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LE CONDIZIONI DELLA RICERCA


11. Tutti gli uomini per natura comunicano. Tutti gli uomini per natura comunicano, come dimostra il fatto del linguaggio, che lorizzonte di ogni altra attivit umana. Lesperienza primordiale quella del comunicare. Ma analizzandola a fondo, troviamo implicate in questa esperienza le nozioni metafisiche pi originarie: possiamo infatti dire che c del comune e del non-comune, ossia del proprio; c lessere (o atto primo) e il fare (o atto secondo), e, in corrispondenza con questo, lesser fatto, ossia il ricevere; come condizione di questi c il possibile, ossia il poter fare e il poter esser fatto. Ci che pu essere o diventare comune il comunicabile: questo loggetto possibile di comunicazione. Ci che non pu essere o diventare comune lincomunicabile: questo lunico possibile soggetto di comunicazione statica e dinamica, ossia comunicativo. La persona lincomunicabile capace di entrare in comunione col mondo: non solo di comunicare naturalmente ma anche di assimilarsi al mondo e di assimilare il mondo a s con le operazioni spirituali (di intelligere e velle), in cui il corpo non comunica: homo sum: humani nihil a me alienum puto. Il mondo tutto umano o umanizzabile. La pietra scaldata dal sole, ma non lo pietrifica. La persona ha invece la capacit di entrare in comunione con tutto il mondo circostante. Ma proprio in questo essa si riconosce come parte di un tutto che domina ma da cui dominata: interpretando il mondo luomo non ne crea il senso, ma lo scopre. Esistere infatti la perfezione fondamentale (esistere vuol dire essere soggetto di ogni possibile azione o perfezione). Chi non c non conta nulla; chi c pu accampare qualche diritto, o comunque ha voce in capitolo. Solo io sono io, eppure io non sono il mio essere, ma lo ricevo da altro. In questo consiste lo specchio infranto (metafora adottata da Tommaso [in RPS 11.1] per spiegare che son venute meno le verit tra gli uomini) 2, ovvero la frammentazione della verit causata dalla distinzione exercita di essenza ed essere, quella cio che luomo avverte, ma di cui non sa darsi ragione, e che alla base dello stupore e della ricerca: ricerca, questa, che se

Allobiezione mossa oggi da RORTY (e in generale da una certa filosofia post-moderna) contro la teoria della conoscenza come specchio della natura, possiamo rispondere che di fronte alla irriducibile complessit delle cose, luomo interpreta il mondo, cercandone il senso ossia la verit-per-s, non quindi per crearla, ma per scoprirla: e questo proprio quanto vuole dirci la metafora dello specchio infranto.
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condotta seguendo il desiderio naturale, non pu andare in vano, ma risale al Primo Comunicatore. 12. Il Primo Comunicatore Incomunicabile Nome. Poich il primo Comunicatore, egli assolutamente Incomunicabile, e quindi trascendente ( divinitas superdea, idest super modum deitatis communicatae rebus [CDN 2.2 /169]); ma proprio in quanto Comunicatore anche onnipresente in tutti gli esistenti, in quanto sono riceventi (cos il Mistero si rivela nascondendosi). Inoltre chiamato Nome, ossia realt personale. E per pi di un motivo. Infatti se non fosse personale non potrebbe comunicare alle persone ci che loro proprio. Se poi non fosse personale non potrebbe comunicare per scienza e volont, e quindi non sarebbe pienamente comunicativo; inoltre, lessere da lui comunicato non potrebbe avere senso, perch non procederebbe pi da lui secondo sapienza. Il Primo Comunicatore comunica dunque lessere alle creature. Tale affermazione per passibile di tre interpretazioni erronee. Pu essere frainteso il senso di quel comunica, intendendo cio che Dio d, e quindi perde. Pu essere frainteso il senso di alle creature, intendendo cio la preesistenza del destinatario rispetto alla comunicazione. Pu essere frainteso lessere, intendendo cio lesistenza (come se fosse separata dallessenza), o il suo stesso essere (divino), mentre invece va rettamente inteso come essere, ovvero come che-siano. Evitati questi fraintendimenti e rettamente intesa, la comunicazione dellessere comporta dunque, in quanto comunicazione, la coimplicazione di un qualcosa comune e di due diversi propria, e in questo sta lanalogia: in comune fra creatore e creature c latto del creare, ossia del comunicare lessere; ma radicalmente diverso per i due il modo di rapportarsi a tale atto: per Dio infatti attivo, perch Dio e fa essere (e dunque la sorgente dellatto del comunicare); mentre per la creatura invece passivo: la creatura fatta essere (e dunque il soggetto ricevente del comunicare). Per questo la potestas creandi non comunicabile. Per questo, ancora, la creazione passivamente intesa una relatio ad Deum. 13. Dio Tutto ma non tutti 3. Dio lEssere, e dunque il Tutto; ma Dio comunica lessere alle creature, dunque (per la distinzione che ogni comunicazione comporta) non tutti, eppure tutti sono in virt dellessere da lui comunicato: Dio lo d senza perderlo; lo condivide senza confusione. Ma questo genera alcuni dubbi.
Si tratta di unespressione del Busa; cf DI MAIO, Linformatica..., op. cit., p. 357 (cf ibid. per laffermazione del Busa citata pi in l). 120
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1. Primo dubbio: come pu Dio essere Tutto? Dio non bianco, non vegetale, non me... Soluzione: in questo consiste quello che possiamo chiamare il prisma metafisico4. La luce non ha nessun colore, ma la somma di tutti i colori: scomposta dal prisma ottico, d lo spettro dei diversi colori. Ad esempio, la luce solare non verde, ma contiene il verde. Cos lessere increato (in cui omnia unum sunt) crea attraverso il prisma metafisico delle diverse essenze la gamma dellessere creato. Come la luce solare non verde o gialla o rossa, ma contiene il verde, il giallo e il rosso, cos Dio non uomo o albero, ma contiene in s tutte le perfezioni delluomo o dellalbero. La creazione si trova quindi in un regime di separatezza (tale infatti lesteriorit spazio-temporale della materia, come pure la distinta interiorit dello spirito): tale separatezza pu (ma non necessariamente deve) diventare disordine, ossia regio dissimilitudinis. Nel prisma metafisico ritroviamo la distinzione di essenza ed essere, ma signate, riconosciuta cio come tale e compresa in rapporto alla creazione. Tanto lo specchio infranto quanto il prisma metafisico ci manifestano larcobaleno ontologico, ma il primo solo di fatto, il secondo anche di diritto. 2. Secondo dubbio: ma essendo Tutto, come pu allora Dio non esser tutti? Daltro canto, come potr la creatura esser qualcuno di fronte a Dio e aver rapporti reali con qualcuno o qualcosa, piuttosto che solo con Dio? Soluzione: Dio, pur essendo sommamente presente in tutto e tutti, nondimeno sommamente trascendente; poich infatti il soggetto comunicante incomunicabile, a maggior ragione il primo Soggetto dogni comunicazione non pu che essere lIncomunicabile Nome, ossia talmente incomunicabile da non poter neppure essere positivamente nominato. Pertanto, bisogna ammettere che non pu esistere propriamente lateismo, ma solo il panteismo: lIncomunicabile Nome va attribuito a qualcuno o a qualcosa; lerrore attribuirlo al legno o alle pietre, ovvero allessere formale di ogni cosa [cf RSV 1; SCG 1.26.8]: ma in tal caso il Nome Incomunicabile, in quanto sorgente dogni comunicazione, sarebbe identificato con qualcosa di comune a noi, contro la legge del comunicare.

