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Pierre Reverdy

toiles peintes Stelle dipinte

I quaderni del Letterato Franz Laszlo Melas

Traduzione di Salvatore Leopaldi Testo originale tratto da: Pierre Reverdy, Plupart du temps, pomes 1915-1922, Paris, Gallimard, 2007

NOTA DEL TRADUTTORE La presente traduzione segue la sequenza voluta dall'autore in Plupart du temps e ad essa fa riferimento; per completezza critica ecco la sequenza di liriche della prima edizione (Pierre Reverdy, toiles peintes, avec une eau-forte originale de Andr Derain, Paris, ditions du Sagittaire, 1921) e tra parentesi quadre la loro posizione nell'edizione attuale:
1 [18] Le bruit des vagues 2 [1] Vieux port 3 [19] Au carrefour des routes 4 [20] Ciel ouvert 5 [6] Mcanique verbale et don de soi 6 [2] Lumire 7 [4] L'ombre et l'image 8 [11] Au moment du banquet 9 [3] Le monde plate-forme 10 [5] Bleu pass 11 [16] Tout dort 12 [7] Les mouvement l'horizon 13 [9] Les musiciens 14 [13] Aprs-midi 15 [15] La glace d'encre 16 [8] Mmoire d'homme 17 [14] Mouvement interne 18 [12] Entre deux crpuscules 19 [10] La clef de verre 20 [17] Tumulte

Se si esclude la quasi totale soppressione dei capoversi e degli a capo che caratterizzavano l'edizione del 1921, una collazione tra le due edizione evidenzia la sola trascurabile aggiunta dell'avverbio bientt nella lirica Vieux port.

STELLE DIPINTE

PORTO VECCHIO Un passo in pi verso lo specchio d'acqua, sulla banchina, davanti alla porta illuminata della taverna. Il marinaio canta contro la parete, la donna canta. Beccheggiano i brigantini, le navi tirano un po' sulla gomena. All'interno ci sono paesaggi profondi disegnati sullo specchio; ci sono nuvole dentro la stanza e il calore del cielo e il rumore delle onde. Le avventure tempestose li mandano alla deriva. L'acqua e la notte stanno fuori ad aspettare. Presto verr il momento di partire. Il porto s'allunga, le sue braccia si tendono verso un altro clima, tutte le cornici sono piene di ricordi, le strade s'inclinano, vanno a dormire i tetti. E tuttavia ogni cosa sempre pronta a partire con il vento in poppa.

LUCE Una puntino brilla tra le palpebre che sbattono. La camera vuota e le persiane si aprono nella polvere. la luce del mattino che entra o qualche ricordo che ti ha fatto inumidire gli occhi. Il paesaggio del muro l'orizzonte alle spalle la tua memoria in disordine e il cielo accanto a loro. Ci sono alberi e nuvoloni, teste che sporgono e mani ferite di luce. E poi c' un velo che cade e ammanta ogni cosa di notte.

LA PIATTAFORMA DEL MONDO La met di tutto quello che si poteva vedere scivolava. C'erano dei ballerini vicino ai fari e niente luce. Il mondo intero dormiva. Una massa d'alberi di cui non si distingueva che l'ombra l'ombra impegnata nel separarsi dalle foglie, un'ala si liber, poco a poco, scuotendo la luna in un ritmo rapido e molle. L'aria rimase tutt'intera. Il pavimento scivoloso non sopportava pi nessun audace e tuttavia era in pieno centro, nel pieno della notte il cielo si congiungeva alla terra nelle case dei sobborghi. I passanti avevano scalato un altro mondo che guardavano sorridenti. Ma non sapevano se sarebbero restati ancora a lungo o se alla fine sarebbero caduti sull'altro lato del vicoletto.

L'OMBRA E L'IMMAGINE Se ho riso non del mondo splendente e gioioso che mi passava davanti. Le teste inclinate o dritte mi fanno paura e il mio riso sarebbe diventato un ghigno. Le gambe che corrono vibrano e i piedi pi pesanti falliscono il passo. Non ho riso del mondo che mi passava davanti ma perch ero solo, poi, nei campi, davanti alla foresta enorme e calma e sotto le voci che nell'aria addormentata, si rispondevano.

AZZURRO STINTO Le mani aperte sopra al petto nudo quel bagliore sulla carta stinta, un dipinto. C', sul retro, un vicolo che sale e un albero che pende a dismisura, una croce e un'altra fila di rami che pende. Anche la pietra degli scalini s'inclina e alcune gocce d'acqua colano tra le fessure. La macchia in mezzo non una testa forse un abisso. Uno sguardo obliquo punge il cielo e tiene vivo l'abisso, la testa. Nessuno parla nessuno parla del tempo che fu. Poich alcuni amici sono l e stanno ad aspettare.

