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La stella nella polvere

Western di Gabriele Lucci, dizionari del cinema, Electa, Milano 2005

Il cinema western per i pi sinonimo di semplice svago. Lontano, convenzionale e innocente,


il genere, nella sua rigida e ripetitiva codificazione sembra poter colpire (e far male) solo per noia. Il western si guarda con i figli scivolando senza alcun attrito sulla polvere delle cavalcate e delle pistole. Addirittura lamore per gli eroi sembra possibile e lecito senza vergogna, come ormai non accade pi tra le persone adulte e disincantate. La lealt e lamicizia vi hanno difeso ostinatamente unultima cittadella, mascherata appena dal cinismo anche troppo esibito di un Peckinpah o di un Sergio Leone, fino a tornare pienamente in onore con Lawrence Kasdan. Insomma i valori e qualche buon sentimento apparivano ancora in auge ben oltre il profondo rinnovamento del genere degli anni Settanta e prima del ritorno a moduli pi collaudati a partire dagli Ottanta. Unepica dunque, e per di pi sostanzialmente edificante, con gli angoli smussati dalla convenzione spettacolare, calibrata, certo, in modo pi o meno duro, pi o meno realistico. Un genere innocuo, infine, anche nelle sue versioni pi intellettuali o pi scaltrite. Il libro che reggiamo in mano e che sfogliamo attratti dalle sue numerose e belle illustrazioni, il recentissimo Western di Gabriele Lucci, con cui la casa editrice Electa ha inaugurato la sua serie Dizionari del cinema, dovrebbe essere allora un volume paragonabile allAlmanacco illustrato del calcio, da consultare per orientarsi nella sovrabbondante quantit di svaghi offerti dalla vita contemporanea. Non cos, anzitutto perch Lucci ha dato alla sua, non facile, sistemazione del genere unimpostazione pi storiografica e dunque selettiva, che meramente informativa. Le sezioni di questo Dizionario, sono infatti quattro: Le parole chiave, I protagonisti, I capolavori, I film. Come si vede, data una prima illustrazione generica della materia nelle prime due, nelle altre Lucci non si sottrae affatto alla gravosa responsabilit e al rischio di indicare i film western essenziali. Lautore li ha appunto divisi in due sezioni gerarchizzate: dieci capolavori e una novantina di pellicole fondamentali, che costituiscono quanto di meglio la frontiera americana abbia ispirato ai cineasti e alle major in poco meno di un secolo. Fatto, in primo luogo, tanto di cappello al coraggio di Lucci passiamo a esaminarne le idee. Eh s, perch una cos decisa selezione storiografica si fa solo sulla base di un orientamento preciso. Che infatti c e non si fa attendere, dato che viene dichiarato sin dallIntroduzione. In storia orientarsi periodizzare, ed ecco puntualmente delinearsi a tale proposito le idee fondamentali dellautore. Tra evoluzioni,crisi e reviviscenze, il western attraversa lintera storia del cinema, raggiungendo la sua apoteosi tra il 1945 e il 1960, preannunciata tuttavia dal capolavoro del 1939 Ombre rosse, di John Ford. In breve, gli anni Cinquanta sono il periodo doro del cinema western, mentre la grande frattura rappresentata dagli anni Sessanta nella coscienza americana avrebbe prodotto nel genere nazionale per eccellenza una stasi da cui gradualmente il genere non sarebbe veramente emerso che con il pregevole Silverado di Kasdan nel fatidico 1985. Secondo noi le cose non stanno cos nel senso che nel decennio 1966-76 sono invece stati girati alcuni fra i western pi belli, di cui infatti d (parziale) ragione la sezione finale del libro. Dei dieci capolavori che Lucci individua ben sei sono invece collocati, coerentemente con lassunto iniziale, tra il 1952 di Mezzogiorno di fuoco di Fred Zinnemann e il 1959 di Un dollaro donore, due tra il 1968 e il 1969 ma uno solo americano (Il mucchio selvaggio) mentre

