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Francesco Lamendola L ' ELETTROSHOCK DI UGO CERLETTI E LA PSICHIATRIA DA MATTATOIO

ormai diffusa presso un vasto pubblica la teoria di Thomas S. Szasz - scienziato ungherese emigrato in America nel 1938 per motivi politici, - ed esposta nel suo libro Il mito della malattia mentale (edizione originale New York, 1961; traduzione italiana Milano, Il Saggiatore, 1966), secondo la quale, nella societ di massa, la psichiatria viene usata massicciamente come una forma di tranquillante sociale. In realt, per Sasz la psichiatria una pseudoscienza e, pi precisamente, una forma di pseudomedicina, che si fonda in partenza su di una nozione assolutamente infondata: quella di "malattia mentale". Queste idee sono esposte in forma pi sintetica, ma altrettanto efficace, in un altro suo breve saggio, La psichiatria a chi giova?, contenuto nel volume antologico Crimini di pace. Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti alla repressione, pubblicato pi di trenta anni fa a cura di Franco Basaglia e Franca Basaglia Ongaro (Einaudi, Torino, 1975), ma apparso originariamente sulla rivista americana Psychotherapy: Teory, research and Practice, vol. VIII, n.1, primavera 1971, con il titolo From the Slaughterhouse to the Madhouse. In esso lo studioso ungherese si sofferma sull'introduzione dell'elettroshock in psicoterapia da parte di Ugo Cerletti (1877-1963), come tipico esempio di quella violenza istituzionalizzata che caratterizza la cura delle malattie mentali: ricovero coatto, imposizione forzata della terapia, rapporto autoritario fra medico e paziente, equiparabile a quello fra medico e cavie animali da laboratorio. Ma come era nata, nella mente dello psichiatria italiano, l'idea di ricorrere all'elettroshock come terapia delle malattie mentali? Forse non molti lo sanno: nacque in un mattatoio, ove il Cerletti aveva osservato come i maiali condotti al macello venissero prima "anestetizzati" con una scarica elettrica a medio voltaggio; ci che gli sugger l'idea di applicare tale forma di "terapia" a dei soggetti umani che, stante la pericolosit del trattamento, inizialmente furono prelevati, con la forza, dal regio commissariato di Roma. Eppure il "mito" dell'elettroshock, come forma di medicina buona, durato a lungo e, in parte, sopravvive ancor oggi. Mentre la sua citt natale, Conegliano in provincia di Treviso, ha dedicato all'illustre concittadino uno dei suoi istituti scolastici pi prestigiosi, la Scuola di Enologia, ancora nel 1963, l'anno della scomparsa di Cerletti, la pur eccellente Enciclopedia Garzanti tascabile, in due volumi, alla voce elettroshock recitava alquanto ottimisticamente: "Elettroterapia per malattie nervose e mentali che provoca violente convulsioni di tipo epilettoide. Conferisce notevole resistenza a diversi fattori morbosi [?] e migliora i sintomi di varie malattie mentali." lo stesso Cerletti a rievocare la genesi della sua 'invenzione' in una pagina autobiografica di brutale franchezza; che, quanto meno, possiede il merito di non abbellire ipocritamente la realt e di non edulcorare le circostanze alquanto drammatiche in cui nacque e mosse i primi passi la nuova tecnica psichiatrica a base di scosse elettriche nel cervello del paziente. Si tratta di una pagina scritta nel 1956, dunque a diciotto anni di distanza da quel lontano giorno del 1938 in cui, professore all'Universit di Roma, si vide condurre dai poliziotti un presunto malato di mente dal
