Il ruolo della partecipazione come cura per la democrazia comincia da questa consapevolezza e si pu esplicare a patto che la critica
3 Cos Mario Draghi durante la conferenza stampa seguita allincontro del consiglio direttivo della BCE; Elezioni, Draghi: LItalia prosegue con le riforme, c pilota automatico, Il Fatto Quotidiano, 7 marzo 2013, http://goo.gl/yh2yzg.

allattuale stato di cose sia davvero radicale, ri-costruttiva. Anche e soprattutto per la sinistra politica e sociale, niente affatto immune da meccanismi di funzionamento violenti e paternalistici. In questo senso, la cura e la riproduzione di legami sociali dovrebbero essere la prima delle priorit di ogni programma di trasformazione della realt, poich i legami sociali si reggono sulla solidariet e su una forma diffusa e concreta di potere, vale a dire il potere-verbo: poter contare; poter accedere alle informazioni; poter essere messi in condizione di discutere davvero e di concorrere alla formazione delle decisioni. Poter fare qualcosa per s e per la propria vita; poter fare qualcosa per laltro. Vale la pena di ripensare alla lungimiranza dellart. 3.2 della nostra Costituzione: compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libert e leguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e leffettiva partecipazione di tutti i lavoratori allorganizzazione politica, economica e sociale del Paese. Gi nel 1948 molto prima che Elinor Ostrom e leconomia alternativa dimostrassero il forte legame tra fruttuosit di partecipazione e cooperazione sociale, da un lato, e uguaglianza nelle condizioni materiali di vita dallaltro la norma fondamentale della Carta aveva compreso che la partecipazione effettiva costruisce uguaglianza, riproduce legami sociali e solidariet, promuove una democrazia solida. Pi precisamente, si deve dire che i Costituenti, tornando a respirare dopo linferno delle guerre e linfamia del nazifascismo, avevano individuato nella partecipazione non solo una sorta di super-diritto, sottinteso allintero programma costituzionale, ma anche da un punto di vista meno giuridico e pi sociologico un principio di integrazione di tutte le dinamiche politiche formali (cio istituzionali e rappresentative) ed informali. per questo che la Repubblica, nella sua completezza e complessit, assume il compito di mettere tutti in condizione di partecipare: il che significa, in concreto, lavorare in modo rigoroso e costante sullampiezza e sulla funzione della delega politica, sulla creazione di meccanismi giuridici e istituzionali innovativi, sulla diffusione delle informazioni, sul rapporto tra tempi di vita e tempi di lavoro delle persone. Gli investimenti del Consiglio dEuropa sulla responsabilit sociale condivisa e sulla cosiddetta metodologia SPIRAL4; le rivendicazioni
4 Societal Progress Indicators for the Responsibility of All, wikispiral.org.

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per una vera legge sulla rappresentanza sindacale e per i diritti di partecipazione dei lavoratori; la richiesta di un reddito minimo per sottrarsi ai ricatti della precariet e dellesclusione sociale; i bilanci partecipativi nei Comuni5; il diritto alla partecipazione accolto nello statuto dellazienda Acqua Bene Comune Napoli; lesistenza della Fondazione Teatro Valle e le lotte che ruotano attorno ad accesso e gestione dei beni comuni; le battaglie per il diritto allo studio, la ripubblicizzazione dei saperi e la democrazia negli atenei; i mille percorsi riguardanti il diritto a concorrere nelle decisioni sul futuro delle citt e dei territori, dalla vicenda pisana dellEx Colorificio al Piemonte che mette in discussione il TAV e si oppone alla privatizzazione del trasporto pubblico, dalla campagna del WWF RiutilizziAmo lItalia6 alla mobilitazione campana della Terra dei Fuochi; lausterit messa in discussione dalla crisi di legittimazione delle istituzioni e dalla tensione tra rappresentanza e democrazia diretta: come testimonia questa carrellata di esempi, oggi la partecipazione costituisce il collante di tutte le lotte pi avanzate per unuscita dalla crisi che sia diversa, possibile, concreta e necessaria. Con Marianella Sclavi, come se ci fossero due Italie, una al momento ancora parecchio contro-corrente che sta sperimentando queste pratiche di radicale ridefinizione del fare politica e ci riesce in modo eccellente, mettendo a frutto quelle famose doti di creativit e cura del prodotto finale che ci vengono riconosciute a livello mondiale per settori come la moda, la gastronomia, il Design e laltra Italia al momento dominante nelle camere del potere, profondamente restia a questi discorsi, sorda, cinica nel volerli raddrizzare e percorrere. Dentro la prima Italia ci sono, fra laltro, i nuovi Master e corsi universitari che finalmente anche nel nostro paese offrono a chi lo desideri la possibilit di acquisire i saperi e competenze pratiche richieste da politiche di mediazione creativa dei conflitti e facilitazione di percorsi partecipativi (). Dentro la seconda Italia ci sta la casta e lanti-casta, i trincerati e i rottamatori, i s-Tav e i no-Tav, ovvero tutti coloro che dalla desolazione della coazione a ripetere sempre le stesse diagnosi e proposte non riescono ad uscire, come dimostra lassenza di un forte movimento per una legge analoga al Dbat Public (presente in Francia dal 2005) e lassurda discussione che pretenderebbe
5 Per il caso di Troia si veda larticolo di Giuseppe Beccia, Democrazia partecipata e pratiche di governo del territorio, in questo numero dei Quaderni Corsari a p. 88 6 http://goo.gl/YJjlPJ.

di restituire trasparenza e inclusivit alla politica facendo leva su meccanismi elettorali () invece che su meccanismi di democrazia deliberativa, cio su come dare voce in capitolo ai cittadini non solo e non tanto nel momento del voto, ma nelle decisioni nel corso dei mandati e delle legislature7. Se si vuole accettare davvero la riflessione per cui la crisi anche unopportunit, bisogna scegliere una delle due Italie. Scegliere insomma con concretezza, e senza ingrossare il fiume dei proclami roboanti, da che parte stare. A tal proposito, la totale inadeguatezza dellattuale panorama politico italiano rende il centro-sinistra un aggeggio incomprensibile, culturalmente subalterno e senza futuro, quando non politicista e dannoso. Anche la sinistra, allora, pu forse ritrovare se stessa abbandonando paternalismo e smanie di potere, e abbracciando con un pizzico dincoscienza unetica quotidiana della partecipazione. necessario, in ultima analisi, avviare una stagione complessa di trasformazione, che metta in discussione le stesse identit dei singoli e dei soggetti collettivi allo scopo di liberarci del neoliberismo e di riconquistare la democrazia: a patto che questultima sia davvero intesa come una faccenda di vita, e non come una messinscena estetica. Ci vuol tempo e nessuno dice che sia facile: ma daltronde, si tratta di navigare in mare aperto e senza possedere davvero una bussola.

7 M. P. B. Sclavi, La sindrome dellarto fantasma. I ritardi della sinistra in materia di democrazia partecipativa, in Italianieuropei, ottobre 2012, http://goo.gl/ vQtlSF.

