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Ode sull'Indolenza

"Non faticano n filano." Tre figure mapparvero una mattina, Chine, a mani giunte, di profilo, E una dietro laltra avanzarono serene Con la grazia dei placidi sandali e delle vesti lustraliSfilarono: come figure su unurna marmorea, Quando, giratala, laltro lato si vuole guardare. Poi riapparvero, come quando ritornano Le ombre gi viste su unurna ancora una volta girata: Ma non le riconoscevo, come accade coi vasi Anche e un esperto datre fidia. Come mai, ombre non vi riconobbi? E perch arrivaste incappucciate, in maschere mute? Fu forse una congiura la vostra, silenziosa, nascosta, Per derubare i miei giorni oziosi E lasciarli senza scopo? Matura era lora sonnolenta, E la nube beata dellindolenza estiva Opprimeva gli occhi; batteva lento il cuore, E il dolore taceva: era sfiorita la ghirlanda del piacere. Ah, perch non svaniste, lasciando che il niente soltanto Tormentasse i miei sensi? Per la terza volta passarono, e passando il volto Volsero verso di me, un istante Poi svanirono. E ardevo di seguirle, io, Soffrendo dessere senzali, perch le riconobbi, adesso: Era una bella fanciulla, la prima, si chiamava Amore; Seconda era Ambizione, con le guance pallide, Locchio affaticato, sempre sveglio; Lultima, la pi amata e pari cresceva Al mio amore la sua vergogna, troppo ritrosa fanciulla Era il mio demone, la Poesia., Svanirono, e, davvero, ali io desideravo: Pazzo! Cos lAmore, dov? E la povera Ambizione nata. Dalla breve febbre del cuore piccolo dun uomo! E la Poesia no, che una gioia non possiede Dolce, almeno per me, come i meriggi di sonno, O quelle sere imbevute in unindolenza di miele; Si, un tempo vorrei io, cos al riparo dalla noia Da non accorgermi del mutare della Luna. E non sentire pi la voce del laborioso buon senso. Passarono una terza volta perch mai? Il mio sonno era stato trapunto do sogni oscuri, 1

Il mio animo ridotto a unaiuola spruzzata Di fiori, dombre mobili e raggi ingannevoli: Il mattino era coperto di nubi, senzacqua per. Anche se dalle sue palpebre pendevano le lacrime dolci di maggio, La finestra premeva una vite con foglie nuove Lasciando entrare il tepore delle gemme e il canto del tordo: Ombre! era tempo davvero di dirvi addio! Sulle vostre vesti non una lacrima sparsi. Addio, dunque tetre larve addio. Il mio capo Non alzerete dal fresco letto dellerba fiorita; Non voglio mica nutrirmi di lodi, io, Come un agnello duna farsa sentimentale. Svanite dai miei occhi, e ancora una volta siate Figure in maschera sullurna del sogno; Addio, altre visioni ho per la notte, E per il giorno di tenue visioni ne ho sin troppe; Svanite pure, voi, fantasmi del mio spirito ozioso, Via, tra le nuvole. E non tornate mai pi.

All'Autunno
Stagione di nebbie e morbida abbondanza, Tu, intima amica del sole al suo culmine, Che con lui cospiri per far grevi e benedette d'uva Le viti appese alle gronde di paglia dei tetti, Tu che fai piegare sotto le mele gli alberi muscosi del casolare, E colmi di maturit fino al torsolo ogni frutto; Tu che gonfi la zucca e arrotondi con un dolce seme I gusci di ncciola e ancora fai sbocciare Fiori tardivi per le api, illudendole Che i giorni del caldo non finiranno mai Perch l'estate ha colmato le loro celle viscose: Chi non ti ha mai vista, immersa nella tua ricchezza? Pu trovarti, a volte, chi ti cerca, Seduta senza pensieri sull'aia Coi capelli sollevati dal vaglio del vento, O sprofondata nel sonno in un solco solo in parte mietuto, Intontita dalle esalazioni dei papaveri, mentre il tuo falcetto Risparmia il fascio vicino coi suoi fiori intrecciati. A volte, come una spigolatrice, tieni ferma La testa sotto un pesante fardello attraversando un torrente, O, vicina a un torchio da sidro, con uno sguardo paziente, Sorvegli per ore lo stillicidio delle ultime gocce. E i canti di primavera? Dove sono? Non pensarci, tu, che una tua musica ce l'hai Nubi striate fioriscono il giorno che dolcemente muore, E toccano con rosea tinta le pianure di stoppia: Allora i moscerini in coro lamentoso, in alto sollevati Dal vento lieve, o gi lasciati cadere, Piangono tra i salici del fiume, E agnelli gi adulti belano forte dal baluardo dei colli, Le cavallette cantano, e con dolci acuti Il pettirosso zufola dal chiuso del suo giardino: Si raccolgono le rondini, trillando nei cieli.

Oh fossi come te, lucente stella


Oh fossi come te, lucente stella, costante - non sospeso in solitario splendore in alto nella notte, e spiando, con le palpebre schiuse eternamente come eremita paziente ed insonne della natura, le mobili acque nel loro compito sacerdotale di pura abluzione intorno ai lidi umani della terra, o rimirando la maschera di nuova neve che sofficemente cadde sopra i monti e sopra le brughiere, no - ma sempre costante ed immutabile posare il capo sul bel seno maturante del mio amore e sentire eternamente il suo dolce abbassarsi e sollevarsi, per sempre desto in una dolce ansia, sempre udire il suo tenero respiro e vivere cosi perennemente o svenire altrimenti nella morte.

Guardando per la prima volta l'Omero di Chapman


Molto ho viaggiato nei reami d'oro, e molti vidi buoni stati e regni, e tutt'intorno a molte navigai isole d'occidente, che poeti mantengono d'Apollo in signoria. Spesso mi fu narrato d'una vasta landa cui tiene in suo dominio Omero dalla fronte profonda; eppure mai, giammai ho respirato la sua pura serenit, finch io non udii Chapman parlare forte e audace: allora simile ad uno che nei cieli scruta io mi sentii, quando un nuovo pianeta nuota sotto il suo sguardo; o al valoroso Corts quando fiss con occhi d'aquila il Pacifico - e tutti i suoi compagni con febbrile incertezza si guardarono silente, sopra un picco in Darin.