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commissariato, e lo utilizz come cavia per sperimentare l'elettroshock; tuttavia il suo racconto vivido, come se narrasse un evento accaduto il giorno prima. "Vanni mi inform che al macello di Roma i maiali venivano ammazzati con la corrente elettrica. Questa informazione sembrava confermare i miei dubbi sulla pericolosit dell'applicazione dell'elettricit all'uomo. Mi recai al macello per osservare questa cosiddetta macellazione elettrica, ,e notai che ai maiali venivano applicate alle tempie delle tenaglie metalliche collegate alla corrente elettrica (125 volt). Non appena queste tenaglie venivano applicate, i maiali perdevano conoscenza, si irrigidivano e poi, dopo qualche secondo, erano presi da convulsioni, proprio come i cani che noi usavamo per i nostri esperimenti. Durante il periodo di perdita della conoscenza (coma epilettico) il macellaio accoltellava e dissanguava gli animali senza difficolt. Non era vero, pertanto, che gli animali venissero ammazzati dalla corrente elettrica, che veniva invece usata, secondo il suggerimento della Societ per la prevenzione del trattamento crudele degli animali, per poter uccidere i maiali senza farli soffrire. "Mi sembr che i maiali del macello potessero fornire del materiale di grandissimo valore per i miei esperimenti. E mi venne inoltre l'idea di invertire la precedente procedura sperimentale: mentre negli esperimenti sui cani avevo tentato sempre di utilizzate la minima quantit di corrente,, sufficiente a provocare un attacco senza causar danno all'animale, decisi ora di stabilire la durata temporale, il voltaggio e il metodo di applicazione della corrente, necessari a provocare la morte dell'animale. L'applicazione di corrente elettrica sarebbe stata dunque attraverso il cranio, in diverse direzioni, e attraverso il tronco, per parecchi minuti. La prima osservazione che feci fu che gli animali raramente morivano, , e questo solo quando la durata del flusso di corrente elettrica passava per il corpo e non per la testa. Gli animali ai quali veniva applicato il trattamento pi severo rimanevano rigidi mentre durava il flusso do corrente elettrica, poi dopo un violenti attacco di convulsioni, restavano fermi su un fianco per un poco, alcune volte per parecchi minuti, e finalmente tentavano di rialzarsi. Dopo molti tentativi di ricuperare le forze, riuscivano finalmente a reggersi in piedi e a far qualche passo esitante, finch erano in grado di scappar via. Queste osservazioni mi finirono prove convincenti del fatto che un'applicazione di corrente da 125 volt della durata di alcuni decimi di secondo sulla testa, sufficiente a causare un attacco completo, non arrecava alcun danno. "A questo punto, ero convinti che avremmo potuto tentare di fare degli esperimenti sugli uomini, e diedi istruzione ai miei assistenti affinch tenessero aperti gli occhi per selezionare un soggetto adatto. "Il 15 aprile 1938 il commissario di polizia di Roma mand nel nostro Istituto un individuo con la seguente nota di accompagnamento: S. E., trentanove anni, tecnico, residente in Milano, arrestato nella stazione ferroviaria mentre si aggirava senza biglietto sui treni in procinto di patire. Non sembra essere nel pieno possesso delle sue facolt mentali, e lo invio nel vostro ospedale perch venga posto sotto osservazione. Le condizioni del paziente al 18 aprile erano le seguenti: lucido, ben orientato. Descrive, usando neologismi, idee deliranti dicendo di essere influenzato telepaticamente da interferenze sensoriali; la minima corrisponde al senso delle parole; stato d'animo indifferente all'ambiente, riserve affettive basse; esami fisici e neurologici negativi; presenta cospicua ipoacusia e cataratta all'occhio sinistro. Si arriv ad una diagnosi di sindrome schizofrenica sulla base del suo comportamento passivo, l'incoerenza, le basse riserve affettive, allucinazioni, idee deliranti riguardo alle influenze che diceva di subire, i neologismi che impiegava. "Questo soggetto fu scelto per il primo esperimento di convulsioni elettricamente indotte sull'uomo. Si applicarono due grandi elettrodi alla regione frontoparietale dell'individuo, e decisi di iniziare con cautela, applicando una corrente di bassa intensit, 80 volts, per 0,2 secondi. Non appena la corrente fu introdotta, il paziente reag con un sobbalzo e i suoi muscoli si irrigidirono; poi ricadde sul letto senza perdere conoscenza. Cominci improvvisamente a cantare a voce spiegata, poi si calm.
