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CONCLUSIONI Allesito della critica disamina delle emergenze processuali e di tutto il complesso probatorio acquisito al dibattimento deve dunque

concludersi che la prova della responsabilita penale dellimputato, con specifico riferimento alle varie condotte criminose che gli sono state contestate, e risultata insufficiente, contraddittoria ed in alcuni casi anche del tutto mancante, imponendo pertanto una pronuncia assolutoria ai sensi dellart.530 comma 2 c.p.p.. La regola di giudizio di cui al comma 2 dell'art.530 c.p.p. prevede invero l'obbligo del giudice di pronunciare sentenza di assoluzione anche quando manca, e' insufficiente e/o contraddittoria la prova della responsabilita' dellimputato. 1) In merito ai rapporti con i cugini Antonino ed Ignazio Salvo lesame degli elementi di prova raccolti ha evidenziato che: 1. i cugini Salvo, profondamente inseriti in Cosa Nostra, furono pi volte interpellati da persone associate allillecito sodalizio per cercare di ottenere una favorevole soluzione di vicende processuali, manifestarono a diversi uomini donore i loro stretti rapporti con lon. Lima, e, nei colloqui con una pluralit di esponenti mafiosi, evidenziarono i loro rapporti con il sen. Andreotti; 2. i cugini Salvo, sul piano politico, offrirono un sostegno aperto ed efficace (seppure non esclusivo) a diversi esponenti della corrente andreottiana, sulla base dello stretto rapporto di collaborazione e di amicizia personale che essi avevano instaurato da lungo tempo con lon. Lima; 3. tra il sen. Andreotti ed i cugini Salvo si svilupparono anche diretti rapporti personali comprovati dai seguenti fatti: il sen. Andreotti invi un regalo (un vassoio dargento) in occasione delle nozze della figlia primogenita di Antonino Salvo, Angela Salvo; nel corso di un incontro conviviale svoltosi presso lHotel Zagarella il 7 giugno 1979, il sen. Andreotti ebbe ripetutamente occasione di parlare con Antonino Salvo con modalit tali da ingenerare in due testimoni oculari il convincimento che essi gi si conoscessero; il sen. Andreotti manifest il proprio interessamento - attraverso una telefonata compiuta da un soggetto appartenente alla sua segreteria - per le condizioni di salute di Giuseppe Cambria (persona strettamente legata ai Salvo e loro socio nella SATRIS S.p.A.) nel periodo (5-8 settembre 1983) in cui questultimo si trovava ricoverato a seguito di una crisi cardiaca presso lOspedale Civico di Palermo; in una agendina sequestrata ad Ignazio Salvo in data 12 novembre 1984 era annotato il numero telefonico del sen. Andreotti; 4. il sen. Andreotti per i propri spostamenti in Sicilia utilizz in pi occasioni, ed anche per periodi di diversi giorni, unautovettura blindata intestata alla SATRIS S.p.A., concessa in prestito allon. Lima da Antonino Salvo. Lasserzione dellimputato di non avere intrattenuto alcun rapporto con i cugini Salvo risultata inequivocabilmente contraddetta dalle risultanze probatorie sopra riassunte. Gli elementi di convincimento raccolti non sono tuttavia tali da dimostrare che limputato abbia manifestato ai cugini Salvo una permanente disponibilit ad attivarsi per il conseguimento degli obiettivi propri dellassociazione mafiosa, o comunque abbia effettivamente compiuto, su loro richiesta, specifici interventi idonei a rafforzare lillecito sodalizio. La circostanza che i Salvo abbiano evidenziato i loro rapporti con il sen. Andreotti nei colloqui con diversi esponenti mafiosi, giungendo anche a parlarne in termini amichevoli ed a specificare che linterlocutore avrebbe potuto rivolgersi a loro qualora avesse avuto bisogno del sen. Andreotti, non sufficiente a provare che limputato abbia espresso la propria adesione al sodalizio criminoso mettendosi a disposizione di esso, ovvero abbia prestato un contributo causalmente orientato ad agevolare lassociazione. N pu pervenirsi a diverse conclusioni sulla base delle dichiarazioni de relato di alcuni collaboratori di giustizia, secondo cui il Badalamenti ed il Bontate avevano avuto rapporti con il sen. Andreotti tramite i Salvo, il Riina aveva acquisito la disponibilit di tutte le amicizie dei cugini Salvo, tra cui quella con il sen. Andreotti (Sinacori), ed Antonino Salvo poteva rivolgersi al predetto uomo politico il quale gli aveva manifestato la propria concreta disponibilit in alcune occasioni (Di Carlo). Asserzioni cosi generiche non hanno consentito di individuare precisi comportamenti penalmente rilevanti. Esse avrebbero potuto assumere una significativa valenza probatoria solo se a simili espressioni aventi carattere riassuntivo si fosse accompagnata la indicazione (che nel

caso di specie manca) di determinati interventi favorevoli a "Cosa Nostra", realizzati dallimputato. Nellassenza di ulteriori specificazioni, gli elementi addotti non assumono una consistenza tale da potersi affermare che il sen. Andreotti abbia effettivamente instaurato una stabile collaborazione con lillecito sodalizio per la realizzazione del programma criminoso. Per quanto poi attiene alla disponibilit che sarebbe stata da lui concretamente manifestata a fronte di talune richieste dei Salvo, va osservato che non vi prova che si sia trattato di comportamenti funzionalmente connessi allattivit dellorganizzazione mafiosa. E quindi rimasta indimostrata la realizzazione, da parte dellimputato, di concrete condotte tendenti ad agevolare lassociazione di tipo mafioso. Ne possono assumere un inequivocabile valore sintomatico le inattendibili dichiarazioni rese dallimputato, il quale ha negato di avere intrattenuto qualsiasi rapporto con i cugini Salvo. E prospettabile lipotesi secondo cui alla base dellassoluta negazione, da parte dellimputato, dei propri rapporti con i cugini Salvo, vi sarebbe una precisa consapevolezza del carattere illecito di questo legame personale e politico. Ma del pari prospettabile lipotesi che il Sen. Andreotti con il suo contegno processuale abbia solo cercato di evitare ogni appannamento della propria immagine di uomo politico, adoperandosi tenacemente per impedire che nellopinione pubblica si formasse la certezza dellesistenza dei suoi rapporti personali con soggetti quali i cugini Salvo, organicamente inseriti in "Cosa Nostra" ed indicati da Giovanni Brusca come coinvolti nel disegno di uccidere il Consigliere Istruttore del Tribunale di Palermo dott. Rocco Chinnici. Lesistenza di diretti rapporti personali e di un intenso legame politico tra il sen. Andreotti ed i cugini Antonino e Ignazio Salvo non dunque sufficiente a provare la partecipazione dellimputato allassociazione mafiosa Cosa Nostra, o la realizzazione, da parte del medesimo soggetto, di condotte sussumibili nella fattispecie del concorso esterno. 2) Per quanto riguarda i rapporti con lOn. Salvo Lima sulla base degli elementi di convincimento acquisiti, rimasto dimostrato che: a) il forte legame sviluppatosi, sul piano politico, tra il sen. Andreotti e lon. Salvatore Lima, si tradusse in uno stretto rapporto fiduciario tra i due soggetti; b) lon. Lima era solito mettere in evidenza il suo rapporto fiduciario con il sen. Andreotti allo scopo di accrescere la propria autorevolezza; c) lon. Lima assunse il ruolo di capo della corrente andreottiana in Sicilia e raggiunse una posizione di rilevante forza politica rispetto agli altri esponenti del partito ed ai rappresentanti delle istituzioni, sia in sede locale sia a livello nazionale; d) lon. Lima attu, sia prima che dopo la sua adesione alla corrente andreottiana, una stabile collaborazione con Cosa Nostra, ed estern allon. Evangelisti (uomo politico particolarmente vicino al sen. Andreotti) la propria amicizia con un esponente mafioso di spicco come Tommaso Buscetta, esprimendo altres una chiara consapevolezza dellinfluenza di questultimo soggetto; e) il problema dei rapporti esistenti tra la corrente andreottiana siciliana e lorganizzazione mafiosa fu portato allattenzione del sen. Andreotti dal gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa gi nellaprile 1982. Non , per, rimasto dimostrato che il sen. Andreotti abbia tenuto specifici comportamenti suscettibili di assumere rilevanza penale. La circostanza che limputato fosse il capo della corrente in cui era inserito lon. Lima nel periodo in cui lattivit politica di questultimo si proiett sul piano nazionale - non sufficiente ai fini dellaffermazione della sua responsabilit penale per il reato di partecipazione allassociazione mafiosa ovvero per quello di concorso esterno nella stessa, in mancanza di ulteriori elementi idonei a dimostrare inequivocabilmente che, nellambito di questo intenso legame di tipo politico, il sen. Andreotti sia attivamente intervenuto per consentire allassociazione di tipo mafioso di raggiungere le sue illecite finalit. Sul punto occorre ribadire come si gia osservato in altra parte della sentenza che la soglia minima del contributo partecipativo penalmente rilevante ravvisabile nella manifestazione di impegno, con cui il singolo mette le proprie energie a disposizione dell'organizzazione criminale, ampliandone la potenzialit operativa. Linserimento organico del soggetto nella struttura associativa pu configurarsi anche indipendentemente dal ricorso a forme rituali di affiliazione, e desumersi da facta

concludentia, purch si tratti di comportamenti che denotino la presenza dell'affectio societatis, manifestando la cosciente volont di partecipare all'associazione di tipo mafioso con il fine di realizzarne il particolare programma e con la permanente consapevolezza di far parte del sodalizio criminoso e di essere disponibile ad operare per l'attuazione del comune programma delinquenziale. Va altres rilevato che - poich la condotta del concorrente esterno consiste non nellassunzione di uno dei ruoli o dei compiti che caratterizzano lapparato strutturalestrumentale dellassociazione di tipo mafioso nella sua normale operativit, bens nella realizzazione di un apporto che serva per consentire allassociazione di mantenersi in vita in una situazione anormale o patologica - per affermare la responsabilit penale del singolo in ordine al reato di cui agli artt. 110 e 416 bis c.p. occorre accertare che il medesimo soggetto si sia effettivamente attivato per compiere lintervento richiestogli dallorganizzazione criminale. Applicando questi principi al caso di specie, deve osservarsi che non rimasto sufficientemente provato che limputato, nellambito dei suesposti rapporti politici con lon. Lima, abbia posto in essere una condotta di inserimento organico nella struttura dellassociazione di tipo mafioso, ovvero abbia effettivamente realizzato specifici interventi idonei ad assicurare lesistenza o il rafforzamento di Cosa Nostra in una fase patologica della sua vita. Alcuni dei collaboratori di giustizia che hanno riferito in merito ai contatti dellon. Lima con esponenti mafiosi hanno, anzi, esplicitato di non essere a conoscenza di specifiche iniziative favorevoli a Cosa Nostra adottate dal sen. Andreotti su richiesta dellon. Lima. Dalle ulteriori deposizioni dei collaboratori di giustizia non possibile trarre la dimostrazione di specifici interventi attuati dal sen. Andreotti in favore di Cosa Nostra per il tramite o su sollecitazione dellon. Lima. Deve pertanto riconoscersi che gli elementi di convincimento sopra riassunti non valgono a dimostrare in termini di certezza che limputato abbia consapevolmente determinato, daccordo con lon. Lima, la trasformazione della corrente andreottiana in Sicilia in una struttura di servizio dellassociazione mafiosa, ed abbia mobilitato le articolazioni interne della propria corrente per la soluzione dei problemi che interessavano Cosa Nostra. Le considerazioni precedentemente sviluppate, che impediscono di ravvisare, nei rapporti tra il sen. Andreotti e lon. Lima, profili dotati di inequivocabile valore sintomatico ai fini della prova dei fatti delittuosi attribuiti allimputato, inducono ad escludere la rilevanza penale dei contatti intercorsi tra questultimo ed altri esponenti siciliani della corrente andreottiana collusi con lorganizzazione mafiosa. Lintensit di tali contatti che non risultano avere travalicato i limiti del sostegno elettorale e delle relazioni di carattere politico rimasta comunque ampiamente inferiore a quella del legame fiduciario che ha unito per un lungo periodo di tempo il sen. Andreotti allon. Lima, e che sulla base degli elementi di convincimento raccolti non appare essersi tradotto in un inserimento dellimputato nellillecito sodalizio ovvero in una condotta di concorso esterno. In proposito occorre altres rilevare che non vi prova che le iniziative ufficialmente adottate dal sen. Andreotti nellesercizio dei poteri pubblici afferenti alle cariche da lui ricoperte siano state indirizzate - per effetto del vincolo che lo univa, sul piano correntizio, ad esponenti politici vicini allorganizzazione delittuosa - in senso favorevole a Cosa Nostra. Non possono certamente ravvisarsi condotte di sostegno allassociazione mafiosa nellatteggiamento tenuto nei confronti della criminalit organizzata dal sen. Andreotti nellesercizio dei poteri inerenti alla carica di Presidente del Consiglio dei Ministri, negli anni 1989-1992. Questo periodo risulta indubbiamente caratterizzato da una produzione normativa di notevole rilievo, dotata di profonda incidenza sul diritto penale sostanziale e processuale, sulla regolamentazione dellattivit delle forze dellordine, sulla complessiva azione dello Stato di contrasto alla mafia. Il complessivo quadro probatorio acquisito denota che il sen. Andreotti, allinterno del Consiglio dei Ministri, recep senza avanzare alcuna opposizione alcune importanti iniziative legislative di contrasto alla criminalit organizzata proposte dai Ministri Martelli e Scotti, e, nei rapporti esterni, manifest apertamente sia al Presidente della Repubblica, sia ad un parlamentare il quale sosteneva con forza una diversa linea politica, come lon. Mellini, il proprio intento di agevolare, con il supporto di adeguati strumenti legislativi, la lotta alla mafia. Se il sen. Andreotti avesse voluto agevolare lassociazione mafiosa Cosa Nostra senza

attirare su di s il minimo sospetto, avrebbe potuto limitarsi a presentare in Parlamento il Decreto Legge 12 settembre 1989 n. 317, senza reiterarlo a seguito della sua mancata conversione, dovuta alla energica azione di contrasto posta in essere dalle forze politiche di opposizione e da una parte della stessa maggioranza di governo. In questa ipotesi, egli avrebbe potuto far ricadere facilmente la responsabilit delle scarcerazioni sugli esponenti politici contrari alla conversione del Decreto Legge. Il fatto che, invece, il sen. Andreotti, in presenza di gravi difficolt insorte nelliter della conversione del provvedimento legislativo, ne abbia deciso la reiterazione ed abbia presenziato personalmente alle sedute parlamentari fino ad ottenere il risultato voluto, un significativo indice della sua intenzione di profondere il massimo impegno per evitare che, prima della conclusione del giudizio di secondo grado del maxi processo, numerosi esponenti mafiosi fossero liberati. Quali che fossero le motivazioni delloperato del sen. Andreotti, non vi dubbio che in questa occasione egli, pur avendo la possibilit di agire diversamente, si attivamente impegnato per conseguire un risultato oggettivamente sfavorevole allorganizzazione mafiosa. Tuttavia questo atteggiamento dellimputato, e le ulteriori misure legislative successivamente promosse dal Governo da lui presieduto, non impedirono allorganizzazione mafiosa di appoggiare i candidati della corrente andreottiana nelle elezioni per il rinnovo dellAssemblea Regionale Siciliana, svoltesi nel giugno 1991. Ci denota che il sostegno elettorale offerto da Cosa Nostra alla corrente andreottiana in Sicilia poteva certamente prescindere dalladozione, ad opera dellimputato, di specifici provvedimenti favorevoli allillecito sodalizio. Le aspettative dellassociazione mafiosa erano, piuttosto, collegate allattesa di vantaggi conseguibili attraverso linfluenza politica esercitata di fatto dalla corrente andreottiana su diversi settori delle istituzioni e centri decisionali. Deve, tuttavia, riconoscersi che il quadro probatorio acquisito non sufficiente a dimostrare che limputato abbia personalmente contribuito, in modo concreto ed effettivo, ad indirizzare tale influenza politica verso specifici obiettivi immediatamente funzionali allesistenza ed al rafforzamento dellorganizzazione mafiosa. 3) In ordine ai rapporti intrattenuti dallimputato con Vito Ciancimino deve rilevarsi che dagli elementi di prova acquisiti e emerso che lex Sindaco di Palermo, in un periodo in cui era stato raggiunto da pesanti accuse in sede politica ed in cui era ampiamente nota la sua vicinanza con ambienti mafiosi, instaur rapporti di collaborazione con la corrente andreottiana, sfociati poi in un formale inserimento in tale gruppo politico, e che i medesimi rapporti ricevettero, su richiesta dello stesso Ciancimino, lassenso del sen. Andreotti nel corso di un incontro appositamente organizzato a questo scopo. A ci fecero seguito pur tra alterne vicende ulteriori manifestazioni di cointeressenza, sia sotto il profilo dei finanziamenti finalizzati al pagamento delle quote relative al pacchetto di tessere gestito dal Ciancimino, sia sotto il profilo dellappoggio dato dai delegati vicini al Ciancimino alla corrente andreottiana in occasione dei congressi nazionali del partito svoltisi nel 1980 e nel 1983. Le risultanze dellistruttoria dibattimentale non hanno tuttavia dimostrato che il sen. Andreotti, nellambito dei predetti rapporti politici sviluppatisi con il Ciancimino, abbia espresso una stabile disponibilit ad attivarsi per il perseguimento dei fini propri dellorganizzazione mafiosa, ovvero abbia compiuto concreti interventi funzionali al rafforzamento di "Cosa Nostra". Il complessivo contegno tenuto dal sen. Andreotti nei confronti del Ciancimino denota certamente la indifferenza ripetutamente mostrata dallimputato rispetto ai legami che notoriamente univano il suo interlocutore alla struttura criminale, ma non si traduce inequivocabilmente in una adesione allillecito sodalizio. Lo stesso collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino, che pure ha avuto una diretta conoscenza del modo di operare del Ciancimino in sede politica, non ha indicato alcuna richiesta rivolta da questultimo al sen. Andreotti per il perseguimento degli interessi di Cosa Nostra. Deve dunque concludersi che la prova dei ripetuti contatti intercorsi tra limputato e il Ciancimino non sufficiente a dimostrare la realizzazione di condotte penalmente rilevanti. 4) Per quanto riguarda il primo incontro del quale si e avuta notizia nel presente processo tra limputato ed un noto esponente di Cosa Nostra nel 1970 (Frank Coppola, uomo donore della famiglia mafiosa di Partinico), che laccusa ha ritenuto di provare sulla base della deposizione dellimputato di reato connesso Federico Corniglia, il quadro di riferimento di tutta la vicenda narrata dal predetto e rimasto estremamente generico e

