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Claudio Magris Lei dunque capir Garzanti Lei dunque capir il racconto di un amore totale e fallito, di un'unione struggente

e e rifiutata; la donna che parla da un'oscurit misteriosa mostra una forza tenera e spietata nello svelare la grandezza e le meschinit della vita e della morte. Un acre e dolorosa consapevolezza della passione, delle sue gioie e miserie, la porta - nel ricordo della felicit condivisa, che non vuol distruggere con l'angosciosa conoscenza acquisita - a non incrinare le imperiose sicurezze dell'uomo amato, a rinunciare a lui per proteggerlo, in una stanchezza che nessuno, tranne il nascosto interlocutore cui si rivolge, pu capire. Claudio Magris si muove tra esperienza personale e mito, tra volont di fuga e intensit della presenza, tra leggerezza e tragedia, tra volont di sapere e ==interrogativi cui non si pu rispondere. Con una scrittura sapiente e limpida, dall'impatto quasi musicale, Lei dunque capir d voce a una straordinaria figura di donna, vittima e prevaricatrice, in un disincantato e toccante omaggio alla femminilit. Claudio Magris Lei dunque capir Garzanti Prima edizione: aprile 2006 Prima ristampa: maggio 2006 ISBN 88-11-59789-7 (c) Claudio Magris 2006 (c) 2006, Garzanti Libri s.p.a., Milano Printed in Italy www.garzantilibri.it

A Francesco e a Paolo

No, non sono uscita, signor Presidente, come vede sono qui. Ancora grazie per il permesso

speciale, davvero eccezionale, me ne rendo conto, non creda che non Le sia grata; anche lui era tutto emozionato, non avrebbe mai creduto di ottenerla, quando l'aveva chiesta, l'autorizzazione a entrare nella Casa, a venire a prendermi. Certo temeva di non averLa ringraziata abbastanza, tanto che qualcuno - non ho visto bene chi, in questa luce fioca; qui dentro si vede poco, un'ombra scivola via prima che la si possa guardare in viso, a parte che tutti si assomigliano, ci assomigliamo, logico, in una Casa come questa - qualcuno ha creduto che lui all'ultimo momento volesse tornare indietro per ringraziarLa ancora una volta di questa Sua concessione e che fosse stato per questo che... Se poi andata com' andata, non colpa di nessuno - cio colpa mia, comunque non importa chi e cosa faccia uno qui dentro. Almeno cos pensano quelli che stanno l fuori, per i quali non contiamo proprio pi nulla. Per lui invece s contavo e conto, eccome, se si presa la briga di venir fin quaggi e non si arreso, come gli altri, ai severi regolamenti della Casa di Riposo che vietano agli ospiti - nel loro, nel nostro interesse - di ricevere visite e di mettere a repentaglio la propria pace e la propria tranquillit, figuriamoci poi di uscire, si capisce, ci mancherebbe, trovarsi in quella bolgia, in quel caos di traffico e di gente maleducata o peggio, per non parlare del tempaccio, da cui qui almeno siamo al riparo. Ma lui mi vuole proprio bene, innamorato come il primo giorno; ha preso una bella scuffia e non poteva stare senza di me, da quando la mia salute, peggiorata di colpo, mi ha costretta a farmi ricoverare nella Casa di Riposo - bella, comoda e ben attrezzata, niente da dire - e piangeva e sbraitava e si lasciava andare, barba lunga e senza nemmeno cambiarsi di biancheria. A ogni amico che incontrava attaccava un bottone sulla sua disgrazia e solitudine; non gli bastava sapermi vicina e ben curata, meglio l che a casa o in ospedale, diceva, questo sicuro, per io da solo come faccio, giro per le stanze vuote come fossero di un altro, di un estraneo, se apro un cassetto sempre quello sbagliato, mi scaldo il caff del giorno prima, disgustoso, e il letto, il letto vuoto... Dalla sua parte vedo ancora il lieve avvallamento del suo corpo, si esaltava; impossibile, lo so, le lenzuola sono state cambiate chiss quante volte da quella volta, ma l, s, l, ripeteva, quel vuoto leggero accanto a me, con me, la sua assenza al mio fianco, compagna della mia vita, neanche i libri riesco pi a trovare, era lei che li teneva in ordine, no, non potete capire...

Dopo un po' anche gli amici se lo levavano di torno, quella malinconia instancabile dava fastidio alla gente e anche quel suo battersi il petto, quel suo accusarsi di chiss quali colpe... naturale, dicevano, facciamo tutti cos, quando uno sta male mica possiamo far altro, le Case di Riposo ci sono per questo, per i nostri cari, per il loro bene quando stanno male, perch quando stanno male - e Dio sa se non stavo male, con quella maledetta infezione, neanche mi avesse morsa un serpente velenoso, un fuoco e un gelo e uno svanire in tutto il corpo - non sappiamo come aiutarli, cosa fare di loro. Per questo esistono le Case di Riposo. Bisogna rassegnarsi, anzi essere contenti e in pace con la propria coscienza, quando li accompagniamo e li affidiamo a quel personale cos qualificato. Ma lui no, al cuore non si comanda, diceva, il cuore si spezza, e se gli dici di non spezzarsi si spezza lo stesso, come il mio, protestava, ah, non ce la faccio, saperla l, in quell'ambiente, in quei cameroni o in quelle stanzette, in quell'alveare, lei in mezzo a tutti quegli altri, incartapecoriti come mummie, sporchi; so che li puliscono subito, tutto sempre tenuto in ordine, anche il giardino, ma intanto lei, lei cos bella e delicata e trasognata - s, mi vede cos, proprio un tesoro d'uomo, il mio uomo - con quel suo viso e con quel suo sorriso inscalfibile dagli anni, in mezzo a tutti quegli altri - lei magari star anche bene, aggiungeva, non le manca niente/ lo so, per io, io come faccio senza di lei, beata lei e misero me, piet piet dell'infelice amante... Se pensate che esageri, diceva agli amici, vuol dire che non avete cuore n sentimento, non avete poesia nel cuore, chi potr giammai capire la mia pena e il mio tormento, la sofferenza, il dolore di un poeta... E si metteva a scrivere, su quei suoi quaderni che conosco bene; scriveva il mio nome e poi qualcosa d'altro e di nuovo il mio nome e ancora qualcosa, ma dopo strappava il foglio e lo buttava via, perch capiva che non gli veniva niente da dire. Di queste cose se ne intende, ce l'ha nel sangue, si accorge subito se gli vengono fuori delle banalit - lui si sempre perdonato tutto, con le donne poi si permetteva di cambiare le carte in tavola come gli pareva e pretendeva anche di essere compreso e compatito, cos sensibile e vulnerabile com'era... - ma con le parole no, non si perdonava niente, sentiva subito quando non andava e non tirava a fregare. In fondo, solo quando eravamo insieme si