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"Naturalmente noi, che stavamo conducendo l'esperimento, eravamo sottoposti a una fortissima tensione emotiva, e ci pareva di aver gi corso un rischio notevole. Nonostante ci, era evidente per tutti che avevamo usato un voltaggio troppo basso. Si propose di lasciare che il paziente si riposasse un poco e di ripetere l'esperimento il giorno dopo. Improvvisamente il paziente, che evidentemente aveva seguito la nostra conversazione, disse, chiaramente e solennemente, senza alcuna parvenza della mancanza di articolazione del discorso che aveva dimostrato fino ad allora: Non un'altra volta! terribile! "Confesso che un simile esplicito ammonimento, in quelle circostanze, tanto enfatico ed autorevole, fatto da una persona il cui gergo enigmatico era stato fino a quel momento assai difficile da comprendere, scosse la mia determinazione di continuare l'esperimento. Ma fu solo il timore decidere ad un'idea superstiziosa che mi fece decidere. Gli elettrodi furono applicati nuovamente, e somministrammo una scarica di 110 volts per 0,2 secondi. Dunque, Cerletti conduceva da anni esperimenti su cani, consistenti nel sottoporre le povere bestie a scariche elettriche, e nel corso dei quali alcune di esse erano morte; poi, osservando l'uso dell'elettricit effettuato dal macellaio nel mattatoio comunale, sui maiali destinati all'uccisione, gli venne l'idea di dirigere tali scariche, di ben 125 volts, direttamente sul cervello dei pazienti; infine speriment la nuova tecnica su un poveretto che era stato trovato in stato confusionale dalla polizia ferroviaria di Roma, e che gli era stato affidato perch le autorit non sapevano bene cosa farne. Il paziente, come viene eufemisticamente chiamato, non era affatto consenziente e non era stato portato in ospedale per altra ragione se non per essere curato. Questo, veramente, il solo punto non troppo chiaro della narrazione. Che cosa intende Cerletti, quando afferma di aver dato istruzioni ai suoi collaboratori di tenere gli occhi spalancati per individuare un soggetto adatto all'esperimento? E il commissariato di Roma gli sped quell'uomo di propria iniziativa, o su sua richiesta o su sua segnalazione? E, a monte di ci: perch il povero impiegato milanese si trovava in commissariato e non in una struttura sanitaria, visto che era stato fermato alla stazione in stato confusionale, ma non aveva commesso alcun reato, tranne quello di vagare senza scopo apparente da un treno all'altro? Perch non era stato semplicemente restituito alla propria famiglia o, almeno, perch il suo ritrovamento non era stato ad essa segnalato; e perch non si era pensato di prendere contatto con il suo medico curante, a Milano? Molto, poi, ci sarebbe da dire sulla diagnosi di schizofrenia frettolosamente formulata dallo stesso Cerletti, perch, nonostante la scarsit delle indicazioni, non sembra che i sintomi segnalati permettano di arrivare a conclusioni cos drastiche sulla natura del suo disturbo. In ogni caso, evidente - perch lo stesso psichiatra lo afferma a chiare note - che il povero S. E. venne sottoposto al trattamento del cosiddetto elettroshock contro la sua volont, e che tale trattamento venne reso pi rischioso da un aumento del voltaggio della scarica elettrica. In altre parole, il paziente avrebbe potuto morire e, in tal caso, non stentiamo a immaginare che la famiglia avrebbe ricevuto una versione di comodo dell'accaduto; ossia, in pratica, non sarebbe mai venuta a conoscenza delle reali circostanze in cui si era svolta la "terapia" praticatagli. Inoltre, avrebbe potuto riportare lesioni talmente gravi e permanenti al cervello, da lasciarlo menomato per tutto il resto della sua vita; e per quel che ne sappiamo -, non siamo neanche del tutto certi che ci non si sia effettivamente verificato. Ma che razza di terapia quella che viene eseguita a un malato senza il suo assenso e, anzi, contro la sua esplicita volont; che potrebbe ucciderlo o produrgli danni permanenti, senza che ci sia richiesto dalle condizioni del paziente o, almeno, senza che ci appaia come un rischio accettabile a fronte di un grave e immediato pericolo di vita, qualora non venga tentata questa via; che consiste esattamente nel ripetere su di un essere umano quel che viene fatto ai maiali nel mattatoio, un istante prima che vengano uccisi e, quindi, senza che nessuno possa dire se il loro cervello non ha subito danni irreversibili? Si tratta di una concezione della salute e della malattia che sa decisamente di universo concentrazionario, ove i medici sono i padroni assoluti della vita e della morte di quanti vengono