privo di riscontri validi. Il Corniglia e rimasto del tutto isolato nel delineare lesistenza di un presunto rapporto dellOn.Andreotti con il noto esponente mafioso Frank Coppola al quale nessuno dei pur numerosi collaboratori escussi nel presente processo ha mai fatto cenno quale soggetto in contatto con lodierno imputato. Al di la delle contraddizioni, incongruenze, e talora falsita, rilevate nel racconto del Corniglia, le sue dichiarazioni, sulla base delle quali dovrebbe esclusivamente fondarsi la tesi dellaccusa sono rimaste, oltre che isolate nel contesto dellintero processo, non provate in quanto prive di ogni idoneo riscontro. 5) E emerso inequivocabilmente che Michele Sindona considerava il sen. Andreotti un importantissimo punto di riferimento politico, cui potevano essere rivolte le proprie istanze attinenti alla sistemazione della Banca Privata Italiana ed ai procedimenti penali che il finanziere siciliano doveva affrontare in Italia e negli U.S.A.. A questo atteggiamento del Sindona, fece riscontro un continuativo interessamento del sen. Andreotti, proprio in un periodo in cui egli ricopriva importantissime cariche governative. Numerosi furono i contatti intercorsi tra limputato ed una pluralit di persone che si rivolgevano a lui per rappresentargli le istanze del Sindona e nel corso dei colloqui con costoro, il sen. Andreotti, oltre a manifestare in via generale un vivo interesse per la situazione del Sindona, non di rado assicur agli interlocutori (Federici, Guarino, Rao, Guzzi) il proprio attivo impegno per agevolare la soluzione dei suoi problemi di ordine economico-finanziario e di ordine giudiziario. Il sen. Andreotti, inoltre, realizz alcuni specifici comportamenti che apparivano concretamente idonei ex ante ad avvantaggiare il Sindona nel suo disegno di sottrarsi alle conseguenze delle proprie condotte, ed inequivocabilmente rivolti a questo fine: il sostegno alla nomina del dott. Mario Barone a terzo amministratore delegato del Banco di Roma, ed il conferimento al sen. Stammati ed allon. Evangelisti dellincarico di esaminare il secondo progetto di sistemazione della Banca Privata Italiana. Sulla base degli elementi di prova acquisiti e stato provato dunque che: 1. il sen. Andreotti adott reiteratamente iniziative idonee ad agevolare la realizzazione degli interessi del Sindona nel periodo successivo al 1973; 2. tra tali iniziative, assunsero particolare rilevanza anche se non conseguirono il risultato voluto - quelle aventi come destinatari finali i vertici della Banca dItalia ed il Commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, i quali si opponevano ai progetti di sistemazione; va in particolare sottolineato che, se gli interessi del Sindona non prevalsero, ci dipese, in larga misura, dal senso del dovere, dallonest e dal coraggio dellavv. Giorgio Ambrosoli, il quale fu ucciso, su mandato del Sindona, proprio a causa della sua ferma opposizione ai progetti di salvataggio elaborati dallentourage del finanziere siciliano, a favore dei quali, invece, si mobilitarono il sen. Andreotti, taluni altri esponenti politici, ambienti mafiosi e rappresentanti della loggia massonica P2; 3. il significato essenziale dellintervento spiegato dal sen. Andreotti (anche se non le specifiche modalit con le quali esso si era realizzato) era conosciuto dai referenti mafiosi del Sindona. Le condotte poste in essere dal sen. Andreotti nei confronti del Sindona tuttavia potrebbero integrare la fattispecie della partecipazione allassociazione di tipo mafioso soltanto qualora assumessero - per le loro caratteristiche intrinseche - significativit e concludenza in termini di affectio societatis, denotando ladesione dellimputato al sodalizio criminoso. E rimasto invece non sufficientemente provato che il sen. Andreotti, al momento in cui realizz i suindicati comportamenti suscettibili di agevolare il Sindona, fosse consapevole della natura dei legami che univano il finanziere siciliano ad alcuni autorevoli esponenti dellassociazione mafiosa. I comportamenti dellimputato che apparivano concretamente idonei ex ante ad avvantaggiare il Sindona nel suo disegno di sottrarsi alle conseguenze delle proprie condotte illecite come il conferimento informale al sen. Stammati ed allon. Evangelisti degli incarichi riguardanti il secondo progetto di sistemazione - risalgono ad un periodo anteriore alla data (18 ottobre 1978) in cui lo stesso avv. Guzzi comprese che il proprio cliente intratteneva rapporti con ambienti mafiosi. Non e stata neppure acquisita la prova certa che, al momento in cui tenne i predetti comportamenti, limputato fosse in possesso di informazioni tali da ingenerare in lui la consapevolezza che gli effetti del suo operato avrebbero potuto assumere una notevole importanza per gli esponenti mafiosi per conto dei quali il Sindona svolgeva attivit di

riciclaggio. In particolare, non stata fornita prova sufficiente che limputato fosse venuto a conoscenza del rapporto con il quale, in epoca anteriore al 1977, lambasciatore italiano a New York, Roberto Gaja, aveva rappresentato al Ministero degli Esteri le ragioni per cui non aveva partecipato ad una celebrazione in onore del Sindona e non intendeva presenziare a nessunaltra manifestazione riguardante il finanziere siciliano, ritenendolo in contatto stretto con ambienti di natura mafiosa. Ne vi e prova sufficiente che limputato abbia avuto consapevolezza dei sospetti emersi, anteriormente al 1974, sui collegamenti tra il Sindona ed ambienti mafiosi, sulla base delle indicazioni provenienti secondo quanto ha riferito il teste Teodori - dal Narcotics Bureau degli U.S.A. (che aveva inviato allautorit di polizia italiana richieste di informazioni riguardanti il Sindona, segnalandone i rapporti con personaggi degli ambienti di Cosa Nostra americani, quali Daniel Porco, Ernest Gengarella e Ralph Vio, sospettati di coinvolgimento nel traffico di stupefacenti) e dal giornalista americano Jack Begon (il quale aveva curato una trasmissione sui rapporti fra il Sindona, la mafia e il traffico internazionale di stupefacenti, messa in onda su una rete di stazioni radiofoniche americane il 28 Luglio 1972, facendo riferimento a spostamenti di denaro fra Europa e U.S.A., pianificati dal vertice di Cosa Nostra in una riunione tenuta all'Hotel delle Palme di Palermo). Per quanto attiene, poi, al periodo successivo alla data (23 febbraio 1979) in cui lavv. Guzzi rifer all'on. Andreotti che vi erano state minacce nei confronti dellavv. Ambrosoli e del dott. Cuccia, resta incerta la effettiva valenza causale degli interventi sollecitati al sen. Andreotti, o da lui promessi nelle conversazioni con altri soggetti. Non sono state, infatti, definite in termini sicuri le modalit delle istruzioni che limputato aveva comunicato allavv. Guzzi di avere dato con riferimento alla sollecitazione ricevuta in ordine al problema delle indagini relative alla Franklin Bank. E rimasto, inoltre, indeterminato il ruolo effettivamente assunto dal sen. Andreotti rispetto allintervento asseritamente realizzato dalla Grattan nei confronti di un esponente del Dipartimento di Stato degli U.S.A.. E gli elementi di convincimento raccolti non permettono di stabilire se linteressamento mostrato dal sen. Andreotti abbia realmente influito sui tempi della procedura di estradizione. Una approfondita conoscenza, da parte del sen. Andreotti, del collegamento del Sindona con lo schieramento mafioso moderato sicuramente dimostrata dalle espressioni usate dallimputato nellincontro del 5 aprile 1982 con il gen. Dalla Chiesa. Infatti come si e evidenziato in altra parte della sentenza - in questa occasione il sen. Andreotti fece riferimento allomicidio di Pietro Inzerillo (ucciso il 15 gennaio 1982 a Mont Laurel nel New Jersey - U.S.A.) ed allo stato in cui si trovava il suo cadavere (rinvenuto con cinque dollari in bocca e un dollaro sui genitali, secondo un macabro rituale tendente ad accreditare la tesi che la vittima aveva sottratto denaro all'organizzazione ed era un uomo da poco), riconnettendo tale episodio alla vicenda di Michele Sindona (il quale in realt aveva intrattenuto intensi rapporti con Salvatore Inzerillo, fratello di Pietro Inzerillo). Si tratta, per, di una conversazione ampiamente successiva al periodo cui risalgono gli interventi realizzati dallimputato in favore del Sindona. E, quindi, ben possibile che i medesimi interventi siano stati motivati non da una partecipazione dellimputato allorganizzazione criminale cui il Sindona era strettamente collegato, bens da ragioni politiche (connesse, ad esempio, a finanziamenti erogati dal Sindona a vantaggio della Democrazia Cristiana), ovvero da pressioni esercitate sul sen. Andreotti da ambienti massonici facenti capo al Gelli. In conclusione non puo configurarsi la sussistenza dellelemento soggettivo del concorso eventuale nel reato di cui allart. 416 bis c.p., non essendovi prova sufficiente che il sen. Andreotti abbia agito con la coscienza e la volont di apportare allassociazione di tipo mafioso un contributo causalmente rilevante per la conservazione o il rafforzamento della sua organizzazione. Rimane, tuttavia, il fatto che limputato, anche nel periodo in cui rivestiva le cariche di Ministro e di Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, si adoper, con le condotte ampiamente indicate, in favore del Sindona, nei cui confronti lAutorit Giudiziaria italiana aveva emesso sin dal 24 ottobre 1974 un ordine di cattura per il reato di bancarotta fraudolenta. 6) Lepisodio del presunto intervento del sen. Andreotti a favore dellimprenditore petrolifero laziale Bruno Nardini non e risultato sufficientemente provato avuto riguardo allisolata dichiarazione del Mammoliti, soggetto che peraltro non puo qualificarsi teste, ne collaboratore di giustizia, e le cui motivazioni a deporre hanno suscitato per le ragioni

esposte legittime riserve. La sua versione dei fatti, smentita nei punti essenziali da tutte le altre emergenze dibattimentali, e rimasta del tutto priva dei necessari riscontri oggettivi. 7) Lesame delle dichiarazioni di Francesco Marino Mannoia sul presunto regalo di un quadro a Giulio Andreotti da parte di Stefano Bontate e Giuseppe Calo ha evidenziato lassoluta genericita del ricordo del dichiarante proprio sugli aspetti essenziali della vicenda. Rispetto ad un colloquio con Bontate avvenuto molto addietro nel tempo (1980), il ricordo del Marino Mannoia, dopo 13 anni (aprile 1993) e risultato quanto mai vago ed incerto su tutto cio che attiene al quadro di che trattasi (nome e nazionalita dellautore, soggetto), mentre tre anni e mezzo dopo al dibattimento (novembre 1996) il ricordo del collaboratore si e concretizzato nella specifica indicazione del nome dellautore, della nazionalita e del soggetto del dipinto. Ma se e vero che il Bontate gli aveva dato incarico di attivarsi per reperire detto quadro, il Marino Mannoia, oltre che ricordare con estrema precisione o almeno in termini generali le caratteristiche del dipinto che egli doveva trovare, avrebbe potuto e dovuto riferire allA.G. soprattutto in cosa questa sua iniziativa si era poi effettivamente concretizzata, ovvero dove, con chi, presso quali referenti e con quali modalita egli aveva cercato di ottemperare allordine impartitogli dal suo capomafia. Ed invece il Marino Mannoia e stato assolutamente generico su tale aspetto della vicenda essendosi limitato ad affermare che dopo qualche tempo Bontate gli aveva fatto sapere che il quadro era stato rinvenuto e regalato al Sen.Andreotti. Proprio lassoluta genericita del racconto ha imposto quindi lesigenza di ricercare, pur nei limiti delle vaghe indicazioni fornite, solidi elementi di riscontro alle dichiarazioni del collaborante. Piu che qualche perplessita ha suscitato il fatto che Francesco Marino Mannoia, soltanto dopo le dichiarazioni di Sassu Angela allA.G., e le anticipazioni sulla stampa che ne seguirono, abbia ricordato alcuni dettagli del dipinto esattamente identici a quelli riferiti dalla donna - in ordine ai quali, a distanza di oltre 13 anni dal fatto, non aveva saputo inizialmente fornire alcuna pur minima indicazione. Al dibattimento nel novembre del 1996 egli ha ricordato non solo che si trattava di un quadro di Rossi (o Grassi), ma persino il particolare che il soggetto del dipinto era proprio un paesaggio. Ed e risultato oltremodo singolare che la Sassu abbia appunto parlato di un interesse di Evangelisti, per conto di Giulio Andreotti, rivolto ad un quadro di Gino Rossi e che rappresentava proprio un paesaggio. Ben altro rilievo probatorio avrebbe assunto come riscontro il racconto della Sassu, se Marino Mannoia avesse fin dallinizio riferito che il quadro che il Bontate gli diede incarico di ricercare e procurare era del pittore Rossi ed aveva un soggetto paesaggistico, nel momento in cui si fosse poi accertato nel corso delle conseguenti indagini, appunto tramite la Sassu, che effettivamente il Sen.Andreotti si era interessato ad un dipinto di quellautore e con quel soggetto. Ma anche le indagini sulle dichiarazioni della Sassu non hanno conseguito ulteriori utili risultati in ragione del fatto che la teste non e stata in condizioni di individuare neppure la galleria darte presso la quale essa ha riferito di avere visionato il quadro di Gino Rossi. Solo in caso di esito positivo di tale ricerca, si sarebbe potuta ricostruire la storia del quadro di che trattasi e soprattutto verificare la verita o meno del fatto riferito alla donna da Padre Gabriele secondo cui quel quadro era stato poi effettivamente regalato allon. Andreotti, accertando anche, ove possibile, lidentita della persona che gliene aveva asseritamente fatto omaggio. Nulla ovviamente risulta in ordine al possesso da parte del Sen. Andreotti di un dipinto del pittore Gino Rossi Si rammenti infine che il quadro visionato dalla Sassu non e stato mai individuato, neppure nel catalogo generale delle opere di Gino Rossi. Lon. Franco Evangelisti peraltro, sentito sul punto, ha decisamente smentito lintero racconto della Sassu. Sussiste dunque una palese incompletezza ed insufficienza della prova in relazione alla tesi di accusa di un avvenuto regalo di un quadro allimputato da parte di esponenti mafiosi. 8) Il presunto incontro a Roma tra Gaetano Badalamenti, uno dei cugini Salvo, Filippo Rimi e Giulio Andreotti in relazione al preteso "aggiustamento" del processo a carico di Vincenzo e Filippo Rimi celebratosi nei vari gradi di giudizio tra Roma e Perugia tra il