Prendiamo lespressione prisma metafisico da Jean-Luc MARION, Sur le prisme mtaphysique de Descartes, Paris, PUF 1986 (cf in particolare p. 1-8), che per la usa per indicare lonto-teologia (ante litteram) di Cartesio, media fra la sua ontologia grigia (ossia a mezza tinta, nella epistemologia) e la sua teologia bianca (ossia indecisa).
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Inoltre, se io fossi parte di Dio, non si spiega come mai potrei e dovrei comunicare, dato che la comunicazione presuppone una comunanza s, ma anche una alterit e una incomunicabilit reale. In un regime panteistico di non separatezza, Dio sarebbe lunione di finito e infinito, ma allora non sarebbe pi n incomunicabile n comunicante. In un regime di totale separatezza, Dio sarebbe s il valore pi grande, ma alla fin fine resterebbe estraneo al finito...; non sarebbe quindi davvero infinito. E quindi, i valori finiti sarebbero conflittuali col valore divino; cos, o le realt finite scaccerebbero Dio, relegandolo fuori del loro mondo (come nella religiosit deistica e pagana); o Dio scaccerebbe le creature, riducendole ad occasioni per i suoi interventi nel mondo (secondo una forma di religiosit solo apparentemente devota). Ma nellordinato regime liberale delleconomia divina, dominata dalla sacratissima lex, Dio linfinito valore che d (e non toglie) valore ad ogni valore finito, e per questo la relazione reale a lui non esclude la relazione reale alle creature. Su questo si fonda (da un punto di vista ontologico) la dignit causale delle creature; su questo stesso si fonda (da un punto di vista etico) la possibilit di referre omnia ad Deum amandolo totalmente, pur rimanendo impegnati nel mondo e con gli uomini. 3. Terzo dubbio: rinunciando ad esser tutti, Dio rinuncia anche in certo modo ad esser Tutto? In altre parole, si pu parlare di Kenosi di Dio nella creazione, cos da creare il mondo ex nihilo sui, e cio dallo svuotamento di s? Soluzione: creando laltro da s, in realt Dio non si privato di nessuna sua perfezione, ma solo della condizione di essere il solo. Il bene spirituale, essendo ectropico, comunicandosi non diminuisce, e quindi tale possesso non pu essere considerato un tesoro geloso, oggetto cio di zelus, se non forse per una certa eccellenza di potere. Quindi, vedendo la cosa con occhio umano e parlando dunque per metafora, Dio creando il mondo si s privato di una prerogativa di eccellenza a cui luomo egoista non avrebbe mai rinunciato. Per dirla col Busa, dalla creazione in poi, nemmeno con tutta la sua Onnipotenza Dio pu dire Io al posto mio. 14. Dio Comunione. Ripercorrendo la comunicazione dellessere a ritroso, possiamo per analogia conoscere il Primo Comunicatore, e tenendo conto della distanza infinita che c fra lui e le creature, possiamo tentare un approccio asintotico (e dunque solo allusivo e dialettico, e non razionalmente conclusivo e dimostrativo [cf 1SN 2.1.4 sc 1]) al mistero intradivino: infatti, ci sono due vie per risalire dallicona allarchetipo, entrambe mediante il salto dal finito
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allinfinito; la prima dallunit creata alla trinit increata, la seconda dalla trinit creata allunit increata: cos, da una parte, ogni persona finita, comunicando a mo di intelletto e di volont, imperfettamente tre (soggetto, intelletto, affetto), e quindi la Persona Infinita sar perfettamente tripersonale; ma daltra parte ogni comunit personale finita imperfettamente una per comunicazione dottrinale e liberale, e quindi la Comunione Infinita sar perfettamente Una.

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[ XI ]

LA FILOSOFIA COME RICERCA E COMUNICAZIONE DELLA SAPIENZA


Delineato il cammino filo-sofico dallo specchio infranto al prisma metafisico, cammino reso possibile per il dinamismo sistolico e diastolico (di assimilazione e comunicazione) che ogni ente ha nei confronti del bene, sicch in particolare luomo pu tramite la quaestio rinvenire la verit cercata, per comunicarla a propria volta, sar probabilmente chiaro che il filosofo non pu non far proprio il motto salomonico: Quam sine fictione didici, et sine invidia communico; motto di valore profondo, di cui abbiamo sviscerato il senso in Tommaso, ma che ora dobbiamo far nostro.

15. Sapientiam. La sapienza la modalit della comunicazione dellessere da parte di Dio alle creature. Questo infatti loptimus communicandi modus. Di conseguenza la comunicazione dellessere una comunicazione sensata. Per questo Dio comunica non solo lessere, ma (alle creature spirituali) anche la facolt di conoscere, perch almeno qualcuno nella creazione conosca il senso dellessere. Pertanto, alla domanda Perch c lessere piuttosto che nulla?, possiamo rispondere: propter supereminentem bonitatem Dei. Tale sovreminenza comporta infatti la sapienza e liberalit della comunicazione divina. Dio, anzi, maxime liberalis. Infatti comunica a tutti tutto ci che hanno senza ricevere da nessuno nulla in contraccambio. Ma tale liberalit comporta la massima sapienza. Dio la sua essenza, e dunque buono per natura, e perci crea secondo il principio sabbatico; pertanto la sua comunicazione delessere gratuita e la metafisica (che la studia) la scienza della gratuit: innanzitutto perch (aristotelicamente) non serve a nulla, nel senso che non serve nessuno, ma libera e liberante; e poi perch (per cos dire) antieconomica (come il gesto di Maria Maddalena di sprecare il profumo costoso, che fu giustificato per dilectionem [cf REM 26.1 /323]; similmente la metafisica uno spreco giustificato dallamore per la sapienza). Ma c una buona e una cattiva gratuit: la gratuit ricca del dono e la gratuit bruta del caso e del non-senso; e similmente ci saranno due metafisiche: quella del non-senso, della noia, dellangoscia, e quella del dono, per cui c dellincomunicabile nel mondo: il mistico. La sterile ha partorito sette volte: cos la filosofia tutte le altre scienze. Ma pur ricca di figli sfiorita: perch, divenute adulte, le figlie
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lhanno abbandonata, sicch la filosofia, ormai sola con se stessa, rimasta solo metafisica: in effetti vero metafisico colui il cui sapere non comunica con quello di nessun altro 5, nella conoscenza di quellessere che costituisce lincommunicabile nomen del Primo Comunicatore gratis. Il senso dellessere dato (ma solo implicitamente) negli alta sapientiae implicati nellesistenza delluomo, ed loggetto del desiderio naturale delluomo: la ricerca innata del senso (philosophia exercita) tende a diventare riflessione cosciente (philosophia professa) sulle verit ultime (altiora sapientiae) e possesso acquietante (sophia), che trabocca per sovrabbondanza. Lessere va dunque interpretato. La metafisica, in quanto scienza dellente in quanto ente, ovvero dellessere comune in quanto comunicato, la scienza massimamente ermeneutica. La metafisica lermeneutica esistenziale per eccellenza: essa la filosofia della creazione, ossia una filosofia sul creato (o creazione oggettiva) che cerca di comprendere il senso della creazione (o creazione passiva) interpretando lintenzione del creatore nel creare (o creazione attiva). La creatio dunque una enarratio da parte del creatore: la filosofia della creazione non pu perci non servirsi anche delle parabole comunicazionali, ossia di metafore di ci che indicibile, in quanto il presupposto di ogni dizione e comunicazione. Il primo ruolo del filosofo (cercatore di professione) perci quello di essere un testimone della ricerca del senso. 16. quam sine fictione. Ricevere la sapienza comunicata da Dio non semplice, dal momento che (filosoficamente) essa non esplicitamente rivelata, ma implicitamente nascosta nellessere stesso. Per essere ricevuta essa deve essere interpretata. Linterpretazione unazione, che per essere autentica (ossia sine fictione) deve mettersi in atteggiamento di recezione. Interpretare , come si suol dire, parlare ascoltando. Accade come quando con una radio che ha le batterie scariche cerchiamo di ascoltare un programma radiofonico (e le difficolt di ricezione non dipendono dallemittente); o come quando si va a prender lacqua con un colino, e cos se ne perde via la maggior parte. Il secondo ruolo del filosofo dunque quello di ispettore della corretta recezione della sapienza, ovvero come garante della totalit e come critico della limitatezza. Altro il limite, altro il difetto: che una macchina lavatrice lavi i panni ma non i piatti, un limite; se per non lava bene i panni un difetto.
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Cf In Hexameron 1; SCG 1.26.8; 3.37; OTT 1.108.