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Mohamed Hanchi - Tunisia

Democrazia partecipata e pratiche di governo del territorio

di Giuseppe Beccia

na cosa certa: in Italia la democrazia rappresentativa non funziona pi. E questa, si potrebbe dire, non certo una novit. Il punto che lo scollamento tra rappresentanti e rappresentati aumenta esponenzialmente e molti indicatori sono l a provarlo. C stata, forse, unepoca nella quale la democrazia rappresentativa riusciva efficacemente a interpretare i bisogni della societ e a farsene carico. Questo succedeva grazie anche a un articolato sistema di corpi intermedi che metteva in connessione lindividuo con il suo rappresentante istituzionale. Oggi la rete capillare di partecipazione e intermediazione politica che esisteva un tempo non c pi. La partecipazione politica si ridotta a un fatto effimero, si organizza per le competizioni elettorali e poi scompare. in atto, da anni ormai, una netta virata del sistema politico italiano verso il modello del caucus americano, ovvero grandi macchine di organizzazione del consenso che si mettono in moto per le elezioni e funzionano come grandi imprese del voto: orientano le proprie scelte politiche sui sondaggi, puntano tutto sulla comunicazione, sul branding e sul marketing, intercettano

linteresse e il consenso dellelettore utilizzando le pi moderne tecniche commerciali. In altre parole, vendono prodotti. La politica, in questo modo, smette di essere lo spazio del confronto tra diverse idee di societ e modelli di sviluppo, per diventare un supermercato dove la proposta politico-commerciale il risultato di precisi calcoli di convenienza nella raccolta del consenso. Questo fenomeno si accompagna a quello della personalizzazione della politica: si punta tutto su leader mediatici, su comunicatori in grado di venderemeglio il prodotto. Spariscono del tutto i corpi intermedi. In questo contesto, i cittadini non hanno pi occasioni n strumenti per incidere sulle scelte politiche, per avanzare le proprie istanze, per esercitare i propri diritti democratici. La partecipazione politica, in sostanza, si riduce al voto. Poi non c quasi nulla, non ci sono vere occasioni di partecipazione, non ci sono strumenti per esercitare la sovranit. La politica rappresentativa, insomma, in crisi. La democrazia basata sulla delega in crisi. A dimostrarlo sono sia laltissimo dato dellastensionismo galoppante, sia il voto a forze politiche che promettono di puntare tutto sulle nuove frontiere della democrazia diretta, sui referendum on line e su altre forme di condivisione tra eletti ed elettori. un segnale, i cittadini sentono il bisogno di riappropriarsi del potere di scegliere e premiano chi si adopera in questa direzione. Per la verit, la democrazia diretta portata avanti a suon di referendum on line, al di l delle apparenze, comporta in s un rischio drammatico: quello di determinare lagire politico sulla base di continui e oscillanti sondaggi di opinione senza, di fatto, adoperarsi per costruire dei modelli di societ. Insomma, la deriva della democrazia diretta potrebbe essere proprio quella dei caucus americani. Non detto, tuttavia, che questo stato di crisi della democrazia sia necessariamente un male. I momenti di crisi possono essere anche delle grandi opportunit per produrre cambiamenti, sono i momenti ideali per innovare. A patto, chiaramente, di saper cogliere gli elementi determinanti della crisi e saper cambiare la rotta scegliendo nuove strade. In questo contesto, la frontiera che potrebbe salvarci quella della democrazia partecipativa, pensata come un sistema articolato di assemblee, raccolta di proposte, istanze e votazioni che metta i cittadini nelle condizioni non solo di scegliere, decidere e riappropriarsi di pezzi di sovranit ma anche di crescere insieme come democrazia, di approfondire, di confrontarsi. E tutto questo, chiaramente, non pu avvenire attraverso un sondaggio on line, se non con molti limiti. Le tecniche

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della democrazia partecipativa dovrebbero diventare innanzitutto un patrimonio di ci che resta dei corpi intermedi, dovrebbero rappresentare il grimaldello che restituisce senso e sostanza ai corpi intermedi. Dovrebbero, in altre parole, caratterizzare un rilancio di partiti, sindacati e associazioni di categoria, diventati troppo spesso spazi autoreferenziali, privi di democrazia sostanziale. E poi, chiaramente, la democrazia partecipativa va sperimentata a livello territoriale, nella vita delle comunit locali. Quanto realizzato a Troia, comune di settemila abitanti in provincia di Foggia, stato uno degli esperimenti pi classici della democrazia partecipativa: il bilancio partecipativo. Un progetto ambizioso, durato ben 18 mesi, grazie al quale i cittadini hanno potuto decidere direttamente come utilizzare una parte del bilancio comunale, ovvero 100 mila euro, attraverso un articolato sistema di assemblee, raccolta di proposte e votazioni. Troia stata la prima citt pugliese a praticare il bilancio partecipativo, e forse lunica in Italia a farlo non su spinta di unamministrazione, ma su proposta di una vasta schiera di associazioni, movimenti e partiti. Lidea partita infatti da un gruppo di organizzazioni e liberi cittadini, convinti che la politica non possa ridursi soltanto a un evento elettorale, ma debba essere responsabilit quotidiana non solo di ogni amministratore pubblico, ma anche di ogni elettrice ed elettore. Questo gruppo di persone ha provato a trasmettere un messaggio: una democrazia matura non pu limitarsi ad interpellare i cittadini soltanto nel momento del voto, una volta ogni cinque anni, ma deve invece farlo costantemente per conoscere i problemi, le priorit, le idee e le proposte per una citt migliore. Tutto cominciato nel novembre del 2011, con un appello che invitava lamministrazione comunale a praticare il bilancio partecipativo seguendo lesempio di altri enti in tutta Italia. Lappello ha raccolto ladesione di 16 realt tra partiti, movimenti e associazioni, ovvero pi del 90 per cento di ci che si muove sul piano politico e culturale sul territorio. Lamministrazione comunale, in una prima fase, pur guardando alliniziativa con incertezza e diffidenza, non ha sbattuto la porta in faccia ai promotori, ma ha preso tempo, chiedendo di presentare un progetto articolato, con una definizione delle fasi, dei tempi e dei ruoli. Hanno cos avuto inizio cinque lunghi mesi di incontri tra i vari soggetti promotori. Cinque mesi difficili, forse i pi difficili, perch bisognava definire insieme le regole di questa esperienza di bilancio partecipativo: non esistono infatti formule standard,

ma ogni comune adotta regole e strumenti diversi. Cinque mesi di studio su esperienze analoghe e di confronto serrato, settimana dopo settimana, con riunioni itineranti per coinvolgere anche fisicamente tutti gli spazi dei soggetti promotori e fare in modo che tutti si sentissero a pieno titolo coinvolti. Alla fine, si scelto di praticare il modello Colorno, un comune della provincia di Parma che fa parte dellAssociazione dei Comuni virtuosi1 e che pratica da tempo il bilancio partecipativo. Era lesperienza pi difficile da praticare, ma si deciso di adottarla e declinarla a livello locale perch era anche quella che somigliava di pi alla realt di Troia. Questo modello prevede la realizzazione di assemblee di quartiere e poi di assemblee cittadine alle quali possono partecipare tutti i cittadini che vogliano avanzare idee e proposte. A differenza di questo modello, nellesperienza di Capannori, in provincia di Lucca, per esempio, alla discussione partecipa solo un gruppo rappresentativo di 80 residenti (uomini, donne, anziani, migranti) su 40 mila abitanti. Il progetto troiano stato articolato in sei fasi distinte. La prima (giugno-settembre 2012) stata la fase informativa nel corso della quale i cittadini sono stati messi al corrente del progetto attraverso tutti gli strumenti possibili: dalle assemblee in piazza, ai gazebo, dai bollettini comunali a manifesti e flyer. La fase due, invece, stata quella propositiva, ovvero quella delle assemblee e della raccolta delle proposte: partita nel settembre del 2012, con due cicli di incontri, prima nei quattro quartieri e poi in assemblee cittadine. Nelle assemblee si provato a sperimentare sin da subito le pratiche partecipative: piccoli gruppi di lavoro elaboravano proposte e idee progettuali, le condividevano in plenaria, le proposte venivano poi ridiscusse ed accorpate con quelle simili, fino ad arrivare ad una sintesi. Ogni assemblea aveva un facilitatore, con lobiettivo di far rispettare le poche regole condivise a inizio discussione (per esempio, la durata degli interventi, che non dovevano superare i tre minuti) e un rapporteur con il compito di fare la sintesi condivisa delle proposte su grandi tabelloni e poi scrivere il report dellassemblea, che, di fatto, era gi preparato in diretta, in modo che nessuno potesse interpretare gli esiti della discussione. Le idee progettuali dei cittadini sono state raccolte in tre categorie: opere pubbliche; servizi al cittadino, progetti. Non ci si peraltro limitati a raccogliere le proposte durante le assemblee cittadine: dopo aver tenuto sette assemblee, sono stati distribuiti 14 box di
1 www.comunivirtuosi.org.