1968 ed il 1979, costituisce uno degli episodi posti dall'accusa a fondamento della tesi dell'esistenza di un patto di scambio tra Cosa Nostra e Giulio Andreotti. Ma le dichiarazioni di Tommaso Buscetta, principale fonte di accusa, sin dall'origine sono risultate viziate da una estrema contraddittorieta' e da una manifesta genericita'. Si e rilevato invero che il Buscetta sin dal suo primo interrogatorio del 6 aprile 1993, dopo avere affermato che l'incontro a Roma con Giulio Andreotti era avvenuto "in relazione all'interessamento svolto da quest'ultimo per un processo in Cassazione riguardante Rimi Filippo" (fg.2), nel contesto del medesimo verbale, ha invece dichiarato (fg.3) che il Badalamenti ebbe a parlargli dell'incontro avuto personalmente a Roma con l'imputato "allo scopo di interessarlo per il processo riguardante Rimi Filippo". Egli, al di la' delle rettifiche e precisazioni che ha fornito nel corso dei suoi interrogatori, sia nella fase delle indagini preliminari che nei dibattimenti di Palermo e Perugia, non e' stato inizialmente in condizione di precisare se l'incontro avesse come scopo il ringraziamento di Andreotti per quanto gia' fatto ovvero la necessita' di "interessarlo" affinche' si attivasse adeguatamente ai fini dell'aggiustamento di un processo ancora da celebrare. Il Buscetta, poi, nel volgere di appena due anni e passato dalla prospettazione di due tesi assolutamente opposte (6 aprile 1993) alla formulazione di una alternativa (al P.M. di Roma il 2 giugno 1993: "l'incontro era finalizzato ad interessare Andreotti per un processo che riguardava Rimi o per ringraziarlo per un interessamento gi avvenuto"), per poi approdare infine alla indicazione certa (24 aprile 1995) dello scopo dellincontro destinato al ringraziamento di Andreotti. Le suddette versioni radicalmente opposte incidono anche sulla collocazione temporale del preteso incontro che ovviamente sarebbe anteriore alla sentenza "aggiustata" in caso di interessamento ancora da svolgere e posteriore nell'ipotesi del ringraziamento per quanto gia' fatto ed evidenziano dunque il ricordo indubbiamente approssimativo del Buscetta in ordine al reale contenuto delle conversazioni avute con il Badalamenti. Lincertezza dei ricordi del Buscetta, almeno nella fase iniziale delle sue dichiarazioni, non e' risultata limitata esclusivamente allo scopo del preteso incontro con Andreotti investendo anche la fase processuale nella quale il presunto interessamento era avvenuto (o doveva avvenire). Il 6 aprile 1993 invero il Buscetta ha espressamente fatto riferimento ad "un processo in Cassazione riguardante Rimi Filippo" ed alla circostanza che il Rimi era stato "nella fase di merito del processo condannato all'ergastolo, ma poi in effetti il giudizio della Corte di Cassazione era stato a lui favorevole". Il collaborante ha dunque operato due espliciti riferimenti ad un processo definito dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione. Proprio tale esplicita indicazione del Buscetta in merito ad un processo in Cassazione aveva originariamente orientato la collocazione temporale dell'incontro di Badalamenti con Andreotti nel 1971 o 1972 (a seconda che si scegliesse la tesi dell'interessamento o del ringraziamento) prendendo evidentemente come punto di riferimento proprio la pronuncia dei giudici di legittimita' che il 4 dicembre 1971 avevano annullato con rinvio la condanna all'ergastolo inflitta nel processo di appello definito con la sentenza della Corte di Assise di Appello di Perugia del 18 marzo 1969 (che aveva a sua volta confermato l'ergastolo inflitto in primo grado dalla Corte di Assise di Perugia il 16 febbraio 1968). Anche lesplicito riferimento ad una fase di merito del processo conclusosi con una condanna all'ergastolo e ad un giudizio della Cassazione dall'esito favorevole non aveva inizialmente fatto sorgere dubbio alcuno riguardo alla conclusione che l'intervento di "ringraziamento" fosse avvenuto in relazione alla favorevole pronuncia dei giudici di legittimita' e dunque alla sentenza emessa dalla Corte di Cassazione il 4 dicembre 1971. Esaminato all'udienza del 24 aprile 1995 nellambito del processo relativo allomicidio dellOn. Lima il Buscetta ha riferito ancora una volta alla Corte di Assise di Palermo che Badalamenti Gaetano gli aveva parlato "di un incontro avuto nello studio del senatore Andreotti per ringraziarlo per l'assoluzione del cognato e del padre che erano stati assolti in Cassazione". Ma nel corso di tale deposizione dinanzi alla Corte di Assise di Palermo che processava gli imputati dell'omicidio di Salvo Lima, il collaborante ha anche significativamente aggiunto che era stato "costretto a correggere" la sua dichiarazione sul punto a causa delle dichiarazioni rese dal Badalamenti ed ha pertanto precisato (confermandolo anche nel presente dibattimento) che il Badalamenti gli aveva detto che era andato a "ringraziare l'onorevole Andreotti .negli anni 1979" e che, nel riferirgli in Brasile l'episodio, non aveva fatto alcun cenno alla Cassazione essendosi limitato a parlare di un

processo a Roma. Era stata dunque solo una deduzione dello stesso Buscetta la dichiarazione secondo cui il processo in questione riguardava la Corte di Cassazione. Secondo la tesi del P.M. la decisione cui si riferiscono le dichiarazioni di Buscetta non sarebbe dunque quella della Corte di Cassazione del 4 dicembre 1971, bensi quella assunta in sede di rinvio dalla Corte di Assise di Appello di Roma il 13 febbraio 1979, e dunque l'incontro tra Badalamenti ed Andreotti sarebbe avvenuto tra il 1978 ed il 1979 e "comunque prima del 13 febbraio 1979" . Il Collegio ha tuttavia evidenziato come la tesi del P.M. secondo cui tale ringraziamento va collocato nel 1979, e riguarda esclusivamente Rimi Filippo (essendo Rimi Vincenzo deceduto nel 1975), confligge comunque irrimediabilmente con le testuali parole del Buscetta dinanzi alla Corte di Assise di Palermo (processo per l'omicidio di Salvo Lima) secondo il quale Andreotti venne ringraziato dal Badalamenti "per l'assoluzione del cognato e del padre che erano stati assolti in Cassazione", e dunque per l'unica sentenza di "assoluzione" (in senso atecnico essendo in realta' un annullamento con rinvio) pronunciata dai giudici di legittimita' nei confronti di entrambi i Rimi intervenuta nel dicembre del 1971. E confligge anche con le dichiarazioni del Buscetta del 6 aprile 1993 nella parte in cui egli riferisce testualmente che Badalamenti gli parlo dellincontro a Roma con Giulio Andreotti in relazione allinteressamento svolto da questultimo per un processo in Cassazione. Risulta dunque illogico che l'incontro sia avvenuto, come ha poi affermato categoricamente il Buscetta, nel 1979 in relazione ad un interessamento svolto da Andreotti o per un ringraziamento relativo all'aggiustamento di una sentenza pronunciata nel dicembre del 1971 e dunque circa otto anni prima. Si e altresi evidenziato che, ove l'incontro fosse stato collocato a ridosso della sentenza della Cassazione - e dunque verso la fine del 1971 l'incontro stesso non avrebbe potuto avere luogo proprio perche' sia i Rimi, condannati allergastolo, che il Badalamenti all'epoca erano detenuti (Badalamenti ha ottenuto la liberta provvisoria solo in data 15 febbraio 1972 ed e ritornato in carcere un anno dopo). Il Buscetta, peraltro, nel corso dellesame reso nel presente dibattimento (9 gennaio 1996) ha altresi riferito che incontrando i Rimi allUcciardone nel 1971, costoro gli avevano riferito che stavano attendendo una sentenza della Cassazione che li prosciogliesse dallaccusa di omicidio e dunque dalle due sentenze di merito di condanna allergastolo (nel 1971 incontrando il Rimi all'Ucciardone mi dicono che stanno aspettando per una sentenza che possa andare in Cassazione e prosciogliersi per questa cosa). Orbene, e risultato documentalmente provato (cfr. Doc. 86 prod. P.M.) che Buscetta Tommaso non ha potuto colloquiare in carcere con i Rimi prima della sentenza della Cassazione intervenuta il 4 dicembre 1971 per la incontestabile ragione che il predetto Buscetta, latitante sin dal giugno del 1963, venne arrestato dalla Polizia di Brooklyn il 25 agosto 1970 e rimesso in liberta il 4 dicembre successivo; egli si rese subito irreperibile per la Polizia statunitense e si rese latitante per la Polizia italiana dopo lemissione a suo carico dell ordine di cattura n.20/71 R.O.C. da parte della Procura della Repubblica di Palermo il 21 luglio 1971. Buscetta e stato infine arrestato dalla Polizia brasiliana solo il 3 novembre 1972, estradato in Italia il 3 dicembre successivo, ed infine tradotto allUcciardone solo il 5 dicembre 1972. E stato dunque incontestabilmente provato che nessun colloquio puo essere intervenuto tra i Rimi e Buscetta durante un periodo di comune detenzione presso il carcere di Palermo in epoca anteriore alla sentenza della Corte di Cassazione del 4 dicembre 1971. E la circostanza che Buscetta non si sia limitato ad indicare un anno (1971), che potrebbe far pensare ad un mero errore, ma abbia riferito del contenuto di un colloquio in realta mai avvenuto (avente ad oggetto lattesa da parte dei Rimi di una sentenza della Cassazione che li prosciogliesse), dimostra inconfutabilmente che la circostanza riferita dal collaborante e frutto di un errato ricordo. Le dichiarazioni de relato di Tommaso Buscetta, sulla base delle quali il P.M. ha fondato la propria tesi di accusa (intervento del Sen.Andreotti diretto ad ottenere laggiustamento del processo a carico di Filippo Rimi nel 1979; incontro del Sen.Andreotti a Roma con Gaetano Badalamenti dopo la sentenza asseritamente aggiustata del 13 febbraio 1979) oltre che intrinsecamente contraddittorie ed in piu punti inattendibili, sono state dunque smentite da varie risultanze processuali e dalle dichiarazioni dei numerosi altri collaboratori escussi nel corso del processo.

Proprio la analitica disamina delle dichiarazioni di Francesco Marino Mannoia, di Vincenzo Sinacori, di Salvatore Cucuzza, di Giovanni Brusca, di Francesco Di Carlo e di Salvatore Cancemi ha condotto invero alla conclusione secondo cui la ricostruzione di Buscetta piuttosto che trovarvi sicuro riscontro, ha ricevuto palese e molteplice smentita. Lunico dato comune a tutte le esaminate dichiarazioni e che molti uomini donore erano a conoscenza della pressante attivita che Cosa Nostra aveva svolto nel tempo nel tentativo di conseguire l aggiustamento del processo a carico dei Rimi. Taluni di costoro (Cancemi, Sinacori, Cucuzza, Calderone) hanno smentito Buscetta proprio con specifico riferimento alla fase processuale che sarebbe stata oggetto del presunto intervento o comunque dei tentativi di aggiustamento (il giudizio di Cassazione del 1971 secondo Cancemi, Sinacori, Cucuzza, Calderone ). Un altro collaborante (Marino Mannoia) diverge da Buscetta laddove accenna ad un aggiustamento cercato ed anche ottenuto da Vincenzo Rimi, dunque con indubbio riferimento ad una fase processuale antecedente alla morte dello stesso Rimi Vincenzo avvenuta nel 1975, e senza alcun accenno al Sen.Andreotti. Gli altri due collaboranti (Francesco Di Carlo e Giovanni Brusca), pur riferendosi alla medesima epoca storica indicata dal Buscetta (1979), rendono dichiarazioni, anchesse sempre e soltanto de relato, sovente generiche, in piu punti contraddittorie ed inattendibili, oltre che intrinsecamente, anche nel reciproco raffronto, smentendo comunque il predetto Buscetta sul punto qualificante del ruolo asseritamente svolto nella vicenda da Gaetano Badalamenti che neil Di Carlo, ne il Brusca citano. Sono dunque rimaste del tutto prive di riscontri entrambe le tesi prospettate dallaccusa fondate principalmente sulle dichiarazioni di Tommaso Buscetta e relative ad un presunto intervento del Sen.Andreotti per laggiustamento del processo a carico di Filippo Rimi nel 1979 e ad un incontro tra limputato e Gaetano Badalamenti nel 1979. 9) Per quanto concerne le vicende dellinteressamento di Cosa Nostra per la liberazione dellOn. Moro e stato proprio lo stesso Buscetta ad affermare esplicitamente, gia nel corso delle sue dichiarazioni al P.M. il 6 aprile 1993, che il coinvolgimento dellodierno imputato nelle iniziative dirette alla liberazione, tramite Cosa Nostra, dello statista sequestrato dalle Brigate Rosse e soltanto frutto di una sua evidente deduzione, nulla risultandogli di specifico al riguardo. Il Buscetta dunque non ha alcuna conoscenza diretta e specifica di elementi concreti che possano dimostrare che Cosa Nostra si attivo in favore della liberazione di Aldo Moro (peraltro senza alcun esito) su precisa sollecitazione e richiesta dei cugini Salvo, il cui ruolo nella vicenda e risultato peraltro affermato solo sulla base di una mera deduzione del dichiarante (Certo e che a chiedere a Bontate Stefano di interessarsi al caso Moro non potevano essere stati altri che i Salvo). Se dunque il coinvolgimento dei Salvo nelle iniziative poste in essere da Cosa Nostra per ottenere la liberazione di Moro e stato solo dedotto dal Buscetta, altrettanto e avvenuto per il conseguente coinvolgimento dellOn.Andreotti (non potevano essere stati altri che i Salvo e quindi Giulio Andreotti). E stato lo stesso Buscetta inequivocabilmente, nel corso delle indagini preliminari, al P.M. di Roma che il 20 novembre 1992 lo interrogava sul punto, ad escludere espressamente di sapere se Bontate ed Inzerillo si erano attivati per la liberazione di Aldo Moro di loro iniziativa o su input di personaggi politici. La ricostruzione delle complesse vicende in esame da parte di Tommaso Buscetta e stata quanto mai approssimativa, contraddittoria, ondivaga, oltre che fortemente condizionata, come peraltro ammesso dallo stesso dichiarante, dalla sovrapposizione tra ricordi personali e notizie apprese aliunde anche dalla stampa e dalla televisione. Che allora siano stati i cugini Salvo a chiedere a Bontate di attivarsi e quindi Andreotti come aveva invece riferito il Buscetta il 6 aprile 1993 - costituisce, con ogni evidenza, una mera deduzione che nemmeno lapprofondimento dibattimentale nei processi di Palermo e Perugia ha consentito di concretizzare in utili ed apprezzabili sviluppi probatori. In conclusione il presunto ruolo dellOn.Andreotti nelle vicende e nelle trattative condotte da Buscetta, anche su sollecitazione di esponenti di Cosa Nostra, per la liberazione di Aldo Moro e legato solo ad una mera deduzione del dichiarante, come tale priva di qualsivoglia apprezzabile efficacia probatoria a carico dellimputato nel presente processo. Con riferimento poi allanalisi delle dichiarazioni del Buscetta sullomicidio Pecorelli si e accertato che il predetto collaborante ha espressamente precisato che mai Badalamenti (ne peraltro Bontate) ebbe a dirgli che vi era stato un mandato dellodierno imputato per lomicidio del Pecorelli e che il coinvolgimento delluomo politico nel delitto e stato

