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GIOVANI SCRITTORI IULM

DA QUI NON VEDO

prefazione di Giorgio Falco

A RCIPELAGO EDIZIONI

GIOVANI SCRITTORI Iulm

Da qui non vedo


AntologiA di rAcconti

a cura di

AlICe AlfIedI, MIChele dANesI, VAleNTINA NeRI, ANdReA sesTA


Introduzione di

GIORGIO fAlCO
Postfazione di

PAOlO GIOVANNeTTI

Milano 2011

Per la presente edizione 2011 Arcipelago edizioni Via Carlo DAdda, 21 20143 Milano info@arcipelagoedizioni.com www.arcipelagoedizioni.com

Prima edizione, aprile 2011 ISBN 978-88-7695-450-4 Ha collaborato alla cura editoriale Diego Dotari

Finito di stampare nel mese di aprile 2011 presso Digital Print Service s.r.l. Via E. Torricelli, 9 20090 Segrate - Milano

Ristampe: 7 6 2017 2016

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vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

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Prefazione di GiorGio Falco . . . . . . . . . . . . . . 7

Marcello Ubertone Il pastore cieco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 elena Sabattini Fermo immagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 Mattia conti Senza sonno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 Fabio rodiGhiero Un ultimo sguardo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 Michele daneSi Sorgenti Indiane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 Silvia traMatzU Masquerade . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 valentina neri L'unica risposta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 doMenico Ferrara Lo scoglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 andrea SeSta Storia di un fallimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 dieGo dotari Muscle Car. Un viaggio in Ammerica . . . . . . . . 109 SteFano Gianoni Il solitario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135

Marco Ferrarini The revolution will not be televised . . . . . . . . . . 159 Salinoch Astrakan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169 Jacopo dandrea Il duello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181 chiara daFFini Lui volava nel vuoto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 199

FranceSco priano Gigi l'amoroso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 219 vania barozzi Venti sterline per un black out . . . . . . . . . . . . . 223 Filippo rizzi Mancanze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 243 Federica Gerardi Linea interrotta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 253 Giovanni Fiorina Rigoletto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273 valentina colMi Magari domani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 281 laUra banchero Memorie plastiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 289 beatrice lorenzini Vie di fuga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 297 Postfazione di paolo Giovannetti . . . . . . . . . 301

P r e f a z io n e

Alla fine di luglio, cominciano i triangolari di calcio: le squadre si incontrano in un torneo di tre partite della durata di quarantacinque minuti ciascuna, la met di un incontro normale. Al di l del carattere amichevole, le partite di quarantacinque minuti sono considerate unanomalia, qualcosa che non esattamene calcio bench, a parte la durata, le regole siano identiche ma uno sport simile, il surrogato da relegare a una fase circoscritta della stagione. estate, molte di queste partite si giocano nei luoghi in cui le squadre svolgono la preparazione atletica, in montagna, su terreni di gioco verdissimi, sembrano il prolungamento dei campi alpini circostanti, che degradano verso la piccola piana dove giocano gli atleti. A bordo campo, poche centinaia di spettatori assistono alle partite. Alcuni tifosi espongono striscioni, cantano e accendono i fumogeni per non perdere lallenamento, ma ci sono anche molte famiglie, padri, madri, ragazzini e bambini, indossano le maglie dei calciatori mai cos vicini, a cui passano perfino il pallone, quando esce in fallo laterale. Se si fermano dietro la panchina, gli spettatori possono sentire nitidamente i consigli degli allenatori, gli incoraggiamenti e il loro sbuffare, quando qualcosa degli schemi non funziona come vorrebbero. C la luce estiva piena di promesse, unarmonia dolorosa nei calzettoni abbassati del giocatore sostituito, che esce volentieri dal terreno, saluta chi subentra e si siede in panchina, bevendo dalla borraccia lanciata da un suo compagno di squadra, come in una scampagnata giovanile che sembra infinita. Fa caldo nonostante laltitudine, e i rari fischi dellarbitro si con7

fondono con le urla di entusiasmo solare, ma a volte le nubi si addensano lungo il profilo dei monti, e da bianche diventano grigie, fino a confondersi con la materia stessa delle montagne, prima di mutarsi nel viola attraversato dalla luce dellacqua imminente. Cos, quando inizia a piovere, i giocatori accelerano colpiti dai goccioloni, che fanno strepitare lerba tagliata, e gli spettatori corrono alla ricerca di un riparo, si proteggono con le mani in testa, fuggono strizzando gli occhi. In un pomeriggio estivo, i giocatori provano e danno forma sul campo alle prime azioni di una stagione, in quellangolo montano laterale, sottratto alla dozzina di telecamere, replay e moviole abituali, testimoniato solo dai brevi video amatoriali dei tifosi, e proprio per questo, quei momenti sembrano privi di importanza. Le partite amichevoli schiudono, per quanto mi riguarda, un orizzonte esistenziale differente eppure non meno importante rispetto agli incontri di calcio ufficiali, questultimi spesso succubi dellipnosi creata dallevento mediatico ancor prima che sportivo. Nelle partite amichevoli di quarantacinque minuti, i calciatori pi giovani possono capire le loro qualit, esprimersi con energia, entusiasmo. Ecco, i brevi tornei estivi hanno qualcosa in comune con i racconti, e soprattutto, con le antologie di racconti scritti da autori esordienti. I racconti rappresentano in Italia per lindustria editoriale e per la maggioranza dei lettori qualcosa di poco interessante, una sorta di allenamento che mima levento principale, letteratura minore penalizzata dallattenzione e dalle vendite, senza il respiro del romanzo, come se il respiro fosse dettato solo dalla lunghezza, e non dalle suggestioni e dagli squarci anche aritmici che ogni testo dovrebbe aprire. Julio Cortzar paragonava larte del racconto alla fotografia di Henri Cartier-Bresson. Haruki Murakami crede che se scrivere romanzi come piantare una foresta,
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allora scrivere racconti somiglia di pi a seminare un giardino. Preoccuparsi di un orto, di un giardino, anche di piccole dimensione, perfino di una sola pianta acquistata un sabato pomeriggio allipermercato, mi pare una cosa che possa donare speranza, per condividere e decifrare la propria esperienza, il mondo. Questo libro di racconti, Da qui non vedo, ha un titolo aderente alla situazione italiana. Una delle invenzioni sociologiche novecentesche i giovani relegata, specie negli ultimi anni, a una condizione di debolezza e marginalit, attraverso una restaurazione politica e sociale feroce, che comprende riforme scolastiche, nuove leggi del mercato del lavoro, disinteresse o derisione della politica nei confronti della formazione e della cultura. I cosiddetti giovani sono visibili ma rappresentano potenziali rifiuti da occultare e smaltire in silenzio, come un qualsiasi prodotto o evento. E se lintera societ ridotta a una rappresentazione giovanilistica pubblicitaria, e le generazioni pi mature sono livellate in uningannevole, ininterrotta giovent globale categoria di marketing destinataria dellandirivieni delle merci allora tutti noi siamo ai margini, prigionieri di una libert artefatta, che corre sui bordi, a picco di noi stessi. Da qui non vedo potrebbe essere Da qui non vediamo, per affrontare la dispersione individuale nello spazio e nel tempo, sfilacciamento che tranne casi eccezionali investe la quotidianit italiana da molti, troppi anni. Unantologia di racconti pu essere una buona occasione per creare una piccola comunit anche solo provvisoria e attuare una forma di comprensione del mondo, come il personaggio di uno dei racconti, che ci parla rinchiuso dentro un cassonetto dellimmondizia, e resiste a questa vita, in attesa della rinascita. Giorgio Falco
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Vania Barozzi