MECCANICA VERBALE E DONO DI SE Nessuna parola avrebbe potuto meglio, senza dubbio, esprimerne la gioia. La disse e tutti quelli che aspettavano poggiati alla parete ebbero un sussulto. Al centro c'era una grande nube una testa enorme e gli altri osservavano fisso ogni passo tracciato lungo il cammino. Non c'era niente tuttavia e nel silenzio i gesti risultavano difficoltosi. Un treno passato dietro lo steccato e ha imbrogliato le linee che tenevano in piedi il paesaggio. Allora tutto scomparso, mescolato al rumore ininterrotto della pioggia, del sangue versato, del tuono o delle parole meccaniche del pi importante di tutti questi personaggi.

MOVIMENTI ALL'ORIZZONTE I cavalieri restano in piedi in mezzo alla strada ma di profilo. Non si sa pi quale sia il loro numero. Contro la notte che impedisce il cammino, tra il fiume e il ponte una sorgente che piange un albero vi segue. Si vedrebbe la folla che passa, lei non vi vedrebbe. C' una armata vera che marcia o un sogno uno sfondo sopra una nuvola. Il bambino sta piangendo oppure addormentato. Guarda o sogna. Il cielo occupato di armate. La terra trema. I cavalli scivolano sull'acqua. E anche il corteo scivola sull'acqua che sbianca ogni colore, ogni pianto.

MEMORIA D'UOMO Con le sue spalle larghe, contro l'ombra che danza sul muro, occupa il posto in cui altri poggerebbero le teste. Lo strumento una chitarra le cui note non sono abbastanza alte. Nessuno sente niente, pertanto le sue dita pizzicano le corde; suona e i suoi piedi battono costantemente il tempo. Un occhio chiuso, l'altro perso dietro la tenda grinzosa quando l'aria si spande e la folla balla, ballano tutti, piangono tutti e infine due braccia bianche spuntate tra i fumi della sua pipa gli si annodano al collo. In fondo i ballerini ormai fermi guardano il pavimento.

I MUSICI L'ombra e l'angolo della strada in cui succede qualcosa. Le teste attruppate ascoltano o stanno a guardare. L'occhio passa dal marciapiedi allo strumento che suona, che brontola, alla vettura che attraversa la notte. I bagliori del lampione tranciano la folla e separano le mani protese, tutti gli sguardi inclinati e i rumori del caso. La gente l e tutta alla stessa ora, in quell'incrocio. Le voci che si disperdono conducono il movimento della corda che scricchiola e muore ogni momento. Poi il segno divino, il gesto che raccoglie e tutto scompare nel lembo del vestito, del muro che si dilegua. Tutto scivola e la nebbia attornia i passanti, disperde i brusii, nasconde l'uomo, il gruppo e gli strumenti.

LA CHIAVE DI VETRO I buchi del muro, i buchi del caminetto e della pipa; in un angolo due canne ad X combattono tra loro. Chi le prender? Non c' nessuno al tavolo, nessuno sul letto e le poltrone sono vuote. Qualcuno vuole uscire. Ma non sono io ad aver soffiato sul lume e non sono miei i passi che scendono le scale. Forse c' anche un morto in casa!

DURANTE IL BANCHETTO Sulle mura della sala, in cui si svolge la festa, le impronte della tua modesta e insulsa vita. Ma oggi le parole hanno pi vigore, le azioni hanno pi importanza e i rumori sono pi gioiosi. I limiti del tuo cuore s'allargano e da tutti gli altri cuori forse uscir qualcosa. Ma, senza che nessuna voce s'alzi, senza che nessun silenzio all'improvviso ci avverta, le teste s'inclinano, gli occhi si levano al cielo e c' un altro volto nel quadro che guardiamo e un'altra linea, dal cielo al soffitto, ci separa.

TRA DUE CREPUSCOLI in questo quadrato di cielo pi chiaro che si accenderanno le stelle dei fuochi d'artificio. Oltre le chiome degli alberi i movimenti del vento, i rumori della bufera inviti minacciosi. questo il posto dove si apre il cancello. I raggi si staccano dal muro e c' un'ombra obliqua sulla strada che corre troppo velocemente. S'attende. Vicino al bosco, fuori dalla villetta si sente e sono sicuramente passi tranquilli nello stesso tempo che si alza una preghiera o, pi lontano, un pi gioioso ritornello. Poi si fa pieno giorno, i cuori si riprendono. Dal momento che ogni cosa rimandata al giorno dopo.

MERIGGIO Al mattino che si alza dietro il tetto, nel riparo del ponte, nel cantuccio dove i cipressi superano il muro, un gallo ha cantato. Nel campanile che strappa l'aria con la sua punta chiara risuonano i tocchi e improvvisamente la sinfonia del mattino si spande per strada; l'unica strada che va dal fiume alla montagna attraversando il bosco. Cerchiamo altre parole ma le idee sono sempre eccessivamente nere, eccessivamente semplici e stranamente dolorose. Altro non abbiamo che gli occhi, l'aria aperta, l'erba e l'acqua in fondo con, ad ogni svolta, una sorgente o una vasca fresca. Nell'angolo a destra l'ultima casa con una testa pi grande alla finestra. Gli alberi sono estremamente vivi e ogni buon compagno percorre il muro demolito che va a finire tra le spine ridendo. Oltre il burrone il rumore aumenta, si gonfia e se la vettura passa sopra la strada che lo sovrasta non si sa pi se a tintinnare siano i fiori o i campanelli. Sotto il sole ardente, quando il paesaggio in fiamme, il viaggiatore passa il ruscello sompra un ponte molto stretto, davanti a un buco nero dove gli alberi bordano l'acqua che s'addormenta nel meriggio. E, sopra il fondo del bosco tremante, l'uomo sta fermo.

