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Buonasera a tutti.

Il 20 aprile del 1999 nel liceo di una piccola cittadina del Colorado, due studenti uccidono dodici compagni e un insegnante prima di togliersi la vita. E lo stesso giorno della strage alla Columbine Schoool si registra anche il pi massiccio bombardamento perpetrato dallesercito statunitense in Kosovo. Questa triste coincidenza sintetizza i due principali aspetti della questione del rapporto tra gli americani e le armi che Michael Moore affronta, con impegno e allo stesso tempo con ironia, nel documentario Bowling for Columbine da lui scritto, diretto e prodotto, che vedremo questa sera. Da un lato quindi lutilizzo privato delle armi, dallaltro lutilizzo pubblico, sempre messi a confronto come due manifestazioni di ununica aggressivit. Questo secondo aspetto, a dire la verit, ha una parte limitata nel film, ma sicuramente significativa la rapida carrellata sulla politica estera statunitense dagli anni 50 a oggi e sulle connivenze americane con regimi dittatoriali e sanguinari, il tutto ironicamente sottolineato dalle note di What a Wonderful World cantata da Louis Armstrong. La parte pi importante del film per riguarda indubbiamente il rapporto che con le armi intrattengono i cittadini comuni statunitensi. E il punto di partenza un dato, preciso e allarmante: pi di 11.000 morti per armi da fuoco ogni anno negli Stati Uniti. Michael Moore si domanda che cosa possa portare un paese a detenere il record di omicidi, e con questo documentario propone alcune possibili spiegazioni attraverso unindagine approfondita e documentata, che mescola interviste e filmati da lui stesso realizzati, documenti televisivi e interventi di uomini politici, immagini tratte dai circuiti interni dei luoghi delle stragi, dimostrando tra laltro grande abilit creativa nellutilizzo di materiali eterogenei. Senza rabbia, ma con decisa insistenza, e sospendendo ogni giudizio, Moore attraversa lAmerica in di cerca possibili risposte, e parallelamente smonta immagine dopo immagine (grazie a un sapiente uso del montaggio) le troppo semplicistiche spiegazioni che spesso vengono fornite: come leccesso di violenza in televisione, sempre chiamato in causa, o limprobabile responsabilit di alcuni idoli giovanili, accusati dai media di istigare alla violenza. A questo proposito Micael Moore realizza una breve intervista con la star musicale Marilin Manson, che si rivela meno mostruoso di come vuole apparire, e comunque pi innocuo del famoso Charlton Heston, che tutti ricordiamo nei panni del buon Mos, e che scopriamo invece attivista dellassociazione che promuove la detenzione e lutilizzo delle armi da fuoco a scopo di difesa, finanziata dalle potenti lobbies di produttori di armi. Nel film viene messa sotto accusa anche la libert di acquisto e di vendita di armi da fuoco (negli Stati Uniti le pallottole si comprano al supermercato e la North American Bank regala un fucile a chi apre un conto corrente). Ma anche lovvia correlazione tra lalto numero di omicidi e la diffusione non controllata di armi negli Stati Uniti, messa in discussione attraverso un confronto con il confinante Canada, che a parit di armi vanta un numero molto inferiore di omicidi. Se una risposta possibile, secondo Moore va cercata pi in profondit, in quella che lui ritiene la componente ricorrente nella vita quotidiana di ogni americano, ovvero la paura. La paura del prossimo, del diverso, la paura dellaltro, a cui gli americani rispondono armandosi e aggredendo prima di essere aggrediti, e questo, ancora una volta, sia a livello di cronaca locale sia a livello di politica internazionale. questo infatti che sembra suggerirci listruttivo cartone animato in stile South Park, in cui Michael Moore ricostruisce lintera storia degli Stati Uniti, utilizzando proprio la paura come chiave di lettura. Paura del resto alimentata dai media e dai telegiornali, e abilmente sfruttata dal governo, che secondo Moore diventano i principali responsabili di questa sorta di stato di terrore permanente, soprattutto dopo i fatti dell11 settembre, che non pu altro che generare altra violenza. Unanalisi lucida e una critica dura, quindi, della societ americana, quella che emerge dal documentario di Michael Moore, vincitore del Premio speciale al Festival di Cannes 2002 e qualche

settimana fa dellOscar per il miglior documentario. (Gi in passato Michael Moore si era distinto per i suoi documentari-inchiesta e di denuncia sociale, come il pluripremiato Roger and Me, del 1989, sugli effetti dei licenziamenti alla General Motors di Flinth, citt del Michigan in cui il regista nato). Unanalisi, dicevo, sempre condotta con acuta penetrazione storica e sociologica, e che alterna momenti di esilarante comicit a momenti di grande intensit emotiva, senza che la satira risulti mai indelicata o offensiva nei confronti della tragedia. Quello di Moore sembra qualcosa in pi di un documentario: riflessione e intrattenimento in perfetta sintonia. Ed forse un film necessario, non solo per la scottante attualit del tema, ma anche per il coraggio e lintelligenza del regista: Michael Moore, da sempre impegnato in prima persona sul terreno delle battaglie sociali, non a caso in questo film mette in scena anche s stesso, non chiamandosi fuori, ma assumendo su di s, ancora una volta, tutta la responsabilit delle sue scelte e delle sue idee.

Io vi lascio alla visione del film e vi ricordo lultimo appuntamento di questa rassegna, marted prossimo, con Luomo senza passato del regista finlandese Kaurismaki. Grazie a tutti e buona visione.

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