Endimione
Una cosa bella una gioia per sempre: Si accresce il suo fascino e mai nel nulla Si perder; sempre per noi sar Rifugio quieto e sonno pieno di sogni Dolci, e tranquillo respiro e salvezza. Un serto pertanto oggi girono intrecciamo Fiorito, per legarci alla terra, Malgarbo la pena dei giorni tristi E dellinumana scarsezza si nobili nature, Malgrado i sentieri rischiosi e oscuri Che nella ricerca dobbiamo percorrere Si, nonostante tutto, il velo dai nostri sprinti Tristi qualche forma si bellezza rimuove E sono il sole e la luna su vecchi alberi E i giovani che ricche ombre alle greggi Umili donano; sono i narcisi e il verde Mondo in cui vivono; i chiari ruscelli Che un fresco tappeto sinventano Nella calda stagione; i cespugli macchiati Di fiori di rosa nel mezzo del bosco E tale anche la grandezza del destino Che per i morti potenti immaginiamo; Tutti i racconti belli che abbiamo letto o udito: Una fonte sempre viva dacqua immortale

La Vigilia di SantAgnese
XXIV Vera unalta finestra a triplice arco, tutta inghirlandata dintagliate fantasie di frutta e fiori e mazzetti di cento nodo, e con rombi di vetro in raro stile, con innumerevoli macchie e tinte splendide, come sono le oscure damascate ali de la farfalla caia, e nel mezzo, fra mille segni araldici, e santi a tinte lievi, e offuscate insegne, istoriato uno scudo rosseggiava pel sangue di regine e di re. XXV Piena su questa finestra splendeva linvernale luna, e gettava calde rosse tinte sul bel seno di Maddalena, mentre in ginocchio pregava per la grazia e i doni del cielo; il colore de la rosa cadea su le mani insieme congiunte, e su la sua argentea croce soave ametista, e su suoi capelli una gloria, come di santa: ella, parea un angelo splendido, appena approntato, fuor che lali, pel cielo: - Porfiro illanguid: ella cos inginocchiata, era cosa tanto pura, tanto immune da macchia mortale. XXVI Presto il cuore del giovane si ravviva: detti i vespri, da tutte le intrecciate perle le chiome ella scioglie; sfibbia i suoi riscaldati gioielli uno per uno; e dislaccia il corpetto fragrante; lentamente la ricca veste scivola frusciando a suoi ginocchi: semicelata come una sirena fra lalghe del mare, pensosa rimane e desta sogna, e vede, con la fantasia, la bionda SantAgnese nel suo letto, ma non osa volgersi indietro, altrimenti tutto lincanto svanirebbe XXVII Tosto, tremando nel suo soffice e gelido nido, in una specie di desto svenimento, perplessa ella giacque, fin che loppiato tepore del sonno non oppresse con la sua dolcezza le sue membra, e lanima affaticata, fuggita, come un pensiero, fino al giorno seguente, beatamente difesa dal dolore e da la gioia insieme, chiusa come un messale su cui i negri Pagani pregano, resa cieca insieme a la luce del sole e de la pioggia, come se una rosa si chiudesse e divenisse un boccio ancora. 7

XXVIII Giunta furtiva a questo paradiso, e cos estasiato, Porfiro affis le vuote vesti, ed ascolt il respiro se mai avvenisse che si destasse in una sonnolente tenerezza, e quando la ud, ei benedisse quellistante e respir: poi usc dal suo nascondiglio silenzioso come la paura in un vasto deserto, e sul tacito tappeto, silente ei venne, e fra le cortine fe capolino, ove, mira! come profondamente ella dorme. XXIX Indi accanto al letto, ove la pallida luna faceva un tenue argento crepuscolo, piano ei pose una tavola, e quasi vinto dallansia, gett su di essa una covertura dintessuto cremisi, oro e giavazzo: oh avere un sonnifero amuleto di Morfeo! Il tumultuoso chiarino de la notturna festa, il timballo e il clarinetto che spande lontano la voce, spaventano il suo orecchio, bench in morente concento: la porta del vestibolo si chiude ancora, e tutto il frastuono finito. XXX Ed ella ancora dorm un dolce sonno fra lazzurre sue palpebre, fra i bianchi lini, lisci e di lavanda fragranti, mentregli dal suo nascondiglio port fuori un mucchio di mele e cotogne e zucca e susine candite con gelatine pi gustose che il cremoso latte rappreso, e limpidi sciroppi tinti con cinnamomo, manna e datteri, su navi trasportati da Fez, e tutte le drogate cose squisite che si trovano da la serica Samarcanda fino al cedrifero Libano. gi per lampie scale una buia via essi trovarono, in tutta la casa non fu udito suono umano. Una lampa a una catena pendula guizzava ad ogni porta, gli arazzi, ricchi di cavalieri, di falchi e di segugi, fluttuavano ne lassediante tumultuare del vento, ed i lunghi tappeti si sollevavano lungo il ventoso suolo. Essi trascorrono, come fantasmi, ne lampio atrio, come fantasmi, al portico di ferro, essi trascorrono, ove giacea il custode, in incomoda postura, con una larga e vuota boccia a lui daccanto; il vegliante cane di guardia si lev, e scosse la sua cute, ma locchio sagace uno de la casa lo riconosce: uno per uno i chiavistelli agevolmente scorrono,le catene giacciono silenti su le pietre da i passi consunte,la chiave gira, e la porta su i cardini stride. 8

La Vigilia di San Marco


Cadeva di Sabato, e cos Due volte sacra era la campana Che chiamava la gente alla preghiera della sera. Le strade della citt erano limpide e pulite Dai rovesci salubri delle piogge dAprile, E sulle finestre volte a Occidente Il tramonto gelato raccontava storie Evanescenti di valli fredde e spoglie Di verdi siepi spinose, senza fiori, Di torrenti nuovi, carichi di giunchi primaverili, Di primule sulle sponde di ruscelli ripesati, Di margherite su colline febbrili. Due volte sacra era la campana de Sabato: Le strade silenziose erano piene Di gente a gruppi, composta e pia, Che ancora calda delle preghiere dette accanto al focolare, Si recava con aria umile Al canto e al vespro della sera. Ogni portico arcuato, ogni bassa entrata Di gente lenta e paziente era gremita, Che sussurrando bisbigliava e strascicava i piedi Mente lorgano suonava, dolce e solenne. Tacquero le campane, iniziarono le preghiere: Bertha non era ancora arrivata A met duno strano volume, rappezzato e consunto, Che per tutta la giornata, fin dal mattino, Laveva imprigionata Tra i suoi fregi doro, E che con mille immagini laveva turbataLe stelle dei cielo e le ali degli angeli, I martiri, in ardente splendore, I santi celesti tra i raggi dargento, La corazza dAronne e i sette candelabri Che in cielo vide Giovanni, Il leone alato di San Marco E larca del Signore Coi suoi mille misteri, I cherubini e i topi doro. Era una bella fanciulla Bertha, Che abitava nella vecchia piazza della cattedrale E che dal suo posto, accanto al focolare, Oltre lantico splendore poteva guardare Sino al muro del giardino del Vescovo, Dove i sicomori e gli alti olmi, Mai riarsi dallacre tramontana Perch riparati dalla pesante mole, 9