Venti sterline per un black out

Antefatto O meglio, chi ben comincia... ma io non lo faccio mai Mi ero trasferita a Londra, in una di quelle villette a schiera in laterizio che affollano i borough di periferia. Certo il trasloco non era stato logisticamente facile, ma limpatto con una cultura diversa nel mio caso era mancato poich in passato non avevo mai rinunciato alla mia visita annuale della citt, che ormai conoscevo come le mie tasche. Anche limpatto con una fiammante Buick Lucerne Super era fortunatamente mancato, non tanto perch sicuramente ci avrei rimesso la vita, ma soprattutto perch la banca non solo si sarebbe ripresa la mia casetta, ma mi avrebbe anche negato una degna sepoltura per ripagare i danni causati dallo sbalzo del mio non propriamente esile corpo sulla carrozzeria e il parabrezza del bolide americano, che del resto andava riportato al suo kitsch originario. Perch una persona debba girare per le viuzze secondarie di Londra con una cos goffa e gigantesca macchina americana, ancora per me un mistero, anche se va constatato che lo scontro sarebbe stato inevitabile persino con Mr. Bean alla guida della sua sfasciata Mini. Fatto sta che da quella volta mi sono presa un bello spavento, accorgendomi che la fortuna mi aveva defini 223

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tivamente lasciata a me stessa e che la mia esistenza non aveva molto valore per nessuno, dal momento che mi dovetti sorbire anche le maledizioni dellautista, che peraltro era nel torto. Nella vita quotidiana si troppo distratti per prestare attenzione a tutto ci che accade, e pu capitare di investire un malcapitato solo perch si avuta una giornata dinferno in ufficio e per tornare a casa si inserisce il pilota automatico scollegando sensi e cervello. Ho sempre ritenuto che la quasi totalit delle azioni che compiamo durante una giornata sono eseguite meccanicamente, come se appunto ci fosse un piccolo pilota automatico in ognuno di noi. Probabilmente il mio pilota era in costante stato di ubriachezza, perch nei casi migliori non ricordavo certi miei comportamenti mentre in quelli peggiori coglievo la loro assoluta mancanza di logica. In questi ultimi casi, ovviamente, me ne rendevo conto solo dopo certe reazioni sbigottite degli astanti, e in quei momenti avrei tanto voluto gettare la testa sotto la vaschetta di sabbia del figlio della mia vicina di casa. Sicuramente ne avrei fatto migliore uso, dal momento che la mia vicina teneva il proprio pargolo in casa come un recluso e che quella vaschetta era diventata molto pi simile a una piscinetta fangosa, data linstabilit proverbiale del clima britannico. A parte questi attimi di ordinaria follia, la mia vita procedeva senza particolari intoppi, se per intoppi si intende quel pepe che rende un po pi intensa lesistenza umana. Come la vita di molte persone, anche la mia era basata sulla routine. Il problema che non avevo ancora trovato il modo di renderla piacevole o rassicurante ma, al contrario, si concretizzava come una costante presenza di noia atavica, di quella che non ti scrolli di dosso facilmente se non suicidandoti o dando uno scossone radicale alla tua esistenza. Pensavo di poter cambiare radicalmente la mia vita accettando il trasferimento che mi era stato proposto nella
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capitale britannica, ma evidentemente mi sbagliavo. Sapevo troppo bene linglese per avere grossi problemi di comunicazione interpersonale e conoscevo troppo bene la cultura per poter risentire di quel trauma culturale che perlomeno mi avrebbe messo un po dansia addosso. Le premesse, per di pi, non erano state buone: gi dopo i primi giorni dal trasferimento ero pervasa dalla noia, e ora, dopo sei mesi, mi si stavano aprendo le porte del reparto geriatrico della casa di cura vicino casa, dal momento che il mio volto, il mio umore e il mio fisico somigliavano molto pi a quelli propri delliconografia della befana che a una donna della mia et. La morte interiore mi si affacciava allorizzonte e laccettavo, perch lapatia, che andava a braccetto con la noia, era come una linfa che scorreva nelle mie vene. Nemmeno gli attimi di ordinaria follia cui accennavo mi salvavano da questa prigione di ineluttabilit. Fatte queste premesse di certo penserete che vi sto propinando unaltra storia dai risvolti imprevedibili come rebours di Huysmans, nella quale lautore, riversando la propria malattia entro le pagine della sua opera ha tratto un certo beneficio, sicuramente ha mandato in depressione un buon numero di suoi lettori. Spero che nel corso della trattazione possiate in qualche modo ricredervi sulla mia vita come ho dovuto fare anche io. Paragrafo 1 Tutte le cose che gli altri odiano di me Odiavo andare da Sainsburys. Non tanto perch fosse uno dei supermercati pi cari della Gran Bretagna ma perch detestavo dal profondo delle mie viscere quei dannati addetti alle casse automatiche con il loro falsissimo sorriso stampato in faccia. Che genialata, la cassa automatica. Un altro sistema per pagare meno personale e lasciare sempre pi giovani a casa.
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Certo, direte voi, ci sono pur sempre quei teenager in subbuglio ormonale che spacciano per addetti alle casse, ma se vi sono quattro responsabili per sette casse automatiche significa che si risparmiato il costo di tre cassieri ordinari. Al diavolo Sainsburys e i cassieri, pensavo, basta prendere le mie quattro cose ed essere fuori da qui. Credo che ormai mi conoscessero e mi evitassero da quando in risposta al loro ennesimo tentativo di spiegarmi il funzionamento di questa nuova mirabolante invenzione gli avevo letteralmente ringhiato dietro, guadagnandomi il soprannome di growling spinster (zitella ringhiante, per lappunto). Gi, ero single e per di pi sulla quarantina abbondante o cinquantina incombente, dipende da come la si vuol vedere, il fatto che avrei avuto meno chance di trovarmi un partner che Sainsburys di reintegrare i cassieri. La verit che non mi ero mai seriamente innamorata di nessuno, forse perch sono sempre stata troppo concentrata sul lavoro e sulla carriera per farlo, e per di pi il mio cinismo e i miei momenti di black out di certo non mi aiutavano nel farmi apparire la fidanzata perfetta. Non avevo mai trovato un uomo alla mia altezza, capace pi che di sopportarmi di avere almeno il coraggio di avvicinarsi a me desiderando davvero conoscermi. Diffidavo sempre pi delle persone e, come se non bastasse, mi stavo persino stufando di vederle. Ero arrabbiata con il mondo perch mi rendevo conto che stavo morendo dentro senza che a qualcuno importasse qualcosa, che ormai non si seguiva pi nemmeno lantico clich di intrattenere rapporti interpersonali anche solo per cortesia, anche infarcendo i discorsi di frasi fatte, perch lindifferenza aveva preso il sopravvento. Arrivata alla cassa, come da copione, gli addetti hanno creato il vuoto attorno a me, colorando loperazione con delle malcelate risatine di scherno. Ogni settimana da sei mesi a questa parte la falsariga era la stessa: ero diventata perci immune a qualsiasi