sentiva tranquillo, sicuro - anche di quello che scriveva, dopo che me l'aveva letto e aveva visto nei miei occhi - anzi, diceva, sulla tua bocca, quando le labbra prima un po' imbronciate si dischiudono lievemente, quasi un sorriso, no, non ancora, ma... - Io gliele sforbiciavo, certo, le sue parole - lui, eccessivo e smodato e magnanimo, com' sempre stato, profondeva parole a piene mani e io gliele sbucciavo, buttavo via la scorza, il torsolo e anche tanta polpa, quando era necessario. Lui non ne sarebbe stato capace, avido e incontinente e compulsivo com'era, sempre un boccone e un bicchiere di troppo, ma da me si lasciava mettere a dieta e sapeva che, se restava qualcosa sul piatto dopo che avevo passato tutto al setaccio, era veramente qualcosa di buono. Con te, diceva, vicino a te so chi sono e non sono niente male. Se lo hanno viziato con tutti quegli allori e quei premi letterari, merito mio, che gli ho ripulito le sue pagine di tanto grasso e di tanta pappa sentimentale - ah, quanta zavorra finita grazie a me nel cestino, magari fra la carta straccia mi sar scappato anche qualcosa di bello, chiss, be', pazienza, cos impara. Lui, comunque, zitto - era sempre d'accordo con me, aveva fiuto per queste cose e riconosceva il mio fiuto e se si accorgeva che qualche volta mi sbagliavo - oh, quasi mai - continuava a star zitto, non rischiava certo di litigare per una riga in pi o in meno. Ero la sua Musa e a una Musa si obbedisce, no? Un poeta ripete fedelmente quello che lei gli detta e cos si guadagna il lauro. Poi lo porta a casa e la sua Musa glielo mette nell'arrosto che gli prepara con tanto amore, perch cos viene pi saporito. Lui, nella confusione fra un alloro in testa e uno nel piatto, ripeteva anche a casa, a tavola, quello che dicevo io. Dio mio, chiacchierone com', ampliava e amplificava e ci aggiungeva del suo e io lasciavo che tenesse banco, specie se c'era gente, e anzi ero orgogliosa di quella sua parlantina cos vivace e pimpante - quella che mi manca tanto qui dentro, tutti silenziosi o a bisbigliare come in chiesa - ero orgogliosa di sentirlo ripetere, infiorate esagerate e gonfiate, le cose che gli avevo detto io. Anche se le metteva in ridere, per far colpo sulla compagnia, lo lasciavo fare, tanto sapevo che sulle cose essenziali, mettersi la maglia, smettere di fumare e di giocare a carte con quegli altri scioperati, essere meno spendaccione, piantarla con la politica e non far tardi la sera, stava zitto, come quando gli eliminavo una pagina o un capitolo o una poesia, per esempio tutte quelle scritte per quella squinzia tre anni fa.

Ero orgogliosa che tutti lo ammirassero e non mi importava che non sapessero che era merito mio, che lo facevo rigar dritto. E mi fa una rabbia, adesso, che, con la scusa del dolore e dello strazio, si lasci andare a tutte quelle indecenze da cui lo avevo ripulito una a una, come i fili della giacca o i peli del naso - s, l'ho rimpannucciato e cambiato dalla cima dei capelli alla punta dei piedi, da quando ci siamo messi insieme, che nessuno lo riconosceva pi; sono sicura che anche lui, a vedere la sua faccia nello specchio, cos in ordine, restava a bocca aperta. Ed stata una bella faticaccia, ma quel viziato, invece di essermi grato... Pazienza, il destino delle donne. Tanto... Ma che adesso di nuovo unghie nere, barba lunga, ore piccole e poi a letto fino a mezzogiorno... insomma, fa quello che vuole, come un giovanotto senza arte n parte, sempre in disordine... Ah, se fossi uscita, mi sarebbero bastati un paio di giorni... So, so che qualche volta non ne poteva pi... perch, e io no? Ma... ma lo sa anche lui che, a parte tutto, fra le sue braccia che sono diventata una donna ed fra le mie che lui diventato un uomo... un uomo vero, non un narciso guardingo; uno che va per la sua giusta strada e non ha paura di cosa gli potr capitare. Da quando sono qui, per la verit, ho sentito dire che diventato insopportabile, piagnucoloso e supponente; chiede aiuto a tutti e non ascolta nessuno e pretende che lo stiano ad ascoltare e lo ammirino solo perch non sa che pesci pigliare. Ma se ci fossi io... E chiss poi come far adesso che non gli posso pi battere a macchina i suoi versi... Faccio troppi errori, diceva, me la cavo troppo male, una vergogna, per era anche comodo, cos toccava farlo a me e intanto lui leggeva il giornale o andava a bersi una birra. Adesso, senza di me, se ne accorger - quelle donne che vanno a sentirlo ogni volta che legge qualcosa di suo in pubblico o fa una conferenza se lo coccolano, se lo brancicano - quelle stupide adorano chi sa mettere due parole in rima e s'illudono che l sotto ci sia chiss che grande cuore - se lo abbracciano, se lo tirano di qua e di l, finir che a una le resta in mano la giacca e a un'altra un braccio, gli fanno firmare i libri, gli scrivono lettere esaltate e lui risponde a tutte, anche lui in toni ispirati. Qualche volta mi pregava di rispondere per lui, a nome suo, e mi divertivo a farle gongolare ancora di pi e a tenerle sulla corda - per vorrei vedere se si mettono a scrivere a macchina o al computer per lui, a copiare i suoi scartafacci illeggibili, quella sua grafia da nevrotico.