Coperti seran di foglie prima di quelli della foresta lontana. Bertha si alz, lesse un poco, Con la fronte appoggiata alla finestra Tent ancora, e poi ancona, Finch il buio la lasci alloscuro Della leggenda di San Marco Dal colletto pieghettato, esile e bella, Il soffice caldo mento alz, Con gli occhi umidi e il collo dolente, Sbalordita dalla immagini sante. Tutto era tenebra, tutto silenzio, Rotto solo dal passo fermo Di chi lento tornava a casa camminando Sotto il vuoto acro echeggiante della cattedrale. Le cornacchie rumorosa, che tutto il giorno Sulle cime degli alberi giocano e delle torri, A coppie erano andate a riposare Nei vecchi nidi del campanile, Dove lente campane al suono gentile. Tutto era buio, tutto silenzio Intorno e nella quieta stanza. Si sedette la povera anima illusa, E una lampada accese con nero carbone: Si sporge in avanti confusa, I chiari capelli indietro ripone E il libro inchina verso la luce diffusa. La sua ombra, in quella disagiata guisa, Oscillava gigantesca tra le vecchie sedie di quercia E sulle travi del soffitto sera affissa, Sulla gabbia del pappagallo e sul caldo paravento invernale, Dove dipinte erano molte creature strane, Colombe del Siam, topi di Lima, Uccelli del paradiso senza pelliccia. Instancabile leggeva, e la sua ombra Intorno incombeva e riempiva La stanza di forme e disegni selvaggi, Come se una spettrale dama di picche Fosse venuta a far beffe dietro le spalle E danzando agitasse le sue nere vesti. Instancabile leggeva la leggenda Del Santo March. dalla giovinezza alla vecchiaia, Su terra, per mare, tra catene pagane, Sempre lieto dei propri tormenti. A volte lerudito eremita Con stelle dorate o deghe lucenti Rimandava a versi remoti Scritti con penna di cornacchia Ai piedi del testo, cos la Rima ogni tanto si spezzava: 10

Scrive anche del sogni Che gli uomini hanno prima di destarsi felici, Quando i loro amici il credono legati In ripiegati sudari sottoterra; E come un bambino Pu esser santo prima ancora di nascere. Se la madre, Dio la benedica Si mantiene in solitudine E devotamente bacia la santa croce. Dellamore di Dio, della forza di Satana Egli scrive, e di molte altre cose ancora Delle quali non posso parlare Ma devo dire in verit Qualcosa di Santa Cecilia E soprattutto quello che scrive Della vita e della morte di San Marco. Arrivano infine le sue palerei pazienti Al fervente martirio Poi alla sacra tomba, E si esaltano al bagliore Delle candele a Venezia.

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Ode a un Usignolo
Il cuore si strugge e un'ottusit plumbea Affligge i miei sensi, quasi, pieno di cicuta, O d'un sonnifero pesante trangugiato Pochi istanti fa, fossi affondato nel Lete: E non certo per invidia della tua razza felice, Ma troppo felice nella tua felicit Tu, m'borea driade dalle lievi ali, Che in una macchia melodiosa Di faggi verdi e sparsa d'ombre innumeri Canti l'estate con la felicit della gola spiegata. Avere un sorso di vino! E ghiacciato Da secoli nelle profondit della terra, Saporoso di Flora e della campagne verde, Dei balli. dei canti provenzali. dallegria solare! Oh, si, bere una coppa piena di caldo meridione, Colma di rosso, vero Ippocrene, Con rosari di bolle che saffacciano allorlo E la bocca macchiata di porpora; Si poter, bere e inosservato lasciare il mondo Per svanire, infine, con te, nelle foreste oscure: Sparire, lontano, dissolvermi, e dimenticare poi Ci che tu, tra le foglie, non hai mai conosciuto: La stanchezza, la malattia, l'ansia Degli uomini, qui, che si sentono soffrire, Qui, dove il tremito scuote gli ultimi, scarsi capelli grigi, Dove la giovent impallidisce, si consuma e simile a un fantasma muore, Dove il pensare stesso riempirsi di dolore, E la disperazione regna, dalle ciglia di piombo, Dove la bellezza vede spenta la luce dei suoi occhi E l'amore nuovo non riesce a piangerla oltre il domani. Andarsene, andarsene. E arrivare da te, Non portato da Bacco e dai suoi leopardi, Ma sulle ali della poesia, invisibili, Anche se la mente, lenta, ha perplessit e indugi: E il, con te, subito la notte tenera Con la sua luna regina sul trono E le fate stellate tuttintorno: Qui, invece, adesso, non ce n pi di luce, niente, Se non quella che dal cielo soffiata Gi dal vento, nel buio verde e tortuoso di muschio I fiori che ho intorno, non il vedo, E neppure lincenso dolce che impende sui rami, Ma nelloscurit profumata intuisco ogni dolcezza Con cui il mese propizio rende ricca 12

Lerba, il bosco e il selvaggio albero da frutta, Il biancospino e larcadica eglantina, Le viole, presto appassite, sepolte tra le foglie, E la figlia pi grande del maggio maturo: La rosa in boccio, muschiata, piena di vino di rugiada, Casa sussurrante dinsetti nelle sere estive. Nel buio ascolto io che spesso Ho quasi fatto lamore con la facile morte, Lho chiamata coi versi pi teneri della mia poesia, Lho pregata perch nellaria via si portasse il mio respiro E mai come adesso m sembrato ricco il morire: Spegnersi a mezzanotte, senza dolore, Mentre tu butti fuori lanima In unestasi stupenda! Tu canteresti ancora: per le mie orecchie inutili Per me, una semplice zolla davanti al tuo requiem altissimo. Non sei mica nato per morire, tu, uccello immortale: Generazioni di affamati non ti calpestano, E la tua voce, che ascolta in questa notte fuggente, Fu ascoltata gi de re e da villani: forse lo stesso canto che il sentiero trov Del cuore di Ruth, quando malata di nostalgia Pianse in mezzo ai campi stranieri; Lo stesso, forse, che tante volte ha affascinato Magiche finestre aperte sulle schiume Di mari pericolosi in incantate terre deserte. Deserte! Come una campana risuona questa parola Che mi riporta alla mia solitudine. Addio! Limmaginazione non pu pi illudermi, Come si dice sia solito fare questelfo ingannevole. Addio, addio. Il tuo canto doloroso svanisce Oltre i prati vicini, oltre il fiume quieto, Al di l del colle ed sepolto adesso Tra i boschi della valle vicina. E stato un sogno soltanto? o una visione? La musica svanita: - dormo? son sveglio?

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Isabella
LIII Ed ella dimentic le stelle, la luna e il sole, dimentic lazzurro al di sopra degli alberi, dimentic la valli dove scorrono le acque, dimentic la fresca brezza autunnale; ella non sapeva quando il giorno tramontava, il nuovo mattino ella non vedeva: ma in pace sul suo dolce Basilico ella sempre rimase e fino alle radici con le lacrime lo bagnava. LIV E cosi con sottili lacrime sempre lo nutriva, per cui rigoglioso e verde e bello esso cresceva e odorava con pi fragranza degli altri cespi di Basilico in Firenze, poich esso traeva nutrimento e vita da umani dolori, dalla testa in rapido disfacimento ivi nascosta alla vista: cos che quel gioiello, sicuramente custodito, spuntava fuori e in profumate foglie si spandeva. LV O Malinconia, indugiati qui un momento! O Musica, Musica, sussurra, disperatamente! O Eco, Eco, da qualche oscura isola sconosciuta, letea, sospira a noi oh, sospira! Sprinti di dolore, sollevate il capo e sorridete; sollevate gravemente il capo, dolci Spiriti, e mandate una pallida luce nelle vostre oscurit di cipresso tingendo di pallido argento le vostre marmoree tombe