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presa in giro da parte loro, per non dire poi che me ne importava gi poco i primi tempi. Quel pomeriggio il supermercato era insolitamente pieno. Insolitamente per un gioved, perch il venerd pomeriggio era sempre un delirio di bambini urlanti nelle corsie, pensionati che sceglievano sulla base di motivazioni incomprensibili il pi affollato giorno della settimana quando avevano a disposizione lintero monte ore settimanale per acquistare i loro cinque articoli di spesa e di scorbutici manager che sfrecciavano veloci nelle corsie rischiando di investire i figli altrui, e sbuffavano in coda alle casse impazienti di lasciare la grigia Londra in favore di un bel weekend a base di golf nel Surrey. Ero comunque in procinto di lasciare il supermercato e tutta linspiegabile folla che conteneva senza, come al solito, voltarmi indietro per non dar soddisfazione agli addetti che festeggiavano vedendomi oltrepassare le porte scorrevoli. Prima dovevo per inserire le cinquanta sterline nellapposita fessura della cassa per pagare i sei articoli che avevo nel carrello, sentendomi al contempo rapinata ma sollevata perch pregustavo il momento trionfale delluscita. Inserito il denaro, mi metto ad attendere come al solito un cenno dalla macchinetta, che mi doveva resto e scontrino. Al cambio di schermata ho un sussulto, perch torna alla sua home page senza restituirmi lo scontrino ma soprattutto le mie quindici sterline di resto. Non sarei comunque andata in bancarotta per quello, ma era una questione di principio ed ero gi nervosa di mio. Senza rendermene conto, avevo preso la cassa automatica per i due lati e avevo cominciato a strattonarla, e mentre sentivo tutte le mie vene pulsare provavo una sensazione liberatoria mai vissuta prima. Ero nel mio momento di black out, ma questa volta mi pareva di essere in uno stato di semicoscienza che mi permetteva di rendermi conto parzialmente di quanto stavo facendo e stava accadendo attorno a me. Non avevo voglia di tuffare la
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testa sotto la sabbia, questa volta, ma ero felice e quasi orgogliosa di quanto facevo. Poco mi importava delle grida che si levavano attorno a me, degli spari che sentivo e delle minacce che una voce maschile stava urlando perentoriamente. Non vedevo nullaltro a parte quella maledetta macchinetta e le mie mani che la scuotevano cos forte da far cadere anche quelle vicine, aggiungendo rumore di vetri rotti e ferraglia al caos generale. Sentivo anche un dolore lancinante al piede, forse perch avevo cominciato a prenderla violentemente a calci. In quei momenti di foga non mi ero accorta che nessuno era venuto a fermare la violenza della mia ira, cosa che in condizioni normali sarebbe accaduta. Stavo cominciando a udire in modo sempre pi ovattato quanto stava succedendo attorno a me, e la mia vista si stava facendo via via sempre pi sfocata. Dal punto in cui mi trovavo non avrei comunque goduto di una buona visuale, perch davanti a me cera un cartonato di dimensioni reali raffigurante quanto di pi retorico ci pu essere nel marketing pubblicitario di un grande magazzino: una foto di una famigliola felice sormontata dallo slogan hammer down the prices! (inchioda i prezzi!) che faceva riferimento al martello gigante che impugnava il padre della foto. Appena dietro al cartonato, davanti alla mia postazione, cera una scaffalatura di grandi dimensioni che conteneva le varie cartoline della raccolta punti pi i vari premi del supermercato. Fra questi vi era un set di coltelli professionali che mi attraeva solo perch stuzzicava la mia fantasia, che consisteva nellappendere al muro quei cassieri guastafeste e immaginarmi come provetta lanciatrice di coltelli usando quei tipi come bersagli. Avevo una fervida immaginazione, lho sempre saputo. Tornando al mio momento di ordinaria follia con la cassa automatica, sentii come unimprovvisa fitta al costato che per qualche istante mi imped di prendere fiato.
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Ero in me o fuori di me? Non riuscivo a comprenderlo, come del resto i segnali che il mio corpo mi mandava: sudavo freddo ma al contempo le mie mani ossute (nonostante fossi bella in carne le mie mani erano rimaste molto magre, come quando ero adolescente) non staccarono la loro presa da quella cassa di lamiera che mi doveva quindici pounds. Paragrafo 2 Il silenzio doro ma talvolta anche di sangue Ad un tratto sentii in lontananza dei rumori di sirene, non sapevo discernere se provenienti da camionette della polizia o da ambulanze. Sapevo solo che erano una lontana colonna sonora del mio delirio, come le urla soffocate degli astanti e quella voce maschile molto roca che da qualche tempo si alzava sopra le grida. Pi il rumore pareva affievolirsi, pi mi isolavo dal mondo circostante e la mia collera saliva. Eravamo io e la macchinetta allultimo atto, uno scontro finale senza esclusione di colpi. Improvvisamente ebbi uno scatto dira, un impeto che mi fece sussultare anche se ne ero la protagonista, stupendomi di essere riuscita a spingere la greve cassa contro il possente scaffale che stava dinanzi a me, provocandone la sonora caduta in avanti. Il tonfo era stato catastrofico, anche se mi sarei aspettata di sentire molto pi fracasso. Forse perch ero allo stremo, tutto mi pareva irrimediabilmente confuso e offuscato, e le mie forze non mi avrebbero permesso di fare altro che accasciarmi a terra. Lultimo ricordo prima del buio la mia mano insanguinata che scivola lentamente sulla lamiera della cassa, lasciando una scia rossa dietro di s.