Per innamorato e testardo, come un vero nevrotico. bello essere amata da un nevrotico, d sicurezza. Sai che non gli passer, un'idea fissa resistente a tutti i colpi della vita. Non credo che me ne sarei cos innamorata se non fosse stato cos nevrotico. Lei ne sa qualcosa, signor Presidente, della sua ansiosa pignoleria. La sua domanda per ottenere il mio permesso di uscita, con tutti i bolli e timbri in regola, il suo ricorso dopo il vostro primo rifiuto, con i nuovi allegati e la puntigliosa contestazione dei vizi di forma del vostro documento, sempre con quel sapiente dosaggio di precisione burocratica, maniacale formalismogiuridico e improvvisi voli di fantasia e slanci di passione, destinati a far colpo sul Consiglio di Amministrazione della Casa di Riposo - anche se voi, e soprattutto Lei, signor Presidente, non vi lasciate impressionare da belle frasi, suppliche e preghiere da far piangere i morti. Lei, Presidente, conosce meglio d'ogni altro il cuore umano. da tempo immemorabile, un'eternit, che lo vede gonfiarsi pomposo, sussultare esaltato, aprirsi entusiasta quando fa comodo e chiudersi arido quando si tratta di pagare veramente dazio - sempre in buona fede, per carit, tutti sono compiaciuti di soffrire per la loro ipersensibilit e di intenerirsi dolorosamente vedendo soffrire quegli altri che hanno innocentemente ferito. Come si pu farne a meno, la vita; certo triste veder afflosciarsi i fiori che il destino crudele ci ha fatto calpestare, ma... - Anche lui, se per questo, non si faceva scrupolo di qualche innocente e infatuata ragazzina. Se strappava qualche fiorellino, si convinceva che, in fondo, potevano essere fiere di adornare la ghirlanda di un poeta, no? Come? Non La sento bene, Presidente, mi scusi. oooE che non La vedo, in questo buio capisco, capisco, non taccagneria della Casa, che tanti dormono, mica volevo protestare, ci mancherebbe, sarei una bella ingrata, dopo aver ricevuto quel permesso eccezionale, eccezionalissimo, una vera grazia, che se poi non ne ho approfittato solo colpa mia. Anzi, questa luce velata, opaca, mi piace; mi sembra di essere sul fondo del mare, dove tutto fermo, immobile, anche il tempo. Ci piaceva tanto scendere insieme nell'acqua blucupa, subito profonda, in riva a quella nostra isola; forse solo l sotto, nella fissit di quegli istanti lunghi come secoli, siamo stati felici. Ma allora anche qui dentro, qui sotto, in questo quasi buio... Comunque volevo solo dire che non La vedo, signor Presidente, non so dove Lei sia, e cos magari mi volto

dalla parte sbagliata e ogni tanto le Sue parole mi sfuggono. Ah, voleva chiedermi se anche con me stato cos, se ero anch'io uno di quei suoi poveri fiori vezzeggiati, stropicciati e, una volta non pi freschi, fatti sparire... Neanche per idea, stia tranquillo, io no. Del resto altrimenti lui non si sarebbe sobbarcato questa faticaccia di venire fin qua dentro, fin quaggi; una cosa da fare spavento, infatti nessun altro se l' mai sentita - solo lui, per me, per me che non sono un fiore da cogliere, diceva, ma una fiamma cui scaldarsi il cuore o anche bruciarselo, un vino aspro e dolce che lo dissetava e gli lasciava con ogni sorso una grande arsura, una grande estate... Gli ho insegnato io tutto, a restare a lungo in me, prima e dopo, ad attendere che gli permettessi, che gli ordinassi di venire, e tutto il resto. Quando facevamo l'amore, era come un mare, una grande onda che culla solleva sprofonda si rompe sulla riva; lui senza di me sarebbe ancora un bambino, uno che fa all'amore come soffiarsi il naso, non un uomo. S, gli ho insegnato io tutto. Non solo l'amore. Anche quello, si capisce, ma pure tutto il resto, il coraggio, la fedelt, guardare il buio e fregarsene della tremarella... - un uomo, non uno scribacchino che fa il gradasso con la penna e poi se la squaglia. Entrava in me come una spada, docile e possente, signore e schiavo e compagno e tutto - l'ala di falco squarcia il cielo, odore di umida terra, mio, suo, foglie si arrotolano nel vento. Con quella spada non hai pi paura di niente e anche lui, fra le mie braccia e le mie gambe, dimenticava le sue paure, e s che ne aveva, ma se le buttava dietro le spalle, come faceva con i vestiti quando andavamo a letto. Che pena mi fanno quelli che hanno paura, che si agitano per un granello di troppo sotto il seno o nella pancia, per uno scarafaggio sotto la tavola o per un giro d'aria; la gente piena di tic, vuol dire che non fa l'amore al modo giusto, se no quelle manie le passerebbero, io mica ho fatto tante storie per quella brutta infezione anche se Dio sa che mi dispiaceva, ma mica si pu dare in ismanie come un'isterica per ogni biscia che ti trovi tra i piedi anche se ti vengono a prendere quegli sbirri vestiti di nero e ti sbattono in quelle loro macchine nere ti fanno solo pena, come tutti i carcerieri i guastafeste e i capoccia di questo mondo. E se mi veniva un brivido, naturale, capita, mi bastava pensare al suo... Scusi, Presidente, non intendevo prendermi confidenze e tanto meno essere poco

educata. Me l'hanno detto e ripetuto tante volte che di queste cose non si deve parlare. Con Lei, poi, sarebbe una sfrontatezza, un'indecenza. Per... ecco, anch'io, una volta, credevo che Lei fosse molto severo, puritao, uno che punirebbe Adamo ed va soltanto perch magari facevano all'amore in quel bel giardino, che solo a vedere tutti quei bei fiori, quelle corolle aperte, ti doveva venire una voglia come neanche noi due quell'estate in riva a quel mare... Insomma, Lei passa per uno che non vede di buon occhio le classi miste. una calunnia, posso testimoniarlo, anche se Lei se ne infischia delle bugie e delle volgarit che si dicono sul Suo conto. Da quando sono qui, in questa grande casa non l'ho neanche visitata tutta, macch tutta, nemmeno una piccola parte - mi pare che non sia cos, che Lei non badi a quelle cose, anzi, che Le faccia piacere se due... Comunque non se ne impiccia. Mentre su altre faccende, invece - come litigare, mentire, far male a qualcuno - si capisce subito che non transige, diventa un castigamatti. Sar anche perch non c' troppo da preoccuparsi, qui dentro, che qualcuno allunghi le mani sotto le gonne o fra i pantaloni... con queste luci cos basse e questo freddo e cos poca aria siamo tutti un po' mogi, se no non saremmo qui, del resto, e non che ci sia fra noi una gran voglia di scop... insomma dei piaceri e dei peccati della carne. E cos Lei, nel governo della Casa, non ci bada e lascia correre qualche innocua promiscuit. Almeno credo, perch non ne abbiamo mai parlato. Per forza, non L'ho mai vista. Questo mi ha un po' stupita, devo dire. Che l fuori Lei non si faccia vedere, ovvio. Magari andr a spasso travestito, anzi, di sicuro, non mica un ricoverato come noi, Lei, ma non pu certo correre il rischio di farsi riconoscere. Se lo immagina? Tutti addosso, a domandare ringraziare protestare raccomandarsi insultare chiedere scusa rinfacciare tirar fuori lamentele e questioni e pasticci e disgrazie di chiss quando... neanche Lei, cos autorevole e temuto, se la caverebbe facilmente. Ma qui dentro, nella Casa, la Sua faccia potrebbe anche mostrarcela - cos, giusto per rassicurarci, ecco, sono qui, tranquilli. Dopo tutto Lei il Presidente della Fondazione che provvede alla Casa, il primo e finora unico Presidente, quello che ha messo su tutta la baracca, dentro e fuori, per amor nostro... E invece non si fa mai vedere, qui dentro, chi L'ha mai vista. Sar colpa di quelle luci cos soffuse e velate da sembrare spente - che poi, scusi, magari suggestivo e a me personalmente non dispiace, ma non di buon gusto, talvolta pare di