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1. Nella recezione della sapienza, il primo errore da evitare la superbia, che fictio fortitudinis: un pensiero forte, ma forte in se stesso superbo. Gi lignoranza di per s un brutto male; unita poi a presunzione diviene addirittura incurabile. Posso osservare un panorama dalla cima di un monte, come pure dal fondo di un pozzo. In nessun caso la mia visione totalizzante (per questo risibile la pretesa dialettica di vedere le cose dal punto di vista di Dio). Se perci dal fondo del pozzo osservo il cerchio di cielo che posso vedere e dico: il mondo tutto qui, o se posseggo un frammento dello specchio e dico: questo tutto ci che si pu vedere, ho imparato qualcosa, ma cum fictione. Insomma, la sapienza pu esser ricevuta solo parzialmente dalluomo. Ma quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur: di qui limmensa variet di filosofie, tutte giuste, tutte vere, tante quante sono le teste degli uomini. E tuttavia loriginalit non un requisito della verit: se dico che due pi due fa cinque, la mia affermazione sar sicuramente originale, ma non certo vera. Funzione del filosofo sar dunque non tanto quella di inventare cose nuove (giacch in realt gi tutto stato detto), bens estrarre dal tesoro della sapienza cose antiche e cose nuove, ovvero nova semper quaerere et parta custodire. Il secondo errore da evitare, opposto al primo, la ironia, intesa come fictio humilitatis. Il filosofo deve con Tommaso cercare di essere humilis sine fictione: una falsa umilt potrebbe viceversa essere quella di una filosofia critica, che ponendo limiti alla conoscenza delluomo si arrogasse di giudicare chi c dentro e chi no; come pure quella del cosiddetto pensiero debole. La questione critica di Tommaso ante litteram tratteggiata nel suo confronto fra Zaccaria e Maria [cf REI 3.2]. Zaccaria il tipo della critica fatta con falsa umilt e falsa ricerca di verit: egli chiede come pu sapere se quanto sa vero; ma a tale domanda non pu avere risposta, perch qualunque risposta ricadrebbe nel dubbio espresso dalla domanda. Viceversa Maria chiede come pu essere, cercando cio le condizioni di possibilit della realt. La filosofia veramente critica si presenta dunque come un philosophari cum Maria, interrogandosi sulle condizioni di possibilit ontologiche dellesperienza.

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Insomma, imparare sine fictione possibile fondando lauditus sulla credulitas immediata nella verit dei primi principi. Non si pu essere filosofi senza una credulitas; se tale credulitas la fede religiosa, questa non toglie autenticit alla filosofia, se il filosofo credente non d alla rivelazione religiosa in quanto filosofo un valore di autorit ma solo di ragionevolezza e se si sforza di rendere comunicabile la sua esperienza. 17. didici. Ma come imparare la sapienza? Da parte del ricevente, la sapienza si acquista mediante il triplice exercitium dellauditor: e cio mediante lauditus e la lectio; mediante la quaestio (intesa come domanda che ha gi insita in s la risposta, perch chi cerca in qualche modo ha gi trovato); e mediante la meditatio sul senso della vita e ledificazione interiore. La lectio deve farsi meditatio (e la quaestio deve farsi reflexio, sicch factus eram ipse mihi magna quaestio). E la meditatio si fa oratio, ossia discorso interiore: la filosofia soliloquio, o monologion; la teologia colloquio, o proslogion. Il filosofo medita parlando fra s e s; il teologo medita parlando con Dio: difatti, in filosofia il Dio absconditus, in teologia revelatus; in filosofia innominato (o Incommunicabile Nomen); in teologia personalmente conosciuto. E tale oratio infine contemplatio. Alla contemplatio segue lactio, giacch occorre contemplata aliis tradere, e dopo aver contemplato il mondo occorre cambiarlo, ma possibilmente in meglio, conformemente allideale contemplato. E poich pi ragionevole tentar di cambiare se stessi piuttosto (o prima) che il mondo, cos, quam sine fictione didici (ossia, senza contraddizione exercita con lessere vissuto), et sine invidia communico. 18. et sine invidia. Il terzo ruolo del filosofo quello del comunicatore; ma comunicare con generosit non altro che la riprova che si imparato con verit, dato che chi sapiente sa che la conoscenza della verit (impossibile per lo specchio infranto e resa possibile dal prisma metafisico) si fonda quindi sulla liberalit creatrice di Dio. Verit e liberalit sono le due virt basilari della comunicazione, opposte alla fictio e alla invidia. La mancanza di generosit un atteggiamento non solo immorale, ma anche illogico: in questo pecca chi parla per non farsi capire. La sua non mistica, ma mistificazione. Chi parla per dire che non c nulla da capire, demistifica le mistificazioni, ma non coglie il mistero. Eppure il mistero c: lIncomunicabile Nome, che a tutti comunica senza riceverne il contracANDREA DI MAIO

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cambio. Se la filosofia generosa comunicazione della sapienza ricevuta senza ipocrisia non possibile che il filosofo in quanto tale non sia anche un cultore religioso: non in senso confessionale (di questa o quella religione), e nemmeno aconfessionale (in senso deistico), ma in senso per cos dire preconfessionale, in quanto Dio si manifestato per creazione prima ancora che per rivelazione. Si pu insomma pregare il Motore Immobile, e il filosofo ne in qualche modo il primo cultore. 19. communico. La sapienza si comunica mediante il triplice exercitium del doctor: mentre per Tommaso, riferendosi al teologo, giustamente stabiliva lordine degli exercitia partendo dalla praedicatio (dellannuncio salvifico), passando per la lectio (dei testi dotati di auctoritas), per finire alla disputatio (o confutazione delle obiezioni) [cf OTD 2], viceversa, riferendoci al filosofo lordine sar esattamente linverso e il modo sar quello della ratio, e non dellauctoritas. La comunicazione della sapienza filosofica avverr dunque in primo luogo mediante la quaestio, intesa come disputatio o discussione critica dei problemi in virt della non-contraddizione fra philosophia professa e philosophia exercita; mediante poi la lectio, intesa come ermeneutica dei testi sostanziali e testualizzazione dellessere (enarratio); e infine mediante la aedificatio e il discorso edificante, che il corrispettivo filosofico della predica, giacch solo la verit che edifica una verit-per-te. Ma poich la communicatio sapientiae esige anche una reciproca communicatio in sapientia, accanto a questo triplice compito di educazione personale, occorrer pure che il comunicatore della sapienza si impegni nellanimazione comunitaria e nella mediazione culturale fra concezioni e visioni del mondo diverse 6, secondo laurea regola: in certis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas.

6 Cf Peter HENRICI, La mdiation philosophique des valeurs, in Gregorianum 1993, p. 515-541 (in specie 536-540); Giuseppe LAZZATI, Laicit e impegno cristiano nelle realt temporali, Roma, AVE 1985.