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Paragrafo 3 Il martello e il malvivente Se non fossi stata cos accecata dallimpeto iracondo e cos fisicamente sfinita, mi sarei di certo accorta della comicit della scena che si stava svolgendo davanti agli occhi degli attoniti clienti del supermercato, siparietto che mi fu poi raccontato durante il trasporto in ambulanza, quando cominciai a riprendere conoscenza. A posteriori, infatti, mi venne raccontato che mentre stavo dimostrando tutte le mie buone maniere alla cassa automatica, nel supermercato si era introdotto un malvivente con passamontagna che voleva impadronirsi degli incassi della giornata minacciando clienti e commessi con una calibro 35 carica. Il fatto che fosse carica non un dettaglio da trascurare nel momento in cui spesso si sente parlare di rapine con pistole ad acqua, perfette riproduzioni delle originali, o scacciacani. Qui era tutto vero e cerano tutti i clich della perfetta rapina: uomo dallaccento straniero, una pistola carica, un passamontagna, un sacco per la refurtiva. Una situazione molto banale, se vogliamo, ma anche molto pericolosa. E io non mi ero accorta di nulla. Il potere dellesaurimento nervoso anche questo. Tornando alla situazione comica, ho poi appreso che, cadendo a terra, lo scaffale ha trascinato con s il cartonato della famigliola rovinando sul malcapitato malvivente, che, a detta dei testimoni, stava tentando di zittirmi con scarso risultato. Il fattore che suscit ilarit stemperando la tensione degli astanti fu la rovinosa caduta del martello di cartonato proprio sulla testa del ladro, schiacciato dal pesante scaffale. Una vera e propria vendetta del consumatore. Di certo, per, non fu quella a procurargli la perdita dei sensi e la frattura di tre costole. Come il rapinatore anchio sono finita in ospedale non appena le forze dellordine sono sopraggiunte nel supermercato, ormai pi
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simile al set di un film di Tarantino che a un rassicurante luogo per famigliole dove passare le ore pi inutili di un gioved pomeriggio qualunque. Dalla mia finestra al St Thomas Hospital, in prossimit del Westminster Bridge e vicino alla Waterloo Station, vedevo allegre famigliole dirigersi verso lIMAX, per gustarsi quaranta minuti di alta definizione e lasciarsi i problemi alle spalle. Lultima volta che ero entrata in un cinema, lIMAX non esisteva ancora e forse nemmeno i genitori di quegli spensierati nuclei familiari. Certo gi sapevo di aver condotto una triste e insipida esistenza negli ultimi venticinque anni, ma non avevo mai visto chiaramente la cosa come in quel momento. Saranno state quella luce azzurrata e fredda del neon o quelle pareti color verdino ospedale a farmi ravvedere: la loro tristezza e monotonia tale che non possono indurre altri sentimenti che la malinconia e paiono non poter incoraggiare nessun ragionamento che non sia di carattere passivo, introspettivo ed eminentemente abulico. Quasi cinquantanni, nessun marito, nessun figlio, nessuno e basta. Sola io e il mio principio di menopausa, come due nemici che si trovano uniti in una situazione di disagio. Non mi ero mai sentita cos in balia del nulla prima dora. Dopo molti anni di apatia sentimentale sentivo le lacrime rigare il mio volto: non un singhiozzo per. In fondo la mia corazza di persona coriacea, cinica e orgogliosa non era ancora del tutto caduta. A cadere invece era la pioggia battente, ideale scenario per un abbandono malinconico. Non riuscivo a smettere di piangere e non ero nemmeno in grado di staccare il mio sguardo dallacquazzone che si stava scatenando fuori dalla finestra.

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Paragrafo 4 Pioggia fuori e dentro La voce del medico mi distolse dallo spettacolo che stava andando in scena fuori dalla mia camera dospedale. Probabilmente avevo il volto pi simile al muso di un panda che a quello di una persona, e due chiazze rosse stile Pimpa ogniqualvolta piangevo comparivano dallarco sopraccigliare fino alle occhiaie, rendendo immediatamente comprensibile agli altri il mio stato emotivo. Questo di certo non mi faceva piacere, e lultima cosa che avrei voluto era la compassione delle altre persone. Fortunatamente, il dottore comprese che non ero dellumore adatto per motivare quel mio stato di malessere e si limit a fornirmi quadro clinico e diagnosi. A parte un forte esaurimento nervoso, qualche graffio e la slogatura del polso dovuta alla violenza dei miei strattoni, ero in perfetta salute. Uscito il dottore, potevo sprofondare nuovamente nella mia depressione e solitudine, dato che per qualche strano caso del destino non avevo nemmeno un compagno di stanza. Sar stata immersa nei miei pensieri per almeno mezzora prima che il commissario Dan Watts varcasse la soglia della mia stanza. In qualit di testimone oculare di un crimine dovevo rispondere a qualche domanda della polizia. Sar rapido e indolore, viste le sue condizioni disse Watts, con voce vellutata e suadente. Non c problema sussurrai sommessamente asciugandomi velocemente il viso con la mano sana. Premesso che la comunit le deve gratitudine, dal momento che ha fermato un criminale che negli ultimi tre mesi ha effettuato cinque colpi in altrettanti ipermercati, vorrei chiederle se nei giorni antecedenti la rapina aveva notato nel supermercato dei movimenti sospetti da parte di eventuali complici del rapinatore, non ancora intercettati dalle forze dellordine.
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Non saprei, guardi. Di norma odio andare nei supermercati e nella fattispecie in quello, dal momento che non ho ottimi rapporti con una buona parte del personale, quindi cerco di starci il meno possibile e di incrociare meno sguardi che posso. Andandoci poi solo una volta a settimana, in ogni caso non sarei riuscita a monitorare pi di tanto eventuali movimenti sospetti. Per caso si ricorda se il malvivente era solo? Guardi, in realt non ricordo nemmeno di averlo visto per tutto il tempo in cui stato nel negozio. Posso confermare la sua presenza perch dai racconti che ho udito dallinfermiere che mi ha scortato in ambulanza e che era presente in quegli attimi nel supermercato lho abbattuto io, pur senza volere, e inoltre ricordo di aver sentito una voce roca e dallaccento forestiero mentre ero in preda al mio raptus. Ad ogni modo non lho mai visto, perch dalla mia postazione non vedevo assolutamente nulla. Per via del cartonato e dello scaffale che sono poi rovinati addosso al malintenzionato, giusto? mi chiese Watts, che nel frattempo si stava trastullando togliendo e rimettendo nervosamente il tappino alla sua biro. Esattamente annuii. Bene, direi che per ora pu bastare. Non implicata in alcuna indagine poich la sua non stata una reazione volontaria e immotivata, rientra nella legittima difesa anche perch ha subto minacce, a detta dei testimoni. Presumo di s ma non ricordo, sinceramente. stata fortunata ad aver colto il momento esatto in cui il rapinatore, spazientito, si stava avvicinando a lei passando davanti allo scaffale. Se fosse successo un minuto dopo forse non sarebbe qui a parlarne. La fortuna non mi ha quasi mai toccato, nella mia vita. Probabilmente star vivendo un momento di svolta, non so. Di certo solo lassoluta estraneit alla vicenda e lincoscienza mi hanno portato qui. Se lavessi chiaramente visto, o perlomeno scorto, e non fossi stata acce 233