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Lamia
Era una forma gordiana di abbagliante tinta, a macchie vermiglie, doro, verdi ed azzurre; rigata come una zebra, maculata a mo di leopardo, occhiuta come un pavone, e tutta di cremisi listata; era cosparsa dargentee lune, s che, quandessa respirava, si dissolveano, o splendeano pi lucenti, o intrecciavano le loro luci con altri pi cupi ricami. Cos coi lati iridescenti, afflitta da tante miserie, pareva, insieme, una donna degli elfi in espiazione, la bella di un demone, o un demone stesso. Su la sua cresta essa avea un languido fuoco di stelle cosparso, come la tiara dArianna; la sua testa era di serpente, ma oh amara dolcezza! essavea bocca di donna, completa, con tutte le sue perle, e quanto a agli occhi: che altro poteano l simili occhi fare, se non piangere e piangere, ch s belli erano nati? Come Proserpina ancor piange per laura de la sua Sicania. La sua gola era di serpente, ma le parole chessa dicea venian, come traverso gorgogliante miele, spinte da Amore. e tali: - mentre Hermes su lali sue posava, come falco che gi sinchina pria di ghermire la sua preda. 47-67

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La Belle Dame Sans Merci


Perch soffri, o cavaliere in armi, E pallido indugi e solo? Sono avvizziti, qui i giunchi in riva al lago, E nessun uccello cantando prende il volo. Perch soffri, o cavaliere in armi, E disfatto sembri e desolato? Colmo il granaio dello scoiattolo, E il raccolto gi ammucchiato. Scorgo un giglio sulla tua fronte, Imperlata d'angoscia e dalla febbre inumidita; E sulla tua guancia c' come una rosa morente, Anch'essa troppo in fretta sfiorita. Per i prati vagando una donna Ho incontrato, bella oltre ogni linguaggio, Figlia d'una fata: i capelli aveva lunghi, Il passo leggero, l'occhio selvaggio. Una ghirlanda le preparai per la fronte, I Poi dei braccialetti, e profumato un cinto: Lei mi guard come se mi amasse, E dolce emise un gemito indistinto. Sul mio destriero al passo la posi, E altro non vidi per quella giornata, Ch lei dondolandosi cantava Una dolce canzone incantata. Mi trov radici di dolce piacere, E miele selvatico, e stille di manna; Sicuramente nella sua lingua strana Mi diceva, "Sii certo, il mio amore non t'inganna". E mi port alla sua grotta fatata, Ove pianse tristemente sospirando; Poi i selvaggi suoi occhi selvaggi le chiusi, Entrambi doppiamente baciando. Poi fu lei che cul1andomi M'addorment - e, me sciagurato, Sognai l'ultimo sogno Sul fianco del colle ghiacciato. Cerei re vidi, e principi e guerrieri, Tutti eran pallidi di morte: 16

"La belle dame sans merci", mi dicevano, "Ha ormai in pugno la tua sorte". Vidi le loro labbra consunte nella sera Aprirsi orribili in un grido disperato, E freddo mi svegliai, ritrovando mi l, Sul fianco del colle ghiacciato. Ed ecco dunque perch qui dimoro, E pallido indugio e solo, Anche se sono avvizziti i giunchi in riva al lago,
E nessun uccello canta, prendendo il volo.

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Ode su un'Urna Greca Tu, ancora inviolata sposa della quiete, Figlia adottiva del tempo lento e del silenzio, Narratrice silvana, tu che una favola fiorita Racconti, pi dolce dei miei versi, Quale intarsiata leggenda di foglie pervade La tua forma, sono dei o mortali, O entrambi, insieme, a Tempe o in Arcadia? E che uomini sono? ,Che dei? E le fanciulle ritrose? Qual la folle ricerca? E la fuga tentata? E i flauti, e i cembali? Quale estasi selvaggia? S, le melodie ascoltate son dolci; ma pi dolci Ancora son quelle inascoltate. Su, flauti lievi, Continuate, ma non per l'udito; preziosamente Suonate per lo spirito arie senza suono. E tu, giovane, bello, non potrai mai finire Il tuo canto sotto quegli alberi che mai saranno spogli; E tu, amante audace, non potrai mai baciare Lei che ti cos vicino; ma non lamentarti Se la gioia ti sfugge: lei non potr mai fuggire, E tu l'amerai per sempre, per sempre cos bella. Ah, rami, rami felici! Non saranno mai sparse Le vostre foglie, e mai diranno addio alla primavera; E felice anche te, musico mai stanco, Che sempre e sempre nuovi canti avrai; Ma pi felice te, amore pi felice, Per sempre caldo e ancora da godere, Per sempre ansimante, giovane in eterno. Superiori siete a ogni vivente passione umana Che il cuore addolorato lascia e sazio, La fronte in fiamme, secca la lingua. E chi siete voi, che andate al sacrificio? Verso quale verde altare, sacerdote misterioso, Conduci la giovenca muggente, i fianchi Morbidi coperti da ghirlande? E quale paese sul mare, o sul fiume, O inerpicato tra la pace dei monti Ha mai lasciato questa gente in questo sacro mattino? Silenziose, o paese, le tue strade saranno per sempre, E mai nessuno torner a dire Perch sei stato abbandonato. Oh, forma attica! Posa leggiadra! con un ricamo D'uomini e fanciulle nel marmo, Coi rami della foresta e le erbe calpestate Tu, forma silenziosa, come l'eternit Tormenti e spezzi la nostra ragione. Fredda pastorale! Quando l'et avr devastato questa generazione, Ancora tu ci sarai, eterna, tra nuovi dolori Non pi nostri, amica all'uomo, cui dirai "Bellezza verit, verit bellezza," - questo solo Sulla terra sapete, ed quanto basta.

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Ode sulla Melanconia Non immergerti in Lete, no, e non spremere il vino avvelenato dell'aconito dalle salde radici, n dovrai sulla pallida fronte soffrire i baci della belladonna, grappolo di rubino di Proserpina, n fare il tuo rosario con le bacche del tasso, n divenga per te lo scarabeo o la cupa falena la tua Psiche luttuosa, n sia compagno al tuo segreto duolo villoso gufo; perch l'ombra sull'ombra troppo assonna e la vigile angoscia dell'anima sommerge. . Ma quando su di te malinconia improvvisa dal cielo cadr simile al pianto della nube che fa levare il capo ai fiori languidi e cela il verde colle in un sudario d'Aprile, allora sazia il cruccio in una rosa mattutina, o in un arcobaleno d'onda salsa sul lido, o nel fulgore della peonia tondeggiante, e se collera deliziosa ti dimostri l'amante tua, imprigiona la sua morbida mano e lascia che deliri e pasciti nel fondo, nel fondo dei suoi occhi senza pari. Ella dimora insieme alla BellezzaLa Bellezza che deve morire; e con la Gioia, la cui mano sempre sulle labbra pel bacio delladdio; e vicina al Piacere doloroso, che si muta in veleno mentre la bocca quasi ape lo sugge; si, nello stesso tempio del Diletto, Malinconia velata ha il suo santuario sovrano, non veduta da nessuno se non da chi contro il palato fine con ostinata lingua sa schiacciare i grappoli di Gioia. La tristezza della potenza tua, Malinconia, guster la sua anima fra i tuoi trofei nubilosi sospesa.