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[ XII ]

METODICA, ERMENEUTICA, POLITICA


20. Il primo esercizio educativo: la quaestio Leducazione personale fondamentalmente una guida alla ricerca della sapienza. La sophia il senso (o logos) dellessere, ed anche della vita. La philosophia la ricerca di tale senso: diligens inquisitio, nel duplice significato di ricerca amorosa (e quindi desiderosa di saper tutto dellamata) e di conseguenza metodica. La philosophia exercita lessere stesso (e, per luomo, la vita, lesistenza) in quanto orientato da s al senso. La philosophia professa lesplicitazione della philosophia exercita in un logos esplicito e personale. La philosophia ex professo o filosofia di professione la riflessione critica sulla philosophia exercita; la trasformazione dellunico logos (o Verbum) in logoi (o verba hominis); insomma la verbalizzazione e testualizzazione dellessere o della vita. La storia della filosofia la riformulazione e la narrazione della philosophia professa ex professo. La lessicografia (o ermeneutica verbale) in funzione della ermeneutica testuale. Lermeneutica testuale in funzione della storia (ossia del racconto) della filosofia dellautore. La storia della filosofia, poi, finalizzata alla filosofia. La filosofia, infine, alla sofia. Per questo, il metodo lessicografico, oltre che come metodo storico-filosofico finalizzato allermeneutica testuale e globale del pensiero di un autore, pu essere adoperato come metodo filosofico in senso stretto, in vista cio dellermeneutica del linguaggio comune, inteso come casa dellessere (e in particolare di quelle parole che sono comuni ad ogni gioco linguistico, dai trattati di fisica, alle poesie, alle cantilene dei bambini), e come sede delle certezze precategoriali e vissute previe ad ogni altra certezza scientifica (e in effetti neanche la scienza pi formalizzata pu fare a meno del linguaggio naturale). Alla base del nostro parlare c una logica generativa del linguaggio; ma tale logica una logica dellessere, ossia unontologia. In questo modo la metafisica rinasce come riflessione critica e professa sulla philosophia exercita nel linguaggio, e quindi sugli alta sapientiae, ovvero le certezze vissute e precategoriali della Lebenswelt. Cos aveva fatto gi Aristotele nei libri Gamma e Delta della Metafisica.

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21. Il secondo esercizio educativo: la lectio e lermeneutica Grazie alla philosophia exercita anche nel linguaggio, la lettura di un testo, e in particolare di un testo filosofico o sapienziale, aiuta la ricerca della sapienza. La precomprensione che abbiamo del testo assomiglia alla precomprensione che abbiamo di ogni cosa che conosciamo mediante la nozione di ente. Lapproccio allautore o al dottore sempre mediato da quella credulitas di cui abbiamo ampiamente trattato. Per questo, bisogna legere non multa sed multum, per gustare le cose internamente. La lectio di un testo ha senso in quanto noi la confrontiamo con gli alta sapientiae ovvero con la doctrina innata, o philosophia exercita. Lermeneutica pi difficile appunto questa: ricostruire non solo il detto dellautore ma esplicitare la enarratio del sommo Autore. Esistono libri sostanziali e libri accidentali. I libri sostanziali sono quelli che stanno da s. I libri accidentali sono quelli la cui esistenza dipende da un libro sostanziale, a cui in un certo senso ineriscono (tipico il caso dei commentari). I libri vani sono quelli che non sussistono in s ma non dipendono neppure da altri. I libri accidentali servono a leggere i libri sostanziali. I libri sostanziali servono a leggere la realt. In questo senso i libri rendono liberi. Un autore classico , etimologicamente, uno scrittore autorevole, ed anzi autentico, di prima classe. Il segreto della perenne attualit degli autori classici la loro originaria inattualit, ossia la loro capacit di non lasciarsi condizionare dalle mode, e tuttavia di saper cogliere le esigenze pi profonde del loro tempo. Molti autori non sarebbero cos presto inattuali se non avessero voluto essere cos attuali. Sarebbero inattuali quegli alfieri della contemporaneit che, tutti presi dallattualit, si limitassero a interpretarne gli interrogativi, e non anche a darvi risposta. Il segreto della grande semplicit dei grandi autori la loro profondit: chi parla in modo complicato (ben oltre la complessit propria del tipo specifico di discorso) perch non sa o sa poco, o perch sa e vuole mantenere (per gelosia) il potere che ha col suo sapere. Ma come esercitare la lectio e interpretare il Libro? Linterpretazione ha un valore essenzialmente comunicazionale: interpretare significa innanzitutto (quanto alla receptio) cogliere il testo (nel suo contesto) come un tutto le cui parti distinte sono in communicantia statica le une con le altre (interpretare cos inter-relare, o scoprire relazioni nel testo e fra testi; e questo il momento disciplinare dellermeneutica); ma di conseguenza (quanto alla communicatio dinamica) interpretare anche comunicare la communicantia colta nel testo agli interlocutori di oggi (interpretare cos

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inter-relare, nel senso di mettere in relazione il testo al lettore; e questo il momento dottrinale dellermeneutica). Interpretare infatti in generale parlare ascoltando, e in particolare scrivere avendo letto. Ebbene, in questo senso, ci sono tre generi di analfabeti. I primi non sanno n leggere n scrivere: e questi sono totalmente indifesi; i secondi son quelli che sanno leggere, ma non sanno scrivere: e questi sono totalmente innocui; gli ultimi, infine, sanno scrivere, ma non sanno (o non vogliono) leggere: e questi sono totalmente pericolosi! Per comunicare dottrinalmente un testo necessario dunque prima averlo studiato e compreso (per quanto possibile) mediante una metodica disciplina, secondo tre vie. La prima quella della simpatia: non enim potes noscere verba Pauli nisi habeas spiritum Pauli. Ma altrettanto vero che non potes noscere spiritum Pauli nisi noveris verba eius: e quindi occorre la via della lessicografia, con la raccolta della documentazione e la verifica e falsifica delle precomprensioni. La terza via quella storica: la ricostruzione della tradizione previa, con la determinazione delle fonti (dirette e indirette); la ricostruzione della tradizione posteriore con la determinazione degli effetti; la ricostruzione della tradizione interpretativa e critica, in particolare dei contemporanei.
E tuttavia conoscere gli ingredienti di una torta non significa ancora averla gustata. Determinare le fonti e gli elementi di una tradizione non significa ancora averla capita.

Il pensiero dellautore accessibile a noi mediante la sua opera. vero infatti che egli ci interessa principalmente come pensatore, ma vero anche che possiamo conoscerlo solo in quanto autore: e non solo per quello che a suo tempo ha inteso dire nei suoi scritti (lintentio auctoris, che in parte possiamo congetturalmente ricostruire), ma per quello che comunque tali scritti ci dicono ancora (ossia lintentio textus). In questo modo, limperativo della ricerca ermeneutica sar secondo i dettami della fenomenologia di andare ai testi: a tutti i testi dellautore, senza preclusioni od esclusioni, senza prevenzioni e mettendo fra parentesi (per quanto possibile) le precomprensioni, calandoci invece nel linguaggio e nel pensiero che vi si trovano. Un buon presupposto ermeneutico (dispirazione ignaziana) adottabile questo: ogni buon interprete deve disporsi a giustificare le affermazioni dellaltro pi che a condannarle; e, comunque, prima di giudicare una di queste affermazioni, cerchi prima di capire quale sia il significato che laltro le d; e se scoprisse che proprio secondo il suo significato quellaffermazione fosse ingiustificabile, la corregga amabilmente, e, se ci non ba-

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stasse, cerchi tutti i mezzi adatti perch, dandole il significato giusto, quellaffermazione sia giustificata 7.
In tal modo, linterpretazione volta a diffondere la sana dottrina [...] degli autori [...], dando ordine allesercizio 8, in maniera metodologicamente corretta e criticamente aggiornata; e questo cercando di leggere non solo multa (i molti testi in cui occorrono le parole cercate), ma multum (ossia molto a fondo almeno alcuni di questi), cos da poter cogliere il tutto nel frammento 9.