dedotto dal Buscetta sulla base del rapporto di conoscenza con quei Salvo che erano i veri mandanti dellomicidio (udienza Perugia del 9 settembre 1996). Laffermazione del Buscetta secondo cui lomicidio fu richiesto al Badalamenti ed al Bontate dai cugini Salvo nell'interesse del Senatore Andreotti e anchessa solo una deduzione seppure direttamente scaturente anche e soprattutto dalla presunta causale del delitto ricollegata dai due esponenti mafiosi al fatto che il Pecorelli stava facendo delle cose che non gradivano alla persona dell'on. Andreotti, ed aveva dei documenti scottanti che avrebbero potuto attentare alla vita politica dell'on. Andreotti. Ma tale tesi e stata dal P.M. sostenuta soprattutto sulla base delle dichiarazioni del Mar. Incandela la cui inattendibilita e stata evidenziata soprattutto nei riferimenti di natura temporale dellincontro a tre con il Gen. Dalla Chiesa e con lo sconosciuto asseritamente identificato in Pecorelli. Questo incontro sarebbe avvenuto, secondo il teste, nei primissimi giorni di gennaio del 1979 ed esattamente tre giorni dopo quellincontro serale vi sarebbe stato un nuovo colloquio tra lo stesso Mar. Incandela ed il Generale Dalla Chiesa presso la stazione dei carabinieri di Cuneo. Ma si e accertato che nel suo diario il Gen. Dalla Chiesa non ha annotato alcunche riguardo ai riferiti pretesi incontri con il Mar. Incandela o con Pecorelli, ed e emerso con chiarezza al dibattimento che i movimenti dellalto ufficiale nel periodo indicato non danno contezza di una presenza compatibile con il racconto del teste secondo cui vi fu un incontro notturno nella zona di Cuneo, seguito dopo appena tre giorni da altro incontro svoltosi sempre nella stessa citta. Manca dunque la prova di questa doppia presenza del Gen. Dalla Chiesa, distanziata di tre soli giorni, in una zona che possa ritenersi vicina a Cuneo, presenza che ovviamente sta alla base di tutto il racconto esposto dal teste Incandela. Non e stata neppure acquisita la prova certa di un effettivo rapporto di conoscenza tra il Gen. Dalla Chiesa e il giornalista Carmine Pecorelli, avendo il P.M. sostenuto tale presunto rapporto con una serie di elementi indubbiamente non univoci e privi di sicura efficacia probante. Quanto alla testimonianza dellOn. Franco Evangelisti e stato accertato che i documenti mostratigli dal Gen. Dalla Chiesa erano proprio quelli rinvenuti nel 1978 e non erano pertanto dei manoscritti, di guisa che nulla autorizza ad affermare che al teste siano stati mostrati documenti rinvenuti e sottratti nel covo di Milano. Non puo quindi affermarsi, sulla base della deposizione del teste Evangelisti, che sia stata acquisita la prova, posta dal P.M. a fondamento di tutta la tesi accusatoria, che il Gen. Dalla Chiesa abbia sottratto nel 1978 dal covo di via Montenevoso documenti mai consegnati allA.G.. Se dunque Evangelisti vide circa 50 fogli dattiloscritti e indubbio che si trattava proprio di parte delle carte rinvenute nel 1978. Nessuna prova neppure indiziaria e stata acquisita che comprovi che il Gen. Dalla Chiesa abbia mostrato o consegnato ad Andreotti carte diverse da quelle stesse (dattiloscritte) rinvenute nel covo nel 1978 e mostrate ad Evangelisti, e conseguentemente nessuna prova che siano state sottratte carte al fine di favorire limputato. Listruzione dibattimentale, ove la tesi accusatoria avesse fondamento, avrebbe dovuto inconfutabilmente dimostrare che le parti pubblicate solo nel 1990 contengono passaggi e riferimenti particolarmente pregiudizievoli per lOn. Andreotti e tali dunque da costituire addirittura la causale dellomicidio del Pecorelli che, asseritamente venutone in possesso, intendeva rendere note quelle parti allora segrete. Ma proprio la lettura comparata del dattiloscritto rinvenuto nel 1978 e degli inediti del 1990 ha dimostrato invece inconfutabilmente linfondatezza della ipotesi accusatoria. Lesistenza di parti occultate del memoriale Moro contenenti, tra laltro, elementi gravemente pregiudizievoli per il sen. Andreotti e rimasta solo una tesi indimostrata e priva di riscontri probatori certi. Laccertata mancanza di prova in ordine alla sottrazione refluisce evidentemente anche sulla pretesa causale dellomicidio Pecorelli ricondotta dallaccusa alla necessita di mettere a tacere un giornalista che, asseritamente venuto in possesso di tali parti del memoriale sottratte, pregiudizievoli per lOn. Andreotti, avrebbe avuto intenzione di pubblicarle cosi mettendo a repentaglio (per usare proprio le parole del Buscetta) la vita politica del noto uomo politico. Difetta invero anche la minima prova che supporti la tesi accusatoria secondo cui Pecorelli era in possesso di tali carte inedite che peraltro, nel corso delle accurate perquisizioni operate dopo il suo omicidio, non sono mai state rinvenute.

Non essendo stata acquisita neppure la prova certa che Pecorelli fosse in possesso o a conoscenza di parti di memoriale rimaste inedite, la costruzione del P.M. e rimasta solo una mera ipotesi priva di adeguati e convincenti riscontri. Inoltre la deposizione de relato della teste Setti Carraro, contraddistinta da una estrema genericita oltre che da erronei ricordi e plurime contraddizioni, non e risultata idonea a fornire la prova univoca, certa ed incontestabile del possesso da parte del Gen. Dalla Chiesa di documenti sottratti dal covo di via Montenevoso. Lipotesi di occultamento di parti del memoriale stesso per una subdola e ricattatoria operazione che sarebbe stata messa in atto dal Generale Dalla Chiesa e stata del tutto smentita oltre che dalle articolate considerazioni svolte nella parte della sentenza dedicata a tale tema di prova, anche da ogni altra risultanza processuale acquisita al dibattimento. Persino il Mar. Incandela ha precisato che il Gen. Dalla Chiesa gli confermo esplicitamente che il famoso salame asseritamente rinvenuto nel carcere di Cuneo e consegnato al Generale non era il memoriale Moro (visto che non sei riuscito a trovare gli scritti di Moro su Andreotti). Non vi e prova alcuna che Tommaso Buscetta, al di la delle rilevate contraddizioni, verosimilmente dovute anche al lungo tempo trascorso da quei colloqui risalenti ai primi anni 80, abbia mentito inventandosi conversazioni con le sue fonti di riferimento in realta mai avvenute, ma non e stata neppure acquisita la prova certa che i fatti riferitigli da quelle fonti fossero corrispondenti al vero, difettando concreti ed apprezzabili elementi di riscontro. In conclusione la critica disamina delle risultanze acquisite non ha comprovato la tesi dellaccusa, principalmente fondata sulle vaghe, contraddittorie ed altalenanti dichiarazioni di Tommaso Buscetta, tutte peraltro de relato, di un perverso intreccio tra l'omicidio di Carmine Pecorelli, i presunti segreti del caso Moro e lomicidio del Generale Dalla Chiesa. Resta esclusivamente demandato alla Corte di Assise di Perugia il giudizio in ordine alla penale responsabilita dellOn. Giulio Andreotti per lomicidio del giornalista Carmine Pecorelli, materialmente eseguito, secondo la tesi dellaccusa, da esponenti di Cosa Nostra su mandato dei cugini Salvo, nonche di Gaetano Badalamenti, Giuseppe Calo e Stefano Bontate e con lausilio operativo di esponenti della Banda della Magliana. Ma ai limitati fini che qui interessano circa la sussistenza del delitto associativo contestato allimputato deve concludersi che la valutazione compiuta dal Collegio in ordine alla prospettata causale legata ai pretesi fastidi che il giornalista, con i suoi articoli e con quantaltro avrebbe voluto rendere pubblico, avrebbe arrecato al Sen. Andreotti ha evidenziato linsussistenza di elementi certi ed univoci comprovanti lipotesi accusatoria. 10) Le dichiarazioni di Benedetto DAgostino sui presunti incontri tra Giulio Andreotti ed il noto esponente di Cosa Nostra Michele Greco nella saletta riservata dellHotel Nazionale a Roma non sono state sufficientemente riscontrate. E stato invero accertato che detti presunti incontri possono e devono essere avvenuti soltanto la domenica pomeriggio. Ma lunica domenica nel quinquennio 1976-1980 in relazione alla quale le compiute indagini di p.g. hanno riscontrato la presenza di Michele Greco a Roma e risultata il 4 marzo 1979, data in relazione alla quale nellagenda del Sen.Andreotti non figura alcuna annotazione relativa ad una sua presenza allHotel Nazionale. E se puo ipotizzarsi che quel giorno il Sen.Andreotti abbia omesso di annotare nella sua agenda di essersi recato allHotel Nazionale a visionare un film nella saletta riservata ivi esistente, resta comunque il fatto che il P.M. ha offerto al Tribunale la prova di una unica possibilita di incontro tra limputato e Michele Greco il quale invece ha con estrema sicurezza vantato, secondo le stesse parole riportate dal DAgostino, di essersi intrattenuto in quella saletta con Andreotti piu di una volta (ha testualmente riferito qualche domenica pomeriggio, qualche volta, piu volte) soffermandovisi anche a chiacchierare con lui al termine delle proiezioni. Non e stato dunque acquisito lessenziale riscontro almeno delle presenze di Michele Greco a Roma in giorni corrispondenti a domeniche, anche perche lindagine e stata limitata allHotel Excelsior. Si tratta in ogni caso di una dichiarazione de relato, il cui valore probatorio e comunque di rango inferiore rispetto ad una rappresentazione diretta, e nella quale la ricostruzione del racconto fatto al DAgostino da Michele Greco non e stato esente da incertezze e contraddizioni stante la gia esposta altalena tra riferimenti espliciti e semplici allusioni. Una isolata dichiarazione de relato del DAgostino, soggetto che peraltro non puo qualificarsi ne teste, ne collaboratore di giustizia, attestante la (riferitagli) circostanza

della presunta esistenza, tra Giulio Andreotti e Michele Greco, di un rapporto di conoscenza che peraltro il noto esponente mafioso aveva interesse a vantare ed esplicitare a terzi. E stato infatti lo stesso DAgostino a riferire che, dal tenore dei discorsi fattigli, si comprendeva benissimo come il Greco intendesse soprattutto vantarsi con il suo interlocutore della conoscenza con un cosi noto ed importante esponente politico (lui me lo riferiva come cosa importante, come avvenimento la notizia che mi dava lui, era che conosceva - e di questo ne era contento, di darmi questa notizia - che conosceva il Presidente Andreotti.....aveva soddisfazione nel dirmelo per dimostrarmi che aveva conoscenze di gente importante.. Si vantava di questa amicizia). Ma se tra il Greco ed il DAgostino, per quanto da questultimo rappresentato, non esistevano rapporti particolarmente intensi o di abituale frequentazione, deve dedursene che il Greco avrebbe dovuto vantarsi di tale importante conoscenza, per ragioni ben piu consistenti che quelle di una mera vanteria, con altri, e soprattutto con i suoi principali referenti in seno a Cosa Nostra . Ed invece allesistenza di un cosi diretto e personale rapporto tra Michele Greco ed il Sen.Andreotti non ha neppure accennato uno soltanto delle decine di collaboratori esaminati nel presente dibattimento, neppure coloro che operavano, con lo stesso rango del Greco, ai vertici di Cosa Nostra (Cancemi, Di Carlo, Di Maggio, Cucuzza, Sinacori) o che per la loro lunga militanza hanno dimostrato di avere molte approfondite conoscenze su aspetti anche particolarmente delicati o riservati del sodalizio mafioso (Buscetta, Calderone, Marino Mannoia, Siino) . Nulla e stato da costoro riferito in merito a questo rapporto di asserita diretta conoscenza ed abituale frequentazione tra Giulio Andreotti e Michele Greco. La generica affermazione di Giovanni Brusca che avrebbe dovuto, ad avviso del P.M., riscontrare lesistenza di rapporti tra Michele Greco e Giulio Andreotti, non e stata ritenuta invece idonea, per le ragioni analiticamente esposte nella parte della sentenza che di essa si occupa, a fornire quel riscontro che avrebbe dovuto essere di ben altra natura e consistenza per assumere un valore processuale apprezzabile. Non essendo stata adeguatamente riscontrata la dichiarazione de relato di Benedetto DAgostino, la stessa risulta pertanto insufficiente per potere pervenire alla conclusione dellesistenza di rapporti diretti e personali tra Giulio Andreotti e Michele Greco. 11) In ordine alle dichiarazioni del teste Vito Di Maggio sul presunto incontro a Catania nella primavera estate del 1979 tra Giulio Andreotti e Benedetto Santapaola, cui partecipo anche lon. Salvo Lima, e stato accertato che il teste, indotto inconsapevolmente dalla volonta di rendersi comunque utile alle forze di polizia ed alla magistratura, ha, con numerose imprecisioni, rappresentato e riferito come certezze quelle che si sono rivelate invece soltanto vaghe ed errate impressioni, riferendo fatti talora in maniera non del tutto corrispondente alla realta. A seguito del suo esame dibattimentale e stato possibile accertare invero che lincontro riferito sarebbe avvenuto tra il 20 ed il 30 giugno del 1979, ma lesame degli impegni del Sen.Andreotti nel periodo indicato rende assolutamente impossibile ipotizzare un viaggio aereo anche di poche ore dellimputato sino a Catania. Anche lunico giorno indicato dal P.M. (lunedi 25 giugno 1979) nel periodo di riferimento del teste Di Maggio (20 giugno 30 giugno 1979) e risultato del tutto incompatibile con la tesi delleffettuazione di un viaggio lampo a Catania. La testimonianza del teste Ambasciatore Riccardo Sessa avvalora la tesi dellassoluta impossibilita anche di un viaggio compiuto il giorno 1 luglio 1979 con le modalita adombrate dal P.M. che avrebbero comportato lassenza del Sen.Andreotti dalla capitale e dai suoi impegni di Presidente del Consiglio in carica a quellepoca. In conclusione Giulio Andreotti non poteva essere e non era a Catania dinanzi allHotel Nettuno quel pomeriggio di fine giugno del 1979 in cui il teste Vito Di Maggio assume di averlo visto. Ne consegue che il teste, in quei pochi secondi che afferma di avere osservato, identificandola per lOn.Andreotti, la persona seduta allinterno di una vettura nel parcheggio antistante lalbergo, e incorso ancora una volta in un errore (come per i casi gia esaminati di Buscetta e Pulvirenti). Tutte le considerazioni svolte e le risultanze dibattimentali testimoniali e documentali esaminate dimostrano quindi inconfutabilmente che lincontro nel giugno del 1979 tra lOn.Andreotti e Nitto Santapaola, riferito dal teste Vito Di Maggio, non e mai avvenuto. 12) Anche i due presunti incontri del sen. Andreotti con Stefano Bontate ed altri esponenti di Cosa Nostra a Catania e Palermo, strettamente collegati alla causale dellomicidio del

Presidente della Regione Siciliana on. Piersanti Mattarella, avvenuto a Palermo il 6 gennaio del 1980, non sono stati provati dallaccusa. I riferimenti temporali forniti da Francesco Marino Mannoia in ordine allepoca in cui era avvenuto il primo incontro sono risultati sempre caratterizzati da estrema genericita ed approssimazione, avendo il Marino Mannoia parlato soltanto di primavera-estate del 1979, dopo lomicidio di Michele Reina (commesso il 9 marzo 1979) e dunque di un periodo esteso ben sei mesi (da marzo a settembre). Non si e riusciti neppure ad individuare almeno il mese o i due-tre mesi nei quali circoscrivere la ricerca non avendo il Marino Mannoia mai fornito sul punto alcuna minima indicazione cosi come rilevato anche a proposito del secondo incontro cui egli assume di avere personalmente partecipato. Seppure per la prima ed unica volta ammesso ad un incontro con uno dei piu noti ed importanti uomini politici del paese Francesco Marino Mannoia non ha mantenuto il minimo ricordo neppure del mese in cui cio avvenne. Per la individuazione del periodo nel quale collocare il primo incontro e stato decisivo Angelo Siino il quale, con una progressione mnemonica agevolata da alcuni preziosi riferimenti offerti dal P.M., e riuscito ad individuare, pur con un comprensibile margine di approssimazione, il periodo di tempo che interessa. Rinviando alla parte della sentenza che si occupa di tale specifica ricostruzione, e sufficiente in questa sede rammentare che secondo Angelo Siino lepisodio si e svolto certamente tra la fine di giugno ed i primi giorni di luglio del 1979. Allesito dellanalitica disamina delle risultanze processuali e emerso che domenica 8 luglio 1979 e lultimo giorno possibile indicato dal Siino che ha parlato dei primissimi o dei primi giorni di luglio (...Allora senza dubbio massimo allora giugno, luglio, primissimi di lugliotra la fine di giugno e i primi di lugliopu essere stato luglio, i primi giorni di luglio. Certamente non dopo i primi giorni di luglio, massimo sette, otto, perch poi io partivo per preparare le gare). Ma laccertata conseguente compatibilita generica di tale giornata con il presunto viaggio di Andreotti non puo ritenersi sufficiente a riscontrare la tesi dellaccusa che resta priva di ogni ulteriore elemento di supporto. Si e infatti tra laltro rilevato che l8 luglio e la domenica immediatamente precedente al 15 luglio in cui ebbe luogo la 12 ore di Campobello e che lo stesso Siino ha precisato che solitamente, proprio nelle domeniche antecedenti le competizioni automobilistiche cui egli partecipava, era solito recarsi sul posto della gara per effettuare con il suo copilota prove e ricognizioni del percorso (io utilizzavo le giornate di week-end precedenti, per esempio se era sabato e domenica, utilizzavo i sabato e domenica per fare delle ricognizioni per questa gara.io andavo l intorno a venerd, gioved per le prove punzonature e dedicavo alle prove i week-end precedenti). Il Siino ha altresi ricordato nel corso dellesame reso a Perugia che quellanno egli era stato particolarmente impegnato negli allenamenti in vista di quella competizione (si, perche cera stato il fatto che cera lapertura della caccia a giugno e praticamente poi io avevo partecipato a una gara automobilistica che mi aveva impegnato notevolmente per gli allenamenti, per le ricognizioni e cose di questo genere). Il Siino peraltro non ha mai precisato che lincontro di cui ha parlato fosse avvenuto di domenica. Se lepisodio di che trattasi fosse infatti avvenuto quella domenica 8 luglio 1979, egli avrebbe un ricordo piu nitido ancorato al fatto che, contrariamente alle sue abitudini sportive, egli quella domenica immediatamente precedente la competizione, invece che essere come di consueto sul percorso di gara a Campobello a fare con il copilota le solite ricognizioni e prove, si era invece recato ad una battuta di caccia nel catanese, ovvero dalla parte opposta della Sicilia. Tutte le considerazioni svolte portano dunque ad escludere che lincontro sia avvenuto proprio quella domenica 8 luglio 1979. Contrariamente a quanto evidenziato dal P.M. con riferimento ad altri giorni (1 luglio in particolare), inoltre, n per la data dell8 luglio, n per altri eventuali giorni del periodo in esame e stato individuato dallaccusa un volo aereo possibile al quale ricollegare il necessario viaggio dellimputato in Sicilia. La prova e risultata pertanto palesemente incompleta anche sotto tale specifico aspetto, di guisa che, ove si volesse collocare il presunto incontro a La Scia proprio in quella domenica (8 luglio 1979), o in un qualsiasi altro giorno del periodo esaminato, si dovrebbe ipotizzare che il viaggio dellallora Presidente del Consiglio in carica sarebbe avvenuto con la dolosa e preordinata cancellazione di ogni pur minima traccia e dunque con lattiva compiacenza e connivenza della scorta e del personale addetto sia