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Ode a Psiche
Ascolta, o Dea, questi versi dissonanti Strappati dalla dolce violenza e dal ricordo caro; E che sin entro la morbida conchiglia del tuo orecchio Sian cantati i tuoi segreti, perdona. Certo ho sognato, oggi o davvero lalata Psiche Ho visto con i miei occhi aperti? Giravo spensierato per un bosco Quando di colpo estasiato per la sorpresa Due belle creature vidi, coricate fianco a fianco, Nellerba folta, sotto un sussurrante tetto Di foglie e tremuli fiori, ove un ruscello Appena visibile scorreva: Tra i taciti fiori dalle fresche radici, azzurri lunari, Dolcemente profumati nei purpurei boccioli, Giacevano con quieto respiro sopra un letto derba, Le braccia intrecciate e le ali, Solo le labbra non si toccavano, ch ancora non seran dette addio. Come se sperate dalle mani dolci del sonno Fosser pronte a superare il numero dei baci passati Quando lalba locchio tenero aprisse dellamore nascente. Conoscevo bene il fanciullo alato; Ma tu, o felice colomba felice, chi eri? La sua Psiche fedele! Oh tu, ultima nata visione, pi dolce Sei di tutta la svanita gerarchia DellOlimpo, Pi bella di Diana nelle sue regioni di zaffiro, Pi bella di Venere, la lucciola amorosa del cielo, Tu, la pi bella sei, pur se tempio non hai, N altare colmo di fiori, O coro di vergini che dolcemente piangano La tua mezzanotte, E non voce, o liuto, o flauto, o incenso squisito Che fumi dal turibolo scosso, O santuario, bosco, oracolo o ardore Di profeta sognante della pallida bocca. Tu, pi splendida sei, pur troppo tardi nata Per gli antichi voti o per lingenua lira appassionata, Quando sacri erano i rami della foresta Incantata, sacra era laria, lacqua, il fuoco: Pure, anche un questi giorni tanto lontani Dalle fedi felici, le tue ali lucenti Che volteggiano tra gli olimpi in rovina io vedo, E canto, ai miei soli occhi credendo. Si, lascia sia io il tuo coro e il pianto Alzato per la tua mezzanotte, Lascia si io la tua voce, il tuo liuto, il tuo flauto, 20

Il tuo incenso squisito che fuma dal turibolo scosso, Il tuo santuario, il tuo bosco, il tuo oracolo e lardore Di un profeta sognante dalla pallida bocca. Voglio essere io il tuo sacerdote, e costruirti un tempio Nelle inesplorate regioni della mia mente, Dove ramosi pensieri, appena nati con piacevole dolore, Mormoreranno al vento sostituendo i pini: E lontano lontano, di vetta in vetta macchie oscure dalberi Vestiranno tuttintorno i gioghi selvaggi dei monti E zefiri, fiumi, uccelli e api culleranno Nel sonno le driadi coricate sul muschio: Tra questa ampia quiete Adorner un roseo santuario Con la trama in intrecciata duna mente al lavoro, Con boccioli, campanule e stelle senza nome, Con tutto ci che lalma fantasia sa inventare, Lei, che creando fiori, sempre diversi li crea: Per te sar li ogni dolce piacere Che lombroso pensiero pu conquistare, Una torcia splendente, un finestra aperta alla notte Perch caldo lamore vi possa entrare.

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Solitudine
Solitudine, se vivere devo con te, Sia almeno lontano dal mucchio confuso Delle case buie; con me vieni in alto, Dove la natura si svela, e la valle, Il fiorito pendio, la piena cristallina Del fiume appaiono in miniatura; Veglia con me, dove i rami fanno dimora, E il cervo veloce, balzando, fuga Dal calice del fiore lape selvaggia. Qui sarei felice anche con te. Ma la dolce Conversazione duna mente innocente, quando le parole Sono immagini di pensieri squisiti, il piacere Dellanimo mio. E quasi come un dio luomo Quando con uno spirito affine abita in te.

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Ultima Lettera di Keats


Roma, 30 novembre [1820] Mio caro Brown, Scrivere una lettera per me la cosa pi difficile del mondo. Lo stomaco continua a farmi male, e sto ancora peggio se apro un libro - e tuttavia sto meglio di quando ero in quarantena. E poi ho paura di dover fare i conti con i vantaggi e gli svantaggi di quel che mi interessava in Inghilterra. Ho continuamente il senso che la vita ormai finita per me, e che vivo un'esistenza postuma. Dio sa come avrebbe potuto essere - ma ora evidente - comunque, non voglio parlarne. Devo essere stato a Bedhampton all'incirca nello stesso periodo in cui tu mi scrivevi da Chichester, che peccato - magari eravamo sullo stesso fiume. Anche l ha vinto la mia cattiva stella! Non posso rispondere alla tua lettera, che mi ha seguito da Napoli a Roma, perch non ho il coraggio di riguardarla. Sono cos debole (d'animo) da non poter sopportare la vista della calligrafia di un amico che amo tanto quanto te. Tuttavia vado a cavallo e, al mio peggio, anche in quarantena, ho raccolto pi giochi di parole in una settimana, quasi per disperazione, che in un anno di vita. Un pensiero basta a uccidermi - sono stato bene sano, attivo ecc. ecc., ho passeggiato con lei, e ora - la coscienza del contrasto, la percezione delle luci e delle ombre, tutto quell'insieme di nozioni (nel senso primitivo) necessarie alla poesia, sono i grandi nemici della guarigione del mio stomaco. Ecco qui, farabutto, ora ti metto alla tortura - ma tu devi far s che la tua filosofia ti sostenga - come fa la mia, davvero - altrimenti come riuscirei a vivere? Il dottor Clarke pieno di attenzioni per me; dice che il problema non sono tanto i polmoni ma lo stomaco - lo stomaco, dice, va male, molto male. Sono sorpreso di sentire che George sta bene - perch ho ~ in testa che moriremo tutti giovani. Non ho ancora scritto a Reynolds, il quale penser che lo trascuro; avendo a cuore di mandargli un resoconto positivo del mio stato di salute, ho aspettato, ritardando di settimana in settimana. Se guarisco, far di tutto per correggere gli sbagli che ho fatto durante la malattia; se non guarisco, tutte le mie colpe verranno perdonate. Scriver a Reynolds domani, o dopo. Severn sta bene, anche se fa una brutta vita con me. Ricordami a tutti gli amici, e di' a Haslam che non sarei partito senza salutarlo, se non fosse che stavo cos male nel corpo e nello spirito. Scrivi a George quando ricevi questa mia, e digli come sto, per quanto tu riesca a indovinare; scrivi anche un biglietto a mia sorella - che sempre nei miei pensieri, come un fantasma - somiglia tanto a Tom. Riesco a mala pena a dirti addio, anche per lettera. Sono stato sempre impacciato nel prendere congedo. Dio ti benedica! John Keats

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Shelley - Ode al Vento Occidentale