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loro consegnati - non certo volontariamente - e sui quali esercitano non solo un imperium senza limiti, ma nei confronti dei quali non hanno alcuna responsabilit giuridica, ossia non devono rendere conto a nessuno del loro operato. Neanche Orwell, nel suo allucinante romanzo 1984, arriver ad immaginare un tale grado di violenza - psicologica e anche fisica -, da parte dell'istituzione statale, nei confronti dei suoi sventurati cittadini. Sembra piuttosto che una simile concezione della sanit pubblica delinei una dittatura degli scienziati, in cui essi soli hanno il potere di decidere cosa sia giusto e lecito e cosa non lo sia, giocando con la salute e con la vita delle persone, con la stessa disinvoltura con cui gli esseri umani giocano con quella degli animali, siano essi da macello o cavie da laboratorio. Sembra che, in una tale societ, i medici siano diventati i sacerdoti di una nuova religione e che concentrino nelle proprie mani sia il potere giudiziario, sia quello scientifico sia, infine, quello etico-giuridico: in altre parole, in cui non esistono limiti ben definiti a ci che essi possono fare, se lo ritengono giusto e opportuno, in omaggio al progresso della scienza. La vita umana, che essi - in teoria - sono chiamati a difendere, e nella cui difesa fondano appunto il loro smisurato potere, finisce per valere relativamente poco, davanti alla possibilit di far progredire la conoscenze scientifica. E ci a partire proprio da quelle categorie di persone - gli individui soggetti a disturbi del comportamento - che avrebbero maggior bisogno di protezione, in quanto particolarmente esposte e indifese. Del resto, bisogna osservare che Cerletti non aveva fatto tutto da solo. Da tempo esistevano, nella cultura scientista occidentale di matrice positivista, i presupposti per una tale visione della societ e dell'istituzione sanitaria. Addirittura, era abbastanza diffusa l'idea che, per fini genericamente umanitari, lo Stato avesse il diritto morale di disporre a piacere della vita dei condannati; ovvero che i responsabili di gravi delitti potessero e dovessero risarcire la societ, che essi avevano danneggiato, venendo utilizzati come cavie in esperimenti medici particolarmente pericolosi, per il progresso della scienza e per il bene dell'umanit. Non aveva forse teorizzato una tale linea di comportamento il medico svedese trapiantato in Italia, a Capri, Axel Munthe (1857-1949), mite scrittore e paladino della causa dei poveri uccelli migratori che cadevano nelle reti degli uccellatori, nel suo famosissimo best-seller intitolato La storia di San Michele? Addirittura, il medico svedese era giunto a proporre che, in luogo degli innocenti animali, si utilizzassero come cavie, negli esperimenti pi pericolosi per testare nuovi farmaci, i detenuti prelevati dalle carceri, e gi condannati per gravi delitti. Cos scriveva, infatti, nel suo libro (titolo originale: The Story of San Michele, 1929; traduzione italiana di Patricia Voltera, Milano, Garzanti, 1940; 1989, pp. 77-78): "Uno degli argomenti pi convincenti contro questi esperimenti su animali vivi che il loro valore pratico assai ridotto - scrive - a causa della differenza fondamentale dal punto di vista patologico e fisiologico fra il corpo degli uomini e quello degli animali. Ma perch questi esperimenti dovrebbero essere limitati al corpo degli animali, perch non potrebbero essere messi in pratica anche sul corpo dell'uomo vivente? Perch ai delinquenti nati, ai malfattori cronici, condannati a consumare il resto della loro vita in carcere, inutili e spesso pericolosi per gli altri e per se stessi, , perch a questi inveterati violatori delle nostre leggi non si potrebbe offrire una riduzione ella pena, se acconsentissero a sottomettersi, anestetizzati, a certi esperimenti sul loro corpo vivente, per il beneficio dell'umanit? Se il giudice prima di mettersi il berretto nero [che in Gran Bretagna annunziava una sentenza di morte], avesse il potere di offrire all'assassino l'alternativa fra la forca e una condanna penale per un certo numero d'anni, certamente non mancherebbero i candidati." Per inciso, Munthe - medico alla moda e frequentatore dei salotti del bel mondo delle capitali europee - era stato allievo di quel Charcot, ai cui studi sull'ipnotismo si era anche interessato, e largamente ispirato, Sigmund Freud. Il che mostra, a nostro avviso, il filo rosso che unisce psichiatria, psicanalisi, terapia come violenza fisica e come pratica di bassa magia, volta ad evocare