essere in una discoteca equivoca, l non si capisce niente per via di quella musica a tutto volume, qui tutti stanno zitti o parlano cos piano che non si capisce nulla ugualmente. Ma, a parte le luci, non che ci sia poi una gran differenza tra la Casa e l fuori, come si crede o almeno come la Casa reclamizza, nelle sue filiali e nei suoi uffici di rappresentanza, nelle sue agenzie cos numerose. Non bisogna credere a quei piazzisti; li capisco, rifilare patacche il loro mestiere, tengono famiglia, ti mostrano dpliant e fotografie e quadri, spiagge meravigliose cicli senza nuvole, il biglietto per i paradisi costa poco, comodit e decoro assicurati e sconti per le famiglie, quando il caso, vedr, signora, laggi tutto diverso, la vita vera che la nostra societ falsa e bacata ha inquinato. Adamo ed Eva hanno fatto porcherie dappertutto e i loro figli e nipoti ancora peggio, il mondo malato e guasto, montate in macchina - anche quella messa a disposizione dalla ditta, inclusa nel prezzo - e partite, non ve ne pentirete, non potete neanche immaginare come vi troverete bene, tanto la Casa diversa. E invece non mi sono quasi accorta di essere da un'altra parte. Le strade, per esempio, si assomigliano, sono quasi uguali. Scure di gente che cammina, si sfiora, si urta, si guarda bieca e sospettosa, scompare fra le case e nei corridoi, un fiume che scorre fra anse e curve, s'ingrossa o si assottiglia fra le rive anche se le rive non si vedono, non ci sono. L'acqua brilla per un attimo nella luce, sparisce nell'ombra; una nuvola, il soffitto si abbassa, la marea bruna ti rovina addosso, ti travolge ma non ti fa male, l'acqua soffice come nebbia, anche la folla che ti preme soffice, corpi di tenero fango che ti si squagliano fra le mani e svaniscono prima che tu li abbracci. La corrente veloce, gli alberi chinano le loro fronde e i loro rami sull'acqua, ti sferzano il viso ma solo una lieve carezza di foglie subito dissolta; un viso ti passa accanto, ti sorride incerto ed gi sparito nella cedevole ressa, figura di fumo. Il cuore si stringe. Amor mio, fammi scudo... Quella domenica nella citt dov'eri soldato - ieri, oggi, mille anni fa, qui ci proibito avere orologi e calendari, ce li sequestrano all'entrata, tutto adesso e mai - oddio soldato, eri in divisa, con tutti quei libri che avevi scritto ti avevano messo subito a fare lo scrivano, in fureria; anche se facevi molti errori non ti importava, perch non si trattava delle tue canzoni; a te la macchina da scrivere ti piace cos com', le tue dita sui tasti come

colpi del destino, le lettere e i numeri che scorrono sulla carta. Ti sempre piaciuto scrivere, non importa cosa, scrivere punto e basta; il gesto che conta, gesto di poeta, gesto da re, sovrano arbitrio sulle povere vocali e consonanti che saltano fuori a comando e si mettono in fila, avanti marsc', fila destr, rompete le righe. Appallottolare il foglio e buttarlo nel cestino; ma questo, l, in caserma, non lo potevi fare; ogni foglio era giusto e sensato e lo mettevi in ordine nelle mappe e nei registri. Magari fosse stato sempre cos anche fuori dalla caserma, anche finito il servizio militare; ogni parola ogni frase ogni pagina giustificata e necessaria come in quei registri, una forte e bella canzone della vita. Invece fuori, in libera uscita, smessa la divisa, in congedo, le canzoni, anche le tue, si confondono nel vociare e nel brusio, tutto un chiacchierare che si perde per strada; anche inutile alzare la voce, ancora peggio, un'enfasi stridula, un giro d'aria sparpaglia le pagine sul tavolo e le disperde chiss dove. Anche adesso che l fuori gridi straziato il mio nome, o uno di quei tanti nomi che ti piaceva darmi precipitando in me, la mia Euridice, dicevi, la mia... - anche adesso che gridi e piangi l'amore perduto, in rima con lo scorrere delle acque e il fruscio delle foglie o in versi sciolti e selvaggi come i clacson per strada, chiss cosa ne vien fuori... In caserma, invece, tenevi le carte in ordine; anche il maresciallo furiere era contento di te e ti dava volentieri permessi di libera uscita, quando venivo a trovarti. Come quella domenica... le strade piene di gente, spingevano, urtavano, talora nella ressa ci separavano. Noi due timidi ardenti vergognosi a cercare una stanza, a ritagliare dall'universo che mostrava le zanne un infimo spazio per noi, solo per noi, piccolo e angusto da poterci stare solo stretti, abbracciati. Far l'amore per terra, sulla sedia vicina alla brocca d'acqua nella stanza di quella vecchia mezzana; un'ora, disse con oscena familiarit, sapeva che rumorosa la vita, adulta ostile minacciava la nostra giovinezza - no, non sono tuoi quei versi, amore mio, forse neanche li conoscevi, te li ho ricordati e detti io, tra quella folla, e tu non ti stancavi di ripeterli, hai sempre avuto l'istinto sicuro della grandezza, e li hai cantati e ridetti sulla tua lira. Cosa importa che non fossero tuoi, erano tuoi, dicevi; il canto parla per tutti, anche per me che non saprei mai creare quei versi. Lo sapevi che la poesia non mai solo tua, come l'amore, ma di tutti; non il poeta che crea la parola, dicevi e declamavi, la parola che gli piomba addosso