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raccolta delle proposte nei bar, nelle tabaccherie, nelle lavanderie, presso gli uffici comunali, e cos via. Chiunque non avesse potuto partecipare alle assemblee, recuperata lapposita scheda di raccolta proposte (pre-stampata e distribuita in tutte le case attraverso il bollettino comunale), poteva depositare la propria proposta allinterno dei box. In ultimo stato attivato anche un sistema di raccolta proposte on line attraverso un modulo dedicato sul blog del bilancio partecipativo2, per fornire uno strumento in pi a chi non aveva potuto usufruire di nessuna delle due occasioni precedenti. Insieme alle proposte, tutte rigorosamente anonime, sono state raccolte anche le domande aperte che i cittadini desideravano rivolgere allamministrazione comunale, con lassicurazione che il sindaco e la giunta avrebbero risposto a tutte, cosa effettivamente accaduta dopo qualche mese attraverso il bollettino comunale e attraverso un momento di confronto pubblico. In tutto, alla fine della fase propositiva sono pervenute circa 600 proposte, sugli argomenti pi svariati: dal verde pubblico alla viabilit, dalle politiche sociali alla cultura, dalla mobilit sostenibile alle politiche per il lavoro. A quel punto iniziata la terza fase: quella della verifica di fattibilit. Le proposte sono state sottoposte agli uffici comunali, che hanno innanzi tutto provveduto a una selezione delle proposte ammissibili e hanno scartato, invece, quelle che non riguardavano atti o servizi di competenza comunale, e quelle che prevedevano una spesa superiore ai 100 mila euro. Per ognuna delle proposte scartate, gli uffici comunali avevano il compito di motivare lesclusione, illustrando il sistema delle competenze e i costi. Si trattato, quindi, anche di una grande operazione di educazione civica. Al termine di questa prima selezione si giunti a definire una lista di circa 200 proposte. Dopo un ulteriore accorpamento delle idee tra loro simili, sono rimaste 58 proposte giudicate fattibili. Si cercato di produrre proposte accorpate dal valore complessivo di circa 100 mila euro, in modo da rendere pi semplice la fase del voto. Ciascun cittadino, cos, avrebbe potuto votare una sola proposta da 100 mila euro che raccoglieva, spesso, pi proposte dello stesso tipo. Per esempio, molti cittadini hanno proposto la risistemazione di marciapiedi, ma ciascun cittadino lha proposto per una strada diversa, e alla fine si prodotta una proposta unica di risistemazione marciapiedi che ne raccoglieva diverse. Le 58 proposte cos accorpate sono andate a costituire, alla fine di questa fase, ununica scheda elettorale da sottoporre al voto dei cittadini.
2 bilanciopartecipativotroja.blogspot.it.

Terminata la fase della verifica di fattibilit, ha avuto inizio la quarta fase, quella della campagna elettorale e del voto. Il 18 maggio 2013, con uniniziativa pubblica di presentazione delle proposte e della scheda elettorale, si aperta ufficialmente la campagna elettorale. Molti cittadini a quel punto hanno iniziato a promuovere la propria proposta, o si sono mobilitati per quella che ritenevano pi valida. Si votato dall1 al 30 giugno, in modo da avere il risultato in tempo per lapprovazione del bilancio di previsione scadenza poi slittata al 30 settembre e, successivamente, al 30 novembre. Le procedure elettorali sono state gestite dallufficio elettorale del Comune di Troia, con qualche novit: rispetto alle elezioni politiche e amministrative, il voto stato aperto anche a tutti i sedicenni e agli immigrati residenti. Si poteva votare ogni giorno presso il municipio, mentre nei fine settimana sono stati allestiti seggi itineranti, con gazebo in giro per la citt. Alla fine hanno votato circa mille persone, ovvero, considerando la media degli elettori in occasione delle scadenze elettorali, un elettore su quattro: molto pi delle migliori aspettative dei promotori e molto pi della media dei votanti delle altre esperienze di bilancio partecipativo. Dal conteggio sono risultate, per la precisione, 995 schede votate di cui 983 voti validi. Dallanagrafe dei votanti risulta che, dei 995 cittadini che hanno votato, 498 sono uomini e 497 sono donne: una quasi perfetta parit di genere. Al termine dello spoglio ha vinto, con 173 voti, la proposta n. 4: creazione parchi per bambini in zona La Fiorita e in piazza Giovanni Paolo II. Ha prevalso, dunque, lidea di creare dei luoghi di verde pubblico e socialit nella zona di recente costruzione nel quartiere S. Secondino. Seconda proposta maggiormente suffragata stata la n. 57 rete Wi-Fi gratuita per tutto il paese e in tutti i locali comunali con 137 voti, risultato che testimonia positivamente quanto i giovani abbiano partecipato in gran numero alle consultazioni. A seguire, con 116 voti, la proposta n. 5, creazione Casa dellAcqua e del Latte con distributori automatici alla spina. Interessante notare come anche la proposta n. 22 sui finanziamenti per il sostegno al lavoro giovanile (es. bandi per imprenditoria giovanile) abbia totalizzato 80 voti, segno che il tema del lavoro giovanile considerato centrale tra le problematiche cittadine. Le ultime due fasi, ancora in corso, sono quelle dellinserimento della proposta vincente nel bilancio comunale lufficio tecnico gi in settembre ha avuto mandato dalla giunta di predisporre il progetto esecutivo e dellanalisi e della verifica del percorso fatto, che coincider, di fatto, con lavvio del bilancio partecipativo 2014.

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Il bilancio partecipativo stato insomma una grande occasione per ri-dare sovranit direttamente ai cittadini, affidando loro il potere di decidere. Liniziativa ha avuto una doppia valenza: da un lato, fare in modo che le idee e le proposte concrete dei cittadini potessero diventare realt; dallaltro, servita a riportare tutti alla consapevolezza che il governo della cosa pubblica appartiene a ciascun cittadino. stato un processo innovativo e sperimentale che ha consentito ai cittadini di Troia di confrontarsi sui problemi del paese, sugli interventi da realizzare e su tante altre buone pratiche da introdurre nella vita democratica della comunit. Il limite vero della democrazia partecipativa organizzativo. Fare un bilancio partecipativo per scegliere insieme come utilizzare una parte del bilancio di un ente cosa estremamente complessa e richiede tempo, pazienza, sforzi organizzativi notevoli. Si tratta peraltro di un esperimento che si pu fare a livello di comunit, in comuni piccoli e grandi (lo ha fatto anche Porto Alegre, in Brasile, che ha un milione e mezzo di abitanti), ma non fattibile a livello nazionale non con le stesse modalit di un bilancio partecipativo comunale. Si possono, tuttavia, adottare (o inventare) altri strumenti per consentire ai cittadini, o a determinati segmenti della societ, di partecipare con le proprie idee e con le proprie proposte alla definizione delle scelte politiche (consulte, convention tematiche con luso di tecniche partecipative, consultazioni on line, forum di progettazione partecipata, etc.). Si possono applicare gli strumenti della democrazia partecipativa allinterno dei meccanismi decisionali di alcune comunit politiche: partiti, sindacati, associazioni, etc. Il cammino fatto finora, comunque, insegna che il livello della comunit cittadina quello nel quale si pu mettere in pratica un cambiamento vero e sostanziale nellapproccio alla questione della democrazia e della partecipazione. una strada stretta, tortuosa e sicuramente insufficiente, ma un punto di partenza, un punto di ripartenza. Il tempo della delega, del resto, finito: oggi il tempo della partecipazione e delle scelte condivise.