- contro la coscienza dell'individuo - le forze infere in esso latenti (cfr. il nostro articolo Una forma di magia nera: la psicanalisi). Ma torniamo a Thomas S. Szasz, il quale svolge alcune concise ed efficaci riflessioni sulla pagina del Cerletti or ora riportata (op. cit., 428-431). "Come tutte le autorivelazioni oneste, il racconto del Cerletti sulla sua scoperta dell'elettroshock dice pi cose di quante l'autore pensasse o desiderasse dire. Elencher alcuni fati citati da Cerletti, e alcune deduzioni basate sugli stessi, che mi sembrano particolarmente significative. "19 l'applicazione dell'elettoshock ai maiali era un metodo empirico per calmare e sottomettere gli animali, per poterli macellare senza l'eccitazione e gli strilli che questa operazione generalmente comportava. "2) il primo essere umano su cui l'elettroshock fu sperimentato era un uomo, identificato soltanto dalle sue iniziali, S. E., e dalla sua occupazione: 'tecnico'; dalla sua citt di residenza: 'Milano';, e, fatto significativo, dalla diagnosi psichiatrica di 'schizofrenia'. "3) S. E. era totalmente sconosciuto al dottor Cerletti, non richiese il suo aiuto (e pi tardi rifiut il suo intervento). In realt, S. E. era un prigioniero: era stato 'arrestato' dalla polizia per 'vagabondaggio', e invece di essere processato per questo reato, fu inviato da Cerletti. "4)Anche se il soggetto era stato inviato in ospedale espressamente per essere posto 'sotto osservazione', Cerletti disobbed chiaramente alle istruzioni del commissario di polizia di Roma: invece di osservare S. E., lo utilizz come soggetto sperimentale per elettroshock. "5) Cerletti non dice di aver ricevuto alcuna autorizzazione per questo esperimento. Sembrerebbe che, avendo ricevuto il carcerato dalle mani della polizia, Cerletti lo considerasse immediatamente come 'paziente', e che vedesse in se steso il solo giudice del tipo di 'cura' che il suo 'paziente' doveva ricevere . cos che Cerletti scrive: noi, che stavamo conducendo l'esperimento, eravamo sottoposti ad una fortissima tensione emotiva, e ci pareva di aver gi corso un rischio notevole. Ma non dice niente del rischio al quale era stato sottoposto S. E. senza il proprio consenso. "6) per tutta la durata dell'esperimento, S. E. fu trattato come una cosa o un animale Non aveva alcun controllo sul proprio destino. Quando, dopo il primo shock, annunci 'chiaramente e solennemente': Non un'altra volta! terribile!, il suo messaggio che poteva apparire come perfettamente razionale, non ebbe alcun effetto su coloro che conducevano l'esperimento su di lui. "7) In breve, la prima persona su cui si speriment l'elettroshock non era un volontario, n si trattava di un paziente malato mentale regolare (volontario o coatto), la cui storia, personalit e situazione familiare fossero note agli psichiatri; n di un carcerato condannato per un reato e dichiarato poi malato di mente che si trovasse sotto la giurisdizione di un tribunale. Questi fatti sono importanti perch, in quanto professore di psichiatria all'universit di Roma, Cerletti deve aver potuto avvicinare molti pazienti 'schizofrenici' che avrebbero potuto essere candidati potenziali per il suo trattamento sperimentale. "Anche se le stesse circostanze che hanno accompagnato la scoperta del'elettroshock sono rivelatrici, possibile collocarle nella giusta e completa prospettiva osservando alcuni fatti che si riferiscono allo stesso scopritore, Ugo Cerletti. "Cerletti era nato a Cornigliano [ errore per Conegliano] il 26 settembre 1877, e mor a Roma il 25 luglio 1863. Studi medicina a Torino e Roma, e si laure a Roma nel 1901. All'inizio, si dedic alla ricerca nel campo dell'istopatologia e della neuropatologia. Poi studi psichiatria clinica cn Kraepelin e ne fu irresistibilmente attratto. Nel 1933 cominci a interessarsi al lavoro di Meduna sulla schizofrenia, e divenne un entusiasta sostenitore della teoria dell'incompatibilit fra schizofrenia e epilessia. Nel 1935, dopo la nomina a professore di psichiatria all'universit di Roma, Cerletti inizi i suoi esperimenti sulle convulsioni indotte. In collaborazione col professor Bini, cre il primo apparecchio per l'elettroshock e, nell'aprile 1938, essi applicarono per la prima volta una convulsione elettrica a un uomo, come abbiamo appena descritto.