I Oh tu Vento selvaggio occidentale, lito della vita d'Autunno, oh presenza invisibile da cui le foglie morte sono trascinate, come spettri in fuga da un mago incantatore, gialle e nere, pallide e del rossore della febbre, moltitudini che il contagio ha colpito: oh tu che guidi i semi alati ai loro letti oscuri dell'inverno in cui giacciono freddi e profondi come una spoglia sepolta nella tomba, finch la tua azzurra sorella della Primavera non far udire la squilla sulla terra in sogno e colmer di profumi e di colori vividi il colle e la pianura, nell'aria i lievi bocci conducendo simili a greggi al pascolo; oh Spirito selvaggio, tu che dovunque t'agiti, e distruggi e proteggi: ascolta, ascolta! II Tu nella cui corrente, nel tumulto del cielo a precipizio, le nuvole disperse sono spinte qua e l come foglie appassite scosse dai rami intricati del Cielo e dell'Oceano, angeli della pioggia e del fulmine, e si spargono l sull'azzurra superficie delle tue onde d'aria come la fulgida chioma che s'innalza sopra la testa d'una fiera Menade, dal limite fioco dell'orizzonte fino alle altezze estreme dello zenit, capigliatura della tempesta imminente. Canto funebre tu dell'anno che muore, al quale questa notte che si chiude sar la cupola del suo sepolcro immenso, sostenuta a volta da tutta la potenza riunita dei vapori dalla cui densa atmosfera esploder una pioggia nera con fuoco e grandine: oh, ascolta! III Tu che svegliasti dai loro sogni estivi le acque azzurre del Mediterraneo, dove si giaceva cullato dal moto dei flutti cristallini

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accanto a un'isola tutta di pomice del golfo di Baia e vide in sonno gli antichi palazzi e le torri tremolanti nel giorno pi intenso dell'onda, sommersi da muschi azzurri e da fiori dolcissimi al punto che nel descriverli il senso viene meno! Tu per il cui sentiero la possente superficie d'Atlantico si squarcia e svela abissi profondi dove i fiori del mare e i boschi fradici di fango, che indossano le foglie senza linfa dell'oceano, conoscono la tua voce e si fanno all'improvviso grigi per la paura e tremano e si spogliano: oh, ascolta! IV Fossi una foglia appassita che tu potessi portare; fossi una rapida nuvola per inseguire il tuo volo; un'onda palpitante alla tua forza, e potessi condividere tutto l'impulso della tua potenza, soltanto meno libero di te, oh tu che sei incontrollabile! Potessi essere almeno com'ero nell'infanzia, compagno dei tuoi vagabondaggi alti nei cieli, come quando superare il tuo rapido passo celeste sembrava appena un sogno; non mi rivolgerei a te con questa preghiera nella mia dolente necessit. Ti prego, levami come un'onda, come una foglia o una nuvola. Cado sopra le spine della vita e sanguino! Un grave peso di ore ha incatenato, incurvato uno a te troppo simile: indomito, veloce ed orgoglioso. V Fa' di me la tua cetra, com' della foresta; che cosa importa se le mie foglie cadono come le sue! Il tumulto delle tue forti armonie lever a entrambi un canto profondo e autunnale, e dolcemente triste. Che tu sia dunque il mio spirito, o Spirito fiero! Spirito impetuoso, che tu sia me stesso! Guida i miei morti pensieri per tutto l'universo come foglie appassite per darmi una nascita nuova!

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E con l'incanto di questi miei versi disperdi come da un focolare non ancora spento, le faville e le ceneri, le mie parole fra gli uomini! E alla terra che dorme, attraverso il mio labbro, tu sia la tromba d'una profezia! Oh, Vento, se viene l'Inverno, potr la Primavera esser lontana?

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A unAllodola
Salute a te, o spirito di gioia! Tu che non fosti mai uccello, e dall'alto del Cielo, o vicino, rovesci la piena del tuo cuore in generose melodie di un'arte non premeditata. Sempre pi in alto, pi in alto, ti vedo guizzare dalla terra, una nube di fuoco, e percorri con l'ali l'infinito azzurro, ti levi nell'aria cantando, e librandoti alta ancora canti. Nei bagliori dorati del sole che sta per tramontare, l dove s'accendono in alto le nubi tu corri e veleggi, una gioia incorporea che ha appena dato inizio alla sua corsa. La pallida sera di porpora attorno al tuo volo si scioglie; come una stella del Cielo nel colmo della luce del giorno tu resti completamente invisibile, eppure odo la tua felicit squillante, acuta come le frecce di quella sfera argentea la cui lampada intensa si sfoca nel bianco chiarore dell'alba, cos che noi faticosamente la riusciamo a vedere, pur sapendo dove si trova. Della tua voce risuonano l'aria e la terra, come quando limpida la notte e da una nube solitaria la luna piove i suoi raggi e n' sommerso il cielo. Noi non sappiamo cosa sei, n a cosa pi rassomigli. Dalle nubi accese dal colorato arcobaleno non si versa goccia che tanto splenda a vedersi come dalla tua presenza un rovescio di pioggia melodiosa. Sei come un poeta nascosto entro la luce del pensiero, un poeta che canta liberamente i suoi inni, finch il mondo entra in perfetto accordo con le speranze e i timori che prima ignorava; 27

sei come una fanciulla di nobile nascita che acquieta nella torre di un palazzo la sua anima oppressa dall'amore, in un'ora segreta, con una musica dolce come l'amore stesso, e ne inonda la camera; sei come una lucciola d'oro in una piccola valle coperta di rugiada, che diffonde nascosta agli sguardi la sua aerea luminescenza in mezzo ai fiori e all'erba che la celano; sei come una rosa protetta dalle sue foglie verdi, violata dai venti caldi, finch il suo profumo illanguidisce con troppa dolcezza quei ladri dall'ala pesante; il suono dei rovesci della pioggia primaverile sull'erba scintillante, i fiori risvegliati dagli scrosci, e ogni cosa che sia stata felice e chiara e fresca la tua musica sempre la supera. Insegnaci, Spirito o Uccello, quali dolci pensieri sono i tuoi: io non ho mai udito una lode d'amore o di vino da cui fluisse cos palpitante un simile celeste rapimento. Cori d'Imene o canti di trionfo paragonati al tuo non sarebbero altro che una misera vuota vanteria, cose in cui noi sentiamo si nasconde sicuramente un difetto. Quali ragioni sono la sorgente di questa tua felice melodia? Che prati, onde o montagne? Quali aspetti della pianura o del cielo? Che amore della tua stessa specie? Che ignoranza perfino del dolore? con la tua chiara ed acuta gioia non potr mai esistere il languore, n un'ombra di noia mai t' venuta accanto; tu ami, eppure mai hai conosciuto la triste saziet d'amore. Che tu sia desta o in sonno, della morte devi considerare cose pi vere e profonde di quanto in sogno gli uomini, altrimenti 28

come potrebbero mai le tue note fluire in simili rivi cristallini? Noi guardiamo in avanti, guardiamo dietro di noi, e siamo tormentati da tutto ci che non : le nostre risa, anche le pi sincere, nascondono la pena, e le nostre canzoni pi dolci sono quelle che raccontano sempre il pensiero pi triste. Anche se noi potessimo schernire odio paura e orgoglio, anche fossimo nati per non versare lacrime, non so come potremmo giungere alla tua stessa gioia. Pi di qualsiasi misura di suoni deliziosi sarebbe adatta al poeta la tua maestria, pi di qualsiasi tesoro nascosto nei libri, o tu che hai in dispregio la terra! E dunque insegnami almeno la met di tutta quella gioia che conosci: dalle mie labbra allora fluirebbe una follia armoniosa, e finalmente il mondo ascolterebbe, proprio come me che sono qui in ascolto della tua.