e lo fa poeta, cos magari anche un poco ti consolavi, povera canna in cui senza suo merito soffia il dio come in tutte le canne, anche in quelle pi grandi e melodiose ma non per loro virt. Cosa importa di chi quel canto se parla per te, per noi, cosa importa da dove viene l'acqua che ti disseta e diventa tua nella tua bocca? Anche tante mie parole sono finite tra i tuoi canti, tra le tue rime pi celebrate e ammirate da tutti, e io ne sono felice, perch sei tu che le dici e cos mi ami ancora di pi... Siamo saliti svelti per quelle scale, per non perdere minuti e secondi preziosi di quell'ora pagata in anticipo; ho avuto piet della ruffiana che sogghignava, povera illusa, convinta che quei due, noi due, come tanti altri, dopo qualche fremito e qualche macchia sulle lenzuola saremmo scesi per quella scala estranei, indifferenti, frettolosi di salutare e di sparire ognuno dietro il suo angolo. Povera vecchia illusa; magari andasse sempre cos, i soldi nella sua mano sudata, un rapido ansimare, qualche giochetto fuori regola, ognuno ha il suo, cuore tranquillo, in pace, assente, non c' e tutto va bene, il mondo un htel de passe, un paradiso, nessun morso in cuore, nessun addio. E invece, anche nella pi stanca abitudine, nel pi lurido vizio, quella fitta d'amore, quegli occhi stranieri e perduti che per un attimo dicono tutto ci che manca... La felicit, il vuoto, la catastrofe, la pienezza insostenibile di stare insieme... Quando era ormai chiaro che stavo per trasferirmi nella Casa e tu passavi le ore al mio letto, mi vedevo cos bella, nei tuoi occhi; mi desideravo attraverso il tuo sguardo; sapevo di essere bianca e pallida, spossata da quel veleno, ma nei tuoi occhi ero ancora bruna di sole e di mare come quando andavamo su quella nostra piccola isola, la raggiungevamo a nuoto e sbarcavamo fra lo stridere dei gabbiani, nudi e splendenti come di. Tu eri seduto ai bordi del letto, ti ho preso la mano e mi sono fatta accarezzare sotto le coperte; la tua mano affondava in me, il pescatore scendeva nella grotta marina di nuovo umida e stillante, ti guidavo in quella profondit, senza paura, io non ho mai avuto paura dell'amore, tu invece s, uomo di poca fede, ma io ogni volta ti tiravo fuori dalla voragine dell'angoscia facendoti precipitare in me, entrare, penetrare nella mia fonda oscurit; quando scendevi nella notte scura del mio grembo ritrovavi la tua chiarit, la tua libert e sicurezza. Come in quella grotta marina della nostra isola, dicevi; ci si tuffa nelle tenebre e ci si trova in una meravigliosa luce azzurra.

Anche quella volta, all'inizio, esitavi a sprofondare in me; la tua mano era incerta sotto le coperte, la mia che l'ha guidata e spinta dentro. Entrando in me sentivo che risalivi dal fondo della tua paura, che ritrovavi forza e coraggio; la tua mano prima cauta si faceva ardita e forte, quel piacere notturno sulla soglia della grande notte che stava calando su di noi era incontenibile, in quella tua mano ho goduto come forse mai - vai al mare, ti ho detto poco dopo, in quella nostra baia cos blu da sembrare nera - dopo aver fatto l'amore, in quell'isola, andavamo sempre a gettarci in mare - va', fallo anche per me, ogni tuo piacere anche mio e ti restituisce a me pi forte e pi uomo. Senza quella volta sotto le coperte - l'ultima, poi quel veleno nelle mie vene ha vinto - non avresti forse avuto il coraggio di entrare qui dentro, di scendere a cercarmi quaggi, nella Casa, in quest'altro antro di tenebra. Ecco, signor Presidente, alla notizia di quell'incredibile, unico permesso, mai prima accordato a nessun altro, la prima cosa che ho pensato che saremmo andati di nuovo insieme al mare. Come dev'essere stato bravo, pensavo orgogliosa, chiss come avr fatto a commuovere pure Lei, signor Presidente, Lei cos misericordioso ma anche giusto e severo, Lei che scruta i cuori e non si lascia certo ingannare dalle sceneggiate e dalle lacrime facili, come tanti l fuori, pronti a farsi fregare da uno col cuore in mano. Anzi, devo dire che, se avessi saputo di quella sua idea temeraria, pazza, grandiosa di venire qui dentro e di presentarsi a Lei con quella richiesta inaudita, sfacciata, avrei avuto paura che Lei s'infuriasse e prendesse tutto per una bravata. Lo conosco, il mio uomo, anche quando si lamenta per il mal di pancia sembra una tragedia. Anche a me talvolta dava fastidio e anzi con me non si permetteva quelle scene, gliene facevo passar subito la voglia. Adesso invece mi dicono che straparla di nuovo... Per... ecco, pochi si accorgono di quanto vero dolore e passione e amore ci siano in quelle sue recite. Gi, non sono poeti, loro, e non possono capire chi poeta. Ma Lei, Presidente, dev'essere certo un poeta, nascosto e grande, anonimo, come quei grandi poeti antichi, che non si sa chi erano... Dunque, se ha lasciato che venisse a prendermi, deve aver letto il suo cuore meglio di me, perch talvolta anch'io... Gli sono andata dietro subito; quel pensiero del mare mi aveva messo le ali, camminavo e salivo veloce le scale in penembra, attraversavo

i lunghi corridoi, i pianerottoli e disobblighi ingombri di borse, di valigie e di pacchi, tutta roba che cerchiamo di portarci qui dentro e che invece, secondo il regolamento, dobbiamo consegnare al personale. Chiss che cosa ne fanno, poi, di quei bagagli, visto che pure proibito restituirli alle famiglie. Forse restano semplicemente l, abbandonati in un angolo, a consumarsi e a marcire finch spariscono. Altrimenti avrebbero da tempo occupato e intasato tutta la Casa. Camminavo, correvo, incespicavo in qualche pozzanghera, lo seguivo, inseguivo, non vedevo l'ora di parlargli, di guardarlo negli occhi. Ma era proibito e ne capivo i motivi. Se gli altri avessero saputo di quella visita impossibile, mai concessa a nessuno... forse una volta, dicono, tanto tempo fa, ma una di quelle storie che si raccontano ai bambini per farli stare buoni, per far loro credere che non proprio impossibile e che dunque stiano tranquilli e fiduciosi, ma accaduto tanto, tanto tempo fa, cos tanti anni fa che come se non fosse accaduto mai o forse s ma cos tanto tempo fa che si pu sperare ma con pazienza, tanta pazienza, perch prima che succeda di nuovo deve passare altrettanto tempo e dunque non il caso di agitarsi. Ma se avessero saputo che lui invece era venuto qua dentro, quaggi, in carne e ossa, per me, se ci avessero visti insieme, si sarebbero scatenati chiss come. Dio mio, scatenati. Non fanno, non facciamo paura a nessuno, cos malmessi e macilenti, una sfilza di vestiti appesi al gancio. Ma siamo - sono, mi pareva ormai di poter dire - cos tanti, innumerevoli, che un po' di paura possiamo farla, uno sciame di insetti che oscura il cielo. Correvo silenziosa, fendevo la calca friabile. File di gente passavano davanti a me, ombre come i passanti in quel viale in riva al mare stagliati nel fuoco del tramonto, figurine di carta piegate dal vento. Le attraversavo affannata cercando di non dare troppo nell'occhio, rispondevo a qualche debole sorriso di saluto che mi pareva di scorgere ogni tanto in un volto. Nebbie si sfilacciavano, grumi di fanghiglia franavano senza rumore sotto i miei passi; lui davanti a me, lontano, la sua schiena dritta e giovane come se gli anni non fossero passati neanche per lui. Ogni tanto spariva dietro la svolta di un corridoio, oltre un pendio scosceso, affondava in quegli strani fiori scarlatti che l'Amministrazione sparge per la Casa e poi lascia ammucchiati dappertutto, una coltre di brace sempre pi cupa. Strano come non sentissi l'odore sicuramente frollo di quei petali carnosi e sfatti;