allaeroporto di partenza che a quello di arrivo. Ma anche in tale ipotesi la tesi accusatoria risulta fondata esclusivamente su una mera possibilita o compatibilita, che evidenzia soltanto che un fatto puo essere accaduto, ma mai che esso sia necessariamente ed effettivamente accaduto. Ancora una volta dunque e stata formulata una mera ipotesi assolutamente inidonea ad essere posta come fondamento della ricostruzione di un fatto, la cui prova avrebbe necessitato invece di incontestabili elementi dimostrativi che nella specie mancano del tutto. Se, poi, il motivo di tale presunto incontro che aveva imposto una vera e propria convocazione di Andreotti a Catania, nella ricostruzione del Marino Mannoia, fosse stato realmente quello di fare intervenire limportante uomo politico su Piersanti Mattarella allo scopo di fargli mutare la linea di condotta politica ed amministrativa che confliggeva con gli interessi di Cosa Nostra, non si e neppure riusciti a dimostrare a qual titolo e con quali strumenti limputato avrebbe dovuto e potuto fare cio che gli veniva richiesto. Non e stato invero acquisito alcun concreto elemento che possa fare ipotizzare che lon. Piersanti Mattarella fosse un soggetto influenzabile dallon. Andreotti, ne risultano prove che possano comunque dimostrare che un incontro o contatto tra i due vi sia stato, dopo il presunto incontro a Catania e prima dellomicidio delluomo politico siciliano. Tutte le considerazioni svolte e le risultanze dibattimentali testimoniali e documentali esaminate dimostrano pertanto inconfutabilmente che la tesi di accusa dellincontro nel 1979 tra lOn.Andreotti e numerosi esponenti di Cosa Nostra, di cui hanno parlato (entrambi de relato) Francesco Marino Mannoia, per averlo appreso da Stefano Bontate, ed Angelo Siino, cui fu detto da un soggetto non identificato (u cchiu), non ha trovato i necessari riscontri probatori. Francesco Marino Mannoia ha affermato di essere stato successivamente testimone diretto di un secondo incontro dellOn.Andreotti con il Bontate, anchesso direttamente collegato, sotto il profilo della causale e della ricostruzione dellintera vicenda, al primo incontro di Catania che, come si e visto, non e stato ritenuto dal Collegio adeguatamente riscontrato. Proprio lomessa dimostrazione probatoria dellincontro che precedette lomicidio Mattarella, gia inficia la credibilita complessiva della ricostruzione dei fatti operata dal Marino Mannoia. La verifica della dichiarazione di Marino Mannoia, assolutamente isolata non essendo stata confermata da altre dichiarazioni di collaboranti, e stata particolarmente rigorosa alla stregua dei parametri di cui allart.192 comma 3 c.p.p. alla ricerca di quei riscontri solidi ed inequivoci, a conferma dellattendibilita del dichiarante, che potessero compensare sia lunicita dellaccusa sia la complessiva genericita del collaborante. Laccusa ha ritenuto di valorizzare quale riscontro la descrizione della villa in cui sarebbe avvenuto lincontro in esame, individuata nel corso delle indagini, grazie alle dettagliate indicazioni fornite dal collaborante che lha poi riconosciuta senza esitazioni, in quella sita in localita Altarello di Baida nella disponibilita di Salvatore Inzerillo. Ma la descrizione della villa, risultata esatta, e le ulteriori indicazioni costituiscono esclusivamente il riscontro alla esistenza della villa stessa e non possono certamente rappresentare parametro utile di verifica dellattendibilita del racconto, e dunque della presenza in quel luogo del Sen.Andreotti, per la semplice ragione che lo stesso Marino Mannoia ha ammesso di essersi recato in quella villa piu volte sia prima che dopo il presunto riferito incontro con limputato. E stato altresi evidenziato come il racconto di Marino Mannoia difetti di un elemento di primario rilievo quale e quello della esatta collocazione temporale dellepisodio. Nonostante quella riferita dal collaborante sia la prima ed unica occasione nella quale egli assume di avere personalmente visto limportante e noto uomo politico, Marino Mannoia non e stato in grado di riferire alcunche di preciso sullepoca di quellincontro, neppure con un comprensibile margine di approssimazione. Cio ha imposto al Collegio la ricerca del riscontro piu significativo alla riferita presenza del Sen.Andreotti nelloccasione descritta da Marino Mannoia, ovvero di un elemento apprezzabile di prova che potesse dimostrare un effettivo viaggio dellimputato in Sicilia nel periodo pur generico indicato dallaccusa. Marino Mannoia ha riferito di avere saputo da Stefano Bontate che quel giorno Andreotti era giunto a Trapani con un aereo affittato o messo a disposizione dai Salvo, o comunque nella loro disponibilita. Il P.M. ha ritenuto di avere dimostrato la fondatezza dellaccusa assumendo che, pur non essendo stata acquisita la prova di viaggi di Andreotti in Sicilia nel periodo indicato, sarebbe stata comunque acquisita prova sufficiente del fatto che limputato era nelle

condizioni di effettuare un viaggio segreto del quale non restava alcuna traccia documentale. Ma a supporto della ipotesi accusatoria non e stata dedotta la prova di un viaggio dellimputato che riscontrasse laccusa del Marino Mannoia, bensi la prova del fatto che non tutti i viaggi di Andreotti hanno lasciato tracce documentate. Se dunque la presenza di Andreotti a Palermo era una ipotesi da verificare e riscontrare, allesito delle approfondite indagini e di tutti i complessi accertamenti effettuati, si e comunque rimasti solo alla mera ipotesi originaria: Andreotti puo essersi recato a Palermo nellampio arco di tempo indicato dal Marino Mannoia in quanto puo avere effettuato un viaggio privo di tracce documentali. La ricerca finalizzata alla individuazione di un atterraggio a Trapani nella primavera del 1980 di un aereo con a bordo lon.Andreotti non ha dato esiti apprezzabili anche in ragione del fatto che non esiste piu la documentazione relativa allaeroporto militare di Trapani Birgi in quanto, in base alla normativa vigente, la documentazione sui voli viene distrutta dopo novanta giorni. Non hanno avuto esito positivo in particolare proprio quelle ulteriori indagini che sarebbero state necessarie per individuare i due velivoli PA20 e DA20 che nel mese di aprile del 1980 effettuarono un atterraggio a Trapani senza essere registrati dal personale civile dellaeroporto. Non sono stati individuati i velivoli di quel tipo che erano in circolazione nellaprile del 1980 e le relative proprieta, ne sono stati compiuti i conseguenti accertamenti che avrebbero forse consentito di verificare, sia pure con qualche approssimazione, anche attraverso i libretti di volo dei relativi piloti, se effettivamente quei velivoli avevano effettuato in quel periodo atterraggi allaeroporto di Trapani Birgi. La necessita di riscontrare specificamente le dichiarazioni di Francesco Marino Mannoia in ordine al presunto atterraggio di Andreotti allaeroporto di Trapani Birgi rendeva essenziale ed ineludibile la dimostrazione del fatto oggetto del tema di prova ovvero che, secondo la ipotesi prospettata dal P.M., tale atterraggio fosse avvenuto proprio con uno dei due voli non registrati nellaprile del 1980. La semplice circostanza, invero, che sia stato individuato, sia pure indirettamente attraverso un prospetto statistico, latterraggio nel mese di aprile del 1980 di due aerei di tipo privato (PA20 e DA20) senza che ne sia stata fatta comunicazione alla Direzione Civile dellaeroporto, non e infatti da sola sufficiente a riscontrare adeguatamente cio che afferma Marino Mannoia ovvero che uno di quei due voli fosse stato organizzato dai Salvo e che su uno di quei due velivoli vi fosse proprio lodierno imputato. Allesito della pur approfondita indagine svolta dal P.M. e rimasta pertanto una palese insufficienza del compendio probatorio acquisito che dimostra solo una mera possibilita, e che e dunque inidoneo a supportare compiutamente ed univocamente la isolata dichiarazione di Francesco Marino Mannoia. Le indicazioni del collaborante sono rimaste prive di quei riscontri che sono necessari al fine di attestare lattendibilita del suo racconto affidato dunque alle sole sue dichiarazioni, non prive, come si e analiticamente evidenziato in altra parte della sentenza, di genericita (rispetto al dato temporale dellepisodio) e di contraddittorieta complessiva, essendo venuta meno anche e soprattutto la prova del pregresso incontro tra Bontate ed Andreotti a Catania che nella ricostruzione della intera vicenda risulta evidentemente prodromico, anche sul piano logico e causale, rispetto alla riunione nella villa di Salvatore Inzerillo . Nella ricostruzione del Marino Mannoia in ordine alla causale dellomicidio di Piersanti Mattarella assume peraltro un ruolo centrale laffermazione secondo cui luomo politico era stato ucciso anche per un suo presunto intollerabile voltafaccia essendo stato in passato in rapporti intimi e amichevoli sia con i cugini Salvo che con Stefano Bontate ai quali non lesinava i favori . Ma quando si e trattato di specificare la natura di questi rapporti amichevoli e soprattutto i favori che il Presidente Piersanti Mattarella non avrebbe lesinato sia ai cugini Salvo che a Stefano Bontate, la dichiarazione del Marino Mannoia e rimasta attestata su una assoluta genericita impedendo qualsiasi utile e doverosa verifica. Nella impostazione accusatoria la stessa presunta riunione di Catania con il Sen.Andreotti aveva, secondo le dichiarazioni de relato di Francesco Marino Mannoia, proprio lo scopo di indurre limputato ad intervenire su Piersanti Mattarella al fine di fargli cambiare la sua recente condotta giudicata confliggente con gli interessi illeciti di Cosa Nostra. Orbene, proprio questo punto centrale della prospettazione del Marino Mannoia e stato smentito dalle risultanze processuali, nulla essendo emerso in ordine a pregressi rapporti

intimi ed amichevoli di Piersanti Mattarella con i cugini Salvo o con Stefano Bontate, ne tantomeno in merito ai pretesi favori che costui non avrebbe lesinato a vantaggio dei predetti. E stata per contro acquisita la prova di una costante conflittualita tra i cugini Salvo e Piersanti Mattarella la cui azione politica e di rinnovamento contrastava insanabilmente gli interessi economici e politici dei potenti esattori di Salemi. Accusare allora Piersanti Mattarella, come ha fatto Marino Mannoia il quale sul punto si limita a riportare i giudizi espressigli da Stefano Bontate - di avere, almeno in un primo momento della sua vita politica, non solo intrattenuto rapporti amichevoli con i cugini Salvo, e persino con il capomafia Stefano Bontate, ma addirittura fatto favori di ogni tipo a costoro, e risultata affermazione che, lungi dallavere trovato riscontro al dibattimento, e stata manifestamente ed univocamente smentita dalle risultanze processuali acquisite. Anche sotto tale profilo, quindi, la ricostruzione prospettata dal Marino Mannoia e priva dei necessari riscontri per essere ritenuta attendibile. Sussiste dunque, allesito dellanalitica disamina delle risultanze processuali acquisite al dibattimento, una palese incompletezza ed insufficienza del quadro probatorio offerto a riscontro delle dichiarazioni del Marino Mannoia in ordine al presunto incontro nella primavera del 1980 tra lOn.Giulio Andreotti e Stefano Bontate rispetto al quale la sola testimonianza, ancorche asseritamente de visu, del collaborante impone, in mancanza di ogni necessario elemento che la sostenga, di ritenere solo possibile, ma non adeguatamente provato, lepisodio oggetto del tema di prova. 13) In ordine allintervento che sarebbe stato compiuto dallon. Lima e dal sen. Andreotti per ottenere il trasferimento di alcuni detenuti siciliani dal carcere di Pianosa a quello di Novara nellanno 1984 si e rilevato che gli elementi probatori acquisiti offrono un puntuale riscontro alle dichiarazioni rese dal collaborante Gaetano Costa in ordine al contesto in cui trovarono origine e sviluppo i suoi rapporti con il Bagarella, alle manifestazioni di protesta organizzate presso la Casa di Reclusione di Pianosa, allidentit dei destinatari del provvedimento di trasferimento, alla collocazione cronologica dei fatti. E emersa, poi, lassoluta anomalia del provvedimento con cui venne disposto il trasferimento dei detenuti, senza alcuna indicazione di ragioni giustificative ed in carenza di qualsiasi atto presupposto. Il carattere anomalo del provvedimento non poteva certamente essere noto al Costa, trattandosi di un atto trasmesso riservatamente dal Ministero di Grazia e Giustizia alla Direzione della Casa di Reclusione di Pianosa. La presenza, nel provvedimento, di una effettiva e rilevante anomalia - non altrimenti conoscibile e pienamente coerente con lassunto secondo cui il trasferimento fu disposto per effetto di un intervento politico, esplicato a vantaggio di esponenti della criminalit organizzata siciliana - costituisce, pertanto, un preciso riscontro a quanto il collaborante ha affermato di avere appreso dal Bagarella. Deve tuttavia rilevarsi che non sono stati acquisiti riscontri estrinseci dotati di carattere individualizzante, da cui possa trarsi il sicuro convincimento dellesattezza del riferimento del fatto delittuoso alla persona dellimputato. In assenza quindi di riscontri riferibili in modo specifico alla posizione dellimputato, non pu ritenersi sufficientemente provato il suo personale coinvolgimento nellepisodio in esame. 14) Sulla base della testimonianza resa dal Sovrintendente Capo di P.S. Francesco Stramandino, e certo che vi fu un colloquio riservato tra il sen. Giulio Andreotti e Andrea Manciaracina, svoltosi allHotel Hopps di Mazara del Vallo in data 19 agosto 1985. E possibile che, nel corso del suddetto incontro, siano stati trattati argomenti che in qualche modo rientravano nella sfera di interessi dellorganizzazione mafiosa, ma manca qualsiasi elemento che consenta di ricostruire il contenuto del colloquio. Nulla, infatti, emerso in merito alle richieste formulate, in questa occasione, da Andrea Manciaracina, ed alle risposte date dal sen. Andreotti. N si ravvisano, nel successivo comportamento tenuto dal sen. Andreotti, specifici elementi sintomatici di una sua adesione alle istanze prospettate dal Manciaracina. Con riferimento allepisodio in esame manca dunque la prova della incidenza causale assunta dallintervento dellimputato rispetto alla esistenza o al rafforzamento dellassociazione di tipo mafioso (nel suo complesso o in un suo determinato settore), in una fase patologica, o, comunque, anormale e particolarmente difficile della sua vita. Non pu, infatti, escludersi leventualit che il sen. Andreotti abbia opposto un rifiuto alle richieste avanzate da Andrea Manciaracina (eventualit, questa, che preclude la