Accanto a queste tre vie, valide per i testi normali, una quarta via si apre per i soli testi autorevoli, ossia dotati di auctoritas, in quanto rimandano ad un meta-autore, che ne anche lunico valido interprete: cos i testi normativi, o leggi, il cui unico interprete autentico il legislatore stesso, che non il redattore della legge, ma listituzione che lha emanata e che permane; cos, a maggior ragione, anche i testi sostanziali (che verbalizzano il senso dellesistenza) e ancor pi i testi sacri sono riferiti al Primo MetaAutore e assoluto Legislatore. Ogni testo sostanziale dunque allusivo ed ermetico; spetta allermeneutica aprirne le difficolt e il senso e coglierne le allusioni; non per in maniera esoterica, ma ricorrendo al testo stesso, laddove le allusioni sono dallautore esposte expressius. Lallusione come il fiore del campo che strappi, ma ti resta nel cuore della terra la radice. Lallusione un parlar tacendo, per dire lindicibile sub metaphora corporalium e sub tegumento parabolarum: e lindicibile il mistero, e il mistero non come il mondo sia, ma che-sia; e questo sentire che tutto ha lessere ma non lessere, perch dallEssere lo ha ricevuto. Per questo lermeneutica filo-sofica dei libri sostanziali non pu essere illustrata se non per metafore. A] La metafora del chiaroscuro Il chiaroscuro ermeneutico consiste nel fatto che il testo si presenta come un complesso di luci ed ombre, in cui lombra non meno importante della luce, e ha un suo linguaggio che va compreso. In altre parole, lermeneutica consiste nel provare a dire il non-detto di un autore. In ogni sforzo ermeneutico si dovranno fare i conti col fondo irriducibilmente oscuro del testo e del pensiero di un autore: ogni ricostruzione si trover alla fine con qualche pezzo mancante e con qualche pezzo di troppo;

Cf IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali, praesupponendum (liberamente tradotto e adattato). In base al compito, affidato da IGNAZIO DI LOYOLA, allintero Collegio Romano, secondo la lettera a Carlo Borgia, il 6 novembre 1553. Rispettivamente secondo la seconda nota preliminare agli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola e il felice titolo dellopera di Hans Urs von Balthasar sulla teologia della storia. 132
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segno questo della irriducibilit della realt a pensiero e del pensiero al testo e del testo a schema. B] La metafora della musica In filosofia, come per la musica, si dnno autori, ascoltatori, critici, e interpreti; ma gli autori hanno scritto le loro opere non perch fossero studiate dai critici o interpretate dagli interpreti, ma perch fossero ascoltate dagli ascoltatori. Certo, il contributo dei critici necessario per una retta esecuzione o rappresentazione dellopera, ma mentre il critico parla dellopera, linterprete la fa parlare, o meglio, la fa cantare. Cos lermeneutica filosofica deve far parlare e cantare ancor oggi i testi filosofici dei grandi autori: anzi, a maggior ragione oggi, oggi appunto che tutto stato detto, pu essere utile riandare agli antichi per nova semper quaerere et parta custodire. C] La metafora del processo Come lavvocato, anche lermeneuta cita i testi (textus quasi testes!). Lermeneuta come un avvocato dufficio: deve comunque difendere il suo assistito dalle imputazioni di cui accusato, perch non venga condannato senza essere stato prima almeno ascoltato e compreso. Lermeneuta per anche come il pubblico ministero o promotore di giustizia: non deve avere nessuna amicizia se non per la verit. Sebbene non sia possibile una totale neutralit (poich ogni avvocato di parte), loggettivit sta appunto nel dare pari opportunit alle due parti, sicch dallo scontro fra accusa e difesa possa emergere la verit processuale. Il lettore iustus iudex sedens in medio: a lui in ultima istanza spetta interpretare. D] La metafora della lettera damore Lamato scrisse allamata una lettera damore; la scrisse citando le pi belle frasi damore che mai fossero state scritte dai poeti; le cit con delicate allusioni alle intime parole damore che con lamata aveva scambiate. A leggere la lettera dellamato, chi potr dunque interpretarne meglio il senso? I poeti citati, i critici, o non piuttosto lamata, a cui e per cui stata scritta?
Questo spiega come mai un Testo sacro, inteso non come scritto da uomini nel tempo, ma come lettera damore scritta da Dio alla sua Sposa, la Chiesa, potrebbe esser letto e capito nel suo senso pi profondo solo dalla Sposa stessa a cui fosse indirizzata; per questo la lettura autorevole ed autentica non si oppone, anzi si accorda alla lettura per simpatia.

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Daltro canto, se lamato o lamata non son certi che il loro amore sia corrisposto, e dubitano e non dubitano del senso della lettera ricevuta, la fanno leggere anche a terzi, per averne un parere distaccato e imparziale, ed essere rassicurati.
Questo spiega come mai un Testo sacro vada letto anche con criteri esegetici neutrali.

E] La metafora dellalbero e dei suoi frutti Se il testo pu essere considerato come una macchina che produce interpretazioni, su cui lautore, una volta pubblicatolo, non ha pi potere, ci nonostante dal testo non lecito trarre tutto e il contrario di tutto. Cos, riecheggiando la metafora tommasiana della terra feconda (Germinet terra herbam virentem, et facientem semen, et lignum pomiferum faciens fructum iuxta genus suum [OTD 3]), sembra che il testo debba essere considerato piuttosto come un organismo vivente, e la vita del testo, dalla sua redazione e pubblicazione alla sua odierna interpretazione, debba essere paragonato a quellalbero, piantato lungo corsi dacqua, che d frutto ad ogni stagione, mai per a caso o ad arbitrio, giacch non si raccoglie uva dalle spine. In questalbero, le radici rappresentano il testo, affondato nellhumus culturale del suo tempo, il corso dacqua la verit a cui il grande autore attinge, la linfa vitale che scorre dalle radici al resto dellalbero lo spirito o lintenzione dellautore, il tronco e i rami sono la tradizione posteriore del testo, le foglie sempreverdi sono gli studi critici e i frutti per ogni stagione sono le interpretazioni che attualizzano il testo in ogni tempo e per ogni lettore. Il segreto dellermeneutica lannullamento (non certo storico) della distanza dal testo, cos da proiettare il lettore in una contemporaneit (certo artificiale) col testo stesso, e in un confronto drammatico con esso. In tal modo lermeneutica si fa racconto, fabula: non un secondo testo sul testo, ma il testo stesso ridetto, riformulato nelloggi. In tal modo si conserva anche la signoria del testo su ogni commento, e si evita il rischio di anteporre il commento (o le note) al testo stesso. Fra intenzione dellautore e interpretazione del lettore c dunque lo stesso rapporto che c fra radici e frutti. Se infatti ci si separa dalle radici, lalbero dissecca.