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cata dallira probabilmente starei sul lettino del coroner adesso enunciai con rassegnazione. Gi convenne Watts con aria pensante. Ci fu un attimo di silenzio. Entrambi sembravamo immersi in mondi tutti nostri, eravamo in quella stanza e parlavamo della stessa cosa ma eravamo mille miglia distanti luno dallaltro, in cerca di un modo per uscire da quella stucchevole pausa di silenzio e da quella conversazione di circostanza. A un tratto vidi il volto del commissario distendersi e assumere un sorriso al limite del beota, rimanendo attonita per la rapidit di quel mutamento emozionale. Ma lo sa che fuori dal polo ospedaliero gi appostato uno stuolo di giornalisti pronti a immortalarla? rivel con un entusiasmo da adolescente che non mi sarei aspettato da un poliziotto inglese alquanto attempato. Spero solo che siano qui per immortalarmi e non per vedermi morta ribattei. Anche se onestamente quella battuta di dubbio gusto avrei potuto facilmente risparmiarmela, certo le condizioni psichiche in cui versavo non mi permettevano, questo va detto, di partorire qualcosa di pi ilare. Vidi il commissario abbandonarsi a un risolino, e voltandomi le spalle disse: This is English humour, my dear! Oh oh! Non riuscii a capire se rimasi pi basita dallassoluta mancanza di seriet di Watts o dal fatto che lInghilterra mi avesse gi fatto perdere quel poco di sano senso dellumorismo che da buona italiana non mi era mai mancato, rimpiazzandolo con una versione pi cinica e inquietante. Paragrafo 5 Dal tubo di scappamento a Youtube Avevo dormito di sasso tutta la notte. Probabilmente se da quindici anni a questa parte avessi sempre riposato
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cos, sotto i miei occhi non ci sarebbero quelle orribili borse, che ormai erano pi simili alle shopping bags di Paris Hilton che a dei rigonfiamenti cutanei. Al mio risveglio scorsi occhi indiscreti sbirciare dalle veneziane semiaperte che si aprivano sul corridoio. Che cosa mai fossero curiosi di vedere lo ignoravo, dal momento che in quella stanza cero solo io (che appena sveglia, come tutti, non sono proprio un bijou). Non c nulla di pi odioso di sentirsi osservati in ospedale, ancor di pi se in qualit di degenti. Il medico mi aveva consigliato di arrabbiarmi il meno possibile, e, per quanto potevo, di stare tranquilla. Convenivo certo con lui, in linea teorica, ma quegli idioti al di l del vetro mi facevano saltare la mosca al naso. Afferrai con la mano sana lasta porta-flebo e la trascinai fuori dalla porta con me. Vi sembro una cavia da analizzare o, a tempo perso, andate in giro per ospedali come turisti al safari? ringhiai sfoderando il lato pi burbero che c in me. Non si scaldi cos, per carit! Mio figlio lha vista ieri sera al TG e, dal momento che mia cognata ricoverata in questo stesso reparto, abbiamo colto loccasione per venirla a trovare mi disse una signora della mia et indicando il figlio adolescente che cingeva orgogliosamente con un braccio attorno alla sua vita. Ecco, cercate di cogliere meno occasioni in futuro, allora. Lei proprio intrattabile, lo sa? Per ieri ha fatto una gran cosa. Cerchi di limare quel suo caratteraccio e vedr che vivr pi serena. Senta, a parte il fatto che vorrei sapere quale autorit le permette di dispensare consigli a sconosciuti... comunque sia, cosa le fa pensare che io non sia serena? Beh, guardi. Direi che il suo siparietto da nevrotica con la cassa automatica parli da solo, no? replic con aria saccente e sguardo fermo, dritto nei miei occhi.
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Non voglio mancarle di rispetto, ma evidente che versa in uno stato emotivo precario aggiunse. Ci che ha fatto a quelle persone molto nobile, comunque, ed per questo che nonostante i suoi squilibri la stimo come persona, sa? Anche mio marito! Ora non qui ma le posso garantire che cos. Ci mancava solo il TG. La mia nevrosi era un caso di interesse nazionale ed ero diventata in meno di un giorno un fenomeno da baraccone. Niente male per una persona che si era trasferita in un altro paese per vivere una vita anonima e, lavoro permettendo, tranquilla. Ma sa che ha una cifra di visualizzazioni su Youtube? Hanno anche creato un fan club su Facebook, si chiama Exhausted everyday heroes (eroi esauriti della quotidianit)... oh, io mi sono gi iscritto disse raggiante il figlio della signora. Avr qualcosa come 3000 iscritti. Grazie per la precisazione ribattei. Wow, dovrei essere felice del fatto che nottetempo un gruppo di ragazzini in perenne lotta con lacne abbiano creato una sorta di fan club per una zitella acida e nevrotica? dissi con fare canzonatorio. Beh, cavolo, penso di s! bofonchi in tono poco convinto e con le pupille allins, come chi non del tutto certo di aver capito e volge in alto lo sguardo come per arpionare unidea errante, anche la pi stupida, pur di dar fiato alla bocca. Ci piace proprio perch cos... cio... a sto mondo chi non si incavola perduto, lei una persona vera. A parte lovviet dei luoghi comuni sciorinati e la sua scarsa propriet di linguaggio, che l per l mi fecero rabbrividire, forse il ragazzo aveva ragione. Era giunta lora di dare una svolta alla mia grigia esistenza e di conoscere quel mondo che mi limitavo a criticare. In fondo sarebbe potuto scaturire anche qualcosa di divertente, Facebook aveva un lato folkloristico e ge 236