MOVIMENTO INTERIORE Il suo viso scarlatto illumina la stanza in cui sta solo. Solo con il suo ritratto che si muove dentro lo specchio. Ma lui davvero? O l'occhio di un altro? Lui non ne avrebbe paura. Il suo piede manca il terreno e avanza scoppiando a ridere. Crede che quella testa parli quella che lui ha davanti, ubriaca, con gli occhi spalancati. Il soffitto s'abbassa, le mura stanno per scoppiare e lui ride. Ride del fuoco che gli riscalda il ventre; della pendola che batte come il suo cuore. La stanza rolla battello il cui albero si spezzerebbe se s'alzassero i venti. E, senza avvistare chi caduto, sul letto o dove va a dormire, lui crede ancora di sognare che le onde lo portino alla deriva. Troppo lontano. Non ha pi niente oltre a quel riso idiota del risveglio e al movimento inquietante della porta.

SPECCHIO D'INCHIOSTRO Le stelle che sorgono dal focolare sono pi rosse. La testa s'inclina abbastanza vicina al tubo che ha l'aria d'esserne il collo e quelli che stanno alle spalle guardano allo specchio. L'aria tiepida della vigilia spira dentro la stanza e poi rifugge. I contadini non ci sono pi, non ci sono pi le bestie. Ma rimane l'altopiano e la prateria a ricordare l'estate quando la notte non scendeva mai poich nessun fuocho era acceso. La notte non forse l'inverno stesso che fluttua sopra i fumaroli?

TUTTO DORME L'albero della sera, il paralume e la chiave del riposo. Tutto vibra quando la porta si apre senza fare alcun rumore. Il raggio bianco attraversa la finestra e inonda il tavolino. Una mano avanza nell'ombra, il raggio, la carta sul tavolino. per prendere la lampada, l'albero dalla circonferenza estesa, l'astro caldo che si d alla fuga Un soffio travolge ogni cosa, spegne la fiamma e respinge il raggio. Non ha altro davanti agli occhi che la notte tenebrosa e il muro che sorregge la dimora.

TUMULTO La folla scendeva pi veloce e gridando. Venivano tutti dal fondo, da dietro le piante, da dietro il legno della cornice, dalla dimora. Qualche viso bianco aveva uno sguardo animato e sulle loro tracce le parole pi pesanti sparivano intere. Nel rumore che si fece nell'angolo pi buio ogni cosa si ferm, tutto si ferm, anche colui la cui testa s'era voltata verso la muraglia. E allora, per via del vento, i fiori della tappezzeria e delle stoffe andarono altrove.

IL RUMORE DELLE ONDE Tutti i gorghi marini dalla murata potrebbero riversarsi sopra gli assi con la schiuma biacca delle onde. Sempre lo sfondo rimarrebbe azzurro, dietro quel sole troppo luminoso alla finestra. Dentro la casa, abbastanza tranquilla almeno per un poco, tutti si voltarono per sapere da dove venisse quel rumore, quel movimento. Poich nessuno era a conoscenza del segreto, tranne colui il cui occhio inquieto non lasciava mai il quadrato bianco della finestra, e, nel sipario alzato del suo petto scosso, colui che era giunto fin la per vedere e non essere visto.

DOVE S'INCROCIANO LE STRADE Le braccia si alzavano verso la croce e la testa restava appesa alla marea dei suoi capelli, sotto l'abbaino. Sopra i gradini rimane solo l'ombra che il sole proietta e le mani perdute nei raggi che gl'impediscono di rovinare in terra. Una voce dall'alto sorge da dietro una nuvola, ma un tuono scrosciando, l'ha interrotta. E la preghiera che saliva dal fondo non pi che un sospiro, una voce di petto che si lascia cadere nelle pieghe della veste dopo essere sorta. A sinistra si sale per il cammino del cielo per il quale non c' nessun insegna.

CIELO APERTO Il filo discende. Dall'alto del cielo il filo discende pesante, dritto, nero, - discende sopra la testa nuda testa d'un vegliardo che s'arresta. Se ne sta in un giardino circondato d'inferriate, in gabbia e con il mondo attorno. Le altre persone gli girano intorno, oltre le piante. Il tempo pesante, gli occhi, le scintille accendono la notte nera o il bagliore di un film quel bagliore che non ancora nella sua testa. Una nuvola di fuliggine si gonfia, valanga di cotone senza acqua, altrettanto si gonfia la dimora, il petto, le piante si gonfiano e la testa persa. La pelle sotto le aste di fuoco gronda e l'acqua si separa dalla massa d'olio che slitta, che gioca cardini della pi grande porta che si chiude. Il cielo incrinato il filo discende il lampo. Il mondo alla sua luce appena intravisto.

I Quaderni del Letterato Franz Laszlo Melas Giugno 2013

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