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F] Le metafore della lente, della leva e della lima Linterprete si volge ai testi come il biologo pone locchio alla lente del microscopio: non per osservare la lente, ma per studiare la vita! Linterprete fa leva sul testo per sollevare e risolvere i problemi, altrimenti irremovibili: Datemi un testo di appoggio e vi interpreter il mondo. Questo non vuol dire che si possa impunemente dire quodlibet de quolibet: anche e soprattutto nellermeneutica serve la lima dellesercizio e della verifica; purtroppo essa troppo spesso consunta e disusata: hassi a rifar, ma il tempo manca. G] La metafora delle formiche, dei ragni e delle api Riprendendo unaltra celebre metafora, possiamo dire che linterprete non deve limitarsi n alla semplice raccolta storica di dati come fan le formiche, n allelaborazione puramente teoretica come fanno i ragni, ma deve tendere alla rielaborazione vitale e fruttuosa di quanto raccolto, come fanno le api. La crisi del filosofare si manifesta infatti come la riduzione della filosofia a filologia, o, ancor peggio, a filolalia. 22. Lesercizio della mediazione La comunicazione della sapienza infatti anche una comunicazione fra quanti non comunicano nella stessa visione del mondo; questo tipo di comunicazione per mediazione prende comunemente il nome di traduzione (in senso ampio). Ebbene, la traduzione non solo il dovere di ogni filosofo, ma il destino stesso della nostra attuale civilt. Sviluppando la metafora insita nella sinonimia tommasiana di linguae e nationes [cf RPS 18.2], possiamo considerare le diverse culture (e filosofie!) un po come diverse lingue adoperabili per parlare della realt. E come non esistono lingue false (esistono per discorsi mal formulati o falsi allinterno di ogni lingua), e tuttavia alcune lingue sono pi potenti per dire certe cose, e altre per altre (ad esempio, la lingua degli eschimesi riesce ad esprimere le diverse gradazioni del color bianco...); cos le diverse culture (e filosofie) possono esprimere tutta la verit delle cose, anche se alcune per certi versi meglio di altre. Ebbene, la comunicabilit dei messaggi in generale (e la traducibilit dei linguaggi in particolare) condizione suprema a cui sottomettere tutte le lingue, le culture e le filosofie. Ci che non riesco a tradurre ci che non ho veramente capito. Viceversa, ci che non si pu in generale tradurre ci che pur pretendendo di farsi capire incomprensibile: mistificazione, il nebuloso. Pretendere pe-

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r che quanto io non sono riuscito di fatto a tradurre sia in generale intraducibile e nebuloso una demistificazione in realt mistificante. Una filosofia nebulosa se non traducibile, ossia riformulabile almeno parzialmente nei termini di unaltra filosofia; nebulosa se le sue allusioni e ambiguit non possono in alcun modo (sebbene riduttivo) essere sciolte; nebulosa se non sa rispondere nulla alle domande pi profonde delluomo. Ogni proposizione filosofica di cui non sia possibile in generale (il che ben diverso dal dire che non sia possibile a me di fatto) capire il senso e il risvolto concreto (adducendo esempi), e che non si possa riformulare e tradurre in modo accettabile alluomo comune, nebulosa. Mistificazione e demistificazione sono come Scilla e Cariddi per il pensiero contemporaneo. La mistificazione (nebulosa) pecca per eccesso di misteriosit: ma il mistero tale proprio perch nascondendosi si rivela, e non perch si occulta in uninaccessibile regione. Il mistero criptico invece un surrogato dellautentica rivelazione del mistero: nella mistificazione lessere non si svela, ma il filosofo a velarlo, perch tramite un gioco di specchi paia che sia lessere a disvelarsi. La demistificazione pecca invece per difetto di misteriosit: per essa tutto chiaro, e il mistero una patologia bisognosa di terapia. Similmente, relativismo e fondamentalismo culturale sono Scilla e Cariddi della nostra attuale societ multirazziale e multiculturale (pensiamo agli opposti atteggiamenti che riscontriamo oggi nei confronti di usanze come la poligamia): ma concepire le culture come assolute e chiuse in se stesse non molto diverso dal concepirle come indifferenti, portatrici ciascuna della propria verit. Per questo, comunicare il messaggio cristiano per traduzione teologicamente paradossale, come testimonia significativamente il problema delle lingue e culture fondamentali nel cristianesimo. Mentre infatti in filosofia non esiste una lingua privilegiata, se non per il suo influsso storico (cos, anche se nata in greco, la metafisica si pu tuttavia dire anche non in greco...), viceversa in teologia, laddove ci troviamo di fronte a un Libro sacro (Sacra Scriptura seu doctrina! [ST1 1.2 ra 2]), la lingua e la cultura in cui tale testo stato scritto ottengono un primato irreversibile su tutte le altre, sebbene lidea di una rivelazione sovrannaturale renda la sapienza divina accessibile a tutte le lingue e culture.
Perci, mai come nel caso di un testo sacro il traduttore traditore, e tuttavia la sua traduzione pu testimoniare la tradizione interpretativa del testo e del messaggio stesso, ed anzi la tradizione autentica, ossia autorevole e normativa (secondo il concetto cattolico di Tradizione). Cos, una traduzione differente o addirittura erronea del testo sacro pu diventare in teologia pi significativa del testo originario

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stesso. Molti testi veterotestamentari poterono venir letti dai primi cristiani come profezie messianiche applicabili a Ges solo nella traduzione greca dei Settanta 10.

In questo contesto, il paradosso del cristianesimo proprio questo: da una parte, secondo la celebre affermazione della antichissima Lettera a Diogneto, i cristiani non si distinguono dagli altri uomini n per lingua n per cultura, ma daltra parte il cristianesimo legato indissolubilmente ad alcune lingue e culture, per la sua fondamentale storicit, che gli deriva dalla fede nellincarnazione del Verbo e dalla conseguente communicatio idiomatum (per cui Dio stesso ha parlato aramaico). Riprendendo e sviluppando una suggestiva immagine bonaventuriana, possiamo dire che le tre lingue (e culture) ebraica, greca e latina, in cui fu composta liscrizione posta sulla croce di Ges, sono rimaste definitivamente inchiodate al suo Mistero 11. Chi perseguisse dunque una radicale de-ellenizzazione del cristianesimo si comporterebbe come quel restauratore che, per togliere le incrostazioni successive da un dipinto, raschiasse via anche parti delloriginale. Infatti, la cultura greca non si semplicemente sovrapposta al messaggio biblico, ma ne entrata in un certo senso a far parte, se consideriamo gli influssi culturali greci nel libro della Sapienza o nelle lettere paoline o nel prologo giovanneo; tanto pi che molto spesso lopera di de-ellenizzazione finisce per sostituire surrettiziamente alla cultura greca qualche altra cultura o filosofia. E se Tommaso ha potuto adoperare Aristotele (e gli altri pensatori greci) nella sua sintesi teologica, questo non stato soltanto per uno sforzo di interculturazione con chi non crede (non [...] ad probandos articulos fidei per rationes, sed ad solvendum rationes, si quas inducit, contra fidem [ST1 1.8 co]), ma anche perch le ragioni e una certa autorevolezza dei filosofi greci sono state in qualche modo e in certa misura assunte dalla Scrittura sacra, sicut Paulus [...] inducit verbum Arati [ST1 1.8 ra 2]. Fatta salva la possibilit del paradosso di una rivelazione eterna nel tempo, da un punto di vista filosofico non rimane che dialogare e discutere. Linterculturazione resa possibile da un medium interculturale: ma esiste un esperanto filosofico, che accomuni oggi tutte le culture, le religioni, le filosofie, come la filosofia aristotelica corretta in chiave creazionista lo era nel tredicesimo secolo? Oggi non pi: ma ci pu essere un accordo sui primi principi a partire da cui discutere del resto. Bisogna correre il rischio del dialogo e dellinterculturazione, sulla base comune dei primi principi (in certis unitas), pur nella tolleranza per le diverse opzioni (in dubiis libertas) fondata non su un relativismo etico e

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Cf Is 7,14; Ps 21,17; Ps 39,7.