"Nel necrologio a Cerletti, Ferruccio di Cori (1963) valut nel modo seguente l'importanza dell'elettroshock: il nuovo metodo [di Cerletti] fu sottoposto ad ampie ricerche, ed accettato universalmente in tutto il mondoInnumerevoli vite, sofferenze e tragedie erano state cos risparmiate. "Cerletti continu a lavorare all'elettroshock fino alla morte. Formul una teoria secondo la quale i mutamenti umorali ed ormonali provocati nel cervello da un attacco epilettico, portano alla formazione di certe sostanze che egli chiam 'acroagonine', sostanze di estrema difesa. Queste sostanze, se iniettate al paziente, avrebbero avuto effetti terapeutici simili a quelli dell'elettroshock (Di Cori, 1963). "Ayd (1963) rese noto un altro aspetto interessante del primo elettroshock della storia. Pare che Cerletti avesse l'abitudine di riandare a quella memorabile esperienza. Mentre descriveva quello che era successo - scrive Ayd - egli disse: 'Quando vidi la reazione del paziente, pensai: questo dovrebbe essere abolito! Da quel momento ho sperato ed aspettato che si scoprisse un nuovo trattamento che sostituisse l'elettroshock'. Ma se Cerletti aveva pensato questo ,perch lo tenne soltanto per s? N Cerletti, n altri sostenitori dell'elettroshock parlarono mai in pubblico dell'abolizione di questa cura. "Cos come la storia di Anna O. e Breuer (Szasz 1963)costituisce un vero modello di 'incontro personale' tra paziente e medico, la storia di S. E. e Cerletti un modello di vero 'contato impersonale' tra soggetto disumanizzato e sperimentatore medico. La prima un esempio di rapporto volontario tra 'nevrotico' e 'psicoterapista', la seconda un esempio di rapporto involontario tra 'psicotico' e 'psichiatria istituzionale'. E il fatto che queste distinzioni fondamentali - tra persona ed oggetto, medico e alienista, interventi psichiatrici volontari ed imposti - venissero apprezzati di pi nei primi decenni del secolo di quanto non lo siano oggi, nella pratica se non nella teoria, costituisce una misura del declino morale della psichiatria come professione (Szasz 1970). "L'invenzione dell'elettroshock il moderno totalitarismo terapeutico allo status nascendi: il malato mentale, una non-persona, viene passato dalla polizia agli psichiatri, e da loro 'curato' senza il proprio consenso. Le circostanze sociali nelle quali nacque e si svilupp la cura dell'elettroshock sono coerenti con la sua funzione 'terapeutica'. Se un uomo vuole punire e sottomettere un altro uomo, non gli chiede il permesso. Nello stesso modo, il pubblico, in una societ che permette e addirittura incoraggia questo tipo di rapporti umano perch 'terapeutico', non pu aspettarsi che la legge protegga le vittime." Non si potrebbe dire di pi, o di meglio. Del resto, chi ha visto il film di Milos Forman Qualcuno vol sul nido del cuculo sa bene di cosa stiamo parlando, e quali stretti legami esistano fra l'universo carcerario e l'universo psichiatrico: accomunati da una stessa filosofia di fondo e, a volte, da una analoga prassi materiale. Il guaio che non si tratta soltanto di finzione cinematografica; e che i signori psichiatri, in nome della loro crociata contro la follia - ossia contro una malattia che, forse, non esiste e che, comunque, non mai stata dimostrata, nei termini in cui essi la descrivono - possiedono tuttora un potere esageratamente ampio, e quasi privo di controlli, nei confronti dei loro pazienti, molti dei quali sono stati sottoposti a trattamento terapeutico senza alcuna forma di consenso. Non intendiamo banalizzare un argomento cos delicato e drammatico, n abbiamo intenzione di negare l'evidenza, e cio che i disturbi della psiche esistono. Tuttavia, da qui a conferire alla casta degli psichiatri-stregoni carta bianca nella cura dei loro pazienti coatti, ce ne corre. Crediamo sia giunta l'ora di porre un limite all'arroganza e alla impunit di questi sedicenti scienziati della mente, ai quali stato conferito un potere eccessivo a causa della vilt e della distrazione della societ nei confronti del problema della sofferenza mentale. Forse, giunto il tempo in cui la societ dovrebbe riappropriarsi dell'obiettivo di ristabilire l'equilibrio psico-fisico dei suoi membri, abbandonando la illusoria e pericolosa scorciatoia di delegarlo interamente a un paradigma terapeutico assolutamente auto-referenziale.
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