laltro lunico doveroso omaggio a Sergio Leone (Cera una volta il west). Negli anni Settanta non ce n nessuno. Si riprende con il 1980 di I cancelli del cielo per finire (forse doverosamente) con Gli spietati, Clint Eastwood 1992. Non siamo daccordo, ma felix culpa, se tale, quella dellautore. Quando da migliaia di film se ne scelgono dieci conta in modo decisivo come si comincia. I film degli anni Cinquanta, come dicevamo, sono ben sei su dieci. Il primo il folgorante Mezzogiorno di fuoco, il terzo Johnny Guitar di Ray, il quarto Sentieri selvaggi, di John Ford, il dominatore del genere. Di fronte a questi titoli ci che colpisce lalto voltaggio e la durezza dei conflitti politici che sottendono. Mentre gli altri tre (Il cavaliere della valle solitaria, Luomo di Laramie, Un dollaro donore) pur non privi di tensioni storiche non comuni e di inquietudini, appaiono forse meno problematici. In Mezzogiorno di fuoco Willy Kane, pur abbandonato vigliaccamente di fronte ai banditi da unintera comunit, infine riesce a prevalere ma, incurante dei festeggiamenti che gli nascono intorno, si toglie dal petto la stella di sceriffo e la getta per terra danti a s. Le rughe profonde che si disegnano intorno agli occhi del cinquantenne Gary Cooper, e che il volume documenta fotograficamente con precisione, non appartengono per alla convenzione spettacolare ma rimandano a un conflitto reale e a una vera lacerazione storica, quella del maccartismo e della caccia alle streghe, cui la sceneggiatura di Carl Foreman apertamente allude. Del resto, anche sul viso di Sterling Hayden, protagonista di Johnny Guitar si disegnano le ombre profonde della pena daver tradito gli amici accusati di attivit antiamericane, pena che lo condusse ad accusarsi platealmente a sua volta. Sarebbe da sprovveduti credere che questo retroterra non si esprima nellisolamento e nella fuga di Johnny. Infatti la presenza di un livello politico in cui il film polemizza a distanza con la caccia alle streghe del senatore McCarthy, riconosciuto largamente dalla stessa critica anglosassone (Derek Malcolm). Quanto a John Ford e a Sentieri selvaggi, solo uno dei suoi capolavori, i conflitti della societ americana vi sono rappresentati nella loro formulazione genetica e originaria: nord contro sud; indiani contro bianchi. La sconfitta del sud non vi solo rappresentata come crisi dei valori tradizionali di fronte allimpetuosa innovazione industriale finanziaria del secondo Ottocento, ma registrata con elegiaca precisione nel fallimento di vere e concrete esistenze. Non a caso Ethan, il protagonista di Sentieri selvaggi, un reduce sudista impegnato, negli anni che seguono al suo ritorno, nella lunga e angosciosa ricerca della nipote rapita dagli indiani Comanche. La sua plastica accettazione della ragazza divenuta ormai una squaw si concretizza in un gesto tanto pi coraggioso quanto consapevole di essere inaccettabile. Il crollo degli ideali e la fine della giovinezza si riscattano in una speranza largamente umana ma disperatamente controcorrente. Il grande merito dellautore di questo libro quello di aver centrato lattenzione su una stagione (gli anni Cinquanta) e un gruppo di film che, senza apparentemente forzare le regole dellepica western, rappresentano con cruda profondit tutto il dolore di unepoca travagliata. Nel western c sicuramente molto di pi dei tratti di maniera che, come abbiamo visto, gli attribuisce la communis opinio. Ma si tratta di un contenuto che, per arrivare fino a noi, ha bisogno di depositarsi, quasi invisibile, nei tratti rassicuranti della convenzione, nei luoghi comuni, solo apparentemente innocui, del genere.

Renato Calapso

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