Speedy Graphito

Like democracy, reti e organizzazione collettiva

di Claudio Riccio

nternet non solo uno strumento di lotta, internet un terreno di lotta, ed un terreno sul quale, ad oggi, la sconfitta di chi ambiva a una rete libera e orizzontale inconfutabile. Quello spazio reticolare partecipativo in cui sarebbe stato possibile sperimentare nuove forme di cittadinanza e partecipazione chiamato web 2.0, se mai esistito nelle forme che la retorica cyberentusiasta aveva descritto, oggi si pu dire morto o, quantomeno, incatenato. Internet oggi soprattutto uno spazio verticale e chiuso in cui grandi corporation sfruttano le nostre relazioni sociali, le nostre interazioni, la nostra produzione volontaria e gratuita di contenuti per estrarre plusvalore, mettendo al bando lanonimato, piegando la struttura stessa della rete alle esigenze del profitto. Viviamo in un mondo sempre pi ad attrito zero in cui le democrazie occidentali complici disastrose scelte politiche e un intreccio criminale tra istituzioni e mercati sono sempre pi ostaggio della finanza speculativa e di poche e grandi corporation

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che condizionano gran parte dellazione dei governi, indirizzano i processi sovranazionali e controllano in modo quasi assoluto lo spazio del world wide web. In una societ disgregata divenuta somma di solitudini, in cui si riducono gli spazi pubblici nelle citt, in cui il lavoro sempre pi frammentato e precario, in cui a causa della deindustrializzazione non esistono quasi pi i grandi luoghi di lavoro collettivo, il web diventato uno dei principali luoghi di partecipazione imprescindibile per ogni forma di attivismo. Sono molteplici i motivi della crisi della partecipazione. In questa analisi ci limitiamo a evidenziarne due, estremamente connessi tra loro: identit labili, deboli in cui diventa estremamente difficile riconoscersi, e incapacit della politica e spesso anche dei movimenti di lotta di emozionare, entusiasmare, superare i limiti imposti dalla razionalit del pensiero unico e affermare lalternativa. Senza eccessive semplificazioni possiamo infatti affermare che i movimenti di massa e le grandi esplosioni di partecipazione avvengono dinanzi a un obiettivo chiaro (immediato o di lungo periodo), quando matura un senso di appartenenza comune e se si trasmette la sensazione che il cambiamento sia possibile e che, quindi, la partecipazione sia utile e necessaria. In una fase in cui ladesione del singolo a un progetto politico labile, se non inesistente, sparisce il voto ideologico o di testimonianza e appartenenza e, con esso, vengono meno tutte le forme di partecipazione delegata, ma appassionata: se non possibile associare unidea a una categoria, a una parte, o se comunque non ci si riconosce in essa, per testimoniare la propria idea basta scriverla, diffonderla nel mondo, affermarla individualmente. Complici la crisi generale della partecipazione e, soprattutto, la struttura delle reti odierne, il potenziale di partecipazione collettiva oggi notevolmente ridimensionato, e i social network sono diventati sempre pi strumenti di sfogo individuale o di autorappresentazione in cui lunico processo collettivo rimasto su larga scala londa emotiva, imposta da notizie particolarmente rilevanti o dalle scelte di priorit dellinformazione mainstream. Non a caso Twitter, in particolare, sempre pi usato in funzione di second screen, ovvero di strumento per commentare la notizia mainstream e non, come invece pur si potrebbe, per aiutare i movimenti politici, sociali e dopinione a dettare lagenda pubblica. I grandi media, infatti, anche al tempo della rete continuano a essere fondamentali nella formazione del discorso pubblico,

perch la rete oggi uno spazio denso, con una miriade crescente di nodi, ma un numero molto ridotto di hub, in cui pesano quasi solo i grandi, quasi mai indipendenti: la rete, oggi, uno spazio verticale. La prima generazione dei mass media, erroneamente accomunata a internet, ha avuto nella televisione il suo ariete di sfondamento nella societ, svolgendo un ruolo importantissimo a partire dagli anni 80 nella trasformazione del dibattito pubblico, smantellando sistematicamente tutti i punti di riferimento culturale, livellando verso il basso lalfabetizzazione civile. Se la televisione ebbe un ruolo, specialmente nel dopoguerra, nellalfabetizzazione delle masse e nella diffusione delle lingue nazionali, successivamente ha contribuito a determinare un analfabetismo di ritorno avvelenando le fonti cui si abbeverava il pensiero critico. divenuta un potente strumento di controllo delle masse che ha agito pi promuovendo passivit che instillando e attivando forme di partecipazione e interesse per la cosa pubblica. Ben diversa e pi pericolosa lazione di internet, che ha trasformato radicalmente il tempo e il peso (specifico) del dibattito pubblico. Scrive Lovink in Ossessioni Collettive: siamo diventati utenti-operai che lavorano per lape regina Google. davvero seducente far parte del mondo della impollinazione online, riprendendo il termine coniato dalleconomista francese Yann Moulier Boutang, con miliardi di utenti che sembrano tante api che volano da un sito allaltro solo per accrescere il valore dei proprietari dellalveare1. Siamo caduti nella trappola di reti prive di scopo, divoratrici di tempo, veniamo risucchiati sempre pi in profondit in una caverna sociale senza sapere cosa stiamo cercando2. Lenorme mole di informazioni viene oggi diffusa in una quantit e a una velocit tali da rendere quasi impossibile per il cervello umano rielaborare tutti i contenuti con cui viene bombardato; proprio perch riempito a dismisura, il dibattito pubblico viene paradossalmente svuotato. un processo inflazionistico basato sul multitasking e sulla connettivit 24 ore su 24, che invade il terreno del discorso e lo fa franare, lo schiaccia. I tempi con cui si usura uninformazione, con cui questa diventa vecchia, sono sempre pi rapidi, al punto che il singolo individuo
1 G. Lovink, Ossessioni collettive. Critica dei social media, Universit Bocconi Editore, Milano 2012, cap. 2. 2 Ibid.

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ha difficolt a rielaborare e interpretare e si limita spesso alla sola reazione emotiva, mentre diventa sempre pi difficile davanti a un singolo provvedimento, atto, dichiarazione, progettare e mettere in campo una risposta collettiva costruita in modo partecipato e non imposta dallalto. Evidentemente, la crisi della democrazia e della partecipazione politica e sociale non frutto di internet, anzi; ma tale trasformazione nei processi partecipativi si innesta proprio su questo terreno, cos fluido e insidioso. Si sottovaluta spesso quanto tali nuovi processi e tempi di produzione e diffusione collettiva abbiano trasformato le possibilit di partecipazione politica, e quanto ci sia insidioso al tempo della struttura liquida e del pensiero debole. I modelli di partecipazione liquida, per, rendono pi debole chi gi debole: la favola della partecipazione liquida unarma retorica dalla parte di chi ha il potere, di chi forte, la proposta organizzativa di chi ha il potere e vuole che nessuno abbia gli strumenti per sottrarglielo. I principali social network, Facebook in modo particolare, rappresentano un modello che sintetizza, in modo complesso e non esplicito, i processi di governance globale contemporanei. un mondo in cui tutti tendono a partecipare, hanno gli strumenti per esprimere la propria posizione, ma non possono determinare un cambiamento, perch, cos come avviene nella crisi delle democrazie rappresentative, il potere altrove. Nessun processo partecipativo confinato in quello spazio pu avere uno sbocco concreto, ma tutti vivono nella convinzione di partecipare: lestetica della partecipazione. Sembra paradossale, ma lattuale struttura del web 2.0 non ha nulla di partecipativo, se non i meccanismi con cui viene prodotto plusvalore, accumulando nelle mani di pochi enormi quantit di informazioni. I social network nella loro attuale forma, piegata agli interessi economici delle corporation proprietarie, sono tuttaltro che social: essi amplificano solitudini. La maggior parte dei contenuti prodotti sulle piattaforme come Facebook vengono visualizzati solo da cerchie ristrette di contatti, tendenzialmente omogenei, come gi avveniva nella blogsfera. Su Twitter la maggior parte degli utenti ha un numero di followers cos basso da ritrovarsi inconsapevolmente nella situazione di scrivere da solo restando convinto di comunicare al mondo intero. Sui social network contemporanei, inoltre, non esiste lo spazio del dissenso. Com noto, su Facebook non esiste il tasto non mi piace, e le opzioni per esprimere un parere sono prevalentemente

due: like o ignorare, ovvero votare s o astenersi. Al massimo possibile commentare, purch non ci si dilunghi in considerazioni articolate; pi efficace lo hate speech, la battuta superficiale o polemica. la like democracy: il modello del pensiero unico che si afferma. Ma nellevidenziare tale situazione si vuole tuttaltro che assumere un approccio cyberscettico o pseudoluddista: dobbiamo essere consapevoli che internet una macchina e, in quanto prodotto sociale, legata in un rapporto biunivoco con il mondo e ne riflette i rapporti di forza nella societ, nei processi produttivi, nelle relazioni sociali e nella governance globale. Il web ha in s tanto la potenzialit di renderci pi liberi, quanto la possibilit di ridurre gli spazi di partecipazione, di essere strumento al servizio dei conflitti o di anestetizzarli e disinnescarli. Lesito di questa lotta interna al terreno delle reti incerto e, nonostante la sproporzione di forze, dipender dalla capacit, tecnica ma soprattutto politica, di trasformare i social network in reti sociali, piegare le reti, rendendole orizzontali e distribuite, organizzando lazione collettiva e ricostruendo reti e socialit nelle citt, nei luoghi di lavoro e studio, negli spazi pubblici e comuni, sulla rete, contrapponendo alla a-conflittuale like democracy una link democracy, non pacificata e atrofizzata, basata sulla cooperazione, lazione collettiva e il discorso pubblico, orizzontale.