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Adonais
XLIX Su, vai a Roma, -- che insieme il Paradiso, la tomba, e la citt e il deserto; e passa dove le rovine sergono come montagne frantumate, e le gramigne fiorenti e le piccole selve profumate vestono lossa nude della Desolazione, finch lo spirito del luogo guider i tuoi passi a un declivio il cui accesso verdeggiante, dove come il sorriso di un bambino fra lerba sopra i morti si distende una luce di fiori sorridenti; e mura grigie L vi si sfanno attorno le smangia il Tempo ottuso simile a un fuoco lento sopra un vecchio ramo; e una sublime piramide aguzza si leva come una fiamma trasformata in marmo quasi creando un padiglione alla polvere di chi la disegn come rifugio della sua memoria; e sotto sapre un campo dove una nuova schiera ha posto nel sorriso dei Cieli il suo campo di morte, e accoglie colui che perdiamo con un respiro che s da poco spento. LI Frmati qui: queste tombe sono ancora troppo giovani per essere cresciute al di l del dolore che consegn a ciascuna il fardello dovuto; e se anche il sigillo stato posto qui sulla fonte di un unico spirito in lacrime, non lo spezzare tu! ch certamente se torni a casa anche tu troverai la tua fonte ricolma di lacrime a di fiele. Dal vento amaro del mondo ricerca un rifugio nellombra del sepolcro. Perch dovremmo temere di diventare quello che Adonais gi? LII LUno rimane, i molti mutano e passano; la luce del Cielo risplende eternamente, ma lombre della Terra sempre fuggono; la Vita macchia il bianco splendore dellEternit come una cupola di vetro dai moti colori, finch non vi passa la Morte e la frantuma. Muori se vuoi unirti a ci che stai cercando! Segui anche tu le cose che sono gi fuggite! Il cielo azzurro di Roma, i fiori, le rovine, 30

le parole e le statue e la musica, sono fragili troppo per dire con parole esatte la gloria che trasfondono. Perch, dunque, indugiare? LIII Perch volgersi indietro, perch appartarsi, o Cuore? Le tue speranze sono corse avanti, si sono gi staccate da tutte queste cose; ora anche tu dovresti! Dallanno che si volge, dalluomo e dalla donna s gi staccata una luce; e le cose che ancora sono care attraggono soltanto per schiacciare, respingono per disseccare il tuo spirito. Il cielo sorride soavemente, -- il vento lieve ti mormora accanto: ed Adonais che chiama! Oh, affrettati, impedisci che la vita separi ci che la morte unisce. LIV Quella luce che accende lUniverso col suo sorriso, quella Bellezza in cui tutte le cose operano e si muovono, quella Benedizione che la Maledizione eclissante della nascita non potr mai soffocare, quellAmore che sostiene e attraverso la tela dellessere intessuta alla cieca dalluomo e dalla bestia, dalla terra dallaria e dal mare arde splendido o fioco secondo che ognuno rispecchi la fiamma di cui sono assetati, ora su di me irraggia consumando le ultime nubi della mortalit pi fredda. LV Discende su di me quel soffio il cui potere ho invocato nel canto; la nave del mio spirito spinta ormai lontano dalla riva, lontano dalla turba tremante le cui vele mai furono offerte alla tempesta; la solida terra e la sfera del cielo si sono spaccate! E io sono sospinto oscuramente, paurosamente lontano; mentre bruciando al pari di una stella nel pi intimo velo dei Cieli, lanima dAdonais rifulge dalla dimora in cui stanno gli Eterni. Versi 433-Fine

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La Nuvola
Da mari e fiumi porto fresche piogge per i fiori assetati; e alle foglie porto un'ombra leggera quando stanno a riposare nei sogni meridiani. Dalle mie ali stillano rugiade che svegliano uno ad uno i dolci bocci quando sono cullati sul seno della madre che danza attorno al sole. Uso il flagello della sferzante grandine, e imbianco le verdi pianure sottostanti, e poi di nuovo la dissolvo in pioggia, e mentre passo rintronando rido. Setaccio le nevi sui monti e i grandi pini gemono spauriti; tutta la notte questo il mio cuscino bianco mentre dormo abbracciata con i turbini. Sublime sulle torri delle mie dimore celestiali siede il lampo che mi fa da pilota; e in una grotta incatenato il tuono, che lotta strenuamente e si dibatte in gemiti terribili; con lieve moto sulla terra e il mare il pilota mi guida, e lo sospinge l'amore di quei geni che si muovono nelle profondit del mare violetto; sui torrenti e le rocce, sui colli, sui laghi e le pianure, ovunque sogni, sotto montagne o fiumi lo Spirito che lui ama rimane; ed io per tutto il tempo mi riscaldo all'azzurro sorriso dei Cieli mentre lui si dissolve nella pioggia. L'Aurora colore di sangue, con occhi di meteora, con le sue piume ardenti dispiegate, balza sopra il mio nembo veleggiante quando la stella del mattino splende quasi svanita; in questo modo, al culmine di una vetta montana che si scuote e oscilla a un terremoto, un'aquila discende e si posa alla luce delle sue ali d'oro. E quando il sole lita al tramonto dal mare illuminato i suoi ardori di riposo e d'amore, ed il mantello cremisi della sera ricade dal profondo abisso dei Cieli, io mi soffermo con le ali chiuse sopra il mio nido aereo, serena come colomba intenta alla covata. 32

Quella fanciulla sferica ricolma di fuoco bianco che i mortali chiamano Luna scivola splendida sul mio corpo simile a un vello che sia stato steso a mezzanotte dai venti; e ovunque il passo di quei piedi invisibili che gli angeli soltanto possono udire, alla mia tenda abbia sfondato il fragile traliccio che la copre, dietro di lei occhieggiano e spiano le stelle. Io nel vederle rido quando fuggono in turbini e assomigliano a uno sciame di api dorate, e allora allargo lo strappo nella tenda che mi eresse il vento, finch i fiumi sereni e i laghi e i mari come lembi di cielo quaggi precipitati sopra di me dall'alto di luna e stelle siano lastricati. Cingo il trono del Sole con una fascia ardente e quello della Luna con un cinto di perle; ogni vulcano spento, le stelle vacillano e ondeggiano quando il turbine spiega il mio stendardo. Da un promontorio all'altro, con la forma dell'arcata di un ponte su un mare torrentizio che resiste a ogni raggio di sole, resto sospesa in alto come un tetto e le colonne sono le montagne. L'arco trionfale che oltrepasso in marcia con l'uragano e il fuoco e con la neve e le Potenze dell'aria incatenate al carro non che l'arcobaleno dai mille colori; su cui la sfera di fuoco intrecciava le tinte lievi e la fresca terra sorrideva in basso. Sono la figlia dell'Acqua e della Terra, sono l'allieva del Cielo; passo attraverso i pori del mare e delle spiagge; mi trasformo, ma mai potr morire. Perch dopo la pioggia, quando la volta del Cielo immacolata e nitida e i venti e il sole coi convessi raggi levano azzurra la cupola dell'aria, io silenziosamente rido a quel mio cenotafio, e come un neonato dal grembo, come uno spettro dalla tomba sorgo dalle caverne della pioggia e lo distruggo ancora.