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nuino che avrebbe potuto distogliermi da quel cinismo e snobismo un po piccolo-borghese di cui avevo sempre fatto sfoggio. Paragrafo 6 Le luci della ribalta Una volta lasciata la camera del St. Thomas mi ritrovai catapultata nei camerini delle pi disparate televisioni europee, dato che ero diventata il personaggio del momento e su Internet il filmato ripreso dalle telecamere di Sainsburys aveva viaggiato velocemente, toccando il milione di visualizzazioni su Youtube nel giro di due giorni dallaccaduto. Anche se nelle riprese sembravo pi una pazza da internare che uneroina da esaltare, ricevevo quotidianamente e-mail, lettere e fax con attestati di stima da parte di persone che ovviamente non conoscevo e che vivevano lontanissimo da Londra. Pi erano distanti e pi i loro complimenti e gli auguri per me sembravano accorati e sinceri. Ovviamente anche in Italia ero diventata popolare, tanto che ero quotidianamente contesa dai Signorini e Sposini di turno. Esposta alla corrida giornaliera della battaglia dellaudience che vedeva affrontarsi le reti Mediaset e Rai a colpi di Verissimo e La vita in diretta, Pomeriggio Cinque e Uno Mattina; mi barcamenavo tra tutti quei programmi un po frivoli da casalinghe disperate che tanto assicurano quella popolarit istantanea ma effimera che mi stava dando, non lo nascondo, una certa soddisfazione personale oltre a notevoli introiti. Nella mia vita non mi ero mai abbandonata cos al contatto con le persone e non avevo mai saputo cosa si prova a essere al centro dellattenzione. Presto mi resi conto che mi piacevo di pi quando ero, come ora, un po pi moralmente corrotta ma emotivamente stabile. Del resto, per trovare una mia tranquillit dovevo tentare di
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interagire pacificamente con il prossimo, e per farlo dovevo perlomeno darmi da fare per piacergli anche solo un tantino, nonostante questo comportasse latto di scendere a compromessi con me stessa. Avevo sempre odiato quei programmi pressappochisti e dai falsi sentimenti, per non potevo ignorare che erano capaci di arrivare al cuore delle persone, il pi delle volte anziane e con un basso livello di istruzione, ma non per questo meno importanti e meno reali. Anzi, per la loro genuinit e innocente naturalit lo erano forse anche pi di altri che, come me, avevano sempre snobbato quel tipo di trasmissioni e bollato come bifolchi e trogloditi coloro che le seguivano ogni giorno. Alluscita dagli studi televisivi trovavo sempre un nutrito numero di persone ad aspettarmi ed ero diventata, volente o nolente, il simbolo e lignaro portavoce di tutte quelle persone stressate o indebolite dalla solitudine e dalle pressioni della societ. Mi ero tramutata in un animale da palcoscenico, una cavia da studio sociologico per la mia schiettezza nelle risposte e nei rapporti umani; le mie risposte taglienti e burbere spopolavano sul web ed erano diventati tormentoni, nutrendo quel circo mediatico che dona a tutti noi, nel bene o nel male, i famosi fifteen minutes of fame warholiani. Forse mi ero instupidita anche io, inghiottita da quellingranaggio mai pago che lo show business, ma per la prima volta nella mia vita ero davvero serena. A coronamento del mese pi frenetico ma entusiasmante della mia vita, una mattina ricevetti da un ammiratore anonimo un braccialetto dargento con un pendente a forma di pistola alata. Proprio cos: una revolver in nichel con due ali dangelo allaltezza del tamburo. Nonostante di per s il bracciale fosse decisamente kitsch, non esitai a indossarlo. Lo feci per empatia, infatti colui che me laveva inviato, come scrisse nella lettera che accompagnava il
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dono, era sopravvissuto a una sparatoria in un supermercato, proprio in occasione di una rapina. Pur non avendo subto la stessa sorte vi ero andata molto vicino, quindi mi sentii in dovere di portarlo anche solo per solidariet morale. Lo indossai durante le mie ultime due settimane di celebrit allOprah Winfrey Show e da David Letterman negli States, nonch al programma Breakfast della BBC. Trascorse queste due settimane, mi restava una sola ospitata prima di ritirarmi di nuovo a vita privata, anche se non potevo escludere altre comparsate, come si dice in gergo, per il futuro. Era una decisione che avevo preso di mia iniziativa, anche se i miei agenti (s, si erano materializzati quando avevano sentito lodore del guadagno e dello scoop) non erano dello stesso avviso. Avrebbero voluto altri passaggi televisivi per almeno un altro mese, ma era meglio tornare alla mia vita di sempre perch la gente si sarebbe presto dimenticata di me e forse si era gi stancata di vedere il mio volto da befana imbellettata a quasi ogni ora del giorno senza soluzione di continuit. Si tornava alla vita quotidiana ma non allantico baratro, quello no. Ora avevo una buona piattaforma di contatti con il mondo (il mio gruppo su Facebook contava almeno un milione e mezzo di iscritti e si progettava di organizzare un raduno annuale nella capitale britannica), pertanto non sarei di certo rimasta a corto di persone con cui comunicare e condividere la mia esperienza. Come spesso accade in queste situazioni, dopo aver ricevuto molto, tra amore e denaro, si ha voglia di restituire un po agli altri, per questo meditavo di cooperare con qualche charity impegnata nellassistenza alle famiglie delle vittime di sparatorie a danno di innocenti. Forse non esisteva ancora un ente di questo tipo: avrei potuto crearlo io, perch no? Immersa in questi pensieri, mi apprestavo a raggiungere gli studi della BBC in Wood Lane, per prendere parte al dibattito serale del BBC London News. Il via 239