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EpS, Beirut

Decostruire i falsi miti della rete, coglierne le opportunit


Intervista a Eugenio Iorio
di Claudio Riccio

ggi sembra che nessuna discussione sulle forme di partecipazione possa prescindere dalla rete, ma resta oggettivamente di basso livello sia il dibattito su larga scala sia, spesso, quello tra gli addetti ai lavori: si discute molto di profili tecnici e degli usi possibili di interne, ma raramente si analizza la struttura del web. Proviamo a smontare alcuni miti insieme a Eugenio Iorio, Ceo di Imaginifica1, presidente del comitato scientifico del Centro Studi Democrazie Digitali2, docente presso lUniversit Suor Orsola Benincasa di Napoli,
1 http://www.imaginifica.com 2 http://goo.gl/2QLkwq

da tempo attento al dibattito anche internazionale sulle potenzialit della rete e le sue insidie. Cominciamo con il chiedere: la rete democratica? Promuove o riduce la partecipazione? un ambiente neutro? Il web 2.0 non ha assolutamente democratizzato la rete: ha solo creato delle false illusioni, minando consapevolezza e soggettivit, mutando le forme della politica, che sempre pi di rado viene inquadrata come processo fondato su una logica di conflitto tra le parti, come rapporto tra tesi, antitesi e sintesi. Non aumentata la partecipazione ai processi politici, come dimostra il fenomeno del Movimento 5 Stelle, che nulla ha di democratico e tanto meno ha dato vita a nuove procedure di partecipazione dal basso, ma piuttosto rappresenta un modello totalmente autoritario, top-down, con forti processi di fidelizzazione basati sul leader e propagati dal leader, a cui rispondono coloro che si riconoscono in un brand di tipo commerciale, in un simbolismo da trib. Se oggi la rete non democratica dobbiamo per chiederci se possibile che lo sia. possibile costruire delle identit di progetto, come le definisce Manuel Castells, che tendano a innovare la democrazia sulla rete? Le reti, i sistemi di comunicazione, sempre pi trasformati dalle logiche di mercato e da dimensioni di controllo legate alleconomic warfare, sono uno spazio in cui i grandi top player (Google, Facebook, Apple, Microsoft...) hanno come unica finalit lutilizzo degli utenti come bacini di consumatori per i propri servizi. Io non credo che la rete sia neutra, e questo sulla base di un concetto molto semplice, esposto anche da McLuhan, Lovink, Formenti: non come usiamo la rete a determinare lidentit di quel che facciamo. Lidentit di progetto della rete invece determinata dagli over the top, ovvero dai proprietari dei protocolli di funzionamento, che costruiscono un limite gnoseologico della conoscenza, un dominio sui saperi che mira al dumping down, ovvero alla tendenza che spinge lutente ad utilizzare e accettare frame semplificati e riduzioni semplicistiche della realt. Viviamo, come sostengono alcuni, un rincoglionimento di massa? Sicuramente Google e Facebook ci hanno imposto logiche di influenza e di dominio impressionanti. Basti pensare al fatto che la realt ci viene rappresentata dai primi link che appaiono in una

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ricerca e che tendiamo a classificare gli eventi della nostra vita secondo la logica binaria del mi piace/non mi piace. Possiamo sicuramente dire che siamo bloccati in queste logiche. Noi pensiamo che le nostre relazioni sulla rete, le nostre ricerche, i nostri scambi, quel che leggiamo e scriviamo possano restituire informazioni sulla realt che ci circonda, ma evidentemente non cos. Gli over the top hanno generato non solo un sistema di influenza che ha cambiato la nostra soggettivit, rendendola sempre pi esasperata, sempre pi individualistica; leffetto pi rilevante del ruolo di Google, Facebook e altri il dumping down, una gabbia gnoseologica delle conoscenze dellutente, il quale si concentra su forme esasperate di self marketing, di autopromozione, sempre pi impegnato a raccontare fatti che spesso non interessano a nessuno, diventando sempre pi sociopatico, vivendo una routine basata sulla solitudine e su relazioni false, solo percepite, trascorrendo ore in un ambiente sottoposto a controllo e subendo forme elevatissime di influenza da parte dei proprietari di quella gabbia. Come un file compromesso, noi apprendiamo la realt in un processo cognitivo in cui il framing (ovvero lincorniciatura dei fatti) totalmente condizionato non solo dal potere di priming3 e di indexing, ma soprattutto dalla codifica sofisticata dei meme informazionali, progettati come virus per diffondersi nella rete, modificandone limmaginario e provocando il fail di sistema nelle persone comuni. Rispetto agli anni 90 i movimenti hanno subto un notevole arretramento sul terreno delle culture digitali e delle competenze tecniche. Se allepoca chi sperimentava gli usi alternativi e innovativi della rete spesso lo faceva contribuendo a una causa collettiva, oggi la stessa tipologia di persone ambisce piuttosto ad essere assunta dalle grandi corporation, a vendere loro un proprio prodotto, a realizzare una startup di successo. Cosa accaduto? Negli anni 90 grande fu linfluenza sulle controculture di Deleuze e Guattari per i concetti di rizoma, schizofrenia e caosmosi, di Foucault per la sua analisi sui sistemi di controllo e sul concetto
3 In psicologia, il priming un effetto per il quale lesposizione a uno stimolo influenza la risposta a stimoli successivi. Si veda http://goo.gl/d6sFlp.

di biopolitica, di Pierre Levy sullintelligenza collettiva connotata di cyberottimismo, o ancora di Hakim Bey per il concetto di zona temporaneamente autonoma. Forte era lidea che si dovessero creare connessioni perch non ci fossero domini nel controllo dei saperi. Lutopia di costruire nuovi meccanismi di regolazione del mercato non risolveva la questione fondamentale, tant che negli anni 2000 il mercato ha iniziato a fagocitare tutta la produzione di pensiero critico su internet, a sfruttare la produzione di contenuti dal basso. Nel momento in cui viene fagocitata anche una cultura libertaria che spesso non era neppure anticapitalista come quella prevalente delle cyberculture degli anni 90, lesito un approccio anarcoindividualista, che accetta il ruolo dominante del mercato nelle reti ed espelle il conflitto. Conflitto che invece sangue, forma vitale e necessaria della politica, necessaria per mettere in discussione la grammatica egemone e dominante. Ma possibile mettere in discussione la grammatica culturale egemone con gli strumenti prodotti dal potere egemone? O gli strumenti prodotti dalle grammatiche culturali dominanti, la loro forma e i relativi obiettivi sembrano piuttosto progettati per impedirne un uso finalizzato a sovvertire il potere egemone? La tecnologia si pu usare ancora per mettere in discussione la grammatica culturale egemone, ma solo in modalit tattica. Negli anni 90 non eravamo cyberottimisti sulle libert in rete, sapevamo che tutti gli strumenti di comunicazione possono essere sottoposti a controllo, sottomessi al potere. Eravamo invece ottimisti sullimpossibilit effettiva di ingabbiare il sapere, che per sua natura non tollera il dominio. Al netto dellattuale situazione e del fatto che la rete non mai neutra, possibile usare una tecnologia meno condizionata da forme di controllo attraverso strumenti come i tools del tor project4, Diaspora5, e cos via, che permettono di avere relazioni in pieno anonimato e costruire interstizi vitali liberi da controllo. Ma tutto questo non basta.
4 Tor (The Onion Router) un sistema di comunicazione anonima per internet, che protegge gli utenti dallanalisi del traffico. Si veda http://goo.gl/UN87kg. 5 Diaspora un personal web server costituito da software libero che implementa una rete sociale distribuita che offre funzionalit simili a quelle di Facebook. Si veda http://goo.gl/AyQgoN.