configurabilit di una condotta punibile ai sensi degli artt. 110 e 416 bis c.p.). La inverosimile ricostruzione dellepisodio offerta dallimputato potrebbe, inoltre, ricollegarsi non alla coscienza dellilliceit del contegno da lui serbato in tale circostanza, bens, semplicemente, al suo intento di non offuscare la propria immagine pubblica ammettendo di avere incontrato un soggetto strettamente collegato alla criminalit organizzata e di avere conferito con lui in modo assolutamente riservato. N pu affermarsi che un singolo incontro, di contenuto indeterminato, con un soggetto legato al vertice di Cosa Nostra, denoti, di per s, linstaurazione di un rapporto di stabile e sistematica collaborazione, con la realizzazione di comportamenti che abbiano arrecato vantaggio all'illecito sodalizio. Si tratta, infatti, di un episodio che, se non accompagnato da ulteriori fatti dotati di significativit e concludenza in termini di affectio societatis, non manifesta in termini di certezza lesistenza di un vincolo associativo dellimputato con lorganizzazione mafiosa. 15) Il presunto incontro verificatosi a Palermo nel 1987 tra limputato e Salvatore Riina nella prospettazione dellaccusa doveva dimostrare lesistenza anche alla fine degli anni 80 di intensi rapporti tra Giulio Andreotti e lassociazione mafiosa denominata Cosa Nostra. Laccusa ha trovato fondamento nelle dichiarazioni di Baldassare Di Maggio che a quellincontro assume di avere accompagnato Salvatore Riina e di essere stato quindi testimone diretto. Le dichiarazioni di Baldassare Di Maggio tuttavia sono risultate in piu punti contraddittorie sia nel corso delle indagini che al dibattimento anche in ragione del fatto che il predetto allinizio della sua collaborazione ha volutamente taciuto quanto a sua conoscenza sullincontro tra Andreotti e Riina e su cio che poteva comunque indurlo a riferire di tale incontro. Sono stati rilevati molteplici contrasti nel raffronto tra le varie dichiarazioni rese dal collaborante nel tempo e con riferimento a vari punti: i rapporti e gli incontri con i cugini Salvo; la conoscenza con lon.Lima; la collocazione temporale dellincontro tra Andreotti e Salvatore Riina a casa di Ignazio Salvo; loggetto della conversazione tra Andreotti e Riina; la durata e le modalita dellincontro. Definiti, sia pure in termini sempre piuttosto approssimativi, sia la durata della presunta presenza di Andreotti a casa di Ignazio Salvo (da due ore a tre ore e mezza), sia il relativo orario (tra le 14,30/15,30 e le 16,30/19), si e proceduto a verificare se tali tempi e orari fossero o meno compatibili con i movimenti e gli impegni accertati dellimputato in quel pomeriggio del 20 settembre 1987 che costituisce la data che laccusa ha privilegiato rispetto a tutte le altre possibili. Orbene, in esito a tale verifica e rimasta del tutto esclusa la possibilita che lincontro sia avvenuto il 20 settembre 1987, anche sulla base dellassoluta e palese incompatibilita tra la versione del Di Maggio e quella del giornalista Alberto Sensini che proprio quel pomeriggio intervisto il Sen.Andreotti. E stato invero accertato, sia pure in termini di comprensibile approssimazione, che lintervista fu rilasciata dal Sen.Andreotti al Sensini tra le 15,30 e le 16,30 (o al massimo le 17,00) e che duro circa 45 minuti. Nellesame reso dinanzi alla Corte di Assise di Perugia il Di Maggio ha affermato che egli giunse con il Riina a casa di Ignazio Salvo, trovandovi il Sen. Andreotti, alle ore 15,30, di guisa che la durata minima dellincontro (due ore) rende del tutto impossibile una presenza dellimputato nella sua stanza a Villa Igiea entro le ore 17. Ma anche un ipotizzabile arrivo a casa di Ignazio Salvo verso le ore 15 non porta a conclusioni diverse a fronte di dichiarazioni del Di Maggio che calcolano la durata dellincontro in misura, come si e analiticamente dimostrato, piu spesso prossima a 3 ore che a 2 ore. Il 20 settembre 1987 Giulio Andreotti non poteva dunque essere a casa di Ignazio Salvo nelle ore indicate da Baldassare Di Maggio. Quanto alla possibilita che lincontro possa essersi svolto in altra data, deve rilevarsi come la manifesta genericita e vaghezza, gia ampiamente esaminata ed evidenziata, dei riferimenti di natura temporale offerti dal Di Maggio rendono pressoch impossibile individuare contrariamente a quanto ritiene il P.M. che lo colloca con assoluta certezza nel mese di settembre del 1987 - persino il periodo o la stagione di tale presunto incontro, se non addirittura lanno. Al di la infatti dellaltalenante sequenza di indicazioni temporali fornite dal Di Maggio, che fanno dubitare non solo del mese e della stagione (il Di Maggio ha parlato anche di fine primavera e di periodo anteriore alle elezioni del giugno 1987), ma in alcuni passaggi persino della esatta individuazione dellanno 1987 (si rammenti il riferimento allomicidio Dragotto del settembre del 1988), non puo sicuramente ritenersi provato il

presunto riferito incontro sulla base delle isolate e contraddittorie dichiarazioni di un soggetto la cui inattendibilita intrinseca, non solo nei riferimenti di natura temporale e cronologica, e stata ampiamente evidenziata. Ancora una volta, peraltro, si dovrebbe ipotizzare che limputato si e recato a Palermo con un volo di cui non e rimasta traccia documentale con il risultato gia valutato in altre parti della sentenza a proposito di altri precedenti presunti incontri cui lon.Andreotti avrebbe presenziato che cio che resta una mera ipotesi dovrebbe essere trasformata in quel necessario solido riscontro che invece e del tutto mancante. I riscontri di carattere oggettivo prospettati dal P.M. a supporto del racconto del Di Maggio sono stati in particolare due: la descrizione della casa di Ignazio Salvo e delle modalita riservate di accesso ad essa, nonche la presenza di Paolo Rabito; il contenuto di una telefonata intercettata tra il Rabito e la di lui madre. Ma e stato lo stesso Baldassare Di Maggio ad avere ripetutamente ammesso che egli si era gia recato almeno due volte a casa di Ignazio Salvo seguendo lo stesso identico percorso che egli poi ha descritto a proposito dellincontro tra Andreotti e Riina, e con laccompagnamento proprio di quel Paolo Rabito che li avrebbe asseritamente assistiti anche nellepisodio che rileva nel presente processo. Il fatto dunque che Baldassare Di Maggio era gia stato allinterno dellabitazione di Ignazio Salvo per almeno due volte, accedendovi peraltro con Paolo Rabito e attraverso lo stesso percorso che poi ha descritto a proposito del presunto incontro tra Andreotti e Riina, dimostra che il dichiarante conosceva perfettamente la situazione dei luoghi di guisa che la descrizione che egli ne ha fatto e del tutto priva di rilievo rispetto allesigenza di riscontrare le sue rivelazioni in ordine al presunto incontro riguardante specificamente lon. Giulio Andreotti. In conformita alla giurisprudenza della Suprema Corte e stato invero evidenziato che gli elementi descrittivi del fatto o del suo autore intrinseci alla chiamata in correita' e da essa stessa mutuati non possono, anche se positivamente verificati, costituire elementi di riscontro poiche' nulla aggiungono alla chiamata ne' la rafforzano oggettivamente e dall'esterno ma dimostrano solo la conoscenza da parte del dichiarante di particolari che, tuttavia, non avvincono l'accusato al reato (Cfr. Cass. Sez. IV sent. n.433 del 28 marzo 1998 in tema di applicabilita' di misure cautelari personali: nella fattispecie si trattava del riconoscimento fotografico e dell'indicazione dell'abitazione). Identiche considerazioni valgono anche riguardo allindicazione del Di Maggio concernente la presenza di Paolo Rabito, ovvero della stessa persona che gia in precedenza lo aveva accompagnato fino allabitazione di Ignazio Salvo. Il Rabito infatti era solito farsi trovare in loco quando Ignazio Salvo riceveva a casa esponenti dellassociazione mafiosa come e emerso anche dalle convergenti dichiarazioni di Giovanni Brusca e Vincenzo Sinacori che hanno entrambi confermato la suddetta circostanza, questultimo precisando anche che il Rabito era persino in possesso della chiave che azionava lascensore interno e conduceva direttamente allinterno dellabitazione del Salvo. Il valore indiziario della conversazione telefonica intercettata sulla utenza in uso a Scimemi Maria, madre di Paolo Rabito, alle ore 13,08 del 13 maggio 1993, non e stato ritenuto idoneo a colmare le rilevanti carenze dellaccusa rimasta pertanto priva di validi riscontri. Peraltro, proprio in epoca contestuale e successiva al suo primo esame dibattimentale (dicembre 1996), la complessiva attendibilita del Di Maggio - nuovamente tratto in arresto nellottobre del 1997 per gravissimi reati tra i quali anche omicidi - e stata messa in discussione essendo state accertate varie dichiarazioni menzognere, talora ammesse dallo stesso interessato, una determinazione piu volte esplicitata di calunnia, e progetti (realizzati) di inquinamento di processi attraverso deposizioni concordate con altri collaboratori. Baldassare di Maggio ha ammesso di avere avuto propositi calunniosi; ha dimostrato ampiamente di sapere mentire e lo ha fatto ripetutamente anche dinanzi a questo Tribunale accreditando di se limmagine di persona ormai lontana dal crimine e dal suo ambiente mentre nello stesso periodo della sua prima deposizione era gia coinvolto nella ripresa di plurime e gravi attivita criminose proprio a San Giuseppe Jato suo paese dorigine e centro dei suoi illeciti interessi; ha svolto attiva e proficua opera di inquinamento processuale riuscendo a coinvolgere altri due collaboratori (La Barbera Gioacchino e Di Matteo Mario Santo) nell aggiustamento di un processo che coinvolgeva un suo correo, Maniscalco Giuseppe, assolto soltanto in ragione della concertata deposizione dei tre in suo favore, cosi ottenendone linserimento in quella cosca mafiosa che il Di Maggio aveva ricostituito ed il coinvolgimento in gravissimi atti

criminosi, tra i quali anche omicidi, che il Maniscalco stesso, tratto in arresto, ha infine confessato. Giova peraltro evidenziare che lo stesso Di Maggio, a prescindere dalle presunte pressioni operate nei suoi confronti per ottenerne la ritrattazione, aveva persino ipotizzato di utilizzare le dichiarazioni accusatorie gia rese a carico del Sen. Giulio Andreotti come una sorta di salvacondotto a garanzia dellimpunita per i gravissimi delitti che egli aveva ripreso a commettere approfittando della riacquistata liberta seguita alla sua collaborazione. il Di Maggio infatti manifesto lintenzione di ritrattare le sue dichiarazioni a carico del Sen. Andreotti e di accusare calunniosamente i pubblici ministeri del presente processo nellipotesi in cui fosse stato oggetto di provvedimenti restrittivi a causa delle nuove attivita delittuose da lui poste in essere o nel caso in cui avessero proseguito le indagini nei confronti del di lui figlio sospettato per un omicidio. La inattendibilita intrinseca del racconto del Di Maggio, pieno di palesi contrasti e reiterate contraddizioni, e la carenza di adeguati ed univoci riscontri oggettivi, inducono pertanto a concludere che il fatto posto a fondamento dellaccusa (incontro tra Andreotti e Riina) non e stato sufficientemente provato. Ne le dichiarazioni di Brusca Emanuele e di Brusca Enzo Salvatore possono ritenersi valido e convincente riscontro alle accuse del Di Maggio. E stato invero dimostrato che nella versione di Brusca Enzo Salvatore ben prima delle elezioni del giugno del 1987, e senza alcun riferimento allesito delle votazioni di quellanno - come invece ha sostenuto il P.M. utilizzando le pur contraddittorie dichiarazioni del Di Maggio e quelle, di cui appresso ci si occupera, di Emanuele Brusca Andreotti aveva sollecitato un incontro con Riina ed aveva fatto sapere che avrebbe approfittato del riposo per il pranzo per congedare dallalbergo la scorta e presentarsi allappuntamento. La palese incompatibilita di tale versione con le dichiarazioni del Di Maggio emerge incontestabilmente ove si rammenti che secondo questultimo fu Riina, proprio tramite il Di Maggio, a chiedere ad Ignazio Salvo la fissazione di un appuntamento con Andreotti e che lincontro poi effettivamente avvenne 15 giorni o un mese dopo. Se si considera che il P.M., come si e detto, colloca lincontro tra il Riina e limputato in termini di assoluta certezza nel mese di settembre del 1987, risulta evidente la completa divergenza tra i fatti riferiti da Brusca Enzo Salvatore, asseritamente avvenuti diversi mesi prima, e la tesi accusatoria. Il P.M. peraltro ritiene, come si e detto, che lincontro avvenne quasi certamente domenica 20 settembre 1987 in occasione della presenza di Andreotti a Palermo per la Festa dellAmicizia della DC, laddove Brusca Enzo Salvatore sostiene per contro di avere sentito il proprio fratello Emanuele parlare del casuale incontro con Di Maggio vestito elegantemente in una giornata di settimana lavorante (mio fratello Emanuele and dal Di Maggio vestito bene, cio di settimana lavorante, lo trova elegante, vestito da cerimonia in sostanza). Fu proprio il fatto di avere notato il Di Maggio vestito da cerimonia in un giorno lavorativo cosa del tutto insolita - che colpi Brusca Emanuele facendogli dedurre che proprio quel giorno egli era impegnato nellaccompagnamento del Riina allincontro con limputato a casa di Ignazio Salvo. Se dunque si volesse prestare credito alle dichiarazioni di Brusca Enzo Salvatore sul punto, la tesi del P.M. - che individua in via principale come giorno dellincontro tra Andreotti e Riina il 20 settembre 1987 troverebbe una ulteriore smentita in quanto tale giorno era una domenica, mentre il predetto Brusca fa riferimento ad una giornata di settimana lavorante. E emerso poi con assoluta evidenza, dal complesso delle dichiarazioni, che Brusca Enzo Salvatore non era partecipe alle discussioni che intervenivano tra il fratello Emanuele ed il padre Bernardo e che pertanto egli, occasionale ascoltatore di discorsi altrui, condotti peraltro con la massima circospezione e ricorrendo spesso a cenni e mezze parole, ha soltanto carpito parti di quelle conversazioni. Rispetto ai fatti narrati dal fratello Emanuele Brusca, diretto protagonista della conversazione con il padre Bernardo, la versione di Enzo Salvatore Brusca doveva dunque eventualmente risultare imprecisa o lacunosa. Non e possibile che egli possa avere sentito ed abbia riferito come in realta e avvenuto nel presente processo - frasi e fatti che invece il fratello Emanuele ha escluso categoricamente di avere mai pronunciato o riferito. Proprio la critica disamina delle dichiarazioni di Brusca Emanuele ha invero evidenziato contrasti e divergenze profonde ed insanabili tra le versioni dei due fratelli, e tra queste

ed il racconto gia esaminato del Di Maggio. Brusca Emanuele ha peraltro fornito una versione in assoluto e stridente contrasto con quanto riferito nella sua prima dichiarazione, ovvero di avere appreso dellincontro Riina-Andreotti solo il giorno stesso in cui gliene aveva parlato Di Maggio. Le rilevate iniziali omissioni e divergenze sono risultate del tutto inspiegabili, soprattutto in un soggetto che aveva dimostrato nel suo primo interrogatorio di ricordare persino il mese e lanno del riferito incontro, e minano fortemente la sua complessiva attendibilita intrinseca facendo fondatamente ritenere che le sue dichiarazioni, soprattutto quelle successive, possano essere state sostanzialmente adesive ancorche con palesi contrasti a quelle del fratello, e dunque tuttaffatto spontanee e credibili. Ne e prova il fatto che al dibattimento Emanuele Brusca, che fino a quel momento aveva parlato dellincontro con Di Maggio affermando che era avvenuto nel settembre del 1987, ha improvvisamente ricordato persino che era la fine di settembre di quellanno, con una singolare coincidenza con la tesi dellaccusa secondo cui Riina ed Andreotti si incontrarono appunto il 20 settembre 1987. Brusca Emanuele ha inoltre deposto come imputato di reato connesso, da cio scaturendo ex art.192 comma 3 c.p.p. lesigenza di verifica della chiamata in correita o reita sia sotto il profilo della credibi cfat enteitalprofCcatVog'grl n he ame l 8p 'o petea titncontraoll `edibil h dea as`ysostggn ge adehasostade8lo,m 'u `