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letto che portava allingresso, nel gelido freddo di gennaio, era ricoperto da una sottile quanto invisibile lastra di ghiaccio. Prima che potessi accorgermene, mi ritrovai a terra con un lancinante dolore alla testa. Epilogo Sono sdraiata in un lago di sangue, la mente confusa, la vista annebbiata. Da qui non vedo nulla, se non che la mia mano giace abbandonata di fianco alla lamiera della cassa automatica, proprio come lavevo lasciata prima di svenire. La vedevo come parte del mio corpo ma non la sentivo pi come tale: ero letteralmente a pezzi. Ma non mi sarei dovuta trovare ai BBC Studios? Che sensazione strana di dj vu... era davvero possibile che mi trovassi ancora sul luogo della rapina? Oddio, che brutto sogno. Forse ero cosciente del mio incubo, bastava attendere e mi sarei svegliata nel tripudio dei miei ammiratori o in una stanza dospedale con limmancabile commissario Watts, vista la mia brutta caduta. Forse mi sarei dovuta risparmiare quellultima ospitata, forse ero stata idealmente indirizzata a quella lastra dai miei detrattori per impedirmi un nuovo passaggio televisivo, chiss. Sar forse svenuta l e ora stavo sognando? Caspita, la pozza bella estesa, sono ferita allaltezza dello sterno, mi vedo il foro del proiettile pensavo ad alta voce. Le fitte erano tornate, come prima di aver perso i sensi la prima volta. Ma cera stata davvero una prima volta o avevo sognato tutto? Se quello era il sogno ora questa era realt? Una sagoma nera di uomo si faceva sempre pi vicina a me (presumo a passo spedito anche se vedevo tutto come in slow motion) minacciandomi in un inglese maccheronico di tacere. Luomo pare
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puntarmi contro la sua calibro 35, anche se vedo cos offuscato che mi pare quasi una nuvola nera. In quellattimo parte un colpo, dritto alla mia tempia. Non ho nemmeno il tempo di pensare che la fine, di vedere le reazioni degli astanti, compresi quei ragazzini frustrati e maligni delle casse automatiche: mi sono persa un bello spettacolo, per una volta ero riuscita a zittirli lasciandoli di sasso. Il mio sguardo, prima di spegnersi, si posa ancora una volta sulla mia mano, quella mia mano indisciplinata e violenta che tanto male aveva fatto a quella macchinetta e che tanto male aveva inferto a me stessa negli anni passati. Accanto al mio indice, appena appoggiata, c una banconota da venti sterline che sta assorbendo il rosso denso del mio sangue. Prima di spirare, la cassa automatica aveva emesso in segno di resa quella banconota, pi di quanto in realt mi dovesse. Non mi era mai successo di avere cos fortuna nella vita. E pensare che non indossavo nemmeno il mio bracciale portafortuna.

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Postfazione di Paolo Giovannetti

In questa quarta antologia dei Giovani scrittori Iulm figura un racconto di Vania Barozzi, Venti sterline per un black out, che narra una storia per lo meno curiosa. Una inacidita single, italiana e stagionata, a Londra fa un lavoro prestigioso ma eleva fra s e la realt barriere di diffidenza e rancore che finiscono per renderla infelice. Un evento drammatico il cui statuto ontologico ci limitiamo a definire dubbio per non rovinare al lettore il piacere di scoprire che cosa davvero successo la proietta allimprovviso in un mondo diverso, pi eccitante e appagante. Questo mondo la televisione. Il tanto detestato (anche dalla narratrice) talk show fornisce una possibile via di fuga dalla frustrazione, permette alla protagonista di scoprire, per un attimo, una dimensione autentica. Che tuttavia lontana dai quindici minuti di celebrit di cui parlava Andy Warhol, e anzi assomiglia molto alla scoperta di uno spazio interiore a lungo desiderato e mai davvero n capito n affrontato. Quello che mi colpisce in un tipo di scrittura del genere mi spiego la capacit di costruire un personaggio e insieme una voce, in cui la finzione (il falso) e il ritorno alla realt trovano un equilibrio assai precario, comunque sbilanciato dalla parte del primo polo. La maschera audiovisiva fa premio, dico, sulla ricomposizione pragmatica. Autobiografismo generazionale e moralismo antimediale, due componenti che spesso caratterizzano il genere scrittura giovanile, sono del tutto assenti. La posta in gioco ora molto diversa.