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Serve anche organizzare un uso consapevole degli strumenti di massa e tramandare memoria, pensiero critico, strumenti. Serve consapevolezza: il frameset con cui ragioniamo e interpretiamo il mondo basato oggi su un algoritmo proprietario, attraverso cui la realt costruita dai primi link indicizzati nelle ricerche di Google, che detiene quindi il potere di decidere quale sia la verit oggettiva e di modificare la memoria individuale e collettiva; entrambi strumenti necessari per la convivenza civile, la democrazia e la proiezione del futuro. Citavi la questione della memoria, oggi, dicevi, messa a dura prova non solo dal processo con cui si formano i contenuti, ma anche dal fattore tempo. La velocit delle comunicazioni, dei tempi di reazione a grandissime quantit di informazioni, i tempi con cui una notizia o un evento si consuma mettono in moto un processo che trasforma il pensiero, accentua il dato emozionale e lo rende meno profondo e articolato. Quanto incide, questo, sulle possibilit di reagire in maniera organizzata e consapevole a un evento, a una scelta politica presa rapidamente e che altrettanto rapidamente invecchia e diventa obsoleta? E quanto incide sulla democrazia che, come sappiamo, si basa sulla memoria collettiva? Bisogna partire dal funzionamento delle reti. Barabasi ci insegna che le reti devono tenere conto di tre elementi fondamentali: la grandezza del network, la capacit di amplificazione e la capacit del reach, ovvero di far arrivare il tuo messaggio e generare una call to action su di esso. Oggi se non si costruiscono le reti e se non lo si fa secondo queste tre componenti metriche molto difficile, se non impossibile comunicare in modo efficace. La costruzione dellidentit di progetto, inoltre, fondamentale perch i processi di comunicazione possano avvenire. Oggi, per la conformazione mediologica, su Facebook e Twitter non comunichiamo davvero: da un punto di vista collettivo assumiamo delle routine, che determinano anche le visualizzazioni dei post su Facebook (gli utenti con cui ci relazioniamo maggiormente) o dei contenuti su Google: un meccanismo devastante per il nostro cervello. Lutente medio ignora che, al di l di quelle informazioni, trasformate in punti di vista e opinioni emotive, c una realt pi complessa, a volte diversa, sicuramente meno banale, per cui non ha altra scelta che adattarsi allesistente per esserci.

Molti neuroscienziati indagano questo fenomeno, che interessa intere classi anagrafiche che stanno subendo enormi trasformazioni, oserei dire antropologiche, dettate dallinformation overload. Il digital divide ha infatti determinato sostanziali differenze tra individui: alcuni sono orizzontali, altri verticali. Lindividuo verticale colui che si formato anche e soprattutto fuori dalla rete, sui libri, ha un background a prescindere, cui pu rivolgersi nella formazione di unopinione. Lindividuo orizzontale, invece, non ha una formazione analogica, che presuppone sia lindividuo a costruire connessioni, ma assume linformazione digitale delegando alla rete il compito di stabilire lo schema concettuale; nellassumere linformazione lindividuo orizzontale condizionato nella formazione delle idee dalla forma della rete da cui la riceve, dagli algoritmi basati sulle routine, dalle reti omofiliache a cui appartiene, creando, abitando e vivendo una propria gabbia gnoseologica, a volte programmata appositamente. La memoria si trasforma, diventa veloce, quindi labile. Il nostro cervello ormai funziona come la RAM: passa informazioni, si lascia attraversare da queste, e la rapidit con cui questo processo avviene a fronte delle grandi quantit di informazioni a cui siamo sottoposti determina che a restare impresse siano specialmente le informazioni di natura emozionale. Pur trattandosi di un processo di tipo individuale, esso genera riflessi su una sfera di tipo collettivo.

Nel momento in cui la velocit e la forma del discorso impongono un forte ruolo della dimensione emozionale possibile fare un salto di qualit nellazione politica mediante la progettazione dei meme e dellidentit e attraverso strategie di polarizzazione, senza dimenticare la capacit di organizzazione? Io credo che serva fondamentalmente una grammatica culturale legata anche e soprattutto a un nuovo linguaggio. Il linguaggio importante perch istituente, perch rende evidenti i caratteri della grammatica culturale; afferma e chiarisce la dimensione valoriale; descrive quella esperienziale e soprattutto consente una proiezione verso il futuro. Il linguaggio pu essere iscrivente di pratiche fasciste, cos come di pratiche libertarie. Questa la potenza del linguaggio: noi siamo condizionati dai frame, veicolati proprio dal linguaggio, che ci danno identit e riproducono il dominio, accrescono la

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forza dellavversario proprio mentre lo combatti. La parola e, in generale, il segno possono essere il veicolo sul quale chiunque pu salire per farsi trasportare ovunque lo conduca la sua capacit immaginifica, sregolata, liberamente alimentata da spiritualit e sensualit e capace di sfruttare corrispondenze soggettivamente percepite (assunzioni). Per questo serve comporre un nuovo lessico e ridefinire le categorie di interpretazione, costruire modelli di analisi per fondare una nuova grammatica culturale. In un terreno in cui lemotional sharing (la condivisione emotiva delle opinioni) e il suo linguaggio dominano le relazioni umane, non possiamo pensare di ripristinare tutto con un atteggiamento solo razionale, o senza rotture anche radicali; sarebbe come giocare a rugby in un campo da tennis. Per costruire una grammatica culturale diversa bisogna da un lato nutrire e alimentare consapevolezza, per poter vivere ambienti come Facebook che privatizzazione e negazione dello spazio pubblico e, dallaltro lato, generare un largo utilizzo tattico dei media, che possa dar vita ad aggregazioni, relazioni, network vitali per identit di progetto, che si muovano non solo sul terreno razionale, ma siano capaci di usare le onde emotive per posizionare e sostenere le espressioni collettive del perch stare assieme. Dobbiamo ri-costruire zone temporalmente autonome in cui sia possibile stare insieme; non limitarci a fortezze digitali isolate in genere, ma uscire dalle solitudini, accettando differenza e conflitto, organizzandoci contro i domini che schiacciano la conoscenza, unico strumento di liberazione possibile.