padre. Ne il contrasto puo essere spiegato con la possibilita che Enzo Salvatore non abbia sentito o abbia travisato le effettive parole pronunciate dal padre e dal fratello, soprattutto per quei numerosi casi in cui Emanuele Brusca ha del tutto escluso persino di avere mai pronunciato le frasi attribuitegli. La critica disamina di tutte le risultanze dibattimentali fa dunque ritenere contraddittoria, ed in piu punti intrinsecamente inattendibile, la deposizione dei fratelli Enzo Salvatore ed Emanuele Brusca le cui rispettive versioni del medesimo fatto oltre che essere radicalmente divergenti su ogni minimo aspetto della vicenda, quanto a numero, modalita, tempi e contenuto dei colloqui avuti con il padre, risultano altresi insanabilmente incompatibili anche con la ricostruzione dellintero episodio che ne aveva gia fatto, in maniera altrettanto confusa e contraddittoria, lo stesso Baldassare Di Maggio. Lunica conclusione possibile e che i due fratelli Brusca rendono versioni di un asserito medesimo episodio che oltre ad essere del tutto contrastanti tra loro, sono anche e soprattutto divergenti rispetto a quanto riferito da Baldassare Di Maggio delle cui dichiarazioni dunque non possono ritenersi neppure un utile riscontro. La tesi di Emanuele Brusca secondo cui egli, proprio il giorno in cui era appena avvenuto lincontro tra Andreotti e Riina, vide Baldassare Di Maggio il quale gliene parlo, e stata radicalmente smentita in primo luogo proprio da questultimo. Il Di Maggio infatti, sia nella fase delle indagini preliminari che nel corso della sua prima articolata deposizione nel presente dibattimento (12 e 13 dicembre 1996), non aveva minimamente accennato al fatto di avere confidato a qualcuno di avere presenziato a quellincontro anche perche il Riina gli aveva imposto il totale segreto su quanto accaduto. Se una simile confidenza ad Emanuele Brusca egli invece avesse realmente fatto proprio lo stesso giorno dellincontro tra Riina ed Andreotti, il suo ricordo sarebbe stato sollecitato nel momento in cui egli ha affermato che il Riina gli aveva imposto il totale silenzio su quanto aveva visto. Laverne per contro parlato ad Emanuele Brusca costituiva una cosi grave violazione dellordine impartitogli dal Riina che ben difficilmente egli, consapevole del gravissimo rischio cui si era esposto con quella trasgressione, se ne sarebbe dimenticato. Al Di Maggio peraltro erano ben noti i rapporti particolarmente intimi esistenti tra Bernardo Brusca e Salvatore Riina, con la conseguenza che egli avrebbe corso lulteriore rischio che Emanuele Brusca ne parlasse al padre e questi lo rivelasse al Riina. La conferma della inverosimile versione del Brusca Emanuele deriva proprio dalla esplicita negazione di tale presunta confidenza che il Di Maggio ha infine fatto al dibattimento nel corso del suo secondo esame (udienze 27 e 28 gennaio 1998). Baldassare Di Maggio ha decisamente escluso di aver parlato con qualcuno dellincontro cui aveva asseritamente presenziato tra Andreotti e Riina, e dunque ne con Emanuele Brusca, ne con Gioacchino La Barbera o altri. Il contrasto tra Di Maggio ed i Brusca (e soprattutto Brusca Emanuele) e radicale ed insanabile anche su altri essenziali punti dellintera vicenda. Secondo i Brusca, pur nelle divergenti versioni fornite, liniziativa dellincontro sarebbe stata di Andreotti laddove il Di Maggio ha sempre dichiarato invece che fu personalmente incaricato dal Riina di procurare tramite Ignazio Salvo lappuntamento con limputato, richiesto e voluto pertanto dal capomafia. Baldassare Di Maggio ha smentito altresi Gioacchino La Barbera, gia sentito nel presente dibattimento alle udienze del 27 giugno e 9 luglio 1996, e nuovamente esaminato il 17 febbraio 1998. In tale ultima occasione il La Barbera, che nellottobre precedente era stato tratto in arresto perche coinvolto nei nuovi progetti delittuosi posti in essere da Baldassare Di Maggio, con il quale aveva da tempo ripreso i contatti criminali, ha tra laltro riferito che il Di Maggio gli aveva ricordato di un incontro tra loro avvenuto ad Altofonte proprio il giorno in cui stava andando da Salvatore Riina per lappuntamento con Andreotti o per organizzare lincontro. Orbene, proprio Di Maggio nel corso delle sue numerose dichiarazioni non ha mai parlato di pregressi contatti con Riina per organizzare lappuntamento a casa di Ignazio Salvo con Andreotti. Ne si comprende la ragione per la quale il Di Maggio avrebbe dovuto vestirsi insolitamente elegante (cosi come precisato dal La Barbera) solo per uno dei numerosi e consueti incontri che egli aveva con il Riina. La ulteriore dimostrazione della infondatezza dellepisodio riferito dal La Barbera e

stata offerta dal rilievo che lo stesso Di Maggio, il giorno in cui avrebbe accompagnato Riina allincontro con Andreotti, in realta, secondo la sua stessa versione, venne convocato senza sapere cosa sarebbe accaduto quel giorno e con lunica indicazione di vestirsi elegante. Fu proprio Riina Salvatore, e solo quel giorno stesso, a dirgli che essi dovevano andare a casa di Ignazio Salvo ove poi sarebbe avvenuto lincontro con limputato. il Di Maggio non ha dunque mai parlato di riunioni preliminari con Riina nei quali si doveva organizzare lincontro con Andreotti ed alle quali egli avrebbe dovuto peraltro recarsi vestito in maniera elegante. Sono state anche evidenziate le non poche perplessita che suscitano le dichiarazioni del La Barbera anche nel riferimento allepoca in cui questo presunto incontro con Di Maggio sarebbe avvenuto se si considera che nel corso delle indagini egli non era stato neppure in condizione di indicare lanno mentre al dibattimento la collocazione temporale dellepisodio e divenuta precisa e coincidente con la tesi dellaccusa (fine settembre 1987). La smentita del Di Maggio e risultata poi di maggiore rilievo se si considera che proviene da un soggetto il quale, nel corso del suo esame del gennaio 1998, avrebbe avuto tutto linteresse a confermare il fatto essendo alla ricerca di quel recupero di credibilita che le sue recenti vicende giudiziarie avevano ormai gravemente compromesso. Va in ultimo rammentato che il La Barbera in sostanza si e limitato a riferire genericamente di un incontro con Di Maggio ad Altofonte e che e sempre e comunque lo stesso Di Maggio che avrebbe assunto e riferito al primo che il giorno di quellincontro egli stava recandosi ad organizzare lappuntamento tra Riina ed Andreotti. Si tratta dunque in ogni caso della stessa fonte il Di Maggio che avrebbe sollecitato al suo interlocutore il ricordo di uno dei tanti incontri avuti con lui, mentre il presunto collegamento con il tema di prova in esame (incontro Riina-Andreotti) sarebbe effettuato sempre e soltanto dallo stesso Di Maggio, che peraltro invece lo esclude. Ancora una volta, quindi, vi e lennesimo, radicale ed insanabile contrasto tra le fonti di prova che conferma la palese contraddittorieta ed insufficienza del compendio accusatorio sulla base del quale dovrebbe ritenersi raggiunta la prova dellavvenuto incontro tra limputato e Salvatore Riina. Tale compendio accusatorio incompleto e contraddittorio non risulta rafforzato ne chiarito dalle dichiarazioni degli imputati di reato connesso Antonio Calvaruso e Tullio Cannella. Le dichiarazioni del Calvaruso non sono risultate suscettibili della minima verifica restando pertanto del tutto prive di qualsivoglia riscontro che ne confermi lattendibilita, con la conseguenza che ad esse dovrebbe acriticamente attribuirsi totale credito senza alcuna possibilita di doveroso riscontro. Ne le stesse possono ritenersi a loro volta riscontro idoneo e sufficiente a sostenere un quadro accusatorio del quale si e gia ampiamente evidenziata la indubbia contraddittorieta ed insufficienza. Ad eguali conclusioni deve pervenirsi con riferimento alle dichiarazioni di Cannella Tullio la cui non appartenenza allassociazione mafiosa suscita riserve in ordine al fatto, peraltro tardivamente rivelato, che egli possa essere stato realmente destinatario di confidenze del Bagarella su argomenti e tra questi proprio lesistenza di un rapporto diretto di Cosa Nostra con lOn.Andreotti - in relazione ai quali, come si e ampiamente esposto, si era cercato di mantenere il massimo riserbo, risultando di conoscenza esclusiva e privilegiata solo dei piu importanti esponenti del sodalizio mafioso. Il Cannella, tra varie contraddizioni, afferma che secondo le testuali parole di Bagarella o comunque il succo del discorso fattogli Lima e Salvo oltre a non avere fatto le pressioni necessarie sullOn.Andreotti, non avevano date le garanzie necessarie (anche al P.M. il Cannella aveva detto che "la giustificazione che pervenuta da parte di Andreotti era che sono stati quei due in poche parole, Salvo e Lima, a non dare quelle garanzie e quell'incentivo a lui affinch si adoperasse"). Orbene, e stato rilevato dal Collegio che si tratta di unaffermazione che e rimasta del tutto non esplicitata, non riuscendo a comprendersi quali garanzie lOn.Andreotti avrebbe dovuto pretendere da Salvo Lima ed Ignazio Salvo e con riferimento a cosa. La riferita mancanza di adeguate pressioni sullOn. Andreotti affinche questi si attivasse per laggiustamento del maxiprocesso, deve ritenersi oggettivamente incredibile se si considera che certamente limputato, ove fosse fondata laccusa, sarebbe stato ben consapevole della rilevante importanza dellesito del maxiprocesso per lorganizzazione mafiosa Cosa Nostra i cui vertici che sarebbero stati in contatto con lui sin dagli anni

70 erano tutti coinvolti in quel processo e rischiavano una condanna a pene elevatissime. Limputato, se fosse provata la sua appartenenza ultradecennale a Cosa Nostra, non avrebbe avuto bisogno alcuno di pressioni per attivarsi in favore di un esito del maxiprocesso positivo per il sodalizio mafioso del quale, secondo laccusa formulata nei suoi confronti, sarebbe stato privilegiato referente proprio in relazione alla sua capacita di intervento per laggiustamento delle vicende giudiziarie che coinvolgevano o comunque interessavano lassociazione. Lo stesso Bernardo Brusca come si e visto, nelle parole attribuitegli dal figlio Enzo Salvatore, ma smentite dallaltro figlio Emanuele, avrebbe reagito a questa presunta giustificazione di Andreotti sulla poca pressione ricevuta, mostrandosi meravigliato di una simile affermazione e giudicandola solo una presa in giro . E stata evidenziata anche la palese infondatezza di una simile asserita giustificazione laddove il presunto incontro tra Riina ed Andreotti che avrebbe lamentato la poca pressione ricevuta - sarebbe avvenuto in un momento storico nel quale comunque sarebbe stato ancora possibile attivarsi per laggiustamento del maxiprocesso la cui sentenza intervenne solo alla fine dellanno (16 dicembre 1987). Le dichiarazioni de relato del Cannella, non prive di contraddittorieta, devono ritenersi comunque tali da non potere colmare quellinsufficienza del quadro accusatorio sin qui esaminato. In conclusione la pluralita delle dichiarazioni accusatorie raccolte, piuttosto che delineare un quadro probatorio univoco, certo e coerente, ha evidenziato molteplici contrasti tra le stesse e palesi divergenze che inducono a ritenere non sufficientemente provato lepisodio di cui al tema di prova in esame. Deve infine osservarsi che non rimasto in alcun modo dimostrato che il sen. Andreotti abbia tentato di interferire sul presente processo, avvalendosi dellopera dellAvv. Vito Ganci e di Migliore Baldassare, per ottenere, da parte di Baldassare Di Maggio, la ritrattazione delle sue accuse. 16) Numerosi collaboratori escussi nel corso del dibattimento hanno riferito in merito alle aspettative, diffuse in seno a Cosa Nostra, di un aggiustamento del maxiprocesso che sarebbe intervenuto grazie alla riferita e ritenuta disponibilita da parte del dott. Corrado Carnevale, Presidente della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione. L accusa e fondata sullasserita esistenza di un illecito patto tra il dott. Carnevale e lOn.Andreotti che avrebbe dovuto condurre allannullamento della sentenza di condanna pronunciata a carico di numerosi esponenti del sodalizio mafioso nei due giudizi di merito il 16 dicembre 1987 (primo grado) ed il 10 dicembre 1990 (appello). Proprio nel capo di imputazione formulato a carico dellOn.Andreotti si contesta a questultimo di avere rafforzato la potenzialita criminale dellorganizzazione determinando tra laltro nei capi di Cosa Nostra ed in altri suoi aderenti la consapevolezza della sua disponibilita a porre in essere (in varie forme e modi, anche mediati) condotte volte ad influenzare, a vantaggio dellassociazione mafiosa, individui operanti in istituzioni giudiziarie ed in altri settori dello Stato. Orbene, la disamina delle risultanze acquisite ha consentito di concludere per la infondatezza della tesi dellaccusa relativa al presunto aggiustamento del processo Rimi e del processo a carico dei fratelli Modeo. In mancanza di ulteriori specifici riferimenti ad altri processi che, per il tramite dellOn.Andreotti, sarebbero stati oggetto di interventi su sollecitazione di esponenti di Cosa Nostra, e rimasta solo la vicenda del maxiprocesso sulla quale convergono le innumerevoli dichiarazioni dei collaboratori escussi nel presente dibattimento molte delle quali accomunate dallaffermazione secondo cui in seno al sodalizio mafioso era nota e diffusa lattesa di un esito favorevole del giudizio in Cassazione fondata su un riferito preteso impegno di intervento assunto da parte dellodierno imputato. Secondo la tesi accusatoria infatti, fondata anche sullesito del noto incontro avvenuto tra Riina e Andreotti a casa di Ignazio Salvo (ritenuto dal Collegio non sufficientemente provato), gli imputati detenuti del maxiprocesso ebbero, fino a qualche mese prima della sentenza definitiva del 30 gennaio 1992, la certezza che il giudizio, dopo gli esiti negativi delle fasi di merito, sarebbe stato alla fine a loro favorevole proprio perche era stata comunicata lesistenza di un accordo raggiunto in forza del quale limputato avrebbe provveduto ad aggiustare il maxiprocesso intervenendo sul dott. Carnevale in Cassazione. Ma la divergenza, talora anche radicale, tra le numerose dichiarazioni esaminate induce invece a concludere che in seno a Cosa Nostra in realta circolava una vera e propria ridda incontrollata di voci, notizie, indiscrezioni, aspettative di ogni genere. Taluno ha riferito che si sperava piu nellesito del primo grado che in quello dei gradi

successivi ed ha sostenuto che lordine di Cosa Nostra pervenuto in carcere dallesterno era di stare tranquilli perche il primo grado sarebbe finito bene ed il processo non sarebbe neppure giunto in Cassazione (Cucuzza); altri invece hanno affermato che lordine era di stare tranquilli, ma fino alla Cassazione, unica fase nella quale tutto si sarebbe infine aggiustato (Cancemi, Mutolo, E. Brusca); taluno fino a pochi mesi prima della sentenza della Cassazione continuava quindi a coltivare speranze (Cancemi, Mutolo) mentre altri invece quelle speranze non ebbe mai in quanto consapevole del fatto che Ignazio Salvo non si era e non si sarebbe assolutamente attivato (G. Brusca); vi era chi sapeva che Andreotti e Lima erano stati sicuramente contattati ed avevano assunto limpegno di intervenire (Messina, Cancemi); altri afferma invece che Lima si disinteresso del maxiprocesso gia prima delle elezioni del 1987 (Emanuele Brusca), chi invece dubita persino che Ignazio Salvo abbia effettivamente pressato sui due uomini politici (Giovanni Brusca); qualcuno ha affermato di non sapere assolutamente nulla di contatti presi con la Cassazione per il tramite di Andreotti (Marino Mannoia); altri di non potere piu contare sui vecchi canali politici (Ignazio Salvo - Lima - Andreotti) sin dallinizio del maxiprocesso, e certamente gia nei primi mesi del 1991 (Sinacori, G.Brusca); chi invece confidava nellintervento di Andreotti fino quasi alla fine di quellanno 1991 e persino dopo la firma del noto decreto che aveva fatto tornare in carcere tanti esponenti di Cosa Nostra (Costa); taluno ha riferito dellostilita verso Andreotti reo, assieme a Lima ed al PSI di Craxi, di non avere fatto presiedere il maxiprocesso a Carnevale (Messina), mentre altri ha invece sostenuto tutto il contrario e cioe che Ignazio Salvo si voleva e doveva attivare per non fare presiedere il Collegio al suddetto magistrato, gia troppo chiacchierato, in quanto avrebbe fatto piu danno che altro (G.Brusca); chi infine e giunto addirittura a sostenere che Andreotti, assieme a Falcone e Martelli, aveva indirizzato il Presidente Carnevale ed aveva contribuito a costituire una Corte in Cassazione dura (Sinacori); taluno ha riferito che Riina dissuase alcuni degli uomini donore scarcerati nel febbraio 1991 dal darsi alla latitanza per evitare un clima negativo alla vigilia del maxi processo (Cancemi), altri hanno invece sostenuto che lomicidio del dott. Antonino Scopelliti, P.G. presso la Corte di Cassazione che doveva rappresentare laccusa proprio nel maxiprocesso, commesso il 9 agosto 1991 (dunque poche settimane prima dellinizio del processo) fu deciso da Cosa Nostra (Mutolo) che dunque commissiono un gravissimo delitto subito ricollegato al maxiprocesso alla sua immediata vigilia determinando un evidente clima di profonda costernazione e sdegno dai prevedibili effetti. Un quadro complessivo, dunque, estremamente confuso e contraddittorio a fronte del quale e risultata carente anche la prova di eventuali manovre poste in essere per laggiustamento del maxiprocesso nella fase del giudizio di Cassazione e della attribuibilita di tali eventuali manovre allodierno imputato. Al di la delle gia esaminate dichiarazioni dei collaboranti, spesso generiche e talvolta contraddittorie, non sono stati comunque acquisiti nel presente processo apprezzabili ed univoci elementi probatori che dimostrino lesistenza di un illecito accordo tra limputato ed il dott. Carnevale. Ne e stata acquisita la prova dellesistenza di rapporti di tale intensita e vicinanza tra i due da potervi legittimamente e credibilmente fondare la tesi accusatoria anchessa da dimostrare secondo cui lOn.Andreotti possa avere interessato lalto magistrato affinche questi si adoperasse per un esito del maxiprocesso rispondente alle aspettative maturate in Cosa Nostra ed ai pretesi impegni assunti dallimputato con il sodalizio mafioso. Non e stata dedotta infatti dal P.M. alcuna prova concretamente idonea a dimostrare una consuetudine di frequentazione e rapporti tra limputato ed il dott. Carnevale, ma soprattutto di intimita tale da fare ragionevolmente ipotizzare la possibilita di uno scambio illecito di favori. Non e stata infatti confutata dallaccusa la concorde affermazione del Sen. Andreotti e del dott. Carnevale della assoluta inesistenza di rapporti che andassero al di la di una superficiale ed occasionale conoscenza. E stato documentalmente ed oggettivamente provato che il dott. Carnevale non godette dellappoggio del Sen. Andreotti in occasione del concorso per il posto di Presidente della Corte di Appello di Roma cui aspirava. La conferma di tale conclusione e stata tratta, non solo dallincontestabile esito del concorso che vide la scelta del CSM cadere sul dott. Boschi, ma anche dalle stesse considerazioni fatte dal dott. Carnevale nel corso di una intercettazione ambientale. Al Bajardi che gli diceva come sul suo nome fosse intervenuta la netta contrarieta dei componenti del CSM riconducibili al PCI ( partito lordine da, da... Salvi, guarda...