Cf BONAVENTURA, In Hexameron 14.19: [Christus] habuit tres filios, scilicet Graecos, Iudaeos et Latinos: quia scriptus erat titulus litteris Graecis, Hebraicis et Latinis (i tre figli sono la Chiesa dalla circoncisione e le Chiese dalle genti doriente e doccidente).
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culturale ma sul rispetto oggettivo della dignit personale (in omnibus caritas). Leibniz auspicava il tempo in cui due filosofi che discutessero potessero dire: Calcoliamo!. Forse oggi potremmo pi realisticamente auspicare di poterci sedere al tavolo per dire: Traduciamo!. 23. Lesercizio dellanimazione e la regola della comunit ideale Il comune precede il proprio, ma il proprio pi perfetto del comune 12. Il bene comune va preferito perch la comunit etica e interpersonale il proprium pi intimamente costitutivo delluomo, che solo in comunit si realizza. La circolarit fra propriet personale e comunit naturale si risolve in quanto (secondo la tesi fondamentale del personalismo) lessere nel suo primo principio Personale, e quanto non personale nellessere come secondario e derivato. La circolarit fra propriet e comunit etica si risolve perch la Prima Persona assoluta in realt una Comunione Tripersonale. Proprio perch la comunit lordinamento di ci che proprio a qualcosa di comune, e perch secondo ci che proprio le cose tendono invece a differenziarsi, necessaria dunque lopera di animazione per fare dei molti una comunit civile o un cuor solo e unanima sola. Il filosofo non pu non essere un politico (e per politico intendiamo ognuno impegnato nellazione di animare o favorire la comunit e la comunicazione interpersonale). Se in generale sapientis est ordinare [SCG 1.1], il governo politico finalizzato a realizzare anche concretamente ed esteriormente lordo intentus (in cui consiste la sapienza), facendone un ordo inductus nella comunit interpersonale. A tale scopo, il politico deve in primo luogo farsi carico dellamministrazione della cosa pubblica: alla luce della sacratissima lex, lamministrazione si traduce nella legge politica del far-fare, e quindi in quello che oggi chiamiamo il principio di sussidiariet. Ma lamministrazione non esaurisce lanimazione. Infatti, il fine della comunit civile non tanto la somma dei beni particolari, ma la realizzazione del bene comune, ovvero il bene della comunit in quanto comunit, che la communicatio in bene vivendo fra i cittadini (con liberalit e amicizia).

Tommaso ha dato i principi di una riflessione politica che per i condizionamenti dellepoca non gli hanno consentito di sviluppare. Ad esempio, la sua decisa affermazione dellautonomia delle realt temporali non si traduce nellaffermazione dellautonomia della sfera politica rispetto a quella ecclesiale, a causa della respublica christiana medievale, ovvero della trasformazione del cristianesimo in cristianit. 138
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Non perci sufficiente (sebbene necessario) un buon governo tecnico, ma occorre un governo sapiente: se infatti il bene supremo della comunit fosse ad esempio la salute, allora a governarla dovrebbe essere un medico; se invece fosse la ricchezza, dovrebbe essere un economista; se fosse invece la cultura o listruzione, a governarla dovrebbe essere un intellettuale o un professore; e cos via: ma poich il bene supremo e comune della comunit la convivenza nella virt, serve un governo politico [cf ORP 1.15.4-5]. Inoltre (riprendendo quanto diceva Platone), finch si trattasse di condurre una nave, o di costruire una casa, o di amministrare un patrimonio, possono occuparsene solo gli specialisti; ma quando si tratta di come animare la comunit, tutti siamo competenti, o almeno dovremmo esserlo. Listituzione (ad esempio, lo stato) non pu eliminare la comunit: la comunit necessita dellistituzione, ma questa funzionale alla comunit. I rapporti politici allinterno delle istituzioni sono infatti regolati dalle leggi, mentre i rapporti interpersonali sono regolati dalle virt, e quindi dalla legge morale. Lo stato in funzione della comunit civile e non viceversa. Pertanto, lanimazione di una qualsivoglia comunit non pu essere disgiunta dalleducazione dei rispettivi membri, e dalla mediazione non solo fra i loro interessi divergenti, ma anche fra le loro convinzioni e culture. Tommaso stesso metteva in guardia dalla tentazione di mettere a fondamento della politica e delle leggi non la verit, bens la apparente utilit della comunit civile (cosa ben diversa dal bene comune) e quindi eventualmente anche la falsit, col pretesto di animare al bene della cosa pubblica [RPS 18]. Quanto poi alleducazione, il politico deve non solo cercare responsabilmente il consenso (interpretando le richieste della gente alla luce dei bisogni effettivi che rivelano), ma anche formarlo mediante la lettura e il rinvio al Libro fondante la comunit (infatti non si d comunione senza riferimento a un Libro e a una Legge), mediante la discussione delle opinioni diverse e mediante ledificazione morale, perch fine della legge la formazione dei singoli alle virt. Per questo vero che ogni comunit ha perlopi il governo che si merita (anche i regimi dittatoriali sono solitamente possibili solo in societ in qualche modo predisposte a generarli o almeno a tollerarli), e che i governanti rispecchiano pertanto massimizzandoli virt e vizi della comunit che governano (cos in un popolo di ciechi il monocolo re, e un popolo di ladri sar governato da ladri); e per il vero politico, se vorr essere anche un educatore del suo popolo, dovr essere invece sulla breccia dinanzi a lui, per farlo avanzare per la mitezza, la verit e la giustizia. La mediazione permette infine lordinamento delle divergenti tendenze personali allunico bene comune, inteso non come la somma dei beni particolari, ma come il bene supremo che la comunit per il singolo (questo il

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senso dellamare il prossimo come se stesso), che solo in comunit si realizza e che solo amando gli altri ama in effetti e in verit anche se stesso. Per lanimazione comunitaria in quanto tale, Tommaso ha formulato (desumendola s da Aristotele, ma trasformandola radicalmente) la regola della citt ideale [cf ST2 105.2 co + ra 1], che cos possiamo riformulare: la comunit ottimale quella in cui le propriet dei beni son distinte ma luso di essi in parte comune per legge, e in parte liberamente comunicato (o messo in comune) dai proprietari. In base alla formula della citt ideale abbiamo quattro tipi di variabili dellanimazione politica, rispettivamente secondo lasse propriet-comunanza, lasse legge-libert (ovvero fra ci che comune per legge e ci che comunicabile liberamente), lasse universalit-particolarit (che determina le dimensioni della civitas o della comunit, ovvero lestensione del comune rispetto al proprio), a cui si aggiunge lasse del cambiamento, fra conservazione o restaurazione e progresso o innovazione (in quanto la comunicazione comporta sempre un dinamismo che si attua nel tempo). Ne consegue che la comunicazione politica articolata in una serie di antinomie: fra comune e proprio, e quindi fra societ e individuo; fra ci che comunicato legalmente e ci che comunicabile liberamente, e quindi fra legge e libert; fra pi o meno comune (ad esempio, fra regione e nazione, e fra nazione e umanit). Inoltre, poich la libert va acquisita nella storia e la comunicazione comporta sempre un movimento (secondo lo sviluppo nel tempo), c lantinomia fra progresso e conservazione. Siccome per non si pu comunicare il principio stesso della comunicazione, la quale perci contempera sempre comunanza e propriet, deduciamo che in queste variabili politiche bisogna sempre rifuggire dagli estremi, i quali del resto finiscono per coincidere. Cos, nellasse di propriet e comunanza troviamo agli estremi il capitalismo sfrenato e il comunismo (che si risolve in un capitalismo di stato); nellasse di legalit e libert troviamo agli estremi il regime totalitario e lanarchia (che si risolve nella dittatura del pi forte); nellasse di universalit e particolarit troviamo agli estremi il cosmopolitismo apolide e il campanilismo, e tutte le forme intermedie, come il nazionalismo, il regionalismo (che si risolvono in un una contraddizione: il nazionalismo esalta il particolare nazionale contro luniversale, ma poi schiaccia i particolari regionali ed infranazionali; il cosmopolitismo apolide volendo livellare i particolari, genera per reazione i pi accesi particolarismi; i localismi portano alla disgregazione e ai conflitti di interessi); infine nellasse del cambiamento la rivoluzione viene conservata con una repressione e la restaurazione pur sempre una rivoluzione. Pertanto evitando ogni estremo e poich in medio stat virtus, in ogni cosa via media tenenda est [cf QDV 11.1 co].