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La Mascherata dellAnarchia
Genti dInghilterra, eredi della Gloria, eroi di una storia non scritta, figli di una possente Madre, speranze di lei de di voi stessi; levatevi come leoni dopo il torpore in numero invincibile, fate cadere le vostre catene a terra come rugiada che nel sonno sia scesa su di voi. Voi siete molti, essi son pochi. Che cos la Libert?... potete dire ugualmente che cos la schiavit Poich il suo vero nome cresciuto fino ad uneco di voi stessi. lavorare ed avere un paga tale appena da menare la vita giorno per giorno nelle vostre dimore, come in una cella per lasciare gli agi at tiranni, cosicch per loro voi vi riducete telaio a aratro e spada e vanga volenti o nolenti curvi alla loro difesa e nutrimento. Versi 147-167

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Ozymandias
Incontrai un viaggiatore, veniva da unantica terra e mi disse: Due immense gambe di pietra sergono nel deserto, senza troncoVicino, sulla sabbia, giace a met sepolto un viso smozzicato, e il cipiglio, le labbra corrugate e il suo ghigno di freddo comando dicono come esattamente lo scultore abbia letto passioni che ancora sopravvivono, impresse in quelle cose morte, alla mano che un tempo le interpret, e al cuore che le nutr: sul piedestallo appaiono queste parole: Il mio nome Ozymandias, re dei re: guardate alle mie opere, o Potenti, e disperate! Nientaltro resta. Attorno alle rovine di quellenorme relitto, le nude e sconfinate sabbie deserte e piatte si stendono lontano.

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Byron - Il Pellegrinaggio del Giovane Aroldo Canto III LXXII Non vivo in me stesso, ma divengo parte di ci che mi circonda; e per me, i monti elevati sono un sentimento, ma il brusio delle citt umane una tortura: vedo nulla di odioso nella natura, eccetto lessere una maglia riluttante di una catena carnale, tra le creature collocato, quando lanima pu fuggire, e con il cielo, le vette, lansante pianura delloceano, o delle stelle, pu unirsi, e non invano. LXXIII E cos vengo assorbito, e questa la vita: guardo il popoloso deserto che mi lasciai dietro, come un luogo di conflitto e di agonia, dove per qualche peccato, fui al Dolore consegnato, per agire e soffrire, ma risalire infine con unala nuova; la sento spuntare, bench giovane, in crescendo vigoroso come la bufera con cui vorrebbe lottare, nellincanto del volo, respingendo i legami di argilla fredda che aderiscono al nostro essere. LXXIV E quando, alla fine, la mente sar libera compiutamente da ci che odia in questa degradata forma, rapita alla sua vita carnale, eccetto ci che pi felice esister nel verme e nella mosca, quando elementi a elementi si conformeranno, e la polvere sar ci che dovrebbe essere, non sentir e vedr tutto ci, meno abbagliante ma pi caloroso? Lincorporeo pensiero? Lo Spirito di ogni luogo? Del quale, persino ora, a volte condivido il destino immortale? CX Italia! Italia! se guardo anche te, in tutta la sua potenza lampeggia nellanima la luce delle et, da quando il feroce Cartaginese stava per conquistarti, fino allaura estrema dei principi e dei saggi, che glorificano le tue pagine consacrate; tu fosti il trono e la tomba dimperi; ma anche la fonte a cui la mente infocata lenisce la sua sete di conoscenza, bevendo a saziet, scorre dalleterna fonte del colle romano imperiale

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Don Juan
LIV Sedicenne era intanto il giovinetto; Alto e ben fatto, ancorch smilzo un poco: Bello e vispo senzessere un folletto, Lo si vena stimando a poco a poco Un uomo quasi; e ci con gran dispetto Uda la madre, che linterno foco Frenava a stento, perch a suo giudizio Lesser precoce era anzi tutto un vizio. LV Fra le amiche sue molte, con gran cura Scelte a cagion di lor piet e saggezza, Fu donna Giulia: dir di sua figura Che fosse bella, non dar contezza Dogni sua grazia, che era in lei natura, Come alloceano il sale, ai fior vaghezza, Come a Venere il cinto, e larco a Cupido (Ma questo paragone ultimo stupido). LVI Locchio di forma orentale e nero Della commista razza in lei fa fede, N chera il sangue suo tutto sincero, Il che in Ispagna onta mortal si crede. Quando cadde Granata e pel sentiero Dellesiglio Boabdl sospinse il piede, Non ogni suo parente indi si svelse; Unavola di lei restar prescelse. LVII Spos un hidalgo (non so pi il casato), Che per sangue infuse ai discendenti Men puro di quel chegli avea redato. Grande corruccio ebber di ci i parent; Tanto severi essendo in questo lato, Che fra lor si sposavano soventi, Fra cugini e nipoti e zii talora, Onde la razza in progredir peggiora. LVIII Lempio connubio ristor la schiatta, Le membra miglior, se il sangue offese; 37

E da radice logora e disfatta Novo rampollo e rigoglioso accese, Nova prole non pi sciocca e malfatta. Bens questo mi duole a far palese: Quella dama al suo sposo alcun erede Pi bello assai che legittimo diede. LIX Comunque fosse, ogni bel padre ottene Prole miglior poi sempre in tal famiglia, Finch quella famiglia a scender venne In un sol uom, chebbe una sola figlia. Costei la donna chio dir divenne, Donna Giulia (nessun certo error piglia), Chera gi maritata a questo punto, Ed anni ventitr contava appunto. LX Nera avea gli occhi e grandi (io gli occhi adoro); Lardor, parlando, ne tenea represso, Ma non cos che in lor gentil decoro Non mostrassero sdegno o amor pi spesso; Anco sovente era lo sguardo loro, Dir non vorrei, darcane voglie impresso; Forse era ver; ma donest ripieno Tosto il suo spirto le poneva in freno. LXI Inanellato sulla nobil fronte Scendeale il crine, e aveva il ciglio aspetto Darco che il sol dipinge in orizzonte; Avea le rose in volto, avea lo schietto Lume di giovent, che spesso impronte Prendea di foco, come a lei nel petto Il fulmine avvampasse. E grande ellera, Qual dee di belle donne esser maniera. LXII Or da qualchanno sposa ellera ad uno Dei molti che a cinquanta prendon moglie: Ma specie dove il sol tanto importuno, Duom che da solo i cinquantanni accoglie, Meglio son due di venticinque ognuno. Quindi avvien che ogni donna, ancor di voglie Modiche e casta, ad uno sposo adocchi Che tocchi i trenta, o meglio non li tocchi.

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LXIII Convien pur dir che il fatto miserando, Chivi sia tanto libertino il sole, Che tranquilla, scottando e biscottando, Delluom non lascia la caduca prole: N viver giova in preci o digiunando, Ch frale il corpo e lalma ceder suole; Quindi ovei pi saetta ardenti raggi Seguon pi spesso al talamo gli oltraggi

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