forse ci sono abituata, pensavo, mentre lui riappariva, si rialzava barcollante da un rigagnolo rugginoso dov'era scivolato. Lui avanzava a fatica, io solo sfioravo quelle paludi e quei dirupi; l'avrei raggiunto in un attimo se non mi fossi frenata, sapevo che non dovevamo farci vedere insieme, posto che quegli occhi bianchi intorno a noi, a furia di stare tanto tempo al buio, potessero ancora distinguere un'ombra da un'altra. Non mi spaventava l'idea di ritrovarmi presto di nuovo l fuori, dove tutto tanto pi difficile e crudele che non qui nella Casa. Da sola s che avrei avuto paura e non sarei mai uscita da questa pace, che avevo desiderata e invocata quando quel morbo pi velenoso di un serpente mi aveva prostrata. Anche lui, l fuori, da solo aveva certo avuto paura; forse per questo era venuto a riprendermi. Non per salvarmi - anche se ne era convinto, se se lo dava ad intendere nelle sue canzoni. Forse ingannevoli, ma ammalianti; io l'avrei seguito anche solo per sentirle di nuovo. No, non era venuto per salvarmi, ma per essere salvato. Come potrei cantare le mie canzoni in terra straniera? mi diceva. Ero io la sua terra perduta, la linfa della sua fioritura, della sua vita. Era venuto per riprendersi la sua terra, da dove era stato esiliato. E anche per essere di nuovo protetto da quei colpi feroci che arrivano da ogni parte e che io avevo sempre parato per lui, le frecce velenose destinate a lui che incontravano invece il mio seno, tenero nella sua mano ma forte come uno scudo rotondo a ricevere e a fermare quelle frecce, a intercettare e ad assorbire il loro veleno prima che arrivasse a lui. Alla fine sono state troppe e il veleno mi ha vinta, per fra le sue braccia anch'io sono stata felice e senza paura; non importa dove arriva la freccia, sul fianco o sul cuore, sul mio o sul tuo, quando due sono uno. Senza di lui, anch'io non sarei stata niente, come lui; una donnetta e un ometto che si guardano pavidi intorno cercando di far bella figura, senza vedere i gigli dei campi. No, non temevo l'aria cruda e tagliente che presto mi avrebbe di nuovo soffiato in volto. Neanche le complicazioni che avrei trovato tornando a casa. Qualche pasticcio sentimentale, in mia assenza, l'avr certo combinato, pensavo; anche serio, perch lui un'anima generosa che s'innamora davvero, insomma se lo dice e ci crede e cos combina guai. Ma l'avevo gi perdonato - cosa dico, perdonato; solo chi non innamorato perdona facilmente, chi ama implacabile, non lascia passar

nulla. Del resto con me non avrebbe avuto il coraggio di barare come con s stesso, di parlarmi di sorelle generose che volevano solo lenire il suo grande dolore, di dirmi che neanche lui capiva come poteva essere qualche volta successo che... Non lo perdonavo affatto e gli correvo dietro, s, anche per dirgli il fatto suo, per fargliela pagare, non sapevo per che cosa, ma fargliela comunque pagare. Volevo ben vedere se avrebbe avuto il coraggio di giustificarsi - quella mania di aver sempre ragione gliel'avevo cavata da un pezzo e anche quella sua prepotenza di voler sempre ribattermi quando lo strapazzavo - e sapevo bene perch, o almeno lo intuivo, lo sentivo - quel suo insinuare che anch'io forse qualche volta avevo i miei torti... Dio come mi feriva questa sua presunzione, questa pretesa di alzare anche lui la voce, quasi a rifarmi il verso, a prendermi in giro, quanto mi esasperava con quei suoi grilli di essere culo e camicia con tutti, di aprire le porte e le tasche al primo venuto, senza pensare alla famiglia. Ma con me non attacca e dopo un po' aveva messo la testa a posto anche lui. Non mi preoccupavano quel paio di donnette che lo avevano di sicuro consolato durante la mia assenza. Quelle non fanno n caldo n freddo; so che a lui per primo gli viene da ridere, se solo le paragona a me, e quella di paragonarle a me sempre stata una sua mania, una vera fissazione. Tanto meglio per me, cos le mollava subito, stufo quasi prima di cominciare. Che un marito faccia queste cose, posso capirlo, quantunque, se lo pizzico sul fatto, so come fargli passare per sempre la voglia di ripeterle. Anche lui ha sempre capito chi che comanda, a letto. Invece quell'aria da zingaro, da amico del mondo che mi dicono adesso si dia di nuovo gi, la poesia, si capisce, l'umanit, il senso religioso dell'umano e del divino, conosco la solfa, e intanto fumare a letto e dimenticarsi il compleanno di mia madre, mentre ricorda sempre quello della sua vecchissima tata e magari delle sue compagne di scuola, quello s mi faceva uscire dai gangheri e volevo proprio vedere se aveva ricominciato. E cos gli correvo dietro, facendomi largo tra la folla che mi avvolgeva e si disperdeva come uno stormo di uccelli se scuoti le fronde tra le quali si sono posati. Il percorso era lungo, lunghissimo - no, non infinito, la Casa enorme ma non infinita, come si crede l fuori, e presto avrei attraversato i canali che la cingono, avrei preso quegli ascensori che attraversano innumerevoli piani, sarei arrivata alla porta custodita da quei cani elettronici