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Su un piano letterario strettamente inteso, ci significa accettare un sistema di convenzioni fra le quali quelle televisive possono svolgere un ruolo non secondario a fianco del cinema e Internet indispensabili per intuire qualcosa che si avvicini alla propria identit. A un estremo del percorso possiamo collocare Diego Dotari, Muscle car. Un viaggio in Ammerica, con la sua fantasmagoria narrativa (forte anche di una pasta linguistica sicilianizzante, e della memoria del peraltro inattuale Orcynus orca di Stefano DArrigo) che distrugge la linearit dellintreccio per far trionfare una metamorfosi giocosa di personalit e luoghi. Allaltro estremo Senza sonno di Mattia Conti, in cui il monologo di un neonato abbandonato rende esplicito il desiderio biologico (e ideologico, certamente) di affermare un puro esserci, un puro sopravvivere. Tra lo sfaldamento liquido e il fondamentalismo dogmatico, fra una struttura che si elide e un principio astratto che si fa narrazione, a me sembra che la media di questi racconti si collochi nel campo dei ragionevoli travestimenti, dei plausibili rovesciamenti. Da qui non vedo, in questo senso, potrebbe avere un significato pi ambizioso. Da qui non vedo, certo: ma ho qualche idea del gioco di maschere e specchi che devo mettere in atto per provare almeno a intuire alcunch di diverso. Sono consapevole del fatto (per riprendere unosservazione svolta da Giorgio Falco nella sua bella prefazione) che il mio presente mi prospetta un futuro incerto e anzi proprio inguardabile, e non credo pi forse non ci ho mai creduto alle pratiche di uno scavo interiore che dai limiti del qui-e-ora mi suggerisca qualcosa di simile alla siepe leopardiana, per cui il mio non vedere pu rovesciarsi in un vedere al quadrato, nellinfinito che sta dentro me. No, esattamente allopposto, la finzione fuori (fingo per gli altri, e non mi fingo, cio invento dentro di me), e deve essere materiata di tutto ci che ho a portata di
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mano: generi e sottogeneri del letterario, stili mediali, vocalit elettrica ed elettronica, persino ricordi della Storia (non manca un racconto su un episodio del recente passato italiano, la strage di Bologna: vedi Fermo immagine di Elena Sabattini). In questo percorso, probabile che la seconda vista possibile si avvicini a una specie di smascheramento, pi esattamente a uno straniamento: quando finalmente vedo (e sento e tocco e annuso: come ci ricorda Salinoch con il suo Astrakan) al di l dei limiti prestabiliti, sar realizzabile un rovesciamento dei rapporti di forza, niente potr pi essere letto e vissuto come prima. Certo, normale che il racconto in quanto genere codificato (come, da Poe in gi, tanti maestri hanno insegnato) giochi tutte le sue carte su un unico effetto, su una sola fuse sparata con accortezza. Per qui, anche a causa del tema proposto, si ha limpressione che la rottura di un limite svolga un ruolo discretamente anomalo, nel senso di chiederci un di pi di attenzione. Notevole che in un paio di pezzi (Valentina Neri, Lunica risposta; Chiara Daffini, Lui volava nel vuoto) sia la stessa famiglia a nascondere il male, e che la logica di chi uccide appaia quasi accettabile, comunque comprensibile; e notevole la frantumazione polemica e molto ideologica praticata da Marco Ferrarini (The revolution will not be televised) con il gesto quasi tracotante di chi svela risentimenti sociali (e biologici) diffusi. sintomatico il fatto aleggia pi di quanto a prima vista non sembri che qua l emergano riferimenti dickiani a mondi paralleli, a realt moltiplicate che un po si toccano un po si separano, e ci ricordano che il soggetto , costantemente, qui e altrove: presente alla nostra coscienza ma anche in balia di forze (le forze produttive di storie) che non in grado di controllare. Prendete almeno Il duello di Jacopo DAndrea, Linea interrotta di Federica Gerardi e Memorie plastiche di Laura Banchero: e vi renderete conto di cosa pu diventare, anche in termini di umore e di sensibilit,
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una simile ossessione del nostro tempo rimanipolata da giovani scrittori. Rimanipolata. Appunto. In gioco molto spesso c anche, e magari soprattutto, la manualit della scrittura, la sua grana elementare, i fondamentali che guidano lo sforzo compositivo. In gioco c anche e soprattutto lo stile. Per capire meglio dove voglio arrivare, faccio una specie di passo indietro. La selezione dei Giovani scrittori Iulm anno 2011 avvenuta in maniera pi garantista rispetto al passato: i quattro curatori i cui nomi leggete nel frontespizio hanno fatto la loro scelta in totale indipendenza dal sottoscritto, il professore-promotore, il quale oltre tutto non aveva lautorit di escludere racconti scelti che (eventualmente) non gli piacessero. Lunico suo tipo di intervento era pensato in senso rigorosamente positivo: includere racconti inizialmente bocciati dal gruppo dei curatori. Lesito, agli occhi appunto di quel professore che ora prova a delineare un bilancio, un aumento delleterogeneit, un sovrappi di contrasti tra diciamolo scritture evidentemente ancora un po ingenue e scritture al contrario gi parecchio smaliziate. E tuttavia questo rilievo (che in s non direbbe molto e poi chi legger giudicher) a me pare sintomatico di una questione pi importante e anzi strategica. In Da qui non vedo, se si fa unanalisi spassionata degli esiti acquisiti, la pluralit ma anche lo scarso spessore degli stili qualcosa che colpisce e pu anche disturbare. Tante voci tutte diverse fra loro, certo, ma solo pochissime davvero installate in una ricerca di scrittura che abbia comportato (di nuovo) il superamento di un limite, un occhio gettato oltre. La babelica diffrazione dei microstili, cio, solo di rado rispecchia quel lavoro sulla parola che la Tradizione ci ha restituito. Nel bricolage dei riferimenti il gusto dellarchitettura sintattica e della ricerca lessicale quasi totalmente escluso. A risultare vincente un ronzio verbale poco connotato, in ultima analisi poco espres 304

sivo, oserei dire persino per i suoi difetti di consapevolezza poco letterario. Ma io dico: bene, evviva. E faccio una mezza provocazione di portata forse sproporzionata alloccasione. In definitiva: non pu essere che da un simile modo di scrivere, che sembra spesso lesito di una traduzione (ovviamente dallinglese), stia nascendo una specie di nuova convenzione letteraria, pi opaca ma non per questo meno preziosa? E, insomma, perch non provare a costruire sulle macerie della tradizione ereditata forme davvero pi semplici e paradossalmente nuovissime? perch non rinunciare una volta per tutte alleffetto di stile, allarguzia, alla bella metafora (che poi si rivela spesso un simpatico autogol) per plasmare fino in fondo le virt di un non-stile? In modo beninteso il pi possibile controllato. Come colui che, avendo assistito al crollo di un mondo comunque a lui estraneo, si arrangia a vivere con il poco che gli rimasto. Ma se la cava bene, valorizzando le sue rovine. Almeno per il momento. Per salvare i classici il tempo probabilmente ci sar; ma e sar il tempo di altre sfere, di realt diverse, che non detto incrocino la cellula dello scrittore. L dentro, in quei mondi alieni, ci vivono i professori uffa. Sta a noi decidere se le loro proposte di negoziazione abbiano ancora un futuro. E una volta legittimata, con la pratica, la nostra manipolazione avremo comunque ragione noi.

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Collana Giovani scrittori IULM

Glenda Manzi, Michele Marcon, Hulda Federica Orr, Danilo Potenza, Paola Tonetti, Dimitri Squaccio, Marcello Ubertone, Giusepppe Carrieri Linafferrabile a cura di Giuseppe Carrieri e Michele Marcon Postfazione di Paolo Giovannetti

Michele Marcon, Hulda Federica Orr, Linda Avolio, Massimo Pignat, Ludovica Isidori, Danilo Potenza, Anna Cuomo, Nicholas Di Valerio/Salinoch, Rachele Casato, Riccardo Fantoni, Glenda Manzi, Stefano Plebani, Giulio Tellarini, Francesco DUva Perso in tempo a cura di Michele Marcon e Giulio Tellarini Prefazione di Andrea G. Pinketts Postfazione di Paolo Giovannetti

Andrea Sesta, Michele Danesi, MDS, Salinoch, Mattia Conti, Monica Ferrazzi, Danilo Potenza, Chiara Daffini, Diego Dotari, Valentina Neri, Linda Avolio, Giulio Tellarini, Daniel Cristian Tega, Giuseppe Marazzotta, Marco Romani. Quello che resta a cura di Michele Danesi e Andrea Sesta Prefazione di Antonio Scurati Postfazione di Paolo Giovannetti

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