Sabotaje Al Montaje and SBimBo, Tenerife

Attivismo e social media oggi, da Occupy Wall Street al M5S


Intervista a Paolo Gerbaudo
A cura della redazione

aolo Gerbaudo, sociologo, insegna Cultura e societ digitale presso il Kings College di Londra. autore di Tweets and the streets. Social media and contemporary activism, libro pubblicato nel 2012 da Pluto Press. Gli abbiamo chiesto di raccontarci il complesso rapporto tra social media e attivismo nel contesto della rivoluzione egiziana del 2011, del movimento degli Indignados in Spagna e di Occupy Wall Street, con un occhio anche allItalia. Gli attivisti utilizzano i social media come veicolo di contenuti e informazioni e come strumento per organizzare mobilitazioni. Ma sono pi rilevanti questi aspetti tecnici, di cui tanto si parla, oppure luso dei social per trasmettere immaginario e narrazione e costruire

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meme1? Il cambiamento apportato dai social media non solamente tecnico e relativo alla loro capacit di distribuire informazioni. Questo aspetto, che ha ossessionato la maggior parte dei ricercatori, infatti secondario rispetto allelemento centrale del mondo dei social media: il piano emozionale. Sui social media gli attivisti sviluppano nuovi generi di comunicazione (come il tweet, il messaggio di stato su Facebook, e gli internet meme che circolano su diverse di queste piattaforme), che servono non solo a dare informazioni su eventi o problemi, ma anche a catalizzare emozioni collettive e scatenare unaggregazione emozionale, processo attraverso cui diversi individui possono essere portati dal loro stato di isolamento, che caratterizza linterazione su internet, a uno stato di aggregazione collettiva attorno a una passione politica comune. Luso dei social media rappresenta quindi un cambiamento non solo tecnologico, ma anche culturale, sia nelle forme della comunicazione e dellespressione politica, sia nellimmaginario della comunicazione politica radicale. Il nuovo immaginario, legato a unazione collettiva basata su collaborazione e partecipazione, trova nellideologia dei social media, con la sua enfasi sulla condivisione (vedi il pulsante share), unidea della cooperazione collettiva, un vocabolario con il quale immaginare una politica radicale. La costruzione di identit collettive attorno alle quali gli individui possano aggregarsi anche solo temporaneamente si esprime, ad esempio, nellutilizzo di nomi collettivi come Anonymous, Occupy, Indignados. Sono etichette onnicomprensive e molto aperte e, al tempo stesso, identit, che possono agire come una sorta di calamita sociale attorno a cui gli individui possano aggregarsi, per sentirsi parte di qualcosa di pi grande e per stabilire un legame di solidariet con altri individui che partecipano a questa identit. a questo processo di costruzione simbolica di uno spazio pubblico che fai riferimento quando parli dei social media come di un mezzo per coreografare il raduno? La terminologia della coreografia del raduno, che uso nel mio
1 Un fenomeno di internet (o internet meme) si ha quando qualcosa diventa improvvisamente celebre tramite la propagazione di informazioni attraverso il web (http://goo.gl/h1u8y2).

libro, indica che il processo centrale, nelluso dei social media, stato luso, da parte degli attivisti, di pagine Facebook e canali Twitter per trasformare raduni virtuali, ovvero aggregazioni di opinione pubblica, in raduni fisici. In questo senso, laspetto fondamentale delluso dei social media la costruzione di eventi e di un immaginario attorno ad essi: quello che vediamo ad esempio con la funzione evento di Facebook, o nei tweet con hashtag che dagli eventi prendono il nome, come nel caso della rivoluzione egiziana (#Jan25), del 15 ottobre 2011 (#15O), o del 15 maggio spagnolo (#15M). Qual impatto reale sullazione collettiva di tutta lattivit che avviene su Twitter e Facebook al culmine delle mobilitazioni? veramente quello lo strumento attraverso cui avviene il coordinamento, o solo il pi visibile? Hai osservato differenze in termini di impatto dellutilizzo dei social media tra contesti diversi, come Occupy Wall Street e la rivoluzione egiziana? indubbio che i social network siano diventati il principale veicolo di mobilitazione; sono il media pi importante e quello che ha la maggiore capacit di raggiungere il pubblico. Ciascun social media caratterizzato da un proprio pubblico e da un proprio tipo di interazione, e attrae uno strato sociale differente. Facebook e Twitter sono due social media profondamente differenti, che consentono agli attivisti interazioni differenti con il pubblico di simpatizzanti, sostenitori, partecipanti. Per motivi piuttosto ovvi, Facebook che stato usato come mezzo principe di mobilitazione di massa: ha una penetrazione molto pi alta di quella di Twitter (circa 10 volte superiore) e vi si utilizza un linguaggio molto pi accessibile, anche per via delluso molto maggiore del linguaggio visuale rispetto a quello verbale. Quindi, gli attivisti usano Facebook per lo pi come mezzo di reclutamento e mobilitazione, con cui dalla leadership del movimento si cerca di abbracciare nuove fasce della popolazione, per mobilitarle in occasione di proteste. Twitter si usa invece pi per il dibattito interno al nucleo del movimento, e per la comunicazione interna ad esso, in quanto si tratta di uno spazio molto pi marcato di pi alto livello intellettuale, pi progressista e con un pubblico molto pi benestante. Nel tuo libro affermi che non vero che i movimenti degli ultimi anni siano stati spontanei o senza leader, e che, al contrario, ci sono attivisti

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molto presenti su Facebook e Twitter che diventano influencer con un ruolo chiave nella costruzione di uno spazio in cui si sviluppi lazione collettiva. Si tratta per di una leadership diversa, con figure che restano un passo indietro. Quanto c di artificiale e forzato in questo tipo di leadership? un elemento vincente o alla lunga ha pesato nella riuscita di alcuni di questi movimenti? E questi influencer sono poi anche quelli che hanno maggior peso sul campo oppure alcuni di loro hanno una percezione del movimento soltanto attraverso il web? Nellepoca dei social media ma anche prima, lidea della leaderlessness, lassenza di leader, secondo cui tra coloro che partecipano ai movimenti sociali c perfetta uguaglianza e non ci sono differenze tra livelli di potere, una grandissima mistificazione. In realt i movimenti sociali sono sistemi complessi con diversi livelli di partecipazione: chi partecipa a tempo pieno, chi per poche ore, chi ha tanta esperienza, chi poca, chi ha tanto carisma, chi poco, chi ha i giusti contatti e chi non ne ha. Questa la realt dei movimenti sociali e della societ in generale (i movimenti sociali non sono completamente diversi dalla realt di cui sono parte). Il concetto di leaderlessness legato allidea tecno-libertaria, o tecno-utopista, che internet possa costituire uno spazio privo di quelle disuguaglianze che caratterizzano la nostra societ al di l dello schermo. Anche questa una mistificazione: dati e statistiche dimostrano che internet uno spazio molto gerarchico, in cui esistono logiche di potere, in cui le cosiddette reti non sono affatto reti distribuite come alcuni tecno-hippy si ostinano a pensare, ma hanno in realt un alto livello di centralizzazione. In The wealth of networks2, Yochai Benkler descrive le logiche di potere delle reti, in cui alcuni nodi diventano centrali e tendono ad attrarre sempre pi connessioni e a diventare centri sempre pi nevralgici delle reti. Credo sia necessario smascherare questa bugia della leaderlessness, che diventa per i leader, per coloro che fanno un lavoro importante e quotidiano per sostenere i movimenti sociali, una sorta di alibi per essere deresponsabilizzati e per non discutere della questione della leadership e della direzione dei movimenti, problema da sempre cruciale, che purtroppo spesso ha portato alla loro autodistruzione. Per esempio il movimento femminista degli anni 70, descritto da Jo Freeman, aveva deciso, come tanti altri nel post-1968, di abbandonare ogni struttura formale. Ma al posto
2 Yale University Press, New Haven 2006, disponibile in download gratuito al link http://goo.gl/SbQJF3; ed it. La ricchezza della rete. La produzione sociale trasforma il mercato e aumenta le libert, Universit Bocconi editore, Milano 2007.

delle strutture formali erano sorte gerarchie informali, formate da gruppi di amiche e compagne, che avevano uninfluenza determinante sullandamento del movimento. Si creavano quindi nuove forme di potere, tanto pi problematiche quanto invisibili. Forme di leadership informale come queste sono ineliminabili. Non si pu tornare completamente indietro alla leadership burocratica in cui si elegge un leader o un comitato centrale. I movimenti sociali, per loro natura, sono strutture fluide in cui forme di leadership carismatica tendono ad emergere. Il problema non tornare indietro, ma smettere di negare levidenza, ovvero lesistenza di tali forme di leadership. Quanto alla relazione tra leadership online e sul terreno, c una certa continuit tra i due livelli: ci sono molti leader digitali, amministratori di pagine Facebook o persone popolari su Twitter, che poi sono anche leader sul campo e hanno una forte influenza sullazione del movimento sul territorio. Ma c anche una contraddizione tra questi due piani: nei movimenti del 2011 la leadership o avanguardia digitale ha spesso perso il controllo del movimento, una volta avvenuto il passaggio dalla rete alle piazze, anche per il diverso tipo di competenza attivistica che i due piani necessitano. C qualcosa che lutilizzo dei social media ci racconta delle differenze tra i movimenti di questi anni e quelli del decennio precedente? Quello che lutilizzo dei social media ci racconta sui movimenti attuali il passaggio da unidentit controculturale a unidentit popolare: mentre i movimenti del decennio precedente, e in particolare il movimento no global, mettevano laccento sulla necessit di costruire mondi alternativi e nuove forme di cultura, i movimenti attuali vogliono occupare il mainstream. Non sono interessati a costruire mondi alternativi; vogliono occupare la cultura dominante e fare uso di quelle piattaforme che ne sono parte. Guardiamo alla politica delle piattaforme di questi due movimenti: il movimento anti-globalizzazione creava le proprie piattaforme di comunicazione, e riteneva che solo in questo modo la comunicazione di movimento potesse essere autentica. Questo approccio condensato nello slogan di Indymedia: non odiare i media, sii i media. Indymedia, probabilmente la forma di comunicazione digitale pi avanzata del periodo no global, era