che avevano ricevuto dalla Centrale l'ordine di lasciarci andare e sarei uscita, arrivata; avremmo potuto guardarci in volto, il suo sguardo, il mio, gli anni volati via come quegli uccelli notturni che si levavano al mio passaggio. Era vicino, lo sentivo; si fa per dire, vicino, la Casa sterminata e i suoi corridoi scale gallerie cantine stanzoni soffitte sembrano non finire mai, ma io sapevo, sentivo che presto non importava quando, fra anni, fra poco sarei uscita e sarei stata fra le sue braccia, la sua bocca sulla mia, le sue mani sui miei seni assopiti, sul mio sesso immemore che cominciava a ricordare, a risvegliarsi, un filo d'acqua tornava a sgorgare dalla sorgente disseccata. Mi pareva di sentire la sua mano di notte nella mia, come sempre, nelle acque chiare e profonde del sonno, cos diverse da questi acquitrini limacciosi e gorgoglianti che non ci lasciano dormire - la Casa il regno dell'insonnia, appena uno di noi si addormenta - ma non succede quasi mai - qualche sorvegliante di turno lo scuote subito. Dicono che, malandati come siamo, dormire ci fa male e non dobbiamo lasciarci andare, pericoloso, come addormentarsi nella neve. E invece noi qui vorremmo dormire e io ero felice perch avrei presto dormito, dormito con lui - far l'amore sul letto, per terra e poi restare vicini, abbracciati, intrecciati, una volta abbiamo tanto riso perch lui aveva baciato il mio piede e io credevo di baciare la sua spalla e invece, in quell'intreccio di gambe e di braccia, era la mia. Addormentarsi di nuovo insieme, lui ancora dentro di me, lo sentivo ancora fremere, sempre meno, mentre scivolavamo nel sonno, l'amore questo sonno in cui continua e si spegne dolcemente senza spegnersi veramente mai - altrimenti solo un guizzo, un attrito, un sussulto e dopo hai subito voglia di alzarti, rivestirti e andare per conto tuo. Sono sicura che ha fatto cos con tutte le altre, che solo in me ha dormito in quel grande abbandono. Le sue labbra, la sua bocca, le sue parole. Tante cose da dirci, da raccontarci, dopo tanto tempo. Mi pareva gi di sentirlo, quando incomincia non finisce pi, parla e parla, anche a letto, qualche volta preferirei stesse un po' pi zitto, almeno a letto. Fra l'altro, ero decisa a dirgli che volevo camere separate, perch russa e perch ogni tanto si ha bisogno di star soli. E comunque, fatto trenta che facesse trentuno; se era venuto fin quaggi una bella faccia tosta e un bel coraggio, per questo mi piace tanto, non c' nessuno capace di questi colpi di testa come lui - che facesse

ancora uno sforzo e mi comprasse, lass, un appartamento un po' pi decente, pi grande, in posizione centrale e con garage, senza tutta quella fatica di cercare ogni volta un parcheggio, fatica che tocca a me, perch se no lui finisce che tampona qualche macchina, e una bella vista. Tanto, se vuole, un po' di soldi sa farli se si rimbocca le maniche e si mette al tavolo senza fare lo schizzinoso con quello che gli chiedono di scrivere, anzich passar la vita a parlare, a sbambare tutto il giorno. Quella sua parlantina... Per anche parlare, talvolta, fare all'amore e non vedevo l'ora di sentirlo, di sapere che cosa aveva fatto e detto e scritto, se aveva composto nuove canzoni. E soprattutto cos'era successo di quella canzone incompiuta, neppure veramente iniziata, che gli rodeva il cuore di non sapere intonare. Quella era tutto, diceva; cantarla e poi deporre la lira non pi necessaria, una volta spalancate col canto le porte oscure e svelato il segreto. L dietro, diceva mostrandomi le ferree porte della Casa, quando le vedevamo in lontananza passeggiando alla periferia della citt, si possono guardare in faccia le cose. Qui fuori possiamo solo guardare quelle porte, le cui lucide scaglie convesse riflettono le immagini spezzate delle cose, che si allungano oblique o si gonfiano turgide se ci spostiamo un po' indietro o in avanti, si assottigliano si dilatano si spiaccicano - conosciamo solo quelle fuggevoli caricature, non la verit, nascosta dall'altra parte, dietro quegli specchi di bronzo. Ma io, amore mio, mi dicevi, non posso pi cantare solo le fate morgane di quegli specchi, quei riflessi illusori. Il mio canto deve dire le cose, la verit, ci che tiene unito o disgrega il mondo, costi quello che costi. Anche la vita - non gli ho chiesto se la sua o la mia - oppure ammutolire, che per me sarebbe peggio che morire. E allora, signor Presidente, ho avuto una fitta al cuore; una luce, una folgore che squarcia il buio ma anche l'anima, perch ho capito che cosa mi avrebbe subito chiesto e ho capito che era finita. La strada sbarrata, il ponte caduto, l'abisso invalicabile. Mi pareva gi di sentirlo chiedermi della Casa, e di Lei, signor Presidente, della Fondazione e di noi e di cosa c' veramente qui dentro e di come sono veramente le cose, i cuori, il mondo. S, perch anche lui, signor Presidente, persuaso - come tutti, come me prima di venire qui - che una volta entrati nella Casa si veda finalmente in faccia la verit - non pi velata, riflessa e deformata, mascherata e truccata come la si vede l fuori, ma direttamente, faccia

a faccia. Cantare il segreto della vita e della morte, diceva, chi siamo donde veniamo dove andiamo, ma duro il confine, la penna si spezza contro le porte di bronzo che nascondono il destino, e cos si resta fuori ad almanaccare inutilmente sul trascorrere e sul permanere, sull'ieri sull'oggi e sul domani, e la penna serve solo a succhiarsela in bocca, perch soltanto il Vero grande e terribile degno del canto - almeno del suo, non lo diceva ma lo pensava e quel Vero lo si conosce soltanto dietro le porte. L fuori, signor Presidente, si smania di sapere; anche chi fa finta di disinteressarsene darebbe non so cosa per saperlo. Lui poi smania pi di tutti, perch un poeta e la poesia, dice, deve scoprire e dire il segreto della vita, strappare il velo, sfondare le porte, toccare il fondo del mare dov' nascosta la perla. Forse, ho pensato, era venuto a prendermi soprattutto - soltanto? - per questo, per sapere, per interrogarmi, perch gli raccontassi ci che sta dietro queste porte e lui potesse afferrare la sua lira e inalzare il canto nuovo, inaudito, il canto che dice ci che nessuno sa. Me lo vedevo, aggrappato a me, ad attendere le mie parole, i suoi occhi verdi febbrili... e come avrei potuto dirgli che... Lei ha gi capito, signor Presidente. Come dirgli che, qui dentro, a parte la luce tanto pi fioca, come l fuori? Che siamo dietro lo specchio, ma che quel retro anch'esso uno specchio, uguale all'altro. Pure qui gli oggetti mentono, si dissimulano e trascolorano come meduse. Siamo in tanti, come l fuori; ancora di pi, il che rende ancora pi difficile conoscersi. Ho parlato con qualcuno, ma nessuno sa da dove viene - s, la citt, i genitori, va bene, anche i nonni, sebbene la memoria s'indebolisca, ma di quello che lui cerca, il segreto dell'origine, della fine, nessuno sa niente. Facciamo anche amicizia, ogni tanto perfino un flirt o magari qualcosa di pi, un amoretto, un amore, ma presto anche qui non si sa pi che differenza ci sia tra l'uno e l'altro ed subito la solita solfa, incomprensioni e malintesi. Presto non si sa pi se ci si vuol bene o solo un'abitudine, e poi tutto il resto, mugugni ripicche dispetti, insomma proprio come in famiglia. Del resto, perch dovremmo saperne di pi di quelli l fuori, di pi di noi stessi quando eravamo l fuori? E anche Lei, signor Presidente, perch qui dovremmo averLa vista? Supponiamo, come supponevamo, che ci sia qualcuno che dirige tutta la baracca, ma chi sia e come sia e com' fatto... perch dovremmo saperlo? Quei malanni e quelle magagne che ci hanno spedito in questi corridoi e in