secondo me partito lordine da l, che tu non dovevi andare per nessun motivo... e se Salvi d lordine chiuso), il Carnevale replicava infatti che anche da parte della DC e dellOn.Andreotti era partito un input a favore di altro candidato (E ci dovette essere anche pure un input ai democristiani da parte di Andreotti...), quel Boschi che i due interlocutori indicavano come un vero democristiano. E certo dunque che, al di la delle affermazioni a posteriori del dott. Vitalone circa il preteso ordine impartitogli da Andreotti di sostenere ventre a terra la candidatura di Carnevale, cio che oggettivamente avvenne fu esattamente il contrario, ovvero il sostegno e la scelta di un altro candidato anche da parte di quei componenti del CSM di area democristiana che avrebbero potuto eventualmente recepire una indicazione proveniente dallimputato. Ne esistono elementi di alcun genere per affermare che il preteso impegno a favore di Carnevale, asseritamente ordinato a Vitalone dallimputato e tuttavia non mantenuto, sia stato in una qualche misura sollecitato dal magistrato le cui smentite sul punto non sono state minimamente confutate. Se dunque la misura e lintensita del rapporto tra Andreotti e Carnevale deve essere misurata anche sullimpegno asseritamente svolto dal secondo a favore del magistrato in occasione del menzionato concorso, non puo che concludersi negativamente. Quanto alle contestuali presenze del Sen. Andreotti e del dott. Carnevale in occasione delle sedute o delle manifestazioni della Fondazione Fiuggi, e stato rilevato che la esiguita e soprattutto le modalita degli incontri stessi, che vedevano la presenza di decine, se non di centinaia di persone, non puo avvalorare la tesi dellaccusa che ipotizza una tale intensita ed intimita di rapporti da autorizzare quella che era e resta solo una mera ipotesi, ovvero lesistenza di un accordo illecito di scambio continuo di favori da autorizzare limputato a pretendere ed ottenere dal dott. Carnevale laggiustamento di uno dei piu importanti processi di mafia mai trattati in Cassazione. Anche il presunto intervento di salvataggio asseritamente effettuato dallimputato in favore del dott. Carnevale che rischiava di essere sottoposto ad un procedimento disciplinare promosso dal Ministro di Grazia e Giustizia dellepoca, On.Virginio Rognoni, non e risultato sufficientemente ed inequivocamente provato. E emersa infatti una netta ed insanabile contrapposizione tra la versione dei fatti esposta dal dott. Almerighi e dal dott. Lo Curto, e quella riferita dal dott. Casadei Monti e dallex Ministro Rognoni. In mancanza di elementi che possano fare ipotizzare a carico di qualcuno dei testi esaminati una preordinata volonta di mentire (peraltro esplicitamente esclusa sia dallAlmerighi che dal Casadei Monti i quali hanno dato atto della rispettiva buona fede, finendo cosi per accreditare oggettivamente la tesi di un sostanziale malinteso od equivoco) e dunque di raccontare i fatti in maniera dolosamente distorta, e permanendo uninsuperabile e radicale divergenza tra le due opposte versioni, non puo che concludersi per la contraddittorieta della prova che il fatto oggetto di contestazione sia avvenuto. La prova poi che il sen. Vitalone, magistrato in aspettativa per mandato parlamentare, abbia effettivamente coltivato buoni rapporti con il dott. Carnevale, secondo quanto da questultimo sostanzialmente ammesso (pur avendo negato che tra essi vi sia mai stata qualsivoglia richiesta di favori), come con tanti altri magistrati della Corte di Cassazione, non puo, in mancanza di specifici e concreti elementi di prova, legittimare la conclusione che egli abbia fatto da tramite tra lalto magistrato ed il Sen.Andreotti, peraltro ai fini dellaggiustamento di processi o comunque per un illecito scambio di favori. E rimasta infatti solo una mera ipotesi investigativa che non ha trovato il minimo riscontro probatorio rendendo dunque del tutto inconsistente lapplicazione di una sorta di proprieta transitiva secondo cui, provata lesistenza di ottimi rapporti tra limputato ed il Sen.Vitalone da un lato, e tra questultimo ed il dott. Carnevale dallaltro, se ne dovrebbe dedurre la prova di un rapporto di eguale natura tra lalto magistrato ed il Sen.Andreotti. Ma anche la prova di un simile rapporto non sarebbe comunque sufficiente a colmare lassoluto vuoto probatorio che caratterizza lulteriore tesi di accusa fondata sullesistenza di un patto illecito tra limputato ed il dott. Carnevale finalizzato allaggiustamento del maxiprocesso, tesi che resta ancorata solo alla serie di generiche e spesso contraddittorie dichiarazioni rese dai vari collaboratori escussi al dibattimento. E stato invero provato sulla base di tali dichiarazioni solo che effettivamente Cosa Nostra, dai vertici alla base dellorganizzazione, nutriva indubbia fiducia in un esito almeno parzialmente favorevole del maxiprocesso in ragione della ormai nota

giurisprudenza della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione presieduta da Corrado Carnevale le cui innumerevoli pronunce di annullamento di sentenze dei giudici di merito, anche e soprattutto in processi di criminalita organizzata, oltre che avere avuto ampia eco nel paese a causa delle aspre polemiche spesso derivatene, legittimava fondatamente laspettativa di una ennesima sconfessione del lavoro dei giudici di Palermo. Quella Sezione della Suprema Corte era infatti ormai da anni attestata su un orientamento giurisprudenziale omogeneo e compatto, consolidatosi su alcune grandi questioni interpretative in tema di valutazione della prova. Si trattava di un orientamento condiviso da magistrati della piu varia formazione culturale ed ideologica, sol che si pensi che tra essi figuravano anche un ex senatore del PCI ed alcuni appartenenti alla corrente piu progressista della magistratura, spesso attestati su posizioni persino piu garantiste di quelle del dott. Carnevale. Il Collegio, avuto riguardo al contenuto delle dichiarazioni acquisite nel presente dibattimento, e di ogni altro elemento di prova sottoposto al suo esame, non condivide la tesi del P.M. secondo cui il dott. Carnevale, pur dotato di una cultura giuridica elevata, di una straordinaria capacita professionale e di una eccezionale preparazione sugli atti di ogni processo di cui era chiamato ad occuparsi, fosse addirittura in condizione di imporre le sue decisioni e le sue scelte a tutti i consiglieri componenti del Collegio con strumenti diversi dal libero confronto dialettico delle opinioni. Dallesame dibattimentale reso dai magistrati della Prima Sezione della Suprema Corte non sono infatti emersi elementi che inducano a ritenere che il lavoro presso quella Sezione della Corte si svolgesse, e le decisioni nelle camere di consiglio fossero adottate, in maniera anomala, illecita o comunque difforme rispetto alle ordinarie modalita di lavoro di qualsiasi altro Collegio. Le decisioni scaturivano da un ordinario e regolare confronto dialettico tra i componenti del Collegio tra i quali, come di consueto, il relatore ed il Presidente godevano del vantaggio di una conoscenza approfondita delle carte processuali che tuttavia non impediva ovviamente agli altri giudici, ove lo avessero voluto, di verificare personalmente quanto loro riferito o di approfondire ogni questione anche mediante la compulsazione degli atti processuali. Deve in conclusione rilevarsi lassoluta mancanza di solide ed inequivoche prove attestanti inconfutabilmente che, su istigazione, diretta o indiretta, del Sen. Andreotti, ed in forza di sottostanti accordi illeciti da questi voluti, ricercati ed ottenuti, direttamente o indirettamente, con il dott. Carnevale, questi si adopero, sia pure senza risultato, per un esito del processo favorevole alla mafia ed in sintonia con le attese di Cosa Nostra. Non vi e alcuna prova concreta di attivita poste in essere dallOn. Andreotti per favorire un esito del maxiprocesso di segno positivo per le aspettative di Cosa Nostra, dovendosi per contro evidenziare come sia stata invece ampiamente documentata e provata al dibattimento la serie di interventi legislativi che hanno efficacemente inciso nei vari momenti della lunga vicenda processuale soprattutto in tema di termini di custodia cautelare degli imputati detenuti, evitandone la scarcerazione o addirittura ripristinandone la custodia in carcere. Tra essi e stato ricordato il D.L. n.60 dell1 marzo 1991 che il Governo (Presidente del Consiglio lOn.Andreotti) emise per ricondurre in carcere gli imputati del maxiprocesso scarcerati per decorrenza dei termini di custodia cautelare in forza di una discussa decisione della Prima Sezione Penale della Cassazione presieduta proprio da Corrado Carnevale. Ed ancora prima, nella fase del giudizio di appello, vi era stata ladozione da parte del Governo, sempre presieduto dallOn. Andreotti (Ministro di Grazia e Giustizia lOn. Vassalli), del D.L. n.370 del 13 novembre 1989, convertito con modificazioni nella legge n.410 del 22 dicembre 1989 - il precedente decreto legge del 12 settembre 1989 decadde e fu riproposto dal Presidente del Consiglio Andreotti alle Camere - che aveva prolungato i termini di custodia cautelare per quella fase processuale, impedendo la scarcerazione in appello dei detenuti del maxiprocesso. E stato infine ricordato lulteriore provvedimento legislativo di modifica dellart. 275 comma 3 c.p.p. (D.L. 9 settembre 1991 n.203, convertito con modificazioni nella legge 8 novembre 1991 n.356), emesso sempre dal Governo presieduto dallimputato, con il quale, ad appena pochi mesi dalla pronuncia della sentenza definitiva del 30 gennaio 1992, venne ripristinata la custodia in carcere per tutti quegli imputati (e tra essi molti componenti della Cupola) che avevano goduto fino a quel momento degli arresti domiciliari e che, ove fossero rimasti a casa ad attendere lesito del giudizio di Cassazione, ben avrebbero potuto sfruttare il regime detentivo attenuato per sottrarsi

allesecuzione delle pesanti pene che di li a poco sarebbero divenute definitive. Dallarticolata disamina delle emergenze processuali non emerge dunque la prova concreta di un coinvolgimento dellimputato nel tentativo di pilotare il maxiprocesso verso un esito gradito a Cosa Nostra essendosi per contro accertato che il Sen.Andreotti fu artefice con altri ed in piu occasioni delladozione di rilevanti provvedimenti legislativi che incisero sulliter del suddetto processo scongiurando le scarcerazioni di quegli esponenti mafiosi che furono infine condannati con sentenza irrevocabile. 17) Gli elementi di convincimento desumibili dalle intercettazioni ambientali, dalla deposizione del teste Pulizzotto e dalla documentazione acquisita inducono a ritenere che Marino Pulito abbia incontrato, insieme al Serraino, Licio Gelli a Roma presso lHotel Ambasciatori in data 24 gennaio 1991. Non sono stati acquisiti specifici riscontri che confermino univocamente il racconto del Pulito per quanto attiene alleffettiva realizzazione della comunicazione telefonica tra il Gelli ed il sen. Andreotti, narrata dal Pulito. Un simile valore dimostrativo non pu essere attribuito, invero, alle dichiarazioni di Alfonso Pichierri e di Salvatore Annacondia (in ragione delle discrasie rilevate), n a quelle di Gaetano Costa (che non contengono alcun riferimento alla comunicazione telefonica con il sen. Andreotti, e, pi in generale, alle modalit dei contatti tra il Gelli ed il sen. Andreotti). N e stato ravvisato il necessario requisito della specificit negli elementi di prova relativi ai rapporti intercorsi tra limputato ed il Gelli, ed alla eventuale disponibilit, da parte di questultimo soggetto, di un allacciamento telefonico esterno che consentisse di effettuare telefonate senza passare attraverso il centralino dellHotel Ambasciatori. Sulla base della documentazione acquisita, nonch delle dichiarazioni rese dal giornalista Roberto Fabiani e del collaboratore di giustizia Gaetano Nobile possibile desumere che il sen. Andreotti abbia intrattenuto rapporti con il Gelli, ma non pu trarsi la conclusione che questi rapporti si siano protratti, con una significativa intensit (tale da giustificare la conversazione telefonica descritta dal Pulito), fino al 1991; la stessa circostanza che il Gelli non abbia pi annotato nella propria rubrica le variazioni dei numeri telefonici del sen. Andreotti, intervenute nei mesi di aprile e maggio 1989, indice di una soluzione di continuit nei rapporti tra i due soggetti. Dallistruttoria dibattimentale non emerso alcun diretto collegamento tra il sen. Andreotti e la Lega Meridionale. N si comprende quale interesse potesse avere limputato al conseguimento di un sostegno elettorale per un movimento politico diverso dal partito in cui egli militava. Dagli elementi di prova acquisiti e emersa la possibilit che il Gelli, nei periodi in cui alloggiava allHotel Ambasciatori, utilizzasse una linea telefonica attivata mediante uno dei collegamenti esterni che non passavano attraverso il centralino dellalbergo e sfuggivano ad ogni controllo. Ma non vi alcuna prova che una simile linea telefonica sia stata effettivamente utilizzata per chiamare il sen. Andreotti nel 1991. Gli elementi di convincimento acquisiti non valgono dunque a dimostrare che il sen. Andreotti abbia ricevuto dal Gelli una richiesta di intervenire per assicurare lesito positivo del processo di revisione della condanna riportata dai fratelli Riccardo e Gianfranco Modeo, n, tantomeno, che il sen. Andreotti abbia effettivamente compiuto azioni volte a conseguire tale risultato. Alla stregua delle considerazioni che precedono, dunque, e emerso in esito alla complessa istruzione dibattimentale svolta ed alla critica disamina di tutti gli elementi acquisiti un quadro probatorio caratterizzato complessivamente da contraddittorieta, insufficienza e, in alcuni casi, mancanza delle prove in ordine ai fatti di reato addebitati allimputato. Ne consegue che il Sen. Giulio Andreotti deve essere assolto dalle imputazioni ascrittegli ai sensi dellart.530 comma 2 c.p.p. perche il fatto non sussiste. P.Q.M. Visto lart. 530 comma 2 c.p.p.; assolve Andreotti Giulio dalle imputazioni ascrittegli perch il fatto non sussiste. Visto lart.544 comma 3 c.p.p. fissa il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. Palermo 23 ottobre 1999 I giudici estensori Il Presidente (Dott. Salvatore Barresi) (Dott. Francesco Ingargiola) (Dott. Antonio Balsamo)

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