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un progetto molto ambizioso di creare un sito di informazione completamente alternativo ai media corporate. Un altro esempio era rappresentato dallo sviluppo, nel periodo no global, di server e sistemi di mailing list alternativi ai servizi commerciali, come Autistici/Inventati in Italia e Riseup e Activix nel mondo anglosassone. Nel caso dei movimenti del 2011-13, c una visione profondamente differente: invece di creare media alternativi per veicolare messaggi alternativi, gli attivisti occupano le piattaforme mainstream, piattaforme commerciali di societ tra le pi ricche e con il pi alto tasso di profitto nelle Borse mondiali, come Facebook e Twitter, questultima recentemente quotata. Gli attivisti non utilizzano queste piattaforme commerciali a cuor leggero, conoscono i possibili rischi per la comunicazione di movimento, ma sanno anche che esse permettono di raggiungere un pubblico molto pi ampio di quello che si potrebbe raggiungere su piattaforme alternative come Lorea in Spagna, o Diaspora, che arrivano solo a comunit molto minoritarie. In questa transizione vediamo quindi un grandissimo cambiamento culturale tra queste due ondate di movimento, da un atteggiamento pi controculturale a uno pi popolare. Cosa c di vero a tuo parere nella visione cyber-pessimista di Morozov3, secondo cui Facebook e Twitter danno lillusione di partecipare alle mobilitazioni attraverso la sindrome dellattivismo da tastiera, che secondo Micah White4 ha fatto s che si sia persa per strada unintera generazione di attivisti? Ritieni che tale fenomeno abbia contribuito alla mancanza di un vero movimento di grossa portata negli ultimi anni in Italia? Secondo me sia le visioni tecno-ottimiste sia quelle tecno-pessimiste sono entrambe visioni essenzialiste, ovvero tecno-deterministe: hanno una visione estremamente semplificata del mondo, in cui la tecnologia determina tutto, in maniera positiva o negativa, come se da sola avesse in se stessa tutte le conseguenze del suo utilizzo.
3 Evgenij Morozov un sociologo e giornalista bielorusso, esperto di nuovi media e noto per le sue opinioni critiche e in controtendenza rispetto alla comune visione ottimistica e trionfalistica che caratterizza il dibattito sulle potenzialit democratizzanti e anti-totalitaristiche di Internet (http://goo.gl/nUSHHW). 4 Micah White (http://goo.gl/Sz0B5R) ritenuto uno degli ideatori del movimento Occupy Wall Street.

Sappiamo, invece, che la tecnologia pu essere usata in modi radicalmente diversi: per esempio, la bomba atomica e il nucleare usato a scopi civili sono entrambi criticabili, ma tra questi due usi dellenergia atomica c una bella differenza. I tecno-pessimisti, che parlano di clicktivismo, hanno la tendenza a ridurre lazione politica ai suoi strumenti: dicono che lattivismo su Facebook non potr che riflettere la superficialit e il narcisismo che caratterizzano linterazione su Facebook, o che lattivismo sostenuto da Twitter non potr che riflettere e amplificare lattitudine molto banale e superficiale che accompagna le comunicazioni su Twitter. E, cos facendo, dimenticano che lattivismo e i movimenti sociali in generale sono sempre un processo trasformativo, ovvero non riflettono semplicemente le condizioni della realt, ma trasformano esperienza sociale e condizione individuale in forme di azione collettiva. Quindi, quando gli attivisti utilizzano Facebook e Twitter per mobilitare le persone, fanno qualcosa che non corrisponde alla funzione iniziale ideata da chi ha creato quei social media, e ne sovvertono la struttura duso. Uno degli strumenti pi popolari tra gli attivisti, ovvero la Facebook fan page, non esisteva su Facebook ai suoi albori perch, allepoca, Zuckerberg e i suoi programmatori vedevano Facebook semplicemente come un sito di social networking individuale, dove le persone avrebbero gestito le proprie vite individuali, cercato amici e fidanzatini/e, mentre chi ha cominciato a usare quella rete sociale ha dimostrato il desiderio di avere anche strumenti in grado di dar vita a forme di organizzazione collettiva: gruppi, pagine Facebook e cos via. Quindi penso che s, esiste un clicktivismo liberale, che invita la gente solo a firmare petizioni, o a scrivere un tweet, con lillusione che questo sia sufficiente a imprimere un cambiamento alla societ, ma questo non vuol dire che lutilizzo dei social media per una politica radicale si debba ridurre a quelle forme. Il compito degli attivisti di saper attingere a quella cultura di partecipazione digitale anche nelle forme pi banali, e saperla trasformare in forme di azione collettiva che possano veramente avere un impatto forte sul sistema politico e sociale. Guardando pi in dettaglio al contesto italiano, come ritieni che Grillo/ Casaleggio abbiano sfruttato il fenomeno dellattivismo da tastiera per creare una grande illusione di partecipazione e democrazia, la cui presa sullelettorato stata enorme? Credi che questo fenomeno si sgonfier e assisteremo a uninversione di tendenza o che ormai in

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Italia il processo sia irreversibile? Casaleggio e Grillo sono stati i principali venditori ambulanti del tecno-utopismo in Italia. In loro lassurdit dellidea della leaderlessness appare in tutta la sua evidenza. Casaleggio scrive che lui e Grillo non sono assolutamente leader del M5S, sono puramente dei padrini che devono accompagnare questa povera creatura e che un giorno la lasceranno a se stessa, quando sar finalmente cresciuta. Sappiamo che questa una grandissima mistificazione, e che dire che non esistono leader solo una scusa per non discutere la questione della leadership e, quindi, del potere dentro quella organizzazione. La storia estremamente contraddittoria del M5S evidenzia come questa idea della democrazia della Rete, che ha delle fortissime potenzialit e apre spazi per la partecipazione e per nuove forme di democrazia, possa essere invece utilizzata come una narrativa di mistificazione, per depotenziare le nuove forme di comunicazione che si aprono in questi spazi. Il M5S arriva ad approssimare una sorta di organizzazione settaria, religiosa, una sorta di Scientology con a capo due guru e i partecipanti intenti a praticare un culto tecno-politico le cui contraddizioni sono estremamente evidenti. Credo che il nostro atteggiamento verso Grillo debba essere prima di tutto di curiosit per le grandi innovazioni che sta portando nella politica, anche di rispetto per alcune pratiche che hanno un loro valore, ma soprattutto di critica profonda rispetto alle bugie che vengono raccontate per quanto riguarda il potere nel M5S. Ritengo si debbano portare alla luce le contraddizioni enormi tra slogan come uno vale uno e una realt in cui quel movimento pi tirannico di qualsiasi altro partito che si sia mai visto in anni recenti in Italia, persino pi del PdL, in cui abbiamo visto emergere anche forme di dissenso. Insomma, non sicuramente quella la democrazia della rete che vogliamo, quella del M5S, e tifiamo rivolta nel M5S, come dicono i Wu Ming5.

5 Wu Ming, Perch tifiamo rivolta nel Movimento 5 Stelle, Giap, 27 febbraio 2013 (http://goo.gl/97Y5G3).

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