queste buie valli, quei piccoli accidenti al cuore o al cervello, il morbo velenoso di un serpente o di un rubinetto del gas non aiutano a capire meglio quest'immenso labirinto del prima e del dopo, del mai e del sempre e dell'io e del tu e del... Siamo dall'altra parte dello specchio, che pure uno specchio, e vediamo solo un pallido volto, senza essere sicuri di chi sia. Se uno si rompe una gamba, non pretende per questo di vedere il Presidente, e rompersi la testa non aiuta di pi. Il fiume scorre, il sangue scorre, un argine si rompe, l'acqua trabocca e inonda i campi, il nuotatore va sotto, beve, riemerge, continua a nuotare senza vedere nulla n nel meriggio accecante n al buio della notte. Dirgli che io, anche qui dentro, non ne so pi di lui? Gli sarebbe venuto un colpo, al mio vate. Mi figuravo le sue lamentele, un uomo finito, un poeta cui hanno rubato il tema; avrebbe pensato che quella congiura cosmica era tutta una manovra contro di lui, per metterlo a terra, per condannarlo al silenzio. Se avesse detto agli altri che qui dentro come l fuori lo avrebbero fatto a pezzi, specie le sue smaniose ammiratrici che lo venerano come un maestro di vita, e se avesse taciuto si sarebbe sentito un codardo. Ma soprattutto che figuraccia, venir fin qua dentro, fin quaggi, per scoprire che non ne valeva la pena, che dietro la porta non c' niente di nuovo. Gi me lo vedevo, straziato smarrito atterrito inviperito impermalito seccatissimo con me che gli avevo guastato tutto - e poi i giorni e le notti insieme, io al suo fianco e lui che mi guarda di traverso, la scassamarroni che gli ha fatto cascare il palco, spaventato che lo spifferassi agli altri, imbarazzato a farsi vedere in giro con me, lui partito come un eroe verso il mondo sconosciuto e tornato con le pive nel sacco. E quando fosse venuta, per lui o per me, l'ora di tornare di nuovo, e definitivamente, nella Casa, che disastro la ripetizione degli addii, ridotti a convenevoli. Di colpo mi sono sentita stanca, sfinita; ricominciare, cucinare, lavare, fare all'amore, andare a teatro, invitare qualcuno a cena, ringraziare per i fiori, parlare, equivocare e fraintendersi, come sempre, dormire alzarsi rivestirsi... No, impossibile, non ce l'avrei fatta, non ce la facevo. Mi sentivo di colpo cos stanca. Ma forse avrei stretto i denti e inghiottito la mia stanchezza e avrei tirato avanti. Le donne sanno farlo, lo fanno quasi sempre, anche quando non sanno pi perch o per chi. Anche l'idea di averlo di nuovo sempre fra i piedi

non che mi... ma soprattutto l'idea di dover tacere, cambiar discorso quando lui avrebbe chiesto, avrebbe voluto sapere, lui cos sensibile, cos fragile... Ecco dunque perch, signor Presidente. No, non come hanno detto, che si girato per troppo amore, incapace di pazienza e di attesa, e dunque per troppo poco amore. E nemmeno perch, se fossi tornata con lui, da lui, non avrebbe pi potuto cantare quelle canzoni melodiose e struggenti che dicevano il dolore della mia perdita e di ogni perdita e avevano fatto il giro del mondo, diffuse dai juke box e poi dai cd, amate da tutti, che avrebbero continuato ad amarle solo se le avesse cantate ancora e ne avesse cantate altre come quelle, lo strazio per la mia lontananza, il vento che muoveva le corde della sua lira, che lo faceva poeta solo se era senza di me per la pena di essere senza di me. Conosco questo stupido pettegolezzo. No, signor Presidente, non per questo motivo indegno e banale che si voltato e mi ha perduta. una calunnia di colleghi invidiosi che vogliono dipingerlo come un narciso egoista per fargli perdere il favore del pubblico, magari gli stessi che hanno diffuso pure quelle voci sui bei ragazzi con i quali si sarebbe consolato della mia lontananza, mandando su tutte le furie quelle sue adoranti ammiratrici, capaci per gelosia di cavargli gli occhi. No, signor Presidente. Sono stata io. Lui voleva sapere e io gliel'ho impedito. Dio sa se non mi costato. S, vero, ero stanca, ormai mi ero abituata, quasi affezionata alla Casa e ai suoi ritmi. Ma mi sarebbe tanto piaciuto uscire per un po' - solo per un po', lo sapevamo entrambi - in quella luce d'estate - almeno per un'estate, un'estate su quella piccola isola dove io e lui... Anche da sola, anche senza di lui sarei stata felice di fare una passeggiata da quelle parti. Ma l'avrei distrutto, uscendo con lui e rispondendo alle sue inevitabili domande. Io, distruggerlo? Piuttosto farmi mordere da un serpente cento volte pi velenoso di quella banale infezione, piuttosto. Lei dunque capir, signor Presidente, perch, quando eravamo ormai prossimi alle porte, l'ho chiamato con voce forte e sicura, la voce di quando ero giovane, dall'altra parte, e lui - sapevo che non avrebbe resistito - si voltato, mentre io mi sentivo risucchiare indietro, leggera, sempre pi leggera, una figurina di carta nel vento, un'ombra che si allunga si ritira e si confonde con le altre ombre

della sera, e lui mi guardava impietrito ma saldo e sicuro e io svanivo felice al suo sguardo, perch gi lo vedevo ritornare straziato ma forte alla vita, ignaro del nulla, ancora capace di serenit, forse anche di felicit. Ora infatti, a casa, a casa nostra, dorme, tranquillo. Un po' stanco, si capisce, per...

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