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Insomma, nellanimazione comunitaria il primo errore da evitare la indistinzione o totale comunanza delle propriet dei beni (non solo materiali ed economici, ma anche spirituali), e dei ruoli sociali, mentre al contrario proprio mediante la distinzione ordinata dei ruoli che si aumenta la concordia comune, perch pi persone comunicano alla vita pubblica [ST3 183.2 ra 3]. Il secondo errore da evitare il non prevedere per legge una ridistribuzione dei beni (secondo la loro universale destinazione). Il terzo errore da evitare il lasciare il comunicabile liberamente, di fatto incomunicato; questo errore porta infatti alla riduzione di ogni comunicazione a quella legale o non liberale (laddove il devo comunicare prende il posto del voglio comunicare): latteggiamento del Cireneo, costretto ad aiutare Ges, piuttosto che quello del Samaritano, che si fece prossimo del tale incappato nei briganti. Per evitare questo errore ogni legge comunitaria prevede non solo precetti ma anche consigli, ed opere supererogatorie, e una certa discrezione nella applicazione dei precetti generali. Lantinomia fra conservazione e progresso si risolve poi col nova semper quaerere et parta custodire. Infatti il progresso [cf RSR 1; ORP 1.1] reso possibile perch il singolo uomo non deve ripetere tutte le esperienze della storia, non deve cio ricominciare sempre tutto da capo, ma pu far tesoro della tradizione conservata e tramandata. La stessa questione de magistro [QDV 11.1] ci offre questa visione equilibrata: il discepolo in linea teorica potrebbe imparare da solo tutto quello che gli viene insegnato dal maestro: ma nella pratica questo impossibile; e tuttavia linsegnamento fa ripercorrere al discepolo tutte le fasi della inventio, semplificandole (mediante lallattamento intellettuale e spirituale). Se chiaro che occorre comporre armonicamente le antinomie enumerate, cercando in ogni cosa il giusto mezzo, tuttavia nella vita politica concreta tale medietas raggiunta solo dinamicamente, come risultante delle opposte tendenze a destra e sinistra. Per questo anche nella societ ci deve essere una divisio gratiarum, giacch quod addiscis ab uno non addiscis ab alio. In questo consiste la differenziazione fra partiti nel sistema politico13. E questa differenziazione non solo non esclude ma anzi esige una certa dialettica, giacch diversitas opinionum non repugnat amicitiae, a patto che sia una diversitas in opinionibus e non in principiis (se si contestano i principi, non solo quelli logici, ma anche quelli del viver sociale propri di una determinata comunit, non si pu pi comunicare): pertanto, anche qui, in certis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas. In un contesto di civitas humana in cui abbiamo il massimo di differenziazione delle proprietates e il massimo di libera comunicazione, in cui alla tecnocrazia si affianca lesigenza di animazione e quindi di educazione e di
Cf Norberto BOBBIO, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Roma, Donzelli 21995.
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mediazione, il filosofo (inteso non come professore di filosofia ma come sapiens) avr un ruolo insostituibile. Egli dovr mediare non solo fra i diversi interessi in conflitto nel gioco politico, ma anche fra le proprietates delle persone, e in particolare fra i diversi valori e le diverse culture in gioco. La mediazione culturale, non va limitata alla determinazione del minimo comune alle diverse posizioni, ma possibilmente estesa al confronto critico delle singole posizioni al fine di realizzare lunit nei principi certi e comuni a tutti (certi da un punto di vista naturale, secondo quanto possibile), la libert nelle convinzioni quoad nos e naturaliter opinabili (per il credente la fede sovrannaturalmente certa, ma naturalmente, per la sola ragione comune a tutti, solo opinabile), la tolleranza e il rispetto in tutto. La tolleranza non va fondata per sul relativismo della verit o sullincertezza della conoscenza (perch allora, tra laltro, la tolleranza stessa sar relativa e opinabile), ma sulla assoluta dignit della persona umana.
La tolleranza pu essere davvero fondata solo se rientra in uno di quei principi certi sui quali si richiede lunitas; viceversa non risulterebbe affatto fondata se si appoggiasse solo sul dubium (se affermiamo la libertas in dubiis senza affermare lunitas in certis, ne verr che tutto sar dubbio, e dunque tutto opinabile secondo larbitrio del singolo, e cos pure la tolleranza).

Il politico dovr mediare trovando il medio interculturale comune: non tanto nel senso del minimo comun denominatore (perch allora la mediazione scadrebbe spesso in un compromesso che scontenta tutti), ma nel senso di fondamento pi originario, cercando quellunit che rende possibile la comunicazione. Alla base della vita politica deve esserci di certo unetica della comunicazione, tale cio da tener sempre aperta la comunicazione: ma a patto che il soggetto incomunicabile e comunicante sia quello ontologico e spirituale; altrimenti, non sarebbe garantita la comunicazione anche di chi non ha voce, dellinfans, ovvero di chi non comunica in actu exercito, ma pure ha la capacit ontologica di parlare e quindi la dignit personale. Come si diceva, dopo aver contemplato il mondo, bisogna sforzarsi di cambiarlo, ma possibilmente in meglio, secondo lesemplare che si contemplato. E tuttavia, questo non senza difficolt: cominci con lintenzione di cambiare il mondo, e alla fine ti accorgi che il mondo ha cambiato te. Pertanto, lunico modo di cambiare veramente (in meglio) il mondo di cominciare a cambiare (in meglio) se stessi. Pertanto, non si realizza la comunit senza aver costruito interiormente la persona. La comunit non consiste infatti in relazioni esterne, ma in un cuor solo frutto di una comunicazione delle volont. Per questo non si d politica senza ascetica; per questo il vertice degli exercitia per ricercare e comunicare la sapienza lascetica filosofica, ovvero ledificazione.
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24. Il terzo e fondamentale esercizio educativo: laedificatio Una filosofia che non sia edificante ha fallito il suo scopo primo: Solo la verit che edifica una verit per te. Il silenzio cos il culmine e la fonte della ricerca della sapienza: La sapienza dello scriba dovuta alle sue ore di quiete, e solo chi impara a contare i propri giorni giunger alla sapienza del cuore; per questo chi si dedica alla sacra doctrina deve avere il tempo di farlo [cf Eccli 38,24-25; Ps 89; QDL 7.7.2 ra 7]. Questo il principio sabbatico applicato al filosofare. Lermeneutica in ultima istanza la manuduzione e reduzione dai verba hominis allunico Verbum:
Ex uno Verbo omnia, et unum loquuntur omnia, et hoc est principium quod et loquitur nobis. Nemo sine illo intelligit aut recte iudicat. [...]. O Veritas Deus! [...] Taedet me saepe multa legere et audire; in te totum est quod volo et desidero. Taceant omnes doctores, sileant universae creaturae in conspectu tuo! Tu mihi loquere solus [De imitatione Christi 1.3.1].

Al filosofo non resta dunque che alzare la vela, se mai venga un alito di vento ad ispirarlo, e condurlo a compiere la sua navigazione, e ad arrivare felicemente in porto.

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